F. Ricci Appunti per il corso Analisi Armonica su gruppi di Lie

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F. Ricci
Appunti per il corso
Analisi Armonica su gruppi di Lie:
nozioni fondamentali ed esempi
A.A. 2014-15
Indice
Capitolo 1. Gruppi localmente compatti
1. Prime proprietà
2. Misure di Haar
3. La funzione modulare
4. Convoluzione di misure e funzioni
5. Identità approssimate
1
1
3
10
13
17
Capitolo 2.
Elementi di analisi di Fourier
su gruppi abeliani localmente compatti
1. Gruppo duale e trasformata di Fourier
2. I teoremi fondamentali sulla trasformata di Fourier
3. Operatori invarianti per traslazioni e sottospazi invarianti di L2 (G)
19
19
24
26
Capitolo 3. Elementi di teoria delle rappresentazioni
1. Rappresentazioni di gruppi
2. Rappresentazioni di L1 (G)
3. Rappresentazioni unitarie e funzioni di tipo positivo
4. Rappresentazioni irriducibili e funzioni di tipo positivo
29
29
33
36
39
Capitolo 4. Analisi su gruppi compatti
1. Rappresentazioni irriducibili di gruppi compatti
2. Il teorema di Peter-Weyl
3. Trasformata di Fourier
4. Caratteri e funzioni centrali
5. Analisi di Fourier su SU(2)
43
43
45
52
55
57
Capitolo 5. Gruppi e algebre di Lie
1. Gruppi di Lie
2. Algebre di Lie
3. La mappa esponenziale
4. Il gruppo lineare
5. Omomorfismi, automorfismi e sottoalgebre di Lie
6. Strutture analitiche su gruppi di Lie
7. Gruppi con una data algebra di Lie
8. Sottogruppi e sottoalgebre di Lie
9. Esempi significativi
10. Algebra universale inviluppante
11. Operatori differenziali invarianti a sinistra su gruppi di Lie
63
63
65
66
67
68
69
69
71
72
74
78
Capitolo 6. Rappresentazioni di gruppi e algebre di Lie
1. Vettori C ∞ e differenziale di una rappresentazione unitaria
2. Cenni sull’esistenza di analoghi della Proposizione 1.3
2.1. Un esempio
81
81
84
84
3
4
INDICE
2.1.1. Ω = Rn
2.1.2. Ω = B(0, 1)
2.2. Il teorema di Nelson
Appendice A.
Il teorema di interpolazione di Riesz-Thorin
Appendice B. Integrazione di funzioni a valori in spazi di Banach
1. Funzioni misurabili
2. Integrale di Bochner
84
85
86
87
91
91
91
Appendice C. Risoluzione spettrale di operatori autoaggiunti su spazi di Hilbert
1. Spettro e raggio spettrale di un operatore lineare limitato
2. Calcolo funzionale continuo su un operatore autoaggiunto limitato
3. Decomposizione spettrale di un operatore autoaggiunto limitato
4. Operatori non limitati simmetrici e autoaggiunti
5. Risoluzioni dell’identità e operatori autoaggiunti
6. Il Teorema di Stone
95
95
97
99
101
102
105
Appendice D. Campi vettoriali, flussi e loro composizione
1. Varietà differenziabili
2. Campi vettoriali su varietà differenziabili
3. Flusso generato da campi vettoriali
4. La formula di Baker-Campbell-Hausdorff
107
107
109
110
114
CAPITOLO 1
Gruppi localmente compatti
1. Prime proprietà
Definizione. Un gruppo topologico è un gruppo G dotato di una topologia tale che l’applicazione (x, y) 7→
xy −1 da G × G in G sia continua.
Lemma 1.1. L’applicazione (x, y) 7→ xy −1 da G × G in G è continua se solo se sono continue le funzioni
(x, y) 7→ xy da G × G in G e x 7→ x−1 da G in sé.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Introduciamo ora alcune notazioni. Se A, B sono sottoinsiemi di G, poniamo
AB = {xy : x ∈ A, y ∈ B} .
Scriviamo aB e Ba invece di {a}B e B{a} rispettivamente. Se A = B, scriviamo A2 invece di AA.
Poniamo inoltre
A−1 = {x−1 : x ∈ A} .
A si dice simmetrico se A = A−1 .
Dato a ∈ G, definiamo le applicazioni `a e ra di G in sé, dette rispettivamente traslazioni sinistra e
destra per a, come
`a (x) = ax ,
ra (x) = xa−1 .
Cosı̀ definite, esse soddisfano le regole di composizione
`ab = `a `b ,
rab = ra rb .
Lemma 1.2. Sia G un gruppo topologico.
(1) Dato a ∈ G, le applicazioni `a e ra sono omeomorfismi di G in sé.
(2) Se {Uα } è un sistema fondamentale di intorni dell’identità e di G, allora, per ogni a ∈ G, {aUα },
{Uα a}, {aUα−1 }, {Uα−1 a}, sono sistemi fondamentali di intorni di a.
(3) Dato un intorno U di e, esiste un intorno simmetrico V di e tale che V 2 ⊂ U .
Dimostrazione. (1) `a è la restrizione dell’applicazione prodotto (x, y) 7→ xy ad {a} × G, composta
con l’immersione naturale di G in {a} × G. Dunque `a è continua. Poiché `−1
a = `a−1 , `a è un omeomorfismo.
Analogamente per ra .
La (2) è conseguenza immediata della (1) e della continuità dell’inversione.
(3) Per la continuità dell’applicazione prodotto in (e, e), dato U intorno di e, esiste W intorno di e tale
che W 2 ⊂ U . Se W non è simmetrico, si prenda V = W ∩ W −1 , che pure è un intorno di e.
Corollario 1.3. Sia G un gruppo topologico.
(1) Se A è aperto, AB è aperto per ogni sottoinsieme B di G.
(2) Se A e B sono compatti, anche AB è compatto.
(3) Un sottogruppo aperto è anche chiuso.
(4) Se H è un sottogruppo di G, anche H̄ è un sottogruppo; se H è normale, anche H̄ è normale.
(5) Sia H un sottogruppo di G e sia π : G −→ G/H la proiezione canonica. Se G/H è dotato della
topologia quoziente, π è una funzione aperta.
(6) Un sottogruppo H è chiuso se e solo se G/H è T2 .
1
2
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
(7) Se H è un sottogruppo normale, G/H è un gruppo topologico.
(8) Sono equivalenti:
• G è di Hausdorff,
• G è T0 ,
• {e} è chiuso.
Dimostrazione. (1) Poiché
AB =
[
Ab ,
b∈B
AB è aperto.
La (2) segue dalla continuità dell’applicazione prodotto.
(3) Se H è un sottogruppo aperto, allora
[
c
H=
xH
x6∈H
è pure aperto, per cui H è chiuso.
(4) Siano x, y ∈ H̄, e sia U un intorno di xy −1 . Per la continuità del prodotto, esistono intorni V, W di
−1
x e y rispettivamente tali che V W −1 ⊂ U . Se x0 ∈ H ∩ V e y 0 ∈ H ∩ W , allora x0 y 0 ∈ H ∩ U . Si conclude
che xy −1 ∈ H̄.
Se H è normale, xHx−1 = H per ogni x ∈ G. Essendo `x , rx omeomorfismi, si ha
xH̄x−1 = xHx−1 = H̄ .
(5) Sia A aperto
quoziente, la sua immagine π(A) è aperta in G/H se
in G. Per definizione di topologia
e solo se π −1 π(A) è aperto in G. Ma π −1 π(A) = AH, che è aperto per il punto (1).
(6) Supponiamo che H sia chiuso, e sia π la proiezione canonica di G su G/H. Siano poi x, y ∈ G tali
che π(x) 6= π(y). Allora y 6∈ xH, e dunque e 6∈ xHy −1 . Per il Lemma 1.2 (1), xHy −1 è chiuso. Usando il
Lemma 1.2 (3), esiste un intorno simmetrico V di e tale che V 2 ∩ xHy −1 = ∅.
Verifichiamo che π(V x) e π(V y) sono disgiunti. Se non lo fossero, esisterebbe z ∈ V xH ∩ V yH, per cui
avremmo v1 xh = v2 y per qualche v1 , v2 ∈ V e h ∈ H. Ma allora sarebbe xhy −1 = v1−1 v2 ∈ V 2 ∩ xHy −1 , il
che è assurdo. Poiché π(V x) e π(V y) sono intorni di π(x) e π(y) rispettivamente, concludiamo che G/H è
di Hausdorff.
Viceversa, se G/H è di Hausdorff, il singoletto {H} è chiuso in G/H, per cui H = π −1 {H} è chiuso
in G.
(7) Siano x, y ∈ G e sia U un intorno di π(x)π(y)−1 = π(xy −1 ) in G/H. Allora π −1 (U ) è un intorno di
−1
xy in G. Esistono dunque intorni V, W di x, y rispettivamente, tali che V W −1 ⊂ π −1 (U ). Allora π(V ) e
π(W ) sono intorni di π(x) e π(y) rispettivamente, e si verifica facilmente che π(V )π(W )−1 ⊂ U .
(8) Se G è T0 , dati x 6= y in G, uno dei due punti ha un intorno che non contiene l’altro. A meno di una
traslazione, possiamo supporre che x = e e che un suo intorno U non contenga y. Se V 2 ⊂ U , con V intorno
simmetrico di e, questo implica che V ∩ yV = ∅. Quindi e e y hanno due intorni disgiunti. Lo stesso vale
per una generica coppia di elementi di G. Quindi G è T2 . Il resto è ovvio.
Definizione. Un gruppo localmente compatto è un gruppo topologico, di Hausdorff e localmente compatto.
Poiché uno spazio localmente compatto di Hausdorff è anche completamente regolare, vale la seguente
proprietà.
Lemma 1.4. Sia G un gruppo localmente compatto. Dati un compatto K e un suo intorno U , esiste una
funzione continua f su G a valori in [0, 1], tale che f (x) = 1 per x ∈ K e f (x) = 0 per x 6∈ U .
Data una funzione f su G, poniamo
La f (x) = f ◦ `a−1 (x) = f (a−1 x) ,
Ra f (x) = f ◦ ra−1 (x) = f (xa) .
Anche qui le definizioni sono date in modo che Lab = La Lb e Rab = Ra Rb .
2. MISURE DI HAAR
3
Definizione. Una funzione f su G a valori complessi si dice uniformemente continua a sinistra
(risp. a
f (hx)−f (x) <
destra) se
per
ogni
ε
>
0
esiste
un
intorno
U
di
e
tale
che
per
ogni
x
∈
G
e
ogni
h
∈
U
risulti
ε (risp. f (xh) − f (x) < ε).
Si osservi che f è uniformemente continua a sinistra se e solo se
lim kLh f − f k∞ = 0 ,
h→e
e analogamente per la continuità uniforme a destra.
Lemma 1.5. Se f ∈ C0 (G), allora f è uniformemente continua sia a sinistra che a destra.
Questo è un corollario del Teorema di Heine-Cantor, e la dimostrazione è lasciata per esercizio.
2. Misure di Haar
Sia G un gruppo localmente compatto. Se B(G) indica la σ-algebra dei Boreliani di G, è evidente che
Ax e xA sono in B(G) per ogni A ∈ B(G) e ogni x ∈ G.
Definizione. Si chiama misura di Haar sinistra (risp. destra) una misura di Radon1 positiva µ su G tale
che µ(gA) = µ(A) (risp. tale che µ(Ag) = µ(A)) per ogni A ∈ B(G) e ogni g ∈ G.
La seguente caratterizzazione delle misure di Haar è diretta conseguenza del Teorema di rappresentazione
di Riesz2.
Proposizione 2.1. Una misura di Radon positiva µ su G è una misura di Haar sinistra (risp. destra) se e
solo se
ˆ
ˆ
ˆ
ˆ
f (gx) dµ(x) =
f (x) dµ(x) ,
risp.
f (xg) dµ(x) =
f (x) dµ(x) ,
G
G
G
G
per ogni f ∈ Cc (G) e ogni g ∈ G.
In altri termini, il cambiamento di variabile x0 = gx comporta che dµ(x0 ) = dµ(x) se µ è una misura di
Haar sinistra, mentre se x0 = xg e µ è una misura di Haar destra, allora dµ(x0 ) = dµ(x).
Si dice anche che una misura di Haar (per es. sinistra) è invariante per traslazioni sinistre. Non è per
nulla evidente che misure di Haar esistano su ogni gruppo localmente compatto.
Teorema 2.2. Ogni gruppo localmente compatto ha una misura di Haar sinistra.
Dimostrazione. Per il Teorema di rappresentazione di Riesz, l’asserto equivale alla esistenza di un
funzionale lineare I su Cc (G) positivo, non nullo e tale che I(Lg f ) = I(f ) per ogni f ∈ Cc (G) e ogni g ∈ G.
Indichiamo con Cc+ (G) l’insieme delle funzioni non negative e non identicamente nulle in Cc (G).
Fissata ϕ ∈ Cc+ (G), poniamo, per f ∈ Cc+ (G),
nX
o
X
(f : ϕ) = inf
cj : f ≤
cj Lgj ϕ ,
j
j
dove le somme si intendono finite. Si vede facilmente che l’insieme a secondo membro non è mai vuoto, per
cui (f : ϕ) < +∞. Valgono le seguenti proprietà, la cui verifica è lasciata per esercizio:
(1) (f : ϕ) = (Lg f : ϕ) per ogni g ∈ G;
1Una misura di Borel positiva µ su uno spazio topologico T localmente compatto si dice di Radon se
2
• µ(K) < ∞ per ogni K compatto; • per ogni boreliano B, µ(B) = inf µ(A) : A aperto, B ⊆ A ;
• per ogni aperto A, µ(A) = sup µ(K) : K compatto, K ⊆ A .
2Teorema di Riesz: Sia X uno spazio topologico T localmente compatto e sia C (X) lo spazio vettoriale delle funzioni reali
c
2
continue a supporto compatto su X. Dato un funzionale lineare Λ : Cc (X)
´ −→ R positivo, tale cioè che f ≥ 0 =⇒ Λ(f ) ≥ 0,
esiste una e una sola misura di Radon positiva µ su X tale che Λ(f ) = X f dµ per ogni f ∈ Cc (X).
´
Viceversa, data una misura di Radon positiva µ su X, il funzionale Λ(f ) = X f dµ è lineare e positivo su Cc (X).
4
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
(2) (f1 + f2 : ϕ) ≤ (f1 : ϕ) + (f2 : ϕ);
(3) (cf : g) = c(f : ϕ) per ogni c > 0;
(4) (f1 : ϕ) ≤ (f2 : ϕ) se f1 ≤ f2 ;
(5) (f : ϕ) ≥ kf k∞ /kϕk∞ ;
(6) (f : ϕ) ≤ (f : ψ)(ψ : ϕ).
L’applicazione f 7→ (f : ϕ) è dunque invariante per traslazioni sinistre, monotona e sublineare. Queste
stesse proprietà, cioè (1)–(4), continuano a essere soddisfatte dalle applicazioni “normalizzate” rispetto a
una fissata ϕ0 :
(f : ϕ)
.
Iϕ (f ) =
(ϕ0 : ϕ)
Per la (6), si ha inoltre
1
≤ Iϕ (f ) ≤ (f : ϕ0 ) .
(ϕ0 : f )
(2.1)
La (2) non è in generale migliorabile, nel senso che non si ha additività nella prima componente. Vale
tuttavia la seguente proprietà:
date f1 , f2 ∈ Cc+ (G) e dato ε > 0, esiste un intorno V di e tale che,
se supp ϕ ⊂ V , allora Iϕ (f1 + f2 ) ≥ Iϕ (f1 ) + Iϕ (f2 ) − ε .
Sia infatti η ∈ Cc+ (G) tale che η = 1 in un intorno di (supp f1 ) ∪ (supp f2 ), e sia u = f1 + f2 + δη, con
δ > 0 da determinarsi. Essendo
fi
f˜i =
∈ Cc+ (G) ,
(i = 1, 2) ,
u
per il Lemma 1.5 esiste V un intorno di ePtale che |f˜i (xh) − f˜i (x)| < δ per ogni x ∈ G e h ∈ V .
Fissiamo ϕ con supp ϕ ⊂ V . Se u ≤ j cj Lgj ϕ, si ha
X
X
f1 (x) = f˜1 (x)u(x) ≤
cj ϕ(gj−1 x) f˜1 (x) − f˜1 (gj ) +
cj ϕ(gj−1 x)f˜1 (gj ) ,
j
j
e analogamente per f˜2 .
Se ϕ(gj−1 x) 6= 0, allora gj−1 x ∈ V e dunque
f˜1 (x) − f˜1 (gj ) = f˜1 (gj g −1 x) − f˜1 (gj ) < δ .
j
Quindi
f1 (x) <
X
cj ϕ(gj−1 x) f˜1 (gj ) + δ ,
j
da cui
(f1 : ϕ) ≤
X
cj f˜1 (gj ) + δ .
j
Sommando con l’analoga disuguaglianza per f2 , si ottiene
(f1 : ϕ) + (f2 : ϕ) ≤ (1 + 2δ)
X
cj .
j
Prendendo l’estremo inferiore al variare dei cj , si ha
(f1 : ϕ) + (f2 : ϕ) ≤ (1 + 2δ)(f1 + f2 + δη : ϕ)
≤ (1 + 2δ)(f1 + f2 : ϕ) + δ(1 + 2δ)(η : ϕ)
= (f1 + f2 : ϕ) + δ 2(f1 + f2 : ϕ) + (1 + 2δ)(η : ϕ) .
Dividendo ora per (ϕ0 : ϕ), si ha
Iϕ (f1 ) + Iϕ (f2 ) ≤ Iϕ (f1 + f2 ) + δ 2Iϕ (f1 + f2 ) + (1 + 2δ)Iϕ (η) .
2. MISURE DI HAAR
5
L’espressione in parentesi quadra è limitata indipendentemente da ϕ per la (2.1), per cui, prendendo δ
sufficientemente piccolo, l’ultimo termine può essere reso minore di ε.
Riprendiamo la dimostrazione del teorema. Sia
Y X=
(ϕ0 : f )−1 , (f : ϕ0 ) .
f ∈Cc+ (G)
Con la topologia prodotto, X è compatto. Per ogni intorno V di e, si ponga
n
o
Iϕ (f )
:
supp
ϕ
⊂
V
.
FV =
+
f ∈Cc (G)
I chiusi FV hanno la proprietà dell’intersezione finita, in quanto
n
\
FVj ⊃ F∩Vj .
j=1
Quindi esiste I ∈
T
V
FV . Si verifica facilmente che, per ogni f, f1 , f2 ∈ Cc+ (G),
(1) I(Lg f ) = I(f ) per ogni g ∈ G;
(2) I(cf ) = cI(f ) per ogni c > 0;
(3) I(f1 + f2 ) = I(f1 ) + I(f2 ).
Passando a una generica funzione f ∈ Cc (G) reale di segno arbitrario, si scomponga f = h − k, con
h, k ∈ Cc+ (G), e si ponga
I(f ) = I(h) − I(k) .
Questa definizione non dipende dalla scomposizione di f , perché se f = h̃ − k̃ è un’altra scomposizione
dello stesso tipo, dall’uguaglianza h + k̃ = h̃ + k segue che I(h) − I(k) = I(h̃) − I(k̃).
Allora I è lineare ed è il funzionale cercato.
Se µ è una misura di Haar sinistra, allora la misura µ̃ definita come
ˆ
ˆ
(2.2)
µ̃(A) = µ(A−1 ) ,
equivalentemente dalla condizione
f (x) dµ̃(x) =
f (x−1 ) dµ(x)
G
G
è una misura di Haar destra. Quindi ogni gruppo localmente compatto ha anche una misura di Haar destra.
In generale le misure di Haar destre e sinistre non coincidono. Vedremo tra poco vari esempi, ma prima
dimostriamo che la misura di Haar (sinistra o destra) su un gruppo è essenzialmente unica.
Lemma 2.3. Sia µ una misura di Haar sinistra (o destra). Per ogni aperto A non vuoto, µ(A) > 0. Inoltre
µ(G) < +∞ se e solo se G è compatto.
Dimostrazione. Sia µ una misura di Haar sinistra, e sia A un aperto non vuoto con µ(A) = 0. Allora
µ(gA) = 0 per ogni g ∈ G. Dato un compatto K, esiste un ricoprimento finito {gj A} di K. Allora µ(K) = 0.
Per la regolarità di µ, µ(B) = 0 per ogni Boreliano B, il che è assurdo.
Se G è compatto, ovviamente µ(G) < +∞. Sia G non compatto, e sia V un intorno simmetrico compatto
di e. Costruiamo induttivamente una successione infinita {gj } di elementi di G tali che i gj V siano a due a
due disgiunti. Essendo µ(gj V ) = µ(V ) > 0, questo implica che µ(G) = +∞.
Poniamo g0 = e. Poiché V 2 è compatto, esiste g1 6∈ V 2 . Allora V ∩ g1 V =
∅. Supponendo
di aver trovato
S
n
g1 , . . . , gn tali che gi V ∩ gj V = ∅ per 0 ≤ i, j ≤ n, basta prendere gn+1 6∈ V
i=0 gi V .
Teorema 2.4. Se µ e λ sono due misure di Haar sinistre, esiste c > 0 tale che µ = cλ.
Dimostrazione. Sia f ∈ Cc (G). Per il Lemma 1.5, dato ε > 0, esiste un intorno simmetrico V di e
tale che
|f (xy) − f (yx)| < ε
6
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
per ogni y ∈ V e x ∈ G. Sia ϕ ∈ Cc+ (G) con supporto in V , tale che ϕ(x−1 ) = ϕ(x). Allora
ˆ
ˆ
ˆ
≤
f (xy) − f (yx)|ϕ(y) dλ(y)
f
(xy)ϕ(y)
dλ(y)
−
f
(yx)ϕ(y)
dλ(y)
G
G
G
ˆ
<ε
ϕ dλ .
G
´
Consideriamo la funzione u(x) = G f (xy)ϕ(y) dλ(y). Per il Lemma 1.5, u è continua. Condizione
necessaria affinché u(x) 6= 0 è che esista y ∈ Kϕ = supp ϕ tale che xy ∈ Kf = supp f . Deve quindi essere
x = xyy −1 ∈ Kf Kϕ−1
´ = Kf Kϕ . Poiché Kf Kϕ è compatto, supp u ⊂ Kf Kϕ , e u ∈ Cc (G). In modo analogo,
si vede che v(x) = G f (yx)ϕ(y) dλ(y) ∈ Cc (G) e supp v ⊂ Kϕ Kf .
Sia K 0 = Kf Kϕ ∪ Kϕ Kf . Allora
ˆ
ˆ
ˆ
0
ϕ dλ .
u(x) − v(x) dµ(x) < µ(K )ε
u(x) − v(x) dµ(x) = 0
K
G
G
Ma, sostituendo y 0 = xy, e usando la simmetria di ϕ,
ˆ
ˆ ˆ
u dµ =
f (xy)ϕ(y) dλ(y) dµ(x)
G
ˆG ˆG
−1
=
f (y 0 )ϕ(y 0 x) dλ(y) dµ(x)
G G
ˆ ˆ
−1
=
ϕ(y 0 x) dµ(x) f (y 0 ) dλ(y 0 )
Gˆ G ˆ
=
ϕ dµ
f dλ .
G
G
In modo analogo, scambiando direttamente l’ordine di integrazione,
ˆ
ˆ
ˆ
ˆ ˆ
v dµ =
f (yx)ϕ(y) dλ(y) dµ(x) =
f dµ
ϕ dλ .
G
G G
G
G
´
Per comodità di notazione, scriviamo µ(f ) in luogo di G f dµ ecc. Abbiamo dunque
µ(ϕ)λ(f ) − λ(ϕ)µ(f ) < µ(K 0 )λ(ϕ)ε .
Se g è un’altra funzione in Cc (G), vale l’analoga disuguaglianza
µ(ϕ)λ(g) − λ(ϕ)µ(g) < µ(K 00 )λ(ϕ)ε .
Moltiplicando la prima per |λ(g)|, la seconda per |λ(f )| e sommando, si ottiene che
λ(ϕ)µ(f )λ(g) − λ(f )µ(g) < µ(K 0 )|λ(g)| + µ(K 00 )|λ(f )| λ(ϕ)ε .
Poiché λ(ϕ) > 0, per l’arbitrarietà di ε segue che
λ(f )µ(g) = µ(f )λ(g) .
Per l’arbitrarietà di f e g, si ha la tesi.
Proposizione 2.5. Valgono le seguenti proprietà:
• Le misure di Haar di G sono finite se e solo se G è compatto.
• Le misure di Haar di G sono discrete se e solo se G ha la topologia discreta.
Dimostrazione. Sia µ una misura di Haar sinistra su G. Se G è compatto, deve essere necessariamente
µ(G) < ∞.
Viceversa, sia G non compatto e si fissi U intorno compatto e simmetrico di e. Poiché U contiene
un aperto, deve essere µ(U ) > 0. Si consideri una famiglia massimale {xi U }i∈I di traslati sinistri di U a
due S
a due disgiunti. Allora la famiglia {xi U 2 }i∈I è un ricoprimento di G. Infatti, se per assurdo esistesse
2
y 6∈ i xi U 2 , yU sarebbe disgiunto da tutti gli xi U contro l’ipotesi
Pdi massimalità. Essendo U compatto e
G non compatto, l’insieme I deve essere infinito. Quindi µ(G) ≥ i µ(xi U ) = ∞.
2. MISURE DI HAAR
7
Se G è discreto,
la misura del conteggio è una misura di Haar (sia destra che sinistra). Viceversa, se
esiste x con µ {x} = m > 0, lo stesso vale per ogni altro elemento di G. Quindi gli insiemi compatti devono
necessariamente essere finiti. Segue che ogni punto ha un intorno finito. Essendo la topologia T2 , i singoletti
sno aperti.
Quando G è compatto, è abituale normalizzare la misura di Haar3 ponendo µ(G) = 1. Quando G è
discreto, è abituale normalizzarla assegnando misura 1 a ogni punto.
Un criterio utile per trovare le misure di Haar su un gruppo passa attraverso l’individuazione di misure
quasi-invarianti.
Definizione. Una misura di Radon non nulla µ su G si dice quasi invariante a sinistra se per ogni x ∈ G
esiste una costante ϕ(x) > 0 tale che
(2.3)
µ(xA) = ϕ(x)µ(A)
per ogni Boreliano A.
Una misura µ è quasi invariante a sinistra se e solo se, per ogni f ∈ Cc (G),
ˆ
ˆ
f (x−1 y) dµ(y) = ϕ(x)
f (y) dµ(y) ,
G
G
(formalmente, se dµ(xz) = ϕ(x) dµ(z)).
Lemma 2.6. La funzione ϕ è un omomorfismo continuo di G in R+ .
Dimostrazione. Per ogni Boreliano A,
ϕ(xy)µ(A) = µ(xyA) = ϕ(x)µ(yA) = ϕ(x)ϕ(y)µ(A) ,
´
per cui ϕ è un omomorfismo. Si fissino ora f ∈ Cc (G) con G f dµ = 1 e un intorno compatto U0 di e. Dato
ε > 0, sia U ⊂ U0 un intorno di e tale che, per ogni h ∈ U , kLh f − f k∞ < ε. Allora, se h ∈ U ,
ˆ
ϕ(h) − 1 = f (h−1 x) − f (x) dµ(x) < εµ supp f ∪ (h supp f ) ≤ εµ(U0 supp f ) .
G
Questo dimostra la continuità di ϕ in e. La continuità negli altri punti di G segue facilmente dalla
proprietà di omomorfismo.
Proposizione 2.7. Sia µ una misura quasi-invariante a sinistra soddisfacente (2.3). Allora
misura di Haar sinistra.
Dimostrazione. Col cambio di variabile y = xz si ottiene
ˆ
ˆ
ˆ
1
1
1
f (x−1 y)
dµ(y) = ϕ(x)
f (z)
dµ(z) =
f (z)
dµ(z) .
ϕ(y)
ϕ(xz)
ϕ(z)
G
G
G
1
ϕµ
è una
Esempi.
(2.a) La misura di Lebesgue è (a meno di fattori moltiplicativi) la misura di Haar su Rn e sul toro T. Poiché
sono gruppi abeliani, non c’è distinzione tra misura destra e sinistra.
(2.b) Sia G = R+ = (0, +∞) come gruppo moltiplicativo. La misura di Lebesgue λ1 su R+ è quasi invariante,
essendo λ1 (xA) = xλ1 (A) per ogni Boreliano A e ogni x > 0. Quindi dµ(x) = dx
x è una misura di Haar.
In modo analogo si dimostra che una misura di Haar su G = R \ {0}, come gruppo moltiplicativo con la
dx
topologia euclidea, è dµ(x) = |x|
e che, su G = C \ {0} come gruppo moltiplicativo con la topologia euclidea,
una misura di Haar è dµ(x + iy) =
dx dy
x2 +y 2 .
(2.c) Se G è il prodotto diretto G1 × G2 di due gruppi localmente compatti, si ottiene una misura di Haar
sinistra di G prendendo il prodotto tensoriale di due misure di Haar sinistre sui due fattori.
3Come si vedrà più avanti, sui gruppi compatti le misure di Haar destre e sinistre coincidono.
8
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
(2.d) Sia G = GL(n, R) il gruppo delle matrici X reali, n×n e invertibili, con n ≥ 2. Allora G è un aperto di
2
Rn (essendo caratterizzato dalla condizione det X 6= 0) e, con la topologia indotta dalla topologia euclidea,
è un gruppo localmente compatto non commutativo.
La misura di Lebesgue su G è quasi-invariante sia a sinistra che a destra. Per la quasi-invarianza a
sinistra, si osservi che la moltiplicazione da sinistra di un elemento Y ∈ G per X corrisponde ad applicare la
matrice X agli n vettori colonna Y 1 , . . . , Y n di Y . Fattorizzando corrispondentemente la misura di Lebesgue
λn2 come λn × · · · × λn , ogni misura fattore viene moltiplicata per | det X|. Abbiamo quindi ϕ(x) = | det X|n .
Per la quasi-invarianza a destra bisogna scomporre la matrice Y per righe anziché per colonne, ma la
conclusione è la stessa. Si conclude che dX/| det X|n è una misura di Haar sia sinistra che destra.
(2.e) Sia G il gruppo affine della retta, costituito dalle applicazioni di R in sé ϕa,b (x) = ax + b, con a 6= 0,
dotato del prodotto di composizione. G si chiama anche il gruppo “ax + b”. Poiché
ϕa,b ◦ ϕa0 ,b0 (x) = aa0 x + ab0 + b = ϕaa0 ,ab0 +b (x) ,
possiamo vedere G come R \ {0} × R con il prodotto
(a, b)(a0 , b0 ) = (aa0 , ab0 + b) .
−1
−1
−1
L’elemento neutro è (1, 0) e (a,
b) = (a , −a b). Si noti che G è isomorfo al gruppo delle matrici
a b
reali invertibili 2 × 2 della forma
.
0 1
Procedendo come nell’Esempio precedente, osserviamo che la moltiplicazione a sinistra per (a, b) agisce
in modo affine su (a0 , b0 ) con determinante a2 . Quindi la misura
da db
dµ(a, b) =
a2
è una misura di Haar sinistra.
Moltiplicando a destra per (a0 , b0 ) si ottiene invece una trasformazione lineare in (a, b) con determinante
0
a . In modo analogo si deduce che
da db
dν(a, b) =
|a|
è una misura di Haar destra. In questo caso, dunque, misure di Haar destre e sinistre non coincidono.
(2.f ) Più in generale, siano H, K due gruppi localmente compatti. Indicando con Aut(H) il gruppo degli
automorfismi di H, sia ψ : K −→ Aut(H) un’azione continua di K su H. Con questo si intende che ψ è un
omomorfismo di gruppi e che l’applicazione
(k, h) 7−→ ψ(k)h
da K × H in H sia continua. Per comodità di notazioni, scriviamo
k · h = ψ(k)h .
Valgono quindi le formule
k · (hh0 ) = (k · h)(k · h0 ) k · h−1 = (k · h)−1
(kk 0 ) · h = k · (k 0 · h)
k −1 · (k · h) = h .
La composizione dell’azione di k ∈ K su H con la traslazione sinistra `h dà luogo all’applicazione di H
in sé
x 7−→ `h ◦ ψ(k)x = h(k · x) ,
x∈H .
0
0
Presi altri due elementi k ∈ K e h ∈ H, si ha
`h ◦ ψ(k) ◦ `h0 ◦ ψ(k 0 )x = `h ◦ ψ(k) h0 (k 0 · x)
= h k · h0 (k 0 · x)
= h(k · h0 ) (kk 0 ) · x
= `h(k·h0 ) ψ(kk 0 )x .
2. MISURE DI HAAR
9
Inoltre, essendo `eH ψ(eK ) l’applicazione identica su H, si ricava che
−1
= `k−1 ·h−1 ◦ ψ(k −1 ) .
`h ◦ ψ(k)
Si ottiene quindi una struttura di gruppo sul prodotto cartesiano K × H ponendo
(k, h)(k 0 , h0 ) = kk 0 , h(k · h0 ) .
Questo gruppo si chiama il prodotto semidiretto K nψ H ed è chiaramente localmente compatto4. La
notazione accentua il fatto che {eK } × H ∼
= H è un sottogruppo normale, mentre K × {eh } ∼
= K, è un
semplice sottogruppo, in generale non normale.
Nel caso H = Rn e K è un sottogruppo chiuso di GL(n, R) fatto agire in modo canonico su Rn , il
prodotto semidiretto K n Rn è il gruppo di trasformazioni affini generato da K e dalle traslazioni. Il gruppo
affine della retta dell’esempio precedente è dunque R∗ n R.
Siano allora µ, ν misure di Haar sinistre su K e H rispettivamente e si consideri la misura prodotto su
K × H. Se A × B è un rettangolo Boreliano di K × H, si ha
(µ × ν) (k, h)(A × B) = µ(kA)ν h(k · B) = µ(A)ν(k · B) .
Consideriamo allora la misura di Borel su H
νk (B) = ν(k −1 · B) .
Essa è una misura di Haar sinistra, per cui esiste una costante δ(k) > 0 tale che
ˆ
ˆ
ν(k −1 · B) = δ(k)(B) ,
ossia
f (k · x) dν(x) = δ(k)
f (x) dν(x) .
H
H
La misura µ × ν è dunque quasi-invariante a sinistra su K n H e pertanto la misura ρ tale che dρ(k, h) =
dµ(k) dν(h)
è invariante a sinistra.
δ(k)
Una misura di Haar destra su G = K n H è la misura ρ̃ data dalla (2.2). Concretamente, col cambio di
variabile h0 = k · h,
ˆ
ˆ
f (k, h) dρ̃(k, h) =
f (k, h)−1 dρ(k, h)
G
ˆG ˆ
1
dµ(k) dν(h)
=
f (k −1 , k −1 · h−1 )
δ(k)
ˆK ˆH
−1
=
f (k −1 , h0 ) dµ(k) dν(h0 )
ˆK ˆH
=
f (k, h0 ) dµ̃(k) dν̃(h0 ) .
K
H
Quindi ρ̃ = µ̃ × ν̃.
(2.g) Sia G un gruppo localmente compatto con misura di Haar sinistra µ, e sia H un sottogruppo chiuso
normale con misura di Haar sinistra ν. Anche il gruppo quoziente G/H ha una sua misura di Haar sinistra
λ. Descriviamo le relazioni tra le tre misure.
.
Conveniamo di indicare con x l’elemento xH ∈ G/H. Data f ∈ Cc (G), sia
ˆ
.
f˜(x) =
f (xh) dν(h) .
H
.
.
Si noti che, se x = y, allora y = xh0 e, per l’invarianza di ν,
ˆ
ˆ
ˆ
f (yh) dν(h) =
f (xh0 h) dν(h) =
f (xh) dν(h) ,
H
H
H
per cui f˜ è ben definita.
4Quando non c’è ambiguità o l’azione ψ è del tutto naturale, il pedice viene omesso. Si usa anche la notazione H o K.
10
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
Quindi f˜ è ben definita su G/H, ed è chiaramente continua con supporto compatto. Poniamo allora
ˆ
.
.
Φ(f ) =
f˜(x) dλ(x) .
G/H
Φ è un funzionale lineare su Cc (G), positivo, e invariante per traslazioni sinistre. Infatti
ˆ
ˆ
.
g
L
f
(
x)
=
L
f
(xh)
dν(h)
=
f (g −1 xh) dν(h) = f˜ (g −1 x). ,
g
g
H
per cui
H
ˆ
ˆ
.
. −1 . .
f˜ (g −1 x). dλ(x) =
f˜ g x dλ(x) = Φ(f ) .
G/H
G/H
´
Esiste dunque una costante c > 0 tale che Φ(f ) = c G f dµ, ossia
ˆ
ˆ
ˆ
.
(2.4)
f (xh) dν(h) dλ(x) = c
f (x) dµ(x) .
Φ(Lg f ) =
G/H
H
G
In particolare, fissate misure di Haar sinistre su due dei tre gruppi, è possibile normaizzare la misura di
Haar sinistra sul terzo, in modo che valga la (2.2) con c = 1.
Quando H è compatto, si può procedere molto più semplicemente ed esplicitamente come segue.
La proiezione canonica π di G su G/H è in questo caso un’applicazione propria. Infatti l’immagine
.
inversa di x ∈ G/H è xH, che è compatto. Inoltre π è chiusa.
.
Sia infatti F chiuso in G. Dato x 6∈ π(F ), Si ha F ∩ xH = ∅. Per ogni y ∈ xH esiste un intorno Uy
di e tale che Uy y sia disgiunto da F . Si prenda Vy intorno aperto di e tale che Vy2 ⊂ Uy e si consideri il
ricoprimento aperto {Vy y}y∈xH di xH. Esiste un sottoricoprimento finito Vy1 y1 , . . . , Vyn yn .
Posto V = Vy1 ∩ · · · Vyn , si prenda z = vy ∈ V (xH). Esiste k ≤ n tale che y = v 0 yk con v 0 ∈ Vyk , per cui
.
z = vv 0 yk ∈ Uyk yk . Quindi V (xH) è disgiunto da F e, proiettando su G/H, π(V xH) = π(V )x è disgiunto
.
.
da π(F ). Ma π(V )x è un intorno di x, dunque π(F ) è chiuso.
Sia ora µ una misura di Haar sinistra su G. Essendo π propria, se C ⊆ G/H è compatto, π −1 (C) è
compatto in G. Quindi, se f ∈ Cc (G/H), allora f ◦ π ∈ Cc (G) e possiamo definire il funzionale
ˆ
Λ(f ) =
(f ◦ π)(x) dx .
G
.
La proprietà di invarianza per traslazioni sinistre, Λ(Lx. f ) = Λ(f ) per ogni x ∈ G/H, è verificata, per
cui Λ definisce una misura di Haar sinistra λ. Questo equivale a porre
λ(B) = µ π −1 (B) ,
per ogni Boreliano B in G/H.
3. La funzione modulare
La funzione modulare di un gruppo localmente compatto G esprime la relazione tra misure di Haar
sinistre e destre.
Lemma 3.1. Una misura di Haar sinistra su G è quasi-invariante a destra.
Dimostrazione. Sia m` una misura di Haar sinistra. Dato g ∈ G, poniamo, per ogni Boreliano A,
µg (A) = m` (Ag) .
Allora µg è pure una misura di Haar sinistra, in quanto
µg (hA) = m` (hAg) = m` (Ag) = µg (A) ,
per ogni h ∈ G. Esiste dunque una costante ∆(g) > 0 tale che µg = ∆(g)m` .
Chiaramente il valore di ∆(g) non dipende dalla scelta di m` .
3. LA FUNZIONE MODULARE
11
Definizione. La funzione ∆ : G → R+ si chiama la funzione modulare di G. Se ∆(g) = 1 per ogni g ∈ G,
ossia se le misure di Haar sinistre sono anche destre, si dice che G è unimodulare.
Teorema 3.2. Valgono le seguenti proprietà:
´
´
(1) per ogni g ∈ G e f ∈ Cc (G), G Rg f dm` = ∆(g −1 ) G f dm` ;
(2) la funzione modulare è un omomorfismo continuo di G in R+ ;
(3) dmr (x) = ∆(x)−1 dm´` (x) è una misura di´ Haar destra;
(4) per ogni f ∈ Cc (G), G f (x−1 ) dm` (x) = G f (x)∆(x)−1 dm` (x).
Dimostrazione. (1) Se f = χA , con A Boreliano, Rg f = χAg−1 , per cui
ˆ
ˆ
−1
−1
Rg f dm` = m` (Ag ) = ∆(g )
f dm` .
G
G
Per linearità, l’uguaglianza si estende a funzioni semplici e, per continuità, a funzioni continue a supporto
compatto.
(2) è conseguenza diretta del Lemma 2.6.
(3) segue dai seguenti passaggi:
ˆ
ˆ
−1
Rg f (x)∆(x) dm` (x) = ∆(g)
f (xg)∆(xg)−1 dm` (x)
G
G
ˆ
= ∆(g)
Rg (f ∆−1 )(x) dm` (x)
G
ˆ
=
f (x)∆(x)−1 dm` (x) .
(4) Il funzionale ϕ(f ) =
c > 0 tale che
´
G
−1
f (x ) dm` (x) è invariante per traslazioni destre. Per la (3), esiste dunque
ˆ
ˆ
f (x−1 ) dm` (x) = c
f (x)∆(x)−1 dm` (x) ,
G
G
G
per ogni f ∈ Cc (G). Applicando questa identità a f (x−1 ), si ha
ˆ
ˆ
f (x) dm` (x) = c
f (x−1 )∆(x)−1 dm` (x)
G
G
ˆ
2
=c
f (x)∆(x)∆(x)−1 dm` (x) ,
G
da cui c = 1.
Corollario 3.3. Sono unimodulari i gruppi localmente compatti nelle seguenti classi:
(1) i gruppi abeliani;
(2) i gruppi compatti;
(3) i gruppi privi di sottogruppi chiusi normali non banali;
(4) i gruppi discreti.
Dimostrazione. la (1) è ovvia.
(2) Si osservi che l’immagine ∆(G) in R+ è un sottogruppo compatto, per cui necessariemente ∆(x) = 1
per ogni x ∈ G.
(3) Possiamo supporre che G non sia abeliano. Poiché ker ∆ è un sottogruppo chiuso normale di G e
G/ ker ∆ è abeliano, non può essere ker ∆ = {e}. Allora ker ∆ = G e G è unimodulare.
(4) segue dalla Proposizione 2.5.
Esempi.
(3.a) La funzione modulare del gruppo “ax + b” è ∆(a, b) = |a|−1 .
12
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
G/H
H
(3.b) Sia H un sottogruppo chiuso normale di G. Indichiamo con mG
misure di Haar sinistre fis` , m` , m`
´
.
sate sui rispettivi gruppi, tali che valga la (2.2) con c = 1. Per f ∈ Cc (G), poniamo f˜(g) = H f (gh) dmH
` (h).
Siano poi ∆G , ∆H ecc. le funzioni modulari sui rispettivi gruppi.
Dato g ∈ G,
ˆ
.
g
Rg f (x) =
Rg f (xh) dmH (h)
ˆH
=
ˆH
`
f (xhg) dmH
` (h)
f (xg(g −1 hg) dmH
` (h) .
=
H
Essendo H normale in G, G agisce su H per automorfismi interni,
ϕ(g)h = ghg −1 .
−1
Consideriamo la misura µg (A) = mH
Ag) su H. Essa è invariante a sinistra, perché, essendo
` (g
g −1 hg ∈ H per ogni h ∈ H, si ha
−1
−1
−1
µg (hA) = mH
hAg) = mH
hg)g −1 Ag = mH
Ag) = µg (A) .
` (g
` (g
` (g
0
−1
0
Esiste dunque δ(g) > 0 tale che µg = δ(g)mH
hg fa sı̀ che dmH
` . La sostituzione h = g
` (h ) =
H
δ(g) dm` (h), e dunque
ˆ
.
.
−1
0
−1 ˜ . .
g
R
f (xgh0 ) dmH
f (xg) = δ(g)−1 Rg. f˜(x) .
g f (x) = δ(g)
` (h ) = δ(g)
H
Di conseguenza,
ˆ
ˆ
−1
Rg f dmG
` = δ(g)
G
da cui
G/H
.
G/H
Rg. f˜ dm`
= δ(g)−1 ∆G/H (g)−1
ˆ
f dmG
` ,
G
.
∆(g) = δ(g)∆G/H (g) .
Si noti che la funzione δ, definita su G, coincide con ∆H su H. Infatti, se h ∈ H,
H
−1
δ(h)mH
Ah) = ∆H (h)mH
` (A) = m` (h
` (A) ,
per ogni Boreliano A di H.
In particolare, se G/H è unimodulare e δ(g) = 1 per ogni g ∈ G, allora anche G è unimodulare.
(3.c) Un caso particolare della situazione descritta nell’Esempio precedente è costituita dai gruppi di trasformazioni affini di Rn . Sia G0 un sottogruppo chiuso di GL(n, R), e si consideri il gruppo G delle applicazioni
affini da Rn in sé
ϕg,v (x) = gx + v
con g ∈ G0 e v ∈ Rn . Essendo ϕg,v ◦ ϕg0 ,v0 = ϕgg0 ,gv0 +v , possiamo identificare G con G0 × Rn con il prodotto
(g, v)(g 0 , v 0 ) = (gg 0 , gv 0 + v) .
L’elemento neutro è (e, 0), dove e è l’identità di G0 . Inoltre
(g, v)−1 = (g −1 , −g −1 v) .
Si verifica facilmente che H = {e} × Rn è un sottogruppo normale.
La funzione modulare su G è allora ∆G (g, v) = δ(g, v), calcolata considerando l’applicazione
(e, x) 7−→ (g, v)−1 (e, x)(g, v) = (g −1 , −g −1 v)(g, x + v) = (e, g −1 x) .
Poiché la misura di Haar su H non è altro che la misura di Lebesgue su Rn ,
δ(g, v) = | det g|−1 .
4. CONVOLUZIONE DI MISURE E FUNZIONI
13
4. Convoluzione di misure e funzioni
Sia G un gruppo localmente compatto. Indichiamo con M(G) lo spazio di Banach delle misure di Borel
regolari su G, con la norma kµk1 = |µ|(G).
Definizione. Siano µ, ν ∈ M(G). La convoluzione µ ∗ ν è la misura definita ponendo
ˆ
¨
(4.1)
f d(µ ∗ ν) =
f (xy) dµ(x) dν(y) ,
G
G×G
per f ∈ C0 (G).
Proposizione 4.1. La convoluzione µ ∗ ν è ben definita in M(G). Inoltre,
(1) kµ ∗ νk1 ≤ kµk1 kνk1 ;
(2) la convoluzione rende M(G) un’algebra di Banach;
(3) l’applicazione µ →
7 µ∗ , ove
ˆ
ˆ
∗
f dµ =
f¯(x−1 ) dµ(x) ,
G
G
è un’involuzione su M(G);
(4) M(G) è commutativa se e solo se G è commutativo.
˜
Dimostrazione. Sia ϕ(f ) = G×G f (xy) dµ(x) dν(y). Allora
¨
ϕ(f ) ≤
|f (xy)| d|µ|(x) d|ν|(y) ≤ kf k∞ |µ|(G)|ν|(G) .
G×G
Per ´il Teorema di rappresentazione di Riesz esiste una e una sola misura di Radon finita σ tale che
ϕ(f ) = G f dσ. Questo dimostra che µ ∗ ν è ben definita come elemento di M(G). Inoltre
kµ ∗ νk1 = kϕk ≤ |µ|(G)|ν|(G) = kµk1 kνk1 .
(2) L’unica verifica non banale è quella dell’associatività. Ma
ˆ
¨
f d (µ ∗ ν) ∗ σ =
f (xy) d(µ ∗ ν)(x) dσ(y)
G
˚G×G
=
f (uvy) dµ(u) dν(v) dσ(y) .
G×G×G
´
Lo sviluppo di G f d µ ∗ (ν ∗ σ) porta allo stesso risultato.
(3) Chiaramente l’applicazione è antilineare e involutiva. Inoltre
ˆ
¨
∗
f d(µ ∗ ν) =
f¯(x−1 ) d(µ ∗ ν)(x)
G
G×G
¨
f¯ (uv)−1 dµ(u) dν(v)
=
G×G
¨
f¯(v −1 u−1 ) dµ(u) dν(v)
=
¨
G×G
f (vu) dµ∗ (u) dν ∗ (v)
=
ˆ
G×G
f d(ν ∗ ∗ µ∗ ) ,
=
G
per cui (µ ∗ ν)∗ = ν ∗ ∗ µ∗ .
14
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
(4) Se G è commutativo,
ˆ
¨
f d(µ ∗ ν) =
G
f (xy) dµ(x) dν(y)
¨
G×G
ˆ
G×G
=
f (yx) dµ(x) dν(y)
f d(ν ∗ µ) ,
=
G
da cui µ ∗ ν = ν ∗ µ.
Per dimostrare l’altra implicazione, osserviamo che, se g, h ∈ G,
ˆ
¨
f d(δg ∗ δh ) =
f (xy) dδg (x) dδh (y) = f (gh) ,
G×G
per cui δg ∗ δh = δgh . Se M(G) è commutativo, δgh = δhg , e quindi gh = hg per ogni g, h ∈ G.
Data una misura di Borel µ su G, indichiamo con Lg µ e con Rg µ le misure tali che Lg µ(A) = µ(g
e Rg µ(A) = µ(Ag) rispettivamente, per ogni Boreliano A. Se f ∈ Cc (G),
ˆ
ˆ
ˆ
ˆ
f d(Lg µ) =
Lg−1 f dµ ,
f d(Rg µ) =
Rg−1 f dµ .
G
G
G
−1
A)
G
Proposizione 4.2. Se µ, ν ∈ M(G),
supp (µ ∗ ν) ⊆ (supp µ)(supp ν) .
Inoltre, se g ∈ G, δg ∗ µ = Lg µ e µ ∗ δg = Rg−1 µ. In particolare δe è l’unità di M(G).
Dimostrazione. Sia f ∈ C0´(G) con (supp f ) ∩ (supp µ)(supp ν) = ∅. In particolare f (xy) = 0 per ogni
x ∈ supp µ e y ∈ supp ν. Quindi G f d(µ ∗ ν) = 0.
Inoltre,
ˆ
ˆ
ˆ
ˆ
f d(δg ∗ µ) =
G
f (gy) dµ(y) =
G
Lg−1 f dµ =
G
f d(Lg µ) ,
G
e analogamente per µ ∗ δg .
Sia ora G un gruppo unimodulare5. Fissiamo una misura di Haar m su G e scriviamo dx in luogo di
dm(x).
Data una funzione f ∈ L1 (G) = L1 (G, m), identifichiamo f con la misura µf = f m ∈ M(G).
Proposizione 4.3. Siano f ∈ L1 (G) e ν ∈ M(G). Per quasi ogni x ∈ G, la funzione y 7→ f (xy −1 ) è
integrabile rispetto a d|ν|, la funzione
ˆ
(4.2)
f ∗ ν(x) =
f (xy −1 ) dν(y)
G
1
è in L (G), kf ∗ νk1 ≤ kf k1 kνk1 e µf ∗ ν = µf ∗ν . Analogamente, ponendo
ˆ
(4.3)
ν ∗ f (x) =
f (y −1 x) dν(y) ,
G
si ha kν ∗ f k1 ≤ kf k1 kνk1 ν ∗ µf = µν∗f .
Se poi f, g ∈ L1 (G), l’integrale
(4.4)
ˆ
f (xy −1 )g(y) dy
f ∗ g(x) =
G
5Ci limitiamo a gruppi unimodulari per semplicità. L’estensione di definizioni e risultati che seguono a gruppi non
unimodulari richiede modifiche e precisazioni che preferiamo tralasciare.
4. CONVOLUZIONE DI MISURE E FUNZIONI
15
è assolutamente convergente per quasi ogni x, f ∗ g ∈ L1 (G) e
kf ∗ gk1 ≤ kf k1 kgk1 .
(4.5)
Inoltre µf ∗ µg = µf ∗g .
Dimostrazione. Data h ∈ Cc (G),
ˆ
¨
h(x) d(µf ∗ ν)(x) =
G
h(xy)f (x) dx dν(y) ,
G×G
e l’integrale a secondo membro è assolutamente convergente. Applicando il Teorema di Fubini,
ˆ
ˆ ˆ
h(x) d(µf ∗ ν)(x) =
h(xy)f (x) dx dν(y)
G
G
G
ˆ ˆ
h(x)f (xy −1 ) dx dν(y)
=
G
G
ˆ ˆ
=
f (xy −1 ) dν(y) h(x) dx
G
ˆG
=
h(x)f ∗ ν(x) dx .
G
Questo dimostra la prima parte. La seconda si dimostra in modo analogo e la terza ne è una semplice
conseguenza.
La funzione f ∗ g si chiama la convoluzione di f e g. La scelta della misura di Haar influisce nella
definizione per un fattore moltiplicativo.
Corollario 4.4. L1 (G) è un ideale bilatero di M(G). In particolare, è un’algebra di Banach con involuzione
f ∗ (x) = f (x−1 ). Essa ammette unità se e solo se G è discreto, nel qual caso L1 (G) = M(G). Inoltre L1 (G)
è commutativa se e solo se G è commutativo.
Dimostrazione. La prima parte è un’ovvia conseguenza delle Proposizione 4.1 e 4.3.
Sia ora u ∈ L1 (G) tale che f ∗ u = f per ogni f ∈ L1 (G). In particolare,
ˆ
f (xy −1 )u(y) dy = f (x)
G
per quasi ogni x. Se f ∈ Cc (G), ambo i membri sono continui, e l’identità vale per ogni x. In particolare,
ˆ
f (y)u(y −1 ) dy = f (e) .
G
Per continuità, l’uguaglianza si estende a ogni f ∈ C0 (G). Per il Teorema
di rappresentazione di Riesz,
la misura
um
coincide
con
δ
.
Questo
implica
che
supp
u
=
{e}
e
m
{e}
=
c
> 0. Per l’invarianza di m,
e
m {g} = c per ogni g. Poiché i compatti devono avere misura finita, gli unici compatti sono gli insiemi
finiti. Ma allora ogni punto ha un intorno costituito da un numero finito di punti; essendo G di Hausdorff,
la topologia deve essere quella discreta.
Se G è discreto, ogni misura di Borel finita ha la forma
X
µ=
aj δgj ,
j∈N
con gj punti distinti di G e
|aj | < ∞. Allora l’identificazione di M(G) con L1 (G) = `1 (G) è ovvia.
1
Se G è abeliano, L (G) è ovviamente abeliana. Se G non è abeliano, siano x, y ∈ G tali che xy 6= yx.
Esistono allora intorni disgiunti Uxy e Uyx di xy e di yx rispettivamente. Per la continuità del prodotto,
esistono intorni Vx e Vy di x e y rispettivamente, tali che Vx Vy ⊂ Uxy e Vy Vx ⊂ Uyx .
Supponendo, come possiamo, che Vx e Vy siano compatti, poniamo f = χVx , g = χVy . Allora f, g ∈ L1 (G)
e f ∗ g e g ∗ f hanno supporti disgiunti. Basta allora far vedere che una di esse è diversa da 0.
P
16
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
Mostriamo dunque che f ∗ g(xz) > 0 se z ∈ Vy . Osserviamo che
ˆ
f ∗ g(xz) =
χVx (u)χVy (u−1 xz) du
G
= m Vx ∩ xzVy−1
= m x−1 Vx ∩ zVy−1 .
Ma x−1 Vx ∩ zVy−1 è un intorno di e. Per il Lemma 2.5, ha misura positiva e dunque f ∗ g(xz) > 0.
Ci sono altri modi di scrivere la convoluzione di due funzioni integrabili:
ˆ
ˆ
f ∗ g(x) =
f (y)g(y −1 x) dy =
f (xy −1 )g(y) dy = · · · ,
G
G
come si verifica con semplici cambiamenti di variabile6. Occorre tuttavia un po’ di cautela in modo da non
confondere f ∗ g con g ∗ f .
Vedremo ora che la convoluzione si estende ad altri spazi funzionali. Premettiamo un lemma di interesse
indipendente.
Lemma 4.5. Sia f ∈ Lp (G), con 1 ≤ p < ∞. Le applicazioni g 7→ Lg f e g 7→ Rg f sono continue da G in
Lp (G). Lo stesso vale sostituendo C0 (G) a Lp (G).
Dimostrazione. Che Lg f e Rg f siano in Lp (G) è ovvio. Dato ε > 0, sia h ∈ Cc (G) tale che kf − hkp <
ε. Sia K = supp h. Per il Lemma 1.5, esiste un intorno simmetrico V di e tale che per ogni g ∈ V e ogni
x ∈ G,
ε
ε
,
|f (gx) − f (x) <
.
|f (xg) − f (x) <
1/p
m(K)
m(K)1/p
Allora, se g ∈ V ,
kLg f − f kp ≤ kLg (f − h)kp + kLg h − hkp + kh − f kp
ˆ
1/p
−1
f (g x) − f (x)p dx
= 2kf − hkp +
G
ˆ
< 2ε +
K∪gK
≤ (2 + 2
1/p
εp
dx
m(K)
1/p
)ε .
Questo dimostra la continuità della funzione f 7→ Lg f in e. Per la continuità in un punto g0 generico,
basta notare che
kLg f − Lg0 f kp = Lg0 (L −1 f − f ) = kL −1 f − f kp .
g0 g
p
g0 g
La continuità dell’altra funzione e il caso f ∈ C0 (G) si dimostrano in modo analogo.
E’ molto utile interpretare la convoluzione di due funzioni integrabili f, g come integrale di Bochner
(v. Appendice, par. C) di una funzione su G a valori in L1 (G),
ˆ
ˆ
f ∗g =
f (y)Ly g dy =
g(y)Ry−1 f dy .
G
G
6Se G non è unimodulare, alcune di queste espressioni vanno modificate introducendo la funzione modulare.
5. IDENTITÀ APPROSSIMATE
17
Per i punti (1), (2) in Appendice, le due funzioni integrande sono Bochner-integrabili. Per verificare che
i due integrali danno effettivamente f ∗ g, basta considerare che, per h ∈ L∞ (G),
Dˆ
E ˆ
f (y)Ly g dy , h =
f (y)hLy g, hi dy
G
ˆG
ˆ
=
f (y)
g(y −1 x)h(x) dx dy
G
ˆG
=
(f ∗ g)(x)h(x) dx ,
G
e analogamente per l’altro integrale. Lo stesso argomento si applica, in base al Lemma 4.5, alla convoluzione
con uno dei due fattori in Lp (G) con 1 ≤ p < ∞ e l’altro in M(G). Si ha precisamente quanto segue.
Proposizione 4.6. Siano µ ∈ M(G) e f ∈ Lp (G). Le convoluzioni µ ∗ f e f ∗ µ sono ben definite come
integrali di Bochner,
ˆ
ˆ
µ∗f =
Ly f dµ ,
f ∗µ=
Ry−1 f dµ .
G
G
Nell’enunciato che segue incorporiamo i vari casi in cui la convoluzione di una funzione in Lp (G) con
una in Lq (G) è ben definita e le proprietà della loro convoluzione. La dimostrazione si svolge in modo del
tutto analogo al caso classico in cui G = Rn o T (v. E.M. Stein, G. Weiss, Introduction to Fourier analysis
on Euclidean spaces, Cap. 5). L’ultimo punto è basato sul Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin.
Teorema 4.7.
(1) Se f ∈ L1 (G) e g ∈ L∞ (G), allora f ∗ g e g ∗ f sono continue7 e limitate, e
kf ∗ gk∞ ≤ kf k1 kgk∞ ,
kg ∗ f k∞ ≤ kf k1 kgk∞ .
0
(2) Se f ∈ Lp (G), con 1 < p < ∞ e g ∈ Lp (G), allora f ∗ g ∈ C0 (G) e
kf ∗ gk∞ ≤ kf kp kgkp0 .
(3) Se f ∈ Lp (G) e g ∈ Lq (G), con
di Young
1
p
+
1
q
= 1+
1
r
> 1, allora f ∗ g ∈ Lr (G) e vale la disuguaglianza
kf ∗ gkr ≤ kf kp kgkq .
5. Identità approssimate
Abbiamo visto che, se G non è discreto, L1 (G) non ha unità. Esiste sempre, tuttavia, una famiglia di
funzioni che costituiscono una unità approssimata (o anche identità approssimata).
Definizione. Sia A un’algebra di Banach. Una famiglia {yi }i∈I di elementi di A, con I insieme parzialmente
ordinato filtrante, si dice una unità approssimata se
(1) esiste C > 0 tale che kyi k ≤ C per ogni i ∈ I;
(2) per ogni x ∈ A, limi xyi = limi yi x = x.
Proposizione 5.1. Sia G un gruppo localmente compatto e sia {Ui }i∈I un sistema fondamentale di intorni
di e, ordinato per inclusione. Per ogni i ∈ I, sia ϕi ∈ L1 (G) tale che
(1) supp ϕi ⊂ Ui ;
(2) esiste
una costante C > 0 tale che kϕi k1 ≤ C per ogni i;
´
(3) G ϕi = 1 per ogni i.
Allora {ϕi } è un’identità approssimata.
7Più precisamente, f ∗ g è uniformemente continua a destra e g ∗ f a sinistra.
18
1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI
Dimostrazione. Sia f ∈ L1 (G). Osserviamo che, per la (3),
ˆ
ϕi ∗ f (x) − f (x) =
ϕi (y) f (y −1 x) − f (x) dy .
G
Dato ε > 0, per il Lemma 4.5, esiste un intorno V di e tale che kLy f − f k1 < ε per ogni y ∈ V . Se
Ui ⊂ V , si ha
ˆ ˆ
kϕi ∗ f − f k1 ≤
|ϕi (y)|f (y −1 x) − f (x) dy dx
ˆG G
=
|ϕi (y)|kLy f − f k1 dy
Ui
< Cε .
In modo analogo si dimostra che limi f ∗ ϕi = f .
La dimostrazione del seguente enunciato è lasciata per esercizio.
Corollario 5.2. Nell’enunciato della Proposizione 5.1, la (1) può essere sostituita da
´
(1) (1’) per ogni intorno V di e, limi G\V |ϕi | = 0,
e la (3) da
´
(1) (3’) limi G ϕi = 1.
Per una tale identità approssimata, se p < ∞ e f ∈ Lp (G),
lim kf ∗ ϕi − f kp = lim kϕi ∗ f − f kp = 0 .
i
i
Se f ∈ C0 (G),
lim kf ∗ ϕi − f k∞ = lim kϕi ∗ f − f k∞ = 0 .
i
i
Un esempio di identità approssimata è dato da
ϕi (x) =
1
χU (x) ,
m(Ui ) i
con {Ui } un sistema fondamentale di intorni compatti di e. Inoltre le funzioni
ψi = ϕi ∗ ϕi
pure formano un’identità approssimata e in più sono continue.
CAPITOLO 2
Elementi di analisi di Fourier
su gruppi abeliani localmente compatti
In questo capitolo presentiamo, in modo sintetico e con molti enunciati non dimostrati, nozioni e proprietà
della trasformata di Fourier per gruppi abeliani localmente compatti. Per una trattazione completa rinviamo
ai testi di W. Rudin, Fourier analysis on groups e di J. Folland, A course in abstract harmonic analysis.
1. Gruppo duale e trasformata di Fourier
Sia G un abeliano localmente compatto Indicando l’operazione di gruppo in forma additiva e l’elemento
neutro con 0, denoteremo la traslazione La di una funzione f come τa f (x) = f (x − a). Con m indichiamo
una misura di Haar fissata e con dx is suo elemento di volume.
Con T indichiamo il toro unidimensionale
T = {eit : t ∈ R/2πZ} .
Definizione. Si chiama carattere di G un omomorfismo continuo ξ : G −→ T.
¯ I caratteri
Dati due caratteri ξ, ξ 0 , il loro prodotto ξξ 0 è pure un carattere, cosı̀ come il reciproco 1/ξ = ξ.
b Su di esso preferiamo
di G formano quindi un gruppo abeliano, detto il gruppo duale di G e indicato con G.
mantenere la notazione moltiplicativa. In particolare l’elemento neutro sarà indicato come 1 e ξ −1 indicherà
il carattere 1/ξ = ξ.
b introduciamo la topologia compatto-aperto in cui un insieme A è aperto se per ogni ξ0 ∈ A esistono
Su G
un compatto K ⊆ G e δ > 0 tali che
UK,δ (ξ0 ) = ξ : ξ(x) − ξ0 (x) < δ ∀ x ∈ K ⊆ A .
Chiaramente gli insiemi UK,δ (ξ0 ) formano, al variare di K e δ, un sistema fondamentale di intorni
simmetrici aperti di ξ0 .
b è un gruppo topologico T2 .
Lemma 1.1. G
Dimostrazione. Per la continuità del prodotto, sia ξ0 = ξ1 ξ2 . Dato un intorno UK,δ (ξ0 ) di ξ0 , si
verifica facilmente che
UK,δ/2 (ξ1 )UK,δ/2 (ξ2 ) ⊆ UK,δ (ξ0 ) .
Per l’inverso, si ha
UK,δ (ξ0 )−1 = UK,δ (ξ0−1 ) .
b diverso dal carattere banale 1. Esiste allora x ∈ G tale che ξ(x) 6= 1. Se δ < |1 − ξ(x)|,
Sia ora ξ ∈ G
b è T2 .
allora 1 6∈ U{x},δ (ξ). Quindi {1} è chiuso e dunque G
b è localmente compatto dobbiamo introdurre la nozione di trasformata
Prima di poter dimostrare che G
b lo spazio delle funzioni continue e limitate su G
b con la norma k k∞ .
di Fourier. Indichiamo con Cb (G)
19
20
2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER
SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI
b come
Definizione. Sia f ∈ L1 (G). Si chiama trasformata di Fourier di f la funzione fb definita su G
ˆ
fb(ξ) =
f (x)ξ(x) dx .
G
b e kfbk∞ ≤ kf k1 . Inoltre
Proposizione 1.2. La funzione fb è continua e limitata su G
f[
∗ g = fbgb .
b che applica f in fb è dunque continuo come operatore lineare ed è un
L’operatore F : L1 (G) −→ Cb (G)
omomorfismo di algebre.
Dimostrazione. Chiaramente, se f ∈ L1 (G),
ˆ
fb(ξ) ≤
f (x) dx = kf k1 ,
G
per cui fb è limitata e kfbk∞ ≤ kf k1 .
b si prenda ξ ∈ UK,δ (ξ0 ).
Dato ε > 0 sia g ∈ Cc (G) tale che kf − gk1 < ε e sia K = supp g. Dato ξ0 ∈ G,
Allora
ˆ
g(x)ξ(x) − ξ0 (x) dx < 2ε + δkgk1 ,
fb(ξ) − fb(ξ0 ) ≤ 2kf[
− gk∞ +
K
b
b
e, per δ sufficientemente piccolo, f (ξ) − f (ξ0 ) < 3ε.
Infine
ˆ ˆ
f[
∗ g(ξ) =
f (x − y)g(y)ξ(x) dy dx
G G
ˆ ˆ
=
f (x)g(y)ξ(x + y) dy dx
ˆG ˆG
=
f (x)ξ(x)g(y)ξ(y) dy dx
G
G
= fb(ξ)b
g (ξ) .
b come sottoinsieme di L∞ (G) e dimostrare che la topologia compatto-aperto
Vogliamo ora considerare G
b A questo scopo occorre premettere alcuni lemmi.
coincide con la topologia debole* di L∞ (G) ristretta a G.
Lemma 1.3. Ogni omomorfismo misurabile γ : G −→ T è continuo.
Dimostrazione. Per f ∈ L1 (G),
ˆ
ˆ
(1.1)
f ∗ γ(x) =
f (y)γ(x − y) dy =
f (y)γ(y) dy γ(x) .
G
Essendo f ∗ γ continua, basta scegliere f in modo che
G
´
G
f (y)γ(y) dy 6= 0.
∞
Data una funzione γ ∈ L (G), indichiamo con λγ il funzionale lineare continuo
ˆ
λγ (f ) =
f (x)γ(x) dx
G
su L1 (G). Si dice che λγ è moltiplicativo se vale l’identità
λγ (f ∗ g) = λγ (f )λγ (g) .
Lemma 1.4.
b
• Per f ∈ L1 (G) e ξ ∈ G,
f ∗ ξ = fb(ξ)ξ .
(1.2)
∞
• Ogni funzione non nulla γ ∈ L (G) che determini un funzionale lineare moltiplicativo su L1 (G) è
un carattere.
1. GRUPPO DUALE E TRASFORMATA DI FOURIER
21
• Sia γ ∈ L∞ (G) non nulla tale che f ∗ γ = µ(f )γ, con µ(f ) ∈ C per ogni f ∈ L1 (G); allora esistono
b tale che µ(f ) = fb(ξ) e c ∈ C \ {0} tale che γ = cξ.
ξ∈G
Dimostrazione. Il primo punto non è altro che la (1.1).
Passando al secondo punto, supponiamo che λγ sia moltiplicativo. Allora, per ogni f, g ∈ L1 (G),
ˆ ˆ
λγ (f ∗ g) =
f (x)g(y)γ(x + y) dy dx
G G
ˆ
= λγ (f )
g(y)γ(y) dy .
G
Per l’arbitrarietà di g,
ˆ
G
f (x)γ(x + y) dx = λγ (f )γ(y)
ˆ
=
f (x)γ(x)γ(y) dx ,
G
per quasi ogni y ∈ G. Poiché il primo membro non è altro che f ∗ γ(−y), segue dalla prima uguaglianza che
γ è (equivalente a) una funzione continua. Per l’arbitrarietà di f , vale l’identità γ(x + y) = γ(x)γ(y) per
quasi ogni (x, y) ∈ G × G. Per continuità essa vale per ogni (x, y).
Per il terzo punto, si osservi che, essendo γ 6= 0, esiste f0 ∈ L1 (G) tale che
ˆ
(1.3)
µ(f0 )γ(0) = f0 ∗ γ(0) =
f0 (−y)γ(y) dy 6= 0 .
G
Quindi µ(f0 ) 6= 0 e pertanto γ è continua. Essendo inoltre
ˆ
ˆ
(1.4)
µ(τx f0 )γ(x) = (τx f0 ) ∗ γ(x) =
τx f0 (x − y)γ(y) dy =
f0 (−y)γ(y) dy 6= 0 ,
G
G
è γ(x) 6= 0 per ogni x ∈ G.
Essendo dunque γ 6= 0 come elemento di L∞ (G), la disuguaglianza
µ(f )kγk∞ = f ∗ γ ≤ kf k1 kγk∞ ,
∞
per ogni f ∈ L1 (G), implica che µ è un funzionale lineare continuo. Ma dall’ipotesi segue che
µ(f ∗ g)γ = f ∗ g ∗ γ = µ(g)f ∗ γ = µ(f )µ(g)γ ,
b tale che µ = λξ . La (1.2) diventa
per cui µ è moltiplicativo. Sia ξ ∈ G
f ∗ γ = fb(ξ)γ .
Le uguaglianze in (1.3) e (1.4) mostrano che, per ogni f ∈ L1 (G),
b
fb(ξ)γ(0) = τd
x f (ξ)γ(x) = ξ(x)f (ξ)γ(x) .
Per l’arbitrarietà di f , si ricava che γ(x) = γ(0)ξ(x).
Nella topologia debole* un sistema fondamentale di intorni di ϕ0 ∈ L∞ (G) è dato dagli insiemi
Vf1 ,...,fn ,ε (ϕ0 ) = ϕ : λϕ (fj ) − λϕ0 (fj ) < ε , ∀ j = 1, . . . , n ,
al variare di ε, n e f1 , . . . , fn ∈ L1 (G).
Lemma 1.5.
b ∪ {0} è compatto in L∞ (G) rispetto alla topologia debole*, e dunque G
b è localmente compatto
• G
rispetto a tale topologia.
b la topologia indotta dalla topologia debole* di L∞ (G), l’applicazione (x, ξ) 7−→ ξ(x)
• Ponendo su G
b
da G × G in T è continua.
22
2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER
SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI
Dimostrazione. Per il primo punto, si osservi che la proprietà di moltiplicatività di λϕ è chiusa per
b ∪ {0} è chiuso. Essendo
la topologia debole* (ma non quella di non essere identicamente nullo). Quindi G
contenuto nella palla {ϕ : kϕk∞ ≤ 1}, che è compatta per il Teorema di Banach-Alaoglu, è anche compatto.
b è localmente compatto.
Essendo la topologia debole* T2 , segue che G
b l’applicazione
Per il secondo punto, dimostriamo preliminarmente che, dati f ∈ L1 (G) e x0 ∈ G, ξ0 ∈ G,
b
(x, ξ) 7−→ f ∗ ξ(x) è continua in (x0 , ξ0 ), considerando la topologia debole* su G. Si ha
ˆ
ˆ
f ∗ ξ(x)−f ∗ ξ0 (x0 ) = f (x − y)ξ(y) dy −
f (x0 − y)ξ0 (y) dy G
G
ˆ
ˆ
=
f (x + y)ξ(y) dy −
f (x0 + y)ξ0 (y) dy G
G
ˆ
ˆ
ˆ
ˆ
≤
f (x + y)ξ(y) dy −
f (x0 + y)ξ(y) dy −
f (x0 + y)ξ(y) dy + f (x0 + y)ξ0 (y) dy G
G
G
ˆ G
ˆ
f (y + x) − f (y + x0 ) dy + ≤
f (y + x0 ) ξ(y) − ξ0 (y) dy G
G
= kτ−x f − τ−x0 f k1 + λξ (τ−x0 f ) − λξ0 (τ−x0 f ) .
Dato
ε > 0, esiste un intorno
U di x0 tale
che, se x ∈ U , kτ−xf − τ−x0 f k1 < ε. Se poi ξ ∈ Vτ−x0 f,ε (ξ0 ),
si ha λξ (τ−x0 f ) − λξ0 (τ−x0 f ) < ε. Dunque f ∗ ξ(x) − f ∗ ξ0 (x0 ) < 2ε, cioè
fb(ξ)ξ(x) − fb(ξ0 )ξ0 (x0 ) < 2ε ,
per il Lemma 1.4.
Si prenda allora f tale che fb(ξ0 ) = 1. Allora, se ξ ∈ Vf,ε (ξ0 ) ∩ Vτ−x0 f,ε (ξ0 ) = Vf,τ−x0 f,ε (ξ0 ), si ha anche
fb(ξ) − 1 = λξ (f ) − λξ0 (f ) < ε ,
da cui segue che ξ(x) − ξ0 (x0 ) < 3ε per x ∈ U e ξ ∈ Vf,τ−x0 f,ε (ξ0 ).
Teorema 1.6. La topologia compatto-aperto e quella indotta dalla topologia debole* di L∞ (G) coincidono
b Quindi G
b è un gruppo topologico localmente compatto.
su G.
b Dato un intorno nella topologia debole* Vf ,...,f ,ε (ξ0 ), sia K compatto
Dimostrazione. Si fissi ξ0 ∈ G.
1
n
in G tale che
ˆ
ε
|fj (x)| dx <
4
G\K
per j = 1, . . . , n. Sia inoltre M = maxj kfj k1 . Se ξ ∈ UK,ε/2M (1), si ha
ˆ
ˆ
ˆ
fj (x) ξ(x) − ξ0 (x) dx ≤
|fj (x)|ξ(x) − ξ0 (x) dx + 2
|fj (x)| dx < ε .
G
K
G\K
Quindi UK,ε/2M (1) ⊆ Vf1 ,...,fn ,ε (1).
Viceversa, sia dato un intorno UK,ε (ξ0 ) nella topologia compatto-aperto. Dato y ∈ K, per il Lemma 1.5,
b
secondo
punto,
esistono un intorno S(y) di y in G e un intorno Vy di 1 in G nella topologia debole*, tali che
ξ(x) − ξ0 (y) < ε/2 per ogni x ∈ S(y) e ξ ∈ Vy .
Tn
Siano x1 , . . . , xn ∈ K tali che S(x1 ), . . . , S(xn ) formino un ricoprimento di K, e sia V = j=1 Vxj . Se
ξ ∈ V , la disuguaglianza ξ(x) − ξ0 (xj ) < ε vale per ogni x ∈ K ∩ S(xj ). Quindi la disuguaglianza
ξ(x) − ξ0 (x) ≤ ξ(x) − ξ0 (xj ) + ξ0 (xj ) − ξ0 (x) < ε ,
valida per ogni x ∈ K ∩ S(xj ) implica che V ⊆ UK,ε .
b Notazioni:
La tabelle mostra alcune coppie G, G.
⊥
b : ξ| = 1};
• per H < G, H = {ξ ∈ G
H
1. GRUPPO DUALE E TRASFORMATA DI FOURIER
G
b
G
dualità
R
R
eixξ
T
Z
Z
T
Zn
Zn
einx
einξ
e2πipq/n
Z∞
2
Z2,∞
Q xn
n ξn
G1 × G2
b1 × G
b2
G
23
H < G G/H
b ⊥ H⊥
G/H
Tabella 1. Esempi di gruppi duali
• Zn = Z/nZ;
N
• Z∞
2 = ZL
2 con la topologia prodotto (gruppo di Cantor): x = (xn )n∈N , xn = 0, 1;
• Z2,∞ = n∈N Z2 somma diretta di ℵ0 copie di Z2 : ξ = (ξn )n∈N , ξn = ±1, definitivamente ξn = 1.
bb
b localmente compatto, esso ammette a sua volta un gruppo duale G.
Essendo G
Esiste un omomorfismo
bb
naturale di G in G che fa corrispondere a x ∈ G il carattere x̃(ξ) = ξ(x). Diamo senza dimostrazione il
fondamentale teorema seguente.
Teorema 1.7 (Teorema di dualità di Pontryagin). L’omomorfismo x 7−→ x̃ è un isomorfismo e omeomorbb
fismo di G su G.
b ha un’unica topologia naturale e che questa è localmente compatta, possiamo
Una volta stabilito che G
precisare meglio le proprietà della trasformata di Fourier di una funzione integrabile.
b
Corollario 1.8 (Teorema di Riemann-Lebesgue). Per ogni f ∈ L1 (G), fb ∈ C0 (G).
b è compatto, non c’è niente da dimostrare. Se non è compatto, segue dal Lemma
Dimostrazione. Se G
b in L∞ (G) rispetto alla topologia debole* e rappre1.5, secondo punto, che 0 è punto di accumulazione di G
b Data una funzione f ∈ L1 (G), per
senta il “punto all’infinito” nella compattificazione di Alexandrov di G.
∞
definizione di topologia debole*, la funzione definita su L (G) da
ˆ
u(ϕ) = λϕ (f ) =
f (x)ϕ(x) dx
G
b ∪ {0} coincide con fb su G
b e vale 0 in 0. Essendo gli intorni di 0 in G
b ∪ {0}
è continua e la sua restrizione a G
b
b
i complementari
dei
compatti di G, ne consegue che, dato ε > 0, esiste un compatto K ⊂ G tale che, per
ogni ξ 6∈ K, fb(ξ) < ε.
Teorema 1.9.
b è discreto.
• G è compatto se e solo se G
• Se G è compatto, i suoi caratteri formano una base ortonormale di L2 (G), rispetto alla misura di
Haar normalizzata.
Dimostrazione. Sia G compatto. Se ξ non è il carattere 1, ξ(G) è un sottogruppo compatto non banale
di T. Le possibilità sono: (a) ξ(G) = T, (b) ξ(G) è il sottogruppo
delle radici n-esime dell’unità per qualche
√
n > 1. In tutti i casi esiste ζ ∈ ξ(G) tale che |1 − ζ| ≥ 3. Quindi l’intorno UG,√3 (1) è un singoletto. Per
b è isolato.
invarianza per traslazioni, ogni elemento di G
1
b
b Per il Corollario 1.8, G
b è compatto.
Se G è discreto, δ0 ∈ L (G) e δ0 (ξ) = 1 per ogni ξ ∈ G.
Per il secondo punto, supponiamo G compatto. Allora caratteri e loro prodotti sono integrabili. Per il
Lemma 1.4, primo punto, dati due caratteri distinti ξ, ξ 0 , si ha
b 0 )ξ 0 = ξb0 (ξ)ξ ,
ξ ∗ ξ 0 = ξ(ξ
per cui deve essere
ˆ
b 0) =
ξ(ξ
ξ(x)ξ 0 (x) dx = 0 .
G
24
2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER
SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI
Questo dà l’ortogonalità dei caratteri. La normalizzazione è ovvia. Per dimostrare la completezza
si consideri il sottospazio P di L2 (G) generato dai caratteri (spazio dei polinomi trigonometrici). Si può
applicare il Teorema di Stone-Weierstrass in quanto
• P è chiuso rispetto al prodotto e alla coniugazione,
• contiene le costanti,
• separa i punti di G.
−1
]
Il terzo punto richiede una dimostrazione. Per il Teorema di Pontryagin, dati x 6= y in G, il carattere xy
b Quindi esiste ξ ∈ G
b tale che ξ(xy −1 ) 6= 1, da cui ξ(x) 6= ξ(y).
non è identicamente uguale a 1 su G.
Quindi P è uniformemente denso in C(G) e dunque denso in L2 (G).
2. I teoremi fondamentali sulla trasformata di Fourier
Come teoremi fondamentali della trasformata di Fourier intendiamo i seguenti.
b Inoltre, fissata una misura
Teorema 2.1 (Formula di Plancherel). Sia f ∈ (L1 ∩ L2 )(G). Allora fb ∈ L2 (G).
b
di Haar su G, esiste una misura di Haar su G tale che, rispetto a tali misure,
(2.1)
kfbk2 = kf k2 ,
e l’operatore F : f 7−→ fb si estende da (L1 ∩ L2 )(G) a un operatore unitario (isometria suriettiva) da L2 (G)
b
a L2 (G).
Si noti che questo consente di estendere l’operatore F a (L1 + L2 )(G).
b Se le misure di
Teorema 2.2 (Formula di inversione). Sia f ∈ (L1 + L2 )(G) e si supponga che fb ∈ L1 (G).
b sono tali che valga la (2.1), allora
Haar su G e G
ˆ
ˆ
b
f (x) =
f (ξ)e
x(ξ) dξ =
fb(ξ)ξ(x) dξ .
b
G
b
G
Osserviamo che nel caso di G compatto, essi sono banali conseguenze dell’identità di Parseval e delle
proprietà delle basi ortonormali in spazi di Hilbert (si tenga anche presente che L2 ⊆ L1 ). Nel caso G = Rn ,
ci sono molti modi semplici per dimostrare i due teoremi, per esempio utilizzando la densità dello spazio di
Schwartz e le formule di trasformazione di funzioni Gaussiane.
Non dimostreremo questi teoremi nel caso generale. Diciamo solo che la dimostrazione che si trova
comunemente in letteratura è basata sul Teorema di Bochner, la cui enunciazione richiede alcune nozioni
preliminari, che saranno riprese nel seguito.
Per prima cosa, osserviamo che la definizione di trasformata di Fourier si estende in modo naturale a
misure di Radon finite su G. Per µ ∈ M(G), poniamo
ˆ
ξ(x) dµ(x) .
µ
b(ξ) =
G
Lemma 2.3. La funzione µ
b è continua e limitata e kb
µk∞ ≤ kµk1 .
La dimostrazione è analoga a quella della Proposizione 1.2, il cui intero enunciato si estende senza
b per esempio, δb0 = 1.
sostanziali modifiche. Si noti che in generale µ
b 6∈ C0 (G):
Introduciamo quindi la nozione di funzione di tipo positivo (chiamata anche, un po’ impropriamente,
definita positiva).
Definizione. Una funzione ϕ ∈ L∞ (G) si dice di tipo positivo se, per ogni f ∈ Cc (G),
ˆ
(2.2)
(ϕ ∗ f )(x)f (x) dx ≥ 0 .
G
2. I TEOREMI FONDAMENTALI SULLA TRASFORMATA DI FOURIER
25
La condizione f ∈ Cc (G) può essere sostituita equivalentemente dalla condizione f ∈ L1 (G). Se ϕ
è continua (e vedremo tra poco che coincide quasi ovunque con una funzione continua), un’altra condizione equivalente è che, per ogni scelta di punti x1 , . . . , xn ∈ G e di numeri complessi ζ1 , . . . , ζn , vale la
disuguaglianza
n
X
ϕ(xk − xj )ζj ζk ≥ 0 ,
j,k=1
ossia la matrice ϕ(xk − xj ) j,k è semidefinita positiva.
Esempi di funzioni di tipo positivo su G sono
• i caratteri,
b
• le trasformate di Fourier di misure positive µ ∈ M(G),
• le funzioni f ∗ f ∗ con f ∈ L2 (G), dove f ∗ (x) = f (−x).
Enunciamo il teorema che caratterizza le funzioni di tipo positivo come trasformate di Fourier di misure
positive.
Teorema 2.4 (Teorema di Bochner). Una funzione ϕ ∈ L∞ (G) è di tipo positivo se e solo se esiste µ ∈
b µ ≥ 0, tale che ϕ = µ
M(G),
b.
Passiamo a elencare alcune conseguenze dei teoremi enunciati.
Corollario 2.5.
• Per ogni f, g ∈ L2 (G) vale l’identità
ˆ
ˆ
f (x)g(x) dx =
fb(ξ)b
g (ξ) dξ .
G
b
G
b
• Lo spazio F L (G) delle trasformate di Fourier di funzioni integrabili è denso in C0 (G).
b Allora µ = 0.
• (Teorema di unicità) Sia µ ∈ M(G) tale che µ
b(ξ) = 0 per ogni ξ ∈ G.
0
p
b e
• (Teorema di Hausdorff-Young) Se p ∈ (1, 2) e f ∈ L (G), la trasformata di Fourier fb è in Lp (G)
1
kfbkp0 ≤ kf kp .
Dimostrazione. Il primo punto segue direttamente dalla (2.1) per polarizzazione.
Per il secondo, si applica la versione del Teorema di Stone-Weierstrass per spazi C0 su spazi topologici
T2 localmente compatti:
• F(L1 ) è chiuso per prodotti puntuali e per coniugazione, essendo fb = fc∗ .
b esiste f ∈ L1 (G) tale che fb(ξ) 6= 0: basta prendere f = gξ, con g ≥ 0 integrabile e
• Per ogni ξ ∈ G,
non identicamente nulla.
b esiste f ∈ L1 (G) tale che fb(ξ) 6= fb(ξ 0 ): a meno di sostituire f con f ξ 0 ,
• Per ogni ξ 6= ξ 0 in G,
0
possiamo supporre ξ = 1. Sia U un intorno aperto relativamente compatto di 0 in G abbastanza
grande perché esista x ∈ U per cui ξ(x) 6= 1. Se f = χU , si ha fb(1) = m(U ), mentre, essendo
<e ξ < 1 in un intorno di x, si avrà <e fb(ξ) < m(U ).
b e si consideri la sua trasformata di Fourier, definita su G
Per il terzo punto, si prenda g ∈ L1 (G)
ˆ
gb(x) =
g(ξ)e
x(ξ) dξ .
b
G
Si ha
ˆ
G
ˆ ˆ
gb(x) dµ(x) =
ˆG
=
ˆG
b
=
x(ξ) dξ dµ(x)
g(ξ)e
ˆ
g(ξ)
ξ(x) dµ(x) dξ
b
G
G
g(ξ)b
µ(ξ) dξ = 0 .
b
G
26
2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER
SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI
b , che è denso in C0 (G). Dunque µ = 0.
Quindi µ annulla tutte le funzioni in F L1 (G)
Per il quarto punto, si osservi che, se 1 < p < 2, Lp (G) ⊂ (L1 + L2 )(G), per cui la trasformata di Fourier
di f è ben definita: data f ∈ Lp (G), basta scomporre G nell’unione dell’insieme E+ dove |f | ≥ 1 ed E− dove
|f | < 1. Allora f χE+ ∈ L1 (G) e f χE− ∈ L2 (G). Poiché
(
L1 (G) −→ L∞ (G)
F:
L2 (G) −→ L2 (G) ,
in entrambi i casi con norma ≤ 1, la conclusione segue dal Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin 0.2 in
Appendice A.
3. Operatori invarianti per traslazioni e sottospazi invarianti di L2 (G)
Un operatore lineare T che applica funzioni su G in funzioni su G si dice invariante per traslazioni se
commuta con gli operatori τx , x ∈ G. Questo presuppone che T sia definito su uno spazio B che sia esso
stesso invariante per traslazioni:
f ∈ B , x ∈ G =⇒ τx f ∈ B .
Ci interessa considerare il caso in cui B è uno spazio di Banach invariante per traslazioni tale che
• kτx f kB = kf kB per ogni f ∈ B, x ∈ G;
• l’applicazione x 7−→ fx da G in B sia continua.
In tal caso si dice che B è omogeneo. Questo è il caso di C0 (G), Lp (G) per p < ∞, M(G), ecc.
Sono invarianti per traslazioni, purché ben definiti sullo spazio considerato, gli operatori di convoluzione
T f = k ∗ f , dove il nucleo k è una funzione o una misura. Sono anche invarianti per traslazioni, sempre
purché ben definiti, gli operatori della forma
T = F −1 Mϕ F ,
(3.1)
b (detta moltiplicatore di Fourier) e Mϕ è l’operatore di moltiplicazione per ϕ.
dove ϕ è una funzione su G
Questo presuppone che la trasformata di Fourier sia ben definita sul dominio di T , o almeno su un suo
sottospazio denso. In linea di principio, gli operatori di convoluzione sono anche del tipo (3.1), con ϕ = b
k;
questa affermazione è certamente corretta se i tre fattori nella (3.1) sono ben definiti e la loro composizione
è fattibile1.
Solo in pochi casi si possono caratterizzare tutti gli operatori invarianti per traslazioni limitati tra due
spazi di Banach B1 , B2 di funzioni su G. I casi più rilevanti sono i seguenti.
Teorema 3.1.
• Gli operatori invarianti per traslazioni e limitati da L1 (G) in sé sono tutti e soli gli operatori di
convoluzione T f = µ ∗ f con µ ∈ M(G), e kT k = kµk1 .
• Gli operatori invarianti per traslazioni e limitati da L2 (G) in sé sono tutti e soli gli operatori
b e kT k = kϕk∞ .
T f = F −1 Mϕ F con ϕ ∈ L∞ (G),
Premettiamo due lemmi.
Lemma 3.2. Sia T un operatore invariante per traslazioni limitato da L1 (G) in sé. Per ogni coppia di
funzioni u, v ∈ L1 (G) vale l’identità
T (u ∗ v) = u ∗ T (v) .
1Su G = Rn o un suo quoziente, si ha molta più duttilità che nel caso generale, potendosi utilizzare la classe di Schwartz
e la teoria delle distribuzioni.
3. OPERATORI INVARIANTI PER TRASLAZIONI E SOTTOSPAZI INVARIANTI DI L2 (G)
Dimostrazione. Interpretando u ∗ v come integrale di Bochner, u ∗ v =
di T si ha
ˆ
T (u ∗ v) = T
u(y)τy v dy
ˆ G
=
u(y)T (τy v) dy
ˆG
=
u(y)τy T (v) dy
´
G
27
u(y)τy v dy, per la continuità
G
= u ∗ T (v) .
b in sé che commuta con la moltiplicazione Mxe per ogni
Lemma 3.3. Sia T un operatore limitato da L2 (G)
b
x ∈ G. Allora T commuta con la moltiplicazione Mψ per ogni ψ ∈ C0 (G).
b la funzione
Dimostrazione. Consideriamo il caso ψ = u
b, con u ∈ Cc (G). Per f ∈ L2 (G),
ef
x 7−→ x
2
b è continua, per cui vale la formula
di G in L (G)
ˆ
xf dx ,
u(x)e
ψf =
G
b Per la continuità di T ,
come integrale di Bochner a valori in L2 (G).
ˆ
ˆ
xf ) dx =
u(x)e
xT (f ) dx = ψT (f ) .
T (ψf ) =
u(x)T (e
G
G
b
Sia ora ψ una generica funzione in C0 (G).
Essendo Cc (G) denso in L1 (G), segue che F Cc (G) è
cn , con
b
uniformemente denso in F L1 (G) , e dunque in C0 (G).
Sia allora ψ limite uniforme di ψn = h
2 b
hn ∈ Cc (G). Allora, per f ∈ L (G),
T (ψf ) − ψ(T f ) ≤ T (ψf − ψn f ) + (ψn − ψ)T f ,
2
2
2
dove entrambi i termini tendono a 0.
Dimostrazione del Teorema 3.1. Se µ ∈ M(G), la disuguaglianza kµ ∗ f k1 ≤ kµk1 kf k1 , v. (3.2)
del Cap. 1, implica che l’operatore T f = µ ∗ f è limitato su L1 (G) con kT k ≤ kµk1 .
Viceversa, sia T limitato su L1 (G) e invariante per traslazioni, e si consideri l’identità approssimata
costituita dalle funzioni gU = 1/m(U ) χU , al variare di U in un sistema fondamentale di intorni di 0.
Essendo kgU k1 = 1, le funzioni hU = T (gU ) ∈ L1 (G) ⊂ M(G) hanno khU k1 ≤ kT k. Per il Teorema di
Banach-Alaoglu, la successione generalizzata delle hU ammente un punto limite (nella topologia debole*)
µ ∈ M(G) con kµk1 ≤ kT k.
Sia allora f ∈ L1 (G). Essendo f = limU f ∗ gU in norma L1 , si ha anche
T f = lim T (f ∗ gU ) = lim f ∗ T (gU ) = f ∗ µ .
U
U
Passando al caso p = 2, osserviamo che, per la formula di Plancherel, un operatore T è limitato da L2 (G)
in sé se e solo se l’operatore
Tb = FT F −1
b in sé. La formula
è limitato da L2 (G)
b
τd
x f (ξ) = ξ(x)f (ξ) ,
1
valida puntualmente per f ∈ L (G), si estende a un’identità quasi ovunque per f ∈ L2 (G). Quindi T
commuta con le traslazioni di G se e solo se Tb commuta con gli operatori di moltiplicazione per i caratteri
b Mxe, con x ∈ G.
di G,
28
2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER
SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI
b l’operatore Mϕ su L2 (G)
b commuta con le moltiplicazioni per caratteri e
Quindi, data ϕ ∈ L∞ (G),
−1
kMϕ k ≤ kϕk∞ , per cui T = F Mϕ F commuta con le traslazioni di G, è limitato su L2 (G) e kT k =
kMϕ k ≤ kϕk∞ .
Viceversa, sia T limitato su L2 (G) e invariante per traslazioni. Allora Tb soddisfa le ipotesi del Lemma
b
3.3, per cui commuta con tutti gli operatori di moltiplicazione Mψ con ψ ∈ C0 (G).
2 b
b
b ha supporto
Dato un aperto relativamente compatto A in G, poniamo ϕA = T χA ∈ L (G). Se f ∈ Cc (G)
contenuto in A, allora f = f χA per cui
T f = T (f χA ) = f ϕA .
0
b con supporto in A ∩ A0 ,
Siano ora A, A aperti relativamente compatti non disgiunti. Se f ∈ Cc (G)
T f = f ϕA = f ϕA0 .
0
Poiché per ogni compatto K ⊂ A ∩ A esiste una tale f con f (x) = 1 su K, segue che ϕA = ϕA0 quasi
ovunque su A ∩ A0 . E’ dunque ben definita, unica a meno di insiemi di misura nulla, una funzione ϕ su tutto
b che coincide quasi ovunque con ϕA su ogni aperto A ed è tale che T f = ϕf per ogni f ∈ Cc (G).
b
G
Dato δ > 0, sia Eδ l’insieme misurabile su cui |ϕ| ≥ kT k + δ. Se fosse m(Eδ ) > 0, esisterebbe Eδ0 ⊂ Eδ
con misura positiva e finita. Ma avremmo allora
kT (χEδ0 )k2 = kϕχEδ0 k2 ≥ kT k + δ kχEδ0 k2 ,
che è assurdo. Segue che m(Eδ ) > 0 e, per l’arbitrarietà di δ, che |ϕ| ≤ kT k quasi ovunque.
2
Dalla seconda parte di questo teorema si ricava la caratterizzazione dei sottospazi chiusi di L (G)
invarianti per traslazioni.
Corollario 3.4. Sia V ⊂ L2 (G) un sottospazio chiuso invariante per traslazioni. Allora esiste E Boreliano
b tale che
in G
(3.2)
V = VE = f ∈ L2 (G) : fb = fbχE .
Viceversa, per ogni Boreliano E, lo spazio VE definito dalla (3.2) è chiuso e invariante per traslazioni.
VE = VE 0 se e solo se E ed E 0 differiscono per un insieme di misura nulla.
Dimostrazione. Sia P il proiettore ortogonale su V , sottospazio chiuso invariante per traslazioni. Data
f ∈ L2 (G), P f è caratterizzato dalla condizione
kf − P f k2 = min kf − gk2 : g ∈ V .
Ma allora, per ogni x ∈ G,
τx f − τx (P f ) = min τx f − τx gk2 : g ∈ V = min τx f − gk2 : g ∈ V ,
2
per cui P (τx f ) = τx (P f ).
b
Se P commuta con le traslazioni, Pb è un operatore di moltiplicazione per una funzione ϕ ∈ L∞ (G).
Essendo un operatore idempotente, deve essere ϕ = χE per qualche Boreliano E. Il resto è ovvio.
CAPITOLO 3
Elementi di teoria delle rappresentazioni
1. Rappresentazioni di gruppi
Nel Capitolo precedente abbiamo visto che l’analisi di Fourier su un gruppo abeliano localmente compatto
G si svolge a partire dal gruppo degli omomorfismi continui di G nel toro T. Questi non sono più sufficienti se
G non è commutativo: ogni omomorfismo di G in T è infatti banale sul sottogruppo chiuso [G, G] generato
dai commutatori xyx−1 y −1 al variare di x, y ∈ G. Pertanto essi consentono solo l’analisi di funzioni su
G/[G, G], che è commutativo.
Per gruppi non abeliani, occorre dunque, quanto meno, sostituire a T un gruppo altrettanto naturale,
che sia a sua volta non abeliano. Questo conduce a considerare gli omomorfismi continui di un gruppo G sul
gruppo U (n) delle matrici unitarie n × n, o, più generalmente, sul gruppo U (H) degli operatori unitari su
uno spazio di Hilbert H.
Ricordiamo che U ∈ L(H) si dice unitario se U U ∗ = I e U ∗ U = I. In dimensione finita ciascuna delle
due uguaglianze implica l’altra.
Definizione. Sia G un gruppo localmente compatto, e sia V uno spazio di Banach complesso non banale. Si
chiama rappresentazione di G in V un omomorfismo π : G −→ L(V ) che sia continuo rispetto alla topologia
forte di L(V ).
Se V è uno spazio di Hilbert e π(x) è un operatore unitario per ogni x ∈ G, la rappresentazione π si dice
unitaria.
La condizione di continuità imposta su π consiste nel richiedere che per ogni v ∈ V l’applicazione
x 7−→ π(x)v sia continua da G in V . Essa implica la continuità congiunta in x e v.
Lemma 1.1. Sia π una rappresentazione di G in V . L’applicazione F (x, v) = π(x)v è continua da G × V
in V .
Dimostrazione. Sia x0 ∈ G e sia U un intorno compatto di x0 . Per ogni v ∈ V ,
sup kπ(x)vk < ∞ .
x∈U
Per il Teorema di Banach-Steinhaus, esiste una costante C tale che kπ(x)k ≤ Cper ogni x ∈ U . Fissiamo ora anche v0 ∈ V . Dato ε > 0, sia U 0 ⊂ U un intorno di x0 tale che π(x)v0 − π(x0 )v0 < ε
per x ∈ U 0 . Allora, se x ∈ U 0 ,
π(x)v − π(x0 )v0 ≤ π(x)v − π(x)v0 + π(x)v0 − π(x0 )v0 < Ckv − v0 k + ε ,
da cui segue la tesi.
Per rappresentazioni unitarie, è sufficiente avere la continuità di π rispetto alla topologia debole per
avere automaticamente la continuità forte.
29
30
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Lemma 1.2. Sia H uno spazio di Hilbert, e sia π un omomorfismo di G in U (H) debolmente continuo,
tale cioè che, per ogni u, v ∈ H, l’applicazione x 7−→ hπ(x)u, vi sia continua da G in C. Allora π è una
rappresentazione.
Dimostrazione. Basta dimostrare
la continuità forte di π in x0 = e. Sia v ∈ H. Dato ε > 0,
esiste un intorno U di e tale che hπ(x)v,
vi − hv, vi < ε per ogni x ∈ U . In particolare, se x ∈ U ,
2
kvk − <e hπ(x)v, vi < ε. Essendo anche π(x)v = kvk, si ha
π(x)v − v 2 = π(x)v 2 + kvk2 − 2<e hπ(x)v, vi < 2ε .
Dati due elementi u, v ∈ H, la funzione continua x 7→ hπ(x)u, vi di G in C si chiama un coefficiente
della rappresentazione π; se u = v essa si chiama un coefficiente diagonale. La terminologia proviene dal
caso finito dimensionale, e dalla abituale rappresentazione di operatori lineari attraverso matrici.
Se lo spazio H su cui agisce la rappresentazione π ha dimensione d ≤ ∞, si dice che π ha dimensione d.
Definizione. Un sottospazio V di H si dice π-invariante (o semplicemente invariante) se π(x)V ⊆ V per
ogni x ∈ G.
Si verifica facilmente che, se V è invariante, anche V è invariante.
Definizione. Una rappresentazione π di G su H si dice irriducibile se gli unici sottospazi invarianti chiusi
di H sono {0} e H stesso.
Se V è un sottospazio chiuso π-invariante, si ottiene una rappresentazione di G su V restringendo a V
ciascuno degli operatori π(x). Si parla in tal caso di sottorappresentazione della rappresentazione data.
Lemma 1.3. Sia π una rappresentazione unitaria di G su uno spazio di Hilbert H. Se V ⊂ H è un
sottospazio invariante, anche V ⊥ è invariante.
Dimostrazione. Sia u ∈ V ⊥ . Per ogni x ∈ G e ogni v ∈ V si ha
hπ(x)u, vi = hu, π(x)∗ vi = hu, π(x)−1 vi = hu, π(x−1 )vi = 0 ,
per cui π(x)u ∈ V ⊥ .
Per rappresentazioni non unitarie, non è detto che ogni sottospazio invariante abbia un complementare
che sia invariante. Si consideri per esempio la rappresentazione di R in C2 data da
1 t
π(t) =
.
0 1
Si verifica facilmente che il sottospazio V generato da t (1, 0) è l’unico sottospazio invariante proprio non
banale.
Definizione. Sia π una rappresentazione di G su H. Un vettore v ∈ H si dice ciclico se il sottospazio
generato da {π(x)v : x ∈ G} è denso in H.
Lemma 1.4. Una rappresentazione π su H è irriducibile se e solo se ogni elemento non nullo di H è ciclico.
Dimostrazione. Dato un vettore v ∈ H, sia V la chiusura del sottospazio generato da {π(x)v : x ∈ G}.
Allora V è invariante. Quindi, se π è irriducibile, ogni v 6= 0 è ciclico.
Viceversa, se V è un sottospazio proprio non banale invariante, e v ∈ V è non nullo, il sottospazio
generato da {π(x)v : x ∈ G} è contenuto in V e non è banale. Quindi v non è ciclico.
Da questo momento in poi consideriamo solo rappresentazioni unitarie su spazi di Hilbert.
1. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI
31
Definizione. Siano π1 , π2 due rappresentazioni unitarie di G su H1 , H2 rispettivamente. Un operatore
A ∈ L(H1 , H2 ) si dice un operatore di intrallacciamento da π1 a π2 se vale l’identità
(1.1)
Aπ1 (x) = π2 (x)A ,
∀x ∈ G .
Se esiste un operatore di intrallacciamento che sia unitario, le due rappresentazioni si dicono unitariamente equivalenti, o semplicemente equivalenti1.
In altri termini, due rappresentazioni equivalenti si ottengono l’una dall’altra per coniugazione con un
operatore unitario. Indichiamo con I(π1 , π2 ) lo spazio degli operatori di intrallacciamento da π1 a π2 .
Si vede facilmente che:
• se A ∈ I(π1 , π2 ), A∗ ∈ I(π2 , π1 );
• se A ∈ I(π1 , π2 ) e B ∈ I(π2 , π3 ), allora BA ∈ I(π1 , π3 ).
Pertanto, se π1 = π2 = π, I(π, π) è una C ∗ -sottoalgebra di L(H). Essa consiste degli operatori che
commutano con ogni π(x).
Teorema 1.5 (Lemma di Schur).
• Una rappresentazione unitaria π è irriducibile se e solo se I(π, π) è costituita dai soli multipli
scalari dell’identità.
• Siano π1 e π2 due rappresentazioni unitarie irriducibili. Se esse sono equivalenti, e U ∈ I(π1 , π2 )
è un particolare operatore unitario di intrallacciamento, allora I(π1 , π2 ) = CU . Se π1 e π2 non
sono equivalenti, I(π1 , π2 ) = {0}.
Dimostrazione. Primo punto. Se π è riducibile, sia V un sottospazio invariante chiuso, proprio e
non banale di H. Se P è il proiettore ortogonale di H su V , allora, dato v ∈ H, si ha π(x)P v ∈ V e
π(x)(v − P v) ∈ V ⊥ per il Lemma 1.3. Quindi la scomposizione
π(x)v = π(x)P v + π(x)(v − P v)
è ortogonale e dunque P π(x)v = πx P v, da cui P ∈ I(π, π). Quindi I(π, π) contiene operatori che non sono
multipli scalari dell’identità.
Viceversa, supponiamo che I(π, π) contenga un operatore A 6= cI. Esso contiene allora anche A + A∗
e i(A − A∗ ), che sono autoaggiunti. Almeno uno dei due, che chiameremo B, non è un multiplo scalare
dell’identità.
Sia E la misura spettrale di B. Per il Teorema´ spettrale, lo spettro σ(B) di B contiene più di un
punto, perché, se fosse σ(B) = {λ0 }, avremmo B = σ(B) λ dE(λ) = λ0 I, contro l’ipotesi. Esistono allora
due Boreliani disgiunti ω1 , ω2 ⊂ σ(B) tali che E(ω1 ), E(ω2 ) 6= 0. Essendo E(ω1 )E(ω2 ) = 0, segue che
E(ω1 ), E(ω2 ) 6= I.
Sempre per il Teorema spettrale, il fatto che π(x) commuta con B implica che E(ω1 ), E(ω2 ) ∈ I(π, π).
Se Vj = E(ωj )H e v ∈ Vj ,
π(x)v = π(x)E(ωj )v = E(ωj )π(x)v ,
per cui π(x)v ∈ V . Quindi π ammette un sottospazio invariante proprio non banale.
Secondo punto. Siano ora π1 , π2 irriducibili e tra loro equivalenti. Sia U unitario in I(π1 , π2 ). Se A ∈
I(π1 , π2 ), allora U −1 A ∈ I(π1 , π1 ). Per la prima parte della dimostrazione, U −1 A = cI, da cui A = cU .
Se π1 , π2 sono irriducibili ma non equivalenti, sia A ∈ I(π1 , π2 ). Allora A∗ ∈ I(π2 , π1 ) e dunque
∗
A A ∈ I(π1 , π1 ), AA∗ ∈ I(π2 , π2 ).
Per la prima parte della dimostrazione, A∗ A = c1 IH1 e AA∗ = c2 IH2 . Deve essere c1 = c2 = c ≥ 0,
perché A∗ A e AA∗ sono entrambi semidefiniti positivi e kA∗ Ak = kAA∗ k = kAk2 . Se fosse c > 0, allora
1
U = c− 2 A sarebbe unitario, ma questo è assurdo perché π1 e π2 non sono equivalenti. Quindi c = 0, da cui
A = 0.
1Questa semplificazione del linguaggio ci è comoda, ma non è del tutto corretta. Si dice infatti che due rappresentazioni
tra generici spazi di Banach sono equivalenti se esiste un operatore A invertibile per cui vale (1.1). Per rappresentazioni su
spazi di Hilbert occorrerebbe quindi distinguere tra le nozioni di “equivalenza” e di “equivalenza unitaria”.
32
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Corollario 1.6. Sia G abeliano. Le rappresentazioni unitarie irriducibili di G hanno dimensione 1 e, a
meno di equivalenza, sono in corrispondenza biunivoca con i caratteri di G.
Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria irriducibile di G su uno spazio di Hilbert H.
Poiché G è abeliano, dato x ∈ G, l’operatore π(x) commuta con π(y) per ogni y ∈ G. Per il Lemma di
Schur, π(x) = γ(x)I, con γ(x) ∈ C. Se fosse dim H > 1, ogni sottospazio di dimensione 1 sarebbe invariante.
Quindi dim H = 1.
Essendo π unitaria, |γ(x)| = 1. Fissato v ∈ H non nullo, l’applicazione x 7→ π(x)v è continua, per cui γ
è continua. Poiché π(x + y) = π(x)π(y), γ è un carattere.
Siano ora π1 , π2 due rappresentazioni di dimensione 1 su due spazi di Hilbert H1 e H2 , e siano γ1 , γ2 i
caratteri corrispondenti. Se γ1 = γ2 , basta fissare vj ∈ Hj di norma 1, per j = 1, 2, e porre U v1 = v2 per
avere un operatore unitario U ∈ I(π1 , π2 ).
Se invece γ1 e γ2 sono distinti, sia A ∈ I(π1 , π2 ). Allora Aπ1 (x) = γ1 (x)A, mentre π2 (x)A = γ2 (x)A.
Per avere uguaglianza per ogni x, deve essere A = 0. Quindi π1 e π2 non sono equivalenti.
Esempi.
(1.a) Sia G = U (n) il gruppo unitario di ordine n, costituito dalle matrici n × n tali che U U ∗ = I. Sia π la
rappresentazione unitaria di G su H = Cn data dal prodotto matrice per vettore
π(g)v = gv .
n
Siano u, v ∈ C con kuk = kvk = 1. Se {u1 , . . . , un } e {v1 , . . . , vn } sono basi ortonormali di Cn con
u1 = u e v1 = v, l’applicazione lineare T tale che T uj = vj per ogni j è unitaria. Se g è la matrice che
rappresenta T nella base canonica, gu = v.
Questo implica che V un sottospazio proprio non banale non può essere invariante. Dunque π è
irriducibile.
Il Lemma di Schur implica che ogni applicazione A ∈ I(π, π) è un multiplo scalare dell’identità. Da
questo segue che il centro di G è costituito dalle matrici λI con |λ| = 1.
Consideriamo ora la rappresentazione
π̃(g)v = ḡv ,
sempre di G su Cn . Sarebbe sbagliato concludere che π e π̃ sono equivalenti sulla base del fatto che l’operatore
U v = v̄ soddisfa la condizione U π(g) = π̃(g)U : infatti U non è lineare, ma antilineare.
In realtà le due rappresentazioni non sono equivalenti. Si prenda ad esempio una matrice g ∈ U (n)
diagonale con coefficienti eiθj sulla diagonale principale, j = 1, . . . , n. Se A ∈ I(π, π̃), si ha
Aπ(g)ej = Agej = eiθj Aej = π̃(g)Aej = ḡAej .
Se Aej 6= 0, segue che ḡ ammette eiθj come autovalore, e dunque g ammette e−iθj come autovalore.
Scegliendo g diagonale in modo che nessuna coppia eiθ , e−iθ compaia sulla diagonale, si vede che deve
necessariamente essere A = 0.
(1.b) Sia sempre G = U (n), sia H lo spazio delle matrici n × n, e sia σ la rappresentazione di G su H data
da
σ(g)A = gAg −1
(si verifichi che questa è effettivamente una rappresentazione). Su H introduciamo il prodotto scalare di
Hilbert-Schmidt
hA, Bi = tr (AB ∗ ) .
Allora
hσ(g)A, Bi = tr (gAg −1 B ∗ ) = tr (Ag −1 B ∗ g) = tr A(g −1 Bg)∗ = hA, σ(g −1 )Bi ,
per cui σ è unitaria. Si vede facilmente che il sottospazio V = CI è invariante, per cui σ è riducibile.
2. RAPPRESENTAZIONI DI L1 (G)
33
(1.c) Sia G un gruppo localmente compatto con una misura di Haar sinistra m` fissata, e sia H = L2 (G,
m` ).
Si chiama rappresentazione regolare sinistra di G la rappresentazione L su L2 (G, m` ) data da L(g)f (x) =
f (g −1 x).
La rappresentazione regolare destra R su L2 (G, mr ) si definisce in modo analogo (v. Capitolo II, paragrafo
1).
Le due rappresentazioni sono equivalenti. Per verificare ciò, basta considerare il caso in cui dmr (x) =
∆(x)−1 dm` (x). Allora l’operatore U dato da (U f )(x) = f (x−1 ) è unitario e in I(L, R).
(1.d) Sia ora G un gruppo abeliano localmente compatto. La rappresentazione regolare L è equivalente alla
b data da
rappresentazione π su L2 (G)
π(x)f (ξ) = ξ(x)f (ξ) .
Un operatore di intrallacciamento è dato dalla trasformata di Fourier.
(1.e) (si veda il par. 3 del Cap. 2) Sia G abeliano compatto, e sia L la rappresentazione regolare2 di
b il sottospazio unidimensionale Cγ è invariante. Si ha quindi la
G su L2 (G). Dato un carattere ξ ∈ G,
decomposizione
X⊕
(1.2)
L2 (G) =
Cξ ,
b
ξ∈G
in somma diretta di sottospazi invarianti minimali.
Se G è abeliano, ma non compatto, non si ha una simile decomposizione. In luogo di L, si consideri la
b con misura di Haar positiva,
rappresentazione equivalente π dell’Esempio (1.d). Dato un Boreliano E ⊂ G
sia
b : supp f ⊆ E} .
VE = {f ∈ L2 (G)
b
Essendo la topologia di Ĝ non discreta, si può costruire una successione Ej di intorni del carattere 1 G
tali che Ej+1 ⊂ Ej e 0 < m(Ej ) < 2−j per ogni j. I corrispondenti sottospazi invarianti VEj sono allora
inclusi l’uno nell’altro e la loro intersezione è banale.
2. Rappresentazioni di L1 (G)
Definizione. Sia A un’algebra di Banach con involuzione, e sia H uno spazio di Hilbert. Si chiama *rappresentazione di A su H uno *-omomorfismo continuo3 di A in L(H). Una *-rappresentazione π si dice
non degenere se l’unico vettore v ∈ H tale che π(a)v = 0 per ogni a ∈ A è v = 0.
Sia ora π una rappresentazione unitaria di un gruppo localmente compatto G su uno spazio di Hilbert
H. Supporremo per semplicità G unimodulare, anche se molti risultati si estendono al caso non unimodulare
con opportune modifiche nelle dimostrazioni o negli enunciati.
Fissiamo una misura di Haar su G. Data f ∈ L1 (G), poniamo
ˆ
(2.1)
π(f ) =
f (x)π(x) dx .
G
L’integrale (2.1) converge nella topologia forte di L(H), in quanto, per ogni v ∈ H, la funzione che
applica x in π(x)v è continua. Inoltre
ˆ
π(f )v ≤
|f (x)|π(x)v dx = kvkkf k1 ,
G
da cui
(2.2)
π(f ) ≤ kf k1 .
2Non ha senso distinguere tra destra e sinistra.
3Rispetto alla topologia indotta dalla norma su L(H).
34
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Proposizione 2.1. Ogni rappresentazione unitaria π di G su H induce, attraverso la (2.1), una *-rappresentazione,
ancora indicata con π, da L1 (G) in L(H) non degenere.
Viceversa, se π è una *-rappresentazione non degenere da L1 (G) in L(H), esiste una e una sola
rappresentazione unitaria, che pure indichiamo con π, di G su H per cui valga la (2.1).
Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria di G su H. Chiaramente l’applicazione f 7→ π(f )
data dalla (2.1) è lineare. Inoltre
¨
π(f ∗ g)v =
f (y)g(y −1 x)π(x)v dy dx
G×G
¨
=
f (y)g(z)π(yz) dy dz
¨G×G
=
f (y)g(z)π(y)π(z) dy dz
G×G
= π(f )π(g)v .
Per quanto riguarda l’involuzione (v. Corollario 4.4 del Capitolo II), si ha
ˆ
f (x−1 )hπ(x)u, vi dx
hπ(f ∗ )u, vi =
G
ˆ
f (x)hπ(x−1 )u, vi dx
=
G
ˆ
f (x)hv, π(x)∗ ui dx
=
G
ˆ
f (x)hπ(x)v, ui dx
=
G
= hπ(f )v, ui
= hπ(f )∗ u, vi .
Quindi π è uno *-omomorfismo. Esso è continuo per la (2.2). Per vedere che è non degenere, sia v tale
che π(f )v = 0 per ogni f ∈ L1 (G). Allora, se {ϕi } è un’identità approssimata, per ogni w ∈ H,
ˆ
0 = limhπ(ϕi )v, wi = lim
ϕi (x)hπ(x)v, wi dx = hπ(e)v, wi ,
i
i
G
da cui v = 0.
Viceversa, sia π una *-rappresentazione non degenere di L1 (G) in L(H). Per poter procedere con la
dimostrazione, premettiamo un paio di considerazioni.
La prima considerazione riguarda il comportamento di π rispetto alla convoluzione. Siano f ∈ L1 (G) e
g ∈ Cc (G). Allora
ˆ
(2.3)
π(g ∗ f ) =
g(y)π(Ly f ) dy .
G
La seconda considerazione riguarda la densità in H del sottospazio generato dagli elementi π(f )v al
variare di f ∈ L1 (G) e di v ∈ H. Sia
H0 = span {π(f )v : f ∈ L1 (G) , v ∈ H} ⊆ H .
Se u ⊥ H0 , allora hu, π(f )vi = 0 per ogni f e ogni v. Ma allora hπ(f ∗ )u, vi = 0, da cui π(f ∗ )u = 0 per
ogni f . Poiché πP
è non degenere, u = 0. Dunque H0 è denso in H.
Sia ora u = j π(fj )vj ∈ H0 . Definiamo
X
(2.4)
π̃(x)u =
π(Lx fj )vj .
j
2. RAPPRESENTAZIONI DI L1 (G)
35
Mostriamo che questa è una buona definizione. Dobbiamo far vedere che, se
X
X
π(fj )vj =
π(fk0 )vk0 ,
j
k
allora
X
π(Lx fj )vj =
j
X
π(Lx fk0 )vk0 .
k
Sia {ϕi } un’identità approssimata con ϕi ∈ Cc (G). Allora
lim(Lx ϕi ) ∗ fj = lim δx ∗ ϕi ∗ fj = lim Lx (ϕi ∗ fj ) = Lx f
i
i
i
in L1 (G), e analogamente per le fk0 . Per ogni i,
X
X
π Lx (ϕi ∗ fj ) vj =
π(Lx ϕi )π(fj )vj = π(Lx ϕi )π(fk0 )vk0 = π Lx (ϕi ∗ fk0 ) vk0 .
j
j
Passando al limite rispetto a i, si ottiene l’uguaglianza richiesta.
La (2.4) definisce dunque un’applicazione lineare π̃(x) da H0 in sé. Per la (2.4), essa ha la proprietà che
π̃(x)π(f )v = π(Lx f )v ,
per ogni v ∈ H e ogni f ∈ L1 (G).
Chiaramente π̃(e) = I e π̃(xy) = π̃(x)π̃(y). Inoltre,dati
X
X
u=
π(fj )vj ,
u0 =
π(fk0 )vk0
j
k
in H0 ,
hπ̃(x)u, u0 i =
X
=
X
=
X
hπ(Lx fj )vj , π(fk0 )vk0 i
j,k
j,k
j,k
=
X
j,k
=
X
j,k
limhπ (Lx ϕi ) ∗ fj vj , π(fk0 )vk0 i
i
limhπ(fj )vj , π(Lx ϕi )∗ π(fk0 )vk0 i
i
limhπ(fj )vj , π (Lx ϕi )∗ ∗ fk0 vk0 i
i
limhπ(fj )vj , π (Rx ϕ∗i ) ∗ fk0 vk0 i .
i
Ma
(Rx ϕ∗i ) ∗ f 0 = ϕ∗i ∗ δx−1 ∗ f 0
= ϕ∗i ∗ (Lx−1 f 0 ) ,
per cui
hπ̃(x)u, u0 i =
X
j,k
limhπ(fj )vj , π ϕ∗i ∗ (Lx−1 fk0 ) vk0 i
i
= hπ(fj )vj , π(Lx−1 fk0 )vk0 i
= hu, π̃(x−1 )u0 i .
Quindi π̃(x)∗ π̃(x) = π̃(x)π̃(x)∗ = I su H0 . In particolare, kπ̃(x)k = 1 e π̃(x) si estende per continuità a
un operatore unitario, che chiamiamo π(x), su H. Per la (2.4), π̃(x)u è funzione continua di x per u ∈ H0 .
Un semplice argomento di approssimazione mostra che ciò vale per un generico u ∈ H.
36
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Infine, se f ∈ Cc (G) e u = π(g)v ∈ H0 , per la (2.3)
π(f )u = π(f ∗ g)v
ˆ
=
f (x)π(Lx g)v dx
ˆG
=
f (x)π(x)u dx .
G
Per densità, la (2.1) vale per ogni u ∈ H, e quindi anche per ogni f ∈ L1 (G).
3. Rappresentazioni unitarie e funzioni di tipo positivo
La nozione di funzione di tipo positivo è stata data per gruppi abeliani nel Capitolo 2. La definizione si
estende a gruppi non abeliani imponendo che ϕ sia continua e che, per ogni scelta dei punti x1 , . . . , xn ∈ G
e dei numeri ξ1 , . . . , ξn ∈ C, si abbia
n
X
(3.1)
ϕ(x−1
k xj )ξj ξk ≥ 0 .
j,k=1
Analogamente a quanto visto nel Capitolo 2, una funzione di tipo positivo è limitata e kϕk∞ = ϕ(e).
Vale inoltre l’identità
ϕ(x−1 ) = ϕ(x) .
Come per i gruppi abeliani, la (0.4) equivale a ciascuna delle due condizioni
ˆ
ˆ
(3.2)
(ϕ ∗ f )(x)f (x) dx ≥ 0 ,
(f ∗ ϕ)(x)f (x) dx ≥ 0 ,
G
G
per ogni f ∈ Cc (G). L’integrale nella (4.2) è fatto rispetto a una misura di Haar destra o sinistra. Nel
seguito supporremo G unimodulare.
In questo paragrafo vogliamo analizzare le relazioni tra rappresentazioni unitarie e funzioni di tipo
positivo.
Lemma 3.1. Sia π una rappresentazione unitaria di un gruppo localmente compatto G su H e sia v ∈ H.
Il coefficiente diagonale ϕ(x) = hπ(x)v, vi è di tipo positivo.
Dimostrazione. Chiaramente ϕ è continua. dati x1 , . . . , xn ∈ G e ξ1 , . . . , ξn ∈ C,
n
n
X
X
ϕ(x−1
x
)ξ
ξ
=
ξj ξk hπ(xk )−1 π(xj )v, vi
j j k
k
j,k=1
=
j,k=1
n
X
ξj ξk hπ(xj )v, π(xk )vi
j,k=1
=
X
ξj π(xj )v,
j
≥0.
X
ξk π(xk )v
k
Corollario 3.2. Se h ∈ L2 (G), la funzione ϕ = h ∗ h∗ è di tipo positivo.
Dimostrazione. Sia L la rappresentazione regolare sinistra di G su L2 (G) (v. Esempio 1.c). Allora
ˆ
ˆ
hLx h̄, h̄i =
h(x−1 y)h(y) dy =
h(y)h∗ (y −1 x) dy = h ∗ h∗ (x) .
G
G
3. RAPPRESENTAZIONI UNITARIE E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO
37
Il Lemma 0.3 ammette un inverso. Nell’enunciato che segue inglobiamo anche un importante teorema
di continuità per funzioni limitate che soddisfino la (4.2).
Teorema 3.3. Sia ϕ una funzione in L∞ (G) \ {0} che soddisfi la (4.2) per ogni f ∈ Cc (G). Esistono
allora una rappresentazione unitaria π di G su uno spazio di Hilbert H e un elemento v ∈ H tali che
ϕ(x) = hπ(x)v, vi quasi ovunque. In particolare, ϕ coincide quasi ovunque con una funzione continua di tipo
positivo.
Dimostrazione. Su Cc (G) introduciamo la forma sesquilineare
ˆ
(3.3)
hf, giϕ =
f (x)g(y)ϕ(y −1 x) dx dy .
G×G
Per la (4.2) essa è semidefinita positiva. Essendo ϕ(x−1 ) = ϕ(x), essa è Hermitiana.
Indichiamo con {ψi } un’identità approssimata in Cc (G). Allora, se ϕ̌(x) = ϕ(x−1 ),
ˆ
limhf, ψi iϕ = lim
f (x)ψi (y)ϕ(y −1 x) dx dy
i
i
G×G
ˆ
= lim (f ∗ ϕ̌)(y)ψi (y) dy
i
(3.4)
G
= f ∗ ϕ̌(e)
ˆ
=
f (x)ϕ(x) dx .
G
Quindi la forma non è identicamente nulla. Per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz,
hf, giϕ 2 ≤ hf, f iϕ hg, giϕ .
(3.5)
Quindi N = {f : hf, f iϕ = 0} è un sottospazio vettoriale di Cc (G). Il quoziente Cc (G)/N non è
banale e la forma (3.3) induce su di esso una struttura di spazio pre-Hilbertiano. Indichiamo con H il suo
completamento e con h , i il prodotto scalare su H.
Dati x ∈ G e f, g ∈ Cc (G), si ha
ˆ
hLx f, Lx giϕ =
f (x−1 y)g(x−1 z)ϕ(z −1 y) dy dz
G×G
ˆ
=
f (y)g(z)ϕ(z −1 y) dy dz
G×G
= hf, giϕ .
In particolare, se f ∈ N , anche Lx f ∈ N , per cui Lx passa al quoziente, dando luogo a un operatore
unitario su Cc (G)/N . Indichiamo con π(x) l’estensione continua di tale operatore ad H. Allora π è una
rappresentazione unitaria di G su H.
Per la (3.4),
ˆ
2
f (x)ϕ(x) dx ≤ hf, f iϕ suphψi , ψi iϕ
i
G
≤ hf, f iϕ sup kψi k21 kϕk∞
i
≤ Chf, f iϕ .
´
Quindi il funzionale che applica f in G f (x)ϕ(x) dx passa al quoziente modulo N e induce un funzionale
continuo su H. Esiste allora un elemento v ∈ H non nullo e tale che, indicando con f˜ la proiezione di f su
Cc (G)/N ⊂ H,
ˆ
hf˜, vi =
f (x)ϕ(x) dx .
G
38
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Per la (3.4), v è il limite debole in H dei ψ̃i . Quindi
hπ(x)v, f˜i = hv, π(x−1 )f˜i
= limhψi , Lx−1 f iϕ
i
ˆ
= lim
ψi (y)f (xz)ϕ(z −1 y) dy dz
i
G×G
ˆ
ˆ
= lim
ψi (y)
f (xz)ϕ(z −1 y) dz dy
i
G
G
ˆ
=
f (xz)ϕ(z −1 ) dz .
G
Infine
hπ(x)v, vi = limhπ(x)v, ψ̃i i
i
ˆ
= lim
ψi (xz)ϕ(z −1 ) dz
i
G
= lim(ψi ∗ ϕ)(x) .
i
Nella topologia debole* di L∞ (G), limi ψi ∗ ϕ = ϕ. Ma essendo (ψi ∗ ϕ)(x) ≤ Ckϕk∞ , il criterio di
convergenza dominata implica che per ogni h ∈ L1 (G)
ˆ
ˆ
h(x)(ψi ∗ ϕ)(x) dx =
lim
i
h(x)hπ(x)v, vi dx .
G
G
Quindi ϕ(x) = hπ(x)v, vi quasi ovunque.
Data una funzione di tipo positivo ϕ, ci si può chiedere se è unica la rappresentazione di cui ϕ è
coefficiente diagonale. Semplici considerazioni mostrano che questo non può essere vero. Infatti se π e π 0
sono due rappresentazioni equivalenti, esse hanno gli stessi coefficienti: se U è un operatore unitario di
intrallacciamento tra di esse, allora
(3.6)
hπ(x)u, vi = hU −1 π 0 (x)U u, vi = hπ 0 (x)U u, U vi .
Occorre quindi domandarsi se la rappresentazione è unica a meno di equivalenza. Ma anche cosı̀ la
risposta è negativa. Sia ϕ(x) = hπ(x)v0 , v0 i, con π rappresentazione unitaria su uno spazio di Hilbert H.
Sia H̃ = H ⊕ H 0 , dove H 0 è un altro spazio di Hilbert, e sia π̃(x)(v + v 0 ) = π(x)v, se v ∈ H, v 0 ∈ H 0 . Allora
hπ̃(x)(v0 + 0), v0 + 0i = ϕ(x).
Bisogna quindi imporre una condizione di minimalità su H. Richiediamo allora che H sia generato da
v, ossia che v sia ciclico.
Teorema 3.4. Siano π, π 0 due rappresentazioni unitarie di G su H e H 0 rispettivamente, e siano v ∈ H,
v 0 ∈ H 0 vettori ciclici tali che hπ(x)v, vi = hπ 0 (x)v 0 , v 0 i per ogni x ∈ G. Allora π e π 0 sono equivalenti, ed
esiste un operatore unitario di intrallacciamento U da H in H 0 tale che U v = v 0 .
Dimostrazione.
Sia H0 il sottospazio denso di H costituito dalle combinazioni lineari finite dei vettori
P
π(x)v. Se w = j cj π(xj )v, definiamo
X
Uw =
cj π 0 (xj )v 0 .
j
4. RAPPRESENTAZIONI IRRIDUCIBILI E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO
39
P
Questa è una buona definizione, perché se j cj π(xj )v = 0, allora
2 X
X
0
0
cj ck hπ 0 (xj )v 0 , π 0 (xk )v 0 i
c
π
(x
)v
j
j
=
j
j,k
=
X
=
X
cj ck ϕ(x−1
k xj )
j,k
cj ck hπ(xj )v, π(xk )vi
j,k
2
X
cj π(xj )v =
j
=0.
Lo stesso calcolo mostra che U è un’isometria. Poiché v 0 è ciclico, U H0 è denso in H 0 , quindi U è
unitario. Che U sia un operatore di intrallacciamento è ovvio.
Consideriamo ora le coppie (π, v), dove π è una rappresentazione unitaria di G su uno spazio di Hilbert
H e v ∈ H ha norma unitaria ed è π-ciclico. Stabiliamo tra tali coppie la relazione di equivalenza per cui
(π, v) ∼ (π 0 , v 0 ) se esiste un operatore unitario di intrallacciamento U tra π e π 0 tale che U v = v 0 . Indichiamo
con E l’insieme di tali classi di equivalenza.
Corollario 3.5. L’applicazione che associa alla classe di equivalenza di (π, v) il coefficiente ϕ(x) = hπ(x)v, vi
stabilisce una corrispondenza biunivoca tra E e l’insieme delle funzioni di tipo positivo su G non identicamente nulle.
Dimostrazione. L’applicazione è ben definita per la (3.6). Per il Teorema 4.4 essa è iniettiva. Per
vedere che è suriettiva, data ϕ di tipo positivo non identicamente nulla, si costruiscano H, π e v come nel
Teorema 4.3. Se H0 è il sottospazio chiuso di H generato dai vettori π(x)v al variare di x ∈ G, la coppia
(π|H0 , v) è quanto richiesto per concludere la dimostrazione.
4. Rappresentazioni irriducibili e funzioni di tipo positivo
Per comprendere più a fondo i legami tra rappresentazioni unitarie di G e funzioni di tipo positivo,
discutiamo l’irriducibilità della rappresentazione associata a una data funzione di tipo positivo sulla base del
Corollario 3.5.
Le funzioni di tipo positivo su G formano un cono convesso in L∞ (G): se ϕ1 , ϕ2 sono di tipo positivo e
c1 , c2 ≥ 0, anche c1 ϕ1 + c2 ϕ2 è di tipo positivo. Questo segue facilmente dalla (0.4).
Indichiamo con P tale cono, e sia P1 il sottoinsieme di P costituito dalle ϕ tali che kϕk∞ ≤ 1. Allora
P1 è convesso. Si noti che P1 coincide con l’insieme delle ϕ ∈ P tali che ϕ(e) ≤ 1.
Nella topologia debole* di L∞ (G), P1 è chiuso. Questo segue dal fatto che se una successione generalizzata {ϕi } ⊂ P1 converge a ϕ ∈ L∞ (G), allora ϕ soddisfa la (4.2) e kϕk∞ ≤ 1. Per il Teorema 4.3, ϕ è di
tipo positivo.
Per il Teorema di Banach-Alaoglu, P1 è compatto nella topologia debole*. Il Teorema di Krein-Milman
implica allora che P1 è l’inviluppo convesso chiuso dell’insieme dei suoi punti estremali, e di conseguenza ogni
funzione di tipo positivo è approssimabile con combinazioni lineari a coefficienti positivi di punti estremali
di P1 .
Teorema 4.1. Gli elementi estremali di P1 sono ϕ(x) = 0 e le funzioni ϕ(x) = hπ(x)v, vi, con π unitaria
irriducibile e kvk = 1.
Dimostrazione. Chiaramente l’origine è estremale, perché se ϕ e −ϕ sono entrambe di tipo positivo,
allora ϕ = 0.
40
3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
Se ϕ 6= 0, per il Teorema 4.3 ϕ(x) = hπ(x)v, vi, con π unitaria e v ciclico. Poiché kϕk∞ = ϕ(e) = kvk2 ,
perché ϕ sia estremale è necessario che kvk = 1. Supponiamo quindi che tale condizione sia soddisfatta.
Se π è riducibile, siano H1 , H2 sottospazi chiusi invarianti non banali, con H2 = H1⊥ . Indichiamo con
Pj il proettore ortogonale di H su Hj , e con πj la restrizione di π a Hj . Decomponiamo v nella somma
v = v1 + v2 , con vj = Pj v ∈ Hj .
Il proiettore Pj è in I(π, πj ) (v. la dimostrazione del Teorema 1.5). Inoltre le combinazioni lineari
dei vettori π(x)v, al variare di x ∈ G, sono dense in H. Di consguenza, le combinazioni lineari dei vettori
πj (x)vj = Pj π(x)v sono dense in Hj , ossia vj è πj -ciclico.
Sia ϕj (x) = kvj k−2 hπj (x)vj , vj i. Allora ϕj ∈ P1 e ϕ = kv1 k2 ϕ1 + kv2 k2 ϕ2 è combinazione convessa di
ϕ1 e ϕ2 .
Se ϕ fosse estremale, sarebbe ϕ1 = ϕ2 = ϕ. Ma allora, per il Teorema 4.4, π1 e π2 sarebbero equivalenti,
ed esisterebbe un operatore di intrallacciamento unitario U da H1 in H2 tale che U v1 /kv1 k = v2 /kv2 k. Posto
c = kv2 k/kv1 k, si avrebbe allora, per ogni x ∈ G,
π(x)v = π1 (x)v1 + π2 (x)v2 = π1 (x)v1 + cU π1 (x)v1 ,
per cui i vettori π(x)v, al variare di x ∈ G, sarebbero contenuti nel sottospazio chiuso proprio H 0 = {w+cU w :
w ∈ H1 }, contro l’ipotesi che v sia ciclico.
Supponiamo ora π irriducible. Se ϕ non fosse estremale, sarebbe ϕ = αϕ1 + (1 − α)ϕ2 , con ϕ1 , ϕ2 6= ϕ
e 0 < α < 1. Allora necessariamente ϕ1 (e) = ϕ2 (e) = 1. Sia ϕj (x) = hπj (x)vj , vj i, dove, per j = 1, 2, πj è
una rappresentazione unitaria su uno spazio di Hilbert Hj e vj è un vettore ciclico in Hj di norma unitaria.
Consideriamo allora la rappresentazione π1 ⊕ π2 di G su H1 ⊕ H2 , data da
π1 ⊕ π2 (x) (u, w) = π1 (x)u, π2 (x)w ,
per u ∈ H1 , w ∈ H2 . Rispetto al prodotto scalare
(u, w), (u0 , w0 ) = hu, u0 i + hw, w0 i ,
1
1
su H1 ⊕ H2 , π1 ⊕ π2 è unitaria. Se u0 = α 2 v1 , w0 = (1 − α) 2 v2 ,
π1 ⊕ π2 (x) (u0 , w0 ), (u0 , w0 ) = ϕ(x) .
Sia H0 il sottospazio chiuso di H1 ⊕ H2 generato dai vettori π1 ⊕ π2 (x) (u0 , w0 ) al variare di x ∈ G, e
sia π0 la restrizione di π1 ⊕ π2 a H0 . Per il Teorema 4.4, π0 è equivalente a π, in particolare è irriducibile.
Sia P1 la restrizione ad H0 della proiezione canonica di H1 ⊕ H2 su H1 . Allora P1 π0 (x) = π1 (x)P1 per
ogni x ∈ G, ossia P1 ∈ I(π0 , π1 ). Per la ciclicità di v1 rispetto a π1 , P1 è suriettiva. Se V è un sottospazio
chiuso π1 -invariante di H1 , allora P1−1 V è un sottospazio chiuso π0 -invariante di H0 . Questo mostra che
P1 è iniettiva e che π1 è irriducibile. Per il Lemma di Schur, π0 e π1 sono equivalenti e P1 = c1 U1 con U1
unitario.
1
Ma P1 (u0 , w0 ) = u0 , per cui c1 = α 2 e dunque P1∗ = αP1−1 . Ma allora
ϕ1 (x) = α−1 hπ1 (x)u0 , u0 i
= α−1 π1 (x)P1 (u0 , w0 ), u0
= α−1 P1 π0 (x)(u0 , w0 ), u0
= π0 (x)(u0 , w0 ), P1−1 u0
= ϕ(x) .
in contrasto con l’ipotesi.
Esempio.
(4.a) Sia G abeliano. Per il Corollario 1.6, le sue rappresentazioni unitarie irriducibili hanno dimensione
1 e sono in corrispondenza biunivoca, a meno di equivalenza, con i caratteri di G. Se γ ∈ Ĝ, sia πγ la
4. RAPPRESENTAZIONI IRRIDUCIBILI E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO
41
rappresentazione di G su C data da πγ (x)z = γ(x)z. Allora
hπγ (x)1, 1i = γ(x)
è, a meno di coefficienti scalari positivi, l’unica funzione di tipo positivo associata a πγ .
I punti estremali di P1 sono dunque l’origine e i caratteri di G. Ogni funzione di tipo positivo è dunque
approssimabile nella topologia debole* di L∞ (G) con combinazioni lineari a coefficienti finiti di caratteri.
Questa è in realtà una formulazione equivalente del Teorema di Bochner (v. Capitolo 2).
Corollario 4.2 (Teorema di Gelfand-Raikov). Siano x, y due elementi distinti di G. Esiste una rappresentazione unitaria irriducibile π di G tale che π(x) 6= π(y).
Dimostrazione. Possiamo supporre che x = e. Supponiamo per assurdo che π(y) = π(e) = I per ogni
rappresentazione irriducibile π. Allora sarebbe anche π(xy) = π(x) per ogni x ∈ G. Questo implicherebbe
che ϕ(xy) = ϕ(x) per ogni elemento estremale ϕ ∈ P1 e per ogni x. L’uguaglianza Ry ϕ = ϕ varrebbe allora
per tutte le ϕ di un sottoinsieme denso di P. Poiché questa identità è chiusa nella topologia debole* di
L∞ (G), essa varrebbe per ogni ϕ ∈ P.
Sia ora V un intorno compatto simmetrico di e tale che y 6∈ V 2 . Allora ϕ = χV ∗ χV è di tipo positivo,
tuttavia ϕ(e) > 0 ma ϕ(y) = 0, da cui l‘assurdo.
Dal Teorema 3.2 segue anche il seguente teorema di unicità.
Corollario 4.3. Sia f ∈ L1 (G) tale che π(f ) = 0 per ogni rappresentazione unitaria irriducibile π di G.
Allora f = 0.
Dimostrazione. se π(f ) = 0, anche
ˆ
π(Lx f ) =
f (x−1 y)π(y) dy = π(x)π(f ) = 0 .
G
Se ϕ è un elemento estremale di P1 , ϕ(x) = hπ(x)v, vi con π unitaria irriducibile, si ha allora
ˆ
ˇ
ϕ ∗ f (x)
Lx f (y)ϕ(y) dy = hπ(Lx f )v, vi = 0 .
G
Quindi ϕ ∗ fˇ = 0 per ogni ϕ in un sottoinsieme denso di P, nella topologia debole-* di L∞ (G). Per
densità, l’uguaglianza vale per ogni ϕ ∈ P.
Sia {ψi } una identità approssimata con ψi ∈ L1 (G) ∩ L2 (G) per ogni i. Allora ψi ∗ ψi∗ ∈ P, per cui
(ψi ∗ ψi∗ ) ∗ fˇ = 0. Quindi fˇ = 0.
CAPITOLO 4
Analisi su gruppi compatti
1. Rappresentazioni irriducibili di gruppi compatti
Sia G un gruppo compatto e sia dx la misura di Haar normalizzata su G.
Teorema 1.1. Sia π una rappresentazione di G su uno spazio di Hilbert H con prodotto scalare h , i. Se
ˆ
(1.1)
hhv, wii =
hπ(x)v, π(x)wi dx ,
G
allora hh , ii è pure un prodotto scalare su H, induce su H una norma equivalente a quella originaria e
rispetto ad esso π è unitaria.
Dimostrazione. Chiaramente il nuovo prodotto scalare è Hermitiano. Se hhv, vii = 0, allora hπ(x)v, π(x)vi =
0 per ogni x ∈ G, perché l’applicazione ϕv (x) = π(x)v è continua da G in H. Ponendo x = e, si deduce che
v = 0.
Indichiamo ora con k k e k k0 le norme indotte rispettivamente dal prodotto scalare originario e dal
prodotto (1.1).
Per la continuità di ϕv e la compattezza di G, supx∈G kπ(x)vk ≤ Cv . Per il teorema di Banach-Steinhaus,
sup kπ(x)k ≤ C .
x∈G
Allora
0
ˆ
21
≤ Ckvk .
kπ(x)vk dx
2
kvk =
G
D’altra parte, kvk = kπ(x−1 )π(x)vk ≤ Ckπ(x)vk, per cui si ha anche la disuguaglianza
kvk ≤ Ckvk0 .
Infine, fissato g ∈ G,
ˆ
hhπ(g)v, π(g)wii =
hπ(x)π(g)v, π(x)π(g)wi dx
ˆ
G
hπ(xg)v, π(xg)wi dx
=
G
= hhv, wii ,
per cui π(g) è unitario rispetto al prodotto scalare (1.1).
Questo appena visto è il primo esempio in cui si utilizza l’integrazione su G per guadagnare l’invarianza
rispetto all’azione di G. Un altro esempio è il seguente.
Lemma 1.2. Siano π1 e π2 due rappresentazioni unitarie di G sugli spazi di Hilbert H1 e H2 rispettivamente.
Dato T ∈ L(H1 , H2 ), l’operatore
ˆ
(1.2)
T̃ =
π2 (x)−1 T π1 (x) dx ,
G
43
44
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
dove l’integrale converge nella topologia forte di L(H1 , H2 ), è in I(π1 , π2 ).
Inoltre, se T è compatto, anche T̃ è compatto e, se T è autoaggiunto, anche T̃ è autoaggiunto.
Dimostrazione. La convergenza forte dell’integrale segue dal fatto che, dato v ∈ H1 , l’applicazione
x 7→ π2 (x)−1 T π1 (x)v è continua da G in H (è la composizione di due applicazioni continue in virtù del
Lemma 1.1 del Cap. IV). Per lo stesso motivo, se U è un operatore in L(H1 ) e V ∈ L(H2 ), si hanno le
identità
ˆ
ˆ
V T̃ =
V π2 (x)−1 T π1 (x) dx ,
T̃ U =
π2 (x)−1 T π1 (x)U dx .
G
G
Quindi, cambiando variabile nell’integrale,
ˆ
π2 (g)T̃ =
π2 (xg −1 )−1 T π1 (x) dx
G
ˆ
π2 (x)−1 T π1 (xg) dx
=
G
ˆ
=
π2 (x)−1 T π1 (x)π1 (g) dx
G
= T̃ π1 (g) .
ha
Supponiamo ora che T sia compatto. Data una successione {vn } in H1 convergente debolmente a 0, si
ˆ
ˆ
−1
kT̃ vn k ≤
kπ2 (x) T π1 (x)vn k dx =
kT π1 (x)vn k dx .
G
G
Per ogni x ∈ G, limn→∞ kT π1 (x)vn k = 0. Inoltre, kT π1 (x)vn k ≤ kT k supn kvn k. Per convergenza
dominata, {T vn } converge a 0 in norma.
Se T è autoaggiunto, si ha
ˆ
hv, T̃ wi =
hv, π(x)−1 T π(x)wi dx
G
ˆ
=
hπ(x)−1 T π(x)−1 v, wi dx
G
= hT̃ v, wi .
Lemma 1.3. Ogni rappresentazione unitaria di G ammette un sottospazio invariante non banale di dimensione finita.
Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria di G in H. Dato v0 ∈ H con kv0 k = 1, si consideri
il proiettore ortogonale di H su Cv0 ,
P v = hv, v0 iv0 .
Allora P̃ è compatto e autoaggiunto per il Lemma 1.2. Si ha inoltre
ˆ
hP̃ v0 , v0 i =
hπ(x)−1 P π(x)v0 , v0 i dx
G
ˆ
=
kP π(x)v0 k2 dx .
G
La funzione integranda è continua e vale 1 per x = e. Quindi P̃ 6= 0.
Sia
ˆ
P̃ =
λ dE(λ)
σ(P̃ )
la sua risoluzione
spettrale. Poiché P̃ 6= 0, il suo spettro σ(P̃ ) non è ridotto al solo punto 0. Allora
E σ(P̃ ) \ {0} 6= 0. Dalla (ii) della Proposizione 3.2 in Appendice segue che esiste δ > 0 tale che, posto
Bδ = {λ ∈ σ(P̃ ) : |λ| ≥ δ}, sia E(Bδ ) 6= 0.
2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL
45
Poiché P̃ commuta con π(x) per ogni x ∈ G, lo stesso vale per E(Bδ ). Quindi E(Bδ ) ∈ I(π, π).
La dimostrazione è conclusa se dimostriamo che l’immagine V = E(Bδ )H del proiettore E(Bδ ) ha
dimensione finita, in quanto V è un sottospazio invariante.
Supponiamo per assurdo che V ammetta un sistema ortonormale infinito {en }. Allora {en } tende
debolmente a zero, per cui {P̃ en } tende fortemente a zero. Ma
kP̃ en k2 = hP̃ ∗ P̃ en , en i
ˆ
=
|λ|2 dµen ,en (λ)
σ(P̃ )
ˆ
≥
|λ|2 dµen ,en (λ)
Bδ
= δ 2 hE(Bδ )en , en i
= δ2 .
Il seguente risultato segue immediatamente.
Teorema 1.4. Se π è irriducibile, allora H ha dimensione finita.
Infine dimostriamo il terzo risultato annunciato.
Corollario 1.5. Sia π una rappresentazione unitaria di G su H. Allora π è la somma diretta di sottorappresentazioni irriducibili di dimensione finita, con i sottospazi di H su cui agisce ciascuna di esse a due a
due ortogonali.
Dimostrazione. Consideriamo la classe C delle famiglie {Vi }i∈I , dove i Vi sono sottospazi π-invarianti
di H di dimensione finita, irriducibili e a due a due ortogonali.
La classe C non è vuota perché, per il Lemma 1.3, π ammette un sottospazio invariante non banale W
di dimensione finita. Se la restrizione di π a W è riducibile, si sostituisca W con un sottospazio proprio non
banale invariante. Con un numero finito di iterazioni, si giunge a un sottospazio non banale, invariante, e
tale che la restrizione di π a tale sottospazio sia irriducibile.
Ordinando gli elementi di C per inclusione, e applicando il Lemma di Zorn, si ottiene l’esistenza di una
famiglia {Vi } massimale.
P⊕
Supponiamo per assurdo che V = i Vi sia propriamente contenuta1 in H. Poiché V è invariante, per
il Lemma 1.3 del Cap. 3 anche V ⊥ è invariante. Sia π 0 la restrizione di π a V ⊥ . Sempre per il Lemma 1.3,
esiste un sottospazio invariante W di V ⊥ di dimensione finita. Ma ciò contrasta con la massimalità della
famiglia {Vi }.
2. Il teorema di Peter-Weyl
Consideriamo ora le rappresentazioni regolari di un gruppo compatto G su L2 (G), precisamente la
rappresentazione regolare sinistra
(Lg f )(x) = f (g −1 x) ,
e la rappresentazione regolare destra
(Rg f )(x) = f (xg) .
Conviene anche tener conto della rappresentazione di G × G su L2 (G) data da
(S(g,h) f )(x) = f (g −1 xh) = (Lg Rh f )(x) = (Rh Lg f )(x) .
Oserviamo he un sottospazio di L2 (G) è S-invariante se e solo se è sia L- che R-invariante. Ha anche
interesse la restrizione di S alla diagonale
∆(G) = (g, g) : g ∈ G ∼
=G,
1La somma diretta va intesa come il più piccolo sottospazio chiuso contenente i V .
i
46
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
in cui gli elementi di G agiscono sulle funzioni per automorfismi interni.
Sia π una rappresentazione unitaria irriducibile di G su uno spazio di Hilbert Hπ di dimensione dπ
(necessariamente finita), e sia {ei , . . . , edπ } una base ortonormale di Hπ . Rispetto a tale base, ogni operatore
π(x), con x ∈ G, si rappresenta tramite la matrice
 π

ϕ1,1 (x) · · · ϕπ1,dπ (x)


..
..
..
(2.1)
π(x) = 
 ,
.
.
.
π
π
ϕdπ ,1 (x) · · · ϕdπ ,dπ (x)
dove
ϕπj,k (x) = hπ(x)ek , ej i
(2.2)
è il coefficiente della rappresentazione relativo ai due elementi indicati della base di Hπ .
Dimostreremo in questo paragrafo che questi coefficienti, opportunamente normalizzati, formano, al
variare di π, una base ortonormale di L2 (G) con notevoli proprietà di invarianza rispetto all’azione sia destra
che sinistra di G.
Alcune proprietà dei coefficienti ϕπj,k sono immediate.
Lemma 2.1. Valgono le seguenti proprietà:
(1) le funzioni ϕπj,k sono continue;
(2) ϕπj,k (x−1 ) = ϕπk,j (x);
Pdπ π
(3) ϕπj,k (xy) = `=1
ϕ (x)ϕπ`,k (y);
2 j,`
Pdπ π
= 1 per ogni x e ogni k, e Pdπ ϕπ (x)2 = 1 per ogni x e ogni j;
(4)
j,k
k=1
j=1 ϕj,k (x)
Pdπ π
Pdπ π
(5) se k 6= k 0 , j=1
ϕj,k (x)ϕπj,k0 (x) = 0, e se j 6= j 0 , k=1
ϕj,k (x)ϕπj0 ,k (x) = 0;
(6) se v, w ∈ H, il coefficiente
ϕπv,w (x) = hπ(x)w, vi
è combinazione lineare dei ϕπj,k .
Dimostrazione. La (1) è evidente. La (2) segue dall’identità π(x−1 ) = π(x)∗ , la (3) dall’identità
π(xy) = π(x)π(y); la (4) e la (5) seguono dall’identità
π(x)π(x)∗ = π(x)∗ π(x) = I ,
e infine la (6) è ovvia.
Indichiamo con M π il sottospazio di L2 (G) generato dai coefficienti ϕπj,k .
Due rappresentazioni unitarie equivalenti π e π 0 determinano gli stessi coefficienti: infatti se U ∈ I(π, π 0 )
è unitario, allora, dati v, w ∈ Hπ ,
hπ(x)w, vi = hU −1 π 0 (x)U v, wi = hπ 0 (x)U v, U wi .
Per questo motivo selezioniamo una famiglia P di rappresentazioni unitarie irriducibili di G a due a
due inequivalenti, e tale che per ogni rappresentazione unitaria irriducibile di G ne esista una e una sola
equivalente in P.
Le combinazioni lineari finite di elementi presi dagli spazi M π con π ∈ P si chiamano polinomi trigonometrici su G. Ci proponiamo di dimostrare che, come i veri e propri polinomi trigonometrici su T, quelli su
G formano un sottospazio uniformemente denso in C(G).
La dimostrazione richiede le nozioni di prodotto tensoriale di due rappresentazioni, e di rappresentazione
controgradiente di una rappresentazione data. Diamo una breve presentazione di queste nozioni.
Siano H1 , H2 spazi di Hilbert complessi, con basi ortonormali {ej } e {fk } rispettivamente. Sul prodotto
tensoriale H1 ⊗ H2 introduciamo il prodotto scalare rispetto al quale la base {ej ⊗ fk } sia ortonormale. Si
verifica facilmente l’identità
kv ⊗ wk = kvkkwk ,
2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL
47
e dunque, per polarizzazione,
hv ⊗ w, v 0 ⊗ w0 i = hv, v 0 ihw, w0 i .
Siano S ∈ L(H1 ), T ∈ L(H2 ). Si consideri l’applicazione lineare S⊗T di H in sé data da (S⊗T )(ej ⊗fk ) =
Sej ⊗ T fk . Essa è ben definita e S ⊗ T (v ⊗ w) = Sv ⊗ T w.
Si verifica allora facilmente che (S1 ⊗ T1 )(S2 ⊗ T2 ) = S1 S2 ⊗ T1 T2 , e che, se S e T sono entrambe unitarie,
anche S ⊗ T è unitaria.
Definizione. Siano π1 , π2 rappresentazioni unitarie di due gruppi localmente compatti G1 , G2 , agenti su
H1 e H2 rispettivamente. Il loro prodotto tensoriale esterno è la rappresentazione unitaria π = π1 π2 su
H1 ⊗ H2 , ottenuta ponendo π(x1 , x2 ) = π1 (x1 ) ⊗ π2 (x2 ) per ogni x ∈ G.
Se G1 = G2 = G, si chiama prodotto tensoriale di π1 e π2 la rappresentazione π1 ⊗ π2 di G ottenuta
restringendo π1 π2 alla diagonale.
Lemma 2.2. Il prodotto tensoriale esterno di due rappresentazioni unitarie irriducibili è irriducibile. Ogni
rappresentazione unitaria e irriducibile di G1 × G2 è equivalente a un prodotto tensoriale π1 ⊗ π2 , con πj
rappresentazione unitariea e irriducibile di Gj .
Dimostrazione. . Sia T ∈ I(π1 π2 , π1 π2 ). Per ogni w ∈ H2 , poniamo Tw v = T (v ⊗ w). Allora,
per x1 ∈ G1 ,
Tw π1 (x1 )v = T ◦ (π1 π2 )(x1 , e2 ) (v ⊗ w) = (π1 π2 )(x1 , e2 ) ◦ T (v ⊗ w) = π(x1 )Tw v .
Per il Lemma di Schur, Tw = λ(w)I, cioè T (v ⊗ w) = λ(w)v ⊗ w. Scambiando i due fattori, si conclude
che λ non dipende da w. Sempre per il Lemma di Schur, π1 π2 è irriducibile.
Viceversa, data σ una rappresentazione unitaria e irriducibile di G1 × G2 , siano σ1 , σ2 le restrizioni di σ
a G1 × {e2 }, {e1 } × G2 rispettivamente.
Vogliamo dimostrare che esiste v ∈ Hσ non nullo, tale che i due sottospazi
V1 (v) = span {σ1 (x)v : x ∈ G1 } ,
V2 (v) = span {σ2 (y)v : y ∈ G2 } ,
che sono invarianti rispetto a σ1 , σ2 rispettivamente, siano entrambi irriducibili.
Partiamo da v0 6= 0 che minimizzi dim V1 (v). Allora V1 (v0 ) è necessariamente irriducibile rispetto a σ1 .
Se V2 (v0 ) è irriducibile, abbiamo finito. Se no, sia V 0 ⊂ V2 (v0 ) irriducibile rispetto a σ2 . Sia
X
v=
µk σ2 (yk )v0 ∈ V 0 ,
v 6= 0 .
Per x ∈ G1 ,
X
X
µk σ2 (yk )σ1 (x)v0 =
µk σ(x, yk )v0 = σ1 (x)v ,
P
e, per linearità, l’applicazione A = µk σ2 (yk ) applica V1 (v0 ) su tutto V1 (v). Per la minimalità di dim V1 (v0 ),
A è un isomorfismo lineare e V1 (v) è irriducibile2.
Ponendo Vj = Vj (v), πj = σj |V , consideriamo l’applicazione bilineare Φ da V1 × V2 in Hσ
j
X
X
X
Φ
λj π1 (xj )v,
µk π2 (yk )v =
λj µk σ(xj , yk )v
j
k
j,k
=
X
=
X
X
λj σ1 (xj )
µk σ2 (yk ) v
j
k
µk σ2 (yk )
X
k
P
λj σ1 (xj ) v .
j
0
0
` λ` π1 (x` )v0 ,
P
L’applicazione è ben definita. Se j λj π1 (xj )v0 =
si ha
X
X
Φ
λj π1 (xj )v0 ,
µk π2 (yk )w0 =
j
k
2Notare che A commuta con σ , per cui le restrizioni di σ a V (v ) e V (v) sono equivalenti.
1
1
1 0
1
48
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
Per ogni y ∈ G2 , π(e1 , y) ∈ I(σ1 , σ1 ), essendo
π(e1 , y)σ1 (x) = π(e1 , y)π(x, e2 ) = π(x, y) = π(x, e2 )π(e1 , y) = σ1 (x)π(e1 , y) .
Analogamente, se σ2 è la restrizione di σ a {e1 } × G2 , π(x, e2 ) ∈ I(σ2 , σ2 ) per ogni x ∈ G1 .
Siano π1 , π2 sottorappresentazioni irriducibili di σ1 , σ2 rispettivamente, su sottospazi V1 , V2 ⊆ Hπ . Si
osservi che
• il sottospazio σ2 (y)V1 = V1,y è σ1 -invariante per ogni y ∈ G2 e σ1|V1,y ∼ π1 ,
P
•
y∈G2 V1,y = Hπ ,
• σ1 (x)V2 = V2,x è σ2 -invariante per ogni x ∈ G1 e σ2|V2,x ∼ π2 ,
P
•
x∈G1 V2,x = Hπ ,
Sia ora H uno spazio di Hilbert e H 0 il suo duale. Consideriamo l’applicazione antilineare θ : H 0 → H
che a λ ∈ H 0 associa l’elemento wλ = θλ ∈ H tale che λ(v) = hv, wλ i. Poiché kλk = kwλ k, la norma duale
su H 0 è indotta da un prodotto scalare tale che, per polarizzazione,
hλ, λ0 i = hwλ0 , wλ i = λ(wλ0 ) = λ0 (wλ ) .
Data una rappresentazione unitaria π di G su H, si defiscono gli operatori π 0 (x) su H 0 come
π 0 (x)λ (v) = λ π(x−1 )v ,
ossia π 0 (x) = tπ(x−1 ).
Quindi i π 0 (x) sono lineari e definiscono una rappresentazione unitaria di G su H 0 . Essa si chiama
la rappresentazione controgradiente di π. In generale π e π 0 non sono equivalenti (si osservi che θ è solo
R-lineare). Tuttavia, si vede facilmente che π 0 è irriducibile se e solo se lo è π.
Lemma 2.3. Vale la relazione
Dimostrazione. Si ha
π 0 (x)λ, λ0 = π(x)wλ , wλ0 .
π 0 (x)λ, λ0 = π 0 (x)λ (wλ0 )
= λ π(x−1 )wλ0
= π(x−1 )wλ0 , wλ
= wλ0 , π(x)wλ .
Teorema 2.4. I polinomi trigonometrici sono uniformemente densi in C(G).
Dimostrazione. Per il Teorema di Stone-Weierstrass, è sufficiente dimostrare che lo spazio X dei
polinomi trigonometrici è un’algebra per il prodotto puntuale, è invariante per coniugazione, separa i punti,
e contiene le costanti.
Considerando la rappresentazione banale π0 , data da π0 (x) = I per ogni x ∈ G, su uno spazio
unidimensionale, si ottiene che le funzioni costanti sono in X.
Verifichiamo ora che il prodotto di due funzioni in X è pure in X. Siano ϕ1 = ϕπv11,w1 e ϕ2 = ϕπv22,w2
due coefficienti di due rappresentazioni (non necessariamente distinte). Considerando la rappresentazione
π = π1 ⊗ π2 , si ha
π(x)(v1 ⊗ v2 ), w1 ⊗ w2 = π1 (x)v1 ⊗ π2 (x)v2 , w1 ⊗ w2
= hπ1 (x)v1 , w1 ihπ2 (x)v2 , w2 i
= ϕ1 (x)ϕ2 (x) .
Quindi ϕ1 ϕ2 è il coefficiente di una rappresentazione di dimensione finita, che però non sarà in generale
irriducibile. Tuttavia, in base al Lemma 1.5, π si decompone nella somma diretta di rappresentazioni
irriducibili, π = σ1 ⊕ · · · ⊕ σν . Corrispondentemente, v1 ⊗ v2 = ξ1 + · · · + ξν , w1 ⊗ w2 = ω1 + · · · + ων , con
2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL
49
ξi , ωi nel sottospazio su cui agisce σi . I sottospazi su cui agiscono le varie σi sono a due a due ortogonali,
per cui
ϕ1 (x)ϕ2 (x) = π(x)(v1 ⊗ v2 ), w1 ⊗ w2
X
=
hσi (x)ξi , ωj i
i,j
=
X
hσi (x)ξi , ωi i
i
=
X
ϕσξii,ωi (x) .
i
0
Ogni σi è equivalente a una rappresentazione πi0 ∈ P, per cui ϕσξii,ωi (x) ∈ M πi ⊂ X.
In conclusione ϕ1 ϕ2 ∈ X e dunque X è un’algebra.
Per il Teorema di Gelfand-Raikov (Corollario 3.2 del Cap. 3), dati due elementi distinti x, y ∈ G esiste
π ∈ P tale che π(x) 6= π(y). Esisteranno allora v, w ∈ Hπ tali che hπ(x)v, wi =
6 hπ(y)v, wi. Quindi X separa
i punti.
Per il Lemma 2.3, X è invariante per coniugazione e questo completa la dimostrazione.
Corollario 2.5. Per ogni π ∈ P esiste π̃ ∈ P (della stessa dimensione) equivalente alla controgradiente π 0
di π. L’applicazione π 7→ π̃ è una biiezione di P in sé e M π̃ = M π .
Vediamo ora le proprietà degli spazi M π come sottospazi di L2 (G).
Lemma 2.6. I coefficienti ϕπj,k sono a due a due ortogonali in L2 (G) e kϕπj,k k2 =
ha dimensione d2π .
√1 .
dπ
In particolare M π
Dimostrazione. Sia Ep,q l’operatore lineare di H in sé tale che
e
se j = p
Ep,q ej = q
0
se j 6= p ,
rappresentato, nella base fissata, dalla matrice avente 1 nel posto (q, p) e 0 altrove.
Poiché π è irriducibile, per il Lemma 1.2 e il Lemma di Schur, Ẽp,q = cI per qualche scalare c. Osserviamo
che, essendo tr A lineare in A, ed essendo tr (A−1 BA) = tr (B),
ˆ
tr (Ẽp,q ) = tr
π(x)−1 Ep,q π(x) dx
G
ˆ
=
tr π(x)−1 Ep,q π(x) dx
G
= tr (Ep,q ) .
Se p 6= q, tr (Ep,q ) = 0, per cui 0 = tr (Ẽp,q ) = cdπ , e dunque Ẽp,q = 0.
Se p = q, cdπ = tr (Ep,p ) = 1, per cui Ẽp,p = d1π I.
Osserviamo anche che il termine di posto (j, k) della matrice Ẽp,q è
ˆ
(Ẽp,q )j,k =
π(x−1 )Ep,q π(x) j,k dx
ˆG X
=
ϕπj,r (x−1 )(Ep,q )r,s ϕπs,k (x) dx
G r,s
ˆ
=
ˆ
ϕπj,q (x−1 )ϕπp,k (x) dx
G
ϕπq,j (x)ϕπp,k (x) dx .
=
G
Questo integrale è dunque nullo, tranne quando p = q e j = k, nel qual caso è uguale a 1/dπ .
50
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
Dato v ∈ H, v 6= 0, poniamo
Mvπ = ϕπv,w : w ∈ H
π
π
w M = ϕv,w : w ∈ H .
Chiaramente Mvπ e w M π sono sottospazi di M π . Inoltre, se {e1 , . . . , edπ } è una base di H, allora
dπ
X
(2.3)
Meπj =
j=1
dπ
X
ej M
π
= Mπ .
j=1
Lemma 2.7. Valgono le seguenti proprietà:
(1)
(2)
(3)
(4)
√
kϕπv,w k2 = kvkkwk
;
dπ
Mvπ e Mvπ0 sono ortogonali se e solo se v e v 0 sono ortogonali;
per ogni v ∈ Hπ , Mvπ è R-invariante, e la restrizione di R a Mvπ è equivalente a π;
i sottospazi R-invarianti di M π sono tutti e soli quelli della forma
k
X
Mfπj ,
j=1
con {f1 , . . . , fk } sistema ortonormale;
(5) analogamente, w M π e w0 M π sono ortogonali se e solo se w e w0 sono ortogonali; per ogni w ∈ Hπ ,
π
è L-invariante, e la restrizione di L a w M π è equivalente a π 0 , la controgradiente di π; i
wM
Pk
π
sottospazi L-invarianti di M π sono tutti e soli quelli della forma
j=1 fj M , con {f1 , . . . , fk }
sistema ortonormale;
(6) la restrizione di S a M π è irriducibile ed equivalente a π ⊗ π 0 .
Dimostrazione. Dato v ∈ Hπ , v 6= 0, sia {v1 , . . . , vdπ } una base ortonormale di Hπ con v1 = v/kvk.
Pdπ
Se w = j=1
aj vj , per il Lemma 2.6,
2
X
dπ
hπ(x)w, vi2 = kvk2 aj hπ(x)vj , v1 i
j=1
=
kvk
dπ
dπ
2 X
|aj |2
j=1
kvk2 kwk2
=
.
dπ
Questo dimostra la (1).
Per polarizzazione rispetto a v, si ricava che
hv 0 , viHπ kwk2
.
dπ
sono ortogonali, allora v e v 0 sono ortogonali. Polarizzando ora rispetto
hϕπv,w , ϕπv0 ,w iL2 =
Da ciò segue che se Mvπ e Mvπ0
a w, si ha
hv 0 , viHπ hw, w0 iHπ
,
dπ
sono ortogonali. Questo dimostra la (2).
hϕπv,w , ϕπv0 ,w0 iL2 =
per cui, se hv, v 0 i = 0, Mvπ e Mvπ0
Dati v, w ∈ Hπ , si ha
(Rg ϕπv,w )(x) = hπ(xg)w, vi
= hπ(x)π(g)w, vi
= ϕπv,π(g)w (x) .
√
dπ
Quindi l’operatore A : Hπ → Mvπ tale che Aw = ϕπv,w è in I π, R|M π . Per la (1), kvk
A è unitario.
v
π
Questo dimostra la (3). Passando alla (4), è evidente che i sottospazi indicati di M sono R-invarianti.
2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL
51
Viceversa, sia E un sottospazio R-invariante di M π , e sia
f (x) =
dπ
X
cj,k ϕπj,k (x) ∈ E .
j,k=1
Applicando la (3) del Lemma 2.1, si ha allora che, per ogni g ∈ G,
f (xg) =
dπ
X
cj,k ϕπj,k (xg)
j,k=1
dπ
X
=
cj,k ϕπj,` (x)ϕπ`,k (g)
j,k,`=1
è in E. Se f 6= 0, esistono p, q tali che cp,q 6= 0. Consideriamo allora la funzione
ˆ
h(x) =
f (xg)ϕπq,q (g) dg .
G
Essa è pure in E, e, per il Lemma 2.4,
h(x) =
Se v =
1
dπ
dπ
1 X
cj,q ϕπj,q (x) 6= 0 .
dπ j=1
Pdπ
j=1 cj,q ej ,
h(x) =
dπ
1 X
cj,q hπ(x)eq , ej i = ϕπv,eq .
dπ j=1
Quindi h ∈ Mvπ ∩ E. Allora anche tutte le traslate destre Rg h sono in Mvπ ∩ E. Ma π è irriducibile, e
tale è anche la rappresentazione equivalente R|M π . Quindi h è R-ciclico in Mvπ . Ne segue che Mvπ ⊆ E.
v
Se l’inclusione è propria, consideriamo il complemento ortogonale E 0 di Mvπ in E. Procedendo come
sopra, si dimostra l’esistenza di v 0 ∈ Hπ tale che Mvπ0 ⊂ E 0 . Per la (2) v e v 0 sono ortogonali in Hπ .
Iterando questo procedimento, dopo un numero finito di passi si decompone E come somma diretta di
sottospazi Mvπj con i vj a due a due ortogonali. Questi spazi rimangono invariati se si normalizzano i vj , e
cosı̀ si conclude questa parte della dimostrazione.
La (5) si dimostra in modo analogo. Bisogna però sostituire A con l’operatore à : Hπ0 → w M π dato da
Ãλ = ϕπθλ,w . Allora
Lg (Aλ)(x) = ϕπθλ,w (g −1 x) = hπ(x)w, π(g)θλi = π(x)w, θ π 0 (g)λ = (Aπ 0 (g)λ)(x) .
Infine, passando alla (6), sia E un sottospazio di M π S-invariante, Se E non è banale, esso contiene un
essendo R-invariante. Possiamo supporre che kvk = 1. Se {e1 , . . . , en } è una base ortonormale di H on
e1 = v, usando l’invarianza di E sia rispetto a R che a L, si conclude che E contiene tutte le ϕπj,k relative a
tale base. Dunque E = M π .
Mvπ ,
Con riferimento alla matrice (2.1), si noti che in particolare le funzioni in ogni riga generano un
sottospazio R-invariante, e le funzioni in ogni colonna un sottospazio L-invariante di M π .
Teorema 2.8 (Teorema di Peter-Weyl). Allora
L2 (G) =
X
Mπ ,
π∈P
in cui gli addendi sono ortogonali a due a due.
Per ogni π ∈ P, si fissi una base ortonormale {eπ1 , . . . , eπdπ } di Hπ , con dπ = dim Hπ . Posto
ϕπj,k (x) = hπ(x)eπk , eπj i ,
52
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
il sistema
p
dπ ϕπj,k π∈P , 1≤j,k≤dπ
è una base ortonormale di L2 (G).
Dimostrazione. Dimostriamo che se π1 , π2 ∈ P sono distinte, e dunque non equivalenti, allora M π1 e
M sono ortogonali. Siano {e1 , . . . ed1 } e {f1 , . . . , fd2 } basi ortonormali degli spazi Hπ1 e Hπ2 rispettivamente. Sia Ep,q ∈ L(H1 , H2 ) definito da
e
se j = p
Ep,q ej = q
0
se j 6= p ,
π2
per 1 ≤ p ≤ d1 , 1 ≤ q ≤ d2 . Per il Lemma di Schur, Ẽp,q = 0. Ripetendo il procedimento usato nella
dimostrazione del Lemma 2.4, si dimostra che
ˆ
2
1
(x) dx = 0 ,
ϕπp,j
(x)ϕπq,k
G
per ogni j ≤ d1 e k ≤ d2 .
3. Trasformata di Fourier
Nei paragrafi precedenti abbiamo inizialmente considerato generiche rappresentazioni unitarie irriducibili
di G, e abbiamo indicato con P un insieme di tali rappresentazioni in cui ogni elemento appartenga a una
distinta classe di equivalenza. Quindi P si identifica con l’oggetto duale di G (v. paragrafo 5 del Capitolo
IV).
Abbiamo poi visto (Lemma 2.7 e Teorema 2.8) che ogni rappresentazione in P appare come sottorappresentazione della rappresentazione regolare sinistra L (o della destra R), con molteciplità uguale alla
dimensione della rappresentazione stessa. Questo vuol dire che se π ∈ P ha dimensione dπ , esistono in L2 (G)
dπ sottospazi L-invarianti, a due a due ortogonali, tali che la restrizione di L a ciascuno di essi sia equivalente
a π.
In questo paragrafo riformuliamo i risultati dei due paragrafi precedenti in modo diverso, con riferimento
alla trasformata di Fourier non commutativa descritta in modo generale alla fine del Cap. IV. Otterremo cosı̀
estensioni non commutative del teorema di Riemann-Lebesgue e delle formule di Plancherel e di inversione.
che, data f ∈ L1 (G), si chiama trasformata di Fourier di f la famiglia di operatori
Ricordiamo
π(f ) π∈P , dove
ˆ
π(f ) =
f (x)π(x) dx .
G
Il teorema che segue estende il Teorema di Riemann-Lebesgue.
Teorema 3.1. Sia f ∈ L1 (G). Dato ε > 0, si ha kπ(f )k < ε per tutte le π ∈ P tranne al massimo un
numero finito.
Dimostrazione. Consideriamo inizialmente f ∈ M π , con π ∈ P e sia σ ∈ P. Se v, w ∈ Hσ ,
ˆ
hσ(f )v, wi =
f (x)hσ(x)v, wi dx
ˆG
=
f (x)ϕσw,v (x) dx
G
0
= hf, ϕσw0 ,v0 iL2 ,
0
dove σ 0 è la rappresentazione controgradiente di σ e v 0 , w0 sono opportuni elementi in Hσ0 . Ma f ⊥ M σ , a
meno che non sia σ 0 ≡ π. Quindi σ(f ) = 0 tranne per al più un’unico elemento di P.
3. TRASFORMATA DI FOURIER
53
Lo spazio X dei polinomi trigonometrici (v. paragrafo 2), costituito dalle combinazioni lineari finite di
elementi dei vari M π , con π ∈ P, è denso in L1 (G). Per quanto appena visto, la tesi è vera banalmente per
f ∈ X.
Data una generica f ∈ L1 (G) e dato ε > 0, sia g ∈ X tale che kf − gk1 < ε. Allora
kπ(f ) − π(g)k = kπ(f − g)k ≤ kf − gk1 < ε
per ogni π ∈ P. La conclusione segue facilmente.
Ricordiamo ora la nozione di operatore di Hilbert-Schmidt su uno spazio di Hilbert H.
Definizione. Un operatore T ∈ L(H) si dice di Hilbert-Schmidt se, data un base ortonormale {ei }i∈I di H,
si ha
X
def
(3.1)
kT ei k2 = kT k2HS < ∞ .
i∈I
Un altro modo per esprimere la norma di Hilbert-Schmidt è ovviamente il seguente:
X
hT ei , ej i2 .
kT k2HS =
i,j∈I
Lemma 3.2. Se kT kop indica la norma di T in L(H), si ha kT kop ≤ kT kHS ; inoltre la somma (4.1) non
dipende dalla scelta della base ortonormale.
Lo spazio HS(H) degli operatori di Hilbert-Schmidt su H è uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto
scalare
X
(3.2)
hT, Si = tr (T S ∗ ) = tr (S ∗ T ) =
hT ei , Sei i .
i
Dimostrazione. Se v =
P
αi ei ,
kT vk ≤
X
|αi |kT ei k ≤ kT kHS kvk .
i
P
Sia poi {fj } un’altra base ortonormale, e sia fj = i ci,j ei . Allora
X
X
kT fj k2 =
hT ∗ T fj , fj i
j
j
=
X
ci,j ck,j hT ∗ T ei , ek i .
i,j,k
Ma
X
ci,j ck,j =
j
X
hfj , ei ihfj , ek i
j
= hei , ek i = δi,k .
Quindi
X
j
kT fj k2 =
X
X
hT ∗ T ei , ei i =
kT ei k2 .
i
i
Che HS(H) sia uno spazio pre-Hilbertiano è abbastanza evidente. La sua completezza segue facilmente
dal fatto che, se
gli elementi di una base ortonormale di H, l’operatore che manda T ∈ HS(H)
I indicizza
nella funzione kT ei k è unitario da HS(H) su `2 (I).
Naturalmente in dimensione finita tutti gli operatori lineari sono di Hilbert-Schmidt.
54
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
Teorema 3.3. Se f ∈ L2 (G),
X
kf k22 =
dπ kπ(f )k2HS .
π∈P
Viceversa, data una famiglia di operatori {Tπ }π∈P , con Tπ ∈ L(Hπ ) tale che
X
dπ kTπ k2HS < ∞ ,
π∈P
2
esiste f ∈ L (G) tale che π(f ) = Tπ per ogni π.
Dimostrazione. Siano π ∈ P e {ej } una base ortonormale di Hπ . Allora
dπ
X
hπ(f )ej , ei i2
kπ(f )k2HS =
i,j=1
2
X ˆ
X
π
=
f (x)
ϕi,j (x) dx
G
i,j
j
X
hϕπi,j , f¯iL2 2
=
i,j
1
kP π f¯k22 .
dπ
=
Quindi
X
dπ kπ(f )k2HS =
π∈P
X
kP π f¯k22 = kf¯k22 = kf k22 .
π∈P
Per dimostrare la seconda parte dell’enunciato, per ogni π ∈ P, sia {eπj }1≤j≤dπ una base ortonormale di
Hπ .
Vogliamo trovare f ∈ L2 (G) tale che hπ(f )ek , ej i = hTπ ek , ej i per ogni π e ogni j, k. Ma
ˆ
hπ(f )ek , ej i =
f (x)ϕπj,k (x) dx = hϕπj,k , f¯iL2 ,
G
per cui si richiede alla funzione f¯ di avere coefficienti uguali a
data dal Teorema di Peter-Weyl.
Una tale funzione esiste in L2 (G) a condizione che
X
π∈P
√
dπ hej , Tπ ek i nella base ortonormale di L2 (G)
dπ
X
hej , Tπ ek i2 < ∞ .
dπ
j,k=1
Ma questa è esattamente la condizione imposta ai Tπ .
Passiamo infine alla formula di inversione. Partiamo dalla formula implicita nel Teorema di Peter-Weyl,
ossia
(3.3)
f (x) =
X
π∈P
dπ
X
dπ
hf, ϕπj,k iL2 ϕπj,k (x) ,
j,k=1
2
dove la convergenza è in norma L . Si tratta di riformulare tale identità in termini degli operatori π(f ).
Teorema 3.4 (Formula di inversione). Se f ∈ L2 (G), allora
X
(3.4)
f (x) =
dπ tr π(f )π(x)∗ ,
π∈P
2
dove la serie converge in norma L .
4. CARATTERI E FUNZIONI CENTRALI
55
Dimostrazione. Sia π̃ ∈ P la rappresentazione equivalente alla controgradiente di π ∈ P. Per la
Proposizione 2.8 e con le stesse notazioni,
ˆ
f (x)ϕπ̃j,k (x) dx = hπ̃(f )ẽk , ẽj i .
hf, ϕπj,k iL2 =
G
Quindi, essendo anche ϕπj,k (x) = ϕπ̃j,k (x) = ϕπ̃k,j (x−1 ),
dπ
X
hf, ϕπj,k iL2 ϕπj,k (x) =
dπ̃
X
hπ̃(f )ẽk , ẽj iϕπ̃k,j (x−1 )
j,k=1
j,k=1
= tr π̃(f )π̃(x−1 )
= tr π̃(f )π̃(x)∗ .
Sempre per la Proposizione 2.8, la somma su π può essere sostituita dalla somma su π̃, e la tesi segue
facilmente.
Come per le serie di Fourier sul toro, viene naturale chiedersi che tipo di convergenza si ha per la serie
(4.3), o equivalentemente per la serie (4.4), supponendo che f sia in altri spazi funzionali.
Posta in questa generalità, la domanda non ha una risposta, neanche se si suppone G abeliano. Sono
disponibili risposte specifiche per gruppi specifici. Nel paragrafo seguente discuteremo un caso semplice ma
rilevante, quello del gruppo SU (2).
4. Caratteri e funzioni centrali
Definizione. Sia π una rappresentazione unitaria di G di dimensione finita. Si chiama carattere di π la
funzione
(4.1)
χπ (x) = tr π(x)
I caratteri sono funzioni di tipo positivo (per il Lemma 3.1 del Cap. IV, è la somma di funzioni di tipo
positivo), in particolare sono funzioni continue, soddisfano l’identità χπ (x−1 ) = χπ (x), e la relazione
|χπ (x)| ≤ χπ (e) = dπ ,
dove dπ è la dimensione della rappresentazione.
Teorema 4.1. Il proiettore ortogonale P π di L2 (G) su M π è dato da
(4.2)
P π f (x) = f ∗ (dπ χπ )(x) = (dπ χπ ) ∗ f (x) .
Dimostrazione. Per il Lemma 2.7, una base ortonormale di M π è costituita dalle funzioni
√
dπ ϕπj,k
56
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
associate a una base ortonormale {ej } di H π . Quindi, se f ∈ L2 (G),
π
P f (x) = dπ
dπ
X
hf, ϕπj,k iL2 ϕπj,k (x)
j,k=1
= dπ
dπ
X
ˆ
ϕπj,k (x)
G
j,k=1
ˆ
= dπ
f (y)
G
ϕπj,k (x)ϕπk,j (y −1 ) dy
j,k=1
ˆ
= dπ
dπ
X
f (y)ϕπj,k (y) dy
f (y)
G
dπ
X
ϕπj,j (xy −1 ) dy
j=1
ˆ
f (y)tr π(xy −1 ) dy
= dπ
G
= (dπ χπ ) ∗ f (x) .
Poiché χπ è centrale, si ha anche P π f (x) = f ∗ (dπ χπ )(x).
Corollario 4.2. Ogni sottospazio R-invariante (risp. L-invariante) di L2 (G) è la somma diretta, al variare
di π ∈ P, di sottospazi R-invarianti (risp. L-invarianti) di M π .
Ogni sottospazio S-invariante di L2 (G) è la somma diretta di sottospazi M π .
Dimostrazione. Sia V un sottospazio R-invariante. Se f ∈ V e π ∈ P,
ˆ
P π f = f ∗ (dπ χπ ) = dπ
χπ (y)Ry−1 f dy
G
P
è pure in V . Quindi π∈P P π V ⊆ V . Se l’inclusione fosse propria, il complemento ortogonale in V di tale
somma sarebbe ortogonale a ogni M π , in contrasto con il Teorema di Peter-Weyl.
Si ha inoltre, per f ∈ V ,
Rg (P π f )(x) = (P π f )(xg)
ˆ
= dπ
f (y)χπ (y −1 xg) dy
G
ˆ
= dπ
f (y)χπ (gy −1 x) dy
ˆG
= dπ
f (yg)χπ (y −1 x) dy
G
= P π (Rg f ) ,
per cui P π V è R-invariante.
Il resto della dimostrazione segue facilmente.
Definizione. Una funzione f su G si dice centrale se f (xy) = f (yx) per ogni x, y ∈ G (equivalentemente
se f (xyx−1 ) = f (y) per ogni x, y ∈ G).
Lemma
(1)
(2)
(3)
4.3.
I caratteri delle rappresentazioni di dimensione finita sono funzioni centrali.
Le funzioni centrali integrabili costituiscono il centro di L1 (G).
Una funzione integrabile f è centrale se e solo se, per ogni π ∈ P, π(f ) è un multiplo scalare
dell’identità.
Dimostrazione. Si ha
χπ (xy) = tr π(xy) = tr π(x)π(y) = tr π(y)π(x) = tr π(yx) = χπ (yx) .
5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2)
Se f ∈ L1 (G) è centrale e g ∈ L1 (G),
57
ˆ
f (xy −1 )g(y) dy
f ∗ g(x) =
ˆ
G
f (y −1 x)g(y) dy
=
G
= g ∗ f (x) .
Viceversa, se f ∈ L (G) soddisfa la condizione f ∗ g = g ∗ f per ogni g ∈ L1 (G), deve essere f (xy −1 ) −
f (y x) = 0 per quasi ogni x, y. Quindi f è centrale.
Infine, sia f ∈ L1c (G). Allora, per ogni y ∈ G,
ˆ
π(f ) =
f (x)π(x) dx
ˆG
=
f (yxy −1 )π(x) dx
ˆG
=
f (x)π(y −1 xy) dx
1
−1
G
= π(y)π(f )π(y)−1 ,
per cui π(f ) ∈ I(π, π). Per il Lemma di Schur, π(f ) è un multiplo scalare dell’identità.
Per il viceversa, supponiamo inizialmente che f ∈ L2 (G) e π(f ) = cπ I per ogni π ∈ P. Per la formula
di inversione (3.4),
X
X
f (x) =
dπ tr π(f )π(x)∗ =
dπ cπ χπ (x) ,
π∈P
π∈P
ed è dunque centrale.
L’estensione a f ∈ L1 segue dall’esistenza di identità approssimate centrali e continue. Infatti, per la
compattezza di G e la continuità della funzione
(x, y) 7−→ yxy −1 , si dimostra
che, per ogni intorno U di e,
S
S
0
esiste un intorno compatto U tale che y∈G yU 0 y −1 ⊂ U , dove V = y∈G yU 0 y è un compatto invariante
per automorfismi interni. Preso allora un sistema forndamentale di intorni {Vi } siffatti, si ponga
ϕi = m(Vi )−1 1Vi ∗ m(Vi )−1 1Vi ,
dove m è la misura di Haar normalizzata.
Ponendo fi = f ∗ ϕi , si ha fi ∈ L2 (G) e π(fi ) = π(f )π(ϕi ) è ancora un multiplo scalare dell’identità per
l’ implicazione inversa dimostrata prima. Dunque fi è centrale e l’identità fi = Ry Ly fi si trasmette a f per
continuità.
Corollario 4.4. Il proiettore ortogonale C di L2 (G) sullo spazio L2c (G) delle funzioni centrali è dato da
ˆ
ˆ
−1
Cf (x) =
f (y xy) dy =
Ly Ry f (x) dy .
G
G
Per ogni π ∈ P, il carattere χπ è, a meno di multipli scalari, l’unica funzione centrale in M π . Al variare
di π ∈ P, i caratteri χπ formano una base ortonormale di L2c (G).
5. Analisi di Fourier su SU(2)
Il gruppo SU (n) (la lettera S sta per “speciale”) consiste delle matrici complesse n × n unitarie e con
determinante uguale a 1. Dall’identità xx∗ = I per x ∈ U (n), si ricava che | det x| = 1. Si vede facilmente
che SU (n) è un sottogruppo proprio di U (n). L’applicazione ϕ di SU (n) × T in U (n) che alla coppia (x, eiθ )
associa eiθ x è chiaramente suriettiva, e il suo nucleo è costituito dalle coppie (eiθ I, e−iθ ), con eiθ I ∈ SU (n).
Questo richiede che eiθ sia una radice n-esima dell’unità. Possiamo quindi dire che
U (n) ∼ SU (n) × T / ker ϕ ,
58
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
dove ker ϕ ∼ Zn .
Limitiamoci ora al caso n = 2. Un generico elemento di SU (2) è una matrice complessa
α γ
x=
,
β δ
su cui imponiamo innanzitutto la condizione x∗ x = I, per cui deve essere
 2
|α| + |β|2 = 1
|γ|2 + |δ|2 = 1

αγ̄ + β δ̄ = 0 .
Quindi i due vettori (α, β) e (γ, δ) sono unitari e ortogonali in C2 . Poiché (−β̄, ᾱ) è, a meno di multipli
scalari, l’unico vettore ortogonale a (α, β), deve essere, tenuto anche conto delle normalizzazioni, (γ, δ) =
eit (−β̄, ᾱ).
Imponendo ora la condizione sul detrminante, si ottiene eit = 1. In conclusione, il generico elemento di
SU (2) è
α −β̄
xα,β =
,
β ᾱ
con |α|2 + |β|2 = 1. Come insieme, SU (2) si identifica in modo naturale con la sfera unitaria S 3 in C2 .
Poiniamo quindi su SU (2) la topologia indotta dalla topologia euclidea di C2 . Il prodotto su SU (2) è
xα,β xα0 ,β 0 = xαα0 −β̄β 0 ,βα0 +ᾱβ 0 ,
per cui il prodotto è continuo. Lo stesso vale per l’inversione, in quanto
∗
x−1
α,β = xα,β = xᾱ,−β .
È utile analizzare le classi di coniugazione in SU (2),
Cx = {y −1 xy : y ∈ SU (2)} ,
essendo questi gli insiemi su cui le funzioni centrali sono costanti.
Lemma 5.1. Ogni elemento x ∈ SU (2) è coniugato con un elemento diagonale
iθ
e
0
tθ =
;
0 e−iθ
due elementi diagonali tθ e tθ0 sono coniugati tra loro se e solo se θ = ±θ0 mod (2π). Le classi di
coniugazione in SU (2) sono dunque in corrispondenza biunivoca con gli elementi θ ∈ [0, π], essendo
Cθ = {xα,β : <e α = cos θ}.
Dimostrazione. Dato x = xα,β ∈ SU (2), la sua equazione caratteristica è
λ2 − 2λ<e α + 1 = 0 .
Ponendo <e α = cos θ, con θ ∈ [0, π], gli autovalori sono e±iθ . Se θ = 0, necessariamente α = 1, β = 0, e
dunque x = I è già diagonale. Analogamente, se θ = π, x = −I.
Se 0 < θ < π, gli autovalori e±iθ sono distinti e per ognuno di essi c’è un autovettore v± ∈ C2 di norma
unitaria. Ma
hv+ , v− i = hxv+ , xv− i = e2iθ hv+ , v− i ,
per cui hv+ , v− i = 0. Se y ∈ U (2) è la matrice avente v+ e v− come colonne, allora x = y −1 tθ y. Sia ω ∈ T
tale che ω 2 = det y; allora ỹ = e−iω y ∈ SU (2) e x = ỹ −1 tθ ỹ. Dunque x è coniugato con tθ .
Poiché due elementi coniugati hanno gli stessi autovalori, due elementi diagonali distinti tθ e tθ0 possono
essere diagonali solo se θ = −θ0 . D’altra parte, se
0 1
w=
∈ SU (2) ,
−1 0
si verifica facilmente che t−θ = w−1 tθ w. L’ultima affermazione è ora evidente.
5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2)
59
Introducendo in S 3 coordinate reali (x1 , x2 , x3 , x4 ) con x1 +ix2 = α, x3 +ix4 = β, la classe di coniugazione
Cθ corrisponde al “parallelo” x1 = cos θ relativo al “polo” e = (1, 0, 0, 0).
Si noti anche che una traslazione destra
Rxγ,δ xα,β = xαγ−β̄δ,βγ+ᾱδ
è un’applicazione R-lineare di C 2 ∼ R4 in sé, ed è ortogonale, in quanto
(αγ − β̄δ, βγ + ᾱδ)2 = |αγ − β̄δ|2 + |βγ + ᾱδ|2 = |α|2 + |β|2 .
Quindi le traslazioni destre lasciano invariata la misura di Hausdorff 3-dimensionale su S 3 , e questa
risulta essere una misura di Haar su SU (2). Nel seguito indicheremo con dx la misura di Haar normalizzata
su SU (2).
Ci proponiamo ora di descrivere le rappresentazioni unitarie irriducibili. Vi è innanzitutto una naturale
rappresentazione τ di SU (2) in C2 , detta anche rappresentazione tautologica, data da
τ (x)v = xv .
Questa induce un’altrettanto naturale azione di SU (2) sullo spazio C[z1 , z2 ] (per ora dotato della sola
struttura algebrica) dei polinomi in due variabili,
σ(x)P (z) = P (x−1 z) .
Indichiamo con Hn il sottospazio di C[z1 , z2 ] costituito dai polinomi omogenei di grado n:
P (z1 , z2 ) =
n
X
ak z1n−k z2k .
k=0
Ogni Hn è σ-invariante, e indichiamo con πn la restrizione di σ a Hn . Avendo Hn dimensione finita,
uguale a n + 1, norme diverse su di esso sono equivalenti, e si vede facilmente che πn : SU (2) → L(Hn ) è
continua. Se introduciamo su Hn il prodotto scalare di L2 (S 3 ) rispetto alla misura di Hausdorff normalizzata
dz,
ˆ
hP, Qi =
P (z)Q(z) dz ,
S3
si ha d(xz) = dz per ogni x ∈ SU (2), e dunque
hπ(x)P, π(x)Qi = hP, Qi ,
per cui πn è unitaria.
Teorema 5.2. Le rappresentazioni πn sono irriducibili. Ogni rappresentazione irriducibile di SU (2) è
equivalente a una e una sola delle πn .
Dimostrazione. Sia V ⊆ Hn un sottospazio invariante non banale. Se
P (z) =
n
X
ak z1n−k z2k
k=0
è in V e non nullo, allora anche
Pθ (z) = P (t−1
θ z) =
n
X
e−i(n−2k)θ ak z1n−k z2k
k=0
è in V . Sia ak 6= 0. Allora appartiene pure a V il monomio
ˆ 2π
1
Pθ (z)ei(n−2k)θ dθ = z1n−k z2k .
2πak 0
Quindi V contiene almeno un monomio e, se contiene un polinomio, contiene anche tutti i monomi che
lo compongono.
60
4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI
Consideriamo ora gli elementi di SU (2) della forma
cos ϕ − sin ϕ
uϕ =
.
sin ϕ cos ϕ
Se V contiene un polinomio P , contiene anche
Pϕ (z) = P (u−1
ϕ z) = P (cos ϕz1 + sin ϕz2 , − sin ϕz1 + cos ϕz2 ) .
Ma allora anche il polinomio
lim
ϕ→0
d
1
Pϕ
(Pϕ − P ) =
ϕ
dϕ |ϕ=0
= z2
∂P
∂P
− z1
∂z1
∂z2
è in V .
Sia quindi z1n−k z2k un monomio in V . Allora
∂
∂ n−k k
(z1 z2 ) = (n − k)z1n−k−1 z2k+1 − kz1n−k+1 z2k−1
− z1
z2
∂z1
∂z2
è in V . Questo implica che anche i monomi “adiacenti” z1n−k−1 z2k+1 e z1n−k+1 z2k−1 sono in V (finché gli
esponenti sono non negativi). Iterando questo argomento si conclude che V contiene tutti i monomi di grado
n, e dunque V = Hn .
Quindi le rappresentazioni πn sono irriducibili. Chiaramente esse sono tra loro non equivalenti, avendo
dimensioni diverse.
Per dimostrare che, a meno di equivalenza, queste sono tutte le rappresentazioni irriducibili, ne calcoliamo
i caratteri e dimostriamo che essi generano un sottospazio denso in Cc (G). Per il Corollario 4.4 e la densità
di Cc (G) in L2c (G), si ha allora la conclusione.
Poiché i caratteri sono funzioni centrali, è sufficiente calcolarli sugli elementi diagonali tθ . Osserviamo
che
πn (tθ )(z1n−k z2k ) = (e−iθ z1 )n−k (eiθ z2 )k = e−i(n−2k)θ z1n−k z2k .
Rispetto alla base di Hn costituita dai monomi, πn (tθ ) è rappresentato dunque dalla matrice diagonale
 −inθ

e
0
···
0
 0
e−i(n−2)θ · · ·
0 


πn (tθ ) =  .
.
..  .
.
..
..
 ..
. 
0
0
···
einθ
Quindi
χn (tθ ) = tr πn (tθ )
=
n
X
e−i(n−2k)θ .
k=0
Diamo due espressioni diverse per questa somma. La prima consiste nel sommare i termini con esponenti
opposti, per cui
2 cos nθ + 2 cos(n − 2)θ + · · · + 1
se n è pari
(5.1)
χn (tθ ) =
2 cos nθ + 2 cos(n − 2)θ + · · · + 2 cos θ se n è dispari .
La seconda usa la formula per la somma di una progressione geometrica:
ei(2n+2)θ − 1
sin(n + 1)θ
=
.
e2iθ − 1
sin θ
Indichiamo ora con Cc (G) l’algebra
(rispetto al prodotto puntuale) delle funzioni continue centrali su G.
L’applicazione di Cc (G) in C [0, π] che associa a f la funzione f˜(θ) = f (tθ ) è chiaramente un isomorfismo.
(5.2)
χn (tθ ) = e−inθ
5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2)
61
Basta allora
far vedere che le funzioni χ̃n (θ) = χn (tθ ) generano un sottospazio uniformemente denso in
C [0, π] .
Per la (5.1), χn (tθ ) − χn−2 (tθ ) = 2 cos nθ, e χ0 (tθ ) = 1, per cui ci riduciamo a mostrare che le funzioni
cos nθ, al variare di n ∈ N, generano un sottospazio denso di C [0, π] .
Possiamo applicare il Teorema di Stone-Weierstrass: abbiamo un sottospazio che separa i punti, contiene
le costanti ed è invariante per coniugazione. Infine esso è un’algebra, come conseguenza della formula
2 cos nθ cos mθ = cos(n + m)θ + cos(n − m)θ.
CAPITOLO 5
Gruppi e algebre di Lie
1. Gruppi di Lie
Definizione. Un gruppo di Lie è una varietà differenziabile G dotata di una struttura di gruppo, tale che
l’applicazione
(x, y) 7−→ xy −1 ,
sia C ∞ da G × G a G.
Si ottiene facilmente dalla definizione che le seguenti applicazioni sono diffeomorfismi1 di G:
• le traslazioni sinistre `x (y) = xy;
• le traslazioni destre rx (y) = yx−1 ;
• l’inversione x 7−→ x−1 .
Proposizione 1.1. Sia X campo vettoriale su G. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) per ogni x ∈ G, (`x )∗ X = X, cioè
X(f ◦ `x ) = (Xf ) ◦ `x ,
∞
per ogni f ∈ C (G);
(ii) detta e l’identità di G,
Xx = de `x (Xe ) ,
per ogni x ∈ G.
Un campo vettoriale si dice invariante a sinistra se valgono le proprietà (i), (ii). I campi vettoriali
invarianti a destra si defiscono in modo analogo, con rx al posto di `x .
Dimostrazione. Per la (2.5), la condizione (i) equivale a
(1.1)
Xxy = (dy `x )Xy ,
per ogni x, y ∈ G. Con y = e, si ha (ii).
Se vale invece la (ii), presi x, y ∈ G, si ha
Xxy = (de `xy )Xe
= (de `xy )(de `y )−1 Xy
= (de `xy )(dy `y−1 )Xy
= dy (`xy `y−1 )Xy
= (dy `x )Xy ,
per la regola di derivazione in catena.
Corollario 1.2. Dato un vettore tangente a G nell’identità, v ∈ Te G, esiste un unico campo vettoriale
invariante a sinistra X tale che Xe = v.
I campi vettoriali invarianti a sinistra su G formano uno spaxio vettoriale di dimensione n = dim G.
Inoltre, se X, Y sono invarianti a sinistra, lo è anche [X, Y ].
1La presenza dell’inverso di x in r e non in ` consente di avere le identità r 0 = r r 0 , ` 0 = ` ` 0 .
x
x
x x
x x
xx
xx
63
64
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Dimostrazione. Dato v ∈ Te G, si definisca X ponendo
Xf (x) = v(f ◦ `x ) ,
∞
per f ∈ C (G). Essendo F (x, y) = f (xy) = f ◦ `x (y) una funzione C ∞ su G × G, segue dalla Proposizione
2.2 che Xf ∈ C ∞ (G). Inoltre
X(f g)(x) = f ◦ `x (e)v(g ◦ `x ) + g ◦ `x (e)v(f ◦ `x ) = f (x)Xg(x) + g(x)Xf (x) .
Considerando l’applicazione lineare λ che al campo vettoriale invariante a sinistra X associa Xe ∈ Te G,
quanto visto sopra mostra che λ è suriettiva. Se Xe = 0, si ha Xx = 0 per ogni x ∈ G in base alla Proposizione
1.1. Questo dimostra che λ è iniettiva.
L’ultima affermazione dell’enunciato è evidente.
Definizione. Sia G un gruppo di Lie. Si chiama gruppo a un parametro in G un omomorfismo C ∞
γ : R −→ G, dove si considera R come gruppo additivo.
Si noti che un gruppo a un parametro è una curva parametrica con sostegno in G, e non un suo
sottoinsieme.
Per una curva parametrica γ in una varietà M , il differenziale dt γ in t ∈ R si identifica in modo naturale
con il vettore tangente γ 0 (t) ∈ Tγ(t) M .
Teorema 1.3. Sia γ un gruppo a un parametro in G. Allora l’applicazione Φ : G × R −→ G data da
(1.2)
Φ(x, t) = xγ(t) = rγ(−t) x ,
è il flusso generato dal campo vettoriale invariante a sinistra X tale che Xe = γ 0 (0).
Viceversa, dato un campo vettoriale X su G invariante a sinistra, la curva integrale γe (t) del problema
di Cauchy (3.2) con x0 = e è un gruppo a un parametro in G (in particolare definita su tutto R) e il flusso
generato da X è dato dalla (1.2) con γ = γe .
Dimostrazione. Sia γ un gruppo a un parametro. Si verifica facilmente, per la regolarità di γ e la
relazione γ(t+t0 ) = γ(t)γ(t0 ), che la funzione Φ in (1.2) soddisfa le ipotesi della Proposizione 3.2 in Appendice
con A = G × R, ed è dunque il flusso generato dal campo vettoriale
d
f ◦ rγ(−t) .
(1.3)
Xf =
dt |t=0
Inoltre,
d
X(f ◦ `x )(y) =
f ◦ `x ◦ rγ(−t) (y)
dt |t=0
d
=
f xyγ(t)
dt |t=0
= Xf (xy)
= (Xf ) ◦ `x (y) ,
cioè X è invariante a sinistra.
Sia ora X un campo vettoriale invariante a sinistra, e sia γe (t) la curva integrale del problema di Cauchy
(3.2) con x0 = e, definita su un intervallo aperto I contenente l’origine, che prendiamo massimale. Dato un
generico x ∈ G la curva γx (t) = xγ(t) = `x γe (t), con t ∈ I, è la soluzione massimale del problema di Cauchy
(3.2) con x0 = x, in quanto
γx0 (t) = (dγe (t) `x )γe0 (t) = (dγe (t) `x )Xγe (t) = Xxγe (t) ,
per la (1.1). In particolare, per x = γe (t0 ), con t0 ∈ I, le due funzioni di t, γe (t0 )γe (t) e γe (t + t0 ) sono
entrambe soluzioni massimali del problema di Cauchy, e devono pertanto coincidere, con i rispettivi intervalli
di definizione. Questo implica che I = R e che γe è un gruppo a un parametro.
Corollario 1.4. I seguenti insiemi sono in corrispondenza biunivoca tra loro:
2. ALGEBRE DI LIE
65
• l’insieme dei gruppi a un parametro in G,
• lo spazio g dei campi vettoriali invarianti a sinistra su G,
• lo spazio tangente Te G nell’identità di G,
attraverso le mappe che al gruppo a un parametro γ associano rispettivamente il campo (1.3) e il vettore
γ 0 (0).
Conclusioni analoghe valgono per campi vettoriali invarianti a destra. Riassumiamo le conclusioni nel
seguente enunciato.
Proposizione 1.5. Sia γ un gruppo a un parametro in G. Allora il campo vettoriale
d
(1.4)
Yf =
f ◦ `γ(t) ,
dt |t=0
è invariante a destra e genera il flusso
(1.5)
Φ(x, t) = γ(t)x .
0
Inoltre, il vettore tangente Ye = γ (e) ∈ Te G determina univocamente γ e Y .
Si noti che un vettore tangente v ∈ Te G determina univocamente un gruppo a un parametro e due
campi vettoriali, uno invariante a sinistra e uno invariante a destra. Naturalmente questi due campi possono
coincidere, per esempio se γ(t) è nel centro di G per ogni t.
In generale, se indichiamo con Xv` e Xvr i due campi vettoriali, risp. sinistro e destro, individuati da uno
stesso v ∈ Te G, si ha la seguente relazione, dove fˇ(x) = f (x−1 ):
(1.6)
(X r f )ˇ= −X ` fˇ .
v
v
2. Algebre di Lie
Con riferimento all’enunciato del Corollario 1.4, osserviamo che lo spazio tangente Te G ha una struttura
di spazio vettoriale, cosı̀ come lo spazio g dei campi vettoriali invarianti a sinistra, ma quest’ultimo ha una
più ricca struttura algebrica, in quanto il commutatore
[X, Y ] = XY − Y X ,
di due campi vettoriali invarianti a sinistra è ancora invariante a sinistra. In altri termini, g ha una struttura
di algebra di Lie, detta l’algebra di Lie del gruppo G, e a volte indicata anche come Lie(G).
La definizione astratta di algebra di Lie è la seguente.
Definizione. Si chiama algebra di Lie su un campo F di caratteristica 0 uno spazio vettoriale g su F dotato
di un’operazione [ , ] : g × g −→ g, detta parentesi di Lie, che
• sia bilineare e antisimmetrica,
• soddisfi l’identità di Jacobi
x, [y, z] + y, [z, x] + z, [x, y] = 0
per ogni x, y, z ∈ g.
Ogni algebra associativa su un campo F ha una struttura di algebra di Lie su F rispetto al commutatore
[x, y] = xy − yx. Lo spazio dei campi vettoriali su una varietà differenziabile ha una struttura di algebra di
Lie su R, cosı̀ come lo spazio dei campi vettoriali invarianti a sinistra (o a destra) su un gruppo di Lie.
Naturalmente la complessificazione gC di un’algebra di Lie reale (cioè su R) ammette un’unica struttura
di algebra di Lie complessa che estende quella data su g.
Se [ , ] è una parentesi di Lie, anche −[ , ] è una parentesi di Lie sullo stesso spazio vettoriale e
l’applicazione x 7−→ −x è un isomorfismo tra le due strutture di algebra di Lie.
66
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Si osservi che, nelle notazioni della (1.6), le corrispondenze biunivoche v 7−→ Xv` e v 7−→ Xvr consentono
di dotare Te G di due strutture di algebra di Lie reale, le cui parentesi di Lie, per la (1.6), sono opposte.
Introduciamo alcuni termini e notazioni di uso comune per un’algebra di Lie g.
•
•
•
•
•
•
•
•
Si dice che due elementi x, y ∈ g commutano se [x, y] = 0.
g si dice abeliana se la sua parentesi di Lie è identicamente nulla.
Se V, V 0 sono sottospazi vettoriali di g, si pone [V, V 0 ] = span [x, y] : x ∈ V , y ∈ V 0 .
Un sottospazio vettoriale h di g si dice una sottoalgebra se [h, h] ⊆ h.
Un sottospazio vettoriale h di g si dice un ideale se [g, h] ⊆ h.
Il centro di g è l’insieme z = {x : [x, y] = 0 ∀ y ∈ g}.
Per x ∈ g, l’applicazione ad(x) : g −→ g è data da ad(x)y = [x, y].
Se V è uno spazio vettoriale su F di dimensione finita, l’algebra End(V ) degli endomorfismi lineari
di V , dotato della parentesi di Lie data dal commutatore, si indica con gl(V ).
Siano g, h algebre di Lie sullo stesso campo e sia T : g −→ h un’applicazione lineare.
• T si dice un omomorfismo di algebre di Lie se T [x, y]g = [T x, T y]h per ogni x, y ∈ g (e i termini
isomorfismo, automorfismo, ecc. vengono di conseguenza).
• se h = g, T si dice una derivazione di g se T [x, y] = [T x, y] + [x, T y] per ogni x, y ∈ g.
La verifica delle seguenti proprietà è lasciata per esercizio.
Proposizione 2.1.
(i) Il centro di un’algebra di Lie è un ideale.
(ii) Se h è un’ideale di g, lo spazio vettoriale quoziente g/h eredita una struttura di algebra di Lie
ponendo
[x + h, y + h] = [x, y]g + h .
(iii) Per ogni x ∈ g, ad(x) è una derivazione di g (detta derivazione interna).
(iv) L’applicazione ad : g −→ gl(g) che manda x in ad(x) è un omomorfismo di algebre di Lie con
nucleo z.
L’algebra di Lie delle matrici quadrate n × n a coefficienti in F si indica con gln (F ), oppure con gl(n, F ).
Il centro di gln (F ) è costituito ai multipli scalari dell’identità.
Assumeremo per noto il seguente teorema, di cui tralasciamo la dimostrazione.
Teorema 2.2 (Teorema di Ado). Sia F un campo di caratteristica 0 e sia g un’algebra di Lie su F di
dimensione finita. Esiste allora un intero n tale che g sia isomorfa a una sottoalgebra di Lie di gln (F ).
Si noti che, se g ha centro banale, l’applicazione ad fornisce un esempio concreto di isomorfismo di g su
una sottoalgebra di gl(g).
3. La mappa esponenziale
Sia G un gruppo di Lie. Converremo di identificare la sua algebra di Lie g = Lie(G) con lo spazio
tangente nell’identità Te G. Questo vuol dire che poniamo [v, v 0 ] = w, con v, v 0 , w ∈ Te G se i campi vettoriali
invarianti a sinistra X, X 0 , Y tali che Xe = v, Xe0 = v 0 , Ye = w soddisfano la relazione [X, X 0 ] = Y .
Dato v ∈ Te G, indichiamo con γv il gruppo a un parametro con γ 0 (0) = v e con X il campo vettoriale
invariante a sinistra per cui Xe = v. Definiamo quindi la mappa exp : g −→ G ponendo
exp(v) = γv (1) .
Si ha quindi
γv (t) = exp(tv) ,
per ogni t ∈ R, e, data f ∈ C ∞ (G),
exp(tX)f (x) = f x exp(tv) .
4. IL GRUPPO LINEARE
67
Si noti però che abitualmente si evita la doppia notazione X, v per lo stesso elemento dell’algebra di
Lie, preferendo il simbolo X. Questo dà origine a formule come
d
Xf (x) =
f x exp(tX) ,
dt |t=0
(e all’ambiguità tra exp(tX) inteso come elemento di G oppure come operatore).
Proposizione 3.1. La mappa esponenziale è C ∞ . Inoltre esistono un intorno V di 0 ∈ g e un intorno U
di e ∈ G tali che exp sia un diffeomorfismo di V su U .
Dimostrazione. La prima affermazione segue dal punto (iv) del Teorema 3.1. Per la seconda, basta
osservare che d0 exp : g −→ Te G ∼
= g è l’applicazione identica.
4. Il gruppo lineare
Per gli sviluppi successivi, sarà importante aver presente il seguente esempio.
Il gruppo delle matrici n × n invertibili a coefficienti reali2 si indica con GLn (R) e si chiama il gruppo
lineare di ordine n su R. Siccome la condizione det x 6= 0 definisce un aperto dello spazio End(Rn ) di tutte
le matrici n × n, GLn (R) ha una naturale struttura di varietà analitica di dimensione n2 .
Il prodotto matriciale (x, y) 7−→ xy è certamente C ∞ da GLn (R) × GLn (R) in GLn (R), essendo espresso
da polinomi nelle varie coordinate. Quindi GLn (R) è un gruppo di Lie.
Lo spazio tangente Te GLn (R) (con e = I, la matrice identica) si identifica in modo naturale con End(Rn ).
Data una qualunque matrice A ∈ End(Rn ), la curva
γA (t) = etA =
∞ k
X
t
k=0
k!
Ak ,
definisce il gruppo a un parametro in GLn (R) con vettore tangente nell’origine uguale ad A. Quindi tutti i
gruppi a un parametro hanno questa forma e
(4.1)
Lie GLn (R)) = End(Rn ) ,
almeno come spazio vettoriale.
Coniugando il gruppo a un parametro γA (t) per un elemento x ∈ GLn (R), si ottiene
(4.2)
tA −1
xe x
=
∞ k
X
t
k=0
k!
xAk x−1 = exAx
−1
.
Quindi
Ponendo x = etB
Ad(x)A = xAx−1 .
e derivando in t = 0, risulta
ad(B)A = BA − AB = [B, A] .
Quindi il bracket in Lie GLn (R) coincide con il commutatore in End(Rn ) e l’identificazione (4.1) è
anche come algebre di Lie. Si usa il simbolo gln (R) per indicare tale algebra di Lie.
I campi vettoriali invarianti a sinistra su GLn (R) assumono forma esplicita, sulla base del Corollario 1.4,
nel modo seguente. Data A ∈ gln (R),
XA f (x) =
2Lo stesso vale senza modifiche con C al posto di R.
d
f (xetA ) .
dt |t=0
68
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Essendo etA = I + tA + O(t2 ), si ha anche, per f ∈ C ∞ (GLn (R)),
f (xetA ) = f x(I + tA) + O(t2 ) ,
per t → 0, e dunque
d
f (x + txA) .
dt |t=0
Esplicitando le coordinate (xij ) della matrice x e chiamando ∂ij la corrispondente derivata parziale, si
ha quindi
n
X
(4.3)
XA f (x) =
(xA)ij ∂ij f (x) .
XA f (x) =
i,j=1
Si può verificare che, calcolando esplicitamente il commutatore [XA , XB ] di due campi di questa forma,
si ritrova la struttura di algebra di Lie di GLn (R).
5. Omomorfismi, automorfismi e sottoalgebre di Lie
Sia ψ un omomorfismo differenziabile di un gruppo di Lie G in un gruppo di Lie G0 . Allora ψ(e) = e0 e
de ψ : Te G −→ Te0 G0 (abitualmente indicato come dψ) è lineare.
Proposizione 5.1. Attraverso l’identificazione tra spazi tangenti in e e algebre di Lie, dψ è un omomorfismo
di algebre di Lie da g a g0 , cioè, oltre ad essere lineare, vale l’identità3
dψ [X, Y ]g = dψ(X), dψ(Y ) g0 .
Dimostrazione. Siano v = Xe , w = Ye in Te G.
Per il Teorema 1.2, i relativi flussi in G sono
ΦX (x, t) = x exp(tv) ,
ΦY (x, t) = x exp(tw) .
L’omomorfismo ψ applica il gruppo a un parametro γv (t) in un gruppo a un parametro in G0 , diciamo
γ (t). Chiaramente v 0 = dψ(v), cioè
(5.1)
ψ exp(tv) = exp t dψ(v) .
v0
Quindi,
Φdψ(X) (x, t) = x exp t dψ(v) ,
Φdψ(Y ) (x0 , t) = x0 exp t dψ(w) .
Per le (3.6) e (3.7) in Appendice,
dψ(X), dψ(Y ) g0 f (e0 ) = ∂s|s=0 ∂t|t=0 exp s dψ(X) exp t dψ(Y ) exp − s dψ(X) f (e0 )
= ∂s|s=0 ∂t|t=0 f exp s dψ(v) exp t dψ(w) exp − s dψ(v)
= ∂s|s=0 ∂t|t=0 f ψ exp(sv) ψ exp(tw) ψ exp(−sv)
= ∂s|s=0 ∂t|t=0 f ◦ ψ exp(sX) exp(tY ) exp(−sX)
= [X, Y ]g (f ◦ ψ)(e) .
Definizione. Per x ∈ G, si indica con Ad(x) : g −→ g il differenziale dell’automorfismo interno ψx (y) =
xyx−1 .
Si ha allora
(5.2)
x exp(v)x−1 = exp Ad(x)v ,
per x ∈ G e v ∈ g.
Proposizione 5.2. Sia G un gruppo di Lie.
3Questa è l’identità (2.6) in Appendice, ma qui non si richiede che ψ sia un diffeomorfismo.
7. GRUPPI CON UNA DATA ALGEBRA DI LIE
69
(i) L’applicazione Ad : G −→ GL(g) è un omomorfismo C ∞ .
(ii) Il differenziale ad = d Ad : g −→ gl(g) è l’omomorfismo di algebre di Lie
ad(X) : Y 7−→ [X, Y ] ,
introdotto nella Proposizione 2.1.
Dimostrazione. Indichiamo con ψx l’automorfismo interno y 7−→ xyx−1 . Essendo ψxx0 = ψx ◦ ψx0 per
ogni x, x0 ∈ G, lo stesso vale per i differenziali in e. La funzione u(x, y) = xyx−1 da G × G in G è C ∞ , quindi
lo è anche de u(x, ·) come funzione di x. Il punto (ii) segue dalla (3.7) in Appendice.
6. Strutture analitiche su gruppi di Lie
Teorema 6.1. Su ogni gruppo di Lie esiste una e una sola struttura analitica tale che
(i) sia compatibile con la struttura di gruppo, cioè l’applicazione (x, y) 7−→ xy −1 sia analitica;
(ii) l’applicazione esponenziale è analitica su un intorno di 0 ∈ g.
Dimostrazione. Sia V ⊂ g come nella Proposizione 3.1, e sia V 0 ⊂ V un intorno simmetrico di 0 tale
che la serie di Baker-Campbell-Hausdorff (4.1) converga totalmente su V 0 × V 0 e i corrispondenti valori di u
siano in V (cf. Esempio 1 del paragrafo 4).
02
00
Posto U = exp V e U 0 = exp V0 , si ha allora
un intorno simmetrico4 di e tale che
U ⊂ U . Sia U −1
00 2
0
00
U ⊂ U . Definiamo l’atlante A = (xU , ξx ) x∈G , dove ξx (y) = exp (x−1 y).
Supponiamo che xU 00 ∩ yU 00 6= ∅. Allora y −1 x ∈ U 0 e dunque y −1 x = exp(v0 ) con v0 ∈ V 0 . Sia
z ∈ xU 00 ∩ yU 00 , da cui z = x exp(v) = y exp(v 0 ) con v, v 0 ∈ V 00 . Segue dalla definizione che
v 0 = ξy ◦ ξx−1 (v) = exp−1 exp(v0 ) exp(v) = u(v0 , v) .
Essendo v0 , v ∈ V 0 , u(v0 , v) dipende analiticamente da v, essendo la somma di una serie di potenze
convergente totalmente. Quindi A definisce una struttura analitica su G. L’applicazione esponenziale è
analitica su V 00 in quanto inversa della carta locale ξe .
Per verificare la compatibilità col prodotto, osserviamo che, dati x exp(v) ∈ xU 00 , y exp(v 0 ) ∈ yU 00 , si ha,
per la (5.2),
−1
x exp(v) y exp(v 0 )
= x exp u(v, −v 0 ) y −1 = xy −1 exp Ad(y)u(v, −v 0 ) .
Questo mostra l’analiticità dell’operazione di gruppo.
Infine, in ogni struttura analitica che soddisfi (i) e (ii) le funzioni ξx devono essere analitiche, e questo
implica l’unicità.
7. Gruppi con una data algebra di Lie
Teorema 7.1. Sia g un’algebra di Lie reale di dimensione finita. Esiste un gruppo di Lie G connesso tale
che Lie(G) sia isomorfa a g.
Dimostrazione. Per il Teorema di Ado (Teorema 2.2) possiamo supporre che g sia una sottoalgebra
di Lie di gln (R) per qualche n.
Siano V0 = V ∩ g, V00 = V 0 ∩ g, W0 = W ∩ g. Osserviamo che se A, B ∈ g e u(A, B) è definito, allora
u(A, B) ∈ g. In particolare exp(W0 ) exp(W0 ) ⊂ exp(V00 ) ed exp(V00 ) exp(V00 ) ⊂ exp(V0 ).
Per ogni x ∈ GLn (R), sia Sx = x exp(W0 ). Allora Sx è una varietà di dimensione m = dim g.
Sia G il sottogruppo di GLn (R) generato da Se , e si consideri l’unione disgiunta
G
M=
Sx ,
x∈G
4Cioè U 00 = U 00 −1 .
70
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
con la topologia τ tale che, per ogni x ∈ G, Sx sia chiuso e aperto e RSx sia la topologia indotta da End(Rn ).
La struttura di varietà differenziabile so ogni Sx induce una struttura differenziabile su M in modo naturale.
Sia Π : M −→ G l’applicazione di incollamento che identifica gli elementi di M , distinti in M in quanto
appartenenti a distinti Sx , ma che coincidono come elementi di G.
Chiaramente, Π è C ∞ . Mostriamo
che essa è aperta. Per far ciò, dobbiamo mostrare che, se E è aperto
in M , anche Ẽ = Π−1 Π(E) è aperto in M . Basta supporre E ⊆ Sx per qualche x ∈ G. Allora
G
Ẽ =
(E ∩ Sy ) .
y∈G
Traslando a sinistra, se necessario, per x, possiamo anche supporre che x = e. Osserviamo che, se
z ∈ E ∩ Sy , esistono A, B ∈ W0 tali che z = eA = yeB , per cui y = eu(A,−B) ∈ exp(V00 ). Inoltre, E e Sy sono
varietà di dimensione m contenute in exp(V0 ), che pure è una varietà di dimensione m. Ne consegue che E
e Sy sono aperti in exp(V0 ). Dunque E ∩ Sy è aperto in Sy e si conclude che Ẽ è aperto in M .
Lo spazio topologico quoziente M/Π si identifica con G come insieme, ma eredita da M una struttura
differenziabile. Infatti gli insiemi Ux = Π(Sx ) costituiscono un ricoprimento aperto di M/Π. Poniamo allora
f ∈ E(Ux ) se la funzione A 7−→ f Π(xeA ) è C ∞ su W0 .
Le proprietà (i), (ii) della Definizione 1 sono ovviamente verificate. Per verificare la (iii) basta
mostrare
che, se f è definita su Ux ∩ Uy 6= ∅, allora A 7−→ f Π(xeA ) è C ∞ se e solo se B 7−→ f Π(yeB ) è C ∞ (su
opportuni aperti di W0 ).
Conviene osservare subito che, per definizione, f ∈ E(Ux ) implica che f ◦ `y ∈ E(Uy−1 x ) per ogni
y ∈ G. Quindi basta
dimostrare che, se A 7−→ f Π(eA ) è C ∞ su un aperto di W0 e Uy ∩ Ue 6= ∅, allora
B
∞
B 7−→ f Π(ye ) è C (su un opportuno aperto di W0 ).
Per quanto visto sopra, esiste C ∈ V00 tale che y = eC , per cui yeB = eu(C,B) . Ma allora, per C fissato,
u(C, B) è funzione analitica di B.
Infine, le funzioni ξx : Ux 3 Π(xeA ) 7−→ A sono carte locali che soddisfano la (iv).
Si vede facilmente che l’immersione di M/Π in GLn (R) è differenziabile.
Rimane da dimostrare che l’applicazione (x, y) 7−→ xy −1 è C ∞ su (M/Π)2 ∼
= G2 e che Lie(G) ∼
= g.
Basta restringersi al prodotto cartesiano di due aperti coordinati, Π(Sx0 ) e Π(Sy0 ), cioè supporre x = x0 eA ,
y = y0 eB con A, B ∈ W0 . Allora
−1
xy −1 = x0 eu(A,−B) y0−1 = x0 y0−1 eAd(y0 ) u(A,−B) ,
per la (4.2). Questo mostra che, nelle coordinate locali ξx , il prodotto è analitico.
Sia ora γ(t) un gruppo a un parametro in M/Π. Siccome l’immersione ι di M/Π in GLn (R) è analitica e
un isomorfismo algebrico con la sua immagine G, l’immagine ι ◦ γ(t) è un gruppo a un parametro di GLn (R),
dunque ι ◦ γ(t) = etA con A ∈ gln (R). Ma esiste δ > 0 tale che ι ◦ γ(t) ∈ Se per |t| < δ, per cui ι ◦ γ(t) = γ(t),
e dunque tA ∈ W0 . Quindi A ∈ g.
Viceversa, data A ∈ g, i suoi esponenziali etA sono elementi di G ed è dunque definita γ(t) = ι−1 (etA ) ∈
M/Π. Se δ > 0 è tale che tA ∈ W0 per |t| < δ, si ha γ(t0 + h) = γ(t0 )γ(h) ∈ Sγt0 per |h| < δ, e quindi γ è
C ∞.
Si ha cosı̀ l’identificazione Lie(G) ∼
= g.
Dimostriamo alcuni lemmi che aiutano a comprendere il succesivo Teorema 7.4, di cui salteremo però la
dimostrazione, rinviando a C. Chevalley, Theory of Lie Groups, Vol. 1.
Lemma 7.2.
(i) Sia G un gruppo di Lie. La componente connessa dell’identità Ge è un sottogruppo normale di G
avente la stessa algebra di Lie.
(ii) Sia U un intorno connesso di e. Allora il sottogruppo di G generato da U è Ge .
Dimostrazione. Attraverso l’applicazione (x, y) 7−→ xy −1 , Ge × Ge viene mandato in un connesso
contenente e. Quindi Ge è un sottogruppo.
8. SOTTOGRUPPI E SOTTOALGEBRE DI LIE
71
Dato x ∈ G, l’automorfismo interno ψx (y) = xyx−1 è un diffeomorfismo di G che fissa e. Quindi
ψx (Ge ) = Ge .
Infine, si osservi che i gruppi a un parametro di G hanno sostegno in Ge . Quindi la restrizione a Ge è
un isomorfismo tra campi vettoriali invarianti a sinistra su G e campi vettoriali invarianti a sinistra su Ge .
al punto (ii), possiamo supporre che U è aperto e che U = U −1 . Basta allora dimostrare che
S Passando
n
2
n≥1 U = Ge . Essendo U connesso, anche U , l’immagine di U × U nell’applicazione prodotto, è connesso.
Per induzione, Un è connesso per ogni n, e S
tale è anche l’unione, perché U n ⊂ U n+1 . Inoltre U n è aperto
per ogni n e tale è l’unione. Mostriamo che n≥1 U n è anche chiusa. Se x è nella chiusura, esiste n per cui
xU ∩ U n 6= ∅. Ma allora x ∈ U n+1 .
Due gruppi di Lie G, G0 si dicono localmente isomorfi se esiste un diffeomorfismo η tra due intorni U, U 0
delle rispettive identità tale che η(xy −1 ) = η(x)η(y)−1 per ogni coppia di elementi x, y ∈ U tali che xy −1 ∈ U .
Si noti che η è automaticamente analitico.
Lemma 7.3.
(i) Due gruppi di Lie sono localmente isomorfi se e solo se hanno algebre di Lie isomorfe.
(iii) Sia Z un sottogruppo normale e discreto Z di un gruppo di Lie connesso G. Allora Z è contenuto
nel centro di G e il gruppo quoziente G/Z ha una struttura di gruppo di Lie localmente isomorfo
a G.
Dimostrazione. Sia η : U ⊂ G −→ U 0 ⊂ G0 un diffeomorfismo locale di gruppi di Lie. Allora η
applica archi di gruppi a un parametro in G in archi di gruppi a un parametro in G0 . Questo stabilisce
una corrispondenza biunivoca tra campi vettoriali invariani a sinistra sui due gruppi, che è coerente con
l’isomorfismo lineare de η : g −→ g0 . Questo mostra che de η è un isomorfismo di algebre di Lie.
Viceversa, sia λ : g −→ g0 un isomorfismo tra le algebre di Lie di G e G0 . Sia V un intorno dell’origine
in g tale che expG : V −→ expG (V ) = U e expG0 : λ(V ) −→ expG0 λ(V ) = U 0 siano diffeomorfismi. Allora
expG0 ◦ exp−1
G è un isomorfismo locale.
Per il punto (ii), dato z ∈ Z, l’applicazione x 7−→ xzx−1 è continua da G a Z. Essendo G connesso, essa
è costantemente uguale a z, valore assunto per x = e.
Sia ora U un intorno di e che non contenga altri elementi di Z, e sia V = exp W un altro intorno tale
che V = V −1 e V 2 ⊂ U . Allora V interseca ogni classe laterale di Z in al massimo un punto. Sia π è la
mappa quoziente. Al variare di x ∈ G, le funzioni ξx : π(xV ) −→ W , ξx = (π ◦ `x ◦ exp)−1 , costituiscono un
atlante di una struttura di varietà differenziabile. Rispetto ad essa, G e G/Z sono localmente isomorfi. Teorema 7.4. Sia G un gruppo di Lie connesso, Il suo rivestimento universale G̃ ha pure una struttura di
gruppo di Lie, localmente isomorfo a G. In particolare, G e G̃ hanno la stessa algebra di Lie g.
Ogni gruppo connesso G0 con Lie(G0 ) ∼
= g è isomorfo a G̃/Z, dove Z è un sottogruppo discreto del centro
di G̃. In particolare, G̃ è, a meno di isomorfismi, l’unico gruppo connesso e semplicemente connesso, con
algebra di Lie isomorfa a g.
Per completezza, enunciamo senza dimostrazione un risultato più generale, di cui il Lemma 7.3 (i) e il
Teorema 7.4 sono conseguenze.
Teorema 7.5. Siano g, g0 algebre di Lie e ψ : g −→ g0 un omomorfismo di algebre di Lie. Se G è il gruppo
connesso e semplicemente connesso con Lie(G) = g e G0 è un gruppo connesso con Lie(G0 ) = g0 , allora esiste
un unico omomorfismo C ∞ ϕ : G −→ G0 tale che dϕ = ψ.
8. Sottogruppi e sottoalgebre di Lie
Definizione. Un sottogruppo di Lie di un gruppo di Lie G è una coppia (H, ϕ), dove H è un gruppo di Lie
e ϕ : H −→ G è un omomorfismo analitico iniettivo.
72
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
La definizione è data in questo modo per tener conto di sottogruppi che sono sottovarietà di G ma non
sono chiusi. L’esempio significativo è quello in cui G = T2 , dove T è il toro R/(2πZ) ∼
= S 1 . Per ogni α ∈ R,
it iαt
Hα = (e , e ) : t ∈ R
è un sottogruppo algebrico di T2 , topologicamente denso se α 6∈ Q. Tuttavia ogni Hα ha una struttura
differenziabile e diventa un sottogruppo di Lie se rappresentato dalla coppia (R, ϕα ), con ϕα (t) = (eit , eiαt ).
Si noti che questa definizione è coerente con la definizione di gruppo a un parametro.
Se i sottogruppi di Lie non sono necessariamente chiusi, si ha invece il seguente enunciato. Per la
dimostrazione, si veda S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces, Ch. II, Th.
2.3.
Teorema 8.1. Sia H un sottogruppo algebrico di G, chiuso nella topologia di G. Allora H è una sottovarietà
di G e, detta ι l’immersione, (H, ι) è un sottogruppo di Lie.
Se (H, ϕ) è un sottogruppo di Lie di G, allora dϕ : h −→ g è un isomorfismo di h con una sottoalgebra di
Lie di g. Quindi, se V ⊂ h è un intorno sufficientemente piccolo di 0, U = ϕ(V ) è una sottovarietà localmente
chiusa di G e Te U = dϕ(h) è una sottoalgebra di Lie di g isomorfa a h.
Un semplice adattamento della dimostrazione del Teorema 7.1 porta alla seguente conclusione.
Teorema 8.2. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Data una sottoalgebra di Lie h di g, esiste uno
e un solo (a meno di isomorfismi) sottogruppo di Lie connesso (H, ϕ) tale che dϕ Lie(H) = h.
Questo teorema stabilisce dunque una corrispondenza biunivoca tra sottogruppi di Lie di G e sottoalgebre
di Lie di g.
Teorema 8.3. Siano (H, ϕ) un sottogruppo di Lie connesso di G, pure connesso, e h la corrispondente
sottoalgebra di Lie di g. Allora ϕ(H) è normale in G se e solo se h è un ideale di g.
Dimostrazione. Dato x ∈ G si consideri l’automorfismo interno ψx (y) = xyx−1 . Se ϕ(H) è normale
in G, ogni ψx è un isomorfismo analitico di ϕ(H) come sottovarietà di G. Allora de ψx = Ad(x) applica h in
sé. Ponendo x = exp(tv) con v ∈ g e derivando in t = 0, si ottiene
che ad(v)h ⊂ h, cioè che h è un ideale.
Viceversa, se ad(v)h ⊂ h per ogni v ∈ g, anche Ad exp(tv) = exp t ad(v) applica h in sé. Essendo G
connesso, exp(g) genera G, e dunque h è Ad(x)-invariante
per ogni x ∈ G.
Dato w ∈ h, ψx exp(tw) = exp t Ad(x)w è il gruppo a un parametro generato da Ad(x)w, dunque è
contenuto in ϕ(H). Siccome exp(h) genera ϕ(H), si conclude che ogni ψx applica ϕ(H) in sé, cioè ϕ(H) è
normale in G.
9. Esempi significativi
Elenchiamo alcuni importanti sottogruppi di GLn (R).
1. Attraverso l’identificazione naturale di Cn con R2n , il gruppo GLn (C) può essere identificato con un
sototgruppo di GL2n (R), sostituendo la matrice complessa A + iB con la matrice reale
A −B
(9.1)
.
B A
Questa realizzazione di GLn (C) dà un sottogruppo chiuso in GL2n (R), e pertanto è un suo sottogruppo
di Lie, per il Teorema 8.1.
L’algebra di Lie gln (C) si identifica, attraverso il normale esponenziale di matrici complesse, con Cn×n ,
oppure con la sottoalgebra di Lie di gl2n (R) delle matrici della forma (9.1).
2. I sottogruppi SLn (R), SLn (C) del corrispondente GLn consistono delle matrici con determinante uno.
Lemma 9.1. Sia A una matrice complessa n × n. Allora det eA = etr A .
9. ESEMPI SIGNIFICATIVI
73
Dimostrazione. Supponiamo che A sia in forma canonica di Jordan, di modo che

 λ1

 k
e
λ1




..
..




. *
. *
A
k




e =
A =

 ,
.
.
.
.




0 .
0 .
λn
k
e .
λn
La conclusione è dunque evidente. Per il caso generale, ogni matrice A è uguale a P A0 P −1 , con A0 in
0
forma canonica di Jordan. Basta dunque osservare che eA = P eA P −1 e che tr A = tr A0 .
Segue facilmente che l’algebra di Lie sln (C) di SLn (C) consiste delle matrici complesse a traccia nulla,
e analogamente per sln (R).
3. Il gruppo ortogonale On ⊂ GLn (R) consiste delle matrici U tali che tU U = I. Un gruppo a un parametro
t
etA in GLn è contenuto in On se e solo se et A etA = I per ogni t. Derivando in t = 0, questa condizione
implica che
t
A+A=0 ,
cioè che A à antisimmetrica. Viceversa, se A è antisimmetrica,
t
t
d t tA tA
e e = et A tAetA + et A AetA = 0 ,
dt
t
per cui et A etA = I per ogni t.
Gli elementi di On hanno determinante uguale a ±1, in particolare On non è connesso, e la componente
connessa dell’identità è il gruppo SOn delle matrici ortogonali con determinante 1. In conclusione,
on = son = {A ∈ Rn×n : tA = −A} .
4. In modo analogo si tratta gruppo unitario Un ⊂ GLn (C), che consiste delle matrici U tali che U ∗ U = I.
Si ha allora
un = {A ∈ Cn×n : A∗ = −A} ,
cioè l’algebra delle matrici antihermitiane.
Le matrici unitarie con determinante 1 formano un sottogruppo, SUn . Siccome il determinante di una
matrice unitaria può essere qualunque numero complesso di modulo 1, SUn ha codimensione 1 in Un , e lo
stesso vale per la sua algebra di Lie sun in un . Esplicitamente,
sun = {A ∈ Cn×n : A∗ = −A , tr A = 0} ,
(si noti che una matrice antisimmetrica ha termini diagonali nulli per cui automaticamente ha traccia nulla,
mentre una matrice antihermitiana ha termini diagonali puramente immaginari).
5. Le matrici triangolari superiori



A=



λ1
..
.
*
0
..


 ,


.
λn
a coefficienti reali5 e invertibili (cioè con λ1 λ2 · · · λn 6= 0) formano un gruppo di Lie, che indichiamo con
Tn (R). La sua algebra di Lie tn (R) consiste di tutte le matrici triangolari superiori.
Il sottogruppo
Tn+ (R) = {A ∈ Tn (R) : λ1 = · · · λn = 1}
ha algebra di Lie
t+
n (R) = {A ∈ tn (R) : λ1 = · · · = λn = 0} ,
5Si ha anche il caso complesso, che tralasciamo.
74
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
(matrici strettamente triangolari superiori).
10. Algebra universale inviluppante
Sia g un’algebra di Lie di dimensione finita su R. Indichiamo con T (g) l’algebra tensoriale (associativa)
X⊕
X⊕
(10.1)
T (g) = R ⊕ g ⊕
g⊗k =
T k (g) ,
k≥2
k∈N
dove g⊗k è il prodotto tensoriale di k copie di g. Se e1 , . . . , en è una base di g, gli elementi di T k (g) sono le
combinazioni lineari finite dei tensori elementari
ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ eik ,
k∈N,
(i1 , . . . , ik ) ∈ {1, . . . , n}k .
Quindi T (g) è l’algebra su R liberamente generata da e1 , . . . , en , v. Sezione 4.
L’algebra simmetrica S(g) è il quoziente di T (g) modulo l’ideale Isimm generato dagli elementi
x⊗y−y⊗x ,
x, y ∈ g .
Essa si identifica con l’algebra R[e1 , . . . , en ] dei polinomi in n indeterminate, o anche con l’algebra P(g)
dei polinomi su g.
Introduciamo ora l’algebra universale inviluppante U(g), data dal quoziente di T (g) modulo l’ideale Iui
generato dagli elementi
x ⊗ y − y ⊗ x − [x, y] ,
x, y ∈ g .
Si noti che U(g) è un’algebra associativa.
Vedremo nel paragrafo successivo che, se g = Lie(G), allora U(g) è isomorfa all’algebra degli operatori differenziali invarianti a sinistra su G. In questo paragrafo svolgiamo invece considerazioni puramente
algebriche.
La scomposizione (10.1) fornisce una gradazione di T (g), nel senso che
T k ⊗ T h ⊂ T k+h .
Questa gradazione si proietta a una gradazione su S(g) attraverso la proiezione canonica πsimm . Posto
S k (g) = πsimm T k ,
valgono infatti le due proprietà
P⊕
k
• S(g) =
k∈N S (g),
• S k (g)S h (g) ⊂ S k+h (g).
La situazione è diversa con U(g) se g non è abeliana. Se [x, y] = z 6= 0, si ha
πui (x ⊗ y − y ⊗ x) = πui (z) ,
per cui le proiezioni dei vari g⊗k non sono a due a due disgiunte. Tuttavia, considerando su T (g) la filtrazione
{0} ⊂ T 0 ⊂ (T 0 ⊕ T 1 ) ⊂ (T 0 ⊕ T 1 ⊕ T 2 ) ⊂ · · · ⊂ (T 0 ⊕ · · · ⊕ T k ) ⊂ · · · ,
e ponendo
Uk (g) = πui (T 0 ⊕ · · · ⊕ T k ) ,
si ottiene una filtrazione su U(g) con
Uk (g)Uh (g) ⊂ Uk+h (g) .
Quindi in U(g) non ha senso parlare di elementi “omogenei di grado k”, ma si può parlare di “elementi
di grado ≤ k”. E’ tuttavia possibile
separare i termini di grado 0, cioè la componente in U0 ∼
= R.
P⊕
Infatti, siccome T̃ (g) = k≥1 T k è un ideale di T (g) e Iui ⊂ T̃ (g),
Ũ(g) = πui T̃ (g)
10. ALGEBRA UNIVERSALE INVILUPPANTE
75
è un ideale di U(g) e
U(g) = U0 ⊕ Ũ(g) .
La notazione Ũk (g) è posta in modo analogo e dà luogo alla scomposizione
Uk (g) = U0 ⊕ Ũk (g) .
Lemma
Allora
(i)
(ii)
10.1. Su U(g) si consideri la struttura di algebra di Lie data dal commutatore [u, v]U = uv − vu.
Uk (g), Uh (g) = Ũk (g), Ũh (g) ⊂ Ũk+h−1 (g);
in particolare Ũ1 (g) è una sottoalgebra di Lie e πui : g −→ Ũ1 (g) è un omomorfismo.
Conveniamo di indicare con x1 x2 · · · xk l’elemento πui (x1 ⊗ x2 ⊗ · · · ⊗ xk ).
Dimostrazione. Per cominciare, è ovvio che U(g), U(g) ⊂ Ũ(g) e che [U0 (g), U(g)] = {0}.
Per la (i), con un argomento induttivo, possiamo limitarci a considerare il commutatore tra u =
x1 x2 · · · xk ∈ Ũk (g) e v = y1 y2 · · · yh ∈ Ũh (g). Allora, trasponendo uno alla volta gli yi a sinistra degli xj ,
[u, v]U = x1 x2 · · · xk y1 y2 · · · yh − y1 y2 · · · yh x1 x2 · · · xk
= x1 x2 · · · [xk , y1 ]y2 · · · yh + x1 x2 · · · y1 xk y2 · · · yh − y1 y2 · · · yh x1 x2 · · · xk
= x1 x2 · · · y1 xk y2 · · · yh − y1 y2 · · · yh x1 x2 · · · xk
(mod Uk+h−1 )
= ···
=0
(mod Uk+h−1 ) .
Se poi x, y ∈ g,
πui (x), πui (y) U = πui (x)πui (y) − πui (y)πui (x) = πui (x ⊗ y − y ⊗ x) = πui [x, y] ,
e questo dimostra la (ii).
Poniamo
Ek = I = (i1 , i2 , . . . , ik ) ∈ {1, . . . , n}k : i1 ≤ i2 ≤ · · · ≤ ik ,
Ēk =
[
Ek0 .
k0 ≤k
Con un argomento induttivo piuttosto complesso, che qui tralasciamo, si dimostra il seguente fondamentale teorema.
Teorema 10.2 (Teorema di Poincaré-Birchoff-Witt). Sia (e1 , e2 , . . . , en ) una base ordinata di g. Per ogni
k ∈ N, i “monomi”
e i1 e i2 · · · e ik 0 ,
con I ∈ Ēk formano una base di Uk (g).
Il Teorema di Poincaré-Birchoff-Witt ha alcune importanti conseguenze. In primo luogo:
Corollario 10.3. πui è un isomorfismo di algebre di Lie di g su Ũ1 (g).
Una seconda conseguenza riguarda l’esistenza di una base di U(g) costituita da elementi “simmetrici”.
Tornando per un momento all’algebra tensoriale, fissiamo un elemento uI = ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ eik della
base canonica di T k (g) e simmetrizziamo la sua espressione rispetto alle premutazioni degli indici:
1 X
eiσ(1) ⊗ eiσ(2) ⊗ · · · ⊗ eiσ(k) .
(10.2)
u0I =
k!
σ∈Sk
Indichiamo con
multiindici
Tsk (g)
(10.3)
si ottiene una base di
il sottospazio generato da tali u0I con |I| = k. Chiaramente, limitandosi ai
I = (i1 , i2 , . . . , ik )
Tsk (g).
con
1 ≤ i1 ≤ i2 ≤ · · · ≤ ik ≤ n ,
76
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Se Ts (g) =
P⊕
k≥0
Tsk (g), si ha chiaramente
Ts (g) ∩ Isimm = {0} ,
(10.4)
Ts (g) ⊕ Isimm = T (g) .
Si noti tuttavia che Ts (g) non è chiuso rispetto al prodotto, per cui l’isomorfismo conseguente a (10.4),
S(g) ∼
= Ts (g) ,
è solo un isomorfismo di spazi vettoriali.
Pn
Una forma parziale di compatibilità con i prodotti è data dalla relazione seguente: dato x = j=1 cj ej ∈
g, i prodotti tensoriali
x⊗k = (c1 e1 + · · · + cn en ) ⊗ (c1 e1 + · · · + cn en ) ⊗ · · ·
sono in
Tsk (g)
(k volte)
e
πsimm (x⊗k ) = (c1 e1 + · · · + cn en )k ∈ S k (g) .
Un analogo della scomposizione (10.4) vale per l’ideale Iui , come mostra il lemma seguente.
Lemma 10.4. Si ha
Ts (g) ∩ Iui = {0} ,
Dimostrazione. Sia
u ∈ Iui ∩
Ts (g) ⊕ Iui = T (g) .
X⊕
Tsk (g) .
k≤k̄
Dimostriamo per induzione su k̄ che u = 0. Per k̄ = 1 la conclusione segue dal Corollario 10.3, in base
al quale (T 0 ⊕ T 1 ) ∩ Iui = {0}.
Per k̄ ≥ 2, si ha
X
u=
c` uI` ⊗ ei` ⊗ ei0` − ei0` ⊗ ei` − [ei` , ei0` ] ⊗ uJ` ,
`
con uI` , uJ` ∈ T (g).
Ma
(uI` ⊗ ei` ⊗ ei0` ⊗ uJ` )0 = (uI` ⊗ ei0` ⊗ ei` ⊗ uJ` )0 ,
per ogni `, per cui
u = u0 = −
X
c` uI` ⊗ [ei` , ei0` ] ⊗ uJ`
`
0
∈
X⊕
Tsk (g) .
k≤k̄−1
Ammessa vera la tesi per k̄ − 1, si ottiene che u =P
0, e questo dimostra la prima affermazione.
⊕
Per la seconda, in base al Teorema 10.2, ogni u ∈ k≤k̄ T k (g) si scompone in modo unico come
X
(10.5)
u=
cI uI + v ,
I∈Ēk̄
dove cI ∈ R e v ∈ Iui .
La dimostrazione del lemma è conclusa se proviamo che u ammette una simile rappresentazione,
X
u=
dI u0I + w ,
I∈Ēk̄
u0I
dove gli
sono dati da (10.2) e w ∈ Iui . Applichiamo l’induzione su k̄.
Questo è banalmente vero per gli u per cui si ha la scomposizione (10.5) con k̄ = 1. Per k̄ ≥ 2, si prenda
un tensore uI di grado k̄. Se σ ∈ Sk̄ è la trasposizione di due indici consecutivi, j e j + 1,
uI − uσ(I) = ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ (eij ⊗ eij+1 − eij+1 ⊗ eij ) ⊗ · · · ⊗ eik̄
∼
(mod Iui ) .
= ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ [eij , eij+1 ] ⊗ · · · ⊗ eik̄
Applicando il Teorema 10.2 a
πui ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ [eij , eij+1 ] ⊗ · · · ⊗ eik̄ ∈ Uk̄−1 (g) ,
10. ALGEBRA UNIVERSALE INVILUPPANTE
77
segue che
uI − uσ(I) ∼
=
X
(mod Iui ) .
a J uJ
deg (J)≤k̄−1
Essendo ogni permutazione la composizione di trasposizioni di termini adiacenti, lo stesso vale per ogni
σ ∈ Sk̄ , e dunque per uI − u0I . Si ottiene cosı̀ per l’elemento u in (10.5) che
X
X
u=
cI u0I +
αI uI + ṽ ,
I∈Ek̄
I∈Ēk̄−1
con ṽ ∈ Iui . In modo induttivo si giunge alla conclusione.
Corollario 10.5.
(i) Gli elementi
πui (u0I ) =
1 X
eiσ(1) eiσ(2) · · · eiσ(k)
k!
σ∈Sk
con I ∈ Ek̄ formano una base di Uk̄ (g).
(ii) L’applicazione lineare
λ : S(g) −→ U(g) ,
detta simmetrizzazione, tale che
λ(ei1 ei2 · · · eik ) =
1 X
eiσ(1) eiσ(2) · · · eiσ(k) ,
k!
σ∈Sk
è l’unica applicazione lineare che soddisfi la condizione
λ : (c1 e1 + · · · + cn en )k ∈ S(g) 7−→ (c1 e1 + · · · + cn en )k ∈ U(g) ,
(10.6)
per ogni c1 e1 + · · · + cn en ∈ g.
In particolare, la simmetrizzazione λ non dipende dalla scelta della base di g.
Dimostrazione. Per il punto (i), segue dal Lemma 10.4 che lo spazio span {uI }I∈Sk Ek è complementare
a Iui e che gli uI ne formano una base. Quindi l’applicazione che manda ogni uI nel corrispondente u0I si
estende a un isomorfismo di spazi vettoriali da span {uI } su Ts (g). Sissome entrambi questi spazi sono
isomorfi a U(g) attraverso la proiezione πui , si ha la conclusione.
Per il punto (ii), si osservi che in T (g),
k
k X Y
⊗k
ciν
u0I ∈ T k (g) ,
(10.7)
(c1 e1 + · · · + cn en ) =
I
ν=1
I∈Ek
dove, se αi è il numero di ripetizioni di uno stesso termine i ∈ {1, . . . , n} in I, si è posto
k
k
k!
.
=
=
α1 ! · · · αn !
I
α
Quindi
λ (c1 e1 + · · · + cn en )k = πui (c1 e1 + · · · + cn en )⊗k
|
{z
}
|
{z
}
∈S(g)
∈T (g)
k
= πui (c1 e1 + · · · + cn en )
= (c1 e1 + · · · + cn en )k ,
|
{z
}
∈U(g)
e λ soddisfa la condizione (10.6).
78
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Si ora λ0 una qualunque applicazione lineare di S(g) in U(g) soddisfacente (10.6). Fissato k, per ogni
I ∈ Ek si ha, per la (10.7),
k
k
k k X Y
X Y
0
0
ciν
λ πsimm (uI ) =
ciν
πui (u0I ) .
I
I
ν=1
ν=1
I∈Ek
I∈Ek
Gli indici I ∈ Ek sono in corrispondenza biunivoca con i multiindici α = (α1 , . . . , αn ) con |α| = k,
1
αn
ponendo αi uguale al numero di ripetizioni di i in I. Se poniamo poi cα = cα
1 · · · cn , si ha
X k
X k
cα λ0 πsimm (u0I(α) ) =
cα πui (u0I(α) ) .
α
α
|α|=k
|α|=k
Riguardando i due membri come polinomi in c con coefficienti in U(g), si ricava che λ0 πsimm (u0I ) =
πui (u0I ) per ogni I ∈ Ek . Quindi λ0 = λ.
11. Operatori differenziali invarianti a sinistra su gruppi di Lie
Sia M una varietà differenziabile.
Definizione. Un operatore differenziale lineare su M di ordine minore o uguale a m è un operatore D :
C ∞ (M ) −→ C ∞ (M ) che, fissato un atlante {Ui , ξi }i∈I , si abbia per x ∈ Ui ,
X
Df (x) =
aα (t)∂ α (f ◦ ξi−1 )(t) ,
|α|≤m
con aα ∈ C ∞ ξi (Ui ) .
L’ordine di D è il minimo m per cui valga tale condizione.
Si noti che la condizione non dipende dalla scelta dell’atlante, perché, componendo f ◦ ξi−1 con un
diffeomorfismo, l’ordine massimo di derivazione non cambia.
Siano G un gruppo di Lie e g la sua algebra di Lie (che qui identifichiamo per comodità di notazione con
Te G). Un operatore differenziale invariante a sinistra su G è un operatore differenziale lineare che commuti
con le traslazioni sinistre. Tali operatori formano un’algebra associativa per composizione, che indichiamo
con D(G).
Ovviamente le composizioni X1 X2 · · · Xm di campi vettoriali invarianti a sinistra sono in D(G), e si ha
dunque un unico omomorfismo di algebre
ϕ : T (g) −→ D(G) ,
tale che, per ogni v ∈ g, si abbia
ϕ(v) = Xv ,
il campo vettoriale associato al vettore tangente v nell’identità. Sui tensori semplici v1 ⊗ · · · ⊗ vm ,
ϕ(v1 ⊗ · · · ⊗ vm ) = Xv1 · · · Xvm .
L’omomorfismo ϕ passa al quoziente modulo Iui , in quanto
ϕ v ⊗ w − w ⊗ v − [v, w] = Xv Xw − Xw Xv − X[v,w] = 0 ,
e dà luogo a un omomorfismo
Φ : U(g) −→ D(G) .
Teorema 11.1. Φ è un isomorfismo.
11. OPERATORI DIFFERENZIALI INVARIANTI A SINISTRA SU GRUPPI DI LIE
79
Dimostrazione. Fissiamo una base ordinata (e1 , e2 , . . . , en ) di g e indichiamo con X1 , X2 , . . . , Xn i
corrispondenti campi vettoriali invarianti a sinistra. Per α ∈ Nn , poniamo
X α = X1α1 X2α2 · · · Xnαn ∈ D(G) .
αn
1 α2
eα = eα
1 e2 · · · en ∈ U(g) ,
Indicando con (t1 , . . . , tn ) le coordinate lineari su g associate alla base (e1 , e2 , . . . , en ) e usando ξ = exp−1
come carta locale su un intorno di e, i campi Xj hanno la forma
X
(11.1)
Xj f exp(t) = ∂tj (f ◦ exp)(t) +
ajk (t)∂tk (f ◦ exp)(t) ,
k6=j
con ajk (0) = 0.
Dimostriamo allora che Φ è iniettivo.
Sia
(11.2)
u=
X
cα eα ∈ U(g) ,
|α|≤m
tale che
Φ(u) =
X
cα X α = 0 .
|α|≤m
Per la (11.1),
α 1 α2
αn
X
X
X
X α f (e) = ∂t1 +
a1k ∂tk
∂t2 +
a2k ∂tk
· · · ∂tn +
ank ∂tk
(f ◦ exp)(0) .
k6=1
k6=2
k6=n
Siccome gli ajk si annullano in 0, quello che rimane dallo svolgimento del prodotto è
(11.3)
X α (e) = ∂tα (f ◦ exp)(0) + termini con derivate di ordine minore di m .
Allora, per ogni f ,
0 = Φ(u)f (e) =
X
cα ∂tα (f ◦ exp)(0) + termini con derivate di ordine minore di m .
|α|=m
Prendendo f tale che f ◦ exp(t) = tα , per un dato α con |α| = m e per t vicino a 0, si trova che cα = 0.
Quindi la massima lunghezza m in (11.2) può essere ridotta, e induttivamente si conclude che u = 0.
Per dimostrare che Φ è suriettiva, procediamo per induzione sull’ordine m dell’operatore differenziale
D ∈ D(G). Chiaramente non c’è niente da dimostrare se m = 0, nel qual caso D è semplicemente l’operatore
di moltiplicazione per una costante.
Supposto vero che ogni operatore in D(G) di ordine strettamente minore di m sia nell’immagine di Φ,
prendiamo D di ordine m.
Sia U intorno di 0 in g tale che exp sia un diffeomorfismo da U su V intorno di e. Allora, per t ∈ U e
x = exp(t) ∈ V ,
X
(11.4)
Df (x) =
cα (t)∂ α (f ◦ ξ −1 )(t) .
|α|≤m
Dimostriamo che
D0 f = Df −
X
cα (0)X α ,
|α|=m
ha ordine al massimo m−1. Per la (11.3), D0 f (e) si esprime nelle coordinate esponenziali come combinazione
lineare di derivate di ordine al massimo m − 1.
Essendo D0 invariante per traslazioni sinistre, per ogni x ∈ G, lo stesso vale per D0 f (x) nella carta
ξx (y) = exp−1 (x−1 y). Per l’indipendenza dalla carta locale dell’ordine massimo di derivazione, per ogni
x = exp(t) ∈ V , i coefficienti cα (t) in (11.4) con |α| = m sono nulli. Quindi D ha ordine minore di m su V .
Ancora per invarianza per
traslazioni, lo stesso vale su tutto G.
Quindi D0 ∈ Φ U(g) per l’ipotesi induttiva, e allora anche D ∈ Φ U(g) .
80
5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Corollario 11.2.
I seguenti insiemi sono basi di D(G):
(i) X α = X1α1 X2α2 · · · Xnαn : α ∈ Nn ;
P
1
(ii) k!
σ∈Sk Xσ(i1 ) Xσ(i2 ) · · · Xσ(ik ) : k ∈ N , (i1 , . . . , ik ) ∈ Ek .
Attraverso i due isomorfismi, Ψ : S(g) −→ P(g) che applica eα nel monomio xα , e Φ : U(g) −→ D(G),
l’operatore di simmetrizzazione λ introdotto nel Corollario 10.5 dà luogo all’operatore
λ̃ = Φ ◦ λ ◦ Ψ−1 : P(g) −→ D(G) ,
pure chiamato simmetrizzazione.
Teorema 11.3. Sia p ∈ P(g). L’operatore Dp = λ(p) ∈ D(G) è dato da
(11.5)
Dp f (x) = p(∂t )|t=0 f x exp(t1 e1 + · · · + tn en ) .
Dimostrazione. Indichiamo con µ l’operatore
µ : p 7−→ Dp ,
con Dp dato dalla (11.5). Chiaramente Dp ∈ D(G) e µ è lineare.
Se p è un monomio puro, p = tki , si ha
Dp f (x) = (∂ti )k|t=0 f x exp(t1 e1 + · · · + tn en ) = (∂ti )k|t=0 f x exp(ti ei ) = Xik f (x) .
Sia ora (e01 , . . . , e0n ) un’altra base di g, e sia A = (ajk ) la matrice per cui
X
ek =
ajk e0j .
j
0
0
Il cambio di base induce
la trasformazione t = At delle rispettive coordinate. Allora, posto u(t ) =
0 0
0 0
f x exp(t1 e1 + · · · + tn en ) , si ha
(11.6)
Dp f (x) = p(∂t )|t=0 (u ◦ A) = (p ◦ tA)(∂t0 )|t0 =0 u
= (p ◦ tA)(∂t0 )|t0 =0 f x exp(t01 e01 + · · · + t0n e0n ) .
Prendiamo allora p = (c1 t1 + · · · + cn tn )k . Scegliendo una base avente e01 = c1 e1 + · · · + cn en , si ricava
k
che (p ◦ tA)(t0 ) = t0 1 e, per la (11.6),
Dp f (x) = (∂t01 )k|t0 =0 f x exp t01 (c1 e1 + · · · + cn en )
= (c1 X1 + · · · + cn Xn )k f (x) .
Dall Corollario 10.5 (ii) segue che Φ−1 ◦ µ ◦ Ψ = λ, e dunque µ = λ̃.
CAPITOLO 6
Rappresentazioni di gruppi e algebre di Lie
1. Vettori C ∞ e differenziale di una rappresentazione unitaria
Sia G un gruppo di Lie unimodulare e π una rappresentazione unitaria di G su H.
Definizione. Un vettore v ∈ H si dice un vettore C ∞ per π se l’applicazione uv (x) = π(x)v da G a H è
C ∞ . Lo spazio dei vettori C ∞ si indica con Hπ∞ .
Teorema 1.1. Hπ∞ è denso in H e π(x) : Hπ∞ −→ Hπ∞ per ogni x ∈ G.
Dimostrazione. La seconda affermazione è ovvia: se v è C ∞ , la funzione uπ(x)v (y) = π(y)π(x)v =
uv (yx) è chiaramente C ∞ .
Per la prima, basta dimostrare che, per ogni v ∈ H e ogni ϕ ∈ Cc∞ (G), il vettore
ˆ
0
(1.1)
v = π(ϕ)v =
ϕ(y)π(y)v dy
G
∞
è C . Fatto questo, ´basta prendere un’identità approssimata {ψε }ε>0 su g con ψε (t) = ε−d ψ(t/ε) (d =
dim G) e ψ ∈ Cc∞ (g), g ψ = 1. Per ε sufficientemente piccolo è ben definita ϕε = ψ ◦ exp−1
G su G e
ˆ
lim π(ϕε )v = lim
ϕε (y)π(y)v dy = v .
ε→0
ε→0
G
Dimostriamo che uv0 ammette derivate prime usando i campi vettoriali invarianti a sinistra X ∈ g. Si
ha
d
π x expG (tX) v 0
dt |t=0
ˆ
d
π expG (tX)
ϕ(y)π(y)v dy
= π(x)
dt |t=0
G
ˆ
d
= π(x)
ϕ(y)π expG (tX)y v dy
dt |t=0 G
ˆ
d
= π(x)
ϕ expG (−tX)y 0 π(y 0 )v dy 0
dt |t=0 G
ˆ
= −π(x) (X (r) ϕ)(y 0 )π(y 0 )v dy 0
Xuv0 (x) =
(1.2)
G
= u−π(X (r) ϕ)v (x) .
Quindi Xuv0 = uv00 con v 00 della forma (1.1). Iterando si ottiene che uv0 ∈ C ∞ (G).
Corollario 1.2. Sia π una rappresentazione unitaria di G di dimensione finita, che possiamo supporre sullo
spazio H = Cn . Allora π : G −→ Un è C ∞ .
Dimostrazione. Per densità in Cn , Hπ∞ = Cn . Quindi ogni coefficiente di π,
π(x)v, w = uv (x), w ,
v, w ∈ Cn ,
81
82
6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
è C ∞ . Se e1 , . . . , en è la base canonica di Cn ,
π(x) =
π(x)ek , ej
j,k
2
è C ∞ a valori in Un ⊂ Cn .
Quindi, se π ha dimensione finita, si può differenziare π nell’identità, cf. Proposizione 5.1 del Cap. 5,
ottenendo un omomorfismo di algebre di Lie
dπ : g −→ un = {A ∈ M n,n : A∗ = −A} ,
Per il Teorema 7.5 del Cap. 5 si ha il seguente enunciato.
Proposizione 1.3. Sia ρ un omomorfismo di un’algebra di Lie g a valori in un e sia G il gruppo connesso
e semplicemente connesso con Lie(G) = g. Esiste allora un’unica rappresentazione unitaria π di G su Cn
tale che dπ = ρ. Essa è tale che
π exp(X) = eρ(X)
per ogni X ∈ g.
Quanto detto ora non può estendersi banalmente a rappresentazioni di dimessione infinita perché U (H)
non ha una struttura di gruppo di Lie.
Partiamo da queste due osservazioni:
• dato X ∈ g, si può definire, per v ∈ Hπ∞ ,
d
π exp(tX) v .
dπ(X)v =
dt |t=0
• applicando il Teorema di Stone
(Teorema 6.1 dell’Appendice C) al gruppo a un parametro di
operatori unitari π exp(tX) , esiste un operatore autoaggiunto TX su H con dominio D(TX ) tale
che
π exp(tX) = eitTX .
Proposizione 1.4. Per ogni X ∈ g, Hπ∞ ⊂ D(TX ) e dπ(X) = iTX su Hπ∞ . Inoltre
dπ(X) : Hπ∞ −→ Hπ∞
e, sempre su Hπ∞ ,
(1.3)
dπ [X, Y ] = dπ(X), dπ(Y ) = dπ(X)dπ(Y ) − dπ(Y )dπ(X) .
Dimostrazione. Dalla dimostrazione
del Teorema di Stone segue che il dominio di TX contiene i vettori
v ∈ H tali che (d/dt)|t=0 π exp(tX) v esiste in H. In particolare, Hπ∞ ⊂ D(TX ) e tale derivata è uguale a
iTX v. Inoltre, per v ∈ Hπ∞ ,
1
π x exp(tX) v − π(x)v = Xuv (x) ,
π(x)dπ(X)v = lim
t→0 t
∞
per cui dπ(X)v ∈ Hπ . Il resto segue facilmente.
Si noti che gli operatori dπ(X) sono antisimmetrici su Hπ∞ , soddisfacendo l’identità
dπ(X)v, w = − v, dπ(X)w ,
v, w ∈ Hπ∞ .
Si noti anche che la (1.3) rende possibile estendere dπ a composizioni di campi vettoriali in g. Abbiamo
precisamente quanto segue.
Proposizione 1.5. Sia {X1 , . . . , Xd } una base di g. Ponendo
dπ(Xi1 Xi2 · · · Xim ) = dπ(Xi1 )dπ(Xi2 ) · · · dπ(Xim ) ,
si ottiene per linearità un’estensione di dπ a U(g), a valori negli operatori lineari di Hπ∞ in sé.
1. VETTORI C ∞ E DIFFERENZIALE DI UNA RAPPRESENTAZIONE UNITARIA
83
Dimostrazione. La posizione fatta consente certamente un’estensione lineare di dπ all’algebra tensoriale T (g). L’identità (1.3) implica che tale estensione è nulla sull’ideale generato dalle relazioni di
g.
Esempio
Sia π = R la rappresentazione regolare destra di un gruppo di Lie G su1 H = L2 (G). Conveniamo
di indicare gli elementi di G con x, y, . . . quando operano su H e con g, h, . . . quando sono variabili delle
funzioni g, h, . . . in L2 (G). Quindi
π(x)v (g) = v(gx) = Rx v(g) .
Proposizione 1.6. I vettori C ∞ per R sono le funzioni v di L2 (G) tali che, per ogni operatore differenziale
invariante a sinistra D ∈ D(G), la distribuzione Dv è in L2 (G). Per X ∈ g,
dR(X)v = Xv ,
dove X indica il campo vettoriale invariante a sinistra.
Dimostrazione. Sia v un vettore C ∞ . Dato X ∈ g (come campo invariante a sinistra), esiste in norma
L il limite
1
lim (Rexp(tX) v − v) = dR(X)v .
t→0 t
Data ϕ ∈ Cc∞ (G), indicando questa volta con h , i la dualità tra distribuzioni e funzioni test,
ˆ
1
dR(X)v, ϕ = lim
v(g exp(tX)) − v(g) ϕ(g) dg
t→0 G t
ˆ
1
= lim
v(g) ϕ(g exp(−tX)) − ϕ(g) dg
t→0 G
t
= −hv, Xϕi
2
= hXv, ϕi .
L’ultimo passaggio è giustificato dall’analoga uguaglianza nell’accoppiamento di due funzioni test. Quindi
la derivata distribuzionale Xv è in L2 e, per la Proposizione 1.4, è un vettore C ∞ . Iterando l’operazione e
usando il Teorema 11.1 del Cap. 5, si conclude che Dv ∈ L2 per ogni D ∈ D(G).
Viceversa, si supponga che, per ogni D ∈ D(G), Dv sia in L2 . Fissata una base {X1 , . . . , Xd } di g si
Pd
ponga ∆ = j=1 Xj2 . Per verificare che ∆ è un operatore ellittico, basta osservare che, introducendo in un
intorno di e le coordinate esponenziali,
∆=
d
X
∂t2j + termini che si annullano per t = 0 .
j=1
Quindi ∆ v ∈ L per ogni n, da cui v ∈ C ∞ (G) e le funzioni Dv sono definite nel senso ordinario.
Dobbiamo dimostrare che la funzione uv (x) = Rx v è C ∞ come funzione a valori in L2 (G).
Per D = X ∈ g, si ha
d
d
Xuv (x) =
uv x exp(tX) =
Rx exp(tX) v ,
dt |t=0
dt |t=0
n
2
che, calcolato in g ∈ G, vale
d
v (gx exp(tX) .
dt |t=0
Si ha lo sviluppo di Taylor
ˆ
0
1Ricordiamo che ci stiamo limitando a gruppi unimodulari.
t
(t − s)X 2 v gx exp(sX) ds ,
v gx exp(tX) = v(gx) + tXv(gx) +
84
6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
per cui
1
1 ˆ t
(t − s)Rx exp((sX) (X 2 v) ds
Rx exp(tX) v − Rx v − Rx Xv = t
t 0
2
2
ˆ
2 1 t
(t − s)X v 2 ds
≤
t 0
= O(t) .
Questo dimostra che Xuv (x) è ben definita per ogni x e vale Rx Xv = uXv (x). Poiché anche Xv soddisfa
la proprietà che DXv ∈ L2 per ogni D ∈ D(G), si può per iterazione concludere che uv è C ∞ .
2. Cenni sull’esistenza di analoghi della Proposizione 1.3
Supponiamo di avere un omomorfismo ρ di un’algebra di Lie g a valori in operatori su uno spazio di
Hilbert complesso H e con le seguenti proprietà:
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
gli operatori ρ(X), X ∈ g, sono definiti su un comune dominio denso H0 ;
ρ(X)H0 ⊂ H0 per ogni X;
ρ(X) è antisimmetrico
per ogni X, cioè ρ(X) ⊆ −ρ(X)∗ ;
ρ [X, Y ] = ρ(X)ρ(Y ) − ρ(Y )ρ(X) per ogni X, Y .
Il problema è riconoscere sotto quali condizioni esiste una rappresentazione unitaria π del gruppo G
connesso e semplicemente connesso con algebra di Lie g tale che
(i’) H0 ⊆ Hπ∞ ;
(ii’) per ogni X ∈ g, dπ(X)|H0 = ρ(X);
(iii’) dπ(X) = ρ(X).
Per rappresentazioni di dimensione finita, questo dipende dall’esistenza di strutture analitiche su G e Un
e dall’analiticità delle due mappe esponenziali. In dimensione infinita si recupera una forma di analiticità
considerando lo spazio Hπω dei vettori analitici rispetto a π. La densità di Hπω in H è molto meno evidente
che per Hπ∞ , ma comunque vera. Tuttavia si pongono problemi che non esistono in dimensione finita, come
risulta dal seguente esempio.
2.1. Un esempio.
Siano Ω ⊆ Rn aperto, H = L2 (Ω), H0 = Cc∞ (Ω) e, per t ∈ g = Rn e f ∈ H0 ,
(2.1)
ρ(t)f = t · ∇f .
Le proprietà (i)-(iv) elencate sopra sono facilmente verificate qualunque sia Ω. Vedremo nei due casi
Ω = Rn e Ω = B(0, 1) che le risposte alla domanda posta sull’esistenza di π che soddisfi (i’)-(iii’) sono
differenti.
2.1.1. Ω = Rn .
Sulla base dell’esempio precedente, si riconosce che ρ si ottiene differenziando la rappresentazione regolare
“destra” R di Rn ,
R(t)f (x) = f (x + t) ,
i cui vettori C ∞ sono le funzioni f ∈ C ∞ (Rn ) tali che ∂ α f ∈ L2 (Rn ) per ogni multiindice α.
Le proprietà (i’) e (ii’) si verificano facilmente. Per (iii’), occorre identificare le chiusure degli operatori
ρ(t) e dR(t) tenendo conto dei rispettivi domini.
2. CENNI SULL’ESISTENZA DI ANALOGHI DELLA PROPOSIZIONE ??
85
Conviene inizialmente sostituire H0 con H00 = S(Rn ) e coniugare ρ e R rispetto alla trasformata di
Fourier F, definendo
b 00 = F(H00 ) = S(Rn )
H
ρb(t)ϕ = (F ◦ ρ(t) ◦ F −1 )ϕ = i(t · ξ)ϕ
b
R(x)ϕ
= (F ◦ R(x) ◦ F −1 )ϕ = eit·ξ ϕ .
A meno di un multiplo scalare (che scompare nella coniugazione), F è un operatore unitario. Tutte
le proprietà spettrali di operatori su uno spazio H (l’essere simmetrico, autoaggiunto ecc., la risoluzione
dell’identità, il calcolo funzionale ecc.) sono invarianti modulo trasformazioni unitarie di H, per cui possiamo
dire che
∞
α
2
k
2
b
HR
b = ϕ(ξ) : ξ ϕ ∈ L ∀ α = ϕ(ξ) : |ξ| ϕ ∈ L ∀ k ⊃ H0 .
b hanno entrambe dominio
Si verifica facilmente che, dato t ∈ g, le chiusure di ρb(t) e dR(t)
b t = {ϕ ∈ L2 : (t · ξ)ϕ ∈ L2 } ,
D
e, ritornando a ρ(t) e dπ(t),
b t ) = {f ∈ L2 : t · ∇f ∈ L2 } ,
Dt = F −1 (D
dove la derivata direzionale t · ∇ϕ è intesa nel senso delle distribuzioni.
Tornando a H0 = Cc∞ (Rn ), la conclusione è la stessa. L’unica differenza sta nella verifica che si ottiene
la stessa chiusura di ρ(t). Infatti, data f ∈ S(Rn ), esiste una successione fn in Cc∞ (Rn ) tale che limn fn = f
e limn t · ∇fn = t · ∇f in norma L2 (basta porre fn (x) = f (x)χ(x/n), dove χ ∈ Cc∞ (Rn ) è uguale a 1 in 0).
2.1.2. Ω = B(0, 1).
Supponiamo che esista una rappresentazione π di Rn su L2 (Ω) che verifichi le tre proprietà richieste.
Fissati f ∈ Cc∞ (Ω) e (per comodità) l’n-esimo elemento en nella base canonica di Rn , avremmo, per
ogni s ∈ R una funzione fs = π(sen )f ∈ Hπ∞ con la proprietà
d
(2.2)
fs = dπ(en )fs .
ds
Sappiamo che fs ∈ Hπ∞ e, per la condizione dπ(en ) = ρ(en ), possiamo dire che fs ∈ Dn , il dominio
di ρ(en ).
Per determinare Dn , consideriamo un successione fk ∈ Cc∞ (Ω) tale che
lim fk = f ,
k
lim ∂xn fk = g ,
k
2
con entrambi i limiti in norma L . A meno di restringerci a una sottosuccessione, abbiamo allora che, per
quasi ogni x0 nella palla unitaria di Rn−1 , fk (x0 , ·) e ∂xn fk (x0 , ·) convergano nella norma di L2 (R) a f (x0 , ·)
e g(x0 , ·) rispettivamente. Per tali x0 , vale allora la formula
ˆ xn
f (x0 , xn ) =
g(x0 , u) du ,
−∞
0
per cui f (x , ·) è assolutamente continua in xn e g è la sua derivata quasi ovunque. Inoltre, se (ax0 , bx0 ) =
{u : (x0 , u) ∈ Ω}, si ha
f (x0 , ax0 ) = f (x0 , bx0 ) = 0 .
Quindi
(2.3)
Dn ⊆ f ∈ L2 (Ω) : f (x0 , ·) ass. cont. per quasi ogni x0 , f|∂Ω = 0 , ∂xn f ∈ L2 (Ω) .
D’altra parte, presa f ∈ L2 (Ω), con f (x0 , ·) assolutamente continua per quasi ogni x0 , f|∂Ω = 0 e
∂xn f ∈ L2 (Ω), si può costruire2 una successione di funzioni fk ∈ Cc∞ (Ω) tali che fk → f e ∂xn fk → ∂xn f in
norma L2 . Si ha allora uguaglianza in (2.3).
2Sia {ψ } un’identità approssimata C ∞ con supp ψ ⊂ B(0, ε). Posto E = B(0, 1 − 2ε), sia f = (χ
ε
ε
ε
ε
Eε ∗ ψε )f . Allora f1/k
c
soddisfa le condizioni indicate.
86
6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE
Chiaramente, per f ∈ Dn , si ha ρ(en )f = ∂xn f . Quindi la (2.2) diventa
d
fs (x0 , xn ) = ∂xn fs (x0 , xn )
ds
per quasi ogni x0 , cioè
fs (x0 , xn ) = f (x0 , xn + s) = R(sen )f (x0 , xn ) .
Sostituendo en con un qualunque vettore t ∈ Rn , si conclude che π(t) = R(t)|L2 (Ω) , il che è assurdo,
perché le traslazioni di Rn non lasciano Ω invariato.
2.2. Il teorema di Nelson. La giustificazione della differenza tra i due casi si trova nel seguente
teorema generale, in cui si fa riferimento all’operatore simmetrico
∆ρ =
d
X
ρ(Xj )2
j=1
sullo spazio H0 , dove {X1 , . . . , Xd } è una base di g.
Teorema 2.1 (Teorema di Nelson). Siano H0 e ρ come in (i)-(iv). Esiste una rappresentazione unitaria π
per cui valgono le proprietà (i’)-(iii’) se e solo se ∆ρ è essenzialmente autoaggiunto su H0 . In tal caso tale
rappresentazione è unica3.
Per la dimostrazione rinviamo all’articolo originale di E. Nelson, Analytic vectors, Annals of Mathematics,
vol. 70, pp. 572-615, oppure al libro4 di G. Warner, Harmonic Analysis on Semi-Simple Lie Groups I, p. 297.
Nell’esempio precedente, il Laplaciano è essenzialmente autoaggiunto su L2 (Rn ) con dominio Cc∞ (Rn ),
ma non lo è su L2 (Ω) con dominio Cc∞ (Ω) (il dominio della chiusura è lo spazio di Sobolev H02 (Ω), mentre
il dominio dell’aggiunto è H 2 (Ω), se Ω è la palla).
3Più precisamente, se ∆ è essenzialmente autoaggiunto su H , le condizioni (i’), (ii’) sono sufficienti per l’unicità.
ρ
0
4
Che però ha un errore nell’enunciato.
APPENDICE A
Il teorema di interpolazione di Riesz-Thorin
Teorema 0.2 (Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin). Siano X, Y spazi di misura e siano 1 ≤
p0 , p1 , q0 , q1 ≤ ∞. Sia dato T un operatore lineare definito su un sottospazio V denso in Lp0 (X) e in
Lp1 (X), a valori nelle funzioni misurabili su Y , e si supponga che esistano costanti M0 , M1 > 0 tali che, per
ogni f ∈ V ,
kT f kq0 ≤ M0 kf kp0 ,
kT f kq1 ≤ M1 kf kp1 .
Allora, dato t ∈ [0, 1] e posto
1−t
t
1
1−t
t
1
=
+
=
+
,
pt
p0
p1
qt
q0
q1
T si estende a un operatore continuo da Lpt a Lqt e
kT kpt qt ≤ M01−t M1t .
La dimostrazione è basata su un teorema di analisi complessa, detto il Teorema delle tre linee (Lemma
0.3), che a sua volta rientra in una famiglia di teoremi, noti come Teoremi di Phragmen-Lindelöf.
Lemma 0.3. Sia F (z) una funzione continua e limitata sulla striscia chiusa S = {z : 0 ≤ <e z ≤ 1} ⊂ C, e
olomorfa nella striscia aperta. Se
|F (iy)| ≤ c0 ,
|F (1 + iy)| ≤ c1
per ogni y ∈ R, allora, per ogni x ∈ (0, 1),
|F (x + iy)| ≤ c1−x
cx1 .
0
Dimostrazione. Supponiamo inizialmente che c0 = c1 = 1. Si tratta allora di dimostrare che |F (x +
iy)| ≤ 1 su tutta la striscia.
Dato ε > 0, sia Fε (z) = F (z)eεz(z−1) . Allora
|Fε (z)| = |F (z)|eε<e (z
2
−z)
= |F (z)|eε(x
2
−y 2 −x)
2
≤ |F (z)|e−εy .
Poiché F è limitata, limz→∞ Fε (z) = 0 su S. Sia R = {x + iy : 0 ≤ x ≤ 1, |y| < ρ} un rettangolo
al di fuori del quale |Fε (z)| ≤ 1. Per il principio del massimo, poiché |Fε (z)| ≤ 1 sulla frontiera di R, la
disuguaglianza vale anche all’interno.
Dunque |Fε (z)| ≤ 1 su S. Passando al limite per ε → 0, si ricava che |F (z)| ≤ 1 su S.
Siano ora c0 , c1 > 0. Consideriamo la funzione
F̃ (z) = F (z)c0z−1 c−z
1 .
Poiché
z−1
|cz−1
| = c<e
≤ max cx−1
,
0
0
0
0≤x≤1
|c−z
1 |
=
z
c−<e
1
≤ max c−x
,
1
0≤x≤1
F̃ è limitata sulla striscia. Inoltre essa si estende per continuità alla frontiera e
|F̃ (iy)| ≤ 1 ,
|F̃ (1 + iy)| ≤ 1
per ogni y ∈ R. Per quanto visto sopra, |F̃ (x + iy)| ≤ 1 su S, e quindi
|F (x + iy)| = |F̃ (x + iy)||c1−z
||cz1 | ≤ c1−x
cx1 .
0
0
87
88
A. IL TEOREMA DI INTERPOLAZIONE DI RIESZ-THORIN
Infine, supponiamo che c0 = 0. Per ogni ε > 0 vale la disuguaglianza |F (x + iy)| ≤ ε1−x cx1 da cui
F (x + iy) = 0 se x < 1. Per continuità, F è identicamente nulla.
Dimostrazione del Teorema di Riesz-Thorin. La densità di V in Lp0 e Lp1 implica che T ammette estensioni continue T0 : Lp0 −→ Lq0 e T1 : Lp1 −→ Lq1 . Dimostriamo che T0 = T1 su Lp0 ∩
Lp1 .
Lo spazio V è denso in Lp0 ∩ Lp1 , dotato della norma kf kp0 + kf kp1 e, per ipotesi, T è continuo da
V ⊂ Lp0 ∩Lp1 a Lq0 ∩Lq1 . Sia T01 l’estensione continua di T a Lp0 ∩Lp1 . Essendo l’inclusione Lp0 ∩Lp1 −→ Lp0
continua, deve essere
T01 = T0|Lp0 ∩Lp1 ,
per la densità di V . Lo stesso vale per T1 e dunque T0 = T1 su Lp0 ∩ Lp1 .
Osserviamo ora che, per p compreso tra p0 e p1 , V è contenuto e denso anche in Lp (si veda la dimostrazione del Corollario ??). Quindi, non appena avremo dimostrato che T ammette un’estensione continua
a Lp , potremo affermate che tale estensione coincide con T0 su Lp ∩ Lp0 e con T1 su Lp ∩ Lp1 .
Per questo motivo sopprimiamo gli indici e chiamiamo T qualunque estensione continua prodotta dalla
dimostrazione.
Per comodità di notazioni, supponiamo t ∈ (0, 1) P
fissato e poniamo pt = p, qt = q. Supponiamo
inizialmente p < ∞. Allora le funzioni semplici f (x) =
aj χEj (x), dove la somma è finita e µ(Ej ) < ∞
per ogni j, sono dense in Lp (X). Quindi
kT kp,q =
kT f kq
.
semplice kf kp
sup
f
Inoltre,
kT f kq =
|hT f, gi|
,
g semplice kgkq 0
sup
per cui
|hT f, gi|
.
f,g semplici kf kp kgkq 0
Basta allora dimostrare che vale la disuguaglianza
ˆ
1−t
t
(0.4)
T f (y)g(y) dν(y) ≤ M0 M1 kf kp kgkq0
kT kp,q =
sup
Y
quando f e g sono funzioni semplici (su X e Y rispettivamente):
X
X
f (x) =
aj χEj (x) ,
g(y) =
bk χFk (y) .
Per 0 ≤ <e z ≤ 1 si definiscano pz , qz0 in modo che
1−z
z
1
=
+
,
pz
p0
p1
Se aj = |aj |eiθj , bk = |bk |eiϕk , si ponga
X
fz (x) =
|aj |p/pz eiθj χEj (x) ,
1
z
1−z
+ 0 ,
=
0
0
qz
q0
q1
gz (y) =
j
X
0
0
|bk |q /qz eiϕk χFk (y) .
k
= q10 = ∞, e quindi 1/qz0 = 0 per ogni z.
La funzione gz è ben definita se q < ∞. Se q = ∞, allora
0 0
In questo caso poniamo q /qz = 1 per ogni z.
Infine si definisca la funzione
ˆ
X
0
0
F (z) =
T fz (y)gz (y) dν(y) =
cjk |aj |p/pz |bk |q /qz ,
0
0
Y
q00
j,k
ˆ
dove
cjk = eiθj eiϕk
T χEj (y)χFk (y) dν(y) .
Y
A. IL TEOREMA DI INTERPOLAZIONE DI RIESZ-THORIN
Verifichiamo che F soddisfa le ipotesi del Lemma 0.3.
Essa è una funzione intera, dunque continua sulla striscia chiusa. Inoltre,
X
0
0
|F (z)| ≤
|cjk ||aj |<e (p/pz ) |bk |<e (q /qz ) ,
j,k
per cui F è limitata sulla striscia chiusa. Poi, se u ∈ R,
|F (iu)| ≤ M0 kfiu kp0 kgiu kq00 .
Se p0 < ∞,

1/p0
X
0
=
|aj |p µ(Ej )
= kf kp/p
,
p
kfiu kp0
j
mentre, se p0 = ∞, il primo e il terzo membro sono comunque uguali a 1. Allo stesso modo si vede che
q 0 /q00
kgiu kq00 = kgkq0
,
per cui
q 0 /q00
0
|F (iu)| ≤ M0 kf kp/p
kgkq0
p
.
Analogamente,
q 0 /q10
1
kgkq0
|F (1 + iu)| ≤ M1 kf kp/p
p
.
Per il Lemma 0.3,
|F (t)| ≤
p
M01−t M1t kf kp
1−t
t
p0 + p1
q0
kgkq0
1−t
t
0 + q0
q0
1
= M01−t M1t kf kp kgkq0 .
Ma ft = f e gt = g, per cui
ˆ
F (t) =
T f (y)g(y) dν(y) ,
Y
cosı̀ che la (0.4) è dimostrata nel caso p < ∞, q > 1.
Se p = ∞, vuol dire che p0 = p1 = ∞. Per la disuguaglianza di Hölder,
kT f kq ≤ kT f kq1−t
kT f ktq1 ≤ M01−t M1t kf k∞ .
0
89
APPENDICE B
Integrazione di funzioni a valori in spazi di Banach
1. Funzioni misurabili
Sia f una funzione a valori in uno spazio di Banach, definita su uno spazio di misura (X, M, m) con m
completa. Si danno due nozioni di misurabilità:
• misurabilità debole: per ogni u ∈ V 0 , la funzione a valori scalari x 7−→ hu, f (x)i è misurabile;
• misurabilità forte: esiste una successione (fn )n∈N di funzioni semplici a valori in V tale che, per
quasi1 ogni x ∈ X, limn kfn (x) − f (x)k = 0.
Per funzione semplice si intende ovviamente una funzione
X
g=
v i χ Ei ,
i
dove la somma è finita e, per ogni i, Ei ∈ M e vi ∈ V .
Proposizione 1.1. Se f è fortemente misurabile, essa è anche debolmente misurabile. Inoltre la funzione
kf (·)k è misurabile.
Dimostrazione. Segue immediatamente dal fatto che le funzioni scalari hu, f (·)i e kf (·)k sono limiti
quasi ovunque delle funzioni semplici hu, fn (·)i e kfn (·)k rispettivamente.
Diamo senza dimostrazione il seguente teorema (v. K. Yosida, Functional Analysis, p. 130).
Teorema 1.2 (Teorema di Pettis). Una funzione a valori in V è fortemente misurabile se e solo se è debolmente misurabile ed esiste un insieme E di misura nulla tale che f (X \ E) sia separabile (equivalentemente,
sia contenuto in un sottospazio separabile).
In particolare, se V stesso è separabile, le due nozioni di misurabilità sono equivalenti.
2. Integrale di Bochner
Siano V e (X, M, m) come sopra. Per una funzione semplice su X a valori in V , g =
m(Ei ) < ∞ per ogni i, si pone
ˆ
X
g(x) dm(x) =
m(Ei )vi .
X
P
i
vi χEi con
i
Una funzione f definita su X a valori in V si dice Bochner-integrabile se esiste una successione di funzioni
semplici integrabili fn convergente m-quasi ovunque a f e tale che
ˆ
f (x) − fn (x) dm(x) = 0
(2.1)
lim
n
X
1Se V ha dimensione infinita, non è detto che una funzione fortemente misurabile sia limite ovunque di una successione di
di funzioni semplici. La dimostrazione per funzioni scalari usa la locale compattezza del codominio. Questo rende la nozione di
misurabilità dipendente dalla scelta della misura (o più esattamente, dell’ideale degli insiemi di misura nulla).
91
92
B. INTEGRAZIONE DI FUNZIONI A VALORI IN SPAZI DI BANACH
(per la Proposizione 1.1 le funzioni integrande sono misurabili).
Lemma 2.1. Una funzione f Bochner-integrabile è fortemente misurabile. Inoltre, data una successione di
funzioni semplici integrabili fn convergente quasi ovunque a f e tale che valga (2.1), il limite
ˆ
(2.2)
lim
fn (x) dm(x)
n
X
esiste nella norma di V ed è indipendente dalla scelta della successione.
Dimostrazione. La prima affermazione è ovvia. Se poi (fn ) e (gn ) sono due successioni convergenti
quasi ovunque a f per cui valga (2.1), dato ε > 0 esiste n0 tale che, per ogni n, k > n0 ,
ˆ
fn (x) − gk (x) dm(x) < ε .
X
Questo implica entrambe le affermazioni rimanenti.
Se f è Bochner-integrabile, il suo integrale di Bochner
´
X
f (x) dm(x) si pone uguale al limite (2.2).
Teorema 2.2 (Teorema di Bochner). Una funzione f è Bochner-integrabile se e solo se è fortemente
misurabile e kf (·)k è integrabile.
Dimostrazione. Abbiamo
che, una funzione Bochner-integrabile è fortemente misurabile.
´ già osservato
fn (x) − fm (x) dm(x) sono limitati al variare di n, m. Ne consegue che anche
Per la (2.1), ´gli integrali
X
gli integrali X fn (x) dm(x) sono limitati al variare di n. Per il Lemma di Fatou segue l’integrabilità di
kf (·)k.
Supponiamo ora che f sia fortemente misurabile e con kf (x)k integrabile. Sia (fn ) una successione di
funzioni semplici convergente a f quasi ovunque. Si ponga
(
fn (x) se kfn (x)k < (1 + 2−n )kf (x)k
gn (x) =
0
altrimenti.
Le gn sono funzioni semplici e tendono a f quasi ovunque, con kgn k ≤ kf k. Per convergenza dominata,
ˆ
f (x) − gn (x) dm(x) = 0
lim
n
X
e dunque f è Bochner-integrabile.
Casi comuni di misurabilità/integrabilità:
(1) Una funzione prodotto f (x) = a(x)g(x), di a misurabile a valori scalari e g´fortemente misurabile a
valori in V è fortemente misurabile. Essa è Bochner-integrabile se e solo se X |a(x)|kg(x)k dm(x) <
∞.
(2) Se m è una misura di Borel su uno spazio topologico X, ogni funzione continua f su X con immagine
separabile in V è fortemente misurabile.
Si verifica facilmente che, per f Bochner-integrabile,
´
´ • X f (x) dm(x) ≤ X f (x) dm(x),
´
´
• per ogni u ∈ V 0 , u, X f (x) dm(x) = X hu, f (x)i dm(x),
• più in generale, se W è un altro spazio di Banach e T : V −→ W è lineare e continua, allora T ◦ f
è Bochner integrabile e
ˆ
ˆ
T
f (x) dm(x) =
T f (x) dm(x) .
X
X
Inoltre, se µ è una misura complessa, l’integrale di Bochner di una funzione f a valori in V , fortemente
misurabile e con funzione norma integrabile, si definisce come
ˆ
f (x)h(x) d|µ|(x) ,
X
2. INTEGRALE DI BOCHNER
dove µ = h|µ| è la decomposizione polare di µ.
93
APPENDICE C
Risoluzione spettrale di operatori autoaggiunti su spazi di Hilbert
1. Spettro e raggio spettrale di un operatore lineare limitato
Per tutto qunto non è dimostrato e per una trattazione più articolata, rinviamo al libro di M. Reed, B.
Simon, Methods of Modern Mathematical Physics. I, Funtional Analysis, Academic Press.
Definizione. Siano H uno spazio di Hilbert e T ∈ L(H). Lo spettro di T è l’insieme σ(T ) dei λ ∈ C tali
che T − λI non ha inverso in L(H). Il complementare di σ(T ), indicato con ρ(T ) si chiama il risolvente di
T.
La funzione R(λ) = (λI − T )−1 , definita su C \ σ(T ) e a valori in L(H), si chiama la funzione risolvente
di T .
Lemma 1.1.
• Lo spettro di T è compatto e non vuoto.
• La funzione risolvente R è analitica su ρ(T ) ∪ {∞}.
• Sia
r(T ) = max |λ| : λ ∈ σ(T ) ,
detto il raggio spettrale di T , il raggio del più piccolo disco chiuso di centro 0 e contenente σ(T ).
Allora
r(T ) = inf kT n k1/n = lim kT n k1/n .
n
n
In particolare, r(T ) ≤ kT k.
Dimostrazione. Se |λ| > kT k, la serie di Neumann
X
(1.1)
λ−n−1 T n
n
converge in L(H) e dà l’inverso di λI − T . Quindi σ(T ) ⊆ λ : |λ| ≤ kT k ed è dunque limitato.
Sia λ0 6∈ σ(T ). Sostituendo T con T − λ0 I possiamo supporre λ0 = 0. Quindi T è invertibile e
T −1 ∈ L(T ). Se |λ| < kT −1 k−1 , la serie di Neumann
X
(1.2)
λn T −n−1
n
converge in L(H) e dà l’inverso di T − λI. Quindi il risolvente di T è aperto e σ(T ) chiuso.
Supponiamo per assurdo σ(T ) vuoto. La (1.2) implica, con un cambiamento di variabili, che nell’intorno
di un qualunque λ0 ∈ C
X
R(λ) = −
(λ − λ0 )n (T − λ0 I)−n−1 ,
n
e dunque, per ogni v, w ∈ H, la funzione
Rv,w (λ) = hR(λ)v, wi
95
96
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
è intera. La (1.1) fornisce, per |λ| > kT k, la disuguaglianza
X
−1
kR(λ)k ≤
|λ|−n−1 kT kn = |λ| − kT k
,
n
e dunque limλ→∞ ρv,w (λ) = 0. Per il Teorema di Liouville, Rv,w sarebbe identicamente nulla, da cui
(T − λI)−1 = 0, che è assurdo.
Abbiamo dunque dimostrato i primi due punti e che r(T ) ≤ kT k.
Più in generale, supponiamo che |λ| > kT k k1/k per qualche k intero positivo. Per quanto detto sopra,
la serie
X
λ−km T km
m
k
k −1
k
è convergente in L(H) a λ (λ I − T )
(λI − T )
X
. Allora
λ−n−1 T n = (λI − T )
n
k−1
X
λ−j−1 T j
X
λ−km T km
m
j=0
= (λk I − T k )−1 (λI − T )
k−1
X
λk−j−1 T j
j=0
k
k −1
= (λ I − T )
k
k
(λ I − T )
=I .
Questo dimostra che r(T ) ≤ inf n kT n k1/n .
La formula integrale di Cauchy implica, come nel caso scalare, che la serie di Laurent di R(λ), cioè la
serie di Neumann (1.1), converge normalmente per ogni λ con |λ| > r(T ). In particolare
lim |λ|−n kT n k = 0 ,
n
e dunque
lim sup kT n k1/n ≤ |λ| ,
n
per il criterio della radice. Abbiamo dunque
lim sup kT n k1/n ≤ r(T ) ≤ inf kT n k1/n .
n
n
I tre termini devono essere dunque uguali, e uguali anche a lim inf n kT n k1/n .
Un operatore in L(H) tale che T ∗ = T si dice autoaggiunto o simmetrico.
Lemma 1.2. Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Allora σ(T ) ⊂ R e r(T ) = kT k.
Dimostrazione. Sia λ = µ+iν 6∈ R. Sostituendo T con T −µI e dividendo T per ν, possiamo supporre
λ = i. Essendo hT v, vi = hv, T vi = hT v, vi ∈ R, si ha
(T ± iI)v 2 = kT vk2 + kvk2 ± 2<e hT v, ivi = kT vk2 + kvk2 .
(1.3)
In particolare, (T − iI)v ≥ kvk per cui T − iI è iniettivo. Esiste allora un inverso continuo
(T − iI)−1 : Ran(T − iI) −→ H .
Dunque Ran(T −iI) è completo e dunque chiuso in H. D’altra parte, esso è denso in H perché altrimenti
(T − iI)∗ = T + iI avrebbe nucleo non banale, in contrasto con (1.3). Quindi i ∈ ρ(T ).
Infine, vale l’uguaglianza kT 2 k = kT k2 , essendo ovvia la disuguaglianza kT 2 k ≤ kT k2 , e avendosi inoltre
kT vk2 = hT v, T vi = hT 2 v, vi ≤ kT 2 kkvk2 .
k
k
Induttivamente si ottiene che kT 2 k = kT k2 per ogni k, da cui r(T ) = kT k.
2. CALCOLO FUNZIONALE CONTINUO SU UN OPERATORE AUTOAGGIUNTO LIMITATO
97
2. Calcolo funzionale continuo su un operatore autoaggiunto limitato
Per calcolo funzionale su un operatore lineare T di uno spazio in sé si intende una regola che associ a
funzioni f : C −→ C in una determinata classe un operatore f (T ) secondo certe regole, per es. che l’operatore
(f g)(T ) sia la composizione f (T )g(T ) ecc. Il punto di partenza è la condizione che per f = 1 sia
Pf (T ) k= I
e che per
f
(λ)
=
λ
sia
f
(T
)
=
T
.
Da
questo
segue
ovviamente
che,
per
un
polinomio
p(λ)
=
k ak λ , è
P
p(T ) = k ak T k .
Se p, q sono due polinomi, l’uguaglianza (pq)(T ) = p(T )q(T ), cosı̀ come (pq)(T ) = q(T )p(T ), è ovvia.
Lemma 2.1. Siano T ∈ L(H) e p ∈ C[λ]. Allora σ p(T ) = p σ(T ) .
Dimostrazione. Sia λ0 ∈ σ(T ). Allora il polinomio p(λ) − p(λ0 ) si annulla in λ0 per cui si fattorizza
p(λ) − p(λ0 ) = (λ − λ0 )q(λ) ,
per cui
p(T ) − p(λ0 )I = (T − λ0 I)q(T ) = q(T )(T − λ0 I) .
Se p(T ) − p(λ0 )I avesse inverso S in L(H), si avrebbe
(T − λ0 I)q(T )S = Sq(T )(T − λ0 I) = I ,
per cui T − λ0 I avrebbe inversi destro e sinistro in L(H). Questo implicherebbe
che T
− λ0 I è biiettivo e i
due inversi coinciderebbero, contro
l’ipotesi
che
λ
∈
σ(T
).
Quindi
p
σ(T
)
⊆
σ
p(T
)
.
0
Viceversa, sia µ ∈ σ p(T ) . Allora p(T ) − µI non ha inverso in L(H). Fattorizzando il polinomio
p(λ) − µ = a(λ − λ1 ) · · · (λ − λn ) ,
si ottiene che
p(T ) − µI = a(T − λ1 I) · · · (T − λn I)
non è invertibile in L(H), per cui uno almeno dei fattori
deve essere non invertibile in L(H). Esiste quindi
λj ∈ σ(T ). Ovviamente p(λj ) = µ, per cui µ ∈ p σ(T ) , e questo dà l’inclusione opposta.
ak λk e T ∈ L(H), si ha
X
∗ X
p(T )∗ =
ak T k =
ak (T ∗ )k = p∗ (T ∗ ) ,
Osserviamo ora che, se p(λ) =
(2.1)
P
k
k
k
dove abbiamo definito
p∗ (λ) =
X
ak λk .
k
Corollario 2.2. Sia T autoaggiunto e sia p ∈ C[λ]. Allora
kp(T )k = max p(λ) : λ ∈ σ(T ) .
Dimostrazione. Consideriamo prima il caso in cui p ha coefficienti reali. In tal caso p∗ = p e dunque
p(T )∗ = p(T ) .
Pertanto
kp(T )k = r p(T ) = max |µ| : µ ∈ σ p(T ) = max |µ| : µ ∈ p σ(T ) = max p(λ) : λ ∈ σ(T ) .
Se p non è reale, abbiamo
p(T )2 = p(T )p(T )∗ .
98
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
Ma p(T )p(T )∗ è autoaggiunto, per cui, usando la (2.1),
p(T )p(T )∗ = r p(T )p(T )∗
= r (pp∗ )(T )
= max |µ| : µ ∈ σ (pp∗ )(T )
= max p(λ)p∗ (λ) : λ ∈ σ(T ) .
Essendo σ(T ) ⊂ R, p∗ (λ) = p(λ) per λ ∈ σ(T ), dunque
2
p(T )2 = max p(λ)2 : λ ∈ σ(T ) = max p(λ) : λ ∈ σ(T )
.
Teorema 2.3. Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Esiste un unica applicazione lineare
Φ : C σ(T ) −→ L(H)
con le seguenti proprietà:
• è continua rispetto alla norma su L(H);
• è un omomorfismo di algebre: Φ(f g) = Φ(f )Φ(g), Φ(1) = I;
• Φ(f ) = Φ(f )∗ ;
• se f (λ) = λ, Φ(f ) = T .
Dimostrazione.
Sul sottospazio dei polinomi Φ è univocamente definita come Φ(p) = p(T ). Il Corollario 2.2 implica che Φ(p)L(H) = kpk∞,σ(T ) . Dunque Φ si estende per continuità a tutto C σ(T ) in modo
unico. Le proprietà algebriche sono conservate dall’estensione.
Si adotta la notazione
f (T ) = Φ(f ) ,
f ∈ C σ(T ) .
In realtà il Corollario 2.2 fornisce proprietà di Φ più forti di quelle richieste nell’enunciato.
Un operatore autoaggiunto T si dice semidefinito
Corollario 2.4. Sia f ∈ C σ(T ) . Valgono le seguenti proprietà:
• kf (T )kL(H)
= kf k∞
;
• σ f (T ) = f σ(T ) ;
• se v è autovettore di T con autovalore λ, allora v è autovettore di f (T ) con autovalore f (λ);
• T (f ) è autoaggiunto se e solo se f è reale;
• T (f ) ≥ 0 se e solo se f ≥ 0.1
Inoltre
• l’immagine di Φ è la sottoalgebra chiusa, nella topologia della norma, di L(H) generata da T ;
• se S ∈ L(H) commuta con T , esso commuta con ogni f (T ).
Dimostrazione. La prima proprietà
segue direttamente dal Corollario
2.2.
Per la seconda, sia µ 6∈ f σ(T ) . Allora g = 1/(f − µ) ∈ C σ(T ) e g(f − µ) = 1. Dunque g(T ) è
l’inverso di f (T ) − µI, da cui segue l’inclusione σ f (T ) ⊆ f σ(T ) .
Viceversa, sia µ ∈ f σ(T ) , diciamo µ = f (λ). Dato ε > 0 sia p un polinomio tale che
kf − pk∞ < ε.
Per
il Lemma 2.1, p(T ) − p(λ)I non ha inverso in L(T ), per cui esiste v ∈ H con kvk = 1 e p(T )v − p(λ)v < ε.
Allora
f (T )v − f (λ)v ≤ f (T )v − p(T )v + p(T )v − p(λ)v + p(λ)v − f (λ)v < 3ε
e, per l’arbitrarietà di ε, µ ∈ σ f (T ) .
La terza proprietà si prova approssimando f con polinomi. Per la quarta, se f è reale, f (T )∗ = f (T ) =
f (T ). L’altra implicazione segue dall’iniettività√di Φ.
Per l’ultima proprietà, se f ≥ 0, sia g = f . Allora f (T ) = g(T )2 = g(T )g(T )∗ ≥ 0. Viceversa, sia
f (T ) ≥ 0. Allora T è autoaggiunto e f è reale. Supponiamo f < 0 su un aperto non vuoto A di σ(T ).
1T ≥ 0 vuol dire che T è autoaggiunto e semidefinito positivo: hT v, vi ≥ 0 per ogni v ∈ H.
3. DECOMPOSIZIONE SPETTRALE DI UN OPERATORE AUTOAGGIUNTO LIMITATO
99
Prendiamo allora ϕ non identicamente nulla e con supporto contenuto in A, in modo che g = −f ϕ2 ≥ 0 sia
non nulla. Esiste allora v ∈ H tale che hg(T )v, vi > 0. Se w = ϕ(T )v, si ha
f (T )w, w = f (T )ϕ(T )v, ϕ(T )v = − g(T )v, v < 0 .
Le ultime due proprietà sono evidenti.
3. Decomposizione spettrale di un operatore autoaggiunto limitato
Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Poniamo Σ = σ(T ) ⊂ R. Dati v, w ∈ H, consideriamo il funzionale lineare
su C(Σ),
χv,w (f ) = f (T )v, w .
Si ha
χv,w (f ) ≤ f (T )kvkkwk = kf k∞ kvkkwk .
Per il Teorema di rappresentazione di Riesz, esiste quindi una misura di Radon µv,w ∈ M(Σ) tale che
ˆ
f (T )v, w =
f dµv,w ∀ f ∈ C(Σ) ,
kµv,w k1 ≤ kvkkwk .
Σ
Le seguenti proprietà sono di semplice verifica:
• l’applicazione (v, w) 7−→ µv,w è sesquilineare;
• µv,v ≥ 0 e kµv,v k1 = kvk2 ;
• per ogni f, g ∈ C(Σ),
ˆ
ˆ
21 ˆ
21
2
(3.1)
f g dµv,w ≤
|f | dµv,v
|g|2 dµw,w
.
Σ
Σ
Σ
Sia ora B(Σ) lo spazio delle funzioni Boreliane limitate su Σ con la norma k k∞ , come sup puntuale.
Data f ∈ B(Σ), la forma sesquilineare su H,
ˆ
Af (v, w) =
f dµv,w ,
Σ
soddisfa la disuguaglianza
Af (v, w) ≤ kf k∞ kvkkwk ,
per cui esiste f (T ) ∈ L(H) tale che
Af (v, w) = f (T )v, w ,
f (T ) ≤ kf k∞ .
Teorema 3.1 (Teorema spettrale). L’applicazione Ψ(f ) = f (T ) è l’unica applicazione lineare da B(Σ) in
L(H) tale che
• è continua rispetto alla norma su L(H);
• è un omomorfismo di algebre: Ψ(f g) = Ψ(f )Φ(g), Ψ(1) = I;
• Ψ(f ) = Ψ(f )∗ ;
• se f (λ) = λ, Ψ(f ) = T ;
• se una successione (fn )n è limitata in norma e converge puntualmente a f , allora la successione
Ψ(fn ) n converge a Ψ(f ) nella topologia forte di L(H).
In particolare, se f = χB è la funzione caratteristica di un Boreliano B ⊆ Σ, l’operatore
E(B) = χB (T )
è autoaggiunto e idempotente, dunque un proiettore ortogonale.
Proposizione 3.2. La funzione E che associa a un Boreliano B ⊆ Σ il proiettore E(B) soddisfa le seguenti
prorietà:
100
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
(i) E(∅) = 0, E(Σ) = I;
(ii) è fortemente σ-additiva: data una successione (Bn ) di Boreliani a due a due disgiunti,
[ X
E
Bn =
E(Bn ) ,
n
n
dove la serie converge nella topologia forte;
(iii) E(B1 )E(B2 ) = E(B
1 ∩B2 ) (in particolare, se B1 ∩B2 = ∅, le immagini di B1 e B2 sono ortogonali);
(iv) per ogni v, w ∈ H, E(B)v, w = µv,w (B).
La funzione E ha dunque le proprietà formali di una “misura a valori proiettori” e si chiama la misura
spettrale di T . Si dice anche che E è la risoluzione dell’identità di H associata a T . Si scrive
ˆ
f (T ) =
f (λ) dE(λ) ,
Σ
e anche
dµv,w (λ) = dE(λ)v, w .
Più in generale:
Definizione. Siano X uno spazio topologico T2 localmente compatto e H uno spazio di Hilbert. Una funzione
E definita sui Boreliani di X a valori nei proiettori ortogonali su H si dice una risoluzione dell’identità su
H con base X se soddisfa le proprietà (i)-(iii) della Proposizione 3.2 e, per ogni v, w ∈ H, la funzione
B 7−→ E(B)v, w è una misura di Radon su X.
E’ possibile applicare a E parte della terminologia di teoria della misura, per esempio:
• una proprietà vale E-quasi ovunque su X se vale al di fuori di un B con E(B) = 0;
• L∞ (X, E) è il quoziente di B(X) modulo la relazione di equivalenza f ∼ g se e solo se f = g E-quasi
ovunque;
• il supporto di E è il complementare del più grande aperto su cui E = 0.
Tornando agli operatori autoaggiunti, completiamo il Teorema spettrale con le ulteriori proprietà di cui
gode la misura spettrale di T .
Corollario 3.3. Siano T autoaggiunto e f ∈ B(Σ). Allora
∞
• la norma
di f (T ) in L(H) è uguale a kf kL (E) ;
• σ f (T ) coincide con il rango essenziale2 di f ;
• se v è autovettore di T con autovalore λ, allora E {λ} 6= 0 e v è autovettore di f (T ) con autovalore
f (λ);
• f (T ) è autoaggiunto se e solo se f è reale E-quasi ovunque;
• f (T ) ≥ 0 se e solo se f ≥ 0 E-quasi ovunque.
Inoltre
•
•
•
•
•
il supporto di E è tutto Σ, cioè, se A è aperto in Σ, E(A) 6= 0;
l’immagine di Φ è la sottoalgebra chiusa, nella topologia forte, di L(H) generata da T ;
se S ∈ L(H) commuta con T , esso commuta con ogni f (T );
S ∈ L(H) commuta con T se e solo se commuta con ogni proiettore E(B);
data E risoluzione dell’identità su H con base R e supporto compatto, l’operatore
ˆ
ˆ
T =
λ dE(λ) =
λ dE(λ)
R
supp E
è limitato, autoaggiunto, σ(T ) = supp E e la misura spettrale di T è la restrizione di E a σ(T ).
2Il rango essenziale di f è l’insieme degli z ∈ C tali che, per ogni intorno U di z, E f −1 (U ) 6= 0.
4. OPERATORI NON LIMITATI SIMMETRICI E AUTOAGGIUNTI
101
4. Operatori non limitati simmetrici e autoaggiunti
Sia T un operatore lineare, definito su un sottospazio denso D di uno spazio di Hilbert H e valori in
H. Diamo alcune definizioni preliminari. Supporremo sempre che i domini degli operatori considerati siano
densi in H.
• Si dice che T è chiuso se il suo grafico
Γ(T ) = (v, T v) : v ∈ D
è chiuso in H × H.
• Si dice che T : D −→ H è chiudibile se la chiusura Γ(T ) del suo
grafico in H × H è ancora un
grafico. In tal caso l’operatore lineare T definito su D̃ = π1 Γ(T ) (dove ovviamente D ⊆ D̃ ⊆ H)
si chiama la chiusura di T .
• Se T1 : D1 −→ H, T2 : D2 −→ H, si scrive T1 ⊂ T2 se T2 è un’estensione di T1 .
Si verifica facilmente che
• T : D −→ H è chiuso se e solo se, per ogni successione di elementi vn ∈ D tali che
lim vn = v ∈ H ,
lim T vn = w ∈ H ,
n
n
si ha v ∈ D e w = T v.
• T : D −→ H è chiudibile se e solo se, per ogni successione di elementi vn ∈ D tali che
lim vn = 0 ,
n
lim T vn = w ∈ H ,
n
si ha w = 0.
• Un operatore T : D −→ H è chiudibile con T definito su tutto H se e solo se T (e dunque anche T )
è limitato (teorema del grafico chiuso).
Dato T : D −→ H, chiamiamo D0 l’insieme degli elementi w ∈ H tali che il funzionale lineare
(4.1)
λw : v 7−→ hT v, wi ,
λw : D −→ C ,
si estende a un funzionale continuo su H. Per w ∈ D0 è dunque univocamente determinato un elemento
T ∗ w ∈ H tale che, per ogni v ∈ D,
hT v, wi = hv, T ∗ wi .
∗
L’operatore T si chiama l’aggiunto di T .
Lemma
•
•
•
4.1.
D0 è un sottospazio vettoriale di H e T ∗ : D0 −→ H è lineare e Γ(T ) è chiuso in H × H.
T è chiudibile se e solo se D0 è denso in H.
In tal caso, T ∗ è chiuso, (T )0 = T ∗ e T ∗∗ = (T ∗ )∗ coincide con T .
Dimostrazione. Se w, w0 ∈ D0 , il funzionale λaw+bw0 = āλw + b̄λw0 si estende con continuità a H, per
cui aw + bw0 ∈ D0 . Si osservi poi che il sottospazio Γ(T )⊥ di H × H è costituito dalle coppie (u, u00 ) tali che,
per ogni v ∈ D,
hv, ui + hT v, u0 i = 0 .
Ma questo equivale a dire che u0 ∈ D0 e u = −T ∗ u0 . Quindi
e ∗ ) = (−T ∗ w, w) : w ∈ D0 .
Γ(T )⊥ = Γ(T
e ∗ ), e dunque anche Γ(T ∗ ), è chiuso.
In particolare, Γ(T
⊥
⊥
e ∗ ),
Per il secondo punto, supponiamo che D0 non sia denso in H. Allora D0 6= {0} e ({0} × D0 ) ⊥ Γ(T
da cui
⊥
{0} × D0 ⊂ Γ(T )⊥⊥ = Γ(T ) .
Dunque Γ(T ) non è un grafico. L’implicazione inversa e il terzo punto seguono facilmente.
102
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
Definizione. Si dice che T è simmetrico se T ⊆ T ∗ e che T è autoaggiunto se T = T ∗ .
Si hanno le seguenti proprietà:
• un operatore simmetrico è chiudibile;
• T è simmetrico se e solo se
(4.2)
hT v, v 0 i = hv, T v 0 i ,
∀v, v 0 ∈ D ;
• se T è simmetrico, anche T = T ∗∗ è simmetrico;
• un operatore autoaggiunto è chiuso;
• se T1 ⊆ T2 e T2 è simmetrico, anche T1 è simmetrico e
T1 ⊆ T2 ⊆ T2∗ ⊆ T1∗ .
(4.3)
Si noti che, se T è chiuso, simmetrico, ma non autoaggiunto, allora T ∗ non è simmetrico.
In generale, è piuttosto facile verificare attraverso la (4.2) se un operatore è simmetrico. Molto meno
facile è verificare se un operatore simmetrico è anche autoaggiunto, oppure, tenuto conto delle inclusioni
(4.3), discutere l’esistenza di una sua estensione autoaggiunta. Enunciamo senza dimostrazione il seguente
enunciato.
Teorema 4.2. Sia T : D −→ H un operatore simmetrico.
(i) Le seguenti proprietà sono equivalenti:
• T è autoaggiunto,
• (T ± iI)D = H,
• T è chiuso e ker(T ∗ ± iI) = {0}.
(ii) T ammette estensioni autoaggiunte se e solo se i due spazi immagine (T ± iI)D hanno la stessa
codimensione in H.
Un caso importante di esistenza di estensioni autoaggiunte è dato dal seguente teorema.
Teorema 4.3 (Friedrichs). Sia T un operatore simmetrico positivo, tale cioè che
hT v, vi ≥ 0 ,
∀v ∈ D .
Allora T ammette un’estensione autoaggiunta.
Definizione. Un operatore simmetrico si dice essenzialmente autoaggiunto se ammette un’unica estensione
autoaggiunta.
5. Risoluzioni dell’identità e operatori autoaggiunti
Sia E una risoluzione dell’identità su H con base R. Non supponiamo che il supporto di E sia compatto.
Vogliamo costruire a partire da E un operatore autoaggiunto T con dominio D tale che, per ogni v ∈ D,
ˆ
hT v, wi =
λ dµv,w (λ) .
R
Cominciamo con alcune premesse sulle misure µv,w che saranno usate in più punti.
Lemma 5.1. Per B ⊂ R Boreliano, sia
VB = E(B)H ⊂ H .
• Se v ∈ VB e w ∈ H, le misure µv,w e µw,v sono concentrate in B.
• Se v ∈ VB e w ∈ VB⊥ , allora µv,w = 0.
• per ogni v, w ∈ H e B 0 ⊆ B, µv,w (B 0 ) = µE(B)v,w (B 0 ) = µv,E(B)w (B 0 ) = µE(B)v,E(B)w (B 0 ).
5. RISOLUZIONI DELL’IDENTITÀ E OPERATORI AUTOAGGIUNTI
103
Dimostrazione. Se v ∈ VB e B 0 ∩ B = ∅, allora E(B 0 )E(B) = 0, per cui E(B 0 )v = 0 e quindi
µv,w (B 0 ) = hE(B 0 )v, wi = 0 per ogni w.
Il resto segue facilmente.
Poniamo
En = E [−n, n] ,
Vn = V[−n,n] .
Proposizione 5.2. Sia D l’insieme dei vettori v ∈ H tali che
ˆ
λ2 dµv,v (λ) < ∞ .
R
Allora D è un sottospazio denso di H.
Dimostrazione. Dalla disuguaglianza
2 2 2
µv+w,v+w (B) = E(B)(v+w), v+w = E(B)(v+w) ≤ 2 E(B)v +E(B)w = 2(µv,v (B)+µw,w (B)
per ogni Boreliano B, segue che v, w ∈ D implica v + w ∈ D. In modo più semplice si verifica che i multipli
scalari di v ∈ D sono in D.
Per il Lemma 5.1, se v ∈ Vn ,
ˆ
ˆ n
λ2 dµv,v (λ) =
λ2 dµv,v (λ) < ∞ .
−n
R
Dunque
S
n
Vn ⊂ D. D’altra parte, per la condizione (ii) nella Proposizione 3.2,
I = E(R) = lim En
n
nella topologia forte. Quindi ogni v ∈ H è limite in norma dei vn = En v ∈ D.
Per v ∈ D, si consideri l’espressione
ˆ
χv (w) =
λ dµv,w (λ) .
R
Osservando che la disuguaglianza (3.1) vale per risoluzioni dell’identità con base R e funzioni f, g
Boreliane, si ha, per w ∈ D,
ˆ
21 ˆ
21
ˆ
21
2
χv (w) ≤
λ dµv,v (λ)
dµw,w (λ)
=
λ2 dµv,v (λ) kwk .
R
R
R
Quindi χv si estende per continuità a H ed esiste dunque T v ∈ H tale che, per ogni w ∈ H,
ˆ
λ dµv,w (λ) = hT v, wi .
R
Teorema 5.3. L’operatore T : D −→ H è autoaggiunto.
Dimostrazione. Dimostriamo la (4.2) per provare che T è simmetrico. Se v, v 0 ∈ D,
ˆ
0
hT v, v i =
λ dµv,v0 (λ)
ˆ
R
=
λ dµv0 ,v (λ)
R
= hT v 0 , vi
= hv, T v 0 i .
Per dimostrare che T è anche autoaggiunto, osserviamo che, per il Lemma 5.1, se v.w ∈ H e B un
Boreliano,
ˆ
ˆ
hT EB v, wi =
λ dµEB v,w (λ) =
λ dµEB v,EB w (λ) = hEB T EB v, wi .
R
R
104
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
Quindi T EB = EB T EB . In particolare, T : VB −→ VB . Per v ∈ VB e B 0 ⊂ B Boreliano si ha poi
ˆ
ˆ
µT v,w (B 0 ) = hE(B 0 )T v, wi = hT v, E(B 0 )wi =
λ dµv,E(B 0 )w (λ) =
λ dµv,w (λ) ,
B0
B0
cioè dµT v,w (λ) = λ dµv,w (λ).
In particolare, con B = [−n, n] e v ∈ Vn , si ha
ˆ n
ˆ
kT vk2 = hT 2 v, vi =
λ dµT v,v (λ) =
−n
n
λ2 dµv,v (λ) .
−n
∗
Sia ora w nel dominio di T . Per la (4.1), questo vuol dire che esiste una costante C > 0 tale che
hT v, wi ≤ Ckvk
per ogni v ∈ D. Dunque
kT En wk2 = hEn T 2 En w, wi = hT 2 En w, wi ≤ CkT En wk ,
da cui kT En wk ≤ C per ogni n. Ma
ˆ
ˆ
n
2
n
2
kT En wk =
λ2 dµw,w (λ) ≤ C 2
λ dµEn w,En w (λ) =
−n
−n
per ogni n, per cui w ∈ D.
Si scrive
ˆ
T =
λ dE(λ) ,
R
e E si chiama la misura spettrale di T . Diamo senza dimostrazione il Teorema spettrale e le basi del calcolo
funzionale per operatori autoaggiunti.
Teorema 5.4. Dato un operatore autoaggiunto´T su uno spazio di Hilbert H, esiste una e una sola risoluzione
dell’identità E su H con base R tale che T = R λ dE(λ). Valgono le seguenti proprietà:
• T è limitato se e solo se supp E è limitato,
• T è positivo se e solo se supp E ⊆ [0, +∞).
Sia T autoaggiunto e sia E la sua misura spettrale. Data una funzione Boreliana f su R, si ponga
ˆ
n
o
f (λ)2 dµv,v (λ) < ∞ ,
Df = v ∈ H :
R
La (3.1) implica che, per ogni v ∈ Df e ogni w ∈ H è ben definito f (T )v ∈ H tale che
ˆ
f (T )v, w =
f (λ) dµv,w (λ) .
R
Teorema 5.5. Df è denso in H se e solo se f è finita E-quasi ovunque. In tal caso f (T ) è chiuso. Inoltre
2 ´ 2
• f (T )v = R f (λ) dµv,v (λ);
• f (T ) è limitato se e solo se f è essenzialmente limitata (modulo insiemi di E-misura nulla);
• f (T ) è unitario se e solo se |f | = 1 E-quasi ovunque.
Inoltre, date f, g Boreliane, f g(T )v = f (T )g(T )v per ogni v ∈ D g(T ) tale che g(T )v ∈ D f (T ) .
6. IL TEOREMA DI STONE
105
6. Il Teorema di Stone
Sia T un operatore autoaggiunto su H con misura spettrale E. Poniamo allora, per t ∈ R,
ˆ
eitT =
eitλ dE(λ) .
R
Per il Teorema 5.5, gli operatori e
itT
sono unitari e vale l’identità
ei(t+s)T = eitT eisT .
Inoltre, per ogni v, w ∈ H l’applicazione t 7−→ heitT v, wi è continua. Infatti
ˆ
itT
he v, wi − heit0 T v, wi = (eitλ − eit0 λ ) dµv,w ˆ R
≤
|eitλ − eit0 λ | d|µv,w | ,
R
che tende a 0 per t → t0 per convergenza dominata. Quindi l’applicazione π : t 7−→ eitT è un omomorfismo
debolmente continuo di R in U(H). Per il Lemma 1.2 del Cap. 3, essa è fortemente continua e dunque π è
una rappresentazione unitaria di R su H.
Si dice anche che π è un gruppo a un parametro di operatori unitari su H.
Teorema 6.1 (Teorema di Stone). Sia π un gruppo a un parametro di operatori unitari su H. Esiste allora
un unico operatore autoaggiunto T su H tale che π(t) = eitT .
Dimostrazione. Sia D0 il sottospazio dei vettori v ∈ H per cui esiste
1
d
(6.1)
π(t)v = lim π(t)v − v ∈ H .
t→0 t
dt |t=0
Dimostriamo che D0 è denso in H. Per far questo, osserviamo che, per ogni funzione ϕ ∈ Cc∞ (R) e ogni
v ∈ H, il vettore
ˆ
v 0 = π(ϕ)v =
ϕ(s)π(s)v ds
R
è in D0 . Infatti:
ˆ
ˆ
ˆ
d
d
d
(6.2)
π(t)v 0 =
ϕ(s)π(s + t)v ds =
ϕ(s − t)π(s)v ds = − ϕ0 (s)π(s)v ds .
dt |t=0
dt |t=0 R
dt |t=0 R
R
Allora, se {ϕε }ε>0 ⊂ Cc∞ è un’identità approssimata, si verifica facilmente che limε→0 π(ϕε )v = v.
d
Per v ∈ D0 , poniamo T0 v = −i dt
π(t)v. Dall’identità
|t=0
D1
E D 1
E
π(t)v − v , w = v, π(−t)w − w
t
t
segue che, se v, w ∈ D0 ,
hiT0 v, wi = hv, −iT0 wi ,
per cui T0 è simmetrico. Quindi T0 è chiudibile. Dimostriamo che T = T 0 è autoaggiunto provando che
T ∗ ± iI = T0∗ ± iI sono iniettivi.
Sia w ∈ D(T ∗ ) (il dominio di T ∗ ) tale che T ∗ w = iw. Per ogni v ∈ D0 ,
d
d
π(t)v, w =
π(t + h)v, w
dt
dh |h=0
= iT0 π(t)v, w
= i π(t)v, T ∗ w
= π(t)v, w .
106
C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT
Quindi
π(t)v, w = hv, wiet .
Essendo π(t)v, w ≤ kvkkwk, deve essere hv, wi = 0 per ogni v ∈ D0 . Per la densità di D0 , w = 0. In
modo analogo si tratta il caso in cui T0 w = −iw.
Dimostriamo ora che π(t) = eitT .
Dato v ∈ D0 , segue dalla (6.1) che
1
d
π(t0 + h)v − π(t0 )v
π(t)v = lim
h→
dt |t=t0
0 h
(
π(t0 ) limh→0 π(t0 ) h1 π(h) − I v = iπ(t0 )T0 v
=
limh→0 h1 π(h) − I π(t0 )v
Questo dimostra che π(t)v ∈ D0 e che
d
π(t)v = iT0 π(t)v = iπ(t)T0 v .
dt
D’altro canto, se E è la misura spettrale di T , per v nel dominio D ⊃ D0 di T , si ha
ˆ itλ
1
2
2
e − 1
itT
− iλ dµv,v (λ) = 0 ,
lim (e v − v) − T v = lim t→0 R
t→0 t
t
´
per convergenza dominata, essendo (eitλ − 1)/t − λ|2 ≤ C(1 + λ2 ) e inoltre R (1 + λ2 ) dµv,v (λ) < ∞. Da
questo segue che
d itT
e v = iT eitT v = ieitT T v .
dt
Si consideri la funzione F (t) = π(t)v − eitT v, con v ∈ D0 . Si ha
F 0 (t) = iT F (t) ,
per cui, essendo F (t) ∈ D,
d
kF (t)k2 = iT F (t), F (t) + F (t), iT F (t) = 0 .
dt
Quindi kF (t)k2 = kF (0)k2 = 0 e la tesi segue facilmente.
APPENDICE D
Campi vettoriali, flussi e loro composizione
1. Varietà differenziabili
Definizione.
Sia
(M, R) uno spazio topologico di Hausdorff. Una struttura differenziabile su M è una
famiglia E(U ) U ∈τ dove
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
per ogni aperto U di M , E(U ) è un’algebra di funzioni a valori reali su U ;
per ogniSU , la funzione costante 1 è in E(U );
se U = i∈I Ui , f ∈ E(U ) se e solo se, per ogni i ∈ I, f|Ui ∈ E(Ui );
i
di E(Ui )
esistono un intero m, un ricoprimento aperto {Ui }i∈I e, per ogni i ∈ I, elementi ξ1i , . . . , ξm
tali che
i
) sia un omeomorfismo di U sull’aperto ξ(Ui ) di Rm ;
• ξ i = (ξ1i , . . . , ξm
−1
0
• se U ⊆ Ui , f ∈ E(U 0 ) se e solo se f ◦ ξ i ∈ C ∞ ξ i (U 0 ) .
Uno spazio M , dotato di una struttura differenziabile, si dice una varietà differenziabile, e l’intero m
in (iv) la sua dimensione. Le funzioni ξ i si chiamano carte locali e il loro insieme un atlante.
D’ora in poi indicheremo con C ∞ (U ) le algebre E(U ) della Definizione 1.
Segue immediatamente dalla definizione che ogni aperto di M eredita da M una struttura differenziabile.
∞
Definizione. Siano M, N due varietà differenziabili. Un’applicazione Φ : M
−→ N si dice C , o differen∞
∞
−1
ziabile se, per ogni U aperto in N e ogni f ∈ C (U ), f ◦ Φ ∈ C f (U ) .
In modo equivalente, Φ è C ∞ se, per ogni x ∈ M , dette ξ e η carte locali su intorni di x e Φ(x)
rispettivamente, η ◦ Φ ◦ ξ −1 è C ∞ come funzione tra spazi euclidei.
Se anche Φ−1 è C ∞ da N a M , f si dice un diffeomorfismo di M su N .
Definizione. Sia M una varietà differenziabile. Si chiama vettore tangente a M in x un funzionale lineare
v su C ∞ (M ) tale che, per ogni f, g ∈ C ∞ (M ),
(1.1)
v(f g) = f (x)v(g) + g(x)v(f ) .
I vettori tangenti a M in x formano uno spazio vettoriale Tx M , detto spazio tangente a M in x.
Proposizione 1.1. Sia v ∈ Tx M e sia ξ = (ξ1 , . . . , ξm ) una carta locale su un intorno di x ∈ M , e sia
v ∈ Tx M . Sono univocamente determinati a1 , . . . , am ∈ R tali che, per ogni f ∈ C ∞ (M ),
(1.2)
v(f ) =
m
X
aj ∂j (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) .
j=1
Viceversa, dati a1 , . . . , am ∈ R, la (1.2) definisce un elemento di Tx M .
Dimostrazione. Svolgiamo la dimostrazione in più passi.
supporre che ξ(x) = 0 ∈ Rm .
Passo 1: Se f = 0 in un intorno di x, allora v(f ) = 0.
107
Senza perdere in generalità, possiamo
108
D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE
In queste ipotesi, f ◦ ξ −1 è nulla su un intorno V di 0. Si prenda η ∈ Cc∞ (V ) uguale a 1 in un intorno di
0. La composizione η ◦ ξ si prolunga a una funzione g ∈ C ∞ (M ) tale che g = 1 in un intorno di x e f g = 0
identicamente. Quindi
0 = v(f g) = f (x)v(g) + g(x)v(f ) = v(f ) .
Passo 2: Per ogni
un unico funzionale lineare vU su C ∞ (U ) per cui valga la (1.1) e
intorno U di x, esiste
∞
tale che vU f|U = v(f ) per ogni f ∈ C (M ).
Basta prendere la funzione g del passo 1 e porre, per f ∈ C ∞ (U ), vU (f ) = v(f g).
Passo 3: Se f è costante in un intorno di x, allora v(f ) = 0.
Per il passo 1, se f = c in un intorno di x, v(f ) = v(c) = cv(1). Ma v(1) = 2v(1) = 0.
Passo 4: Se u = f ◦ ξ −1 (t) = O |t|2 ) per t → 0, allora v(f ) = 0.
Usiamo qui il seguente Lemma di Hadamard: sia u una funzione C ∞ su un intorno V dell’origine in Rm
tale che u(t) = O(|t|2 ). Esistono allora ρij ∈ C ∞ (V ), con i ≤ j ≤ m, tali che, per t ∈ V ,
X
u(t) =
ti tj ρij (t) .
i≤j
−1
−1
P
Siano allora τi = ti ◦ ξ , hij = ρij ◦ ξ , di modo che f = i≤j τi τj hij in un intorno U di x. Essendo
τi (x) = 0 per ogni i, si ha vU (f ) = 0, e dunque v(f ) = 0.
Passo 5: Conclusione.
Sia f una generica funzione in C ∞ (M ). Applicando la formula di Taylor a u = f ◦ ξ −1 , si ottiene che
m
X
X
f = f (x) +
∂j (f ◦ ξ −1 )(0)τj +
τi τj hij
j=1
i≤j
su un intorno U di x. Allora
m
X
v(f ) = vU f|U =
∂j (f ◦ ξ −1 )(0)vU (τj ) .
j=1
Per i passi 1 e 2, i coefficienti aj = vU (τj ) non dipendono dalle scelte fatte.
Siano Φ : M −→ N un’applicazione C ∞ , x ∈ M e v ∈ Tx M . Per f ∈ C ∞ (N ) si ponga
w(f ) = v(f ◦ Φ) .
Si vede facilmente che w ∈ TΦ(x) N . Si pone w = dx Φ(v). Allora
(1.3)
dx Φ : Tx M −→ TΦ(x) N ,
è un’applicazione lineare, detta il differenziale di Φ in x.
Il differenziale di una carta locale ξ su un aperto U in un punto x ∈ U è l’applicazione v 7−→ (a1 , . . . , am )
secondo la (1.2), avendo identificato Tξ(x) Rm con Rm stesso.
Valendo la regola della catena
dx (Φ ◦ Ψ) = dΨ(x) Φ ◦ dx Ψ ,
la composizione
dΦ(x) η ◦ dx Φ ◦ (dx ξ)−1 = dξ(x) (η ◦ Φ ◦ ξ −1 ) : Rm −→ Rn
(con n = dim N ), fornisce la rappresentazione di dx Φ nelle coordinate locali ξ in un intorno di x e η in un
intorno di Φ(x).
Definizione. Una struttura analitica su una varietà differenziabile M è un atlante A = (Ui , ξi ) i∈I tale
che, per ogni scelta di i, i0 ∈ I tali che Ui ∩ Ui0 6= ∅, ξ ◦ ξi−1
sia analitica. Con l’assegnazione dell’atlante A,
0
M si dice una varietà analitica.
Date due varietà analitiche (M, A), (N, A0 ), una funzione Φ : M −→ N si dice analitica se, per ogni
carta locale (Ui , ξ) ∈ A e (Uj0 , ηj ) ∈ A0 , la composizione η ◦ Φ ◦ ξ −1 , se definita, è analitica.
2. CAMPI VETTORIALI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI
109
2. Campi vettoriali su varietà differenziabili
Definizione. Sia M una varietà differenziabile. Si chiama campo vettoriale su M una derivazione su
C ∞ (M ), cioè un operatore lineare X : C ∞ (M ) −→ C ∞ (M ) per cui valga la formula di Leibniz
X(f g)(x) = f (x)(Xg)(x) + g(x)(Xf )(x) .
Lemma 2.1. Dato un campo vettoriale X su M , per ogni x ∈ M , il funzionale
Xx : f 7−→ (Xf )(x) ,
(2.1)
è un vettore tangente a M in x.
Proposizione 2.2. Un operatore lineare X : C ∞ (M ) −→ C ∞ (M ) è un campo vettoriale
se e solo se, data
comunque una carta locale ξ su un aperto U , esistono funzioni a1 , . . . , am ∈ C ∞ ξ(U ) , con m = dim M ,
tali che, per ogni x ∈ U ,
m
X
aj ξ(x) ∂j (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) .
(2.2)
Xf (x) =
j=1
Dimostrazione. Sia X un campo vettoriale su M e ξ una carta locale su U . per ogni x ∈ U , sia Xx
il vettore tangente in x dato dalla (2.1). Allora, per la Proposizione 1.1, esistono α1 (x), . . . , αm (x) reali tali
che
m
X
αj (x)∂j (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) .
Xx (f˜) =
j=1
Ponendo aj = αj ◦ ξ
che f ◦ ξ −1 (t) = tj .
−1
, si ha la (2.2). Per dimostrare che le aj sono C ∞ su ξ(U ), basta prendere f tale
Siano ora X, Y due campi vettoriali su M , e sia ξ una carta locale su U . Siano
m
m
X
X
bj ξ(x) ∂j (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) ,
aj ξ(x) ∂j (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) ,
Y f (x) =
Xf (x) =
j=1
j=1
le rappresentazioni di X e Y nella carta locale ξ. Allora la composizione XY si rappresenta nella forma
m
m
X
X
XY f (x) =
aj ξ(x) ∂j
bk ξ(x) ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x)
=
j=1
m
X
k=1
aj ξ(x) bk ξ(x) ∂j ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x)
j,k=1
m
X
+
aj ξ(x) ∂j bk ξ(x) ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) .
j,k=1
Analogamente,
Y Xf (x) =
m
X
bj ξ(x) ak ξ(x) ∂j ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x)
j,k=1
+
m
X
bj ξ(x) ∂j ak ξ(x) ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) .
j,k=1
Quindi il commutatore [X, Y ] = XY − Y X di X e Y è uguale a
[X, Y ]f (x) =
m
X
k=1
ck ξ(x) ∂k (f ◦ ξ −1 ) ξ(x) ,
110
D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE
dove
(2.3)
ck =
m
X
(aj ∂j bk − bj ∂j ak ) .
j=1
Proposizione 2.3. Sia u : M −→ N un diffeomorfismo tra varietà differenziabili. Dato un campo vettoriale
X su M , si indica con u∗ X il campo vettoriale su N definito da ciascuna delle due condizioni equivalenti:
(i) per ogni f ∈ C ∞ (N ),
(u∗ X)f (y) = X(f ◦ u) u−1 (y) ;
(2.4)
(ii) per ogni x ∈ M ,
(2.5)
(u∗ X)u(x) = (dx u)Xx .
L’applicazione u∗ è lineare e vale l’uguaglianza
[u∗ X, u∗ X 0 ] = u∗ [X, X 0 ] ,
(2.6)
per ogni coppia di campi X, X 0 su M .
Dimostrazione. La prima parte segue facilmente dalla definizione di campo vettoriale e dalla definizione di dx u in (1.3). Per la seconda, basta osservare che la (2.4) consente di definire u∗ (XX 0 ) con X, X 0
campi vettoriali, e vale l’uguaglianza u∗ (XX 0 ) = (u∗ X)(u∗ X 0 ).
3. Flusso generato da campi vettoriali
Il flusso generato da un campo vettoriale viene qui studiato su un aperto Ω di Rn . I risultati saranno
facilmente estendibili a flussi su varietà, utilizzando carte locali.
Un campo vettoriale X su Ω ha la forma
(3.1)
X=
n
X
aj (x)∂xj .
j=1
con le funzioni a(x) reali e C ∞ su Ω. Il vettore Xx = a1 (x), . . . , an (x) indica la derivata direzionale che il campo calcola nel punto x.
Fissatot x0 ∈ Ω, consideriamo il problema di Cauchy
(
γ 0 (t) = Xγ(t)
.
(3.2)
γ(0) = x0 ,
di cui cerchiamo una soluzione γ : (−ε, ε) → Ω. Il seguente risultato è ben noto.
Teorema 3.1.
(i) Per ogni x0 ∈ Ω il problema (3.2) ha un’unica soluzione γx0 (t) definita su un massimo intervallo
aperto Ix0 contenente 0.
(ii) Dato K ⊂ Ω compatto, esiste εK > 0 tale che γx sia definita per |t| < εK , qualunque sia x ∈ K.
(iii) L’applicazione
ΦX (x, t) = γx (t)
è C ∞ sul suo dominio.
3. FLUSSO GENERATO DA CAMPI VETTORIALI
111
(iv) Più in generale, se
Xy =
n
X
aj (x, y)∂xj
j=1
è una famiglia di campi vettoriali con coefficienti C ∞ in x e y, e γy,x0 (t) è la soluzione del problema
(3.2) relativa a X y , allora l’applicazione (x, y, t) 7−→ γy,x (t) è C ∞ .
Poniamo
AX = (x, t) : t ∈ Ix = dom ΦX .
Per t fissato, sia Ωt = {x : (x, t) ∈ AX } ⊆ Ω, cioè l’insieme degli x tali che γx (t) sia definita, e sia
ϕX,t : Ωt → Ω data da
ϕX,t (x) = γx (t) .
S
S
Allora Ωt è aperto, t>0 Ωt = t<0 Ωt = Ω, e ϕX,t è C ∞ su Ωt .
Segue dal Teorema 3.2(i) che vale l’identità
γγx (s) (t) = γx (t + s) ,
Iγx (s) = Ix − s ,
per cui
ΦX ΦX (x, t), s = ΦX (x, t + s) ,
Ovviamente, ϕX,0 = Id.
ϕX,t ◦ ϕX,s = ϕX,s ◦ ϕX,t = ϕX,t+s .
Definizione. La funzione ΦX si chiama il flusso generato da X su Ω.
Il Teorema 3.1 consente la seguente caratterizzazione dei flussi di campi vettoriali.
Proposizione 3.2. Sia A ⊂ Ω×R un aperto contenente Ω×{0} e verticalmente connesso, e sia Φ : A −→ Ω
una funzione C ∞ tale che, posto ϕt (x) = Φ(x, t), si abbia ϕ0 = Id e ϕt ◦ ϕt0 = ϕt+t0 quando la composizione
ha senso.
Ponendo
d
f ◦ ϕt ,
(3.3)
Xf =
dt |t=0
X è un campo vettoriale su Ω e Φ è la restrizione ad A del flusso generato da X.
Dimostrazione. Chiaramente X applica C ∞ (Ω) in sé e soddisfa la formula di Leibniz.
Inoltre, dato x0 ∈ Ω, sia γx0 (t) = ϕt (x0 ). Per la (3.3)
Xx0 = γx0 0 (0) .
Inoltre,
γx0 0 (t) = lim
h→0
1
ϕt+h (x0 ) − ϕt (x0 )
h
ϕh ϕt (x0 )
d
dh |h=0
= Xγx0 (t) .
=
Poiché γx0 (0) = x0 , la conclusione segue dal Teorema 3.1 (i).
Definizione. Sia ΦX il flusso generato dal campo vettoriale x, e sia t0 ∈ R tale che Ωt0 6= ∅.
Data f ∈ C ∞ (Ω), la funzione f Φ(x, t0 ) , definita su Ωt0 , si chiama esponenziale di X in t0 e si indica
con exp(t0 X)f (x).
Si noti che la notazione è consistente, perché vale l’identità, desumibile dal Teorema 3.1,
ΦX (st, x) = ΦsX (t, x) .
Lemma 3.3. L’esponenziale di X soddisfa le seguenti proprietà:
(i) exp(0X) = I;
112
D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE
−1
(ii) exp(−tX) = exp(tX)
;
(iii) exp (t + s)X = exp(tX) exp(sX);
d
exp(tX) = X exp(tX) = exp(tX)X;
(iv) dt
(v) per f ∈ Cc∞ (Ω) e k ∈ N,
(3.4)
exp(tX)f (x) =
k
X
tj
j=0
dove il resto Rk f (x, t) = exp(tX)f (x) −
j!
Pk
X j f (x) + O(tk+1 ) ,
j=0
tj j
X f (x) ∈ C ∞ (AX ), dipende in modo continuo da
j!
f e X;
(vi) Se u : Ω −→ Ω0 è un diffeomorfismo, allora
Φ0 (y, t) = u ◦ Φ(·, t) ◦ u−1 (y)
è il flusso generato dal campo X 0 = u∗ X su Ω0 .
Dimostrazione. I punti (i) e (iii) seguono direttamente dalle corrispondenti proprietà del flusso generato da X, e (ii) ne discende per conseguenza.
Per provare (iv), osserviamo che per ogni x nel dominio di ϕX,t e per ogni f ,
d
Xf (x) =
f ϕX,s (x) .
ds |s=0
Quindi
d
d
exp(tX)f (x) =
exp (s + t)X f (x)
dt
ds |s=0
d
=
exp(sX) exp(tX)f (x)
ds |s=0
= X exp(tX)f (x) ,
ma anche
d
d
exp(tX)(x) =
exp(tX) exp(sX)f (x)
dt
ds |s=0
= exp(tX)Xf (x) .
La (3.4) segue da (iv) per iterazione e la continuità di Rk si verifica facilmente. Infine la (vi) segue
facilmente dalla Proposizione 3.2.
Consideriamo ora due campi vettoriali su Ω,
X=
n
X
aj (x)∂xj ,
j=1
Y =
n
X
bj (x)∂xj ,
j=1
con mappe esponenziali exp(sX), exp(tY ).
Fissato s, consideriamo la coniugazione
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) ,
di exp(tY ) per exp(sX), data da
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX)f (x) = f ϕX,−s ◦ ϕY,t ◦ ϕX,s (x) .
Poniamo
Ψ(x, t) = ϕX,−s ◦ ϕY,t ◦ ϕX,s (x) .
Per la (vi) del Lemma 3.3, esiste un campo vettoriale Ys su Ωs tale che Ψ = ΦYs , cioè.
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) = exp(tYs ) .
3. FLUSSO GENERATO DA CAMPI VETTORIALI
113
Chiamiamo Ys l’aggiunto di Y per exp(sX) e scriviamo
Ys = Ad exp(sX) Y .
L’espressione di Ys si ottiene derivando in t = 0:
d
Zt f (x)
dt |t=0
d
exp(tY )(f ◦ ϕX,−s ) ϕX,s (x)
=
dt |t=0
= Y (f ◦ ϕX,−s ) ϕX,s (x)
Ys f (x) =
(3.5)
= exp(sX)Y exp(−sX)f (x) .
Ora, l’applicazione
(s, x) 7−→ Y (f ◦ ϕX,−s ) ϕX,s (x)
è C ∞ , e dunque possiamo definire un nuovo campo vettoriale derivando in s = 0:
d
d
d
ad(X)Y =
Ad exp(sX) Y =
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX)f (x) .
ds |s=0
ds |s=0 dt |t=0
Poiché al tendere di s a 0, gli aperti Ωs invadono Ω, ad(X)Y è definito su tutto Ω. Dalla (3.5) si ottiene
che
d
exp(sX)Y exp(−sX)f (x)
ds |s=0
= XY f (x) − Y Xf (x) .
ad(X)Y f (x) =
(3.6)
Quindi
ad(X)Y = XY − Y X = [X, Y ] .
(3.7)
L’importanza del commutatore di X e Y sta nel fatto che contiene in sé “a livello infinitesimale” le
informazioni sulle prorietà di commutazione tra i relativi esponenziali.
Proposizione 3.4. Le seguenti proprietà sono equivalenti:
(i) esiste δ > 0 tale che exp(sX) exp(tY ) = exp(tY ) exp(sX) per ogni s, t con |s|, |t| < δ;
(ii) esiste δ > 0 tale che Y exp(sX) = exp(sX)Y per ogni s con |s| < δ;
(iii) XY = Y X;
(iv) esiste δ > 0 tale che exp(sX) exp(tY ) = exp(sX + tY ) per ogni s, t con |s|, |t| < δ.
Inoltre, se tali proprietà valgono, le identità in (i), (ii), (iv) si estendono a tutti i valori di s, t per cui le
composizioni hanno senso, sugli opportuni sottoinsiemi di Ω.
Dimostrazione. Se vale (i) e |s| < δ,
exp(tYs ) = exp(tY )
for |t| < δ. Derivando per t = 0, si ottiene che Ys = Y , da cui segue la (ii).
Dalla (ii), si ottiene (iii) derivando in s = 0.
Viceversa, se vale la (iii), derivando in s per ogni s,
d
d
Ad exp(sX) Y =
exp(sX)Y exp(−sX)
ds
ds
= exp(sX)XY exp(−sX) − exp(sX)Y X exp(−sX)
= exp(sX)[X, Y ] exp(−sX)
=0.
Quindi Ad exp(sX) Y non dipende da s, ed è dunque costantemente uguale a Y . Questo formisce la
(ii), per tutti i valori di s per cui la composizione ha senso.
114
D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE
Se vale la (ii), Ys = Y , e dunque exp(tYs ) = exp(tY ), il che dà la (i), per tutti i valori di s, t per cui la
composizione ha senso.
Mostriamo ora che, se vale la (iii), vale anche la (iv), ponendo t = αs.
Essendo [X, αY ] = [X, X + αY ] =
[Y, X +αY ] = 0, per la (i) il prodotto T (s) = exp(−sX) exp s(X +αY ) exp(−sαY ) non dipende dall’ordine
dei tre fattori. Quindi,
T 0 (s) = (X + αY − X − αY )T (s) = 0 ,
e dunque T (s) = Id, cioè
exp s(X + αY ) = exp(sX) exp(sαY ) ,
che dà la (iv).
Viceversa, se vale la (iv), T (s) è costante, e dunque
T 0 (s) = − exp(−sX)X exp s(X + αY ) exp(−sαY )
+ exp(−sX) exp s(X + αY ) (X + Y ) exp(−sαY )
− exp(−sX) exp s(X + αY ) Y exp(−sαY )
= − exp(−sX)X exp s(X + αY ) exp(−sαY )
+ exp(−sX) exp s(X + αY ) X exp(−sαY )
=0.
Quindi X exp s(X + αY ) = exp s(X + αY ) X, da cui [X, X + αY ] = [X, Y ] = 0. Questo dà la
(iii).
4. La formula di Baker-Campbell-Hausdorff
La formula di Baker-Campbell-Hausdorff consente di sviluppare, nei parametri s, t, prodotti exp sX exp tY
di esponenziali di due campi vettoriali X e Y su Ω. Dal punto di vista formale, queste composizioni si comportano come i prodotti esA etB di esponenziali di matrici quadrate, definiti dalla serie esponenziale (sempre
convergente)
∞
X
1 k
eA =
A .
k!
k=0
Il motivo sta nell’identità generale che presentiamo (senza dimostrazione) in un contesto astratto.
Indichiamo con A[x, y] l’algebra su R con unità, liberamente generata da due elementi x, y. Questa
si rappresenta come l’algebra dei “polinomi non commutativi” (nel senso che non si assume xy = yx) a
coefficienti reali in x e y, per i cui i monomi di grado k sono
xk , xk−1 y , xk−2 yx , · · · , yxk−1 , . . . , xi1 y j1 xi2 y j2 · · · xi` y j` , . . .
con i1 + j1 + · · · + i` + j` = k.
Sia poi A[[x, y]] l’algebra delle serie formali “non commutative” in x, y, ossia delle espressioni del tipo
precedente, ma anche di lunghezza infinita:
∞
X
u=
pk (x, y) ,
k=0
dove i pk sono polinomi (non commutativi) omogenei di grado k.
La struttura di algebra è quella ovvia, con il prodotto dato dalle giustapposizioni, a due a due, dei
monomi di ciascun fattore.
Trattandosi di un’algebra non commutativa, assumono un ruolo particolare i commutatori
[u, v] = uv − vu ,
4. LA FORMULA DI BAKER-CAMPBELL-HAUSDORFF
115
di coppie di elementi di A[[x, y]]. In particolare, ci interessano il commutatore [x, y] e i loro “commutatori
iterati”.
Per k1 , k2 ≥ 1, chiamiamo commutatori di bi-grado (k1 , k2 ) di x, y gli elementi ottenuti iterativamente
come segue:
• [x, y] ha bi-grado (1, 1);
• hanno bi-grado (k1 , k2 ) gli elementi della forma [x, u] con u di bi-grado (k1 − 1, k2 ) e [y, v], con v
di bi-grado (k1 , k2 − 1).
Si noti che in base alle due proprietà fondamentali dei commutatori in un’algebra associativa,
• [a,
b] = −[b,a];
• a, [b, c] + b, [c, a] + c, [a, b] = 0 (identità di Jacobi),
si può dimostrare per induzione che il commutatore di un commutatore di x, y di bi-grado (k1 , k2 ) e un
commutatore di bi-grado (k10 , k20 ) è combinazione lineare dei commutatori di bi-grado (k1 + k10 , k2 + k20 ), per
es.
i
h h h h h
ii h h
ii
ii h h ii
x, [x, y] , [x, y] = − x, y, x, [x, y]
− y, x, [x, y] , x = − x, y, x, [x, y]
+ y, x, x, [x, y]
.
Dato u =
l’espressione
P∞
k=1
pk (x, y) (cioè mancante del termine di grado 0) in A[[x, y]] è ben definita in A[[x, y]]
eu =
∞
X
1 k
u .
k!
k=0
In particolare, sono ben definiti ex ed ey .
Teorema 4.1 (Formula di Baker-Campbell-Hausdorff). Il prodotto ex ey in A[[x, y]] è uguale a eu , dove
(4.1)
u = u(x, y) = x + y +
∞
X
ck1 ,k2 (x, y) ,
k1 ,k2 =1
dove ogni ck1 ,k2 (x, y) è una combinazione lineare dei commutatori di bi-grado (k1 , k2 ) di x e y.
I primi termini della sommatoria sono
1
1
1
x, [x, y] −
y, [x, y] + · · ·
u = x + y + [x, y] +
2
12
12
Al di là delle espressioni esplicite, è utile sapere che esiate una tale espressione “universale”, e che essa
dà luogo a identità concrete in varie situazioni.
Esempi.
1. In un’algebra di Banach A, ossia un’algebra che sia uno spazio di Banach e in cui valga la
disuguaglianza
kxyk ≤ M kxkkyk ,
per qualche M > 0, l’esponenziale ex si definisce attraverso la serie esponenziale. Si può verificare1
che i termini ck1 ,k2 (x, y) soddisfano la disuguaglianza
ck ,k (x, y) ≤ Crk1 +k2 kxkk1 kykk2 ,
1 2
con r > 0, per cui la serie (4.1) converge normalmente per kxk, kyk < r−1 , e vale l’uguaglianza
ex ey = eu .
Questo vale in particolare se A è l’algebra delle matrici quadrate n × n.
1Per maggiori dettagli, si veda V. S. Varadarajan, Lie groups, Lie algebras and their representations, 1974.
116
D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE
2. Siano X, Y campi vettoriali su Ω ⊂ Rn . Supponiamo che esista m ∈ N tale che i commutatori di
bi-grado (k1 , k2 ) con k1 + k2 = m siano identicamente nulli su Ω. In tal caso la serie (4.1) si riduce
a una somma finita di campi vettoriali. Più in generale, poniamo, per s, t ∈ R,
X
Us,t = sX + tY +
ck1 ,k2 (sX, tY )
k1 ,k2 ≥1 , k1 +k2 <m
X
= sX + tY +
sk1 tk2 ck1 ,k2 (X, Y ) .
k1 ,k2 ≥1 , k1 +k2 <m
Allora, per s, t sufficientemente piccoli,
exp(sX) exp(tY ) = exp(Us,t ) .
Nell’Esempio 2 le ipotesi su X e Y sono molto forti. Tuttavia per campi generali ci si può limitare a
formule con resto, sul modello degli sviluppi di Taylor. Diamo il seguente enunciato senza dimostrazione.
Teorema 4.2. Siano X e Y campi vettoriali su Ω. Per m ∈ N, poniamo
X
m
Us,t
= sX + tY +
sk1 tk2 ck1 ,k2 (X, Y ) .
k1 ,k2 ≥1 , k1 +k2 ≤m
m
)f (x) sia ben definito per x ∈ K e
Dato un compatto K ⊂ Ω, esiste ε = ε(K, m) > 0 tale che exp(Us,t
|s|, |t| < ε. Inoltre
m
∂sj ∂tk exp(sX) exp(tY )f (x) |s=t=0 = ∂sj ∂tk exp(Us,t
)f (x)
|s=t=0
per j + k ≤ m, di modo che
m
exp(sX) exp(tY )f (x) = exp(Us,t
)f (x) + O |s||t|(|s| + |t|)N −1 .
Con m = 2 si ha
st
exp(sX) exp(tY )f (x) = exp sX + tY + [X, Y ] + O |s||t|(|s| + |t|) f (x)
2
st
= exp sX + tY + [X, Y ] f (x) + O |s||t|(|s| + |t|) .
2
Altre formule ricavabili facilmente sono
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) = exp tY + st[X, Y ] + O |s||t|(|s| + |t|)
(4.2)
exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) exp(−tY ) = exp st[X, Y ] + O |s||t|(|s| + |t|) .
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