Test1 1..3 - Zanichelli online per la scuola

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(Epistulae morales ad Lucilium 74, 10-13)
Epistulae morales ad Lucilium
10. Quicumque beatus esse constituet, unum esse bonum putet quod honestum est;
10. Chiunque voglia essere felice, consideri la virtuÁ come l'unico bene possibile. Se
ritiene che ne esistano altri, innanzitutto valuta la provvidenza in maniera impropria,
dal momento che incorrono in molti guai della sorte persino gli uomini giusti e
qualunque dono essa ci abbia fornito risulta effimero e di poco conto, se lo paragoni
alla durata dell'universo. 11. Ed eÁ da questa sfiducia che deriva la nostra ingrata
valutazione dei segni divini; ci lamentiamo allora della fugacitaÁ della fortuna che ci
tocca, della sua esiguitaÁ, della sua indeterminatezza e della sua inevitabile tendenza a
svanire. Ne consegue che in realtaÁ non vogliamo ne vivere ne morire: ci pervade
l'avversione per la vita e il timore della morte; in tal modo, ogni pensiero rimane
incerto e nessuna circostanza favorevole ci puoÁ appagare pienamente. Ma la vera
causa di questo atteggiamento eÁ che non abbiamo raggiunto quel bene infinito e
insuperabile dove eÁ necessario che la nostra volontaÁ si arresti, poiche non esiste un
luogo ancor piuÁ elevato oltre la vetta. 12. Ti domandi il motivo per cui la virtuÁ non
manca di nulla? Perche si rallegra dei beni che ha a disposizione e non aspira a quelli
che non possiede: per essa eÁ grande cioÁ che le basta. Abbandona questo principio:
verraÁ a mancare ogni senso religioso e ogni lealtaÁ, poiche chi intende osservare questi
due valori eÁ destinato a patire molti dei cosiddetti mali e a sacrificare molti di quei
piaceri che pure accettiamo come veri beni; 13. si perde poi la fermezza, che deve
mettere se stessa alla prova; si perde la grandezza d'animo, che non puoÁ emergere se
prima non ha disprezzato come insignificanti tutte le cose che la gente comune
desidera piuÁ di ogni altra; si perdono la benevolenza e la gratitudine, se ci spaventa
l'idea delle difficoltaÁ, se conosciamo qualcosa di piuÁ prezioso della lealtaÁ, se non
manteniamo lo sguardo fisso al sommo bene.
MaturitaÁ 2011
nam si ullum aliud existimat, primum male de providentia iudicat, quia multa incommoda iustis viris accidunt, et quia quidquid nobis dedit breve est et exiguum si
compares mundi totius aevo. 11. Ex hac deploratione nascitur ut ingrati divinorum
interpretes simus: querimur quod non semper, quod et pauca nobis et incerta et
abitura contingant. Inde est quod nec vivere nec mori volumus: vitae nos odium
tenet, timor mortis. Natat omne consilium nec implere nos ulla felicitas potest. Causa
autem est quod non pervenimus ad illud bonum immensum et insuperabile ubi
necesse est resistat voluntas nostra quia ultra summum non est locus. 12. Quaeris
quare virtus nullo egeat? Praesentibus gaudet, non concupiscit absentia; nihil non illi
magnum est quod satis. Ab hoc discede iudicio: non pietas constabit, non fides; multa
enim utramque praestare cupienti patienda sunt ex iis quae mala vocantur, multa
inpendenda ex iis quibus indulgemus tamquam bonis. 13. Perit fortitudo, quae
periculum facere debet sui; perit magnanimitas, quae non potest eminere nisi omnia
velut minuta contempsit quae pro maximis vulgus optat; perit gratia et relatio gratiae
si timemus laborem, si quicquam pretiosius fide novimus, si non optima spectamus.
Seneca
1 Il vero bene eÁ la virtuÁ
1
Note di commento
L
e Epistole a Lucilio sono la piuÁ importante delle opere filosofiche di Seneca, scritta
negli anni del ritiro dalla vita politica. Nella forma breve della lettera sono
affrontati i temi privilegiati della riflessione dell'autore. In questa epistola, la 74, eÁ
ribadita la centralitaÁ nella filosofia senecana della virtus, la sola in grado di assicurare la vera felicitaÁ e la libertaÁ dai capricci della sorte. Essa permette infatti al
sapiens di differenziarsi dal senso comune nel valutare cioÁ che eÁ davvero un bene e
cioÁ che non lo eÁ.
10. Quicumque... constituet: proposizione relativa introdotta dal relativo indefinito quicumque. ± putet: congiuntivo esortativo. ± unum esse bonum putet quod honestum est: eÁ il
tema dell'epistola, la virtuÁ (honestum) come unico bene. Soltanto esso infatti assicura all'uomo la possibilitaÁ di non essere in fortunae potestatem, come eÁ detto al
par. 1. ± si... existimat... iudicat:
periodo ipotetico del primo tipo (oggettivitaÁ). ± de providentia... accidunt:
come conciliare l'esistenza della provvidenza divina con la presenza del male, e in particolare con le disgrazie che
toccano anche agli uomini virtuosi, eÁ
oggetto di un dialogo specifico di Seneca, il De providentia. ± quia... accidunt
et quia... breve est et exiguum:
proposizioni causali. ± si compares:
protasi al congiuntivo (periodo ipotetico misto) . Il soggetto del congiuntivo eÁ
un ``tu'' generico di tipo retorico. Quest'uso trova ulteriore giustificazione
nella presenza di un lettore interno al
testo, quel Lucilio cui sono indirizzate
le lettere di Seneca.
MATURITAÁ 2011
11. ut ingrati... simus: proposizione sostantiva che constata un fatto. ±
querimur quod: queror eÁ costruito con
una proposizione sostantiva introdotta
da quod; il modo richiesto sarebbe l'indicativo, qui sostituito dal congiuntivo
obliquo contingat, che presenta il fatto
secondo il punto di vista del soggetto.
± abitura: participio futuro con valore
di predestinazione (``destinati a perire''). ± quod... volumus: proposizione dichiarativa introdotta da quod con il
modo all'indicativo. ± vitae... odium,
timor mortis: vitae e mortis sono genitivi oggettivi; si noti il chiasmo, che segue il polisindeto nec vivere, nec mori. ±
Natat omne consilium: l'espressione ha valore metaforico, ``ogni decisione nuota'' nell'incertezza. ± quod non
pervenimus: proposizione epesegetica, riferita a causa (``il motivo eÁ che''). ±
bonum immensum et insuperabile: appunto la virtuÁ. Si noti l'allitterazione. ± resistat: il congiuntivo (senza
ut) eÁ retto da necesse est; in alternativa
all''infinitiva.
12. virtus nullo egeat: l'autosufficienza come uno dei caratteri fondamentali della virtus eÁ uno dei temi privilegiati nella produzione di Seneca. ±
egeat: congiuntivo dell'interrogativa
indiretta introdotta da quare; egeo si costruisce con l'ablativo. ± Praesentibus... absentia: i due participi, in forte antitesi, si riferiscono ai beni. ± nihil
non: le due negazioni si elidono: ``ogni
cosa'' (letteralmente ``non c'eÁ niente che
non''). ± quod satis: proposizione relativa, il quod si riferisce a nihil. ± discede: si tratta di un imperativo che sostituisce la protasi di un periodo ipotetico
all'indicativo futuro, legata paratatticamente all'apodosi (``allontanati da questa principio: la pietaÁ verraÁ a mancare'',
cioeÁ ``se ti allontani... verraÁ a mancare''). Per il soggetto dell'imperativo vedi
nota a si compares. ± non pietas... non
fides: pietas ``indica lo stato dell'uomo
che ha compiuto i suoi doveri verso i
membri defunti e viventi, divini e umani della propria famiglia'' (A. Traina,
Poeti latini e neolatini, Bologna 1975, p.
112; cfr. anche dello stesso Traina la
voce pietas in Enciclopedia Virgiliana, IV,
1988, pp. 93-101). Fides, virtuÁ tipicamente romana, eÁ ``l'abbandono, al tempo stesso fiducioso e completo, di una
persona a un'altra'' (M. Meslin, L'uomo
romano, Milano 1981, p. 216). ± mul-
ta... bonis: altro tema ricorrente in
Seneca, il ribaltamento della prospettiva del vulgus nel giudicare cioÁ che eÁ davvero un bene e cioÁ che non lo eÁ; questo
punto eÁ ripreso piuÁ sotto, al par. 13 velut
minuta contempsit quae pro maximis vulgus
optat. ± utramque: oggetto di praestare,
a sua volta retto da cupienti, si riferisce
alle due virtuÁ della pietas e della fides. ±
cupienti: dativo d'agente della perifrastica passiva multa... patienda sunt. ± ex
iis quae: si riferisce a multa (``molti di
quelli che sono chiamati mali''). ± multa inpendenda: altra perifrastica passiva, con l'ellissi del verbo sum. ± ex iis
quibus: riferito a multa. Si noti il parallelismo con la frase precedente. ± tamquam bonis: tamquam introduce una
comparativa-suppositiva, in cui eÁ sottinteso il verbo essere: ``come se fossero
beni''.
13. Perit... perit... perit: si noti la triplice anafora, e il parallelismo perit...
quae nei primi due membri del periodo,
poi variato nel terzo membro in perit...
si. Il si a sua volta eÁ ripetuto in anafora
nelle tre protasi che costituiscono il terzo e ultimo membro del periodo. ± fortitudo: come le successive magnanimitas
e gratia, mantiene il proprio valore solo
se si assume la virtus come unico bene. ±
sui: genitivo oggettivo del pronome riflessivo, riferito al soggetto della frase
(``la forza d'animo, che deve dare prova
di seÂ''). ± velut minuta: indica la motivazione soggettiva (``come se fossero
piccolezze'', cioeÁ ``ritenendo piccolezze''). ± vulgus: in antitesi polemica
con l'elitaria saggezza del sapiens. ±
quicquam: il pronome indefinito quisquam mette in dubbio l'esistenza di
qualcosa: non esiste quindi qualcosa
piuÁ prezioso della fides.
(Traduzione e commento a cura di Gianluca CaneÁ e Fabio Nanni)
2
Sul tema del male che affligge gli uomini buoni nonostante la provvidenza (" 74, 10):
De providentia, 1, 1; 1, 4; 2, 1; 4, 8; 6, 1
.
Sul concetto di ``odio per la vita'' (" 74, 11):
Epistulae morales ad Lucilium, 24, 26; 65, 18
.
Sull'autosufficienza della virtuÁ (" 74, 12):
De providentia, 6, 5
.
Sull'atteggiamento del sapiens nei confronti delle sventure, da considerare come ``esercizio di virtuÁ'' (" 74, 13):
De providentia, 2, 3-4; 4, 1-4; 5, 4
Epistulae morales ad Lucilium
.
Seneca
Testi senecani a confronto
MaturitaÁ 2011
3
La vita e le opere  Seneca
approfondimento
La scuola del Portico dipinto
La Scuola stoica si formò ad Atene alla fine del IV
secolo a.C. Fondatore fu Zenone, nato a Cipro verso
il 332 a.C. e secondo la tradizione fermatosi ad Atene
a causa di un naufragio nel 312-311 a.C. La scuola
fu denominata Stoà dal portico dipinto (stoà poikíle)
in cui il filosofo teneva le sue lezioni.
La storia della Stoà è divisa in tre momenti: l’antica Stoà (III-II secolo a.C.) di Zenone e dei suoi
successori Cleante e Crisippo; la media Stoà (II-I secolo a.C.) di Panezio e Posidonio; la nuova Stoà, cioè
lo stoicismo romano (I e II secolo d.C.). Gli scritti
originali dei filosofi dell’antica e media stoà sono andati quasi del tutto perduti. Conosciamo il loro pensiero dalle citazioni nelle opere di autori posteriori,
soprattutto dello stoicismo romano.
La filosofia stoica è divisa in tre parti: la logica, la
fisica e l’etica. Connessioni profonde legano le tre
parti, come suggestivamente suggerisce l’immagine
che gli stoici davano della loro filosofia, paragonata
ad un frutteto, di cui la logica costituisce il muro di
cinta, la fisica gli alberi e l’etica i frutti. La logica e la
fisica, come nella dottrina epicurea, sono dunque finalizzate all’etica.
■■ La logica
Come per gli epicurei, per gli stoici l’atto conoscitivo
si basa sulle sensazioni, cioè sulle conoscenze fornite
dai sensi. Il soggetto prova le sensazioni perché gli
oggetti lasciano delle impronte sull’anima. Queste impronte o impressioni, fissate dalla memoria, prendono
il nome di rappresentazioni (phantasíai). Il soggetto
non può non accogliere le sensazioni, ma è libero di
dare loro o meno il suo assenso (synkatáthesis). L’assenso è dunque il criterio di verità, messo in atto dalla
ragione (lógos), che garantisce la corrispondenza tra gli
oggetti e le rappresentazioni, allora definite catalettiche (katálepsis). L’errore nasce da un assenso sbagliato.
Dalla rappresentazione catalettica si passa al concetto,
quando il lógos elabora i dati dell’esperienza.
■■ La fisica
L’universo è infinito e costituito dal vuoto e dal cosmo.
Il cosmo è un organismo vivente (ilozoismo) immenso
ma finito e comprende il cielo, la terra, gli uomini, gli
dei e le cose. La terra si trova al centro, circondata
dall’aria e poi dalla sfera del fuoco, delimitata dalla
sfera celeste delle stelle fisse, che ruota da oriente ad
occidente. I vari pianeti ruotano sotto la sfera delle
stelle fisse. Gli astri, che hanno natura di fuoco, sono
considerati viventi e divini. L’elemento primario è il
fuoco, che si distingue in terra, aria e acqua. La nascita del cosmo ha quindi origine dal fuoco. La materia
si differenzia grazie alle ragioni seminali, i semi generatori di tutte le cose. Se il mondo è formato dal fuoco,
nel ciclo cosmico si arriva ad un punto critico, in cui
il fuoco prende il sopravvento e distrugge il cosmo
stesso in una conflagrazione universale (ekpýrosis), a cui
però segue una rinascita o palingenesi: il nuovo cosmo
avrà le stesse forme, strutture ed individui di quello
precedente perché resta sempre uguale il lógos, la legge
che lo dirige. Il cosmo dunque, sebbene la sua forma
cambi nel tempo perché sottoposta a cicli di nascita e
distruzione, è eterno nella sostanza.
Per gli stoici tutto ciò che esiste è corpo, perché è
reale solo ciò che può produrre o subire un’azione.
Sono dunque corpi anche gli dei, l’anima, le qualità
morali. È corpo anche il principio attivo, il pneuma,
il soffio infuocato che riscalda e dà vita alla realtà. Il
pneuma può penetrare il cosmo, che pure è materia,
per il principio della commistione totale dei corpi: i
corpi sono divisibili all’infinito e le parti di un corpo
possono penetrare in quelle di un altro. Ogni parte
del cosmo è concatenata alle altre (simpatia cosmica).
Il principio attivo coincide con Dio, che forma e dispone le cose. Si tratta della prima formulazione esplicita di panteismo (identificazione del cosmo con Dio).
Ma se esiste un piano d’ordine necessario e finalizzato, una provvidenza divina (prónoia) che è destino
ineluttabile, anche l’uomo ne è coinvolto. La sua volontà non è dunque libera. Seneca, nell’Oedipus, farà
dire al coro: “è il fato che ci trascina, cedete al fato”.
La vera libertà, quella del saggio, è sapersi uniformare alla volontà del lógos.
■■ L’etica
Lo scopo della vita è la felicità, che si raggiunge vivendo secondo natura. Seneca affermerà l’equivalenza tra
vivere felicemente e vivere secondo natura (De vita
beata, 8,2). Per vivere felici va attuato il principio di
conservazione (oikéiosis), che porta l’uomo ad evitare
ciò che lo danneggia (il male) e ad appropriarsi di ciò
che gli giova (il bene). Come affermava Zenone, la
virtù è una disposizione coerente. La virtù va cercata
per se stessa perché è nella virtù che consiste la felicità.
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L’età giulio-claudia
Il bene e il male sono il bene e il male morali. Tutto
ciò che non porta né vantaggio né danno è indifferente (adiáphoron). Il male nasce dalle passioni, che sono
malattie dell’anima, che vanno sradicate. Il saggio
saprà annientare le passioni sul nascere e per questo
il suo animo non proverà turbamento. Crisippo affermava che l’anima del sapiente non è mai turbata.
Il sapiente è forte perché non può provare dolore,
essendo il dolore un turbamento dell’anima. La condizione di impassibilità del saggio è detta apatia (apátheia). La felicità consiste nell’apatia. Il saggio è felice
perché sa che le cose esterne non possono costituire
impedimenti al suo stato di beatitudine. Seneca individuerà proprio nel ricorso alla filosofia il mezzo attraverso il quale l’uomo può conquistare una libertà
interiore, grazie anche alla sua volontà. Nei comportamenti umani si distinguono le azioni morali perfette, le azioni medie e le azioni viziose. Solo i saggi e i
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filosofi sono capaci di azioni perfette. La maggior parte degli uomini è capace di azioni medie, di azioni cioè
convenienti perché possono assolvere i doveri. L’esercizio del dovere (kathékon) nel saggio dà luogo ad
un’azione morale perfetta mentre negli uomini ad
azioni convenienti (rispettare i genitori, onorare la
patria, etc.). Ancora Crisippo sosteneva che il saggio
fa bene ogni cosa perché sa servirsi convenientemente delle esperienze della vita.
I doveri sociali rendono l’uomo un animale comunitario: l’istinto di conservazione non si limita solo
all’individuo ma si allarga alla famiglia e alla collettività.
La saggezza e l’ignoranza sono i parametri per definire un uomo libero o schiavo. La schiavitù diventa un aspetto relativo all’interiorità. La schiavitù
come istituto è dunque superata, in nome dell’uguaglianza strutturale degli uomini.
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