UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO FACOLTÀ DI PSICOLOGIA Corso di Laurea in Discipline Psicosociali Elaborato finale In Psicobiologia del Comportamento Umano Profili teorici e Neuropsicologici della schizofrenia Relatore: Walter Adriani Prof: Giusy Olivito Candidato: Giorgia Germoleo Matr: 2285HHHCLDIPSI Anno Accademico 2014/2015 1 Ringraziamenti Servirebbero varie pagine per citare tutte le persone che vorrei ringraziare, ma non è possibile per cui sarò breve. Il primo grande ringraziamento è rivolto ai miei genitori, perchè mi sono sempre stati accanto e non mi hanno mai fatto mancare il sostegno e la fiducia in questi anni universitari e nella vita in generale:” la sicurezza di poter contare sempre su di voi è un punto di riferimento indispensabile”. Un grazie va a mio fratello,” senza di te la mia vita sarebbe infinitamente più noiosa, per cui non ti cambierei con nessuno mai”! Graie alla mia numerosa famiglia : ai miei zii e alle mie zie che mi hanno sempre coccolata e ascoltata. Un profondissimo grazie ai miei amici e soprattutto alle mie amiche compagne inseparabili, consapevole di essere fortunata essendo circondata da persone su cui poter contare in ogni istante e per ogni circostanza della mia vita. Infatti molte di voi mi sono state vicine nei momenti più belli e meno belli della mia vita, percorrendo tutte le tappe della crescita insieme. Un ringraziamento speciale va poi ai miei nonni, che oggi sarebbero orgogliosi di me, perchè anche se non ci sono più, li porto sempre nel mio cuore per tutti i momenti meravigliosi che abbiamo passato insieme. Grazie alla mia nonna Francesca che si preoccupa per me , mi sta vicino e cerca sempre di darmi consigli Vorrei ringraziare il prof Walter Adriani relatore di questa tesi ,per la supervisione, la disponibilità e il prezioso aiuto prestato anche a distanza. GRAZIE 2 INDICE Introduzione 5 CAPITOLO I- La schizofrenia: teorie e approcci di studio 7 1.1 Definizione ed evoluzione concettuale 7 1.2 La classificazione della schizofrenia 14 1.2.1 La schizofrenia paranoide 14 1.2.2 La schizofrenia ebefrenica 15 1.2.3 La schizofrenia catatonica 15 1.2.4 La schizofrenia semplice 16 1.2.5 La schizofrenia paranoide 16 1.3 Principali tipi di approccio 18 1.3.1 Approccio genetico 18 1.3.2 La psicofarmaco terapia della schizofrenia 21 1.3.3 Approccio psicodinamico 24 1.3.4 Approccio cognitivo 26 1.3.5 La scuola fenomenologico-esistenzialista 29 1.4 Il modello vulnerabilità – stress – coping 30 3 CAPITOLO II – Studio delle aree cerebrali e deficit cognitivi 32 2.1 Anomalie cerebrali nella schizofrenia 32 2.2 Principali disfunzioni cerebrali di carattere neuropsicologico 35 2.2.1 Il lobo temporale 36 2.2.2. Il lobo parietale 36 2.2.3 Il lobo frontale 37 2.2.4 Il lobo occipitale 37 2.2.5 Il corpo calloso 38 2.3 Descrizione dei deficit cognitivi 38 2.3.1 L’attenzione 39 2.3.2 La memoria 39 2.3.3 Le emozioni 40 2.3.4 La percezione 42 2.3.5 Il movimento 44 2.3.6 Il linguaggio 45 48 2.3.7 Il pensiero Conclusioni 49 Bibliografia 51 Sitografia 53 4 INTRODUZIONE Il presente elaborato è volto ad esaminare una tematica non solo importante, ma anche notevolmente complessa, quale è la schizofrenia. L’obiettivo è quello di approfondire e comprendere i vari aspetti della malattia. Ebbene, il termine schizofrenia, deriva dalla parola greca “schizophreneia” significa letteralmente “mente divisa”; tale patologia rappresenta un disturbo mentale che rende difficile distinguere ciò che è reale e ciò che non lo è, di pensare in modo chiaro, avere normali risposte emotive ed agire normalmente nelle situazioni sociali. Dunque, la schizofrenia corrisponde ad una sorta di disgregazione della personalità e si caratterizza per un accentuato deterioramento mentale a cui conseguono alterazioni del pensiero, dell’affettività e del comportamento, inoltre, nel paziente schizofrenico vi è una mancanza della percezione della realtà, la quale appare distorta e falsificata. La schizofrenia, dunque, è una malattia cronica, che può manifestarsi in uno stato acuto predominato da sintomi positivi, quali deliri, allucinazioni e disturbi del pensiero, ed un decorso cronico che si verifica sia attraverso la presenza di sintomi positivi che negativi, quali ad esempio l’appiattimento affettivo, la povertà del linguaggio e del pensiero. E’ possibile individuare tra le cause che determinano questo tipo di patologia, molteplici fattori di carattere ereditario, biologico, psicologico e socio-ambientale. A tal fine, con la stesura del primo capitolo, sono stati riportati alcuni cenni storici che delineano il percorso dei primi studi, volti alla comprensione della malattia, fino ad individuare moderni ed attuali criteri di diagnosi e di classificazione. 5 Nello specifico, il lavoro esamina il pensiero di autori quali Kraepelin e Bleuler, i quali agli inizi del ‘900 fornirono i primi contributi per una maggiore comprensione della malattia, sia dal punto di vista strettamente eziologico, sia da quello puramente descrittivo. Inoltre, si è cercato di analizzare tale patologia, mediante la scomposizione dei vari elementi che la definiscono, descrivendo il ruolo dei vari approcci di studio verso i fattori che la determinano. Il secondo capitolo, invece, è volto a descrivere lo studio delle diverse aree cerebrali coinvolte nella schizofrenia attraverso un maggiore interesse per i deficit cognitivi che la stessa comporta. In particolare, verranno esaminati gli aspetti che coinvolgono l’attenzione, la memoria, le emozioni, la percezione, il movimento, il linguaggio ed il pensiero dei pazienti schizofrenici. 6 CAPITOLO I LA SCHIZOFRENIA:TEORIE ED APPROCCI DI STUDIO 1.1.– Definizione ed evoluzione concettuale La schizofrenia, rappresenta una malattia molto complessa, in quanto, la stessa interpretazione del mondo che il paziente schizofrenico fornisce appare di difficile comprensione, e rappresenta il prodotto dei suoi processi mentali, permeato dalle sue angosce, dalle sue paure, dai suoi desideri. Il suo mondo interno, infatti, viene proiettato quasi senza filtro nella realtà esterna e si confonde con essa, fino a renderne impossibile la separazione, pertanto, appare molto complesso per il clinico o per chi si trova a contatto con tali soggetti entrare nella realtà del paziente, comprendere il suo linguaggio ed analizzare i suoi simboli. Tuttavia, l’esperienza schizofrenica ha, per chi la vive, un forte senso di realtà ed invade la mente e la psiche al punto tale da divenire un tassello fondamentale dell’identità. Dunque, data la complessità dell’argomento, è utile porre in essere un’accurata disamina storica in grado di descrivere il percorso che, dai primi studi volti alla comprensione della malattia, giunga fino ai moderni ed attuali criteri di diagnosi e classificazione. Nel XX secolo, l’indirizzo medico della psichiatria, affronta lo studio della malattia mentale proponendo molteplici sistemi di classificazione dei disturbi psichici ed, in particolare, i sistemi nosografici. 7 Kraepelin, è il primo autore che ha tentato di strutturare, con una sola definizione per una diagnosi, il concetto che egli chiamò “dementia praecox”, per descrivere un gruppo di disturbi, apparentemente eterogenei, come facenti parte di un’unica patologia la cui diagnosi e prognosi sono irreversibili. Attraverso i suoi studi e attraverso la pubblicazione delle sue opere ha determinato una spaccatura generazionale all'interno della psichiatria italiana. Con le rinnovate edizioni dei suoi trattati, lo psichiatra tedesco, ha consolidato l'impianto della psichiatria ad indirizzo clinico, venendo così a creare un divario tra coloro che consideravano la psichiatria come una disciplina risucchiata dai problemi della gestione manicomiale, e le cosiddette "giovani leve", attratte dalla novità d'impostazione di tale disciplina messa in luce dallo stesso Kraepelin. Infatti, secondo questo tipo di impostazione, i pazienti sono destinati ad un complessivo e progressivo deterioramento delle funzioni cognitive (dementia) che, però, insorge in età precoce (praecox). Essenzialmente, i sintomi di tale patologia descritti dallo psichiatra tedesco sono: allucinazioni, deliri, emotività inadeguata, diminuzione dell’attenzione, negativismo, comportamento stereotipato e decadimento progressivo, pur non avendo il paziente alcuna lesione al sistema nervoso. Inoltre, lo stesso, fornisce una descrizione della malattia, oltre che sotto forma catatonica, attraverso sintomi quali “l’inerzia, l’ipercinesia, la teatralità delle espressioni, la forma ebefrenica”1, anche sotto il profilo della paranoide. Successivamente, nel 1911, lo psichiatra svizzero, Eugen Bleuler, pubblica un trattato intitolato “Dementia Praecox oder die gruppe der Schizophrenien”, nel CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p. 15 1 8 qual pone in essere alcune critiche all’interpretazione fornita da Kraepelin, ed individua una caratteristica essenziale di questo disturbo, ossia la dissociazione delle funzioni psichiche. Il termine “schizofrenia”, significa “scissione della mente”, dunque, proprio in relazione a questo aspetto possono essere individuati i sintomi di tale patologia. A tal fine, Bleuler nel suo trattato descrive la schizofrenia come “un gruppo di psicosi a decorso a volte cronico, a volte, invece, caratterizzato da attacchi intermittenti, che può arrestarsi o regredire in qualsiasi stadio, ma che non permette una completa restitutio ad integrum”2. Dunque, la malattia si caratterizza per un tipo specifico di alterazione del pensiero, dell’affettività e delle relazioni con il mondo esterno; tali sintomi non si ritrovano in altri disturbi. I sintomi fondamentali, chiamati “4A”, sono: l’autismo, l’ambivalenza affettiva, l’anaffettività, l’associazione alterata di idee. Rispetto a Kraepelin, Bleuler individua come causa della schizofrenia l’elemento psicologico del disturbo delle associazioni. Tale impostazione viene nuovamente messa in discussione anni dopo, da Silvano Arieti, il quale nel suo “Manuale di psichiatria”, pone in essere una breve descrizione della malattia, analizzando un periodo, da lui definito “di esordio”, generalmente tra la pubertà e i 30 anni circa, caratterizzato da alcune anomalie nel comportamento. Si tratta di deliri a carattere negativo, come quelli di persecuzione e, in uno stadio successivo della malattia, anche di deliri a carattere positivo, come ad 2 BLEULER E., “Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie”, Carocci Editore, Roma 9 esempio illusioni o immaginazioni. L’autore definisce tali sintomatologie come “percezioni insorte senza che ne sia responsabile un oggetto o uno stimolo del mondo esterno” 3 . In particolar modo, all’inizio della malattia, il paziente può manifestare altri sintomi nevrotici come astenia e sintomi ipocondriaci. Anche da un punto di vista affettivo e umorale, per Arieti, il paziente si rivela come “emotivamente incongruo” 4 . La sintomatologia descritta influenza anche il linguaggio e la parola che presentano determinate caratteristiche. Invero, non sempre si riesce a comprendere ciò che il paziente vuole comunicare, e questo, a causa dell’uso di parole non collegate le une alle altre, di termini usati ripetutamente in modo stereotipato o di neologismi. Un’ulteriore caratteristica della schizofrenia riguarda l’assenza, nel paziente, della consapevolezza della propria malattia, tranne che si tratti di casi lievi. Allo stato attuale uno dei sistemi di riferimento maggiormente utilizzati per effettuare una diagnosi sulla schizofrenia, è il “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”. Ebbene, questo sistema di classificazione psicopatologica fornisce un linguaggio comune di comunicazione tra gli operatori di formazione diversa. È possibile suddividere la sua struttura in cinque Assi: nell’Asse I sono collocati i disturbi clinici e quindi tutto ciò che può essere oggetto dell’attenzione clinica; nell’Asse II, i disturbi della personalità e il ritardo mentale; nell’Asse III, i disturbi e le condizioni fisiche; nell’Asse IV, la gravità degli eventi psicosociali stressanti; nell’Asse V, la valutazione globale del funzionamento. 3 4 ARIETI S., “Manuale di psichiatria”, vol. II, Bollati Boringhieri, Torino, p. 173 ARIETI S., Op. cit., p.174 10 In realtà è necessario collocare la schizofrenia nell’Asse I, in quanto nel Manuale viene distinta in due grandi categorie: la sintomatologia positiva e la sintomatologia negativa. I sintomi positivi quali, a esempio, i deliri, le allucinazioni, il comportamento catatonico, sembrano riflettere un eccesso delle funzioni normali, mentre i sintomi negativi quali, l’affettività appiattita o la povertà del linguaggio, sono l’espressione di una perdita o diminuzione delle funzioni normali. Il paziente schizofrenico può presentare, come sintomo positivo, anche un “eloquio disorganizzato” 5 , si tratta, infatti, di una manifestazione di un pensiero disorganizzato, mediante il passaggio da un argomento a un altro, o la perdita del filo del discorso. Da un punto di vista strettamente comportamentale e dell’aspetto, il soggetto affetto da schizofrenia appare disordinato e trasandato, mostrando un comportamento sessuale inappropriato o un’agitazione imprevedibile in assenza di stimoli esterni. È possibile includere, tra i sintomi di questa malattia, anche un comportamento motorio catatonico, in quanto “il soggetto riduce la sua reattività all’ambiente, raggiungendo un grado estremo di assenza di consapevolezza, o assumendo una struttura rigida e passiva o, ancora resistendo attivamente alle richieste dell’ambiente”6. Per ciò che concerne i sintomi negativi della schizofrenia, si parla essenzialmente di segnali che rendono il soggetto inespressivo e non reattivo. CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p.21 6 CARLSON N. R.., “Fisiologia del comportamento”, Piccin, Padova, 2001, p.83 5 11 Inoltre, come un precedenza accennato, la alogia e l’abulia portano il soggetto a manifestare i propri pensieri attraverso risposte brevi, laconiche e vuote, tali da renderlo incapace a iniziare e a continuare attività finalizzate a una meta. La presenza dei sintomi fin qui descritti, sia di carattere positivo che di carattere negativo per la durata di un mese, e la loro persistenza per almeno sei mesi, rappresentano uno dei criteri che consente di realizzare una corretta e accurata diagnosi. Tuttavia, il “Manuale dei Disturbi Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, pone in essere alcune specificazioni circa le diagnosi differenziali, ponendo in risalto la distinzione tra gli effetti fisiologici diretti di una sostanza e una diagnosi addizionale. Le prime, infatti, riguardano il disturbo schizo-affettivo e il disturbo dell’umore, mentre la diagnosi addizionale riguarda essenzialmente una diagnosi di disturbo autistico alla quale si può associare una diagnosi di schizofrenia allorquando sussistano deliri e allucinazioni per un mese. È possibile, inoltre, classificare i sintomi negativi in primari e secondari. I sintomi negativi primari sono persistenti e rappresentano una parte centrale della sintomatologia, i secondari, invece, sono legati ad altre tipologie di fattori, quali il trattamento con farmaci antipsicotici e la sintomatologia positiva. L’età di esordio della schizofrenia viene generalmente collocata tra i 18 e i 35 anni, sebbene, anche se con minor frequenza, la schizofrenia può comunque sorgere in età adulta, infatti, raramente vi è un esordio di tale patologia nei bambini. 12 I sintomi negativi frequentemente si rilevano in una fase prodromica, ossia prima dell’episodio acuto psicotico, il quale, nel momento in cui viene individuato, conduce spesso a una ipotesi diagnostica di schizofrenia. In questo contesto, i sintomi negativi appaiono meno evidenti o risultano mascherati, in quanto si manifestano successivamente durante il trattamento farmacologico antipsicotico. Dopo un periodo di remissione la sintomatologia positiva può aggravarsi nuovamente in seguito a una ricaduta. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, si evince che i sintomi negativi sono i primi a comparire in una fase prodromica, persistono durante tutto il decorso, e si rendono evidenti nella fase “residuale”, ossia quella in cui la maggior parte dei sintomi principali sono spariti. E’ bene sottolineare che, la maggioranza dei soggetti schizofrenici ha una scarsa consapevolezza del proprio disturbo, in tal caso si parla di “anosognosia” e di perdita dell’esame della realtà. Tali caratteristiche differenziano le malattie psicotiche da quelle nevrotiche, rendendo le prime più gravi e invalidanti delle seconde. 13 1.2 La classificazione della schizofrenia La schizofrenia può essere classificata in quattro sottogruppi: “la forma paranoide, ebefrenica, catatonica e semplice”7. Ebbene, all’inizio del ventesimo secolo tale suddivisione è stata proposta da Breuler, il quale ha ripreso, a sua volta, la classificazione proposta da Kraepelin, ed in Italia, da Arieti. Di seguito, verrà effettuata una breve descrizione dei sottogruppi, adottati prima da Arieti e poi ripresa nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. 1.2.1 La schizofrenia paranoide Si parla di “schizofrenia paranoide” allorquando il paziente si presenta al mondo circostante in una condizione emotiva delirante. La descrizione della schizofrenia paranoide è stata possa in essere da Gilberti e Rossi all’interno del Manuale di psichiatria; gli stessi descrivono le conseguenze di tale patologia nel rapporto con la realtà e assegna ad essa significati nuovi di natura prevalentemente persecutoria, in tal caso il soggetto valuta ed esperisce le relazioni in base a intuizioni e percezioni deliranti. Tuttavia, secondo l’impostazione proposta da Arieti, “la schizofrenia paranoide si manifesta generalmente in età avanzata rispetto agli altri tipi di schizofrenia e il malato che risulta essere affetto da tale patologia, manifesta un 7 BALLERINI A., ROSSI-MONTI M., “La vergogna e il delirio”, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, p. 34 14 atteggiamento collerico, opponente e sprezzante, oppure un atteggiamento sottomesso”8. Inoltre, è possibile distinguere la schizofrenia paranoide per la forte presenza di idee di riferimento e di deliri, nonché di atteggiamenti impulsivi. 1.2.2 La schizofrenia ebefrenica La schizofrenia ebefrenica, secondo Bleuler, è “un tipo di schizofrenia caratterizzata da comportamenti sciocchi, agitati, incontrollabili e bizzarri”9. Per Arieti, invece, il paziente ebefrenico è caratterizzato, talvolta da un umore lievemente depresso, ma per lo più apatico e distaccato e interrotto a tratti da un atteggiamento giocoso, si tratta di un’inadeguatezza affettiva per la quale le risposte che si dà il soggetto risultano inadeguate rispetto allo stimolo. Tra i sintomi del soggetto ebefrenico rientrano anche le alterazioni del linguaggio, i neologismi, le idee ipocondriache e preoccupazioni inerenti il corpo. 1.2.3 La schizofrenia catatonica La schizofrenia catatonica è caratterizzata da stupore, mutismo, manierismo, negativismo, automatismo e impulsività. Il malato catatonico, per Arieti, è incapace di muoversi e di badare a se stesso, in quanto, nella maggior parte dei casi, il paziente affetto da questo tipo di schizofrenia, può assumere posizioni insolite o statuarie e rimanervi anche per ore. 8 9 ARIETI S., “Interpretazione della schizofrenia”, 2 voll., Feltrinelli, Milano, 1978, p.75 BLEULER E., “Schizofrenia”, in Trattato di psichiatria, Feltrinelli, Milano, 1968, p. 63 15 In tal caso, deliri e allucinazioni non sono messi in evidenza in quanto, nonostante siano presenti, non è dato rilevarli a causa delle condizioni nelle quali versa il paziente catatonico. Appare, dunque, abbastanza complicato interagire con questo tipo di paziente, in quanto non si ottiene da lui alcuna risposta. 1.2.4 La schizofrenia semplice Blauler, definisce la schizofrenia semplice come quella patologia che non presenta in modo evidente i sintomi fondamentali quali deliri e allucinazioni. Invero, la stessa si caratterizza per una condizione di distacco emotivo e pragmatico delle attività precedentemente svolte in modo normale dal paziente. Arieti, nel descrivere tale patologia, individua nell’apatia e nel distacco le caratteristiche più frequenti, in quanto, in tal caso, il malato diventa inattivo e limita la sua vita restringendo il suo campo di attività. La descrizione dei sottotipi della schizofrenia, per come finora analizzati, proposta da Blauler e ripresa da Arieti, è in gran parte diversa rispetto a una sua concezione più attuale. Invero, vi sono cinque categorie tra le quali non sono più annoverate la schizofrenia simplex e quella ebefrenica, mentre sono presenti nuovi sottotipi, ossia: il disorganizzato, l’indifferenziato e il residuo. 1.2.5 La schizofrenia paranoide In virtù di ciò, la diagnosi è determinata dal quadro clinico che il paziente presenta al momento della valutazione clinica e della richiesta di trattamento. 16 Dunque, la schizofrenia paranoide si caratterizza per la presenza di deliri e allucinazioni ed i temi persecutori possono indurre nel soggetto comportamenti suicidari e violenti, questo tipo di schizofrenia si manifesta anche con ansia, rabbia, distacco e atteggiamento polemico. In realtà la schizofrenia paranoide viene valutata dal DSM-IV come la forma meno grave di schizofrenia, proprio perché il paziente presenta un adattamento all’ambiente e una capacità di vivere in modo autonomo. La schizofrenia di tipo disorganizzato viene individuata e descritta come la forma più grave di tale patologia in quanto compromette l’esecuzione di attività della vita quotidiana quali farsi la doccia, vestirsi o preparare i pasti. Possono essere indicati come sintomi di tale patologia l’eloquio disorganizzato, il comportamento disorganizzato e l’affettività appiattita. La schizofrenia di tipo catatonico, come già in precedenza descritta da Blauler, riduce la reattività del paziente agli stimoli ambientali, in quanto lo stesso manifesta arresto motorio, con catalessia, mutacismo e assunzione volontaria di posture inadeguate e bizzarre. Anche il linguaggio è un sintomo frequente della schizofrenia di tipo catatonico ed è reso non funzionale dalla prevalenza di risposte ecolaliche. La schizofrenia di tipo indifferenziato è stata aggiunta di recente nella classificazione dei sottotipi della schizofrenia e viene utilizzata per indicare “quel quadro nosofragico composto dai sintomi essenziali per una diagnosi di 17 schizofrenia ma che non soddisfano i criteri per il tipo paranoide, disorganizzato o catatonico”10. Infine, la schizofrenia di tipo residuo non presenta dei sintomi in forma attiva o rilevante, ma in modo residuale, si tratta di una fase intermedia tra un episodio psicotico e una remissione completa. I sintomi positivi e negativi sono attenuati e implicano una manifestazione continua del disturbo. 1.3 Principali tipi di approccio La schizofrenia è una malattia mentale caratterizzata da un’elevata complessità sintomatologica, per tale ragione la disamina di questa patologia non può prescindere da una attenta valutazione di quegli elementi che la rendono riconducibile a determinate categorie. A tal fine, verranno di seguito descritti i vari elementi che la definiscono, tentando di analizzare i vari tipi di approccio allo studio di tale malattia. 1.3.1 Approccio genetico Per quanto riguarda l’approccio genetico, si fa essenzialmente riferimento a una predisposizione genetica che rende l’individuo “potenzialmente” schizofrenico, ossia vulnerabile all’insorgenza di tale malattia. La combinazione di questa vulnerabilità con determinati fattori ambientali e psicologici potrebbe determinare lo sviluppo della schizofrenia in quell’individuo. 10 http://www.jpsychopathol.it, BELLINO S., PARADISO E., ZIZZA M., ZANON C., FULCHERI M., BOGETTO F.,“Il disturbo da dismorfismo corporeo: revisione critica della letteratura”, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino 18 Pertanto, al fine di valutare l’influenza genetica e con l’intento di isolare i fattori di tale natura da quelli ambientali, vengono utilizzati generalmente gli studi familiari, gemellari e di adozioni. I primi si basano sull’osservazione sistematica sulla base della quale un disturbo si presenta frequentemente nella stessa famiglia. Invero, un numero consistente di studi epidemiologici su casi di schizofrenia ha dimostrato un’incidenza della malattia in modo piuttosto elevato nei parenti più stretti dei pazienti. Gli studi familiari, se da un lato hanno il vantaggio di osservare l’insorgenza dei fattori genetici, dall’altro non riescono a porre in essere una distinzione tra tali influenze e quelle di carattere ambientale, in quanto i componenti di una stessa famiglia vivono nello stesso contesto e condividono condizioni ambientali simili. Gli studi gemellari avvengono mediante il confronto tra gemelli monozigoti, i quali condividono lo stesso corredo genetico, e gemelli dizigoti, che hanno in comune solo la metà del corredo genetico. Tale confronto, infatti, consente di evidenziare il ruolo genetico, cercando di diminuire la confusione tra il ruolo innato e quello ambientale. Gli studi gemellari, dunque, hanno dimostrato che il tasso di concordanza nei gemelli dizigoti non è significativamente differente da quello dei fratelli ed è minore rispetto a quello dei gemelli monozigoti. Infine, gli studi di adozioni , sono quelli effettuati su soggetti adottati, svolti con l’intento di rilevare il ruolo genetico nell’eziologia della schizofrenia. Invero, si tratta di un metodo di indagine sperimentale per porre in essere una distinzione tra le influenze genetiche e quelle ambientali. 19 Tali studi che prevedono campioni di soggetti adottati che, in quanto tali, condividono i loro geni con i loro genitori biologici ed il loro ambiente con la famiglia adottiva. Ebbene, dalle suesposte considerazioni, si evince che le modalità di trasmissione genetica di una malattia possano essere legate a più geni o ad un unico gene. Nel caso della schizofrenia, la molteplicità dei sintomi che la caratterizzano rendono difficile collegare la sua trasmissione ad un unico gene, dominante o recessivo. Attualmente, le teorie più consolidate si basano sull’esistenza di un gene maggiore e di una serie di geni secondari. Le ricerche effettuate hanno consentito di individuare specifiche regioni cromosomiche nelle quali vi è la presenza di possibili geni riconducibili al disturbo schizofrenico. In particolare, l’NRG1 (Neuregulin 1), un gene che sembra essere associato al rischio di schizofrenia, “comporta nella sperimentazione un aumento della locomozione dei topi mutanti, che si solevano più volte sulle zampe posteriori e che più volte si strofinano il corpo con le zampe o con la bocca”11. Si tratta di alterazioni del comportamento riconducibili ai deficit cognitivi della schizofrenia. Una di queste alterazioni riguarda il fenomeno della “latent inhibition”(LI), ossia la capacità di escludere dalla coscienza gli stimoli ritenuti irrilevanti per le proprie necessità. In particolare, nei topi mutanti per il gene NRG1 la latent inhibition si manifesta a livelli inferiori rispetto ai topi non mutanti, in quanto nel primo caso i soggetti non CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p. 33 11 20 riescono a classificare uno stimolo come irrilevante. Inoltre, una mutazione della sub unità NR1 del gene NRG1 è associata all’aumento della locomozione, che viene annullato dal trattamento con farmaci antipsicotici, ed una diminuzione dell’interazione sociale, aspetto che richiama la sintomatologia schizofrenica nell’uomo. Dunque, nonostante gli studi appena elencati consentano di individuare l’importanza della genetica nell’eziologia della schizofrenia, non è possibile escludere l’altrettanto importante influenza dei fattori ambientali. Infatti, “l’ambiente rappresenta il contesto in cui il soggetto vive e l’esperienza che caratterizzano il suo sviluppo e che dovrebbe agire su una vulnerabilità di natura genetica”12. I recenti studi dell’International Schizophrenia Consortium “hanno dato una ulteriore conferma alla riconducibilità tra le variazioni nel genoma di pazienti schizofrenici con il disturbo, ma hanno anche individuato particolari e precise variazioni del numero di copie di tratti del DNA”13. Si evince, che vi è una stretta relazione tra particolari variazioni della struttura del genoma ed il disturbo schizofrenico e che delineano una strada verso una diagnosi precoce della schizofrenia. 1.3.2 La psicofarmaco terapia della schizofrenia Le basi biologiche dei sintomi positivi della schizofrenia sono state individuate a partire dalla metà degli anni settanta attraverso la c.d. “ipotesi dopaminergica”14. MUSATTI C., “Trattato di psicoanalisi”, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 91 CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p. 30 14 GERLACH J., CASEY D. E., Drug of Treatment of Schizoprhenia: Myths and Realities, in “Current Opinion of Psichiatry”, 1994, pp. 283-8 12 13 21 Sulla base di tale ipotesi, i deliri, le allucinazioni e gli altri sintomi positivi della malattia sono causati da un’iperattività delle sinapsi regolate dalla dopamina. In un primo momento si era ritenuto che fossero esistenti soltanto due sottoclassi di recettori dopaminergici: D1 e D2, tuttavia successivamente si è scoperto che le sottoclassi di tali ricettori non sono soltanto queste, bensì cinque. Nello specifico, i recettori D2 sono presenti nei neuroni dello striato dorsale, ovvero nel caudato e nel putamen, e del sistema limbico, in particolare nel nucleus accumbens, nell’amigdala, nell’ippocampo e in parte della corteccia cerebrale. Hanno un’affinità elevata per gli antipsicotici (soprattutto per le fenotiazine, i butirrofenoni e i tioxanteni) e sono considerati il sito principale per spiegare l’azione terapeutica di questi farmaci. In proposito, bisogna sottolineare come la potenza clinica degli antipsicotici tipici in pazienti affetti da schizofrenia sia strettamente correlata con la loro affinità per i recettori D2, in quanto tali recettori sono presenti nel caudato e contribuiscono in gran parte a determinare le reazioni avverse di tipo extrapiramidale dovute agli antipsicotici. È possibile far risalire ad una cinquantina di anni fa la ricerca di una sostanza chiamata “clorpromazina”, che fu sperimentata su diversi pazienti con vari disturbi mentali. La clorpromazina venne seguita da altri antipsicotici della stessa classe farmacologica, come la perfenazina e la flufenazina. Attualmente, si trovano in commercio altri quattro antipsicotici atipici: il risperidone, l’olanzapina, la quetiapina e la rirpipazolo. 22 Tra le possibili cause di una iperattività delle sinapsi dopaminergiche vi è il rilascio di dopamina, un aumento della risposta post-sinaptica al rilascio di dopamina e un’attivazione prolungata dei ricettori dopaminergici15. I farmaci antipsicotici, oltre ad avere effetti positivi sulla sintomatologia, sono efficaci anche su alcune funzioni cognitive, le quali sono impoverite in molti pazienti schizofrenici. Nel dettaglio, la clozapina ha effetti rilevanti sull’attenzione, sulla fluidità verbale e su altri tipi di funzioni cognitive come la memoria di lavoro e la memoria spaziale. “Il 25/40% del pazienti schizofrenici, trattati per lungo tempo con farmaci antipsicotici, sviluppano la discinesia tardiva”16. Si tratta, di un disturbo costituito da una serie di movimenti ipercinetici, soprattutto della faccia, del collo e delle estremità, che include movimenti di contrazione labiale, di masticamento, di protrusione linguale, smorfie e movimenti degli arti. Viene definita “tardiva” in quanto generalmente si manifesta in soggetti di età media e dopo due anni di trattamento. Tra gli effetti collaterali di tale terapia vi sono: “la catisia acuta (irrequietezza nella marcia e agitazione), la distonia acuta, la sindrome neurolettica maligna e l’aumento del peso”17. CARPENTER W. T., “L’approccio medico alla diagnosi al trattamento delle schizofrenie”, in “Un modello comprensivo dei disturbi schizofrenici”, a cura di D. B. Feinsilver, Raffaello Cortina, Milano, 2005, p. 154 16 PERUGI G., TORTI C., TRAVIERSO M.C., Gli antipsicotici atipici nei disturbi dell’umore, Istituto di Scienze del Comportamento, Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Sezione di Psichiatria, Università di Pisa, 2008 17 CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p. 40 15 23 Sebbene la terapia farmacologica si presenti come uno strumento indispensabile al fine di consentire l’interazione con il paziente, è necessario evidenziare che questa terapia interviene sulla sintomatologia e non suoi fattori che determinano e scatenano la malattia. 1.3.3 Approccio psicodinamico Un altro tipo di approccio è quello di tipo psicodinamico, all’interno del quale è possibile far rientrare alcuni modelli teorici fondamentali, quali: la psicologia dell’Io, la teoria delle relazioni oggettuali, la psicologia del Se e la teoria dell’attaccamento. In tali teorie è possibile individuare una serie di concetti comuni derivanti dalla psicoanalisi come il modello strutturale tripartito ES, IO e SUPERIO, il funzionamento mentale inconscio, il determinismo psichico e l’importanza delle esperienze infantili. In merito, non può sottacersi l’importanza del contributo offerto da Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, il quale interpreta gli stati nevrotici e psicotici a partire dal modello strutturale delle pulsioni. Dunque, i disturbi nevrotici vengono spiegati come conseguenza di conflitti tra idee incompatibili, riguardanti in particolar modo l’area della sessualità e del fallimento della scarica pulsionale, ne consegue, che tali sintomi sono la manifestazione indiretta e mascherata dei desideri sessuali aggressivi più segreti e rimossi dal paziente. Contributi importanti per l’approccio psicodinamico sono stati forniti anche da Carl Gustav Jung, psichiatra svizzero, tra i più noti seguaci di Freud, da Melanie Clein, la quale ha approfondito lo studio della pulsione distruttiva e delle psicosi, da Wilfre Bion, il quale elabora una teoria psicoanalitica del pensiero, da Harry Stack Sullivan, uno dei maggiori esponenti della “psicoanalisi interpersonale”, da Harold Searles, uno 24 dei maggiori studiosi nell’ambito dalla psicopatologia schizofrenica, e da Ping-Nie Pao, direttore del servizio psicoterapia a Chestnut Lodge, che ha prodotto contributi molto originali nel campo di tale patologia. È opportuno evidenziare che, da Freud in poi il ruolo cruciale svolto dalla famiglia nello sviluppo della personalità umana e dei disturbi mentali è stato oggetto dell’attenzione degli psichiatri. La famiglia è stata identificata il più delle volte solo come ambiente patogeno, dunque, nessuno studio ha potuto sinora dimostrare in maniera convincente l’esistenza di anomalie negli schemi comunicazionali delle famiglia di schizofrenici e nessuna ricerca ha stabilito se questi campioni anomali riferiti alle famiglie di schizofrenici siano la causa o l’effetto di anomalie psicologiche nel membro psicotico della famiglia. Gli schizofrenici che vivono con familiari critici o intrusivi nei loro confronti presentano un tasso di recidive molto più alto rispetto a quelli che vivono con familiari meno ostili ed invadenti. I familiari meno critici e meno ipercoinvolti esercitano un effetto terapeutico positivo sul paziente schizofrenico, poiché la loro presenza conduce a una diminuzione del livello di stimolazione del paziente, mentre è vero il contrario per i familiari maggiormente stressanti. Anche altre forme di stress, presenti nella vita degli schizofrenici, possono innescare recidive ed influenzare il decorso della malattia. Stress di vario tipo giocano un ruolo nell’innescare la psicosi in coloro che sono già vulnerabili e nel condizionare il decorso della malattia già manifesta. 25 1.3.4 Approccio cognitivo Per quanto riguarda l’approccio cognitivo, tra i principali contributi a questo tipo di terapia, si possono annoverare i lavori di Albert Ellis e Aaron T. Beck. Invero, il contesto teorico nel quale queste teorie si sviluppano è quello psicoanalitico, sia in quanto i due autori si sono formati all’interno della stessa scuola, sia in quanto tale contesto è intriso dalla profonda crisi che la metapsicologia freudiana vive negli anni Settanta e Settanta, negli USA, in particolare nel Milieu culturale newyorkese. Si tratta di un momento in cui la metapsicologia freudiana perde di credibilità in quanto viene considerata un insieme di concetti non operazionalizzabili o falsificati nel momento in cui vengono sottoposti a verifica empirica. Questo tipo di crisi, nonostante parta dalla teoria psicoanalitica delle pulsioni, colpisce anche il modo di leggere ed interpretare i disturbi psicopatologici. Beck ed Ellis, cercando di far fronte a tali difficoltà, elaborano una modalità di trattamento più vicina alle esperienze realmente vissute dal paziente e, nello specifico, osservano le rappresentazioni coscienti o preconsce che precedono, accompagnano e seguono uno stato emotivo problematico. Nel metodo appena descritto, il terapeuta cerca di comprendere i disturbi del paziente ponendo come oggetto di indagine non più i contenuti inconsci, quanto piuttosto le errate concezioni e rappresentazioni consce che influenzano il soggetto nella vita di tutti i giorni. Sulla base di questa impostazione, il paziente può mentalizzare tali rappresentazioni e cercare insieme al terapeuta di modificarle. Ebbene, il termine 26 mentalizzare significa fare un pensiero e, quindi, elaborare un contenuto mentale che riguarda se stessi, gli altri, le relazioni. Tuttavia, tale concetto non viene incluso nella comune percezione dell’esperienza poiché le persone ritengono di essere già in contatto coi propri pensieri; la psicoterapia, e in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, introducono invece un altro obiettivo, ossia quello di far sì che le nostre emozioni ed il modo di rapportarci agli altri possano diventare più comprensibili quando identificano gli stati mentali reali che si sono accompagnati a quei vissuti. Lo stesso Beck scrive: “l’uomo possiede la chiave della comprensione e soluzione del suo disturbo psicologico entro il campo della sua coscienza”18. Ne deriva che, per il cognitivismo, il disturbo psicologico è legato a specifici modelli cognitivi che, durante la terapia, attribuiscono interesse al significato che il paziente manifesta per determinate situazioni. L’interpretazione cognitivistica della schizofrenia subisce un ulteriore evoluzione grazie all’apporto fornito da Carlo Perris che, nel suo libro “Terapia cognitiva con i pazienti schizofrenici”, fa riferimento al “modello dinamico interattivo”19. Perris prende in considerazione non soltanto le interazioni tra fattori biologici, psicologici, sociali e culturali che influenzano la predisposizione di un individuo alla psicopatologia, ma anche l’integrazione continua tra l’individuo vulnerabile e l’ambiente. 18 19 BECK A. T., “Principi di terapia cognitiva”, Astrolabio, Roma, 1984, p. 77 PERRIS C., “Terapia cognitiva con i pazienti schizofrenici”, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, p. 132 27 Sulla base di tale impostazione, non vi è un solo fattore eziologico ma vi sono più fattori che determinano la vulnerabilità dell’individuo ed il grado di gravità della patologia nel corso della vita. Ne consegue che l’interpretazione di Perris implica una visione globale dell’individuo e, dal punto di vista del trattamento, ciò comporta un’integrazione di diversi interventi, dallo psicoterapeutico al farmacologico, passando per quello sociale e psicoeducazionale. Anche Christopher Frith, esperto di neuroimmagine funzionale, propone un modello nel quale descrive i principali deficit cognitivi sottesi a sintomi schizofrenici. Invero, lo psicologo inglese, parte dal concetto di “meta rappresentazione”, intesa come l’abilità che consente all'uomo di rappresentare i pensieri e il senso delle parole dei suoi simili all'interno della situazione, attraverso l’analisi dei vari segnali e scegliendo tra le possibili interpretazioni la più probabile. L'abilità di metarappresentare sarebbe, dunque, l'essenza della riflessione sul mondo e dei processi cognitivi. Lo stesso, quindi, definendo la schizofrenia come “un disturbo della consapevolezza di se”20, tende a spiegare l’incapacità di “metarappresentare” come una sorta di sviluppo incompleto o in un danneggiamento di particolari circuiti corticali e sottocorticali del cervello. Tuttavia, la descrizione di tali circuiti è demandata al capitolo successivo, laddove sono descritte le principali disfunzioni cerebrali di carattere neuropsicologico della schizofrenia. Sulla base di tali premesse, ne deriva che, se compromessa la capacità di rappresentarsi gli stati mentali anche le interazioni con gli altri saranno disturbate. 20 FRITH C. D., “Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia”, Raffello Crotina, Milano, 1992, p. 91 28 1.3.5 La scuola fenomenologico-esistenzialista Nel ventesimo secolo nascono e si diffondono, in ambito filosofico, due orientamenti di pensiero che comportano notevoli conseguenze sula psichiatria: la fenomenologia e l’esistenzialismo. La fenomenologia si basa sulla considerazione che “non è solo ciò che appare, ma anche la sua essenza”21. Pertanto, il mondo viene interpretato anche attraverso gli atti di rappresentazione, di percezione, di ricordo ed in relazione alle esperienze vissute. L’esistenzialismo, invece, intende l’esistenza come un modi di essere dell’uomo nel mondo, in rapporto con le cose e con gli altri uomini. Infine, un altro tipo di approccio è quello della terapia familiare sviluppatosi negli anni quaranta e cinquanta del Novecento, come forma di intervento per alcune specifiche e gravi psicopatologie. Ciò che è rilevante per i sostenitori di tale tipo di approccio è il comportamento dell’individuo considerato all’interno delle dinamiche di uno specifico contesto relazionale in un’ottica sistematica e cibernetica. Di fondamentale importanza sarà il non focalizzarsi sul paziente che presenta la sintomatologia, ma allargare il campo di indagine all’intero sistema familiare problematico, in modo tale da evidenziare il contesto sociale in cui il disturbo si è sviluppato e il ruolo del paziente. Tra i principali psichiatri e psicologi legati al modello sistematico – relazionale, occorre ricordare Nathan Ackerman, Ivan Boszormenyi-Nagy, James Framo, Murray, Bowen, Carl Whitaker e Salvador Minuchin. 21 http://www.edithstein.name, Fenomenologia e dintorni, Edmund Husserl e la fenomenologia. 29 1.4 Il modello vulnerabilità – stress – coping Infine, va ricordato l’approccio proposto da Joseph Zubin, ossia il modello vulnerabilità – stress – coping, sulla base del quale la schizofrenia viene considerata il prodotto di una complessa interazione tra un individuo vulnerabile ed un ambiente patogeno. Tale modello, si caratterizza per un approccio multidisciplinare ed i suoi assunti fondamentali sono ampiamente utilizzati nei vari programmi di ricerca in quanto comprendono fattori personali, psicosociali e di protezione. In sostanza, viene proposto l’assunto sulla base del quale la schizofrenia si può riscontrare solo in un individuo particolarmente vulnerabile, qualora si verifichi un evento stressante esogeno o endogeno, di intensità tale da superare la soglia di tolleranza. Pertanto, una volta superata tale soglia, si sviluppa nella persona una crisi che può condurre ad un episodio patologico. Il modello della vulnerabilità, dunque, individua principalmente tre aspetti legati al verificarsi delle crisi, ossia una soglia di vulnerabilità più alta in determinati individui piuttosto che in altri, l’esistenza di eventi esistenziali stressanti, ed infine, alcune variabili moderatrici capaci di modulare l’impatto agli eventi. Ebbene, i fattori di vulnerabilità personale rappresentano la parte più importante di tale modello, in quanto riguardano le disfunzioni dopaminergiche, la ridotta capacità di elaborazione cognitiva delle situazioni stressanti, l’iperattività del sistema nervoso autonomo (l'asse ipotalamo - ipofisi - surrene ed il sistema simpatico, responsabili delle risposte fisiologiche ed ormonali allo stress), e tratti schizotipici di personalità. 30 I fattori di stress psicosociale sono, essenzialmente, costituiti dal clima familiare, dall’ambiente sociale e da eventi di vita stressanti. Infine, i fattori di protezione sono fattori personali, tra i quali l'abilità di affrontare le avversità (coping), l’autoefficacia come qualità preesistente o coadiuvata dall'uso di farmaci antipsicotici, la capacità della famiglia di assistere fattivamente il soggetto nella risoluzione nella risoluzione dei problemi e gli interventi psicosociali di supporto. 31 CAPITOLO II STUDIO DELLE AREE CEREBRALI E DEFICIT COGNITIVI 2.1 Anomalie cerebrali nella schizofrenia I numerosi studi svolti in merito agli aspetti neuropsicologici della schizofrenia, non hanno consentito, allo stato attuale, di definire con certezza quali possano essere le basi neurologiche di questa malattia, in quanto le ricerche effettuate su tale argomento hanno raggiunto spesso risultati discordanti e non sempre verificabili. È possibile individuare, tra le principali difficoltà riscontrate, gli effetti causati del trattamento farmacologico, che, spesso, determinano una compromissione cognitiva. Un ulteriore problema è legato, invece, alla diagnosi e ai sintomi, in quanto, ad oggi, non esiste una diagnosi precisa della schizofrenia. Dunque, per svariati anni si è creduto di non poter associare ad essa alcuna anomalia neurologica, e ciò in quanto vi sono numerosi ostacoli nel trovare “un’eziologia precisa che accomunasse tutti i pazienti affetti da questa malattia”22. Tuttavia, di recente, si sono verificati notevoli cambiamenti di opinione dovuti essenzialmente sia alla scoperta causale dei farmaci antipsicotici e all’associazione di questi con il sistema dopaminergico, sia allo sviluppo di studi quantitativi sulla struttura cerebrale. È possibile, collocare alla fine degli anni cinquanta la scoperta degli effetti rilassanti della cloropramazina sui pazienti, effettuata dal chirurgo francese Laborit, utilizzata, dallo stesso, nella cura di pazienti schizofrenici e che per la sua efficacia si rilevò incisiva per la cura della schizofrenia in tutto il mondo. ROSSI MONTI M., STANGHELLINI G., “Psicopatologia della schizofrenia. Prospettive metodologiche e cliniche”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 83 22 32 Ebbene, a seguito dell’analisi svolta su molte sostanze antipsicotiche, si è scoperto che la loro efficacia terapeutica è correlata con la loro capacità di bloccare i ricettori dopaminergici. Invero, diversi studi hanno confermato che “il blocco dei recettori dopaminergici è una condizione essenziale per la riduzione della gravità dei sintomi in seguito al trattamento farmacologico”23. Partendo, dunque, da tale assunto dovrebbe essere vero anche il contrario, ossia stimolando il sistema dopaminergico i sintomi schizofrenici dovrebbero aumentare. Nel 1958, Connell verificò come i tossicodipendenti che assumevano grandi quantità di anfetamina presentavano segni e sintomi tipici di alcune forme di schizofrenia, tra questi i deliri di persecuzione e le audizioni uditive; e ciò, in quanto l’anfetamina libera nel cervello la dopamina e tali effetti possono essere bloccati dai farmaci antipsicotici. Dunque, impedendo alla dopamina l’accesso al recettore, i recettori stessi rispondono diventando più sensibili e questa ipersensibilità può essere causata anche da sostanze che bloccano la sintesi o il rilascio della dopamina. Sulla base di tali evidenze occorre comprendere se tale ipersensibilità sia un segno distintivo della schizofrenia, oppure una conseguenza del trattamento farmacologico, in quanto si trattava di cervelli analizzati post mortem, dopo anni d malattia e di trattamento farmacologico. Tecniche più recenti, come ad esempio la PET, hanno consentito di misurare la sensibilità dei recettori nel cervello dei soggetti vivi, consentendo di verificare le 23 http://www.jpsychopathol.it, ROSSI A., TOMMASINI A., STRATTA P.,“Cognitività e Dopamina: aspetti clinici nella schizofrenia”, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università dell’Aquila, Aquila 33 implicazioni celebrali fin dall’inizio della malattia e prima che i pazienti vengano sottoposti al trattamento farmacologico. Alcuni studi hanno riscontrato alcune caratteristiche a sfavore delle ipotesi dopaminergiche, in quanto l’effetto del trattamento farmacologico sui sintomi della malattia non è visibile immediatamente, mentre l’effetto dei farmaci sulla sensibilità dei recettori dopaminergici si verifica entro poche ore; pertanto, il ruolo della dopamina non è diretto sul controllo dei sintomi della schizofrenia ma bensì indiretto. I risultati emersi dalle varie ricerche non hanno consentito di creare una vera teoria sull’azione dopaminergica sulla sfera cognitiva; l'ipotesi comunque prevede che un eccesso di trasmissione dopaminergica a carico delle aree responsabili dell'attenzione possa portare ad una eccessiva focalizzazione su stimoli altrimenti irrilevanti. Il soggetto schizofrenico paranoide, cioè, soffrirebbe di una over-interpretazione degli stimoli ambientali. Questa ipotesi comunque non spiega le altre forme di schizofrenia, e per tal ragione quest’ultima resta un’ipotesi ancora da verificare. Negli anni settanta, l’utilizzo di nuove tecniche di neuroimmagine hanno comportato una rivoluzione nello studio del cervello umano. L’utilizzo della TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) ha reso possibile l’ottenimento dell’immagine dettagliata del cervello in soggetti viventi; attraverso questa tecnica, Johnstone ed altri studiosi, notavano come i ventricoli laterali erano notevolmente ingranditi nei pazienti schizofrenici. Studi più recenti associano l’allargamento dei ventricoli alla presenza di movimenti involontari, alla mancanza di risposte al trattamento farmacologico ed ai sintomi negativi. 34 Notevoli studi basati essenzialmente sulle tecniche della risonanza magnetica e della TAC testimoniano non solo l’allargamento dei ventricoli nei pazienti schizofrenici ma anche un allargamento dei ventricoli più marcato all’interno del lobo temporale, soprattutto nell’emisfero sinistro. Tuttavia, proprio perché non è stato rilevato un allargamento progressivo dei ventricoli nel corso del progredire della schizofrenia, non è possibile definire quest’ultima una malattia neurodegenerativa. 2.2 Principali disfunzioni cerebrali di carattere neuropsicologico I sintomi associati alla schizofrenia, come in precedenza accennato, sono presenti anche in altri tipi di patologie e, pertanto, non possono essere individuati come sintomi caratterizzanti unicamente questa malattia. Tuttavia, è possibile conoscere le anomalie celebrali associate a questi sintomi e, di conseguenza, anche le basi neurali della schizofrenia. I principali deficit presenti nella schizofrenia coinvolgono l’attenzione, il linguaggio, il pensiero, la percezione, la memoria e la motricità, inoltre, la maggior parte dei soggetti schizofrenici presenta amnesia, demenza, disattenzione e deterioramento cognitivo. È possibile individuare “la presenza di una correlazione neuropsicologica tra schizofrenici e pazienti organici, in quanto le principali prove a livello neuropsicologico che dovrebbero far pensare ad un coinvolgimento cerebrale nella schizofrenia, riguardano i risultati ottenuti da alcuni test neuropsicologi che non 35 mostrano differenze con i risultati dei test condotti su pazienti con lesioni celebrali accertate”24. Le aree celebrali che mostrano più correlazioni con i sintomi della schizofrenia sono il lobo temporale, il lobo parietale, il sistema limbico, i gangli basali, il corpo calloso ed il lobo frontale. Di seguito, verranno descritte le peculiarità caratterizzanti tali aree cerebrali, al fine di comprendere il legame sussistente con i sintomi di tale patologia. 2.2.1 Il lobo temporale Il ruolo del lobo temporale è correlato al riconoscimento verbale dell'input visivo, alla percezione ed elaborazione dell'input uditivo, alla memoria e all’affettività, pertanto, la lesione di quest’aria determina i sintomi caratteristici della schizofrenia, in quanto gran parte dei pazienti con il lobo temporale lesionato hanno riferito esperienze di allucinazioni, disturbi della percezione, disturbi della memoria e stati di realtà. Tra tutte le aree celebrali, il lobo temporale, in particolar modo quello sinistro, è quello che più facilmente può essere associato alla schizofrenia. 2.2.2. Il lobo parietale Il lobo parietale integra le informazioni visivo spaziali e riguarda, essenzialmente, la percezione delle sensazioni somatiche. Le lesioni parietali destre comportano deficit nel valutare gli stimoli tattili, disturbi legati alla percezione visuospaziale, disturbi dell’immagine corporea, 24 LADAVAS E., BERTI A., “Neuropsicologia”, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 131 36 allucinazioni visive, e anosognosia per l’emiplagia, ossia la capacità di accorgersi dei deficit corporei. Per ciò che concerne le lesioni parietali sinistre, comportano disturbi riguardanti la percezione e il linguaggio come l’agnosia, la disgrafia e la discalculia. 2.2.3 Il lobo frontale Il lobo frontale è implicato principalmente in abilità che coinvolgono il pensiero astratto, la pianificazione, la risoluzione di problemi, la creatività e la scelta di obiettivi. Una lesione del lobo frontale comporta deficit intellettivi e di auto- controllo emotivo; i primi comportano un pensiero stereotipico per mancanza di creatività, incapacità di pianificare e scarsa capacità di sintesi; i secondi comportano una disinibizione delle pulsioni emotive, che portano ad euforia, ostilità, disibinizione sociale, apatia e depressione. Alla luce di ciò, ciò che può essere correlato meglio con la sindrome del lobo frontale sono i sintomi relativi della schizofrenia e la schizofrenia cronica, mentre non sembra esserci alcuna relazione con gli stati psicotici acuti. 2.2.4 Il lobo occipitale Per quanto riguarda la correlazione tra il lobo occipitale e la schizofrenia è possibile collocare le allucinazioni visive e le distorsioni in tale ambito, pur non essendo possibile dimostrare con certezza la presenza di un legame con questa patologia. 37 “Le aree sottocorticali presentano maggiori correlazioni con la schizofrenia, nello specifico il sistema limbico, il tronco cerebrale, i gangli basali ed il cervelletto”25. 2.2.5 Il corpo calloso Il corpo calloso rappresenta un fascio di fibre che collega i due emisferi ed integra le informazioni provenienti dall’uno e dall’altro emisfero. Un esperimento condotto da Dimond su alcuni pazienti schizofrenici, sottoponendo gli stessi ad una prova consistente nel toccare loro il dito di una mano e nel chiedere loro i indicare prima con una mano e poi con un’altra il dito che era stato toccato, ha dimostrato che i pazienti schizofrenici mostravano difficoltà quando dovevano indicare il dito con l’altra mano. Dimond ha, inoltre, dimostrato che una situazione analoga si verificava quando i pazienti dovevano nominare degli oggetti che tenevano nella mano sinistra. Dunque, l’interruzione del passaggio dell’informazione, concernente la localizzazione tattile nel primo esperimento e la verbalizzazione nel secondo, evidenzia la presenza di un deficit del corpo calloso. 2.3 Descrizione dei deficit cognitivi Possibile rilevare dei deficit cognitivi che si manifestano nei pazienti schizofrenici in tutti i compiti che coinvolgono l’attenzione, la memoria, le emozioni, la percezione, il movimento, il linguaggio e il pensiero. È opportuno, dunque, soffermarsi sulla descrizione di tal aspetti per comprende a fondo il loro manifestarsi nei pazienti affetti da questa malattia. CARPENTER W. T., “L’approccio medico alla diagnosi al trattamento delle schizofrenie”, in “Un modello comprensivo dei disturbi schizofrenici”, a cura di D. B. Feinsilver, Raffaello Cortina, Milano, 2005, p. 172 25 38 2.3.1 L’attenzione L’attenzione non è altro che la capacità di selezionare ed elaborare le informazioni provenienti dall’esterno. È possibile distinguere tre livelli di attenzione: il primo c.d. di reattività, il secondo di vigilanza, e l’attenzione selettiva. Nei pazienti schizofrenici questi livelli risultano compromessi in quanto i pazienti affetti da tale malattia mostrano maggiori difficoltà nel selezionare gli stimoli provenienti da una fonte piuttosto che da un’altra e la tendenza di ignorare gran parte delle informazioni provenienti dall’esterno. Questi pazienti sono giudicati inoltre facilmente distraibili e molto spesso non sono in grado di distogliere l’attenzione quando le circostanze lo richiedono. 2.3.2 La memoria La memoria rappresenta un processo automatico e volontario formato da una molteplicità di componenti adibita all’immagazzinamento e al recupero delle informazioni. Le informazioni in memoria possono essere recuperate in modo diretto mediante la rievocazione o il riconoscimento, oppure in modo indiretto attraverso uno stimolo che faciliti il riconoscimento di un altro stimolo. È necessario suddividere la memoria in magazzino a breve termine (MBT) e magazzino a lungo termine (MLT), i quali si differenziano tra loro per durata e capacità, tuttavia mentre il MBT contiene principalmente informazioni a rievocazione immediata, a capacità limitata e l’informazione resta in memoria per un massimo di venti secondi, il MLT ha invece una durata illimitata e contiene informazioni immagazzinate da tempo. 39 I fenomeni schizofrenici presenti in questi pazienti sono costituiti da ricordi deliranti, improvvisa perdita di memoria dell’identità personale e, talvolta, dall’amnesia come tendenza a sottostimare l’età. Da ciò ne deriva che, nella schizofrenia acuta la memoria è perlopiù integra, anche se i pazienti presentano difficoltà riguardanti strategie di memorizzazione e non sono in grado di organizzare in modo strategico il materiale per memorizzarlo. Inoltre, non vi è memoria per le informazioni di carattere emotivo, in quanto i soggetti, come descritto dopo, soffrono di appiattimento affettivo. Nella fase cronica della schizofrenia, invece, è spesso presente una grave amnesia, associata nella maggior parte dei casi ad alterazioni celebrali che indicano la presenza di atrofia cerebrale, infatti, numerosi studi hanno riscontato la compromissione di pazienti schizofrenici. Lo studio posto in essere da Bauman ha dimostrato come, in questi pazienti, la MBT fosse compromessa, in quanto gli stessi non ricordavano elenchi di parole o numeri rispetto a soggetti normali. Per quanto riguarda la MLT, invece, risulta compromessa negli schizofrenici cronici, mentre in quelli acuti sembra essere normale, in alcuni casi, e anomala in altri. Alla base del disturbo della memoria vi è soprattutto un danno cerebrale generalizzato, in quanto a seconda del tipo di memoria vi sono disturbi diversi che corrispondono a lesioni celebrali differenti. 2.3.3 Le emozioni Le emozioni sono altamente correlate con la schizofrenia e la loro alterazione ne costituisce uno dei sintomi più caratteristici. 40 Lo studio posto in essere dall’ International Pilot Study Of Schizophrenia, condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dimostrato che l’appiattimento affettivo non è l’unico disturbo emotivo, in quanto è emerso che gli schizofrenici valutano in modo diverso l’espressione facciale o l’intonazione del discorso rispetto al gruppo di controllo. I disturbi delle emozioni sono classificati in anomalie dell’esperienza che riguardano principalmente i sentimenti, l’affettività e l’umore, in anomalie della motivazione ed in anomalie dell’espressione della motivazione e, tali disturbi si riscontrano tanto in condizioni normali che in condizioni di tipo psichiatrico e sono connesse anche a certe zone di lesione cerebrale. Tra i principali disturbi emotivi tipici degli schizofrenici vi sono l’appiattimento affettivo, l’affettività inappropriata, l’apatia, anche se è possibile, in rari casi, rilevare la presenza di altri disturbi, come l’ansia e la paura. L’appiattimento affettivo consiste nella totale inespressione delle emozioni, nella gestualità, nel tono della voce nell’espressione facciale. È stato più volte sperimentato che questi pazienti non sono in grado di comunicare le loro emozioni attraverso le espressioni del volto e manifestano difficoltà nell’intonare la voce per esprimere le emozioni. L’appiattimento affettivo ha delle conseguenze anche per quanto riguarda l’isolamento sociale, in quanto la mancanza di espressività del tono di voce e delle emozioni causa negli schizofrenici difficoltà nello stabilire interazioni sociali. 41 Bleuer, inoltre, definisce l’affettività inappropriata come “un raggruppamento di doversi componenti: incongruità tra espressione facciale, discorso e attività, paratimia, paranimia”26. La anedomia indica l’incapacità di provare piacere e può essere di tipo fisico nel caso in cui coinvolga tipo di piacere sensoriale o di tipo sociale, quando non si ricava piacere di stare insieme agli altri. L’apatia, infine, è considerata assimilabile ad un disturbo della volontà e si caratterizza per la mancanza di energia fisica, la discontinuità lavorativa o scolastica oppure la trascuratezza personale. In relazione ai disturbi emotivi si è pronunciato anche Cutting, il quale reputa tali disturbi riconducibili a delle lesioni celebrali, attribuendo all’emisfero destro una maggiore implicazione rispetto a quello sinistro nella maggior pare degli aspetti dell’emozione. I soggetti normali, infatti, manifestano più intensamente le loro emozioni sul lato sinistro del viso e ciò in quanto l’emisfero destro dei soggetti normali mostra una migliore capacità nella percezione delle espressioni emotive altrui. 2.3.4 La percezione La percezione riguarda senza dubbio le allucinazioni che, nei pazienti schizofrenici, sono spesso accompagnate dai deliri. Le allucinazioni sono percezioni che si verificano in assenza di uno stimolo appropriato e possono essere auditive, motorie, visive e tattili. 26 BLEULER E., “Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie”, Carocci Editore, Roma, 2004, p. 94 42 Gli studi effettuati in merito alla percezione auditiva hanno stabilito che l’isolamento sensoriale e l’aumento dell’eccitazione sono i due fattori che maggiormente incidono sulle allucinazioni uditive. Alcuni studiosi, tra cui Slade, hanno riferito che alcuni soggetti schizofrenici predisposti alle allucinazioni, si aggravano in presenza di un rumore assordante o del blocco dell’informazione visiva. Nello specifico è stata posta maggiore attenzione ai disturbi della percezione visiva, i quali si manifestano sia nella percezione della forma che nella percezione dello spazio. In relazione a ciò si evince che gli schizofrenici si mostrano eccessivamente fissati sui dettagli ed hanno una visione degli oggetti più analitica. Un altro carattere sensoriale alterato negli schizofrenici è quello che riguarda la percezione del dolore in quanto si rileva minore in essi rispetto al gruppo di controllo. Infine, si nota un deficit anche nella percezione dell’immagine corporea, in quanto i pazienti manifestano disordini nella rappresentazione del proprio corpo e nella loro dimensione. Lo psicanalista Le Roux riferisce che “gli stati allucinatori sembrano essere spesso in rapporto con la frustrazione e un’adeguatezza sessuale o affettiva”27. Sul piano cerebrale Wanirgton e James sostengono una maggiore implicazione dell’emisfero destro rispetto al sinistro per ciò che concerne la percezione delle forme proprio perché esso percepisce meglio le facce se mostrate frontalmente e se si chiede di formulare giudizi globali. 27 LE ROUX A., Formes actuelles de la pesistence de la psychose hallucinatoire chronique, Annales medicopsychologiques, 1980 43 L’emisfero destro, inoltre, sembra percepire più facilmente le note musicali e i rumori senza senso, è coinvolto nella percezione dello spazio extra personale ed incide in modo diverso a seconda del sesso e dell’uso preferenziale di una mano. Inoltre, mentre la visione globale è garantita da un buon funzionamento dell’emisfero destro, l’emisfero sinistro contribuisce all’ossessiva focalizzazione sui dettagli, tipica degli schizofrenici, da ciò ne deriva che un emisfero destro lesionato è la causa più evidente delle allucinazioni visive. 2.3.5 Il movimento I disturbi del movimento sono presenti principalmente negli schizofrenici cronici, mentre compaiono meno in quelli acuti non sottoposti a cure farmacologiche. In particolare, negli schizofrenici acuti non trattati con farmaci, la disfunzione del movimento appare più come un disturbo della volontà e della motivazione piuttosto che un deficit della funzione motoria, proprio perché non è presente un disturbo della coordinazione o dell’esecuzione dei movimenti e si manifesta in maniera sporadica. Negli schizofrenici cronici, sottoposti a trattamento farmacologico, i movimenti appaiono involontari e si concretizzano nell’incapacità di progettare e compiere il l’azione, facendo pensare ad un’origine più complessa attribuibile principalmente ad una lesione cerebrale. Sul piano neurologico si possono ricondurre all’emisfero sinistro la capacità di conferire una posizione corretta all’arto e di cambiare volontariamente posizione, si ipotizza, quindi, che lesioni all’emisfero destro possano danneggiare la motricità. Negli schizofrenici i disturbi motori fisici sono sostanzialmente i manierismi, ossia i sintomi che riguardano prevalentemente la gesticolazione, il portamento e il 44 modo di esprimersi; le stereotipie, intese come atti compiuti in maniera ripetitiva e continua, senza alcuno scopo o funzione apparente; lo stupore, ovvero uno stato di arresto completo della motilità volontaria associato al rallentamento o al torpore dell’attività ideativa ed a un distacco dalla realtà esterna; i negativismi, che si manifestano nella resistenza e nell’opposizione tenace, benché automatica, che gli schizofrenici oppongono a ogni suggerimento, assumendo anzi atteggiamenti o compiendo atti contrari a quelli che vengono suggeriti; gli automatismi, laddove l'influenza dell'esercizio, della ripetizione e dell'abitudine, si organizzano con movimenti complessi, che si producono per sollecitazioni interne ed esterne minime e inadeguate, e che si svolgono integralmente senza il controllo della coscienza, al punto tale che può avvenire di non conservare il ricordo di averli compiuti; ed infine, l’ecoprassia consistente nell’imitazione delle espressioni mimiche altrui. 2.3.6 Il linguaggio A differenza di tutti gli altri sintomi, il linguaggio può essere studiato in modo diretto, in quanto rappresenta l’espressione dei pensieri con lo scopo di comunicare questi ultimi agli altri. Andreasen pone in essere un elenco delle manifestazioni più frequenti del disturbo del linguaggio degli schizofrenici; in primo luogo esso tratta il deragliamento, che consiste nella mancanza di connessione diretta tra ciò che il paziente pensa e ciò che esprime; la perdita dello scopo, ovvero l’incapacità di concludere un discorso seguendo il filo logico di partenza; la povertà di contenuto del linguaggio; la tangenzialità; l’illogicità; la perseverazione; l’incoerenza ed infine l’autoriferimento. 45 Gli studi sui diversi aspetti del linguaggio sono stati compiuti da Andreasen, Grove e Hofmann, i quali hanno concluso che gli schizofrenici mostrano delle compromissioni solo a livello del discorso, ossia solo al livello delle frasi e delle locuzioni. Tali risultati sono stati ottenuti anche a seguito degli studi posti in essere da Thritt e Allen, i quali hanno affermato che nella schizofrenia le strutture della conoscenza lessicale e semantica sono intatte, ma i pazienti non sono in grado di strutturare il discorso a livelli superiori. Dunque, la motivazione principale per cui il paziente ha difficoltà nel comunicare è perché quando parla con gli altri non riesce a tenere conto della conoscenza dell’ascoltatore e questo si nota nella mancanza di coesione delle espressioni dei pazienti. Dal momento che i disturbi del linguaggio riguardano essenzialmente l’espressione e a produzione del linguaggio, è possibile trovare numerose somiglianze tra questo disturbo e l’afasia di espressione. I disturbi del linguaggio sono pertanto associati alle lesioni interiori dell’emisfero sinistro, in particolare all’area di Broca, che consiste in una comprensione buona o lievemente danneggiata ed in una produzione del linguaggio compromessa. Esistono anche altri tipi del disturbo del linguaggio definiti “disturbi non afasici dell’eloquio”28 che colpiscono il suono, la grammatica e il significato del linguaggio, tra questi vi sono l’incapacità di comprendere e comunicare le emozioni e la logorrea, dovuti principalmente a lesioni dell’emisfero destro. MC GLASHAN T.H., KEATS C. J., “Schizofrenia: trattamento ed esito terapeutico”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993, p. 128 28 46 Tuttavia mentre nell’afasia si verifica una disgregazione fonetica, nei disturbi non afasici è l’aspetto prosodico ad essere compromesso. Dai numerosi studi posti in essere sul linguaggio è emerso una sorta di somiglianza tra i disturbi del linguaggio schizofrenico e i disturbi presenti in pazienti con il lobo frontale lesionato. Dunque, la povertà del linguaggio, la ripetizione e l’utilizzo di frasi semplici sono dovute alle lesioni dell’area del cingolo sinistro e dell’area motoria supplementare, mentre un deficit nell’organizzazione e nel controllo del linguaggio è attribuito alla corteccia interiore sia sinistra che destra. McGrat asserisce che “i singoli disturbi del linguaggio presenti nella schizofrenia possono essere correlati ai deficit nei vari circuiti corticali e subcorticali che si proiettano sulla corteccia prefrontale”29. Pertanto, esistono vari aspetti deficitari nel linguaggio schizofrenico che si situano a livello semantico, sintattico, pragmatico e fonemico. A livello semantico si evidenziano la presenza di neologismi e la concatenazione di oggetti, si tratta infatti della tendenza a fare lunghi elenchi di parole per spiegare una categoria, perdendo di vista il contenuto comunicativo di un discorso. A livello sintattico predominano l’incoerenza, l’illogicità e l’incapacità di capire le regole grammaticali per trovare legami sintattici in ciò che le altre persone dicono. A livello pragmatico vengono collocati il deragliamento, la tangenzialità, la perdita dell’obiettivo, la povertà del contenuto del discorso e del pensiero, ed infine, a livello fonemico si colloca la prosodia. 29 MC GRATH J., “Ordering thoughts on tought disorder”, British Journal of Psychiatry, 1991 47 2.3.7 Il pensiero È possibile classificare i disturbi del pensiero in due categorie principali, ovvero, i disturbi del contenuto del pensiero ed i disturbi formali del pensiero. Nello specifico i disturbi maggiormente riscontrati negli schizofrenici sono quelli che riguardano i deliri, ossia le convinzioni che esercitano un controllo o un’influenza sul corpo, sulla volontà, sulla mente e sull’umore, le convinzioni sull’interferenza del pensiero, nel caso in cui i soggetti si convincano che qualcuno possa rubare i propri pensieri, o che il proprio pensiero venga diffuso all’esterno di se. Tuttavia, a livello neuropsicologico, sono state rilevate delle sedi di lesioni più significative di altre, in quanto lo stesso Cutting, sostiene che l’insorgenza dei deliri può essere collocata principalmente all’interno del lobo temporale sinistro ed il lobo parietale destro. Nello specifico, si ritiene che l’emisfero destro è connesso principalmente agli aspetti dell’immaginazione, della visione dell’insieme, alla sintesi e, perciò una sua lesione determina una perdita della creatività, l’interesse maniacale per i dettagli, e la negazione delle conseguenze sociali del comportamento, mentre, essendo l’emisfero sinistro in rapporto con gli aspetti astratti, la sua lesione non comporta la compromissione del pensiero metaforico. Inoltre, numerosi studi indicano la presenza di disturbi di categorizzazione negli schizofrenici, in quanto dimostrano che gli schizofrenici acuti posseggono categorie mentali molto vaste, mentre gli schizofrenici cronici possiedono categorie ristrette. 48 CONCLUSIONI La schizofrenia, è un argomento che esercita particolare interesse su ricercatori e clinici, nonostante, appaia un argomento difficile da interpretare e sebbene non siano stati effettuati notevoli passi in avanti circa il suo trattamento, come è avvenuto, invece, nella trattazione di altre patologie. Ebbene, il trattamento della schizofrenia, pur con evidenti miglioramenti rispetto alla prima metà del secolo scorso, non ha portato un’elevata percentuale di guarigioni che, invece, ci si sarebbe potuta aspettare visto il dispiegamento di mezzi economici e le importanti ricerche effettuate in questo arco temporale. Tuttavia, ciò nonostante, continuano a nascere filoni di ricerca più stimolanti, attraverso lo studio delle emozioni con tecniche di “neuroimaging, la correlazione tra variabili neurofisiologiche e decorso della malattia, la risposta ai trattamenti correlata a variabili genetiche”30, che rappresentano nuove aree di studio riguardanti la patologia schizofrenica. Invero, l’universo riguardante la patologia in esame appare in continua evoluzione, in quanto sono frequenti i cambiamenti concernenti i modelli interpretativi ad essa correlati, i parametri terapeutici, la ricerca di nuovi indirizzi farmacologici, i parametri assistenziali e le modalità operative. Nondimeno va tenuto in considerazione il modo collettivo di percepire e vedere la schizofrenia, in quanto la stessa non rappresenta, come nel passato, “un’entità aliena, SHRIQUI C.L., NASRALLAH H.A., “Attualità nel trattamento della schizofrenia”, Mediserve, Torino, 2008 30 49 incomprensibile e minacciosa”31, ma viene percepita come una malattia al pari di tante altre. Pertanto, sulla base degli argomenti approfonditi con il presente elaborato, si evince che la chiave d’accesso alla realtà di tali soggetti implica un lavoro molto impegnativo, rischioso e lungo. Tutto ciò, inoltre, deve essere finalizzato ad aiutare il paziente a riconquistare quella consapevolezza delle proprie percezioni ed emozioni al fine di utilizzarle e controllarle diversamente, infatti, sola attraverso la consapevolezza della sua condizione egli sarà in grado di riappropriarsi di tutto ciò che la malattia gli ha tolto. CAVIGLIA G., PERRELLA L., “La schizofrenia: diagnosi, teorie e terapie”, Carocci Editore, Roma, 2009, p.5 31 50 BIBLIOGRAFIA ARIETI S., “Manuale di psichiatria”, vol. II, Bollati Boringhieri, Torino, 1969 ARIETI S., “Interpretazione della schizofrenia”, 2 voll., Feltrinelli, Milano, 1978 BALLERINI A., ROSSI-MONTI M., “La vergogna e il delirio”, Bollati Boringhieri, Torino, 1990 BECK A. T., “Principi di terapia cognitiva”, Astrolabio, Roma, 1984 BLEULER E., “Schizofrenia”, in Trattato di psichiatria, Feltrinelli, Milano, 1968 BLEULER E., “Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie”, Carocci Editore, Roma, 2004 CARLSON N. R.., “Fisiologia del comportamento”, Piccin, Padova, 2001 CARPENTER W. T., “L’approccio medico alla diagnosi al trattamento delle schizofrenie”, in “Un modello comprensivo dei disturbi schizofrenici”, a cura di D. B. 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