Fisica Moderna
Stefano Mandelli
27 febbraio 2010
2
Appunti del corso di Fisica Moderna tenutosi a Fisica durante l’A.A. 2008/2009
dal Dott. Ludovico Lanz.
Indice
1 Crisi della Fisica Classica
1.1 Formalismo matematico della Rielatività Ristretta e Generale
1.2 Riferimenti Localmente Inerziali . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Geometria Affine di dimensione 3 . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Luogo degli eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 La meccanica relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Definizione di lunghezza e tempo proprio in V 4 . . . . . . . .
1.6.1 momento - quantità di moto - energia . . . . . . . . .
1.6.2 Le equazioni del Moto . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.3 ENERGIA: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.4 La struttura della Tetraforza . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Costruzione delle basi dell’elettromagnetismo . . . . . . . . .
1.8 Il tetrapotenziale eletteomagnetico . . . . . . . . . . . . . . .
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2 Calcolo Tensoriale
2.0.1 notazioni del tensore metrico inverso
2.0.2 Applicazioni multilineari . . . . . . .
2.0.3 Analizzando le sue derivate . . . . .
2.1 Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M. . .
2.2 Tensore di flusso di quantità di moto . . . .
2.3 Leggi di trasformazione . . . . . . . . . . .
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3 Le equzioni di Maxwell con sorgente
4 Meccanica quantistica
4.1 Effetto compton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Principio di indeterminazione di Haisemberg . . . . .
4.3 Equazione di Cmapo di Klein-Gordon . . . . . . . .
4.3.1 Il Campo di Klein-Gordon come un continuo:
4.4 Equazione di Schrodinger (caso non relativistico) . .
4.5 Rappresentazione del campo senza iterazioni . . . . .
4.6 Valori medi e dinamica del pacchetto d’onda . . . . .
4.7 Assiomatica della M.Q. . . . . . . . . . . . . . . . .
4.8 Leggi di commutazione . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.9 Relazione di indeterminazione di Heisemberg . . . .
4.10 Sstati a minima incertezza . . . . . . . . . . . . . . .
4.11 La particella libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.12 L’oscillatore armonico . . . . . . . . . . . . . . . . .
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4
INDICE
4.13
4.14
4.15
4.16
4.17
4.18
4.19
4.20
4.21
4.22
4.23
4.24
4.12.1 Péolinomi di Hermite . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.12.2 Rappresentazione delle autofunzioni . . . . . . . . . . .
4.12.3 Dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Buca di potenziale rettangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.13.1 Trasmissione e riflessione . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.13.2 Tempi remoti-Tempi futuri . . . . . . . . . . . . . . . .
4.13.3 Calcolo del coefficiente di trasmissione . . . . . . . . . .
4.13.4 Fenomeno delle risonanze . . . . . . . . . . . . . . . . .
Particella in campo centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.14.1 L’autospazio di Lz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.14.2 Polinomi di legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.14.3 Ricerca delle autofunzioni di H . . . . . . . . . . . . . .
Risoluzione Eq. Differenziali con singolarità fuchsiane . . . . .
4.15.1 Caso particolare Eq. Radiale per potenziale Coloumbiano
Effetto Zeeman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.16.1 Precessioni di larmor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Introduzione dello spin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.17.1 L’operatore di traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . .
Th di Von Neumann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
varie rappresentazioni matriciali . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Oscillatore armonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Composizione momenti angolari . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.21.1 Il proiettore Sz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.21.2 Misura a valore di proiettore . . . . . . . . . . . . . . .
Campo di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Composizione di momenti angolari . . . . . . . . . . . . . . . .
Sistemi di due particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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83
84
Introduzione
5
6
INDICE
Capitolo 1
Crisi della Fisica Classica
1.1
Formalismo matematico della Rielatività Ristretta e Generale
Nella fisica classica la definizione di punto materiale viene data in funzioni ad
una terna di assi cartesiani ortogonali orientati. La posizione di un punto è
definita univocamente se al punto associo 3 coordinate metriche. Il concetto di
cordinata nasce da quello di proiezione ortogonale della posizone del punto sui
3 assi orientati, in questo modo definiamo 3 cordinate spaziali che definiscono
univocamente la posizione del mio punto in questo caso in un A ⊆ R3 . Solitamente le cordinate sono fuinzioni del tempo perchè di solito il punto materiale si
muove nel mio spazio. Non si muove “a caso” ma lo fa seguendo rigorosamente
le equazioni di Newton:
..
.
→
− − →
−
m→
x = F (→
x,−
x)
(1.1)
→
−
questo se nello spazio c’è un singolo punto, se ci sono N punti allora la F sarà
una funzione così descritta:
.
.
→
−
→
− → −
→, · · · , −
−→
F = F (−
x1 , x
x→
1
N , xN )
(1.2)
Come visto dalla meccanica razionale, l’equazione di Newton ci fornisce anche
tutte le derivate successive del moto.1
1.2
Riferimenti Localmente Inerziali
Esempi tipici di sistemi soggetti a forze e per esempio questo:
→
−
→
−
−
Fi = m→
g + F (· · · )
(1.3)
questa descrizione è quella tipica di una particella immersa in un campo gravitazionale (quindi soggetta alla forza peso) e soggetta anche ad un’altra forza
(che può assumere forme variegate) che per esempio è provocata dall’iterazione
della particella con altre N particelle presenti nel sistema. Lavorare con un
1 Che
è utile se dobbiamo risolvere l’eq differeziale utilizzando gli sviluppi in serie
7
8
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
sistema di riferimento Localmente inerziale vuol dire che io posso trascurare
per esempio, l’effetto della forza perso e quindi avere la possibilità di studiare
con precisione le iterezioni tra le particelle. Detto questo non abbiamo ancora
definito un sistema localmente inerziale però abbiamo l’idea che questa condizione è molto utile e vantaggiosa per studiare determinati effetti fisici.
Def: definiamo riferimento localmente inerziale un riferimento in cui le forze
esterne al sistema sono trascurabili, quindi e un ambiente in cui è FACILE
produrre PUNTI IN QUIETE. Poi sui sistemi di riferimento localmente inerziali posso sviluppare tutto il formalismo matematico necessario per spiegare
le notazioni di misura e più in generale tutte le proprietà geometriche interne
del mio spazio. Quindi io definisco una geometria a posteriori dell’ipotesi che il
mio sistema sia localmente inerziale.2 Poi in un secondo tempo posso prendere
le mie propeirtà gemetriche locali e tentare di genralizzarle non più solo nel
locale e allora si otterranno teorie più generali com ben appunto la Relatività
Generale Einstaniana.
Da un punto di vista classico, il nostro sistema di riferimento di assi cartesiani
ortogonali rimane invariante per rotazione e traslazione, cioè anche se io cambio Origine e Basi del mio spazio vettoriale ho sempre (nelle fisica classica e
sull’ipotesi di sistemi localmente inerziali) invarianza delle leggi fisiche3 questo
non è più vero nella Meccanica Quantisica in cui se noi definiamo per esempio
il moto di una particella in una terna cartesiana destra, se effettuiamo un cambio di coordinate mettendoci per esempio (con una simmetria assiale) in una
terna cartesiana sinistra CADE LA SIMMETRIA PER PARITA’ !!!!!! Quindi
bisogna fare attenzione, usando un esempio spinto ma interessante potremmo
dire: la nostra particella in moto, vedendosi allo specchio non riconosce se stesso, non vede più la stessa particella, ma una antiparticella, e di questo ci si
occuperà più avanti dopo aver definito i postulati della Meccanica Quantistica.
1.3
Geometria Affine di dimensione 3
Sia A l’insieme a cui voglio dare questo formalismo matematico sia V 3 spazio
lineare su R di D=3;
Voglio trovare il legame tra A e V 3 :
Dati P1 eP2 ∈ A la coppia ordinata P1 P2 = v ∈ V 3 ;
Dato P1 e V , è univocamente definito P2
Se aggiungiamo un punto ho le seguenti coppie ordinate:
dati (P1 , P2 , P3 ) ∈ V 3 ho : P1 P2 , P2 P3 , P1 P3 ∈ V 3
(1.4)
Tra le coppie posso stabilire delle relazioni di: 1)P1 P2 + P2 P3 = P1 P3
2)Con (P1 P1 = 0) =⇒ (P1 P2 + P2 P1 = 0) =⇒ (P1 P2 = −P2 P1 )
3)Esiste l’elemento neutro v + 0 = v
4)Se prendo α ∈ R =⇒ (α1 + α2 )v = α1 v + α2 v
5)Se α = 0 =⇒ αv = 0
Quindi se valgono queste ipotesi allora ho uno spazio lineare 4 Il fatto che lo
spazio lineare sia di dimensione D = 3 vuol dire che esiste una base di vettori
linearmente indipendenti:
2 Tipico
esempio della relatività ristretta
Galileiane
4 controllare se sulla sua dispensa ne mette altre.
3 Trasformazioni
1.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3
9
Data la nostra base e1 , e2 , e3 ogni elemento di v può essere come combinazione
lineare delle basi:
v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3
(1.5)
dove (v 1 , v 2 , v 3 ) sono le coordinate di v nella base (e1 , e2 , e3 ) La notazione delal
coordinata all’esponente può inizialmente trarre in inganno, ma si vedrà che
quando si defineranno strumenti algebrici più complicati, questa notazione di
indici sarà molto conveninete.
In più possiamo dire che esiste il prodotto scalare hv1 |v2 i è:
-)Bilineare rispetto al termine di destra e sinistra;
-)Simmetrico hv1 |v2 i = hv2 |v1 i ;
-)Definito positivo: hv |vi ≥ 0 e ho che hv |vi = 0 ⇐⇒ v = 0
Se il nostro spazio è generato da 3 basi qualunque allora abbiamo che il prodotto scalare è definitoPin questo modo:
P3
3
dati due vettori: v1 = 1 v1h eh e un secondo vettore: v2 = 1 v2h eh con eh ∈ V
e V1h ∈ R allora ho che:
hv1 |v2 i =
3
X
v1h v2k heh |ek i
(1.6)
h,k=1
Dove heh |ek i = gh,k = (G)h,k è il tensore metrico di rango 2. Dato che il prodocco scalare è definito positivo, il tensore rappresenta una matricie simmetrica
quindi:
X
(gh,k = gk,h ) =⇒
v h gh,k v h ≥ 0 ed è zero ⇐⇒ v = 0
(1.7)
h,k
Una matrice simmetrica ha autovalori positivi, quindi det(G) 6= 0
Però io posso scegliere delle basi del mio spazio che sono in un qualche modo più
convenienti delle altre, per esempio se le basi in gioco sono vettori linermente
indipendenti ortonormali allora ho che la mia definizio dei prodotto scalare
si semplifica parecchio perchè il tensore metrico diventa la delta di kronecker
quindi ho che:


1 0 0
heh |ek i = gh,k = δh,k =⇒ G =  0 1 0  = Id
(1.8)
0 0 1
Definiamo ora per bene origine distanza dei punti del nostro spazio:
Sia O l’origine del nostro sistema di assi ortogonali, se prendo la coppia:
OP ∈ V 3 =⇒ OP =
3
X
xh eh
(1.9)
h=1
xh è la cordinata del punto P rispetto alla base scelta.
Se prendo due punti P1 P2 allora posso definire la distanza tra P1 e P2 la
seguente scrittura:
p
hP1 P2 |P1 P2 i ≥ 0
(1.10)
10
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Scrivendo in forma esplicita la cosa:
P1 P2 = P1 O + OP2 = OP2 − OP1 =
3
X
(xh2 − xh1 )eh
(1.11)
h
allora sostituendo nell’espressionae trovata precednetemente di prodotto scalare
ho che:
X
(xh2 − xh1 )gh,k (xh2 − xh1 )
(1.12)
h,k
Banalmente se la base è ortonormale abbiamo che: il tensore metrico corrisponde alla delta di kronecker, quindi diventa balmente la norma euclidea:
2
d(P1 , P2 )2 = ||P1 P2 || =
3
X
(xh2 − xh1 )2
(1.13)
h,k
Ora cambiando base e sistema di riferimento, tutto dovrebbe rimanere più o
meno invariato, tranne le cordinate dei nostri punti. Però dovrebbe essere
semplice trovare un formalismo matematico per passare dalla visione dei punti
nel primo spazio, alla visione dei punti nel secondo spazio.
Nel secondo spazio le basi del primo spazio le vedo come combinazioni lineari
delle nuove basi:
e0h =
3
X
γhl el
(1.14)
l=1
Questo è un tipico cambio di base dove le coordinate γhl rappresentano gli
elementi di una matrice (Γ) il cui determinate deve essere 6= 0 in quanto deve
essere una trasformazione invertibile. Tra breve vedremo anche che il gruppo
delle matrici invertibili rappresenta un Gruppo.
Le coordinate del vecchio riferimento, viste nel nuovo sistema saranno:
3
X
bl e l
(1.15)
l=1
Ora determino le cordinate punto P, nel nuovo sistema di riferimento:
O0 P = O0 O + OP = OP − OO0 = †
(1.16)
La forma di OO’ so come è fatta, ma OP ce l’ho nelle vecchie cordinate, quindi
devo espire tutto nelle nuove:
3
3
X
X
(Γ−1 )l,k e0h =
(Γ−1 )l,k (Γ)h,k ek = el
1
1
OP =
3
X
xl el =
1
3
X
xl (Γ−1 )l,h e0h
(1.17)
l,h=1
Riprendendo la parte sopra:
†=
3
X
h=1
−bh e0h
+
3
X
l,h=1
l
−1
x (Γ
)l,h e0h
=
"
X X
h
l
#
l
−1
x (Γ
h
)l,k − b
e0h
(1.18)
1.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3
Quindi ho trovato le mie nuove coordinate!!
X
X
x0h =
xl (Γ−1 )l,h − bh =
l
t
(Γ−1 )h,l xl − bh
11
(1.19)
l
Cambierà anche il tensore metrico:
0
gh,k
= he0h |e0k i =
X
γhl hel |ef i γkf
(1.20)
lf
In modo compatto ho che:
G0 = ΓG t Γ
(1.21)
Prendiamo la terna cartesiana ortogonale abbiamo che:
Id = ΓΓt
(1.22)
la soluzione di questa equzione è:
det(Id) = det(ΓΓt ) = det(Γ)2 =⇒ det(Γ) = ±1
(1.23)
Quindi le possibili trasformazioni hanno determinante o 1 o -1. Le trasformazioni con det = 1 sono dette rotqazioni e tutte le matrici di questo tipo formaun
un gruppo: SO3 Tutte le matrici con det=-1 che soddisfinino la contizione 1.22
sono dette Riflessioni.
Esempio:
Trovare la matrice R ∈ SO3 che soddisfa la seguente condizione: deve descrivere una rotazione in senso orario degli assi e1 ed e2 intorno all’asse e3 di un
angolo α:


cos α − sin α 0
(1.24)
R(α) =  sin α cos α 0 
0
0
1
Da cui èp semplice trovare la matrice associata alle cordinate per α piccoli
perchè le funzioni trigonometriche si semplificano parecchio


0 −1 0
Id + α  1 0 0 
(1.25)
0 0 0
Questa formalizzazione matematica infatti sottolinea le difficoltà che si hanno
a passare da una terna destra ad una terna sinistra. Questo discorso generico
peròcon contempla la possibilità che i punti si possano muovere nello spazio
quindi il formalismo ora introdotto va leggermente complicato in modo da far
rientrare nelle cordinate che descrivono il nostro punto, anche una cordinata temporale. Questo problema è necessario risolverlo sin da subito perchè
se abbiamo 2 sistemi localmente inerziali e da un sistema osserviamo i punti
dell’altro li vediamo muoversi, in particolare si muovono di moto rettilineo uniforme. Quindi è necessario descrivere sin da subito il nostro punto nel tempo.
Per avere un sistema omogeneo sulla cordinata temporale, devo avere orologi
distribuiti nello spazio che siano sincoronizzati tra loro. Ma la condizione di
sincronismo è come potremo vedere nella relatività Einstaniana è un concetto
del tutto astratto, questa condizione non si può mai raggiungere.
12
1.4
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Luogo degli eventi
Se consideriamo per semplicità di notazione:
xo = ct
(1.26)
allora abbiamo anche la quarta cordianta temporale. I nostri punti ora sono
definiti da un formalismo matematico che nelle cordinate di identificazione
tiene conto anche della cordinata temporale. Il luogo degli eventi quindi, lo
spazio-tempo assume dunque questa forma:
(x0 − x0 )2 −
3
X
(xh − xh ) = 0
(1.27)
h=1
con x0 > x0
(1.28)
Ora aggiungiamodelle specifiche temporali alla costruzione euclidea dello spazio. Quindi dobbiamo prendere la terna cartesiana + 1 oraologio. In tutti i
sistemi di riferimento localmente inerziali però c’è una cosa comune, che servì per ispirare una metrica comune. La velocità della luce c è uguale in ogni
sistema di riferimento localmente inerziale a cui noi facciam benappunto riferimento. Quindi ho una notazione di musura che mi viene suggerita dal campo
elettromagnetico, infatti se so che la propagazione di un’onda elettromagnetica
avviene per mezzo di una perturbazione oscillatoria ortogonale di un campo
elettrico e di un campo magnetico, allora posso prendere come riferimento questo numero di oscillazioni, e quindi definire delle lunghezze d’onda ecc... Ora
però bisogna costruire tutta la geometria affine per un campo a 4 dimensioni,definire le basi, definire la matrice associata al prodotto scalare, definire il
tensore metrico e tutte le nozioni di distanza.
Un particolare di cui bisonga tener conto ed è di fondamentale importanza è
che per il caso a 3 dimensioni il prodotto scalare che era definito era definito
positivo e non degenere. Questo mi rendeva invariante lo spazio perrotazione,
inversione, e traslazione. Questo non posso più accettarlo in una descrizione
dello spazio-tempo la cordianta temporale deve in un qualche modo staccarsi
dalle altre e risaltare maggiormente. Per fare quasto prendo il prodotto scalare
che avevo in R3 con tutte le proprietà a meno della sua positività. Il prodotto
scalare è non degenere, quindi tutti i suoi autovalori sono diversi da zero, e ragiono sulla segnatura del prodotto scalare. Ragionare sulla segnatura vuol dire
ragionare sui segni degli autovalori. Se la segnatura della mia matrice associata
è del tipo: (+, −, −, −) allora assegndo per esempio il simbolo + all’autovalore
che mi descrive il tempo e il segno meno agli autovalori della terna cartesiana,
in qusto modo ho una stuttura di spazio tempo in cui gli assi cartesiani risultano ancora omognei tra di loro e la cordianta temporale risulta ben distinta
dal tutto. quindi selgo gli assi in questo modo:
he0 |e0 i
=
1
heh |ek i
=
−δh,k
con h = k 6= 0
(1.29)
1.4. LUOGO DEGLI EVENTI
13
In altri posti abbiamo tutti zero e la matrice è diagonale.
Quindi la matrice associata al tensore metrico sarà:


1 0
0
0
 0 −1 0
0 

G0 = 
 0 0 −1 0 
0 0
0 −1
(1.30)
Definisco il tensore metrico come:
(G)µ,ν = heµ |eν i = gµ,ν
La matrice metrica quindi può essere acneh scritta come:
1 0
G0 =
0 −I
(1.31)
(1.32)
se effettuo un cambio di base:
e0µ =
3
X
γµν eν
(1.33)
0
Quindi se chiamo con Γ la matrice di cambio di base avrò che:
G0 = ΓGΓt
(1.34)
Ma se partiamo da una base lonrentziana allora vogliamo che la matriche G
soddisfi la seguente scrittura:
G0 = ΓG0 Γt
(1.35)
Le matrici che soddisfano questa proprietà formano il gruppo di Lorentz. il
mio punto P rispetto ad O avrò questa forma:
X
OP =
xµ eµ
(1.36)
µ
mentre se cambio cordinate e mi metto in O’ avrò che il mio punto P avrà
queste cordinate (effettuo un cambio di base). I conti sono identici a quelli
visti per caso a tre dimensioni, quindi possimao scrivere subito il risutato che
sarà:
O0 P =
3
X
x0µ eµ
(1.37)
aµν xν − bµ
(1.38)
µ=0
quindi:
x
0µ
=
3
X
ν=0
la distanza tra i due cnetri è sempre la solita:
X
OO0 =
bµ eµ
µ
(1.39)
14
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
e la mia matrice A di cambio di base sarà:
(A)µ,ν = aµν =⇒ A = (Γ−1 )t = (Γt )−1
(1.40)
è simmetrica, diagonale e ha un sacco di proprietà. la matrice G0 è simmetia cquindi abbiamo anche che: G0 = (G0 )−1 . Da questo risulta semplice
dimostrare che:
AG0 At = G0 =⇒ A−1 (G0 )−1 (At )−1 = G0 =⇒ moltiplico per A e At
G0 = AG0 At ma det G0 = 1 e det A = det At =⇒
(det A)2 = 1 =⇒ det A = ±1
quindi le matrici di cabio di base che sono ammesse per effettuare cabiamenti di coordinate lorentziani sono quelli con determiante ±1 in particolare noi
considereremo le matrici A strutturate in questo modo
A=
1
0
0
R
(1.41)
Dove A è una matrice 4×4 e R rappresenta il gruppo delle rotazioni. Le matrici
di questo tipo definiscono il gruppo proprio delle trasformazioni di Lorentz. In
particolare si considereranno le matrici con queste caratteristiche:
det A = 1
A0,0 ≥ 1
(1.42)
Da qui nascono le trasformate di lorentz infatti:
Dimostrazione:
Trascrivendo le trasformazioni di Lorentz speciali lungo l’asse x1 si ottiene
che:
 00
x = a00 x0 + a01 x1


 01
x = a10 x0 + a11 x1
0

x 2 = x2


0
x 3 = x3
(1.43)
a1
0
riscrvimo la seconda equazione: x 1 = a11 [x1 −w∼ x0 ] sistituendo con w∼ = − a10
1
da cui : a10 = −w∼ a11 sapendo che:
α)
(a00 )2 − (a01 )2 = 1
(1.44)
β)
(a10 )2 − (a11 )2 =
(a00 a10 ) − (a01 a11 )
−1
(1.45)
=0
(1.46)
γ)
±1
dalla α segue che a00 = √1−w
dato che consideriamo le trasfomate proprie di
∼2
lorentz quindi con A0,0 ≥ 1 escludiamo la soluzione col meno. Da considerazioni
1.4. LUOGO DEGLI EVENTI
15
simili si ottiene che:
1
1 − w∼2
−w∼
a01 = √
1 − w∼2
1
a11 = √
1 − w∼2
−w∼
a11 = √
1 − w∼2
a00 = √
(1.47)
(1.48)
(1.49)
(1.50)
Si nota subito che la matriche è simmetrica e sostituendo nel sistema precedente
di trasformazioni abbiamo le prime trasformazioni di Lorentz che descrivono i
passaggi di corrdiante “SPECIALI” cioè solo quelli lingo l’asse x1 :
x00 = √
1
[x0 − w∼ x1 ]
1 − w∼2
x01 = √
1
[−w∼ x0 + x1 ]
1 − w∼2
(1.51)
tenendo conto che x0 è la cordinata temporale descritta nel seguente modo:
x0 = ct si possono scrivere le trasformazioni di Lorentz in un modo decisamente
più fisico:
x0 = q
1
1−
[x − wt]
w2
c2
t0 = q
1
1−
[t − w
w2
c2
x
]
c2
(1.52)
poi gli altri assi non vengono toccati quindi abbiamo che:
y0 = y
z0 = z
(1.53)
Quindi se consideriamo due sistemi di riferimeno il primo in moto relativo
−
rispetto al secondo di M.R.U. con velotià →
v allora ottengo il risultato notevole
che l’orologio in moto rimane “indietro” rispetto a quello in queiete. Infatti
riprendo la parte della trasfozione di lorentz rigurdante la cordinata temporale
abbiamop proprio che i due tempi si trasformano nel seguente modo:
1
t0 = q
1−
[t − w
w2
c2
x
]
c2
(1.54)
quindi abbiamo un coefficiente di contrazione temporale che possiamo scrivere
come:
τ0
(1.55)
τw = q
2
1 − wc2
infatti la cordinata temporale xo subisce una trasformazione del tipo:
r
w2
x0 = 1 − 2 · x00
c
(1.56)
Efetti direttaemnte misurabili della verità delle trasformate di Lorentz è la
radiazione cosmica. Infatti noi sappiamo che la terra è continuamente “bombardata” da particelle cosmiche (che arrivano da molto lontano) quindi sono
16
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
particelle stabili come protoni ed elettroni, che a contatto con l’altmosfera si
eccitano e danno vita a nuovi tipi di particelle, i pioni (π − ) un pione ha una vita
media di decadimento molto breve e decade in un muone e in un antineutrino
(il netrino salta fuori dalla conservazione dello spin).
π − → µ− + νµ
(1.57)
i muoni a loro volta sono particelle con una vita media molto breve e tendono a
decadere in un protone + un elettrono + un antineutrino legato alla formazione
dell’elettrone.
µ− → p + e− + νe
(1.58)
Queste particelle cosmiche viagginao a velocità che sono frazioni di c addiritc
tura arrivano anche a 10
quindi sono velocità estrememente alte. Ovvimente
per un riferimento centrato sul pione (o sul muone), noi siamo un sistema di
riferimento localmente ineriziale e lui rispetto a noi è in moto di M.R.U. quindi
la sua percezione spaziale si contrae e la nosta percezione temporale (nel suo
riferimento) si DILATA ! Questo fa si che il muone arrivi sano e salvo a terra
prima di decadere nelle suoi prodotti di decadimento. Si può banalmente dimostrare che due sistemi in moto tra loro di M.R.U. non mantegnono inalterata
una trasformazione per traslazione: in praticolare le figure geomtriche non sono
una conservante.
x0 − w x1
x00 = q c
2
1 − wc2
x1 − w x0
x01 = q c
2
1 − wc2
(1.59)
−
In R avrò il mio x0 e il mio →
x fissato;
−
In R’ avro il mio x’0 e poi le compoenti di →
x avranno l’espressione tipica della
trasformata di Lorentz.
se esprimo le cordinate del mio punto in R’ in funzione dix0 ottengo che:
r
w
w2
0
So che: x = 1 − 2 x00 + x1 sostituisco in x01 :
c c
q
2
!
r
x1 − wc
1 − wc2 x00 + wc x1
w2
w
01
q
x =
=
1 − 2 x1 − x00
(1.60)
2
c
c
1 − wc2
Posso definire una metrica e ottengo un risultato molto interessante:
−
Siano A e B due punti con x0 e →
x ben definiti e fissati in R. In R’ si avrà che
il punto e descritto dalle coordinate uscenti dalle trasformazioni Lorentz.
21
w2
0
1
1 2
2
2 2
3
3 2
d (A, B) =
1 − 2 (xA − xB ) + (xA − xB ) + (xA − xB )
(1.61)
c
2
Ma il coefficiente 1 − wc2 è sempre minore di 1 !!!!! Quindi abbiamo una
disugualinza importantissima:
d0 (A, B) < d(A, B)
(1.62)
Le distanze, NON SI CONSERVANO, le figure geometriche euclidee non sono più invarianti nelle trasformazioni di Lorentz passando da un sistema di
riferimento localmente inerziale all’altro.
1.5. LA MECCANICA RELATIVISTICA
1.5
17
La meccanica relativistica
Definito il formalismo matematico e definiti i concetti di misura e prodotto
scalare, possimao ora pensare a ricostruire la meccanica newtoniana in questo
spazio, quindi definire le tetravelocit e le tetraaccelerazioni.
Consideriamo sempre il nostro punto materiale in R e conmsideriamo l’incrementino nelle sue cordinate:
d
dx0 = cdt
(1.63)
dxh = xh dt
dt
−
allora definiamo il nostro vettore →
v come:
d−
→
−
x (t)
(1.64)
v (t) = →
dt
quindi la distanza tra due “eventi“ intesi come elementi dello spazio tempo,
sarà:
X
−
ds2 = c2 dt2 −
(dxh )2 = dt2 (c2 − →
v (t)2 )
(1.65)
h
Questo è valido se il sitema di riferimento è stato preso con basi lorentziane,
altirmenti con basi generiche, compare in più solo il termine del tensore metrico
(che in questo caso, non sarà più δi,k )
X
ds2 =
gµν dxµ dxν
(1.66)
µ,ν
per trovare il ds ora basta integrare. Nel caso di basi lorentiane l’espressione è
particolarmente semplice:
q
−
v 2 (t)
ds = dt c2 − →
Z t q
−
v 2 (t)
(1.67)
s(t) =
dt0 c2 − →
0
Per un qualsiasi tipo di riferimento avrò che:
Z tX
s(t) =
gµν dxµ dxν (ma non manca qualche radice ?????)
0
(1.68)
µ,ν
Un’altra definizione importante che si introduce nella meccanica relativistica
è il concetto di tempo proprio (o tempo invariante). Lo definiamo in questo
modo:
Z tr
→
−
s(t)
v 2 (t)
τ (t) =
=
1−
(1.69)
c
c2
0
Da questa relazione notiamo infatti che τ (t) < t e bhe banalmente abbiamo
che: τ (0) = 0 Ora posso quindi definire una VELOCITA’ A 4 componenti e
UNA ACCELERAZIONE A 4 componenti!!! perchè rimetto tutto in funzione
al tempo proprio.
d µ
x (τ ) = uµ (τ )
dτ
d2 µ
x (τ ) = aµ (τ )
dτ 2
(1.70)
(1.71)
18
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Per punto in muovimento ho che:
X dxµ
dOPτ
=
eµ
(τ )
dτ
dt
µ
La le cordiante trasformate nel mio sistema riferimento saranno:
X
x0µ =
aµν xν − bµ → Tetravettori
X
x0µ (τ ) =
aµν xν (τ ) − bµ
X
dx0µ (τ ) X µ dxν
=
aν
(τ ) =
aµν uν
u0µ (τ ) =
dτ
dt
(1.72)
(1.73)
1
1.6
Definizione di lunghezza e tempo proprio in
V4
La nozione di lunghezza che ci viene suggerita dal prodotto scalare definito dal
formalismo matematico in V 4 è la seguente:
Z tp
p
ds = dt c2 − v 2 (t) da cui: S(t) =
c2 − v 2 (t) dt
(1.74)
0
Posso anche definire un tempo proprio a cui riportare tutti i miei tetravettori:
Z tr
S(t)
v 2 (t)
τ=
=
1 − 2 dt
(1.75)
c
c
0
In questo modo definisco la tetravelocità:
dxµ
= uµ (τ )
dτ
(1.76)
d2 xµ
= aµ (τ )
dτ 2
(1.77)
e la tetraaccelerazione:
Osserviamo ad una trasformazione del sistema di assi come variano le componenti della tetravelocità. In primis bisogna notare che il sistema di coordinate
al variaire del riferimento in funzione del tempo questo si trasforma con l’usuale matrice di trasformazione con la sola differenza che le componenti sono in
funzione del tempo proprio.
· x0µ (τ ) = aµν xν (τ ) − bµ
(1.78)
· La tetravelocità varierà con la stessa legge:
· u0µ (τ ) = aµν uν
Esplicitando le componenti della tetravelocità:
µ dx (τ )
dxµ (τ ) dt
dxµ (τ ) 1
µ
u (τ ) =
=
=
=†
dτ
dt dτ
dt dτ
τ =τ (t)
dt
(1.79)
(1.80)
1.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4
19
ma sappiamo bene per come è definito il tempo proprio che:
t
Z
dt0
τ (t) =
0
p
p
dτ
1 − v 2 /c2 =⇒
= 1 − v 2 /c2
dt
(1.81)
Quindi sostituendo:
†=
dxµ (τ )
1
q
2
dt
1 − v c(t)
2
(1.82)
esplicitando le componenti:
0 
dx (τ )
0

u
=
 (τ =τ (t))
dτ


uh (t) =
=
τ =τ (t)
h
q c
2
1− vc2
qv
2
1− vc2
(1.83)
La condizione che esce dal prodotto scalare è la seguente e vedremo che nelle
successive trattazioni tornerà molto utile:
hu |ui = (u0 )2 −
3
X
(uh )2 = c2
(1.84)
h=1
e come visto prima se le trasformazioni che si fanno sono di tipo lorentziano, le
componenti della tetravelocità e della tetraposizione si trasformano seguendo
la tipica legge di un cambio di base.
1.6.1
momento - quantità di moto - energia
Lo studio in dettaglio delle compomenti del tetravettore quantità di moto
è molto importante perchè dalla definizione della tetraquantità di moto ricavo
tutte le espressioni legate all’energia di una particella di massa m 6= 0 ma anche
poi vedremo che definiremo anche una quantità di energia e una quantità di
moto per particelle di m=0, il che sembra del tutto insensato, ma prende senso
nel formalismo postulatorio della meccanica relativistica, e successivamente
nella meccanca quantistica di Schrodinger, Heisemberg e Dirac. Notiamo subito
che definendo il tetramomento in questo modo:
pµ = m uµ
(1.85)
per le proprietà di bilinearità del prodotto scalare, una condiuzione notevole
che risulta subito è la seguente:
hp |pi = m2 c2
(1.86)
Questo ci permette di capire eventuali legami tra le varie componneti del
tetramomento:
2
−
(p0 )2 − |→
p | = m2 c2
(1.87)
20
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Quindi la componente temporale del tetramomento è legata al modulo delle
sue componenti spaziali come:5
q
mc
2
−
0
p | + m2 c2 = q
(1.88)
p = |→
2
1 − vc2
1.6.2
Le equazioni del Moto
Avendo il tetramomento è ora semplice calcolarci le componenti della tetraforza
e quindi scrivere un’equazione di newton relativistica:
duµτ
= f µ (x, u)
(1.89)
dτ
anche la tetraforza si trasforma con la solita matrice di trasformazione di
lorentz:
m
f 0 = µ = aµν f ν (x, u)
(1.90)
Sfruttando la linearità dell’operazione di derivazione e la bilinearità del prodotto scalare otteniamo un risultato interessante:
Dato che: huτ |uτ i = c2 allora questo implica che:
d
d
huτ |uτ i = 0 =
uτ |uτ i = hfτ |uτ i = 0
dt
dt
(1.91)
Quindi ottengo il risultato notevole che le componenti della tetraforza e della tetravelocità sono mutualmente ortogonali. Se le componeneti sono mutualmente
ortogonali allora possiamo dire che la tetraforza è ortogonale alla tetravelocità
e in generale diciamo che hfτ |uτ i = 0
Esplicitando il conto ottengo la relazione tra le compomenti della tetraforza:
0 0
hf |uτ i = f u −
3
X
f h uhτ = 0
(1.92)
h=1
sapendo che :
u0 = p
c
1 − v 2 /c2
e poi uh = p
vh
1 − v 2 /c2
(1.93)
questo implica che:
0
f =
X
f h vh
q
2
c 1 − vc2
r
1−
→
− →
f ·−
v
v2
0
=⇒
f
=
2
c
c
(1.94)
La legge di trasformazione della tetraforza è sempre la solita legata al cambio
base:
f 0 µ = aµν f ν (x, u)
(1.95)
0
La f dipende dalla velocità quindi ache tutte le altre compoennti dipenderanno
−
dalla velocità →
v
5 In
0
verità nella trattazione
q˛ ˛ manca una parte quella legata al fatto che p dal punto di vista
2
−
→
algebrico non è solo ˛ p ˛ + m2 c2 ma ci può essere anche un segno negativo e avere una
q˛ ˛
2
→
forma del tipo: p0 = − ˛−
p ˛ + m2 c2 questo risultato viene usato in meccanica quantistica
per spiegare e trattare tutta la teoria sulle antiparticelle, cioè particelle di massa negativa.
1.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4
1.6.3
21
ENERGIA:
Il tetramomento da qunto detto fin’ora è quindi definito come:

mc
0

 p = q1− v2
c2
h

 p =
h
qmv
2
1− vc2
(1.96)
−
Se ho →
p del mio punto materiale riesco a risalire alla velocità? Si perchè:
X
hu |ui = c2 =⇒ hp |pi = m2 c2 =⇒ (p0 )2 = m2 c2 +
(ph )2
(1.97)
L’energia è qundi definita come:
r
o
E = cp = mc
2
1+
−
|→
p|
m2 c2
(1.98)
Per il caso Non relativistico posso pensare che√|v| c cioè |p| mc quindi
l’argomento della radice posso pensarlo come un 1 + E quindi sviluppabile in
serie di Taylor:
"
!#
2
4
4
1 |p|
1 |p|
|p|
2
E = mc 1 +
−
+o
(1.99)
2 m2 c2
8 m4 c4
m4 c4
Cioè che mi interessano sono le variazioni di energia quindi il termine con mc2
si toglie e rimane la solita espressione dell’energia cinetica che ben conosciamo:
∆E =
1 − 2
1 |p|
=⇒ m |→
v|
2m
2
(1.100)
Ma se noi siamo interessati alla dinamica per esempio del campo elettromagnetico, allora siamo costretti a pensare di dover lavorare con oggetti la cui
massa ha valore nullo. Se condiseriamo m = 0 possiamo facilmente vedere che
non possiamo più metterci in una condizione non relativistica perchè l’unica
velocità accessibile per oggetti di questo tipo è solo c.
m = 0 =⇒ hp |pi = 0
(1.101)
allora il tetramomento vrà diverse distinzioni in funzione a hu |ui :
• Se hu |ui > 0 abbiamo un tetramomento di tipo TEMPO;
• Se hu |ui = 0 abbiamo un tetramomento di tipo LUCE;
• Se hu |ui = 0 abbiamo un tetramomento di tipo SPAZIO;
−
e abbiamo sempre che se p
x0 = 0 =⇒hx |xi = − |→
x | < 0.
→
−
o
2
2
2
Se m = 0 p = | p | E = c px + py + pz
→
−
p
quindi l’unica velocità accessibile
−
p|
|→
per una particelal di massa nulla è c Se ho un vettore di tipo tempo tale che
hu |ui > 0 riesco a trovare una trasformazione di lorentz tale che mi annulli
tutte le componenti spaziali? Si è possibile
Da cui ottengo insesorabilmente: v = c
hu |ui > 0 tale che u0k = 0 hu |ui = (u0 )2
(1.102)
22
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Altro torema importante per i vettori di tipo spazio è il seguente:
TEOREMA:
∃ semplre una trasformazione di Lorentz (A)µν tale che un tetravettore di tipo
spazio si possa scrivere come :
→
− 2
hu |ui < 0 ottengo che u00 = 0 hu |ui = − p0 (1.103)
per un teetravettore di tipo Luce con m>0 posso effetturare le usuali trasformazioni di Lorentz per esempio per mettermi nelle condizioni in cui:
→
−
→
−
E
(A)µν : p0 = 0 v 0 = 0 p00 =
c
(1.104)
la trasformazione è semplice. Ma se m=0,on riesco più a trovare una condizione
del genere. la mia particella, non è in quiete rispetto a nessun sistema di
riferimento ma ha sempre velocità c.
1.6.4
La struttura della Tetraforza
Analizzando la struttura della tetraforza possiamo notare che:
dpµ
= fµ
dτ
hf |ui = 0 ⇐⇒ hu |ui = c2
(1.105)
Quello che ci proponiamo di fare è di analizzare il legame tra tra tetraforza e
la velocità, supponiamo che ci sia un legame lineare, poi si potrà notare che
questo tipo di legame è l’unico che mantiene il formalismo Lagrangiano.
Siano u, f ∈ V 4 studiamo la famiglia degli isomorfismi :V 4 → V 4 . Assegnata
una base {eµ } di V 4 le applicazioni lineari saranno:
F (eν ) = Fνµ eµ
(1.106)
F (u) = uν F (eν ) = uν Fνµ eµ =⇒ F (u)µ = uν Fνµ
(1.107)
se prendo un u ∈ V 4 :
Se effettuo un cambio di base ottengo che:
e0ν = γνµ eµ
u0µ = γνµ uν
(1.108)
F 0µν = γνλ aµσ Fλσ =⇒ f µ = uν Fνµ
(1.109)
PASSO POCO CHIARO:
1.7
Costruzione delle basi dell’elettromagnetismo
Per definire la tetraforza in questo ambito è necessario introdurre il concetto
di carica, secondo la forza di lorentz:
f µ (x) = e [uν Fν µ(x)]
(1.110)
1.7. COSTRUZIONE DELLE BASI DELL’ELETTROMAGNETISMO
23
per far tornare tutte le grandezze ed unità di misura definisco la tetraforza
elettormangnetica come la scrittura precedente divisa per c. Alcune considerazioni importanti sui legami che si sono tra le varie componenti, possiamo farle
analizzando la scrittura:
hf |ui = 0
(1.111)
hf |ui = f µ gµλ uλ = uν Fνµ gµλ uλ = 0
(1.112)
da cui si ottiene:
Ottengo una scrittura degna di nota, che mi identifica il campo elettromagnetico nella sua forma tensoriale:
Fµλ = Fνµ gµλ
(1.113)
Sostuitendo nello sciluppo del prodotto scalare ottengo:
uν Fνλ uλ = 0 =⇒ Fνλ = −Fλν
(1.114)
Dimostro che se vale uν Fνλ uλ = 0 allora vale Fνλ = −Fλν :
1
1 ν
u Fνλ uλ + uλ Fλν uν = uν uλ (Fνλ + Fλν ) = 0
2
2
(1.115)
Ora mostraimo la legge di trasformazione del tensore di campo, che è una tipica
trasformazione di base di un tensore di rango due.
0
Fνλ
= γνµ γλσ Fµσ
(1.116)
Dato il tensore di campo vado a vedere come è fatta la tetraforza:
r
−
→
−
v2
d→
p
1 − 2 f h (x) = F h (x) =⇒
= F (x)
c
dt
(1.117)
La tetraforza si trasforma con la solita legge di trasformazione:
f 0µ = uµ Fνµ
(1.118)
In riferimenti lorentziani questo diventa:
0
0
o0
0
0
Fνµ (x)gµλ
= Fνλ
(x) =⇒ Fνλ (x) g λλ = Fνλ (x)
0
Fνλ (x) =
o
Fνλ
(1.119)
(1.120)
o
g λλ
Con g λλ = 1 se λ = 0 e −1 altimenti. Nel caso
tensore di campo è fatta nel segunete modo:

0 −Ex −Ey
 Ex
0
Bz
Fνµ = 
 Ey −Bz
0
Ez −By −Bx
elettromagnetico la matrice del

−Ez
By 

Bx 
0
(1.121)
24
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Data la matrice di campo ora posso scrivere tutte le grandezze elettromagnetiche:
r
v2
1 − 2 f h (x) = F h (x)
(1.122)
c
dove:
fµ =
eX ν µ
e X ν Fνµ
u Fν (x) =
u
c
c
gµν
L’espressione della forza di Lorentz diventa quindi:
r
− −
→
−
e
c
v2 →
x , t)
F = q
· 1 − 2 E (→
c 1 − v2
c
(1.123)
(1.124)
c2
→
−
→
−
→
−
1→
−
F =e E + v ×B
c
1.8
(1.125)
Il tetrapotenziale eletteomagnetico
Ora suppngo che al mio campo tensoriale Fνµ sia associato un potenziale vettore
→
−
A tale che:
Fνµ (x) =
∂Aµ (x) ∂Aν (x)
−
∂xν
xµ
(1.126)
Si può dimostrare che la scruttura appena scritta soddisfa l’equazione differenziale:
∂Fµν
∂Fνλ
∂Fλµ
+
+
=0
∂xλ
∂xµ
∂xν
(1.127)
E’ facile verificarlo, infatti basta sostituire l’espressione 1.126 nella 1.127 e
ottengo:
∂ 2 Aµ
∂ 2 Aν
∂ 2 Aλ
∂ 2 Aµ
∂ 2 Aν
∂ 2 Aλ
−
+
−
+
−
= 0 (1.128)
∂xν ∂xλ
∂xµ ∂xλ
∂xµ ∂xν
∂xλ ∂xν
∂xλ ∂xµ
∂xν ∂xµ
ed è facile vedere che tutto si elide in qanto vale il torema di swartz per le
derivate incrociate.
Sapendo che il tensore che descrive il mio campo elettromagnetico è fatto come
1.121 allora è facile trovare le leggi di Maxwell basta sostituire le espressioni di
prima:
∂F1,2
∂F2,3
∂F3,1
+
+
=0
∂x3
∂x1
∂x2
(1.129)
→
−
div B = 0
(1.130)
cioè:
→
−
ciclando con µ = 0 , ν = 1 e ρ = 2 ottengo le componenti del rotore di E :
∂Ey
∂Ex
1 ∂Bz
−
=−
∂x
∂y
c ∂t
(1.131)
1.8. IL TETRAPOTENZIALE ELETTEOMAGNETICO
25
ciclando per tutte le componenti ottengo:
→
−
1 ∂Bz
rot( E )z = −
c ∂t
(1.132)
allora
→
−
→
−
1 ∂A
E = −∇V −
c ∂t
→
−
→
−
B = rot( A )
(1.133)
(1.134)
26
CAPITOLO 1. CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Capitolo 2
Calcolo Tensoriale
Sia V 4 Lo spazio tempo caratterizzato con la seguente segnatura: V 4 (+ − −−).
Di notevole importanza sono le applicazioni lineari da V → R che possono
rappresentare grandezze fisiche continui in intorni di V 4 . A questo punto è
interessante andare a studiare anche il duale di V, che solitamente viene indicato
come V ∗ cioè l’insieme di tutti i funzionali lineari su V .
Dato F ∈ V ∗ e data una base {eh } in V, f è univocamete identificato:
fh = f (eh ) per h = 1, 2, · · · , n
(2.1)
Per un u ∈ V avremo che:
f (u) = fh uh
(2.2)
E’ subito intuitivo stabilire una base di V ∗ che sarà costituita dai funzionali
∼
lineari { e h } tali che:
∼
eh
(ek ) = δh,k
(2.3)
Gli elemnti di u ∈ V vengono detti Vettori Controvarianti mentre gli elemnti
f ∈ V ∗ sono detti Vettori Covarianti, uh e fh sono le componenti di questi
vettori una volta fissata la base (eh ). Cambiando la base con una trasformata
di lorentz otteniamo che le componenti cambiano seguendo la tipica legge di
cambio di base:
e0k = γkh eh
(2.4)
sapendo che fk0 = f (e0k ) ho che :
f (e0k ) = γkh fh
(2.5)
poi le u si trasformeranno con la solita legge:
u0k = akh uh
(2.6)
con Γ = (AT )−1 I vettori della base del duale si trasformano in modo analogo
con la matrice di trasformazione:
∼0
ek=
∼
γkν e ν
27
(2.7)
28
CAPITOLO 2. CALCOLO TENSORIALE
Le applicazioni si trasformano nell’usuale modo:
f (e0h ) = fµ0 = γµν fν
(2.8)
Le basi del duale si possono dare nel seguente modo una volta fissate quelle su
V4
∼µ
∼µ
e ∈ V ∗ =⇒ e (eν ) = δµ,ν = δνµ
∼µ
f = fµ e ⇐⇒ f (eν ) = fν
(2.9)
(2.10)
Per vedere bene il legame di V col suo duale possiamo analizzare la scrittura:
hu |vi uh gh,k v k
(2.11)
f(v) (u) = hv |ui = v σ gσλ uλ = f(v)λ = v σ gσλ = f (eλ )
(2.12)
quindi note le componenti dell’elemento v, posso costruire il funzionale lineare.
2.0.1
notazioni del tensore metrico inverso
(G)µν = gµν
(2.13)
(G−1 )µν = g µν
(2.14)
Questa è la tipica notazione:
v σ = g σλvλ
(2.15)
L’indice sotto identifica un funzionale lineare quindi una componente covariante, mentre l’indice in alto identifica una componente controvariante quindi un
vettore di V 4 . Ora analizzando il prodotto scalare si può notare che:
hv |ui = v σ gσλ uλ = f(v) (u))Vλ uλ
(2.16)
ma possimao vedere anche con le componernti covarianti:
Vλu = V σ gσλ = V σ uσ
(2.17)
uσ = gσλuλ =⇒ hv |ui = Vσ g σλ uλ
(2.18)
Dove la matrice g µν è definita come:
o
o −1
1 0
µν
g =
=G=G
0 1
2.0.2
(2.19)
Applicazioni multilineari
Se sono nel caso di avere una funzione di più variabili u1 , u2 , · · · , uN allora
entra in gioco il concetto di applicazione MULTILINEARE che verrà chiamata
TENSORE. Fissata la base in V (spazio dei miei vettori controvarianti) allora
definisco il mio funzionale multilineare come:
f (u1 , · · · , un ) = Th1 ,··· ,hn uh1 1 · · · uhnn
(2.20)
29
Le componenti del tensore f sono date dalla seguente matrice:
Th1 ,··· ,hn = f (e1 , · · · , en )
(2.21)
se effettuo un cambio di base:
1
n
Tµ0 1 ···µn = γµν1 · · · γµνn fν1 ,··· ,νn
(2.22)
questa è la tipica legge di trasformazione dei tensori covarianti di rango
quattro .
φ
Ora supponiamo sia data l’applicazione V −→ R V è il mio spazio tempo allora
preso un x ∈ V ho che x 7→ φ(x). Fissata la base in V {eµ } allora posso fare
uan serie di considerazioni:
x = xµ eµ =⇒ φ(x0 , x1 , x2 , x3 ) =⇒ φ : R4 → R
(2.23)
Se cambio la base e passo ad un riferimento comunque lorentziano ottengo che:
x = x0µ e0µ =⇒ φ0 (x00 , x01 , x02 , x03 ) = φ0 (x0 , x1 , x2 , x3 )
(2.24)
la base si trasforma e diventa e0µ = γνµ eν quindi le coordinate si trasformano
di conseguenza: x0µ = aµν xν per funzioni a più variabili non è così banale il
cambio di base, è molto complicato. Però fissata la base in V 4 questo videnta
isomorfo a R4 quindi potrei scrivere:
(A−1 )λσ x0σ = (A−1 )λν (A−1 )νµ xµ = xλ
(2.25)
Da cui:
φ0 (x00 , x01 , x02 , x03 )
=
=
φ0 (A−1 )0ν x0ν , (A−1 )1ν x0ν , (A−1 )2ν x0ν , (A−1 )3ν x0ν =
= φ(x0 , x1 , x2 , x3 )
2.0.3
(2.26)
Analizzando le sue derivate
Vediamo ora come risultano scritte le derivate parziali:
−
−
−
−
∂φ(→
x ) ∂xν
∂φ(→
x ) −1
∂φ(→
x)
∂φ0 (x0 )
∂φ0 (→
x)
−1
=
=
(A
)
=
(A
)
=
νλ
λν
∂x0λ
∂xν ∂x0λ
∂xν
∂xν
∂x0λ
Se il campo ammette potenziale scalare le derivate parziali identificano le
componenti covarianti di un campo vettoriale:
Tµ0 (x0 ) =
∂φ0
∂φ −1
∂φ
=
(A )νµ = γµν ν = γµν Tν = Tµ0 (x0 )
∂x0µ
∂xν
∂x
(2.27)
questo risultato è concorde col fatto che:
dφ = Tν (x)dxν
(2.28)
PEZZO OSCURO:
é indipendente dalla base scelta e le dxν sono le componenti controvarianti di
un vettore (?). Più in generale le derivate di un campo tensoriale rispetto a xµ
30
CAPITOLO 2. CALCOLO TENSORIALE
da luogo ad un nuovo tensore corredato da un ulteriore indice µ di covarianza
(?...ma non era controvariante)
per uan questione di notazione dico:
φ(x)/ν =
∂φ(x)
∂xν
(2.29)
allora se scrivo:
φ0 (x0 )/λ = γλν φ(x)/λ
(2.30)
Se prendiamo un esempio di campo tensoriale molto simile a quello usato per
descrivere il campo elettromangetico:
Tν1 ,ν2 ,··· ,νk (x)
1
(2.31)
Il tensore si trasforma segunedo la tipica legge di trasformazione:
Tν0 1 ,··· ,νn (x) = γνµ11 · · · γνµkk Tµ1 ,··· ,µk (x)
(2.32)
Rifacendo gli stesso passaggi fatti per il campo scalare:
Tν0 1 ,··· ,νk /λ (x0 ) =
∂Tν0 1 ,··· ,νk (x0 )
= γνµ11 · · · γνµkk Tµ1 ,··· ,µk /σ (x)
∂x0λ
(2.33)
I cambi di coordinate sono dei diffeomorfismi quindi nel caso generale tensoriale
la descrizione è molto complicata. Qiuello appena visto vale solo per basi
lineari. Allora posso scrivere la relazione tra V e V ∗ che risulta:
Fµν g µσ g λν = F σλ
2.1
(2.34)
Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M.
Il tensore di levi civita è un simbolo matematico usato nel calcolo tensoriale con
lo scopo di alleggerire la notazione. La sua definizione completa è la seguente:

 1 Per permutazioni pari di 1 2 3 4 5 ...
−1 Per permutazioni dispari di 1 2 3 4 5 ...
ijlmno.. =
(2.35)

0 Se due o più indici sono uguali
noi analizzeremo solo per il caso a tre indici. In questo caso particolare, quello più usato nella meccanica del continuo, possiamo vedere delle interessanti
proprietà:
ijl Ahi Akj Aml = det(A)hkm
(2.36)
da cui si ricava che :
det(A) =
pqr ijl Api Aqj Arl
6
(2.37)
Relazioni di Kronaker per un indice condensato:
ijl lkm = ijl kml = (δik δjm − δim δjk )
1 che
(2.38)
è molto simile al tensore di rango due Fµν (x) usato nel campo elettromagnetico
2.2. TENSORE DI FLUSSO DI QUANTITÀ DI MOTO
31
Relazione di Kronaker per due indici condensati:
ijl kjl = (δik δjj − δij δjk ) = 3δik − δjk = 3δik − δik = 2δik
(2.39)
Relazione di Kronaker per tre indici condensati:
ijl ijl = (δii δjj − δij δji ) = 9 − 3 = 6 = 3!
(2.40)
Teorema: Sia A matrice generica e sia φ un parametro infinitesimale, allora:
det(1 + φA) = 1 + φT rA
(2.41)
Proof.
det(1 + φA)
2.2
1
[ijl hkm (δih + φAih )(δjk + φAjk )(δlm + φAlm )] =
6
1
ijl hkm [δih δjk δlm + φ(δih δjk Alm + δih Ajk δlm + Aih δjk δlm )] =
=
6
1
ijl [ijl + φ(ijm Alm + ikl Ajk + hjl Aih ) =
=
6
δlm
δjk
δih
=
1+φ
Alm +
Ajk +
Aih
= 1 + φT rA
(2.42)
3
3
3
=
Tensore di flusso di quantità di moto
Supponendo di aver dimostrato la relazione per le derivate sostanziali ottengo
che :
Df
∂
−
(ρf ) + div(ρf →
v)=ρ
∂t
Dt
(2.43)
∂
(ρvi ) + ∂j (ρvi vj ) = −∂i p + pgi
∂t
(2.44)
p
∂
(ρvi ) + ∂j (ρ[vi vj + δij ]) = pgi
∂t
ρ
(2.45)
definisco la grandezza :
p
Πij = vi vj + δij
ρ
2.3
(2.46)
Leggi di trasformazione
Un vettore polare, in un sistema di riferimento ortogonale si trasforma con la
seguente legge:
Xi0 = Rih Xh
(2.47)
Allor stesso modo si può notare che un tensore di rango 2 passando dal sistema
di rifentimo R a R’ (in cui i sistemi sono strettamente ortogonali) le componenti
di matrice si trasfomano con l’usuale legge:
Tij0 = Rih Rjk Thk
(2.48)
32
CAPITOLO 2. CALCOLO TENSORIALE
mentre un tensore di rango 3:
0
Tijl
= Rih Rjk Rlm Thkm
(2.49)
e così per qualunque tensore di rango superiore che si trasforma da un sistema
ortogonale ad un altro. Queste leggi di trasformazione sono essenziali perchè
dato un oggetto che ancora non è ben identificato, osservando la sua legge di
trasformazione possiamo classificarlo come tensore. Quindi da ora in poi definiremo tensore un qualunque oggetto geometrico che si trasforma con la legge
sopra esposta.
Possiamo introdurre ora il concetto di prodotto tensore. Definire in modo generico il concetto di prodotto tensore è molto complicatoe qui di seguito, per
completezza, se ne darà solo un accenno. Partiremo con la trattazione del
problema banale della trasformazione del tensore T ij inteso come T ij = ui v j
applicando la legge di trasformazione dei tensori di rango due se effettivamente
(come poi si noterà) il tutto si trasforma con quella legge allora è possibile intuire l’esistenza di un’operzione tensoriale che chiamiamo prodotto tensore
e che ha la propeità tale che:
Sia T tensore a m indici e Γ un tensore a n indici, allora: T ⊗ Γ è un tnesore
a n+m indici
DEFINIZIONE:
CASO GENERALE: Siano V e W due spazi vettoriali generici. Definisco
quindi prodotto tensoriale tra lo spazio V e lo spazio W la coppia (V ×W, ⊗)
dove ⊗ è un’applicazione bilineare tale che, data una qualsiasi separazione del
tipo: · : V × W → L deve esistere un unico isomorfirmo ϕ : (V ⊗ W ) → L cioè
V, W : dim(V ) = n dim(W ) = m
=⇒ Se (V × W, ⊗) : ∀ V × W ∃! φ : v · w = φ(V ⊗ W ) Allora:
(V × W, ⊗) è prodotto tensore e la dimensione dello spazio è n+m
Si può mettere in evidenza che il fatto che lo spazio definito da (V × W, ⊗) ha
effettivamente dimensione n+m ed in più si può mettere in luce meglio il ruolo
che ha l’unicità dell’isomorfismo ϕ, ma dato che è solo un accenno ..... tale
rimane.
CASO BREVE-SEMPLICE Mi limito a lavorare in spazi generati da basi
ortonogonali quindi ho che le leggi di trasformazione sono date dalla usuale
geometria:
x0i = Rij xj
(2.50)
dove R è una matrice di rotazione ortogonale e quindi d’ora in poi i conti
saranno semplificati tenendo conto che:
R−1 = Rt =⇒ RRt = 1
(2.51)
ma det R = det Rt e per il th. di Binet det(RRt ) = det R det Rt = det 1 cioè
(det R)2 = 1 =⇒det R = ±1 Conosco la legge di trasformazione dei tensori di
rango due:
Tij0 = Rih Rjk Thk
(2.52)
2.3. LEGGI DI TRASFORMAZIONE
33
Ora definisco il mio tensore di rango due nel seguente modo:
Siano ui ∈ U e vj ∈ V
: Tij = ui vj
(2.53)
come si trasforma questo oggetto ? Da un punto di vista morale mi aspetto che
un genrico tensore dato da: Tij00 = u0i vj0 sia effettivamente Tij0 quindi svolgento
i conti:
T 00 = u0i vj0 = Rih uh Rjk vk = Rih Rjk uh vk = Rih Rjk Thk = Tij0
(2.54)
quindi u · v si trasforma nel modo usulae dei tensori ed in particolare raggiongo
la stesa definizione del tensore di partenza. Allora posso dire che:
Tij ∈ (U ⊗ V )
(2.55)
Questa definizione è bruttissima. E’ molto meglio quella del caso generale.
Regola del Quoziente
Sia vi ∈ V vettore e sia uj ∈ U vettore allora se vale:
vi = Tij uj ∀uj ∈ U =⇒ Tij è tensore di rango due
Proof: Parto sempre dalla legge di trasformazione:
vi = Tij0 u0j
(2.56)
tale che:
vi0 = Rih vh
u0j = Rjk uk
(2.57)
allora:
−1
vi = Rhi vi0 = Tij Rkj u0k moltiplico per Ril
(2.58)
−1
−1
Ril
Rni vi0 = Ril
Tij Rkj u0k
(2.59)
−1
Tenendo conto del fatto che: Ril
Rni = Rli Rni = Rli Rni = δln
0 0
δnl vl0 = Rli Rkj Tij u0k =⇒ vl0 = Tlk
uk
(2.60)
0 0
ma la relazione a cui siamo raggiunti : vl0 = Tlk
uk deve valere per ipotesi per
0
ogni u ∈ U allora l’espressione Tlk dovrà essere sempre possibile scriverla come:
0
Tlk
= Ril Rjk Tij
(2.61)
ma questa è la legge di trasformazione di un tensore di rango due. Allora Tij
sotto le ipotesi inziali è sempre un tensore di rango due. q.e.d
La regola del quoziente è di fondamentale importanza nell’analisi tensoriale. Infatti possiamo subito esplicitare una banale applicazione. Sfruttando
semplicemente il teorema appena esposto è intuitivissimo dimostrare che il
tensore degli sforzi è effettivamente un tensore e ha rango due:
34
CAPITOLO 2. CALCOLO TENSORIALE
Si può dimostrare il carattere isotropo della pressione, cioè definendo lo sforzo
agente (quindi definendo la normale n) o lo sforzo subito (allora definendo
n = -n) si era arrivati a definire la seguente grandezza:
−
−
fi (→
x , n) = fi (→
x)
(2.62)
quindi indipendente dalla direzione della normale. La grandezza fi che è una
forza di volume fu definita nel seguente modo:
fi (x, n) = σij vj
(2.63)
dove sia definito il mio volume V e vj ∈ ∂V vettore genrico! Allora mi riconduco
alle ipotesi del teorema del quoziente appena dimostrato. Ho fi che un vettore,
e vi ∈ ∂V un vettore generico, allora per il teorema σij esiste ed è un tensore
di rango due. Lo definisco come Tensore degli sforzi
Tensori Simmetrici ed Antisimmetrici
Come sempre partiamo dal presupposto che noi lavoriamo sempre in sistemi ortogonali, quindi aventi tutte le proprietà prima definite. Cercare delle relazioni
tensoriali, vuol dire cercare delle leggi di trasformazioni la cui forma rimanga inalterata da un sistema di riferimento all’altro! Questo, in precedenza, ci
ha permesso addirittura di definire un tensore (in funzione alla sua legge di
trasformazione) e successivamente di calssificarne il rango. La regola del quoziente, che in precedenza è stata enunciata per tensori di rango due, è possibile
generalizzarla a qualsiasi rango, quindi ecco perchè è importante avere delle relazioni invarianti nei vari sistemi di riferimento. Un modo diverso ed elegante
di affrontare questo problema sarebbe quello di effettuare le classificazioni in
modo astratto lavorando in modo generale come si è accennato nel primo caso
di definizione del prodotto tensoriale.
Qui di seguito definiamo un tensore simmetrico usando le leggi invarianti di
trasformazione:
S è tensore di rango due simmetrico se:
0
Sij
= Rih Rjk Shk
(2.64)
h e k sono indici muti e posso rinominarli a piacere. Effettuo questa rinominazione: h = k e k = h
0
Sij
= Rik Rjh Skh
(2.65)
ora uso la simmetria di del tensore Shk per ritornare alla solita legge di trasformazione
0
0
Sij
= Rik Rjh Skh = Rik Rjh Shk = Sji
(2.66)
q.e.d.
S è tensore di rango due anti-simmetrico se:
Aij = −Aji
(2.67)
2.3. LEGGI DI TRASFORMAZIONE
35
Questa proprietà la si mette in evidenza come la precedente:
A0ij = Rih Rjk Ahk = Rik Rjh Akh = −Rik Rjh Ahk = −Aji
(2.68)
q.e.d.
Avere a disposizione le definizioni di tensore simmetrico e antisimmetrico permette ora di raggiungere dei risultati di importanza rilevante. Per esempio di
seguito è presentata la decomposizione di un tensore di rango due nelle sue
componenti simmetriche e antisimmetriche.
Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile scrivere:
T=S+A
(2.69)
dove S è un tensore del second’ordine simmetrico mentre A è anch’esso un
tensore del second’ordine però antisimmetrico. Questa decomposizione è unica.
Proof:
Possiamo notare che una decomposizione che funziona è la seguente:
Tij =
1
1
[Tij + Tji ] + [Tij − Tji ]
2
2
(2.70)
Dove la prima parte è simmetrica mentre la seconda parte rappresenta la parte
antisimmetrica. Manca la dimostrazione che questa decompiosizione è unica.
q.e.d.
Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile decomportlo in parte simmetrica , antisimmetrica più una parte isotropa rappresentata da un
tensore a traccia nulla:
1
1
2
1
Tij =
(2.71)
Tij + Tji − Tll δij + [Tij − Tji ] + Tll δij
2
3
2
3
Un tensore si dice isotropo se mantiene la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento.
Proof:
I tensori istropi sono quelli multimpli della delta di Kroneker quindi sia a scalare
allora:
a(δij ) = aRih δhk Rjk = aRik Rik = a(δij )
q.e.d.
(2.72)
36
CAPITOLO 2. CALCOLO TENSORIALE
Capitolo 3
Le equzioni di Maxwell con
sorgente
per avere una descrizione compledta della dinamica del campo elettromagnetico
variabile è necessario far rientrare nelle equazioni delle onde, le sorgenti come
cariche e densità di correnti. Il tutto può essere formalizzato dicendo:
Z
−
d2 xρ(→
x , t) = qω (t)
(3.1)
ω
Questa scrittura è assolutamente continua secondo la misurara di lebesgue,
allora posso formalizzare il tutto:
Z
Z
dqω (t)
→
− →
→
− −
→
−
−
=−
n dσ j ( x , t) = − d3 x div( j (→
x , t))
(3.2)
dt
σω
ω
risolvendo si ottiene:
∂cρ(x, t) ∂j h (x, t)
+
=0
∂t
∂xh
(3.3)
Che è la legge di continuità della quantità di carica. Le componenti della
tetradensitàdicorrente sono:
j 0 (x) = cρ(x)
j µ (x) =
(3.4)
h
j (x) per h:=1,2,3
∂j µ (x)
= Tµν (x)
∂xν
∂ρ(x, t)
= −div(j)
∂t
(3.5)
integrando:
Z
qω (t) =
ω
ρ(x, t)d3 x =⇒
dω(t)
=−
dt
Z
dσ
D→
− →
j |−
ni
(3.6)
σ(ω)R
Se R → +∞ =⇒La sorgente descresce con un grado di r12 ma j è va a zero
ancora più velocemente di r12 allora questo mi dice che se il campo è asintotico
37
38
CAPITOLO 3. LE EQUZIONI DI MAXWELL CON SORGENTE
j → 0 abbastanza regolarmente da far tendere a zero anche tutto l’integrale,
ottenendo:
dQ
=0
dt
(3.7)
Che è la legge di conservazionedella carica.
→
−
−
x | → +∞ penso a j e ρ come due
Ora posso considerare j → o |r12 | per |→
tetravettori allora posso scrivere le componenti di j
j 0 (x) = cρ(x)
µ
(3.8)
j (x) =
h
j (x) per h:=1,2,3
e quindi per la conservazione di carica:
∂j µ (x)
=0
∂xµ
(3.9)
In un altro sistema di riferimento avrò ancora la stessa legge che però sarà
scritta in funzione alla trasformazione di lorentz come:
∂j 0µ
= 0 =⇒ j 0µ = aµν j ν (x)
∂x0µ
(3.10)
quindi quella appena scritta è una legge di variazione della densità di carica in
funzionealal trasformazione di lorentz. in particolare le densità si trasformano
con la legge tipica:
j 00 = a0ν j ν (x)
(3.11)
quindi deduco che j 00 6= 0 quindi in un conduttore in moto c’è un fenomeno di
magnetizzazzione.
Capitolo 4
Meccanica quantistica
Pacchetto d’onda piccato in K0
N1,2 (k) =
1
2
|α1,2 (k)| ei(k·x−c|k|t)
8πc |k|
p = h̄k
(4.1)
(4.2)
Posso riscrivere in termini relativistici l’energia:
E = cp0 = ch̄k 0 = ch̄ |k| =
h
2πν = hν
2π
(4.3)
Energia del pacchetto d’onda:
E = h̄ν
4.1
(4.4)
Effetto compton
Per spiegare l’effetto compoton, immagino che la radiazione in questione sia
costituita da pacchetti d’onda, quindi da delle strutture identificabili con delle
particelle. Queste particelle colpiscono la materia e urtano in modo elastico.
Quindi il sistema possiamo pensare di trattarlo banalmente con la conservazione
della quantità di moto. Da semp0lici conti vedremo come si può arrivare alla
lunghezza d’onda Campton: Supponiamo che ci sia una certa particella che
identificheremo con 00 γ 00 che arriva ed interagisce in modo elastico. La legge
che governa tutto il fenomeno, come detto precendentemente è la seguente:
Piγ = Pfγ + Pfe
(4.5)
Scrivo l’equazione di bilancio:
p
pγ c + me c2 = p’γ c + me c2 + |pe |
(4.6)
si eleva tutto al quadrato:
pγ − p’γ me c = (1 − cos ϑ)(pγ p’γ )
(4.7)
Ricordando che p = h̄K =
hν
c
=
h
λ
(λf − λi ) =
h
(1 − cos ϑ)
me c
39
(4.8)
40
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
4.2
Principio di indeterminazione di Haisemberg
Per avere una condizione di pacchetto d’onda devo avere che:
Volume ∼
1
∆3
(4.9)
Allora:
1
h̄3
=
=⇒ ∆x · ∆p ≥ h̄3
∆3
∆px ∆py ∆pz
∆x∆y∆z ≥
(4.10)
Oppure posso notare che: p = hν
c quindi se ci sarà un’incertezza sulle posizioni
sarà nell’ordine della lunghezza d’onda quindi ho che ∆x ≥ λ = νc Raccordando
i vari pezzi ottendo il risultato di Heisemberg
∆x · ∆p ≥
4.3
c hν
=h
ν c
(4.11)
Equazione di Cmapo di Klein-Gordon
Usando una notazione Hilbertiana, introduco subito la soluzione con l’integrale
di Fourier:
Z
0 0
0 0
i
i
1
d3 pe h̄ (p·x−p x ) c+ + e− h̄ (p·x−p x ) c−
(4.12)
φ(x) =
3
(2πh̄) 2
q
2
dove p0 = E=
¸ m2 c2 + |p| Faccio la prima derivata rispetto al tempo:
1 ∂2φ
1
=
3
c ∂t2
(2πh̄) 2
Z
3
d p−
p0
h̄
2
+
exp(·)C +
p0
h̄
2
exp(·)C −
(4.13)
Ora il laplaciano:
∇2 (φ) =
(2πh̄)
Z
1
3
2
−
|p|
h̄
2
exp(·)C + +
|p|
h̄
2
exp(·)C −
rimmetto insieme i due risultati raggiunti:
Z
1 ∂2
1
2
2
− ∇ φ(x, t) = −
((p0 )2 − |p| ) exp(...)
2
c ∂t
h̄2
(4.14)
(4.15)
2
ma (p0 )2 − |p| = m2 c2
1 ∂2
m2 c2
2
−
∇
φ(x,
t)
=
−
φ
c ∂t2
h̄2
(4.16)
In forma tensoriale:
m2 c2
gµν ∂µ ∂ν +
φ=0
h̄2
(4.17)
4.3. EQUAZIONE DI CMAPO DI KLEIN-GORDON
4.3.1
41
Il Campo di Klein-Gordon come un continuo:
Ora si studierà l’interazione del campo elettromagnetico con il campo di KleinGordon. Dalla teoria Classica abbiamo che nel caso elettromagnetico i poteziali
(scalari e vettoriali) erano definiti (fissati E e B) in una classi di trasformazi
di Gauge:
1 ∂Λ
c ∂t
A’ = A + gradΛ
V0 =V −
(4.18)
(4.19)
Per prima cosa si può notare che la simmetria globale del cmapo è di tipo U (1)
cioè rappresentata da un gruppo circolare unitiario e si ha quindi dipendeza
solo dalla fase:
φ0 = φeiγ
(4.20)
Per questo motivo, diventa sensato definire una derivata covariante nelle seguente forma:
∂
+ ieAν
(4.21)
∂xν
E quindi di conseguenza ho la diretta definizone dell’operatore impulso:
e
pµ → pµ − Aµ
(4.22)
c
dal punto di vista della M.Q. prendo le grandezze SOLO covarianti:
Dν =
∂
∂
e
→ −ih̄ µ − Aµ
(4.23)
∂xµ
∂x
c
sostituisco dentro l’equazione di campo di Klein-Gordon e ottengo l’equazione
di campo con interazione elettromagnetica:
∂
∂
·)
g µν ih̄ µ ih̄ ν − m2 c2 φ(x) = 0 K-G senza campo e.l.m.
∂x
∂x
∂
e
∂
e
·) g µν ih̄ µ − Aµ
ih̄ ν − Aν φ(x) − m2 c2 φ(x) = 0
∂x
c
∂x
c
−ih̄
moltiplico per il fattore di fase eγ(x)
e 0µ
∂
e 0ν
∂
µν
ih̄ ν − A
φ0 (x) − m2 c2 φ0 (x) = 0
g
ih̄ µ − A
∂x
c
∂x
c
Ora ricavo l’espressione di A’ secondo la trasformata di Gauge Radiante:
e
∂γ(x)
e
iγ(x)
ih̄ − Aµ (x) − h̄
φ(x)e
=
ih̄
−
A
(x)
φ(x)eiγ(x) (4.24)
µ
c
∂xµ
c
Itero la formula in modo da avere l’espressione per il campo di Klein Gordon:
e
∂γ(x)
∂
e
∂γ(x)
∂
−) g µν ih̄ µ − Aµ (x) − h̄
ih̄
−
A
(x)
−
h̄
φ(x)eiγ(x) =
ν
∂x
c
∂xµ
∂xν
c
∂xν
∂
e
∂
e
= g µν ih̄ µ − Aµ (x)
ih̄ µ − Aν (x) φ(x)eiγ(x) =
∂x
c
∂x
c
= m2 c2 φ0
(4.25)
42
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
da cui:
−) φ0 = φeiγ(x)
e
e
h̄c ∂γ(x)
−) − Aµ = −
Aµ −
c
c
e ∂xµ
(4.26)
Quindi per simmetria ho ottenuto il mio Gauge invariante:
Λ(x) =
h̄c
γ(x)
e
(4.27)
in più possiamo notare che l’equazione di Klein-Gordon implica la presenza di
un campo tetravettoriale invariante, che chiameremo tetracorrente.
∗
∂φ
∗ ∂φ
φ
−
φ
(4.28)
j µ (x) = ig µν
∂xν
∂xν
da cui:
∂j µ
(x)
∂xµ
=
=⇒
∂φ∗
∂φ
∗
φ
−
φ
=0
∂xµ ∂xν
∂xµ ∂xν
→
−
In forma vettoriale: div J = 0
ig µν
(4.29)
(4.30)
Quindi dall’equazione di Klein-Gordon deduciamo un campo tetravettoriale a
divergenza nulla.
4.4
Equazione di Schrodinger (caso non relativistico)
Uso la forma relativistica del qudripotenziale per scrivere l’espressione di p0 :
r
p
E2
0
p =
− |p| = m2 c2 − |p|
(4.31)
2
c
Sono nel
√ caso NON relativistico quindi posso considerare di trovarmi nella
forma m2 c2 − ε quindi sviluppo con Taylor:
p
p2
2
2
2
m c − |p| ∼ mc 1 +
(4.32)
2m2 c2
usando sempre l’integrale di fouerier:
Z
i
i
φ(x, t) =
d3 p exp − hx |pi exp − p0 x0 =
h̄
h̄
Z
i
p2
i
i
=
d3 p exp − hx |pi exp
1+
t + mc2 t =
h̄
h̄
2m
h̄
Z
2
2
2
i
i
i p
i
= e− h̄ mc
d3 pe− h̄ hp|xi + h̄ 2m t = e− h̄ mc t φusuale = φ∼ (4.33)
allora:
i
φ = φ∼ e− h̄ mc
2
t
(4.34)
4.4. EQUAZIONE DI SCHRODINGER (CASO NON RELATIVISTICO) 43
Ora per rammentare riscrivo l’equazione di Klein Gordon:
e
e
∂
∂
g µν ih̄ µ − Aµ
ih̄ ν − Aν φ(x) − m2 c2 φ(x) = 0
∂x
c
∂x
c
1
(4.35)
2
Sistituiamo la φ = φ∼ e− h̄ mc t , in questo modo ci troviamo a cosniderare
l’espressione:
e µ
e ν
∂
∂
µν
g
ih̄ µ − A
ih̄ ν − A φ(x) − m2 c2 φ(x) = 0
(4.36)
∂x
c
∂x
c
Considero la componente zero e la applico alla φ:
e
1
e
ih̄∂0 φ∼ exp(..) + mc2 φ∼ exp(..) − A0 φ exp(..) =
ih̄∂0 − A0 (x) φ(x) =
c
c
c
e ∼
i
=
ih̄∂0 + mc − A0 φ exp(− mc2 t)
(4.37)
c
h̄
Applicando una seconda volta l’operatore di derivazione (in questo modo mi
riconduco alla scrittura di K-G) ottengo:(per semplificare un attimo la scrittura
cosnidero solo come varia l’operatore, successivamente, una volta determinata
la forma gli applicherò la φ)
2 e 2
e e
ih̄∂0 − A0 (x) = ih̄∂0 − A0 + 2mc ih̄∂0 − A0 + m2 c2
c
c
c
raccolgo e mi metto in questa situazione notevole:
i
e h
e ih̄∂0 − A0
ih̄∂0 − A0 + 2mc + m2 c2 = 0
(4.38)
c
c
infatti:
∂
∂
e
e
e
2
µν
2 2
µν
ih̄ ν − Aν (x)
ih̄ µ − Aµ (x) = ∇2
m c = g (∂µ ∂ν − Aµ ) = g
c
∂x
c
∂x
c
riscrivendo ora la 4.35:
h̄2 2
∂φ(x, t)
=−
∇ φ(x, t) + eV φ(x, t)
(4.39)
∂t
2m
Nota: Ora abbiamo ricavato l’equazione di campo per una particella carica,
di carica e. E’ possibile verificare in modo semplice che se si sotituisce e → −e
si otteiene un stesso campo identico a quello ottenuto per e solo che al posto
di e compare la sua carica opposta. Questo fatto ci fa pensare ma per quanto
fatto fin’ora non siamo ancora in grado di spiegare in modo fisico il valore di
questa osservazione. Per questo fatto quindi è utile concentrarsi sulla corrente
tetravettoriale che si ricava dal campo di Shrodinger.
Ricordando l’espressione della tetracorrente di un campo continuo:
ih̄
jµ =
1
ih̄g µν (∂ν φ∗ φ − ∂ν φφ∗ )
2
(4.40)
i
2
siamo nel limite non relativistico quindi la mia φ = φ∼ e− h̄ mc t sostituisco e
faccio le derivate:
2
2
2
2
i
i
i
i
ih̄
i
i
j0 =
e h̄ mc t ∂0 φ∼∗ + mc φ∼∗ e h̄ mc t φ − e− h̄ mc t ∂0 φ∼ − mcφ∼ e− h̄ mc t φ∗ =
2
h̄
h̄
ih̄ ∼
i
i
2
2
2
=
φ ∂0 φ∼ + mc |φ| − φ∼ ∂0 φ∼ + mc |φ| = costm |φ| = ρ
(4.41)
2
h̄
h̄
44
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
pongo cost = 1 e ottengo la legge di conservazione della massa scritta nella
usuale forma:
∂ρ
→
−
= −div j m
(4.42)
∂t
2
Il risultato ottenuto : ρ = m |φ| è notevole perchè ci fa pensare che il campo
di Schrodinger, ha una legge di conservazione della massa, che possiamo interpetare fisicamente che nulla si annichila. Quindi ora ritornaimo alla nota
precendente dove abbiamo notato che per il caso relativistico la sistituzione di
e → −e portava a risultati ugualmente coerenti. Questo fatto è sperigabile con
il fatto della presenza di antiparticelle, cioè particelle identiche a quelle considerata ma con carica opposta.Questo fatto violerebbe la legge di continuità della
massa trovata ora, quindi ora per semplicità tutti i problemi che affronteremo
saranno fatti considerando l’equazione di Schrodinger NON RELATIVISTICA
e quindi negando sin dal principio degli effetti dovuti ad antimateria. Questa
approssimazione è ottima e del tutto ragionevole cosniderando i casi non relativistici. Per una trattazione più completa del problema bisognerebbe introdurre
dei concetti più complicati che riguardno anche le approssimazioni relativistiche e quindi la necessità di introdurre l’equazione di Dirac che verrà fatta più
avanti. Ma a noi interessa soprattutto identificare una grandezza che ci dia
informazioni sulla densità di particelle per unità di volume. Qui di seguito
verranno presentati alcuni fatti fisici di particoalre interesse che ci porteranno
in modo induttivo a estrearre delle considerazioni sulla densità della quantità
di moto e sulla densità del momento angolare.
Quantità di moto e momento angolare
Si parte sempre dall’equazione di Schrodinger complessa coniugata:
−ih̄
h̄2 2 ∗
∂φ∗
=−
∇ φ + U φ∗
∂t
2m
(4.43)
considerando sempre la densità di corrente (quindi andando a moltiplicare per
φ) svolgendo i conti (che sono stati omessi in quanto estremamente tediosi)
arriviamo alla legge di bilancio:
∂ρm
−
→
= −divjm
∂t
(4.44)
−
→
dove jm è la corrente di massa ed è definita come:
−
→ ih̄
jm =
[(gradφ∗ )φ − φ∗ gradφ]
(4.45)
2
Ora densità di massa e corrente di massa mi identificano anche un campo di
−
velocità →
v (x, t) che è definito dalla relazione:
−
→
−
jm = ρm →
v (x, t)
(4.46)
→
−
ma ora noto con particolare interesse che: ρ v (x, t) è la densità di QUANm
TITA’ DI MOTO ! Quindi vado subito alla ricerca di una legge di bilancio
derivando per il tempo !
∂Pm
∂T lf
∂U
2
= − f + |φ(x, t)| − l
(4.47)
∂t l
∂x
∂x
4.4. EQUAZIONE DI SCHRODINGER (CASO NON RELATIVISTICO) 45
Dove T lf è il tensori degli sforzi del mio mezzo continuo, ed è definito in modo
abbastanza intuitivo come:
T lf =
h̄2
2
∂f φ∗ ∂l φ − φ∗ (∂lf
φ) + ∂l φ∗ ∂f φ − (∂f2l φ∗ )φ
4m
(4.48)
è un tensore simmetrico di rango due quindi1 T lf = T f l mentre di notevole
interesse è il secondo membro dell’espressione di bilancio infatti:
2
l
∂t Pm
= [.... − |φ| ∂l U ]
(4.49)
2
se m |φ| da risultati ottenuti precednetemente si era arrivati ad interporetarlo
2
come la densità di massa ρm , |φ| è la densità di particelle per unità di volume
e per unità di massa ! Proprio quello che volevamo ottenere noi al principio.
2
Ancora di maggior interesse è tutto il termine :|φ| ∂l U che quindi identifica la
densità di forza esterna agente sul mio mezzo continuo! Quindi dalla legge
di bilancio della quantità di moto abbiamo ricavato altri due fatti fisici molto
importanti sulla densità di particelle e sulla densità di forza esterna agente sul
mezzo continuo (da interpretarsi come forza esterna che agisce sul campo a
causa di interazioni elettromagnetiche). Però dato che abbiamo una legge diu
bilancio per la quantità di moto è praticamente immediato scriverne una per il
momento angolare orbitale, infatti scrivendo in componenti:
Mi = (x × P )i = ijl xj Pl
sostituisco nella 4.44 e ottengo che :
lf
∂Mi
∂U
∂T
2
i
= −ijl x
+
|φ(x, t)|
∂t
∂xf
∂xl
(4.50)
(4.51)
porto tutto sotto il sengo di derivata e usando banalmente la regola di derivazione catena (o di Leibnitz) posso scrivere che:
∂
∂U (x, t)
∂Mi
2
= − f ijl xi T lf − if l T lf + ijl xj −
|φ(x, t)|
(4.52)
∂t
∂x
∂xl
il secondo termine se ne va a causa della simmetria di T lf (infatti scambio gli
indici, parte la somma e diventa tutto nullo per simmetria) mentre di notevole
interesse è l’ultimo termine che rappresenta la densità di momento angalare del
mezzo continuo:
∂U
ρMi = ijl xi − l
(4.53)
∂x
In modo del tutto analogo è definita la deinsità di energia:
e(x, t) =
h̄2
∇φ∗ (x, t) · ∇φ(x, t) + U (x, t)φ∗ (x, t)φ(x, t)
2m
(4.54)
e quindi facendo i conti ho la legge di bilancio:
→
−
∂e(x, t)
∂U ∗
= −div je (x, t) +
φ φ
∂t
∂t
1 ricordarsi
di scrivere la decomposizione con tensore isotropo....
(4.55)
46
4.5
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Rappresentazione del campo senza iterazioni
Definisco la soluzione dell’equazione di Schrodinger per il campo classico, in
assenza di iterazioni, tramite l’integrale di fourier:
Z
1
i
p2
3
φ(x, t) =
d p exp
hp |xi −
t c(p)
(4.56)
3
h̄
2m
(2πh̄) 2
Espriemndo il tutto in variabili più comode (tutto in funzione a p e non a k) ottengo (guarda caso) una scrittura dell’integrale di fouerier molto caratteristica.
Le c(p) diventano definibili con la trasfomata di fouerier:
Z
d3 x − i hp|xi
h̄
f (x)
(4.57)
c(p) =
3 e
(2πh̄) 2
ora chiamnado (PER CASO):
i
up =
e h̄ hp|xi
3
(2πh̄) 2
(4.58)
ho proprio che:
(Ff )(p) = c(p) = hup |f i
(4.59)
e posso riscrivere lo stato in notazione compatta:
Z
f (x) = d3 p up (x) hup |f i
(4.60)
e la norma dello stato è la norma in L2 (R3 )
Z
2
||f || = d3 p hf |up i hup |f i
(4.61)
La scrittura dell’autostato (4.53) è lecita in quanto anche se le up non sono
definite in L2 (R3 ) la scrittura ha ugualmente senso se abientata nello spazio di
Swartz S(R3 ). Ma è molto facile dimostrare che S(R3 ) è una varietà lineare
densa in L2 (R3 ), infatti possiamo notare che S(R3 ) è uno spazio completo a
questo punto mi basterebbe dimostrare che prendendo ogni successione di Cauchy questa converge ad un elemnto di L2 (R3 ). Qui di seguito presentiamo un
teorema molto interessante che giustifica in modo lecito il passaggio fatto:
Th. Densità Supponiamo che :
1)X e Y siano due spazi metrici con X spazio metrico completo;
2)Preso X e un suo sottospazio denso X0 in X;
Ottengo le seguenti implicazioni:
f (X0 ) è denso in Y ed in particolare X è denso in Y
Dim.Il fatto che f sia una isometria su X è un’immediata conseguenza della
continuità di f e del fatto che X0 è denson in X. preso un y ∈ Y , Dato che
f (X0 ) è denso in Y esisterà una successione {xn } in X0 tale che f (xn ) → y
4.6. VALORI MEDI E DINAMICA DEL PACCHETTO D’ONDA
47
per n → ∞. Così in questo modo sto dicendo che {f (xn )} è una successione
di Cauchy in Y . Dato che f è una isometria su X0 segue che {xn } è ancora
successione di Cauchy. La completezza di X, postulata inizialmente ci serve
per essere certi che {xn } è una successione convergente per ogni x ∈ X0 e la
continuità della mappa, vista precedentemente mi indica che:
lim f (xn ) = y = f (x)
n→∞
4.6
(4.62)
Valori medi e dinamica del pacchetto d’onda
Se abbiamo tanti pacchetti d’onda DI UGUAL ENERGIA allora diventano
semplici alcune considerazioni:
E=
P02
N
2m
(4.63)
i pacchetti d’onda possono essere rapperesentati con l’usuale integrale di fourier:
Z
φt = d3 p up hup |φi
(4.64)
C’E’ UN PEZZO CHE NON SI CAPISCE... COME RICAVA I VALORI MEDI
... PROPRIO
I CONTI NON MI TORNANO, SO CHE I RISULTATI SONO:
D E
φ Pb|φ
→
−
hφ
|b
x
|φi
→
−
x0 =
P0 =
(4.65)
hφ |φi
hφ |φi
riscrivendo l’equazione di schrodinger in modo operazionale, risulta essere:
ih̄
∂φ
b
= Hφ
∂t
(4.66)
b è l’operatore Hamiltoniano Libero. Quindi tornerà utile riscriverlo nel
dove H
seguente modo:
∂φ
1 b
= Hφ
∂t
ih̄
(4.67)
Guardo la dinamica dello schiame di pacchetti d’onda, osservando la dinamica
dei valore medi espressi mediante gli operatori:
1
d
x
b + ∂b
hφt |b
x|φt i = φt [b
x, H]
|φt
(4.68)
dt
ih̄
∂t
d
hφt |b
p|φt i =
dt
1
∂ pb
b
φt [b
p, H] +
|φt
ih̄
∂t
(4.69)
Questi risultati sono suggeriti dal teorema di Erenfest che enunciamo e dimostriamo:
48
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
b generico operatore delTh. Erefents Evolution Sia φ uno stato e sia A
lo spazio di Hilber con dominio opportuno. La sua evoluzione nel tempo è data
dall’evolizione dei valori medi espressi tramite i loro operatori cioè:
* +
1
b
d D b E
∂
A
b H]
b +
φt A|φt = φt [A,
|φt
(4.70)
ih̄
dt
∂t
Dim. Nella dimostrazione sarà utile ricolrdare la forma comoda e contratta
dell’eq. di Schrodinger scritta tramite l’uso dell’operatore Hamiltoniano libero:
1 b
∂φt
= Hφ
∂t
ih̄
(4.71)
d
d
d b E
d D b E
b
b
φt A|φt =
φt A|φt + φt A|φt + φt A| φt
dt
dt
dt
dt
(4.72)
sostituisco la (4.68):
1
d
1 b b E
d D b E
b
b
b
φt A|φt = φ A| Hφ + φt A|φt +
Hφ A|φ
dt
ih̄
dt
ih̄
b Hermitiano, simmetrico essenzialmente autoggiunto quindi:
H
d
1 D b c E D b b E b
φ AH|φ + φ H A|φ
+ φt A|φt =
ih̄
dt
d
1
b
b
b
b
b
= φ (AH − H A)|φ + φ A|φ
ih̄
dt
(4.73)
(4.74)
quindi il riusltato:
1
d
d D b E
b H]|φ
b
b
+ φ A|φ
φ A|φ = φ [A,
dt
ih̄
dt
(4.75)
q.e.d.
4.7
Assiomatica della M.Q.
L’assiomatica della meccanica quantistica riguarda una serie di caratteristiche
iniziali in cui vengono definiti i principali mezzi di analisi del problema. In
particolare si discute la sua ambientazione matematica, il formalismo e la terminologia adeguata ad un giusta comprensione. L’ambientazione matematica
del problema è quello degli spazi di Hilbert, in particolare tutti i vari problemi
sono ambientanti in L2 (R) (mentre i casi multidimensionali sono ovviamente
ambientanti in L2 (R3 ). Lo stumento formale che consente di calcolare la probabilità dei vari eventi è la norma di L2 (R) quindi:
Sia ψt (x) ∈ L2 (R) la probabilità di questo evento, prodotto al tempo t, sarà
data da:
Z
||ψt (x)|| =
dx |ψt (x)|
(4.76)
R
4.7. ASSIOMATICA DELLA M.Q.
49
Ad ogni evento è assocuato un sottospazio Se ⊂ L2 (R) che ne indica la probabilità di quell’evento ad un certo tempo t determinato. Gli elemnti del sottospazio
sono definiti tramite proiezione degli stati per mezzo di proiettori definiti ad
hoc per ogni operatore.
b
b
(4.77)
Pe (t) = E
e ψt (x) =< ψt |Ee ψt >
Dim:sfruttando le propeità dei proittori si dimostra subito l’ugualianza:
b
b e ψt |E
b e ψt >=< ψt |E
b †e E
b e ψt >=< ψt |E
b 2e ψt >=
Ee ψt (x) = < E
b e ψt >
= < ψt |E
(4.78)
q.e.d.
Nel caso dell’operatore di posizione il suo proiettore è definito come :
b xωb f (x) = χω (x)f (x)
E
(4.79)
Mentre nel caso dell’operatore impulso il suo proiettrore è definito tramite la
trasformata di Fouerier:
b
b p∼
b xωb F
E
= F −1 E
ω
(4.80)
Austostato per un operatore
La varianza di una certa quantità legata al suo operatore è definita come:
2 b2t = ψt A
b − hAi1 ψt
∆A
(4.81)
affinchè ∆A = 0 si deve avere:
b − hAi1 ψt = 0
A
(4.82)
cioè
b t = hAiψt = ar ψt
Aψ
(4.83)
b Se lo stato soddisfa questa proprietà
cioè lo ψt deve essere autovettore di A.
allora è chiamato autostato e la parte principale del discorso sta nel fatto che
se ho la certezza che un certo stato è autostato di un certo operatore posso
andare a riscrivere l’operatore in funzione ai suoi autovalori. Questo risulterà
di notevole importanza nello studio dell’Hamiltoniana di spin in cui comparirà
b di cui non sappaimo gli autostati, però grazie ad un banale
l’operatore: Sb · L
accorgimento:
b =− L
b 2 + Sb2 =⇒ Sb · L
b = −1 L
b 2 + Sb2
2 Sb · L
2
(4.84)
b 2 e Sb2 sono due operatori i cui autovalori sono ben noti e sono di facile calcolo.
L
50
4.8
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Leggi di commutazione
é interessante ora vedere le principati regole di commutazione tra gli operatori principali della meccanica quantistica elementare. Per definizione degli
operatori di posizione ed impulso abbiamo già i seguenti risultati notevoli:
[b
x, x
b] = 0
[b
p, pb] = 0
(4.85)
calcoliamo:
([b
xi , pbj ]f )(x)
∂f (x)
∂
= −ih̄b
x(x)
+ ih̄ [b
x(x)f (x)] =
∂x
∂x
∂f (x)
∂f (x)
b (x)
= ih̄ −b
x(x)
+ δij Ib +
= ih̄If
∂x
∂x
Quindi primo conto interessante, gli operatori x
b e pb non commutano. Il loro
commutatore da come riusltato ih̄δij
4.9
Relazione di indeterminazione di Heisemberg
Abbiamo velocemente osservato le relazioni di varianze legate ad ogni singolo
operatore, però ora a noi interessa la varianza legata a coppie di operatori. Le
relazioni di indeterminazioni di Heisemberg ci permettono di dire che:
D E
b B]ψ
b t
b B
b ≥ 1 ψt [A,
∆A∆
(4.86)
2
Dim: la dimostrazione è una diretta conseguenza delle peropeità degli operatori
nello spazio di Hilbert infatti notiamo che:
b B
b = A
b − hAi1 ψt · B
b − hBi1 ψt ∆A∆
(4.87)
Usiamo la disugliaglianza di Swartz:
D
E
b
b
b
b
− hBi1 ψt ≥ A
− hAi1 ψt B
− hBi1 ψt A − hAi1 ψt · B
ora
osservazione
D uso una banale
E legata ai numeri complessi. La quantità
b
b
A − hAi1 ψt B − hBi1 ψt è un numero complesso qundi sappiamo che
∀z ∈ C abbiamo che :
|z| ≥ Im(z) =
z − z∗
2i
(4.88)
quindi:
D
E
E
1 D b
b
b
b
− hBi1 ψt ≥
A − hAi1 ψt B
− hBi1 ψt .
A − hAi1 ψt B
2i
D
E
b − hBi1 ψt A
b − hAi1 ψt =
− B
1 D h b b i E
1 D b b b b E
=
ψt AB − B A ψt =
ψt A, B ψt
2i
2i
q.e.d.
4.10. SSTATI A MINIMA INCERTEZZA
51
Per il caso di quantità di moto e posizione posso riprendere la formula del
paragrafo 4.8 e sostituendo ottengo:
∆x∆px ≥
4.10
h̄
h̄
h̄
; ∆y∆py ≥
; ∆z∆pz ≥
2
2
2
(4.89)
Sstati a minima incertezza
Come visto precedentemente le regole di indeterminazione di Heisemberg pongono un limite alla precisione con cui possiamo consocere in modo indipendente
due grangezze legate allo stesso evento. Quindi un problema lecito che ci si pone è quindi trovare gli stati ad incertezza minima, cioè quegli stati per cui nelle
relazioni di Heisemberg ho un’uglianza. Quindi il problema che ci si pone ora
è trovare gli stati tali che :
∆x∆px =
h̄
h̄
h̄
; ∆y∆py =
; ∆z∆pz =
2
2
2
(4.90)
Per verificare questo basta osservare come è stata ricavata la relazione di
indeterminazione di Heisemberg nel caso generale. Avevamo infatti che:
b − iγ B
b ψt = hAi
b − iγhBi
b ψt
A
(4.91)
b con l’operatore di posizione x
b con l’operatore
sostituiendo A
b e l’operatore B
impulso, ottengo che:
∂
ψt = (hb
xi − iγhb
px i) ψt
(4.92)
x
b + h̄γ
∂x
la soluzione porta alla determinazione dello stato:
r
2
1 2
i
αx
ψt (x) = √ e− 2 αx (x−x0 ) + h̄ p0 (x−x0 ) A(y, z)
π
(4.93)
Dove A(x, y) è una funzione di L2 (R2 )
Usando le definizioni ora ricavo la varianza collegata alla posizone x ad un certo
tempo t. Per quanto detto già in precedenza la probabilità che la particella si
trovi nella posizione x al tempo t è
Z
Z
2
αx
2
|ψt (x)| dx =
dx √ e−αx (x−x0 )
(4.94)
π
R
quindi la densità di probabilità che la particella legata alla posizione della
particella è:
2
αx
π(x) = √ e−αx (x−x0 )
π
(4.95)
ora trovo l’indeterminazione sulla posizione usando la definizione data precedentemente di varianza:
2 Z
2
αx
2
c
∆x = ψt (x) − 1hxi ψt =
dx(x − x0 )2 √ e−αx (x−x0 )
(4.96)
π
R
52
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
ora faccio un po’ di trucchi matematici per ricondurmi ad un integrale facile.
Per prima cosa eseguo la sostituzione y = (x − x0 ) successivamente per ricondurmi ad un integrale gaussiano banale, porto fuori al segno di integrale una
derivata in α e ottengo:
Z
d
1
αx
1
(4.97)
−
dye−αx y =
∆x2 = √
dα 2αx R
2αx2
π
quindi
∆x = √
1
2 αx
(4.98)
Sempre facendo riferimento alle definizioni possiamo ricavare l’espressione per
∆p cioè l’incertezza legata a p. La statistica su p si basa sulla sua trasformata
di fourier, infatti le informazioni sulla probabilità legata alla quantità di moto
della particella nella posizione x sono contentute nel sottospazio di hilbert Sp
b pbψ dove il proiettore in questione è un operatore
che è generato dagli elementi E
di moltiplicazione costruito con la trasformata di fouerier.
Per facilitare i conti considero sempre il mio stato gaussiano, monodimensionale
e ne faccio la trasformata di fouerier:
Z r
ipx
2
1 2
i
1
α
√x √
F [ψt ](p) =
e− 2 αx (x−x0 ) + h̄ p0 (x−x0 )− h̄ dx
(4.99)
π 2πh̄
R
Semplifico un po’ l’integrale tiro fuori le costanti sostituisco y = (x−x0 ) ottendo
l’integrale della trasformata scritto in questo modo:
Z
1 2 2
i
1 αx − ip0 x0
h̄
√ e
F [ψt ](p) = √
(4.100)
e− 2 αx y + h̄ (p0 −p)y dy
π
2πh̄
R
Ottenendo l’epressione finale della trasformata:
s
ip x
(p−p0 )2
2
− 0h̄ 0
−
F [ψt ](p) = √
e 2h̄2 α2x
2h̄αx
(4.101)
prendo il modulo quadro che mi da un’indicazione diretta sulla probabilità della
mia particella e ottengo:2
2
|F [ψt ](p)| = √
(p−p0 )
2
−
e h̄2 α2x
2h̄αx
2
−2
ip0 x0
h̄
(4.102)
Ma questa è una GAUSSIANA ! Centrata in p0 e con varianza ∆p2 =
quindi è facile trovare l’incertezza sulle p
1
∆p = √ h̄αx
2
h̄2 α2x
2
(4.103)
In questo modo è verificata il proncipio di Heisemberg per cui:
∆x∆p ≥
2 Un
h̄
2
(4.104)
integrale gaussiano del tipo presentato ha come soluzione generale:
√
b2
R
2 2
I = R e−a x +bx dx = aπ e 4a2 in questo modo il calcolo della trasformata di fourier diventa
molto semplice
4.11. LA PARTICELLA LIBERA
53
nel nostro caso proprio perè abbiamo imposto un caso di minima incertezza,
abbiamo ottenuto la relazione con l’ugualianza:
∆x∆p = √
4.11
1 h̄αx
h̄
√ =
2
2αx 2
(4.105)
La particella libera
Per studiare la dinamica di una particlella libera usiamo il campo di Schrodinger
normalizzto ψt (x) qui di seguito si tratterà solo il caso monodimensionale.
Il campo di Schrodinger, come visto dai paragrafi precedenti è definito nel
seguente modo:
Z
p2
i
1
h̄ (p·x− 2m t) c(p)
ψ(x, t) = d3
(4.106)
1 e
(2πh̄) 2
considero l’analisi del caso per uno stato a minima incertezza:
r
2
1 2
i
αx
ψt (x) = √ e− 2 αx (x−x0 ) + h̄ p0 (x−x0 )
π
(4.107)
l’analisi statistica di questo stato è stata fatta in modo esplicito nella sezione
precedente. Abbiamo visto come per uno stato fatto in questo modo sia sostanzialmente semplice calcolare le grandezze statistiche. In particolare a noi
interessano le c(p) da usare nell’equazione di campo. Le c(p) sono la trasformata di fouerier dello stato, e il conto per uno stato a minima incertezza è stato
svolto precedentemente ottenendo il seguente risultato:
s
(p−p0 )2
ip x
2
−
− 0h̄ 0
F [ψt ](p) = c(p) = √
e 2h̄2 α2x
(4.108)
2h̄αx
Sostituiendo il mio stato diventa:
s
Z
(p−p0 )2
ip x
p2
i
1
2
−
− 0h̄ 0
h̄ (p·x− 2m t)
√
ψ(x, t) = d3
e 2h̄2 α2x
1 e
2h̄αx
(2πh̄) 2
(4.109)
L’integrale è sempre del tipo gaussiano. Applicando la formula risolutiva prima
presentata ottengo il mio stato:
r
ψ(t, x) =
1
α
√ q
e
π 1 + i tα2 h̄
p
−(x−x0 − m0 t)
21
2
α2
2 2 4
1+ t h̄ 2α
m
+ h̄i
„
«
p2
0 t +i th̄α2
p0 (x−x0 )− 2m
m
1
2
α2
2 2 4
1+ t h̄ 2α
m
m
Questo stato non è più gaussiano! Ho una dipendenza quadratica pure da x
però possiamo notare che la distribuzione di probabilità per la posizione è ancora GAUSSIANA! Infatti riprendendo i metodi statistici usati prcedentemente
ottengo:
p
2
|ψ(x, t)| = K e
2
−(x−x0 − m0 t)
α2
2 2 4
1+ t h̄ 2α
m
(4.110)
La gaussiana ha valor medio:
hxit = x0 +
p0
t
m
(4.111)
(x−x0 − pm0 t)
2
54
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
e scarto quadratico medio:
s
1 1
∆xt = √
2α
1+
t2 h̄2 α4
m2
(4.112)
Nota!!Al crescere di t cresce anche la larghezza della Gaussiana!!! Questo fatto non appare nella trattazione approssimata del pacchetto d’onda.
Per quanto riguarda la trattazione per p dipende dal tempo solo attraverso
la fase. Quindi la distribuzione di probabilità della quantità di moto è indipendente dal tempo. Qindi ∀t ho che il valor medio sarà p0 e la sua varianza
sarà quella che aveva inizialmente cioè quella dello stato a minima incertezza
h̄α
In questo caso, non ho più uno stato a minima incertezza perchè
∆p = √
2
∀t > 0 ho che
∆x∆p 6=
h̄
h̄
ma ho che ∆x∆p >
2
2
(4.113)
questo perchè allo scorrere di t la largezza della gaussiana che mi indica la
densità di probabilità legata alla posizione, si continua ad allargare secondo la
formula 4.112
Se valgono le ipotesi di de Broglie allora mi posso trovare in una situazione
molto favorevole perchè questo vorrebbe dire che :
h̄α
h̄
∆p |p0 | √ |p0 | =⇒ 2∆x |p0 |
2
(4.114)
allora in ermini più spicci:
∆xt=0 h
λ
=
4π |p0 |
4π
(4.115)
dove λ = 4π∆xt=0 è la lunghezza d’onda di de Broglie. In questo caso per t
grandi l’allargamento della gaussiana di posizione rimane comunque contenuto
rispetto allo spostamento totale della particlella. In questo modo l’equazione
d’onda non mi si spalma tutta sulla retta ma dopo un tempo relativamente
grande ho ancora modo di identificarla senza problemi, infatti ottengo:
|x − x0 | ∆xt
(4.116)
Il caso tridimensionale è identico, il punto iniziale sta nell’accorgesi che lo stato
iniziale è fattorizzabile e poi quindi studiare ogni fattore in modo separato per
poi unire i risultati alla fine.
4.12
L’oscillatore armonico
Nel caso dell’oscillatore armonico mi trovo a risolvere l’equazione di schrodinger
per un potenziale che dal punto di vista tridimensionale è così fatto:
1
−
U (→
x)=
kx x2 + ky y 2 + kz z 2
2
(4.117)
per le relazioni di commutazione 4.85 so che [x, z] = [x, y] = [x, z] = [y, z] = 0
e lo stesso per le p : [px , pz ] = [px , py ] = [px , pz ] = [py , pz ] = 0 sono tutti
4.12. L’OSCILLATORE ARMONICO
55
operatori communtanti tra loro, studio solo il problema unidimensionale (tanto
se commutano hanno un insieme comune di autofunzioni). Il problema quindi
si semplifica studiando solo il caso per un poteziale del tipo :
U (x) =
1 2
kx
2
(4.118)
L’hamiltoniano legato al problema in questione è il seguente:
2
b = pb + 1 kb
x2
H
2m 2
(4.119)
Il relativo problema agli autovalori associato è legato alla soluzione dell’equazione differenziale associata: (dato che sto facendo tutto strettamente dal
punto di vista monodimensionale le derivate parziali sono tutte derivate in
senso ordinario e l’equazione differenziale è un’equazione ordinaria)
−
h̄2 d2 ut (x) 1 2
+ kx ut (x) = wut (x)
2m dx2
2
(4.120)
le ut sono elementi di L2 (R) ora per semplificare il probleam agli autovalori
isolo il termine con la derivata seconda e poi eseguo un cambio di variabile:
d2 ut (x)
mk 2
2m
w
−
x
ut (x) = 0
(4.121)
+
dx2
h̄2
h̄2
Definisco:
r
α=
d
d
mk
ed eseguo la sostituzione: ξ = αx =⇒
=α
h̄
dx
dξ
(4.122)
sostituisco:
2
d2 ut (ξ)
ξ
2mw
+ − 2 + (w) ut (ξ) = 0 dove: (w) = 2 2
dξ 2
α
h̄ α
(4.123)
ξ2
Ora possiamo fare una serie di considerazioni. Possimao vedere che e± 2 è
soluzione del problema almento per quanto riguarda i termini dominanti a
ξ2
ξ → ±∞ perchè le sue derivate secondo sono: ξ 2 e± 2 ± e±
scrivere la soluizione del problema nel seguente modo:
ξ2
2
conviene quindi
ξ2
ut (ξ) = e− x H(ξ)
(4.124)
2
2
2
2
ξ2 dH
d2 u
− ξ2 d H
− ξ2 2
− ξ2
=
e
+
e
ξ
−
e
H(ξ) − 2ξe− 2
2
2
dξ
dξ
dξ
(4.125)
scrivo la derivata:
sostituisco nel problema e ottengo l’equazione differenziale a cui la H(ξ) deve
soddisfare:
d2 H(ξ)
dH(ξ)
− 2ξ
+ ((w) − 1)H(ξ) = 0
dξ 2
dξ
(4.126)
56
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
2
La 4.124 è sicuramente sempre vera, nella parte esponenziale e−ξ è scaricato
l’andamento asintotico e il tipico comportamento di una funzione di L2 (R).
Per ripristinare l’andamento della u(ξ) la soluzione H(ξ) dovra contenere dei
termini con delle potenze positive di ξ. (I POLINOMI DI HERMITE!) Ora il
fatto sta nel travare i polinomi di Hermite, e quindi risolvere l’eq. differenziale
4.126. Dato che i coefficienti −2ξ e ((w) − 1) sono funzioni analitiche al finito
allora anche la soluzione H(ξ) sarà analitica e quindi posso iniziare a svilupparla
e risolvere l’eq. differenziale per serie. Alla fine la soluzione che ottengo per la
forma dei polinomi di Hermite è la seguente:
H(ξ) = c0
∞
X
∞
X
ak ξ 2k + c1 ξ
k=0
bk ξ 2k
(4.127)
k=0
dove l’espressione generica per i coefficienti è data da
cs+2 =
2s + 1 − (w)
cs
(s + 2)(s + 1)
(4.128)
per s pari ottengo gli ak partendo da a0 = 1
ak+1 =
4k + 1 − (w)
ak
(2k + 2)(2k + 1)
(4.129)
per s dispari ottengo i bk partendo sempre da b0 = 1
bk+1 =
4k + 3 − (w)
bk
(2k + 3)(2k + 2)
(4.130)
2
L’andamento asintotico di eξ non is presenta se per un certo n dell’indice s
avvenga che cn+2 = 0 mentre cn 6= 0 allora ho la condizione (riprendendo la
formula 4.128)
2n + 1 − (w) = 0
(4.131)
cioè
r
k
1
h̄(n + )
(4.132)
m
2
Nel caso in cui n sia pari , nella 4.127 si butta via la seconda serie mettendo
c1 = 0 e la prima rimane un polinomio. Viceversa per n dispari in cui la prima
serie si butta mettendo c0 = 0 e la seconda serie diventa un polinomio.
wn =
In definitiva la soluzione dell’oscillatore armonico si può riscrivere come:
un = e−
ξ2
2
Nn Hn (ξ)
(4.133)
dove Hn (ξ) è un polinomio i cui coefficienti sono dati dalla relazione di ricorrenza:
2(s − n)
cs
(4.134)
(s + 2)(s + 1)
Poichè è il modo di un oscillatore armonico con forza di richiamo F (x) =
d
U (x) = −kt posso scrivere gli autovalori dell’energia in funzione alla lun− dx
q
1
k
ghezza d’onda di De Broglie infatti νc = 2π
m
1
wn = hνc (n + )
2
(4.135)
4.12. L’OSCILLATORE ARMONICO
4.12.1
57
Péolinomi di Hermite
I polinomi di Hermite sono definiti come:
Hn (ξ) = (−1)n eξ
2
dn −ξ2
e
dξ n
(4.136)
differenziando infatti si ottiene l’eq. differenziale da cui siamo partiti che è la
4.126
d2 Hn (ξ)
dHn (ξ)
− 2ξ
+ 2nHn (ξ) = 0
dξ 2
dξ
4.12.2
(4.137)
Rappresentazione delle autofunzioni
Lo stato fondamentale dell’oscillatore armonico è dato da:
r
2
α
− α2 x2
√
u0 = e
π
(4.138)
è uno stato a minima incertezza con valori medi hb
xi √
= 0 e hb
pi = 0 e le variaznze
km
2
sono ben note dal paragrafo precednete dove α = h̄ .
Gli stati eccitati sono stati a parità definita, cioè sono rappresnetati da autofunzioni pari se n è pari e sono rapprensetati da funzioni dispari se n è dispari.
L’autofunzione u0 è pari e non ha zeri, l’autofunzione u1 è dispari è si annulla
nell’origine, l’autofunzione u2 è pari e ha due zeri ecc..
Importante! Gli zeri cadono nell’intervallo in cui l’energia cinetica
è posiq
2
tiva Tn (x) = Wn − 12 kx2 > 0 solo in [−x0n ; x0n ] dove x0n =
W
mentre
n
k
all’esterno predomina l’andamento esponenziale.
4.12.3
Dinamica
varianze
1 √
√ 1 + 2nx
α 2
(4.139)
αx h̄ √
∆px = √
1 + 2nx
2
(4.140)
∆x =
valori medi:
hxl it = hxl it=0 cos(2πνc,xl t) +
hpit=0
sin 2πνc,xl t
2πνc m
(4.141)
basta derivare
hpl it = m
d
hxl it = −m2πνv hxl it=0 sin(2πνc,xl t) + hpit=0 cos 2πνc,xl t (4.142)
dt
58
4.13
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Buca di potenziale rettangolare
Prendiamo in considerazione il potenzile:
0 per |x| > b
(4.143)
−U0 per |x| < b
(4.144)
La buca di potenzile è simmetrica rispetto all’origine e quindi se scrivo l’operatore hamiltoniano di questo problema ho che :
2
b = pb + U (x)
H
2m
(4.145)
Dato che è tutto simmetrico allora se Pb è l’operatore di parità ho che:
b = 0 quindi mantiene invariato lo spazio delle autofunzioni di H
b infatti
[Pb, H]
b
P Sw ⊂ Sw di notevole interesse è il parametro
r
2mU0 b2
(4.146)
R=
h̄2
perchè successivamente si noterà che in esso sono contenute informazioni fondab non dipende in modo esplicito
mentali sulla geometria del sistema. Dato che H
dal tempo posso impstare il problema agli autovalori:
b = wu
Hu
−
(4.147)
h̄2 d2 u(x)
+ U (x)u(x) = wu(x)
2m dx
(4.148)
Per far si che l’operatore di evoluzionetemporale sia unitario, dev’essere che
l’operatore Hamiltoniano deve essere essenzialmente autoaggiunto nel suo dominio di definizione. Questa condizione viene espressa dal fatto che nei punti
di discontinuità del potenziale le autofunzioni debbano essere continue e derivabili. Indicando con 1,2,3 le soluzioni prima di entrare nella buca, nella buca
e dopo la buca ho che le mie condizioni possono essere espresse come:
u1 = u2 ; u2 = u3
(4.149)
u01
(4.150)
=
u02
;
u02
=
u03
Ho 3 equazioni differenziali a seconda della parte in analisi:
Per x < −b :
h̄2 d2 u1 (x)
= wu1 (x)
2m dx
(4.151)
h̄2 d2 u2 (x)
− U0 u2 (x) = wu2 (x)
2m dx
(4.152)
h̄2 d2 u3 (x)
= wu3 (x)
2m dx
(4.153)
−
Per |x| < b :
−
Per x > b :
−
4.13. BUCA DI POTENZIALE RETTANGOLARE
59
Risolvo il problema agli autovalori:
PARTE PARI:
Per x < −b :
s
λ=±
2m |W |
= ±k
h̄2
(4.154)
quindi
q
u1 = Ae
2m|W |
x
h̄2
+ Be
q
2m|W |
−
x
h̄2
(4.155)
Per |x| < b :
s
λ=±
2m |W + U0 |
= ±q
h̄2
(4.156)
L’autovalore è complesso (puramente immaginario) quindi avrò una pare pari
e una parte dispari delle mie soluzioni
u2 = C cos (qx)
(4.157)
u3 = u1 (−x)
(4.158)
Per x > b :
PARTE DISPARI:
Per x < −b :
s
λ=±
2m |W |
= ±k
h̄2
(4.159)
quindi
q
u1 = Ae
2m|W |
x
h̄2
+ Be
q
2m|W |
−
x
h̄2
(4.160)
Per |x| < b :
s
λ=±
2m |W + U0 |
= ±q
h̄2
(4.161)
L’autovalore è complesso (puramente immaginario) quindi avrò una pare pari
e una parte dispari delle mie soluzioni
u2 = D sin (qx)
(4.162)
u3 = −u1 (−x)
(4.163)
Per x > b :
60
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
La funzione deve essere a quadrato sommabile quindi A=0. Di quello che
sopravvive impongo la continuità e la derivabilità nel punto di discontinuità
del potenziale per il caso pari:
C cos qb = Be−kb
(4.164)
Cq sin(qb) = Bke−kb
e per il caso dispari:
D sin qb = −Be−kb
Dq cos(qb) = Bke−kb
(4.165)
I due sistemi omogenei nelle variabili B,C e D,B per ammettere un’unica
soluzione devono soddisfare il fatto di avere il determiante della matrice dei
coefficienti nullo.
Caso Pari:
cos(qb)
−ekb
det
=0
(4.166)
q sin(qb) −kekb
Caso dispari:
det
sin(qb)
ekb
q cos(qb) −kekb
=0
(4.167)
quindi ho che le due condizioni che sono effettivamente quelle da considerare e
che escono dallo svolgimento dei conti del determinante sono le seguenti:
k cos(qb) − q sin(qb) = 0 pari
(4.168)
k sin(qb) + q cos(qb) = 0 dispari
posso fare un cambio di variabili notevole:
2mU0 b2
= R2
(4.169)
h̄2
Quindi ecco perchè R è un fattore di geometria del sistema, perchè contiene
infomazioni sulla geometria del potenziale e rintra direttaemnte nel calcolo dei
coefficienti delle autofunzioni quindi per il caso pari:
η = ξ tan ξ
(4.170)
η 2 + ξ 2 = R2
ξ = qb
η = kb tale che: ξ 2 + η 2 =
mentre per il caso dispari:
η = −ξ cot ξ
η 2 + ξ 2 = R2
(4.171)
Risolvo i due sistemi in modo grafico e ottengo che ho un nemro finito di stati
legati. L’autovalore legato all’energia per ogni singolo stato è dato da:
h̄2 2
ξ
per n = 0, 1, 2, ...
(4.172)
2mb2 n
Il numero di stati legati della buca mi viene dato dal paraemtro R in quanto:
π
2R
π
(4.173)
(N − 1) ≤ R ≤ N cioè: N = 1 +
2
2
π
Wn = −U0 +
quindi da come è fatto R risulta che ho tanti più stati legati tanto quanto è più
profonda e larga la buca.
4.13. BUCA DI POTENZIALE RETTANGOLARE
4.13.1
61
Trasmissione e riflessione
Consideriamo sempre il caso di potenziale a buca:
0
Per |x| > b
U (x) =
−U0 Per |x| < b
(4.174)
Risolvendo l’equazione di Schrodinger, ottengo che le autofunzioni sono quelle
tipiche della particella libera:

ipx
ipx
h̄ + Be− h̄

 u1 = Ae →
−
i−
px
i→
px
(4.175)
up =
u2 = Ce h̄ + De− h̄
→
−
→
−

ipx

− i ph̄ x
h̄
u3 = F e
+ Ge
imponendo le condizioni di raccordo, quindi di continuità nei punti −b e b e
la derivabilità nei punti −b e b ho quattro vincoli che mi fissano 4 parametri.
A questo punto ho ancora 2 parametri liberi. I due parametri liberi li fisso io
inizialmente in funzione alla preparazione del pacchetto d’onda. Preparazioni diverse daranno luogo a coefficienti diversi. Nel nostro caso, vogliamo un
pacchetto d’onda con p > 0 creato nella regione di sinistra quindi questo ci fa
1
prendere G = 0 e A = √2πh̄
Di notevole interesse è anche il calcolo dei coefficienti F e B che determinano
gli stati astintotici:
F =√
1
S(p)
2πh̄
B=√
1
(p)
2πh̄
(4.176)
Successivamente vedremo che il conto dei coefficienti S(p) e (p) sarà di notevole importanza per determinare la probabilità di trasmissione e riflessione.
Impongo le condizioni di raccordo ottenendo le u+
p:
(
√ 1 [eipx/h̄ + (p)e−ipx/h̄ ] u+
1
2πh̄
u+
=
(4.177)
+
p
√ 1 S(p)eipx/h̄
u
3
2πh̄
La soluzione generale dell’equzione di schrodinger posso quindi scriverla come:
ψinc. + ψrif l. u+
1
ψ(t) =
(4.178)
ψtras.
u+
3
Scrivo le soluzioni in forma generale:
Z +∞
Z +∞
2t
ipx
ipx
−ip2 t
dp
dp
− −ip
h̄
2mh̄
√
√
ψinc. =
e
c(p) =
e h̄ − 2mh̄ χ(p)c(p)(4.179)
2πh̄
2πh̄
0
−∞
Scrivo la ψrif. facendo il cambio di variabile p = −p0
Z +∞
−ipx
−ip2 t
dp
√
e h̄ − 2mh̄ c(p)(p0 ) =
ψrif. =
2πh̄
0
Z +∞
ip0 x
−ip02 t
dp0
√
=
e h̄ − 2mh̄ χ(p0 )c(p0 )(p0 )
2πh̄
−∞
(4.180)
La ψtras. ha la stessa forma della ψinc. con un suo opportuno coefficiente di
trasmissione.
Z +∞
ipx
−ip2 t
dp
√
e h̄ − 2mh̄ χ(p)c(p)S(p)
(4.181)
ψtras. =
2πh̄
−∞
62
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
4.13.2
Tempi remoti-Tempi futuri
Ora anlizziamo se la costruzione fatta fin’ora è sensata, osservo gli stati asintotici per t → +∞ e per t → −∞. Per t → ∞ ho che ||ψt − ψinc || → 0 quindi il
contributo determinate è dato dalla ψinc in che è fisicamente sensato, vuol dire
che io, a tempi remoti, sto preparando il pacchetto d’onda piccato a quantità di
moto p0 Stessa cosa per tempi molto futuri, per t → +∞ ho che nella regione
x < −b sopravvive solo la ψrif. mentre per x > b sopravvive solo la ψtras. .
Detto questo ora è interessante calcolare le probabilità di trovare il pacchetto
d’onda nella regione x < −b e nella regione x > b. Queste probabilità sono
molto importanti, perchè ci permettono di ottenere che la probabilità di trovare
il pacchetto d’onda nella regione x > b non è mai nulla. Questo effetto è ben
noto anche come effetto tunnell
Probabilità di trovare la particella nella regione di x > b a t → +∞:
Z +∞
Z +∞
2
2
P (x > b, t → +∞) =
lim
dx |ψt (x)| = lim
dx |ψtras. (x)| =
t→+∞ b
t→+∞ b
Z +∞
Z +∞
2
2
2
=
lim
dx |ψtras. (x)| =
dp |S(p)| |c(p)|
t→+∞
−∞
0
(4.182)
Probabilità di trovare la particella nella regione di x < −b a t → +∞:
Z
P (x < −b, t → +∞)
=
=
−b
−b
dx |ψt (x)| = lim
lim
t→+∞
Z
2
t→+∞
−∞
Z +∞
t→+∞
Z
2
dx |ψrif l. (x)| =
lim
−∞
2
dx |ψrif l. (x)| =
−∞
+∞
2
2
dp |(p)| |c(p)|
0
(4.183)
come ben sappiamo:
Z
2
dp |c(p)| = 1
(4.184)
R
2
quindi ho che il coefficiente di trasmissione è dato da τ (p) = |S(p)| mentre il
2
coefficiente di riflessione è dato da ρ(p) = |(p)| ho quindi la relazione:
τ (p) + ρ(p) = 1
4.13.3
(4.185)
Calcolo del coefficiente di trasmissione
Per l’analisi delle S(p) possiamo sottointendere il controbuto delle c(p) e parlare
tramite S(p) direttamente di ampiezze di trasmissione. Svolgendo i calcoli si
trova che S(p) è definito in questo modo:3
ipb
S(p) =
3 Inserire
i calcoli
→
−
cos 2 h̄p b
e− h̄
→
−
− 2i pp +
p
→
−
p
→
−
sin 2 h̄p b
(4.186)
4.14. PARTICELLA IN CAMPO CENTRALE
63
p
→
−
dove P = 2m(W + U0 ) Caloclo il modulo quadro e ottengo il coefficiente di
trasmissione:
1
τ (p) =
1+
1
4
(4.187)
sin2 2pb
“ h̄ ”
W
W
1+ U
U
0
0
√
dove p = 2mW
Ora dividiamo due casi importanti. I valori di p tali che massimizzano τ (p)
(cioè lo rendono =1) e i valori di p che minimizzano τ (p) Ottengo che per
−
2→
pb
= nπ
h̄
(4.188)
Ho probabilità di trasmissione =1 quindi la buca risulta completamente trasparente alla particella.
Per valori di p tali che:
−
1
2→
pb
= n+
π
(4.189)
h̄
2
Ottengo dei minimi sempre meno pronunciati di valore:
τ (·) =
4E(1 + E)
1 + 4E(1 + E)
(4.190)
W
dove E = U
0
Si può osservare che al tendere di W → ∞ il coefficiente di trasmissione τ → 1
4.13.4
Fenomeno delle risonanze
Oscuro
4.14
Particella in campo centrale
L’operatore Hamiltoniano che descrive il fenomeno è il seguente:
qX 1 X 2
b
H=
pb + U
x
b2
2m
(4.191)
Definisco l’operatore
b i = jli x
L
bj pbl
(4.192)
In modo esplicito:
b x = ypz − zpy
L
b y = zpx − xpz
L
b z = xpy − ypx
L
(4.193)
b coomuta con tutte le forme scritte nel modo
Fatto Importante: l’operatore L
hb
v1 |b
v2 i
64
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Th1. Ogni operatore che può essere scritto nella forma hb
v1 |b
v2 i commuta
b
con L
Dim.
b v1 · v2 ]
[L,
=
X
X
b h , vb1k ]b
b h , vb2k ] = ih̄hkl v1l v2k + ih̄hkl v1k v2l
[L
v2k +
vb1k [L
=
ih̄(hkl + khl )v1k v2k = 0
k
k
(4.194)
In quanto hkl + khl = 0
q.e.d.
In virtù di questo fatto allora ho il risultato notevole che mi porta a dire che :
b pb2 ] = 0
[L,
b rb2 ] = 0
[L,
(4.195)
Se due operatori essenzialmente autoaggiunti commutano tra loro, l’applicazione di un operatore sull’altro non altrera l’autospazio dell’operatore su cui
viene applicato. In pratica applicando l’operatore momneot angolare orbitale
all’operatore Hamiltoniano dato che questo commutano (e lo faremo vedere
b Far vedere che L
b
subito) questo fatto non altera l’autospazio dell’operatore H
commuta con l’operatore hamiltoniano è banale:
b = kb
H
p2 + f (b
r · rb)
[L, H] = [L, p2 ] + [L, f (r2 )] = 0
(4.196)
q.e.d.
Per necessità pratiche costruisco l’operatore L2
b·L
b=L
b 2x + L
b 2y + L
b 2z = L
b2
L
(4.197)
b 2 commuta con Lz ! Quindi posso pensare di decomporre lo spazio di Hilbert
L
negli autospazi di L2 e di Lz , e successivamente cercare in quegli autospazi le
autofunzioni dell’operatore H Scrivo l’hamiltoniano in coordinate polari per
essere in accordo con la simmetria del problema.
L’operatore L2 è
1 ∂
∂
1 ∂2
2
2
L = −h̄
sin θ
+
(4.198)
sin θ ∂θ
∂θ sin2 θ ∂φ2
L’operatore legato all’energia cinetica diventa quindi:
−
4.14.1
h̄2 1 ∂ 2 ∂
1 b2
h̄2
∆2 = −
r
+
L
2m
2m r2 ∂r ∂r 2mr2
(4.199)
L’autospazio di Lz
b z perchè come abOra il punto sarà determinare l’autospazio dell’operatore L
2
b
b
biamo visto commuta con L che commuta con H quindi una volta trovato
4.14. PARTICELLA IN CAMPO CENTRALE
65
b z ho già il mio spazio di Hilbert in cui
l’autospazio relativo all’operatore L
andare a cercare le autofunzioni dell’operatore Hamiltoniano.
b z = −ih̄ ∂ e sia data una fuznione di L2 (R3 ) f (r, θ, φ)
L
∂φ
(4.200)
f (r, θ, φ) è una funzione continua e periodica nella variabile φ. Risolvo questo
problema agli autovalori considerandolo ambientanto in S(R3 ) quindi quello
che ottengo sono tutte distribuzioni temperate.
−ih̄
∂f (r, θ, φ)
= λf (r, θ, φ)
∂φ
(4.201)
Fisso r e θ ho un’equazione differenzile in φ:
∂ f
iλ
=
∂φ f (φ)
h̄
log (f (φ)) =
iλ
iλ
φ =⇒ f (φ) = cost · e h̄ φ
h̄
(4.202)
La le autofunzioni diLz sono quindi del tipo:
iλ
f (r, θ, φ) = A(r, θ)e h̄ φ
(4.203)
Gli autovalori λn li trovo imponendo le condizioni al bordo, le condizoni al
bordo sono sull’angolo φ che ha le seguenti limitazioni:
0 ≤ φ ≤ 2π =⇒ e
iλ2π
h̄
=1
(4.204)
quindi:
λ
iλ2π
= 2kπ =⇒ = k tale che k ∈ N
h̄
h̄
(4.205)
quindi gli autovalori di Lz sono
λLz = h̄m tale che m ∈ N
L’autospazio di Lz è fatto da tutte le autofunzioni del tipo
A(r, θ) imφ
√
Sm =
e
2π
(4.206)
(4.207)
Queste autofunzioni generano tutto lo spazio di Hilber e costuituiscono un
s.o.n.c.
L somma ortogonale di tutti gli spazi Sm genera tutto L2 (R3 ) quindi:
X
⊕
Sm = L2 (R3 )
(4.208)
m
quindi:
f (r, θ, φ) =
+∞
X
eimφ
A(r, θ) √
2π
−∞
∀f ∈ L2 (R3 )
(4.209)
66
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
R +∞
R 2π
2
dove le A(r, θ) sono funzioni tali che 0 r2 dr 0 sin θdθ |A(r θ)| < ∞.
A questo punto posso determinare le A(r, θ):
2π
Z
0e
−ixφ0
dφ √
Am (r, θ) =
0
2π
f (r, θ, φ0 )
(4.210)
Ora devo esplicitare con la rappresentazione spettrale, come può venir rappresentato lo stato:
Z
0
eimφ 2π 0 e−ixφ
eimφ
z
bL
√
√
√
dφ
=
f (r, θ, φ0 ) (4.211)
(E
f
)(r,
θ,
φ)
=
A
(r,
θ)
m
m
2π
2π 0
2π
cz allora posso rappresentalo in questo modo:
ora supponiamo f autostato di L
cz f )(r, θ, φ) =
(L
+∞
X
+∞
X
eimφ
b Lz f )(r, θ, φ) (4.212)
=
h̄mA(r, θ) √
h̄m(E
m
2π
m=−∞
m=−∞
Stesso discorso lo applico alla misura a valore di prioettore. Come scritto
nel libro di V.Neumann a pag 202, anche in questo caso per un certo stato
ψt posso definire una misura a vlaore di proiettore. Quindi proiettare lo stato
sulla base dell’autospazio di Lz . La prbabilità legata ad un certo evento sarà:
b Lz 2
P (Lz = h̄m, t) = E
m ψt (4.213)
quindi:
ψt (r, θ, φ) =
+∞
X
eimφ
ψt (r, θ) √
∈ Sm
2π
m=−∞
(4.214)
Il problema nell’esplicitare ψ(r, θ) è analogo alla trattazione precedente in cui
si eplicitiva A(r, θ).
Z
0
eimψ
eimψ 2π e−imφ
z
bL
√
√
√
E
ψ
(r,
θ,
φ)
=
ψ(r,
θ)
=
ψ(r, θ, φ0 )dφ0 (4.215)
m t
2π
2π 0
2π
Quindi ora posso andare a sostituire e l’epressione del proiettore al quadrato
(quindi della probabilità legata a Lz ):
Z
2
2π
−imφ0
0 0e
dφ √
ψ(r, θ, φ ) =
r dr
sin θdθ
P (Lz = h̄m, t)
0
2π
0
0
0
Z +∞
Z π
0
Z 2π
2
e−imφ
=
r2 dr
sin θdθ ψ(r, θ, φ0 )
dφ0 √
(4.216)
2π
0
0
0
Z
b Lz ψ
= E
m t =
+∞
2
Z
π
Z
2π
1
dφ
2π
b 2 in quanto [L2 , Lz ] = 0 quindi
di particolare interesse sono le autofunzioni di L
avranno autospazi comuni. Ricordando che:
∂
1 ∂2
1 ∂
2
2
b
sin θ
+
(4.217)
L = −h̄
sin θ ∂θ
∂θ
sin2 θ ∂φ2
4.14. PARTICELLA IN CAMPO CENTRALE
67
b 2 ad un oggetto di Sm allora il risultato sarà ancora un oggetto
Se applico L
di Sm solo che sarà cambiata la parte radiale A(r, θ). Facciamo un po’ di
sbarbatrutrucchi. Allora per iniziare, vogliamo vedere la forma di L2 applicato
allo spazio Sm . Sapendo che l’operazione Lz è definto in qesto modo : Lz =
∂
b 2 ho che questo è autostato di
−ih̄ ∂φ
allora se applico uno stato ψ ∈ Sm a L
Lz quindi posso sostituire col relativo autovalore:
∂
1 ∂2
1 ∂
2
2
ψt
(4.218)
sin
+
L |Sm = −h̄
sin θ ∂θ
∂θ sin2 θ ∂φ2
ma a questo punto l’ultimo pezzo diventa un :
−
h̄2 ∂ 2
h̄2 m2
ψ
=
questo conto non torna !!!!!!!!!!!
t
i ∂φ2
i
(4.219)
arrivo all’qe. differenziale:
∂
m2
1 ∂
sin
−
A(r, θ) = λA(r, θ)
sin θ ∂θ
∂θ sin2 θ
(4.220)
Definisco l’operatore differenziale
1 d
d
=
dξ
sin θ dθ
(4.221)
d
m2
d
−
+ λ A(r, ξ) = 0
(1 − ξ ) 2 − 2ξ
dξ
dξ
(1 − ξ 2 )
(4.222)
−
ottengo:
2
Fisso r=⇒A(r, ξ) = Θ(ξ)
d
m2
2 d
(1 − ξ ) 2 − 2ξ
−
+ λ Θ(ξ) = 0
dξ
dξ
(1 − ξ 2 )
(4.223)
la soluzione generale di questa eq. differenziale avrà una parte costante che
dipenderà solamente da r è una parte di armonica sferica che dipende da ξ
A (r, ξ(ϑ)) = R(r)Θ (ξ(ϑ))
In più deve valere che:
Z +∞
Z 2π
Z
r2 dr
sin θdθ |A(r θ)| =
0
0
+∞
(4.224)
2
r2 |R(r)| dr
0
Z
+1
2
|Θ(ξ)| dξ (4.225)
−1
quindi suppongo che ka Θ sia finita in [−1, 1] questo mette moltissime limitazioni sulla soluzione tale che essa essite solo se
λ = h̄2 l(l + 1)
(4.226)
dove l = |m|. Il +1 in l(l + 1) mi indica che non posso dire nulla su Lx e Ly
(perchè?) (forse perchè gli autovalori L2 sono maggiori di quelli di Lz . Quelli
di Lz sono h̄m quindi se scrivo L2 = L2x + L2y + L2z = 0 + 0 + h̄2 m2 ...sarebbe
una falsità!)
68
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
4.14.2
Polinomi di legendre
Come visto nella precednete sezione, il problema agli autovalori impostato
precedentemente per il caso dell’operatore L2 ci porta alla soluzione di una
queazione differenziale che ha soluzione se Θ(ξ) ∈ L2 [−1, 1] e se gli autovalori
soddisfano la relazione:
λ = l(l + 1) dove l = |m|
(4.227)
La soluzione genrale a r fissato quindi è possibile scriverla come:
A(r, ξ(θ)) = R(r)Θξ(θ)
(4.228)
Ora calcolo in modo esplicito le Θ che saranno uguali a
Θ(ξ) = costPl (ξ)
(4.229)
dove i Pl (ξ) sono i noti polinomi di Legendre.
Applicazione classica Questi polinomi trovano particolare utuilizzo anche nella fisica classica per esempio nel problema a n corpi possiamo osservare
che:
X
1
(4.230)
→
−
−
|x −→
x j|
j
esplicito per il caso di 2 corpi:
X
1
=q
−
−
|→
x −→
x |
j
j
1
2
(4.231)
2
|x| + |x’| − 2 |x| |x0 | cos ϑ
sviluppo in serie considerando: h =
|x0 |
|x|
1
+∞
√
X
1
=
hl Pl (cos ϑ)
1 + h2 − 2h cos ϑ
l=0
(4.232)
Forma generale: La forma generale per i polinomi di legendre è quindi:
Pl (ξ) = (−1)l
1 dl
(1 − ξ 2 )l
2l l! dξ l
trovo il coefficiente di normalizzazione:
Z +1
2
cost =
dξPl (ξ)Pl0 (ξ) = δl,l0
−1
r
Θl (ξ) =
2
2l + 1
2l + 1
Pl (ξ)
2
(4.233)
(4.234)
(4.235)
quindi:
(
Sm =
r
R(z)
2l + 1
Pl (ξ)
2
)
(4.236)
4.14. PARTICELLA IN CAMPO CENTRALE
Quindi per m = 0 ho il seguente ambientazione:
(
)
r
2l + 1
eimφ
Sm = R(z)
Pl (ξ) √
2
2π
69
(4.237)
Se m 6= 0 ho una dipendenza stretta dal modulo di m scrivo la nuova Θ
Θl,|m| (ξ) = (−1)|m| (1 − ξ 2 )|m|
d|m|
Pl (ξ)
dξ |m|
(4.238)
se ξ = cos(ϑ) ottengo che posso definire:
Plm (ξ) = (sin ϑ)|m|
d|m|
Pl (cos ϑ)(−)|m|
dξ |m|
(4.239)
normalizzo:
Z
+1
−1
|m|
dξPl
|m|
(ξ)Pl0 (ξ) = δl,l0
2 (l + |m|)!
2l + 1 (l − |m|)!
(4.240)
l’autospazio comune è quindi:
Sl m = {R(z)Yl,m (θ, φ)}
(4.241)
dove la aprte radiale è sempre la stessa, mentre la parte di armonica sferica è :
|m|
(θ)eimφ
(4.242)
(2l + 1) (l − |m|)!
4π (l + |m|)!
(4.243)
Yl,m (θ, φ) = Nl,m Pl
e il coefficiente Nl,m è definito come:
s
Nl,m = (1−)
|m|−m
2
P
I sottospazi Slm genrano tutto L2 R3 =
lm ⊕Slm cioè in modo esplicito
supponiamo uno stato f ∈ L2 (R3 ) posso scriverlo come:
f (r, θ, φ) =
+∞ X
+l
X
Rlm (r)Ylm (ϑ, phi)
(4.244)
l=0 m=−l
In questo modo si viene ad identificare il proiettore sugli autospazi comuni di L2
ed Lz relativo ai rispettivi autovalori h̄2 l(l + 1) e h̄m esce in modo abbastanza
naturame come nel caso Lz (formaula 4.126):
Z
b2 b L ,Lz
∗
b
El,m f (r, θ, φ) = Ylm dΩ0 Yl,m
(ϑ0 , φ0 )f (r, θ0 , φ0 )
(4.245)
quindi:
(L2 f ) =
+l
X X
l
m=−l
h̄2 l(l + 1)Rlm (r)Ylm (θ, φ)
(4.246)
70
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
allo stesso modo
(Lz f ) =
+l
X X
l
h̄mRlm (r)Ylm (θ, φ)
(4.247)
m=−l
Quindi scriviamo la rappresentazione spettrale dei due operatori:
b2
L
=
+∞ X
+l
X
2
b Lb ,Lbz
h̄2 l(l + 1)E
l,m
(4.248)
l=0 m=−l
bz
L
=
+∞ X
+l
X
b2 b
b L ,Lz
h̄mE
l,m
(4.249)
l=0 m=−l
Quindi, sapendo come sono fatti i priettori, posso definire una statistica sulla
misura del momento angolare della mia particella. Nel particolare:
XX 2
2
b Lb ,Lbz ψt
h̄ l(l + 1)E
(4.250)
Sia ψt ∈ L2 (R3 ) =⇒ ψ L2 ψ =
l,m
l
m
COSA POCO CHIARA Ora dato che i polinomi di legendre possono
essere scritti nella forma 4.239 noto che il modulo quadro del proiettore per
m = ±l (!!!!!) è una cosa che va come:
Yl,±l = (sin ϑ)l
(4.251)
che è massimizzato per θ = π2 quindi c’è la probabilità massima di trovare
la particella a valori di θ = π2 cioè la particella appartiene al piano X × Y e
di conseguenza c’è una probabilità altissima per L diretto lungo l’asse zeta.
MA PERCHE’ ??? Nel polinomio di legendre non ho nache una parte che
dipende da ξ ? Qundi ho anche coseni....NOOOO E’ esatto ...ora ho capito!
Nella formula di ricorsione dei polinomi di Legendre compare un (1 − ξ 2 ) che
è proprio un seno..... no non è per quello...perchè poi derivo in cos(ϑ) e mi
escono sempre anche un po’ di coseni ..... non so.
4.14.3
Ricerca delle autofunzioni di H
Ora passo alla ricerca delle autofunzioni dell’operatore Hamiltoniano per un
sistema a simmetria sferica:
"
#
b2
h̄2 1 ∂ 2 ∂
L
b
H=−
r
− 2 + Ud
(r)
(4.252)
2m r2 ∂r ∂r
r
Restringo il dominio dell’operatore all’autospazio Slm definito in precedenza,
bz e L
b 2 . Prendo uno stato ψt ∈ Slm (R3 )
cioè l’autospazio comune agli operatori L
e studio il seguente problema agli autovalori:
h̄2 1 ∂ 2 ∂Rlm (r) h̄2 l(l + 1)
b
−
Rlm (r) + U (r)Rlm (r) Ylm (ϑ, ψ) = W Rlm (r)Ylm (ϑ, ψ)
r
+
2m r2 ∂r
∂r
2mr2
sostituisco:
Rlm (r) =
y(r)
r
(4.253)
4.15. RISOLUZIONE EQ. DIFFERENZIALI CON SINGOLARITÀ FUCHSIANE71
In questo modo la prima parte dell’operatore mi viene più semplice in quanto:
1 ∂ 2 ∂Rlm (r)
d2 y(r)
r
=
r
r2 ∂r
∂r
dr2
(4.254)
dove sono state sostituite le derivate parziali con delle derivate nella sola variabile r in quanto la funzione radiale dipende solo ed esclusivamente da r. Il
problema agli autovalori è qundi il seguente:
h̄2 d2 y(r) h̄2 l(l + 1)
b (r) y(r) = W y(r)
+
y(r)
+
U
r
−
2m dr2
2mr3
r
r
(4.255)
θ e φ sono fissati quindi la parte di armonica sferica si semplifica. Raduno i
termini mettendo in mostra la parte di potenziale efficace
−
h̄2 d2 y(r) y(r)
+
r
2m dr2
r
VEf f =
y(r)
h̄l(l + 1) b
+
U
(r)
=W
2
2mr
r
h̄l(l + 1) b
+ U (r)
2mr2
(4.256)
(4.257)
con il problema scritto in questo modo, per garantire l’esistenza delle autofunzioni ulm (r, θ, φ) basta imporre che sia:
1) y(0) = 0
2) y ∈ L2 (0, +∞) =⇒ ulm (r, θ, φ) ∈ L2 (R3 )
4.15
(4.258)
Risoluzione Eq. Differenziali con singolarità fuchsiane
Sia data la seguente eq. differenziale:
d2 u(x)
du(x)
+ p(x)
+ q(x)u(x) = 0
dx2
dx
(4.259)
tali che i coefficienti siano definiti in questo modo:
P+∞
P+∞
p(x) =
n
an (x − x0 )n
(x − x0 )
q(x) =
n
bn (x − x0 )n
(x − x0 )2
(4.260)
quindi tali che p(x) presenti un polo del prim’ordine semplice, mentre q(x) presenti un polo del secondo ordine semplice.
Allora ∃ ρ : ∀x ∈ B(ρ, x0 ) si ha che:
u(x) = (x − x0 )α
+∞
X
n=0
cn (x − x0 )n
per α ∈ C \ {N}
(4.261)
72
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
è soluzione P
dell’equazione differenziale. Dove ρ indica il raggio di convergenza
+∞
n
della serie:
n=0 cn (x − x0 ) Faccio le derivate:
0
= α(x − x0 )
u (x)
=
=
(x − x0 )
α−1
α−1
(x − x0 )α−1
∞
X
n=0
∞
X
n=0
∞
X
n
cn (x − x0 ) + (x − x0 )
n
cn (x − x0 ) + (x − x0 )
+∞
X
∞
X
cn n(x − x0 )n−1 =
n=0
∞
X
!
n−1
cn n(x − x0 )
=
n=0
cn (x − x0 )n +
n=0
=
α
∞
X
!
cn n(x − x0 )n
=
n=0
cn (α + n)(x − x0 )n+α−1 =
n=0
Pongo x0 = 0 quindi mi risulta la semplice espressione:
u0 (x) =
+∞
X
cn (α + n)xn+α−1
(4.262)
n=0
Con analoghi conti possiamo scrivere la derivata seconda:
u00 (x) =
∞
X
cn (α + n)(α + n − 1)xα+n−2
(4.263)
n=0
Le esressioni che poi useremo praticaemnte sono le seguenti (che hanno una
aspetto più amichevole)
xu0 (x) =
+∞
X
cn (α + n)xn+α ; x2 u00 (x) =
∞
X
cn (α + n)(α + n − 1)xα+n
n=0
n=0
Sostituisco nella mia eq. differenziale:
x2 u00 + xAu0 + bu = 0
x2 u00
=
∞
X
= cn (α + n)(α + n − 1) +
X
n
n=0
(4.264)
an xn
X
cr (α + r)xα+n
(4.265)
r
!
=
X X
n
an−r (α + r) xα+n
(4.266)
r
!
0
xu
=
X X
n
bn−r cr
xα+n
(4.267)
r
sostutuisco tutto ottenendo:
"
#
n
X
X
α
n
x
x cn (n + α)(n + α − 1) +
(an−r cr (r + α) + br−n cr = 0 (4.268)
n
r
quindi ddevono annullarsi tutti i cofficienti della serie. Ho due casi per n = 0
e n > 0.
4.15. RISOLUZIONE EQ. DIFFERENZIALI CON SINGOLARITÀ FUCHSIANE73
n=0
Trovo un andamento logaritmico
n>0
i cn devono essere NON nulli altrimenti ho una eq. algebrica di secondo grado
in α risolvendola ho due radici, in funzioni delle quali posso ricorstruire per
ricosrsione dei i coefficneti cn a partice dal c0 scelto in modo arbitrario. Il che
non ha senso. Quindi ottengo:
cn [(n + α) + a0 (n + α) + b0 ] = −
n−1
X
an−r cr (r + α) + br−n cr
(4.269)
r=0
per n =0 ho che :
α(α − 1) + αa0 + b0 = 0 = ϕ(α)
(4.270)
la posso scrivere in funzione delle sue due radici α1 e α2 :
ϕ(α + n) = (α − α1 + n)(α − α2 + n)
ϕ(α1 + n) = n(n + α1 − α2 ) (4.271)
ϕ(α2 + n) = n(n + α2 − α1 )
(4.272)
quindi per α1 − α2 6= n ∈ N ho i coefficienti:
Pn−1
− r=0 an−r cr (r + α) + br−n cr
(1)
cn =
n(n + α1 − α2 )
−
(4.273)
Pn−1
an−r cr (r + α) + br−n cr
(4.274)
n(n + α2 − α1 )
P
Il raggio di convergenza della n cn xn è non nullo. Nei casi della meccanica
quantistica α1 − alpha2 è solitamente intero. Qindi si può dimostrare che la
soluzione dell’equazione con singolarità fuschisiana nell’origine per α1 − α2 ∈ N
è del tipo:
c(2)
n =
y(x) = xα1
r=0
+∞
X
n=0
4.15.1
cn xn log x + xα2
+∞
X
dn xn
(4.275)
d=0
Caso particolare Eq. Radiale per potenziale Coloumbiano
Come già visto precedentmente l’equazione differenziale per trovare la funzione
radiale è del tipo:
2
h̄2 d2 y(r)
h̄ l(l + 1) b
−
+
+ U (r) y(r) = W y(r)
(4.276)
2m dr2
2mr2
La riporto nella forma 4.259 quindi scrivo:
l(l + 1) 2m b
d2 y(r)
2m
+ −
− 2 U (r) + 2 W y(r) = 0
dr2
r2
h̄
h̄
(4.277)
74
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
considero il caso del potenzile coloumbiano:
U (r) =
Ze2
r
l(l + 1) 2m Ze2
d2 y(r)
2m
+ −
− 2
+ 2 W y(r) = 0
dr2
r2
h̄ r
h̄
(4.278)
(4.279)
è una ipergemetrica confluente, nel senso che c’è na singolarità fuchsiana nell’origine e ci sino altre 2 singolaità che confluiscono a infinito. Eseguo le seguneti
sostituzioni:
p
2m |W |
ρ = 2kr
k=
(4.280)
h̄2
raggiungo la ipergemetrica conflunete:
l(l + 1) 1
d2 y(ρ)
mZe2
−
+
−
y(ρ) = 0
dρ2
ρ2
4
h̄2 kρ
(4.281)
dove sono di notevole importanza le seguenti grandezze:
mZe2
Z
=ζ= 2
a0 k
h̄ k
dove a0 è il raggio di Bhor a0 =
4.16
(4.282)
h̄2
me2
Effetto Zeeman
Scrivo l’Hamiltoniano di Iterazione elettromagnetica
"
#
2
b2
p
e
Z(r)
e
→
−
b =
H
−
− A( x , t) =
2m
r
c
"
#
− →
−
e2 Z(r)
e →
pb2
=
−
−
L·B
2m
r
2me c
(4.283)
→
− →
−
Mi metto in un sistema di riferimento tale che B || L allineato con l’asse z allora
b con la
se prendo uno stato ψt ∈ Sl m posso andare a sostituire l’operatore L
sola componente Lz e quindi essendo un operatore autoggiunto in Slm posso
sostituire l’azione dell’operatore con il suo autovalore:
"
#
2
b2
p
e
Z(r)
eB
h̄m
0
b =
H
−
−
·
(4.284)
2m
r
2me c
applico lo stato:
eB0 h̄m
Wnlm unlm = Wnl −
2me c
(4.285)
quindi se ho due stati:
ν=
Wnlm − Wn0 l0 m0
wnl − Wn0 l0
eB0
=
+
(m − m0 )
h
h
4πme c
(4.286)
4.17. INTRODUZIONE DELLO SPIN
4.16.1
75
Precessioni di larmor
Applico il th di erenfest all’hamiltoniano:
b2
→
−
b = p + U (r) − µ
H
b· B
2m
b i it
1
dhL
=
dt
ih̄
e
−
2me c
X
[Li , Lj ]Bj
(4.287)
(4.288)
j
[Li , Lj ] = −ih̄ijh Lh
(4.289)
b i it
−
dhL
e →
−
b t=→
bt i
=−
B × hLi
ω × hL
dt
2me c
(4.290)
sostituisco e ottengo
4.17
Introduzione dello spin
Rappresetazione in modo irriducibile degli operatori Un operatore in H è rappresentato in modo iriducibile se NON esiste un sottospazio S ⊂ H tale che
venga lascaito invariante dall’operatore stesso.
4.17.1
L’operatore di traslazione
(Tb)(a)f )(x) = f (x − a) = f 0 (x)
(4.291)
Lo posso scrivere come esponenziale. L’esponente è la funzione generatrice
della trasformazione:
∂
(T (a)f )(x) = (e−a ∂x f )(x)
(4.292)
sviluppo in serie di taylor:
∂
1
Tb(a) = Ib − a
+
∂x 2!
∂
∂
a
a
···
∂x
∂x
(4.293)
stoppo al prim’ordine:
(T (a)f )(x) = f (x) − a · gradf (x)
(4.294)
∂
però p = −ih̄ ∂x
quindi posso riscrivere Tb come:
i
Tb(a) = e− h̄ a·bp
Conto strano sulla definizione di P
(4.295)
76
4.18
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Th di Von Neumann
-) operatore creazione;
1
b
a† = √
2
αb
x−i
pb
αh̄
(4.296)
-) operatore di distruzione:
1
b
a= √
2
pb
αb
x+i
αh̄
(4.297)
-) Non commutano b
a† e b
a
[b
a† , b
a] = 1
(4.298)
-Noto che invece: b
a† b
a è definito positivo e autoggiunto Suppongo che esita un
autovalore λ tale che: (andrebbe dimostrato con le deduzioni dal th. spettrale)
b
a† b
aΦλ = λΦλ
(4.299)
applico l’operatore di distruzione:
b
a† b
a(b
aΦλ ) = (λ − 1)Φλ
(4.300)
arrivo al punto tale che applicato S volte l’operatore b
a alla S + 1 volta ho autovalore nullo. Quindi applicando creazione e distruzione posso ricostruire tutti
gli autovalori del mio sitema.
Di particolare interesse sono gli autostati di b
a† b
a normalizzati. Facendo semplib
cemnte la norma trovo che gli autostati di N sono:
Φn =
(b
a† )n Φ0
√
n!
(4.301)
dove ||Φ0 || = 1 quindi per avere una rappresentazione irriducibile degli operatori b
a† b
a devo limitarmi al sottospazio generato dai {Φn } definiti precedentente.
Ma dato che gli operatori b
a† e di b
a sono stati costruiti con gli operatori x
b e pb
se mi restringo a lavorare nello spazio generato dai {φn } allora ho rappresentazioni irriducibili anche per l’operatore posizione e per l’operatore momento.
Gli operatori di posizione e di momento sono rappresentati come:
4.19
Omesse
1
x
b = √ (b
a+b
a† )
2α
(4.302)
αh̄
pb = √ (b
a−b
a† )
2 2
(4.303)
varie rappresentazioni matriciali
4.20. OSCILLATORE ARMONICO
4.20
77
Oscillatore armonico
2
b = pb − 1 mω 2 x
H
b2
2m 2
(4.304)
2 2
h̄2 α2 † 2
b = − α h̄ ((b
H
a† )2 + (b
a)2 − b
ab
a† − b
a† b
a) +
((b
a ) + (b
a)2 + b
ab
a† + b
a† b
a)
4m
4m
1
1
b+1
h̄ω(b
a† b
a+b
ab
a† ) = h̄ω(2b
a† b
a + 1) = h̄ω N
2
2
2
(4.305)
dove nell’ultima formula per far uscire l’operatore numero è stata usata la
propietà 4.298 degli operatori di cre e dist. quindi le autofunzioni le ricavo
usando il teorema di Von neumann:
1
1 d
√
αx +
φ0 = 0
(4.306)
α dx
2
αx = ξ
d
ξ+
φ0 = 0
ξ
φ0 (ξ) = Ce
ξ2
2
(4.307)
(4.308)
normalizzo:
Z
2
hφ0 |φ0 i =
|φ| dξ =
R
1 2 √
C
π
α
quindi l’autofunzione normalizzata è:
r
α ξ2
φ0 = √ e 2
π
Poi sapendo la 4.301 ricavo tutti gli stati!
r
ξ2
1
α
d
φn = √ (b
a† )n φ0 = √ 2n (ξ − )n e− 2
dξ
π2
n!
4.21
(4.309)
(4.310)
(4.311)
Composizione momenti angolari
Tutta la toeira fatta fin’ora però contiene ancora approssimazioni abbastanza
pesanti. Infatti si ricolrda che nelal struttura dlineata fin’ora non compare la
struttura fine dello spettro dell’idrogeno. Quindi bisognerà migliorare questo
aspetto.Bisognerà introdurre un nuovo operatore tra quelli fondamentali quindi
avremo che gli operatori fondamentali su cui costruire tutto sono i seguenti:
x
b, pb, Jb
(4.312)
78
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
con le seguenti proprietà di commutazione:
[Ji , Jh ] = ih̄ijk Jk
(4.313)
[Ji , xh ] = ih̄ijk xk
(4.314)
[Ji , ph ] = ih̄ijk pk
(4.315)
Con questa base cerceremo inizialmente di ricostruire in modo più generale la
teoria della particella libera. ponsidero:
→
−
→
− →
−
J = L+S
(4.316)
noto che sostituendo:
[Lh + Sh , Lk + Sk ] = ih̄hkf (Lf + Sf )
(4.317)
[Lh , Sk ] = 0 perchè L è costruito con gli operatori x e p e sapendo che S
commuta con x e con p allora commuterà anche con L
[Sh , Sk ] = ih̄Sf
(4.318)
da questo noto che S è un operatore di momento angolare! Infatti si comporta con le stesse regole di commutazione di un comune operatore di momento
angolare, in più commuta con x e con p. Questo momento angolare non ha nulla a che fare con la parte di momento angolare orbitale, quindi lo chiamo
Momento angolare intinseco costuisco l’operatore S 2 definito come
X
S2 =
Sh2
(4.319)
h
2
S commuta sia con l’operatore posizione che con l’opperatore momento angolare. Questo perchè [S 2 , Sh ] = 0 Quindi i miei 3 operatori fondamentali che
userò per costruire tutto sono i seguenti:
c
x
ch , pc
h , Sh
(4.320)
Lemma di Jule: Un operatore commutante con un sistema irriducibile di
operatori autoaggiunti può avere un solo autovalore ed è multimplo dell’identità:
Sb2 = h̄2 γ Ib
(4.321)
Teorema di composizione:
Hp: sia dato un operatore autoggiunto in un certo spazio di hilbert H finito
dimensionale, tale che soddisfi le seguenti ipotesi:
[jh , jk ] = ih̄jf
X
jb2 =
j2
(4.322)
h
(4.323)
h
i
jb2 , jh = 0
(4.324)
h
b
e la rappresentazione di j è irriducibile : j 2 = h̄2 γ I;
allora si ha che:
γ = j(j + 1)
(4.325)
4.21. COMPOSIZIONE MOMENTI ANGOLARI
79
cioè vanno bene solo i valori semi-interi !
Dim: (solo accenno)
[jz , j± ] = ±h̄j±
(4.326)
j+ j− = j 2 − jz2 + h̄jz
(4.327)
costruisco
2
j− j+ = j −
jz2
− h̄jz
(4.328)
I loro aggiunti poi si scanbiano tra loro.. come avveniva per creazione - distruzione
jz j+ |u >= h̄j+ + h̄uj+ |u >= h̄(u + 1)j+ |u >
(4.329)
jz j− |u >= h̄(u − 1)j+ |u >
(4.330)
scelgo di volere gli stati normalizzati
hu |ui = 1
2
2
(4.331)
1
||j+ |u >|| = |K+ (λ, u)| = h̄(λ − u2 − u) 2
(4.332)
quindi ho il primo vincolo:
λ − u2max − umax ≥ 0
(4.333)
sviluppo analogo per j− e ottngo il seguente vincolo:
λ − u2min − umin ≥ 0
risovo il sistema:
λ − u2min − umin ≥ 0λ − u2min − umin ≥ 0
(4.334)
(4.335)
ottenendo:
umax = N2
umin = − N2
e i λ saranno:
λ = u2 + u = u(u + 1)
(4.336)
la dimensione totale dello spazio è dim = (2u + 1)
q.e.d
Ora ho il problema che i vari operatori sono rappresentati per mezzo di x e
p che sono operatori con dominio tutto L2 (R) ma l’operatore S ha come dominio uno spazio di hilber finito di dimensione 2s + 1. Se prendo come ambiente
80
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
di lavoro tutto L2 (R) vedo che ho sottospazi invarianti quindi non ho rappresentazioni irriducibili dei miei operatori. L’unico modo è di considerare degli
stati fattorizzati:
∼
∼
2
3
dove: g (x) ∈ L (R )
g = g (x)b
(4.337)
2s+1
(4.338)
b∈C
se faccio il prodotto scalare tra due stati definiti nel modo precednete ho che:
hg |f i = hg |f i L2 (R3 ) ha |bi C2s+1
(4.339)
Quindi l’autospazio che usiamo come dominio per i nostri operatori è dato dal
prodotto tensore di:
L2 (R3 ) ⊗ C2s+1
4.21.1
(4.340)
Il proiettore Sz
Dovrei definire un metodi di misura della mia osservabile legata all’operatore
Sz questo lo faccio definendo un proiettore quindi:
Sz 2
P (Sz = h̄s, t) = Eh̄s
(4.341)
e il valor medio:
Z
< ψt |Sz |ψt >=
Z
2
|ψ1 (x, t)| h̄s + · · · +
R
2
|ψ2s+1 (x, t)| (−h̄s)
(4.342)
R
Ora da punto di vista fisico la dinamica del sistema mi vene descritta dall’hamiltoniano con anche la parte di spin
b2
b = P +U
b (r) + Hspin (b
b
H
x, pb, S)
2m
(4.343)
quindi l’equazione di Schrodinger verrà scritta per un oggetto con 2s + 1
componenti. L’elemento che definisce lo stato in questo spazio è detto spinore.


ψ1


..
ψs,t = 
(4.344)

.
ψ2s+1
Tutti i problemi ora sono legati in questo modo. Hspin da poco contibuto, è
una parte molto piccola dell’hamiltoniano, quindi per iniziare questa trattazione possiamo trattare i problemi in questo modo: Eliminiamo il termine di
Hamiltoniano di spin riducendoci a lavorare sempre col solito Hamiltoniano:
b2
b (r)
b = P +U
H
2m
(4.345)
ma ambiento il tutto nello spazio L2 (R3 )⊗C2s+1 Quindi avrò che di interezzante
b (momento angolare orbitale) la cui dinamica sarà
ci saranno gli operatori L
4.21. COMPOSIZIONE MOMENTI ANGOLARI
81
bz e L
b 2 . Inizio a
descritta dai risultati che si troveranno per gli operatori L
b nell’autospazio di Sz
considerare di trovare le autofunzioni di H




ψ1
0




..
(4.346)
h̄s  ...  · · · · · · · · · (−h̄s) 

.
0
ψ2s+1
L’autospazio del mio operatore Hamiltoniano sarà di questo tipo:
y(r)
Sl,m,ms =
Ylm (θ, φ)vms (ω)
r
(4.347)
cove con ω si intendo una targhetta data all’autofunzione che descrive la parte
in più legata alla presenza degli operatori Sx , Sy ed Sz . Il problema è identico a
quello precednete solo che AUMENTA in modo determinate la degenerazione.
Se uno stato ha autovalore s la degenerazione aumenta di un fattore (2s + 1).
La degenrazione totale sarà quindi (2s + 1)n2 Per uno stato ad autovolare 21
ho che la degenerazione totale è 2n2
Ricordando che :
h̄
0 1
0 −i
1 0
Sy =
Sz =
(4.348)
Sx =
1 0
i 0
0 −1
2
Cerchiamo ad esempio l’autospazio dell’operatorio Sx
h̄
0 1
f1 (x)
f1 (x)
b
b
Sx f = Sx
=
1 0
f2 (x)
f2 (x)
2
(4.349)
h̄2
f1 = λf2 = λ2 f1
4
quindi ottengo λ = ± h̄2 quindi due autovettori, per l’autovalore + h̄2 ho
f (x)
h̄
normalizzando gli stati:
mentre per l’autovare − 2 ho
−f (x)
!
!
f (x)
√1
2
√1
2
f (x)
(4.350)
√1
2
− √12
f (x)
f (x)
(4.351)
Notare come questi elementi sono elementi che stanno in L2 (R3 ) ⊗ C2
4.21.2
Misura a valore di proiettore
Calcolo i valori medi di Sx Sy ed Sz quindi prendo uno ψt (x, ω) ∈ Sl,m,ms ⊂
L2 (R3 ) ⊗ C2s+1 con m = ± 12 . Caloclo il valor medio:
Z
Z
h̄
h̄
2
2
< ψt |Sz |ψt >=
|ψ1t | d3 x −
|ψ2t | d3 x
(4.352)
2 R3
2 R3
dato che i nostri stati sono costruiti in modo tale che:
Z
2
2
||ψt || = 1
|ψ1 | + |ψ2 | d3 x
R
(4.353)
82
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
ho direttamente i valori dei proiettori di Sz e quindi delle distribiuzioni di
probabilità annesse:
Z
h̄
2
P (Sz = ) =
|ψ1t | d3 x
(4.354)
2
R3
Z
h̄
2
|ψ2t | d3 x
(4.355)
P (Sz = − ) =
2
3
R
che è quindi il vlalor medio di Sz posso rischreverlo con la sua rappresentazione
spettale:
bz=
hSi
h̄ b Sz h̄ b Sz
E h̄ − E− h̄
2
2 2
2
(4.356)
Lo stesso procedimento lo si usa anche per Sx e Sy solo che le loro distibuzioni di
probabilità vengono molto più complicate in quanto entrano in gioco anche dei
meccanismi di interferenza che sono evidenti nella scrittura finale qui esposta:
Z
1
h̄
∗
∗
=
1 ± i (ψ1 ψ2 − ψ1 ψ2 )dx
(4.357)
P Sx = ±
2
2
R
→
−
−
Momento angolare con direzione arbitaria Sb · →
n Definisco:
h̄
nz
nx − iny
−
Sb · →
n =
(4.358)
n
+
in
−nz
2
x
y
cerco gli autovettori di questo operatore relativi agli autovari, quindi imposto
h̄
−
S→
nψ = ± ψ
2
(4.359)
scrivo in forma matriciale, le costanti se ne vanno, risolvo e ottengo come
autovettori.
 q



n −in
1+nz
− √12 √x1+n y
2
z
 nx +iny 
 q

(4.360)
1+n
q
nx +iny
2
z
2
h̄
2
− h̄
2
per ottenere poi le varie componenti e distribuzioni di probabilità applico il
proiettore allo stato.
P (Sn =
h̄
1 + cos ϑ
, t) =
2
2
(4.361)
Ho la probabilità in funzione di ϑ
Se proprio devo scegliere come orientare il mio sistema di riferimento allora
un buon criterio è quello di passare attraverso l’operatore di elicità che è
definito in questo modo:
1 Sb · pb
Sbp =
h̄ |p|
in questo modo oriento il sistema lungo la direzione di moto.
(4.362)
4.22. CAMPO DI DIRAC
4.22
83
Campo di Dirac
-)introduzione dell’hamiltoniana di Spin, collegamento al campo magnetico,
precessione di T homas (correzione relativistica)
Hspin = −
ω=−
→
−
e
−
gj B · S = →
ω ·S
2me c
e
v
a×v
gj (B + × E) +
2me c
c
2c2
(4.363)
(4.364)
Faccio conti arrivo all’iterazione spin-orbita
Hspin =
4.23
e
1 dU
1
(gs − 1)
ds B · S +
L·S
2
2
2me c
2me c
r dr
(4.365)
Composizione di momenti angolari
Ho due momenti angolari j1 e j2 voglio trovare il momento angolare composto
J = j1 + j2 .
(4.366)
Questo problema va inizialmente impostato sulla base degli operatori di cui
abbiamo studiato lo spettro nei paragrafi precedenti cioè considerando:
j12 7→ h̄2 j1 (j1 + 1) ; j1z 7→ h̄m1
j22
2
7→ h̄ j2 (j2 + 1) ; j2z 7→ h̄m2
(4.367)
(4.368)
la dimensione dello spazio di hilbert di questo stati è:
|m1 , m2 >7→ (2j1 + 1)(2j2 + 1)
(4.369)
applico loperatore composto Jz definito come Jz = j1z + j2z allo stato:
Jz |m1 , m2 >= h̄(m1 + m2 )|m1 , m2 >= h̄mJ |m1 , m2 >
(4.370)
Parto dall’autovalore maggiore:
mJ = j1 +j2 =⇒ spazio con degenerazione 1 perchè posso rappresentarlo solo come
|j1 , j2 > prendo l’elemento subito inferiore:
mJ = j1 + j2 − 1 =⇒ |j1 − 1, j2 > ; |j1 , j2 − 1 > =⇒ dim(Sln,ms ) = (24.371)
e così via...
mJ = j1 + j2 − 2 =⇒ dim(Slm,ms ) = 3
(4.372)
Ora trovo gli autovalori di J 2 :
J 2 = (J1 + J2 )2
[J 2 , Jz ] = 0
|j, mj >
|J1 , J2 >= |j1 + j2 , j1 + j2 >
(4.373)
(4.374)
84
CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA
Uso l’operatore di salita e discesa a mio piacimento per posizionarmi sugli stati
che mi interessano! Quindi definisco:
p
J± |j, m >= h̄ (J ∓ m)(J ± m + 1)|J, m ± 1 >
(4.375)
in analogia:
p
J− |j1 + j2 , j1 + j2 >= h̄ 2(j1 + j2 )|j1 + j2 , j1 + j2 − 1 >
(4.376)
Isolo lo stato che mi interessa:
1
J− |j1 + j2 , j1 + j2 >
|j1 + j2 , j1 + j2 − 1 >= p
h̄ 2(j1 + j2 )
(4.377)
Ma J− = j1− + j2−
N.S.
=
=
(j1− + j2− )|j1 + j2 , j1 + j2 >
1
p
= p
(J1− |j1 ; j1 , j2 , j2 > +J2− |j1 ; j1 , j2 , j2 >) =
h̄ 2(j1 + j2 )
h̄ 2(j1 + j2 )
s
s
j2
j1
|j1 + j2 − 1, j1 + j2 − 1 >=
|j1 − 1, j2 > +
|j1 , j2 − 1 >
(4.378)
j1 + j2
j1 + j2
dove è stato fatto un passaggio considerevole nel dire. Preso lo stato degli
stati accoppiatti |j1 + j2 , j1 + j2 > posso ugualmente ricondideralo nello spazio
dei momenti angolari disaccoppiati e scrivere: |j1 ; j2 , j1 ; j2 > I coefficienti di
cambio di base, dalla base dello spazio dei momenti angolari disaccoppiati alla
base dei momenti angolari accoppiati sono i seguenti e sono i coefficienti di
Clebsch-Gordan:
s
s
j2
j1
K1 =
K2 =
(4.379)
j1 + j2
j1 + j2
4.24
Sistemi di due particelle
L’hamiltoniano che descrive il sitema è sostanzialmente questo:
e2
b = pbn + pbe −
b spin (pn , pe , xe , xn , Se , Sn )
H
+H
2mn
2me
|b
x1 − x
b2 |
(4.380)
Ci saranno interazioni Spin-Orbital o Spin-Spin. Tolgo come sempre la parte
piccola di interazione quindi rununzio a studaire la stuttura fine (data dall’interazione Spin-Orbita) e la struttura Iperfine (data dall’interazione Spin-Spin)
dello spettro dell’idrogeno. Effettuo un cambiamento di variabili:
X=
me xe + mn xn
me + mn
x = xe − xn
(4.381)
Quindi:
xe = X +
mn
x
me + mn
xn = X −
me
x
me + mn
(4.382)
Passando da un isotopo all’altro, ho problemi legati anche alla trattazione
dello spin, ma nella trattazione seguente trascuriamo tutti questi effetti, quindi
questo noi lo trattiamo solo come una variazione di massa del nostro nucleo.