KURDISTAN Il Kurdistan, la "Terra dei Curdi", occupa una vasta area montuosa di circa 475.000 chilometri quadrati, pari a una volta e mezzo l'Italia, ed estesa tra il Mar Nero, le steppe della Mesopotamia, I'anti-Tauro e l'Altopiano iranico. Attualmente divisa tra Turchia, Iran, Irak, Siria e, in minima parte, tra le ex repubbliche sovietiche di Azerbaigian, Armenia e Georgia, nel corso dei secoli la regione del Kurdistan non è mai riuscita a rendersi indipendente dall'influenza culturale, religiosa e politica di Persiani, Arabi e Turchi. La morfologia del territorio, costituita da alte montagne e profonde vallate scavate dai fiumi e ricoperte da una fitta e impervia vegetazione, ha tuttavia reso assai difficile in passato (e anche nel presente) l'accesso al Kurdistan dal bassopiano mesopotamico, mentre la peculiare condizione di isolamento geografico che ne è derivata ha favorito lo sviluppo di un'etnia con caratteri propri e differenti da quelli delle popolazioni vicine. Territorio ricco di risorse naturali, quali acqua, petrolio e minerali, il Kurdistan è soggetto a notevoli cambiamenti climatici man mano che ci si sposta dalle fredde regioni montuose (situate per lo più nella Turchia nord-orientale) alle temperate valli mesopotamiche. Anche la vegetazione varia con l'altitudine: nelle zone più elevate si trovano le praterie; sull'altopiano e sulla media montagna vi sono foreste e boschi di querce; nelle zone più basse e ricche d'acqua le coltivazioni di alberi da frutto, viti, riso e cotone. In mancanza di statistiche demografiche precise, si ritiene che la popolazione curda conti all’incirca 25 milioni di individui (in particolare concentrati in Iran, Irak e Turchia), ma la cifra è probabilmente inesatta per difetto. La lingua curda deriva dal ceppo iranico delle lingue indoeuropee ma nel corso dei secoli l'unità linguistica originaria si è spezzata, frammentandosi in due idiomi principali (il kurmangi e il sorani) e in numerosi altri dialetti. Anche sul piano religioso non vi è omogeneità tra gli abitanti del Kurdistan poiché, pur essendo in larga parte musulmani, i Curdi sono tuttavia divisi al loro interno da correnti e sette differenti e spesso in contrasto tra loro. Nel corso dei secoli inoltre molti Curdi si sono convertiti al cristianesimo e alla religione ebraica. STORIA CHI SONO I CURDI? Gli studi storici individuano le origini del popolo curdo in un complesso sistema di incroci culturali ed etnici, favorito dalla particolare posizione geografica del Kurdistan, da sempre territorio di confine tra imperi e regni spesso in lotta tra loro. Persiani e Arabi in particolare, attraverso le varie epoche, portarono le loro lingue e culture nei territori conquistati incrementando la compenetrazione delle popolazioni. Nonostante i condizionamenti provenienti dall'esterno e malgrado la diversificata composizione etnica del territorio, fin dai tempi più antichi viaggiatori e studiosi che visitarono il Kurdistan hanno riconosciuto al popolo curdo un'identità specifica. Presumibilmente, al tempo della conquista islamica, il nome curdo veniva usato per indicare le tribù nomadi dell'Altopiano iranico occidentale e alcune tribù mesopotamiche, molte delle quali di origine semitica. Dall'XI secolo viaggiatori e storici utilizzarono questo termine come sinonimo di "brigante", consuetudine che rimase in voga sino al XIX secolo. Già verso la metà del Settecento tuttavia, con il nome curdo veniva indicato anche il membro di una tribù di lingua curda. I tratti originali del popolo curdo si rilevano nell'organizzazione sociale e politica: la trasmissione dei valori e del potere, la condizione della donna e la ripartizione dei ruoli all'interno della famiglia, la struttura stessa della società, organizzata attorno ad una élite tribale nomade che domina sui sedentari abitanti dei villaggi, sono tutti elementi che contribuiscono a fare dei Curdi un'etnia ben distinta tra le popolazioni dell'Asia occidentale. I conflitti di interesse tra tribù e le relazioni di sfruttamento tra gruppi dominanti e strati subalterni hanno tuttavia diviso a lungo la società curda, impedendo la formazione di intese durature capaci di dare vita a difese collettive contro i pericoli esterni. La mitologia ha assunto particolare importanza nello sviluppo culturale di questo popolo, mantenendo vivi alcuni elementi in cui esso si riconosce e su cui fonda il proprio senso di appartenenza e la propria identità. Radicati nel mito di un antico passato comune, molti gruppi tribali curdi tramandano la propria storia legandola ad una catena di antenati leggendari che spesso risale ad un eroe del periodo preislamico o ad un discendente del Profeta Muhammad (Maometto). Vi sono leggende iraniche in versione curda giunte fino a noi come quella di Zahhak, il tiranno dalle cui spalle crescevano serpenti. Non riuscendo i medici di corte a curare questa deformità, un giorno Satana andò da lui e gli disse: "Se nutrirai i serpenti ogni giorno con due cervelli di fanciulli, guarirai". Così ogni giorno un servo doveva uccidere due fanciulli e portare i loro cervelli a Zahhak. Ma il servo, impietosito dalle sue vittime, ogni giorno risparmiava un fanciullo sacrificando al suo posto una pecora. I fanciulli sopravvissuti si nascosero sulle montagne, dove fondarono una nuova stirpe, da cui derivarono i progenitori dei Curdi. La leggenda dice anche che alla fine il tiranno Zahhak fu ucciso da una delle vittime designate, il cui coraggio fu tramandato al popolo curdo. Ancora oggi i Curdi celebrano questi avvenimenti nella loro festa di Capodanno, il Newroz. Un altro mito tradizionale racconta che quando l'arca di Noè, dopo il diluvio universale, si fermò sulla cima del monte Ararat in Irak, 4490 anni prima della nascita di Maometto, in quel luogo venne fondata una grande città governata da Melik Kurdim, della tribù di Noè. Egli, raggiunta l'età di 600 anni, inventò una nuova lingua che la sua gente chiamò kardim, la "lingua dei Curdi". È grazie anche a leggende come queste se oggi i Curdi, nonostante le numerose differenze interne e le divisioni imposte dall'esterno, costituiscono una vera "nazione" in senso etimologico, con tradizione e cultura specifiche e riconoscibili. IL KURDISTAN NELL’ANTICHITA’ Popolazione presente in almeno sette stati differenti (Turchia, Irak, Iran, Siria, Azerbaigian, Armenia e Georgia), i Curdi rappresentano oggi una delle nazioni più travagliate della storia. Il loro stesso nome e i limiti geografici del territorio ove risiedono sono oggetto da sempre di dibattiti interminabili. Ciononostante, per i Curdi il "Grande Kurdistan" si estende dal Mar Mediterraneo al Golfo Persico, comprendendo così una parte del Medio Oriente abitata fin dall'antichità da popolazioni molto differenti tra loro. Proprio per questo le origini dei Curdi sono così incerte. Secondo alcuni studiosi, già nel 12.000 a.C. le zone montagnose del Kurdistan erano abitate da tribù di pastori nomadi e da popolazioni sedentarie dedite alla coltivazione di cereali (grano orzo, avena, segale), mentre la lavorazione dello stagno avrebbe fatto la sua comparsa nel Kurdistan turco verso il IV millennio a.C. (…) Già allora noti per il loro valore militare, i Curdi sono citati esplicitamente per la prima volta con il nome di Karduchoi, e descritti come un popolo bellicoso e indomito, dallo storico greco Senofonte nella sua Anabasi (IV sec. a.C.) (…) Convertitisi all’Islam, i Curdi apportarono il loro contributo alla civiltà musulmana in campo astronomico, matematico, artistico (…), e soprattutto militare. (…) IL KURDISTAN DURANTE LA DOMINAZIONE OTTOMANA Nella prima metà del XVI secolo buona parte dei territori abitati dalla popolazione curda caddero sotto il controllo dei Turchi ottomani, un popolo nomade originario del Turchestan, il cui vasto impero si estendeva dalle coste del mar Adriatico alle regioni desertiche della penisola arabica. (…) Nei territori dell’Impero Ottomano e in quello Persiano si diffusero i primi germi del nazionalismo curdo. Nel 1878, chiamando a raccolta le popolazioni curde presenti nei due imperi, lo sheikh Obaidullah di Shemdinan proclamava: "La nazione curda è un popolo a sè. La sua religione è differente e le sue leggi e i suoi costumi sono diversi". (…) IL CROLLO DELL’IMPERO OTTOMANO E IL PRIMO DOPOGUERRA Entrato in guerra a fianco di Germania e Austria nell'ottobre del 1914, l'esercito ottomano si mostrò del tutto impreparato ad affrontare una guerra moderna. (…) Messo in ginocchio dalle offensive alleate e dalle rivolte interne, il 30 ottobre 1918 l’Impero Ottomano firmava l’armistizio, precedendo di pochi giorni la resa dell’Austria e della Germania. (…) Gli articoli 62, 63 e 64 del trattato di Sèvres (10 agosto 1920) successivo alla guerra erano specificatamente incentrati sui diritti del popolo curdo e prevedevano la formazione di uno stato nazionale curdo, benché limitato alle regioni montuose ad est del fiume Eufrate, nell'odierna Turchia meridionale. (…) Il 24 luglio 1923 si giunse alla stipulazione del nuovo trattato di Losanna, che prevedeva alcune rettifiche territoriali a vantaggio della Turchia e non faceva parola dei Curdi e dei loro diritti nazionali, neppure in quanto minoranza etnica all'interno del paese. Fra tutti i soggetti all'Impero Ottomano dunque, solo ai Curdi venne negato ogni riconoscimento politico e, smembrati prevalentemente tra Irak, Iran, Siria e Turchia, si trovarono legati alla storia di questi paesi, la cui dura politica repressiva mirava a mantenere sotto controllo le risorse naturali (petrolio innanzitutto)abbondantemente presenti nella regione del Kurdistan. (…) IL KURDISTAN TURCO Durante la rivoluzione che tra il 1921 e il 1923 portò al potere Mustafà Kemal, i Curdi offrirono il loro appoggio ad Ataturk ("padre dei turchi" come venne soprannominato Kemal), il quale, dopo essersene servito per liberare il suolo nazionale dalle truppe di occupazione greche, inglesi e francesi, si rivolse contro coloro che fino a poco prima erano stati definiti "fratelli ed eguali" soffocandone ogni aspirazione nazionalista. Furono emanate leggi che vietavano la lingua, le scuole, le associazioni, le pubblicazioni e le confraternite religiose curde; ai Curdi venne proibito anche di indossare gli abiti tradizionali. La rivolta dello sheikh Said di Piran, che nel 1925 interessò un terzo del Kurdistan turco, inaugurò una lunga serie di sollevazioni (e tra queste la ribellione del famoso guerriero Yado) che in nome del nazionalismo curdo costellarono la storia della Turchia per tutti gli anni Trenta. Il governo di Ankara reagì con l'adozione di una legislazione d'emergenza e diede il via ad una spietata repressione: centinaia di villaggi nelle regioni orientali del paese furono rasi al suolo, la popolazione deportata nell'Anatolia occidentale, mentre nella cittadina di Diyarbakir venne istituito un apposito tribunale speciale che in soli due anni, tra il 1925 e il 1927, ordinò migliaia di arresti ed emise centinaia di condanne a morte. Definiti "turchi di montagna`, i Curdi divennero oggetto di una politica di assimilazione forzata intollerante verso ogni espressione della loro identità culturale. Il ritorno della pace dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale coincise con un allentamento della repressione nelle regioni del Kurdistan turco e molti Curdi collaborarono con le forze progressiste del paese entrando a far parte dei sindacati e dei partiti politici. Nel 1960 tuttavia, un colpo di stato portò al potere i militari, custodi gelosi dell'ideologia kemalista che nella rigida difesa dell'unità territoriale rifiutava qualsiasi soluzione politica della questione curda. Infatti, nonostante la nuova Costituzione redatta nel 1961 concedesse sul piano formale i diritti democratici fondamentali (libertà di stampa, pensiero, associazione), i Curdi ne beneficiarono ben poco poiché la stessa Costituzione, sancendo l'inviolabilità dell'unità statale, vietava l'organizzazione politica delle minoranze religiose, culturali e linguistiche. Una legge emanata nel 1967 stabiliva la pena carceraria per chiunque risultasse in possesso di un libro, un giornale o un disco in lingua curda; mentre un minimo di 5 anni di carcere era previsto dal Codice penale turco per ogni cittadino che partecipasse, in patria o all'estero, ad attività culturali curde. Malgrado ciò, nel corso degli anni Sessanta i Curdi riuscirono ugualmente a stampare pubblicazioni in lingua, mentre dal 1968 le giovani generazioni diedero vita ad associazioni e organizzazioni segrete. Il problema curdo tornò alla ribalta nel 1970, quando il Partito dei Lavoratori Turchi (formazione politica di orientamento socialista), durante i lavori del suo IV Congresso nazionale, lanciò un appello per il riconoscimento del diritto di autodeterminazione del popolo curdo e condannò la politica repressiva del regime. Nel 1971 un nuovo colpo di stato militare spense tuttavia ogni speranza di dialogo e la repressione riprese forza. Questa volta però la resistenza curda iniziò ad organizzarsi in modo da rispondere con maggiore efficacia alla violenza del regime. Nel 1978 Abdullah Ocalan fondava il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), una formazione paramilitare che dal 1984 diede inizio ad una serie di operazioni di guerriglia contro i reparti dell'esercito turco, le forze di polizia e anche i civili curdi che collaboravano con il governo. Convinto sostenitore dell'unità del Kurdistan e noncurante dei confini nazionali tra gli stati entro i quali è tutt'oggi frammentato, Ocalan disseminò le basi del PKK in Turchia, Iran, Irak e Siria. L'Irak settentrionale divenne per Apo ("zio", come Ocalan viene comunemente chiamato) una delle principali roccaforti per lanciare attacchi terroristici in territorio turco. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, la reazione del governo di Ankara si è manifestata con misure repressive che ancora oggi sono in vigore. Contro i guerriglieri del PKK sono stati dispiegati aerei, elicotteri, carri armati e artiglieria, mentre le autorità governative hanno dato il via a numerose operazioni al di là del confine con l'Irak per neutralizzare le basi dei ribelli. Nel 1987 è stato dichiarato lo stato di emergenza in 13 province della Turchia orientale e sudorientale, dove sono state sospese le garanzie costituzionali. Incarcerazioni, torture ed esecuzioni sono all'ordine del giorno e gli stessi avvocati chiamati a difendere i Curdi accusati di crimini politici sono spesso stati condannati per gli stessi reati e gettati in carcere. La partecipazione della Turchia all'Alleanza Atlantica e la presenza di importanti basi militari della NATO nei territori del Kurdistan turco fanno sì che il governo di Ankara abbia ottime carte in mano per impedire qualsiasi ingerenza di paesi esteri nei propri affari interni. Secondo i dati forniti da organizzazioni umanitarie come Amnesty International, le vittime del conflitto hanno raggiunto nel 1998 la cifra di 30.000, In buona parte tra la popolazione civile. (…) IL KURDISTAN OGGI TRA NUOVE SPERANZE E PROBLEMI IRRISOLTI Al termine della Guerra del Golfo, l'istituzione di una zona curda totalmente autonoma nel nord dell'Irak ha portato alla nascita di grandi speranze per le popolazioni del Kurdistan. Se da una parte ciò ha favorito lo sviluppo di un ampio dibattito sui possibili nuovi assetti della regione, dall'altra sono emerse molte difficoltà nell'elaborazione di un programma comune ai vari partiti curdi. E’ necessario innanzitutto premettere che sino ad oggi non è mai esistito un partito rappresentativo di tutti i Curdi. Le frontiere politiche che dividono il territorio del Kurdistan hanno infatti ostacolato la nascita di formazioni politiche unitarie, spingendo le stesse leadership dei vari partiti a concentrarsi sui gravi problemi locali, anteponendoli a quelli generali. Se la questione dei confini nazionali mantiene un ruolo centrale nel dibattito politico tra i partiti curdi, nella pratica essi sono del tutto privi di una strategia comune, ossia di quell'unità di intenti che costituisce la vera forza di ogni movimento nazionalista. L'unico partito che si è palesemente espresso a favore della nascita di uno stato curdo indipendente è stato il PKK, ma tale prospettiva ha ricevuto pochi consensi tra le forze politiche curde irakene, favorevoli piuttosto a progetti di autonomia regionale all'interno dei vari stati nazionali; per non parlare di quelle iraniane, le cui possibilità di interagire all'interro del movimento nazionalista sono pressoché inesistenti a causa della repressione governativa e della fragilità del PDKI, il cui ex leader Sharafkandi (successo a Ghassemlou alla guida del partito) è stato anch'egli assassinato a Berlino nel 1992. Ostacolo per ora insormontabile resta inoltre quello frapposto dai vari governi dell'area che, intenzionati a monopolizzare lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio presenti nel Kurdistan, si sono mostrati sempre contrari ad ogni richiesta di autonomia, privilegiando la sanguinosa strada dell'assimilazione forzata. Anche i recenti sviluppi in seno al PKK, il cui leader Ocalan ha avanzato proposte per una soluzione negoziata del problema curdo in Turchia, non hanno suscitato reazioni positive dal governo di Ankara. In questo clima, la situazione venutasi a creare nell'Irak settentrionale dopo la Guerra del Golfo costituisce un eccezionale passo avanti verso l'affermazione dei diritti democratici nel Kurdistan. Le elezioni del 1992 e la nascita di un governo curdo sul territorio sono stati infatti motivo di orgoglio e speranza per tutte le popolazioni del Kurdistan. Si tratta però di una situazione assai precaria, in parte perché il governo di Baghdad non ha mai riconosciuto la regione autonoma curda costituitasi nel nord del paese, la cui sopravvivenza resta strettamente legata alla protezione fornita dagli aerei dell'ONU; in parte perché i due principali partiti curdi in Irak (PDK e UPK) hanno dato prova nel passato di una litigiosità sfociata nel 1996 addirittura in sanguinosi scontri a fuoco. In quell’occasione. di fronte ad una popolazione curda sgomenta e incredula, l'UPK si era rivolto al vicino Iran per ottenere aiuti militari, mentre il PDK si era addirittura avvalso dell'appoggio di reparti dell'esercito irakeno inviati da Baghdad. Le radici del conflitto sono da rintracciarsi nel forte antagonismo che ha da sempre caratterizzato i rapporti tra i due partiti e che dopo il 1992 si è trasformato in una lotta per il potere all'interno delle neonate strutture governative, cui fa da sfondo il controllo del lucroso commercio di gasolio irakeno che, nonostante le sanzioni imposte dall'ONU al governo di Baghdad, viene venduto illegalmente alla Turchia attraverso il territorio curdo. Solo recentemente i leader dei due partiti, Massoud Barzani e Jalal Talabani, si sono riappacificati e hanno annunciato l'intenzione di indire nuove elezioni nel Kurdistan irakeno. Se in Irak i Curdi hanno avuto la possibilità di dar vita a istituzioni rappresentative sul territorio, in Turchia la repressione governativa non consente nulla di tutto ciò e il movimento nazionalista è stato costretto a formare un Parlamento curdo in esilio con sede a Bruxelles. Esso cerca di portare all'attenzione degli organismi internazionali le istanze curde, ma non detiene naturalmente alcun potere effettivo. Si tratta di un "ponte tra l'opinione pubblica mondiale e la lotta di liberazione nazionale", come si autodefinisce in un documento programmatico inviato on-line, che mantiene relazioni politiche e diplomatiche con alcuni governi e organizzazioni internazionali, cercando di dar voce ai Curdi, in particolare a quelli costretti a vivere fuori dal Kurdistan. Gli obiettivi del Parlamento in esilio non si legano a progetti specifici o a realtà locali ma puntano piuttosto a sensibilizzare i governi e l'opinione pubblica internazionale al drammatico problema del popolo curdo. SOCIETA’ LA POPOLAZIONE (…) Secondo uno studio, svolto dall'Istituto Curdo di Parigi nel 1987, nel territorio del Kurdistan risiedevano circa 20 milioni di Curdi; oggi si ritiene che siano almeno 25 milioni costituendo in tal modo il più grande gruppo etnico al mondo privo di una nazione. LA DIASPORA CURDA Ormai si calcola che circa la metà della popolazione curda sia costretta a risiedere fuori dal territorio del Kurdistan, a causa delle repressioni e deportazioni interne a ogni stato. (…) La repressione attuata in particolare dai governi centrali di Turchia e Irak ha inteso stroncare qualsiasi rivendicazione di autonomia o indipendenza in un territorio ricco di materie prime, e soprattutto di petrolio, fondamentali per le nazioni che lo occupano. Pochi sanno, infatti, che il 70% del petrolio irakeno proviene dal territorio del Kurdistan, mentre in Turchia gli unici giacimenti si trovano nelle aree curde di Diyarbakir e Gazyanteb. Anche nella zona di Kermanshah, nel Kurdistan iraniano, vi sono molti pozzi petroliferi, e alcuni dei più importanti giacimenti siriani sorgono in zona curda. A partire dagli anni 1915-18, in Turchia sono stati uccisi e deportati centinaia di migliaia di Curdi, al punto che oggi alcune stime nazionalistiche curde calcolano che in Turchia abitino 5 milioni di Curdi non risiedenti nel Kurdistan. Le continue repressioni e deportazioni di massa perpetrate a danno dei Curdi in Turchia come in Irak, Siria e Iran, hanno fatto sì che aumentasse a dismisura il numero di profughi emigrati negli stati limitrofi. Quasi mezzo milione di Curdi irakeni si sono rifugiati in Iran negli ultimi trent'anni, mentre circa 200.000 Curdi iraniani sono ospitati dall'Irak. Dal 1988 la Turchia ha aperto le frontiere a 100-120.000 Curdi irakeni, e la Siria a sua volta ha dato asilo ad alcune migliaia di profughi dalla Turchia, e a un migliaio circa di Curdi irakeni, tra cui molti politici. Questi dati possono lasciare sconcertati, poiché difficilmente si comprende come un paese intento a indebolire la comunità curda all'interno dei propri confini sia poi disposto ad accogliere profughi della stessa etnia provenienti dagli stati limitrofi. Le ragioni di questa anomalia vanno cercate nei rapporti che intercorrono tra Turchia, Siria, Iran e Irak. Le ostilità mai sopite tra questi quattro stati hanno fatto dei Curdi una "merce di scambio": dare rifugio a intellettuali e politici curdi dei paesi vicini significa rafforzare le comunità curde di quei paesi e indebolirne i governi.(…) ()uesta situazione paradossale ci fa comprendere come per i Curdi sia quasi impossibile conservare la propria identità nazionale, essendo loro negata non solo la possibilità di autodeterminarsi, ma anche di sopravvivere come gruppo etnico compatto. Proprio questa condizione ha tuttavia rafforzato la consapevolezza e l'unità del popolo curdo, nonché la sua volontà di opporsi alle manovre che vorrebbero cancellarne l'esistenza. LA LINGUA Ogni tentativo fatto dagli stati dominanti per privare i Curdi della loro identità nazionale si è concentrato negli ultimi decenni sull'annientamento della loro cultura, in particolar modo linguistica. Mancando ai Curdi l'unità geografica e statuale, a determinarne l'identità restano soltanto le tradizioni comuni e, soprattutto, la lingua e il patrimonio culturale. La lingua ha avuto il ruolo fondamentale di mantenere viva la coscienza nazionale del popolo curdo; dunque affermare l'originalità dell'idioma curdo, per secoli considerato un confuso e disorganico dialetto persiano, non è importante solo da un punto di vista linguistico, ma anche e soprattutto da quello politico. Si comprende allora chiaramente come Turchia, Siria, Iran e Irak tentino di cancellare la memoria di questa lingua, impedendone la diffusione. In Turchia e in Siria è addirittura proibito stampare, ricevere e conservare pubblicazioni in curdo, e fino a poco tempo fa non era consentito neppure l'ascolto di dischi di musica curda. Nel 1967 la «Gazzetta Ufficiale» turca pubblicò un decreto che proibiva l'importazione dall'estero di qualsiasi materiale - pubblicazioni, dischi o registrazioni - in lingua curda; inoltre, fino al 1992, in Turchia veniva considerato un reato esprimersi in lingua curda. (...) La richiesta da parte dei Curdi di poter frequentare scuole nelle quali venga insegnata la lingua curda, ha dunque un significato di vitale importanza. Fino al Settecento il curdo era considerato un dialetto spurio del persiano, quando, grazie anche all'opera di un linguista italiano, il domenicano Maurizio Garzoni, autore nel 1787 di una Grammatica e vocabolario della lingua Kurda, gli venne riconosciuta la specificità di lingua. Le difficoltà incontrate dai linguisti nel valutare le caratteristiche e le origini della lingua curda dipesero in gran parte dalla mancanza di documenti scritti ai quali fare riferimento, e dalla dispersione della lingua in diversi dialetti. Si è ormai però giunti alla conclusione che il curdo sia una lingua di matrice indoeuropea, come dimostrano alcune somiglianze con altre lingue della stessa famiglia. (...) Il curdo fa parte del ceppo nord-occidentale delle lingue iraniche, con caratteristiche stabili ben diverse dal persiano o da altre lingue mediorientali. Unica fra le lingue del Medio Oriente, è esente da mescolanza di parole arabe, fatta eccezione per quelle riguardanti la religione. (...) LA VITA I rapporti sociali sono del resto, in città come nei villaggi, la spina dorsale della società curda, e vengono anteposti al lavoro. La solidarietà è ciò che unisce il popolo curdo, e si manifesta nelle occasioni di gioia come in quelle di dolore. Dove le comunità sono meno numerose, tutto il villaggio partecipa alle feste e ai funerali, e ogni abitante rispetta i sei giorni di lutto che seguono i decessi, andando a pregare alla moschea con i parenti del defunto. Insieme a questi tutto il villaggio si raccoglie in un corteo funebre, chiamato hotel, che segue il feretro dalla casa al cimitero. Le feste delle comunità contadine curde sono da secoli legate ai momenti più felici del lavoro della terra, come i raccolti. La raccolta delle more, ad esempio, coincide con una festa nel corso della quale si svolge una danza particolare, detta gzidan, che consiste nel battere il terre no attorno agli alberi di more sui quali si arrampicheranno i bambini, che scuotono le fronde per permettere alle donne di raccogliere le bacche. Le comunità montane curde hanno maggiore difficoltà d'accesso all'istruzione e l'analfabetismo è ancora molto diffuso nei villaggi, dove sopravvive tenacemente la cultura popolare, tramandata oralmente da millenni, e affidata sin dai tempi della società tribale ai narratori (cîrokbêg), e ai cantori itineranti (dengêg), che recitavano interminabili leggende e storie d'amore e d'eroismo sulla base di melodie ripetitive. La vita nelle città è logicamente regolata da ritmi diversi rispetto a quella dei villaggi, e la vicinanza con altre culture, soprattutto in quelle città dove la popolazione curda non è maggioritaria, fa sì che parte dei costumi tradizionali vada dispersa. (...) L’EMIGRAZIONE Come abbiamo già avuto modo di notare, circa la metà della popolazione curda risiede in territori esterni al Kurdistan. Oltre a coloro che cercano rifugio nei territori limitrofi (spesso negli stati che occupano il Kurdistan), ve ne sono molti che emigrano verso l'Occidente, e negli ultimi anni l'esodo ha raggiunto proporzioni davvero allarmanti, sia per i paesi che si trovano a dover affrontare questa ondata di emigranti, sia per il Kurdistan stesso, che rischia di vedersi progressivamente privato della parte più giovane e forte della sua popolazione. Già alla fine degli anni Ottanta si calcolava che ben più di mezzo milione di Curdi fossero emigrati verso l'Europa, gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia. In seguito alla Guerra del Golfo e alla distruzione dei villaggi curdi irakeni voluta da Saddam Hussein, le cifre sono spaventosamente aumentate, anche se ovviamente non esistono stime ufficiali. Il massacro perpetrato da Saddam ha infatti attirato l'attenzione internazionale sul problema curdo, e mentre un tempo per i Curdi fuggire all'estero era praticamente impossibile, una volta che i riflettori sono stati puntati sui campi profughi, i governi hanno preferito agevolare la fuoriuscita degli sfollati. (...) Ciò che spesso si dimentica è che i Curdi non sono emigrati economici, non fuggono cioè da un paese povero di risorse, o stremato dalla carestia, oppure distrutto da calamità naturali: fuggono da una terra ricca di petrolio e dal suolo fertile, grazie anche al lavoro che lo stesso popolo curdo ha svolto per secoli nel dissodare e irrigare le terre. La ricchezza del territorio del Kurdistan è del resto una delle principali ragioni per cui la Turchia, la Siria, l'Iran e l'Irak non accettano di concedere l'indipendenza ai Curdi e rifiutano loro persino una qualsiasi forma di autonomia. Dopo decenni di sfruttamento, questi paesi non intendono affatto privarsi dei territori più ricchi dei loro stati. Ragioni economiche sono dunque alla base della durissima repressione che opprime il popolo curdo e che ha spinto tanti tra i giovani - e anche tra gli intellettuali e i politici - a cercare la libertà di studiare, di lavorare e di esprimersi altrove, lontano dalla propria terra. Inoltre molti Curdi si trovano a vivere - e sempre nelle disagiate condizioni di minoranza oppressa - in paesi che stanno attraversando gravi crisi economiche; la Regione Autonoma del Kurdistan dell'Irak, ad esempio, è costretta a subire un doppio embargo: quello imposto dalla comunità internazionale all'Irak e quello che l'Irak impone alla Regione. Questa tragica situazione aggiunge un'ulteriore motivazione alle tante che spingono i Curdi a emigrare. I paesi verso i quali si dirige la maggior parte dell'emigrazione curda sono quelli europei. Le ragioni sono ovviamente geografiche, ma in parte anche politiche: moltissimi Curdi emigrano in Germania, dove le leggi sembrano agevolare l'inserimento dei profughi nel tessuto sociale. Si calcola approssimativamente che in Germania i Curdi siano ormai un milione, un numero dieci volte maggiore a quello dei Curdi in Francia, il secondo tra i paesi europei ad attirare le speranze degli emigranti, soprattutto tra gli intellettuali, dopo che nel 1983 venne fondato a Parigi l'Istituto Curdo, il primo centro culturale curdo in Occidente. Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Svizzera e Italia hanno accolto negli ultimi anni circa dieci-ventimila Curdi, che spesso chiedono a questi paesi asilo politico. Oltre a Parigi, anche Bruxelles, Londra, Berlino e Uppsala sono sede di centri di cultura curda. In Italia, pur non esistendo associazioni culturali curde gli emigrati si sono organizzati, specialmente nelle città del nord, e in Veneto viene pubblicata una rivista curda in lingua italiana. (...) LA SCUOLA E L’ISTRUZIONE L'alfabetizzazione non supera il 50% della popolazione curda, e raggiunge livelli ben più bassi nei villaggi di montagna rispetto alle città. Le ragioni di questa situazione sono ovvie: i governi non si nreoccupano minimamente di fornire ai villaggi curdi strutture scolastiche. Solo in Irak esistono scuole in lingua curda per i figli dei contadini che parlano esclusivamente la propria lingua madre. Si tratta comunque di scuole che, a parte la lingua d'insegnamento, seguono l'ordinamento e i programmi ministeriali irakeni. Gli esami da sostenere al termine dei diversi corsi di studi sono gli stessi per tutti gli studenti, irakeni o curdi, e ciò non permette di dare lo spazio che si vorrebbe all'insegnamento della storia e della cultura del Kurdistan. (...) LA FAMIGLIA E IL RUOLO DELLA DONNA Nell'organizzazione sociale curda la famiglia è considerata un'unità inscindibile, all'interno della quale vengono prese tutte le decisioni più importanti e si svolgono le fasi fondamentali della vita dell'individuo. Data la difficoltà che, soprattutto in alcune zone, i Curdi incontrano per mandare a scuola i propri figli, il ruolo educativo svolto dalla famiglia si rivela essenziale, anche se spesso non sufficiente per contribuire ad abbassare il tasso di analfabetismo nel Kurdistan. I rapporti familiari sono strutturati secondo una rigida gerarchia. Il padre è colui che riveste la massima autorità e si occupa del mantenimento della famiglia, mentre alla madre è riservato il compito di organizzare la vita all'interno della casa e di educare i figli. Tradizionalmente il maschio primogenito acquista con l'età una certa autorità nei confronti dei fratelli e delle sorelle e, pur non avendo il diritto di imporre agli altri il proprio volere, ottiene da tutti il massimo rispetto. Normalmente ogni nucleo familiare comprende più generazioni e i figli possono rimanere a vivere nella casa paterna, se lo desiderano, anche insieme alla propria moglie e ai figli; solo le femmine una volta sposate si allontanano, andando ad abitare insieme alla famiglia del marito. Un tempo nascevano in media anche nove o dieci figli per coppia, mentre oggi non se ne hanno in genere più di quattro o cinque. La società curda ha per secoli affidato alle donne un ruolo pubblico e una libertà ben maggiori di quelli tipici della società islamica, come notò tre secoli fa il viaggiatore italiano Pietro Della Valle, e come di recente ha ricordato Joyce Lussu. Nella religione zoroastriana e nella società curda preislamica infatti le donne ricoprivano un ruolo paritario rispetto all'uomo: potevano essere a capo di un clan e addirittura regnare su un vasto impero; sul trono sasanide, ad esempio, si erano avvicendate diverse regine. Tuttavia, nonostante questa libertà -ulteriormente dimostrata dal fatto che alle benne curde non viene fatto obbligo di indossare il velo - ancora oggi nei villaggi di montagna la nascita di una femmina è accolta meno favorevolmente di quella di un maschio. Un evento. questo, che un tempo si festeggiava con la distribuzione di dolcetti in tutto il villaggio. La situazione sta ora lentamente cambiando e nelle famiglie più istruite non esistono distinzioni tra maschi e femmine. La libertà delle donne curde, la loro possibilità di studiare come di svolgere lavori al di fuori del nucleo familiare, è comunque limitata dai costumi sociali - improntati talvolta all'islamismo più rigoroso - degli stati in cui vive il popolo curdo. Sono state molte le donne curde che nel corso dei secoli si sono distinte per il loro coraggio. Nel XVII visse la principessa Khanzad Soran, che per anni si oppose alla supremazia dell'Impero Ottomano: fu medico e si impegnò a diffondere tra le donne del popolo i sistemi della medicina tradizionale, le cui origini risalivano all'epoca dei Medi. In tempi molto più recenti, nel 1923, Kadem Kher sacrificò la propria vita alla causa curda, nella rivolta da lei guidata contro lo shah di Persia. All'inizio degli anni Sessanta, nella guerriglia che oppose i Curdi guidati da Barzani all'esercito irakeno, Marguerite Georges divenne comandante di un'unità militare ed eroina dei peshmerga. In Turchia Leyla Zana ha lottato per l'affermazione dei diritti culturali dei Curdi: eletta al Parlamento, osò pronunciare in assemblea una frase nella propria lingua. Candidata al premio Nobel per la pace, nel 1994 fu condannata dal governo turco a scontare 11 anni di carcere. Oggi nel Parlamento curdo in esilio vi sono anche molte donne e, quando le condizioni economiche lo permettono, esse terminano gli studi universitari e in genere riescono a esercitare quelle professioni che in altre società islamiche sono monopolio maschile. LA RELIGIONE La fede professata dalla maggior parte del popolo curdo è l'islam. La conversione dei Curdi alla religione di Muhammad avvenne nel VII secolo d.C., in seguito alla progressiva occupazione araba del Kurdistan. L'antica religione dei Curdi era lo zoroastrismo professato dal popolo dei Medi, Così chiamato dal nome del profeta (forse vissuto tra il XVII e il XV secolo a.C.) che credeva nella possibilità degli uomini di scegliere fra le forze del bene e del male dominanti il nostro universo. (...) I Curdi musulmani osservano i cinque pilastri della fede islamica: la shahada, ovvero la Professione di fede, con la quale ogni fedele afferma di credere in un solo Dio e nella missione del suo profeta Muhammad; la salat, la Preghiera canonica, che va recitata dai fedeli cinque volte al giorno (poco prima del sorgere del sole, a mezzogiorno, il pomeriggio prima del calar del sole, al tramonto e la notte); il saum, il Digiuno nel mese di Ramadan; la zakat, la Decima o elemosina legale; e l'hagg, il Pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano deve compiere, se la salute e le possibilità economiche lo permettono, almeno una volta nella vita. Grande importanza hanno avuto anche gli aspetti mistici dell'islam, infatti in Kurdistan sono molto diffuse, e rivestono grande importanza, le confraternite sufi. Alla guida delle confraternite vi sono sempre personaggi di grande carisma che hanno svolto fino ad oggi un ruolo fondamentale sia in campo religioso sia in ambito politico-sociale, assumendo spesso il compito di mediatori e giudici nelle controversie, e talvolta addirittura di condottieri in guerra oltre che, naturalmente, di consiglieri spirituali. (...) Ciò che tuttavia distingue i Curdi musulmani dai popoli islamici limitrofi è la tolleranza che essi manifestano verso qualsiasi altra religione, e l'assenza di un rigore fanatico nei confronti dell'osservanza di alcune regole dell'islam, motivo per cui le donne curde non sono costrette a coprirsi con il velo. I Curdi adottano per le questioni religiose il calendario lunare, comune a tutti i popoli islamici, ma hanno mantenuto in uso anche un calendario curdo, in base al quale viene celebrata una delle feste più importanti per il popolo, il Nawroz, ovvero la festa dell'anno nuovo, che cade il 21 marzo del calendario solare. Oggi il Nawroz viene festeggiato dai Curdi con danze, discorsi pubblici, letture di poemi e rappresentazioni teatrali di antiche favole mitologiche che prefigurano la lotta del popolo per l'indipendenza; nella città di Sulaimaniya si dà vita ad un vero e proprio carnevale, e in tutto il Kurdistan viene preparato un pane speciale, samani pazan, che nella notte viene benedetto da uno spirito divino e al mattino è consumato nella speranza di ottenerne benefici. Questa festa tradizionale non appartiene solo al popolo curdo, ma è comune a tutti i popoli iranici. Tuttavia per i Curdi assume un significato particolare, poiché in questo stesso giorno si celebra anche la leggendaria rivolta del fabbro Kawa contro il tiranno assiro Dehok, risalente al 612 a.C., data dalla quale prende avvio il calendario curdo.