Italian-Turkish Forum November 21-22, 2007 Il ruolo di Italia e Turchia in Medio Oriente Political Studies Turk-Italian Forum: Background Paper Il ruolo di Italia e Turchia in Medio Oriente Chi davvero comprende il complicato intrecciarsi delle dinamiche conflittuali dell’area Mediorientale? Di mondo musulmano, di questione palestinese, di fondamentalismo islamico i mass media parlano continuamente, ma che cosa realmente si conosce della travagliata situazione del Medio Oriente che vada al di là di una superficiale informazione? Il fattore determinante della destabilizzazione dell'area mediorientale è dato dal ruolo di primo piano che, a partire dall'inizio del XX secolo, l’intera regione si è trovata a rivestire nel panorama internazionale, in seguito alla scoperta dell'enorme ricchezza petrolifera di cui dispone. Il controllo che di fatto esercita su buona parte delle risorse energetiche del pianeta ha fatto del Medio Oriente un'area in cui si intrecciano incalcolabili interessi economici e su cui, di conseguenza, si concentra l'attenzione delle grandi potenze industriali. La tensione, inevitabilmente generata da elementi di carattere economico-politici, è poi acuita ulteriormente da cause di attrito di natura storica, religiosa e culturale, altrettanto significative che, sommandosi le une alle altre, rendono la situazione esplosiva. Accanto al problema della precarietà dei confini - la cui responsabilità è da attribuirsi agli imperi coloniali occidentali che hanno tracciato divisioni in modo approssimativo, senza considerare le specificità territoriali - si evidenziano: il conflitto religioso dato dallo scontro dottrinale tra sunniti e sciiti; il diffondersi del fondamentalismo islamico; l'emarginazione delle minoranze, viste come una minaccia alla sicurezza e duramente represse e, non ultimo, il sorgere di figure carismatiche che, manipolando le masse, fanno leva sul mito della costituzione di una grande e unita nazione araba. In questo quadro, già fortemente a rischio, si inserisce il complesso nodo di problemi rappresentato dalla questione palestinese, che, dalla fondazione dello stato di Israele nel 1948, ha provocato ben quattro guerre arabo-israeliane e innumerevoli conflitti di minore entità e che, ancora oggi, dopo numerosi tentativi della Comunità Internazionale, rimane fortemente critica. Alla rottura tra Fatah e Hamas, al fallimento dell’Accordo interpalestinese1 del Febbraio 2007 ed all’isolamento internazionale in cui si trova la Striscia di Gaza, si è succeduta un’allarmante escalation di violenze in Libano. Al muro contro muro fra il governo libanese e l’opposizione guidata da Hezbollah si sono aggiunti in poco tempo il problema dei movimenti estremisti sunniti infiltratisi nel Paese e l’attentato che ha colpito le forze dell’UNIFIL nel Sud del Libano. Nel frattempo, in Iraq, mentre continua a dilagare la violenza, il governo Al-Maliki è giunto ormai da tempo in un vicolo cieco da cui non sembra essere in grado di uscire. In questo clima di nervosismo e di assenza di fiducia reciproca, l’irrisolta questione iraniana fa da sfondo a tutte le crisi mediorientali, contribuendo al loro inasprimento, ed aggravando le contrapposizioni regionali. Nel complesso, dunque, le tensioni etniche e confessionali, ed il consolidarsi delle appartenenze ai clan, rappresentano per l’intera regione il riflesso del fallimento dell’idea di Stato nazionale, e contribuiscono ad affossare i programmi di riforma e di democratizzazione. 1 Accordo interpalestinese raggiunto alla Mecca nel Febbraio 2007 tra il Presidente dell’ANP Abu Mazen ed il leader di Hamas Khaled Meshaal - grazie alla mediazione del Re Saudita Abdullah - per la creazione di un governo di unità nazionale. L’accordo non contemplava il riconoscimento di Israele da parte di Hamas, ma impegnava il nuovo governo a rispettare gli accordi internazionali firmati dall’OLP e prevedeva uno Stato palestinese entro i confini del 1967. L’accordo di fatto non ha mai funzionato per le troppe riserve e resistenze da entrambe le parti e per l’insufficiente riconoscimento e appoggio internazionale. Infatti, il Quartetto (Stati Uniti, UE, Russia e ONU), invece di reagire positivamente ha continuato a ripetere la necessità di rispettare le tre condizioni: riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza e riconoscimento dei trattati pregressi). Inoltre, la UE e gli USA hanno deciso di avere contatti solo con i ministri non appartenenti ad Hamas. 2 Political Studies Turk-Italian Forum: Background Paper Questo panorama di frammentazione, e l’inadeguatezza delle iniziative diplomatiche, rendono la questione mediorientale fortemente instabile. In questo contesto, l’Italia è consapevole che per raggiungere una pace davvero globale, definitiva e giusta in Medio Oriente occorre coinvolgere tutti i protagonisti del conflitto nel processo negoziale, instaurando anche un meccanismo che permetta di includere Damasco e Beirut nel processo di pacificazione regionale. Oggi più che mai, le vicende che accadono in questa parte del mondo riguardano da vicino l’Unione Europea e con questa consapevolezza, l’Italia ritiene che sia sempre più indispensabile una politica europea unica e coesa. Una politica che non può non includere la partecipazione della Turchia al processo di stabilizzazione dell’area Mediorientale. La Turchia gode, infatti, di una posizione geopolitica particolarmente strategica, collocandosi al centro di aree problematiche e al tempo stesso cruciali – non solo Medio Oriente, ma anche Caucaso, Asia Centrale e Golfo – per gli interessi e la sicurezza europea. Durante la guerra fredda la Turchia ha giocato un ruolo essenziale per la sicurezza dell’Occidente. Ha presidiato il fianco Sud della Nato, impedendo la penetrazione sovietica verso il Mediterraneo e, assieme all’Iran dello Shah allora alleato degli Stati Uniti, verso il Golfo. Ha costituito anche un avamposto occidentale verso Est. Dopo il crollo del muro, il ruolo geopolitico della Turchia è completamente mutato e forse è divenuto più importante se si considerano il rinnovato dinamismo regionale e le relazioni di buon vicinato che Ankara ha saputo sviluppare da quel momento. I cambiamenti dello scenario internazionale hanno, infatti, aperto spazi di cooperazione prima impensabili, inducendo la Turchia ad assumere un ruolo più attivo nei confronti dei suoi “turbolenti” vicini. Inizialmente, la priorità della politica estera turca nei confronti dei Paesi del Medio Oriente è stata volta a garantire la sicurezza territoriale del Paese, per la crescente instabilità delle proprie frontiere meridionali con l’Iraq, che ha portato la Turchia ad allearsi con Israele2, il solo Paese dell’area in grado di garantirle assistenza economica e militare. Successivamente, da quando l’AKP è al Governo (2002), il Paese ha cercato di giocare un ruolo più dinamico e strategico, riscoprendosi attore importante sullo scacchiere internazionale e cercando di fare da mediatore sia nel conflitto israelo-palestinese3, sia nella lotta intestina tra le opposte fazioni curdo-irachene. Tuttavia, il deterioramento del quadro regionale degli ultimi due anni – si vedano i continui fallimenti internazionali nei confronti della questione israelo-palestinese, l’aggravarsi del conflitto iracheno, il presunto sostegno israeliano al separatismo curdo in Iraq e le critiche del Governo di Erdogan alla decisione di sospendere il trasferimento di fondi all’Autorità Palestinese dopo la vittoria di Hamas nel gennaio 2006 - ha contribuito all’indebolimento della relazione privilegiata con Israele. Allo stesso tempo, la mancata soluzione del conflitto iracheno ha contribuito all’acuirsi delle attività terroristiche del Pkk ed il timore di una forte ripresa del nazionalismo curdo e del possibile sfaldamento dell’Iraq hanno portato ad un riavvicinamento dei rapporti della Turchia con Siria e Iran. Nei confronti della Siria, la Turchia ha assunto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della sua economia e del suo commercio con l’estero, controbilanciando l’isolamento internazionale a cui è sottoposta per le sue recenti scelte di politica estera (appoggio a Hezbollah e Hamas, rapporto 2 Dal 1996 Turchia e Israele sono legati da un accordo di cooperazione militare che prevede l’addestramento, trasferimento di tecnologia, condivisione di intelligence e operazioni navali congiunte, oltre che da un accordo di libero scambio. Tra le iniziative sponsorizzate dal Governo turco si menzionano: la riapertura della zona industriale di Erez, nella striscia di Gaza, aiuti finanziari per 5 milioni di dollari attraverso il Quartetto (costituito da Unione Europea, Stati Uniti, Russia e ONU) per progetti di ricostruzione nei Territori Palestinesi, sostegno alla riforma della sicurezza palestinese. 3 3 Political Studies Turk-Italian Forum: Background Paper privilegiato con l’Iran, accuse di collaborazione con la Corea del Nord per lo sviluppo di un proprio piano nucleare). Nel riavvicinamento dei rapporti siro-turchi ha influito anche la convergenza di vedute sulla questione curda: la Siria, sebbene in passato abbia appoggiato i ribelli curdi del PKK, oggi vede la possibile nascita dell’entità autonoma del Kurdistan come una minaccia alla propria integrità territoriale. Anche con l’Iran la Turchia sembra aver trovato nella questione curda un campo di cooperazione, oltre ad aver stretto accordi soprattutto nei settori economico ed energetico. Anche per l’Iran, infatti, la possibilità della nascita di un Kurdistan iracheno autonomo e indipendente è percepito come una minaccia, sebbene abbia fornito il suo appoggio al PKK fino al 2000. Il sostegno di Teheran ha anche il fine di guadagnarsi un alleato forte come la Turchia nel confronto che vede la Repubblica islamica opposta alla Comunità Internazionale. Nei confronti dell’Iraq, rimane saldo l’interesse della Turchia all’integrità territoriale del Paese, sebbene le azioni dell’esercito turco nel territorio iracheno per contrastare i ribelli curdi del Pkk, rischiano di incrinare i rapporti non solo con l’Iraq e i curdi-iracheni, ma anche con gli Stati Uniti, che hanno voluto evitare ulteriori elementi destabilizzanti nella già tragica situazione irachena, e di cui Ankara lamenta lo scarso impegno nella lotta contro i terroristi del Pkk4. In questo contesto, il valore strategico della Turchia può avere tre differenti sfaccettature: come ruolo di avamposto dell’Europa verso il Medio Oriente, il Caucaso ed il Golfo; come Stato “cuscinetto” tra Europa e Medio Oriente ed infine come “ponte” per i rifornimenti energetici europei. E’ evidente che questo triplice ruolo potrà ulteriormente cambiare a seconda che i legami di Ankara con Bruxelles divengano più organici e che il Paese entri a far parte dell’Unione Europea, oppure che il processo di adesione rallenti o si interrompa, portando la Turchia ad assumere una posizione geopolitica autonoma nella quale potrebbero prevalere le influenze dei vicini Paesi Mediorientali. La Turchia potrebbe dunque rappresentare il canale strategico per sviluppare la politica estera UE in aree dove l’azione europea è stata finora inefficace, poiché spesso incapace di parlare ad una sola voce. 4 A seguito dell’autorizzazione del Parlamento turco alla possibile incursione nel Nord dell’Iraq per combattere i ribelli del Pkk (17 Ottobre 2007) e a seguito del recente incontro Erdogan-Bush a Washington, gli Stati Uniti hanno promesso un più marcato impegno a combattere i ribelli del PKK in Iraq. 4 Political Studies Turk-Italian Forum: Background Paper Approfondimento: Kurdistan Per Kurdistan si intende un'area vasta circa 450.000kmq, abitata dalla popolazione di etnia curda, ma divisa tra Turchia, Iraq ,Siria ed Iran. La maggior parte del Kurdistan è situata all'interno dei confini turchi per un'area che copre circa il 30% del territorio turco. È un territorio strategicamente rilevante per la ricchezza di petrolio e le risorse idriche, ma si trova in una situazione di sottosviluppo a causa dell'assenza di un'unità politico-amministrativa. Il 75% del petrolio iracheno proviene dal Kurdistan, gli unici giacimenti della Turchia ed i più importanti della Siria si trovano in Kurdistan, anche nella zona di Kermanshah, territorio iraniano ma abitato da curdi, si produce petrolio. È il passaggio obbligato di alcune importanti vie di comunicazione, ad esempio tra le repubbliche centroasiatiche, l'Iran e la Turchia e si trova nel cuore di uno dei punti più caldi della politica mondiale. La posizione geopolitica dell'area ha condizionato molto le vicissitudini del popolo curdo, impedendone l'unità politica. Il popolo curdo discende dagli antichi medi, una popolazione di origine indo-iraniana, che dall'Asia Centrale si diresse, intorno al 614 a.C., verso i monti dell'Iran. Le forti limitazioni, imposte dall'impero ottomano all'inizio del XIX, ai privilegi ed all'autonomia degli stati curdi provocarono numerose rivolte che avevano come obiettivo l'unificazione del popolo curdo e la sua autonomia. Quando si affacciarono nel Kurdistan le potenze europee, l'area fu strumentalizzata secondo gli interessi della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e della Russia zarista pronte ad indebolire l'impero ottomano. Il trattato di Losanna, firmato nel 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania cancellò il trattato di Sèvres del 1920, che prevedeva la nascita di un Kurdistan autonomo dopo la fine della prima Guerra Mondiale. Fu allora che i territori abitati dalla popolazione di etnia curda vennero spartiti tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq. Il fatto che i curdi siano stati trasformati in 5 diverse minoranze rende inevitabilmente complessa una trattazione univoca della questione. I Curdi in Iraq In Iraq il movimento autonomista curdo si è organizzato nel Partito Democratico del Kurdistan (KDP), guidato da Mustafa Balzani (a cui è succeduto il figlio Massoud nel 1979), che ha portato avanti dal 1961 la sua lotta contro il regime di Saddam Hussein, che contro i villaggi curdi, situati nell'area settentrionale dell'Iraq, ha adottato tecniche di repressione brutali. A Barzani si è da sempre opposta l'intellghentia di sinistra guidata da Jalal Talabani, che nel 1975 ha fondato l'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK). In seguito alla guerra del Golfo del 1990 e con l'imposizione della "No Fly Zone" sul nord dell'Iraq, la situazione è migliorata, sebbene non di molto. Dopo l'ultima guerra contro l'Iraq e il varo della nuova Costituzione nell'ottobre del 2005, secondo alcuni preludio alla creazione di un paese democratico, secondo altri molto meno, sembra che sia possibile una maggiore autonomia dell'etnia curda in Iraq, questione che peraltro preoccupa molto Ankara. I Curdi in Iran In Iran, i Curdi dell'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) combattono contro il regime di Teheran dal 1972, in una guerra che ha causato fino ad oggi circa 17mila morti. I curdi sono circa 6 milioni, musulmani in maggioranza sunniti Il crollo del potere imperiale, con la rivoluzione Komeinista (1979), e la crisi che ne è seguita prima della stabilizzazione del regime islamico hanno spinto i curdi iraniani riuniti attorno PDKI (Partito democratico del Kurdistan Iraniano) ad una ribellione con l'intento di ottenere l'autonomia (non l'indipendenza). Il potere sciita ha rifiutato ogni richiesta in tal senso ed ha dato il via ad una dura repressione. In seguito il leader del PDKI, Ghassemlou, si avvicinò a Saddam Hussein che allora era il baluardo dell'occidente contro l'Iran fondamentalista, il quale finanziò la guerriglia curda, strumentalizzando a suo fare la lotta curda, dal momento che l'Iran fu costretto a mantenere un forte contingente di truppe nel nord del paese distogliendole dalla guerra con l'Irak. L'obiettivo dei dirigenti curdi iraniani è convincere i paesi europei a far pressioni sul potere iraniano affinché ponga fine allo stato d'assedio (che vede la presenza di 150.000 militari) che soffoca il Kurdistan iraniano. I curdi in Turchia: Negli anni settanta nasce e si struttura il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, il cui scopo principale è il riconoscimento della lingua e dei diritti dei curdi. Il suo fondatore e leader è stato Abdullah Öcalan. Il suo progetto rivoluzionario prevedeva una prima fase di rivoluzione nazionale, ovvero la creazione di una repubblica marxista curda in territorio turco per arrivare poi all'unificazione dell'intero Kurdistan , ed una seconda fase, di rivoluzione democratica, che prevedeva l'instaurazione di una dittatura del proletariato per eliminare lo sfruttamento latifondista e la struttura sociale basata sui clan. La lotta armata del PKK ed i suoi attacchi terroristici contro il potere centrale, hanno creato un malessere crescente anche all'interno della stessa popolazione curda e il Governo turco non ha mai accettato di considerare il PKK come un movimento popolare, ma come un’organizzazione terroristica. La cattura di Ocalan nel 1999 (e la sua condanna a morte) ha permesso una tregua temporanea fino al 2004, anno un cui i ribelli del Pkk hanno ripreso la lotta armata. A fine Ottobre 2007, il Parlamento turco ha approvato (con 507 voti a favore e 19 contrari) una mozione che autorizza il proprio esercito ad operare, per la durata di un anno, nel Nord dell'Iraq, al fine di eliminare i campi da cui muove il Pkk per compiere attacchi armati in Turchia. 5