Sociologia e filosofia

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dall’Incontro delle culture alla e-Cultura europea
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Liceo delle Scienze Sociali
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Le radici della Tolleranza
aforisma anonimo "c’è una sola cosa che non posso tollerare –
l’intolleranza"
TOLLERANZA
La tolleranza è un termine sociologico, culturale e religioso relativo
alla capacità collettiva ed individuale di vivere pacificamente con
coloro che credono ed agiscono in maniera diversa dalla propria (e
che magari, da questa prospettiva, potrebbe apparire quantomeno
biasimevole). I sistemi autoritari si fondano, al contrario,
sull’intolleranza. La tolleranza è un termine più ampio di
“accettazione” e di “rispetto”, che conservano una connotazione
passiva (“rispetto l’altro purché non ci abbia niente a che fare”),
mentre la tolleranza richiama esplicitamente l’esigenza di una vita in
comune, dove l’incontro è inevitabile.
Sociologia e filosofia
Nel suo senso sociologico più ampio, la tolleranza si basa sulla
convinzione che l’intolleranza ed il tentativo di eliminare tutte le
differenze, a vantaggio di un pensiero unico, conducano alla violenza
e all’instabilità sociale. infatti un modo di fare intransigente e tutto
sommato cieco rispetto alle conseguenze può considerarsi un residuo
di una mentalità appartenente a un’epoca in cui l’incontro ed il
confronto con il “diverso” era davvero quantitativamente molto
limitato ma che nella società globalizzata di oggi è divenuto la regola
piuttosto che l’eccezione. Mentre può essere ritenuto istintivo
disapprovare un comportamento e un pensiero diversi dai propri, la
tolleranza richiede che dal confronto e dalla critica anche radicale
venga tenuto fuori ogni sentimento ed ogni atteggiamento ostile.
Tuttavia, nel senso più genuinamente filosofico, la tolleranza non
nasce dall’atteggiamento negativo basato sulla convinzione che non
esistano alternative ma, al contrario, sull’accettazione di ciò che è
diverso in quanto parte del tutto. L’atteggiamento della filosofia è
sempre stato rivolto alle cose così come sono, e non come noi
vorremmo che fossero, aprendo l’uomo alle infinite possibilità
dell’essere e non, al contrario, rinchiudendo l’essere nelle anguste
possibilità dell’uomo.
Politica e religione
Storicamente, la tolleranza politica e religiosa ha sempre costituito
l’aspetto più importante della tolleranza, poiché sono state le
divergenze sul piano politico e religioso ad aver ispirato le più atroci
guerre e persecuzioni. I filosofi e gli scrittori dell’Illuminismo,
soprattutto Voltaire Lessing, hanno fortemente promosso la tolleranza
religiosa, e la loro influenza ha fortemente contribuito alla formazione
delle società occidentali.
Storia e filosofia
Storicamente gli aspetti più importanti relativi alla tolleranza sono da
ascrivere alla sfera politica ed a quella religiosa. Infatti la questione
della tolleranza inizia ad essere discussa soprattutto in Francia,
Inghilterra e Boemia (stati in cui si affermano diversi punti di vista
religiosi) intorno al XVI secolo, periodo ricco di avvenimenti come la
Riforma, la Controriforma, la costituzione degli stati assoluti e le
guerre per il predominio europeo. L’omogeneità ideologica e culturale
viene meno con l’indebolirsi dell’Impero e con la nascita di confessioni
diverse da quella cattolica, che proprio in questo periodo conoscono la
loro diffusione. Ciò dimostra come sia inizialmente l’ambito religioso
quello ad essere interessato al problema della tolleranza: la teoria
della tolleranza religiosa stabilisce che è meglio astenersi dal
perseguire posizioni morali o religiose giudicate riprovevoli. In questo
caso la scelta di tollerare è vista come il minore dei mali, perché la
repressione delle idee contrastanti provocherebbe problemi ancora
peggiori. Un precursore della teoria della tolleranza religiosa fu
Marsilio da Padova (1275-1343), che sosteneva la validità di un
metodo di insegnamento e di correzione piuttosto di uno che
imponesse la fede per coercizione; la fede imposta con la forza non
procura la salvezza dell’anima. Un’altra tappa principale dello sviluppo
del principio della tolleranza è l’Umanesimo. Esso favorisce la
dimensione interiore dell’individuo per il raggiungimento della pace
con Cristo. Sempre in campo umanistico prende poi corpo un
significato ideologico-politico della religione come forma di controllo
sulle masse. Una delle cause del fanatismo religioso, questione
particolarmente dibattuta dal protestantesimo, deriva dallo scontro
fra una concezione umanistica della religione (che propone un libero
esame nel rapporto uomo-Dio) e una assolutistica (che nega,
considerandolo un crimine, tale libero esame).
Tolleranza fra Riforma e Controriforma
La riforma protestante, non immune da forme di fanatismo religioso,
dà nuovo rilievo al problema della tolleranza. La confusione religiosa
e politica e le persecuzioni religiose portano alla ricerca di nuove
definizioni circa i concetti di fede e di eresia. Tre figure principali
dominano questo scenario. La prima è Lutero (1483-1546). Egli fu il
primo a sostenere che la pena prevista per gli eretici, il rogo, era
contraria alla volontà dello spirito santo: si ritrova così la concezione
di Marsilio da Padova secondo cui la fede non può essere imposta con
la violenza. Tale posizione, che trova il suo fondamento nelle sacre
scritture, non venne però seguita nel caso della cosiddetta guerra dei
contadini (1525) promossa dal predicatore T. Muntzer durante la
quale Lutero di fronte alle rivendicazioni dei rivoltosi reagisce con
inaudita violenza, non esitando ad invocare la pena di morte per tutti
i rivoltosi. Il potere politico incaricato di questo compito diviene così
per il monaco tedesco la spada di Dio che interviene per fermare il
male e l'ingiustizia di questo mondo. Strettamente legato
all'Umanesimo cristiano è il secondo protagonista, Erasmo da
Rotterdam (1469-1536) nelle cui opere è presente un forte invito alla
tolleranza in nome di quegli ideali di educazione già esaltati da
Erasmo.
La terza figura che opera in quegli anni turbolenti è Calvino (15091564). Egli attaccò veementemente i metodi perentori con cui la
chiesa romana combatteva le nuove confessioni; ciò nonostante,
com'era avvenuto per Lutero, parve contraddire se stesso quando nel
1553 condannò e fece bruciare a Ginevra Miguel Servet, medico
spagnolo, per eresia. Quest’ultimo, infatti, negava il dogma della
trinità.
Infine, l'ultimo personaggio ad alimentare il dibattito sulla tolleranza
nel Cinquecento è Castellion (1515-1563) che pubblicò un’antologia di
testi a favore della tolleranza non solo dei Padri della chiesa, di
Erasmo, ma anche delle prime concezioni moderate di Calvino e di
Lutero. In essa è evidente l'influsso della teoria di Erasmo, secondo
cui il cristianesimo è innanzitutto impegno di vita morale, pratica di
carità e pace. Sul piano dottrinale si afferma che non vi è nessuno in
terra in grado di fungere da giudice nelle contese di fede; in
particolare la difesa dell'ortodossia non potrà mai giustificare
un'azione immorale quale l'omicidio. Si introduce così l'idea del
rispetto della dignità dell'uomo: "Uccidere un uomo non è difendere
una dottrina; è uccidere un uomo". Con un atteggiamento non
dissimile da quello che, qualche anno dopo, avrebbe animato
Montaigne, Castellion propugna un cristianesimo non già dogmatico e
autoritario, bensì malleabile e aperto al dialogo.
Seicento e Settecento
I riflessi politici della teoria della tolleranza religiosa trovano piena
espressione sul finire del XVI secolo, quando Jean Bodin (1530-1596)
propugna la tesi che afferma l'estraneità dello stato nei conflitti
religiosi e propone la tolleranza verso i riformati in cambio
dell’obbedienza civile. Il principio di tolleranza religiosa ha il merito di
aver anticipato quello della libertà politica: fazioni contrastanti sono
legittime se rientrano in un sistema di regole da tutti convenute. In
ambito politico, soprattutto in Francia, il dibattito sulla tolleranza si
afferma nell'età delle guerre di religione del secondo Cinquecento. I
principali fautori furono gli esponenti del "partito dei politici": essi
erano ostili al cattolicesimo fanatico-filoasburgico e sostennero che il
problema religioso poteva essere risolto solo all'interno di uno stato
potente e accentrato. Un altro passo verso la tolleranza religiosa fu
compiuto con l'Editto di Nantes (1598), grazie al quale venne
riconosciuta la libertà religiosa e di culto agli ugonotti francesi.
Questo periodo è infine caratterizzato da un'ultima teoria religiosa
connessa alla politica: la tolleranza religiosa è "instrumentum regni",
uno strumento del sovrano per ricompattare lo stato. Verso il XVII
secolo si sente la necessità di conservare l'ordine politico e la pace
sociale nonostante la pluralità di confessioni religiose. E' in questo
contesto che si colloca l'opera di John Locke (1632-1704). Nella sua
Epistola de Tolerantia (1689) sono definiti i doveri di chiesa, privati,
magistratura ecclesiastica e civile verso la tolleranza: la chiesa si
limiterà a scomunicare chi non segue la sua dottrina, senza arrecargli
alcun danno materiale; nessun privato può danneggiare chi si professi
estraneo alla sua religione; Chiesa e stato sono due istituzioni diverse
e separate; la magistratura civile deve astenersi da ingerenze nella
sfera religiosa degli individui. Il principio di tolleranza è sancito nella
Dichiarazione di indipendenza (1776) e nella successiva Costituzione
federale degli Stati Uniti d’America (1791), anche se trova la sua
prima formulazione già alcuni anni addietro col Traité sur la tolérance
(1763) di Voltaire.
Le teorie contemporanee sulla tolleranza
Rispetto al passato si assiste ad una graduale accettazione di una
pluralità di opinioni in campo etico, politico e morale; la tolleranza
acquisisce la connotazione di valore politico e morale e prelude alla
nascita della libertà politica. In particolare, a partire dalla seconda
metà
dell'800,
caratterizzata
socialmente
e
politicamente
dall'egemonia borghese, la tolleranza garantisce la coesistenza
conflittuale, nel quadro della dialettica democratica istituzionale, di
posizioni ideologiche differenti, talora anche radicalmente opposte;
ancora una volta la tolleranza si propone come baluardo del diritto
alla libertà d'opinione e per la prima volta essa non solo contribuisce
alla ricerca di una definizione della verità, come già precedentemente
faceva, ma è anche assunta essa stessa come fonte di vera e propria
verità. Il fatto che la tolleranza si svincoli sempre più dalla
problematica
religiosa
trova
pieno
riscontro
nelle
teorie
contemporanee di Wolff e Marcuse. Quest’ultimo critica il modello di
tolleranza delle democrazie avanzate; esse tendono a conservare le
loro strutture e non seguono fino in fondo il principio di tolleranza
che, applicato fino alle sue estreme conseguenze, presenterebbe
invece una natura sovversiva e fortemente liberale. Sugli sviluppi
moderni del principio di tolleranza si può da ultimo citare la posizione
della Chiesa: fino alla prima metà del novecento, essa accetta la
tolleranza, ma come un atteggiamento pratico, rivolto per
opportunismo verso l'errore e il male; solo in seguito, dopo il Concilio
Vaticano II (1962-65) e i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, la
Chiesa si è avvicinata ad una concezione che riconosce la piena
dignità dell'individuo, presente anche nell'errare. Non si deve tuttavia
credere, da quanto sin qui detto, che non esistano limiti alla
tolleranza e alla libertà di opinione. Infatti, come si legge nella
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789), "... nessuno
deve essere disturbato per le sue opinioni, anche religiose, purché la
manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla
legge". Nel contesto novecentesco il problema dei limiti posti alla
tolleranza ha nuovamente un ruolo centrale, stimolando, con Karl
Popper (1902-1994), una valorizzazione della reciprocità per quanto
attiene il piano politico e la possibilità della critica e del confronto nel
progresso scientifico.
Psicologia
Essendo la tolleranza il superamento dell’intolleranza è opportuno
focalizzare l’attenzione prima su quest’ultima. L'intolleranza - a
differenza dell'aggressività che svolge nei lattanti e nei bambini
funzioni vitali di difesa - pare non abbia basi biologiche, anche se in
pratica ad essa si accompagna spesso l'aggressività.
Oggi la scienza della genetica ha fatto emergere ottime ragioni
scientifiche a sostegno della tolleranza: il 26 giugno del 2000 è stata
resa pubblica la notizia che la mappa del genoma umano è ormai stata
decifrata. Dal punto di vista genetico, la differenza fra due uomini presi
a caso è minima: meno dell’uno per mille. Da questo punto di vista,
sembra che tutti gli uomini si somiglino come delle fotocopie. Peraltro,
la biologia da più di un secolo afferma che tutti gli uomini
appartengono alla stessa specie, l'homo sapiens sapiens, e di
conseguenza hanno mediamente le stesse prestazioni, esigenze,
istanze, bisogni, desideri, sogni. L'esperienza pratica dimostra che un
uomo può capire la mentalità di qualsiasi altro uomo, cioè che
l'umanità è Una. Inoltre, l'antropologia ha verificato che gruppi isolati
di uomini, come le tribù dell'Africa o dell'Amazzonia, non sono
assolutamente intolleranti quando vengono a contatto con altri uomini.
Lo stesso si può dire osservando il comportamento dei bambini piccoli
che normalmente sono aperti e tendono fortemente a socializzare con
gli altri bambini o con le altre persone. Se ne deduce che l'uomo è un
essere naturalmente tollerante e che l'intolleranza è un fattore
culturale che si acquisisce con l'educazione (o meglio con la maleducazione); si può dire che si viene educati ad essere intolleranti. Alla
radice dell'intolleranza c'è, però, una base psicologica in quanto se una
cosa avviene deve avere la sua ragione. In genere, l'uomo è
sufficientemente tollerante con gli altri gruppi di uomini finché questi
ultimi non invadono in qualche modo quello che egli sente come suo
spazio vitale. Quando, per le più svariate ragioni, non necessariamente
causate dall'ingerenza degli altri gruppi, tale spazio diminuisce, il
disagio che deriva può essere proiettato verso direzioni improprie
causando intolleranza. Il meccanismo psicologico che permette che ciò
avvenga è quello della semplificazione mentale mediante modelli. E'
normale che un individuo conosca meglio le caratteristiche del gruppo
di uomini cui appartiene rispetto ai gruppi diversi. In questo processo,
man mano che gli altri si fanno più lontani, si tende ad inserirli in
modelli sempre più artefatti e sbrigativi. Tutto questo è in armonia con
i principi dell'interpretazione della mente secondo la teoria della
Gestalt (ted. Gestalt=forma), ovvero che la mente si organizza in un
modo chiamato della "legge del minimo".
Di conseguenza, quando per varie ragioni interviene un contrasto fra
il gruppo di cui si fa parte ed altri gruppi, i modelli semplificati che si
hanno di loro non sono capaci di sviluppare quel sentimento di solidarietà che porterebbe ad opporsi a qualsiasi tentativo di generalizzazione negativa.
La tolleranza è fondata sulla fiducia
Lo psicologo sociale che più di altri si è occupato della personalità
tollerante è stato, Gordon W. Allport. Nella sua opera “The nature of
prejudice” dedica un capitolo a tale argomento. La tolleranza,
consiste nel saper vivere amichevolmente. Ciò significa relazionarsi
con gli altri prescindendo dalle loro appartenenze etniche, culturali,
razziali, ideologiche e non operare alcuna distinzione in proposito.
Inoltre occorre tener presente che la tolleranza è fondata anche sulla
fiducia negli altri che presuppone un certo “basic trust”, un
atteggiamento positivo di base da cui deriva la fiducia in noi stessi.
Educare alla tolleranza
Le ricerche effettuate indicano che i bambini tolleranti provengono
generalmente da famiglie che hanno impartito loro un’educazione di
tipo non punitivo. Tale condizione, però, non è di per sé sufficiente in
quanto il bambino deve essere ben voluto, amato a prescindere da
ciò che fa. Il rapporto amichevole che sta alla base di tale educazione
educativa esclude il ricorso a metodi punitivi esagerati. Questo
aspetto è importante perché il bambino non viene costretto a
esercitare su se stesso un controllo ossessivo al fine di evitare la
punizione o le ire dei genitori. L’allentamento dell’autocontrollo
corrisponde ad un allontanamento dalla paura. L’intolleranza è
causata in gran parte da sentimenti di paura. La paura appare molto
di frequente nelle storie raccontate da bambini prevenuti, mentre
figura raramente in quelle narrate da bambini educati in un clima di
tolleranza. La dicotomia “sicurezza-minaccia”, in termini di vissuto
personale, appare critica per la formazione di una personalità
tollerante.
Gli ostacoli alla tolleranza
Allport è molto esplicito sulla natura dei meccanismi di difesa. Prima
di tutto la rimozione: le esperienze spiacevoli e dolorose vengono
ricacciate nell’inconscio. In un secondo luogo la proiezione: si tende
ad attribuire ad altri intenzioni malevole che sono invece proprie. In
terzo luogo l’evitamento: si cerca di scansare momenti che
potrebbero far vivere esperienze frustranti, di disagio emotivo. Tutto
ciò si colloca all’interno del continuum di processi che presiedono allo
sviluppo armonico della personalità. Quest’ultimo deve prevedere un
passaggio graduale tra gli stati coscienti e quelli inconsci della vita
psichica. Se non vi è percezione di minaccia né sentimenti di paura
ma, invece, di appartenenza sul piano affettivo, uno sviluppo
armonico si rende possibile. Esiste una differenza fondamentale tra il
bambino prevenuto e quello tollerante anche per quanto riguarda
l’atteggiamento nei confronti dei genitori. Nel caso del bambino
tollerante egli non desidera che essi siano diversi da quello che sono,
non li vive attraverso un filtro di un complesso di inferiorità che lo
porta a mitizzare la loro onnipotenza. Il bambino non prevenuto è
esente dal conflitto morale che si instaura, invece, nel bambino
prevenuto. Quest’ultimo reagisce al conflitto che sperimenta
assumendo atteggiamenti di tipo rigido, duro nei confronti degli altri.
Gli atteggiamenti discriminanti ed i sentimenti di appartenenza
Chi è allevato in un clima di tolleranza non scotomizza né
dicotomizza; non ci sono per lui i “buoni” ed i “cattivi”, “i forti” e i
“deboli” non ha una prospettiva deterministica per cu esiste un solo
modo (“giusto”) di fare le cose bene. Non stabilisce correlazioni tra
ruolo sociale ed appartenenza sessuale; ad esempio anche un uomo
può fare il baby sitter. Quest’ultimo punto è rilevante dal momento
che, divenuto adulto, questo tipo di individuo tenderà a minimizzare
la rilevanza delle appartenenze, siano esse religiose, politiche,
professionali, geografiche.
È dunque evidente come questo tipo di bambino sia avviato ad
affrontare la vita in modo ben diverso da suo coetaneo prevenuto. Il
primo mette in conto un margine di ambiguità. Il secondo è invece
motivato a liberarsi dall’ambiguità negandola.
Sicurezza della persona ed auto-organizzazione
Un altro aspetto differenziatore riguarda la relazione tra percezione
del tempo e soddisfacimento dei bisogni. L’individuo intollerante è
quasi incapace di ritardare la soddisfazione di un bisogno. Il ritardo lo
disunisce, lo sconvolge. Da un lato l’intenzionalità di porre termine ad
una situazione nella quale l’io è implicato; dall’altro il timore e la
paura di non vedere soddisfatti i propri desideri. Volendo sintetizzare
è qui che in larga misura si mette alla prova la sicurezza di una
persona, la progettualità nell’organizzarsi, il controllo dei conflitti
interni ed esterni. Allport sottolinea come lo sviluppo di una
personalità improntata all’autoriflessione e all’autocontrollo sia
fortemente condizionata dall’ambito famigliare. In effetti tale sviluppo
risulta in stretta connessione con il sistema dei premi e delle punizioni
praticato dalle figure significative, con l’atmosfera generale, con la
presenza e l’assenza di un’azione educativa caratterizzata dall’amore
verso gli altri esseri umani, gli animali e la natura. Da tutto questo
quadro emerge un dato certo: che le prime fasi dello sviluppo
infantile rivestono un’importanza cruciale nella formazione della
personalità tollerante.
Le forme della tolleranza
Le motivazioni alla tolleranza possono essere molto diverse tra loro.
Per alcuni individui l’atteggiamento di apertura può essere naturale
mentre per altri può comportare un certo sforzo. Esiste anche una
tolleranza conformista condizionata dal desiderio di uniformarsi
all’atteggiamento della maggioranza. Certi conformisti sono tolleranti
in modo passivo, senza che si verifichi al loro interno alcuna
interiorizzazione di valori civili semplicemente perché gli altri membri
del gruppo si aspettano che lo siano. Di natura diversa è la tolleranza
che deriva dai tratti caratterologici della persona. Ma anche in questo
caso occorre operare delle distinzioni con riferimento alla sensibilità e
alle motivazioni. Esiste così, in certe persone, un atteggiamento di
benevolenza generalizzata e questo atteggiamento può essere
veicolato dall’adesione ad una particolare ideologia di natura politica.
Può trattarsi di un valore estetico, di una curiosità intellettuale, di una
spinta umanitaria. Ciascuna di queste motivazioni presuppone una
visione positiva del mondo e della vita. Questa disposizione aiuta a
sviluppare una personalità tollerante e non violenta che comunque
richiede di mettere in atto un processo di educazione e di
autoeducazione che comporta un grande sforzo. Infatti grande è il lavoro da fare per eliminare i pregiudizi che continuamente insorgono da
tutto ciò che ci circonda. Bisogna educarsi alla tolleranza, meglio ancora alla solidarietà, attraverso un processo di valorizzazione,
identificazione e condivisione con l'altro. Grande importanza allora
riveste l’impegno di conoscere meglio gli altri, informandoci sulla loro
cultura, religione, folklore, apprezzandone le qualità e sviluppando in
noi un sentimento d’empatia nei loro confronti. In questo processo è
essenziale comunicare con gli altri senza preconcetti. Un altro aspetto
fondamentale è educare ed educarsi alla tolleranza ricercando
occasioni di dialogo e di confronto costruttivo. Sviluppare una
superiore base etica, infine, serve a combattere quei pregiudizi che
troppo spesso fanno leva sulle peggiori tendenze dell’animo umano.
Fonti: Internet – WikipediA, L’enciclopedia Libera – 16.01.06
Psicologia Contemporanea – rivista bimestrale – Giunti Gruppo editoriale – Apr. ‘94
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