AGI Energia Il futuro dell’Africa poggerà sull’oro nero martedì 18 novembre 2008 di Arrigo Pallotti (Università di Bologna) Dal 2000 a oggi l’Africa è l’unico continente ad avere registrato un continuo aumento della produzione petrolifera e dal 2004 è il continente con i più alti tassi di aumento della produzione di petrolio al mondo (1). Nel 2007 la produzione petrolifera africana ha superato la soglia dei 10 milioni di barili al giorno, con un aumento del 3,2% rispetto al 2006. Per quanto in termini assoluti si tratti di una cifra ancora largamente inferiore alla produzione petrolifera del Medio oriente (che, con 25 milioni circa di barili al giorno nel 2007, costituisce il 30% della produzione mondiale), il progressivo aumento della produzione e delle riserve comprovate – le quali alla fine del 2007 hanno raggiunto i 117 miliardi di tonnellate (pari al 9,5% delle riserve mondiali comprovate) – hanno acceso l’interesse delle compagnie petrolifere. L'alta qualità del petrolio africano e la collocazione della maggior parte dei nuovi giacimenti nelle acque del Golfo di Guinea (e quindi lontano dai problemi politici e militari della terraferma) ha rafforzato questo interesse. Attualmente il 20% delle importazioni petrolifere degli Stati Uniti provengono dall’Africa (una percentuale destinata a salire secondo le stime al 25% nel 2015), così come avviene per il 25% delle importazioni cinesi. La produzione di petrolio in Africa è quasi totalmente concentrata in dodici paesi, ripartiti tra le coste del mare Mediterraneo, quelle del Golfo di Guinea e il bacino del fiume Ciad. Per quanto Algeria, Libia, Egitto e (in misura minima) la Tunisia abbiano prodotto il 45% del petrolio africano nel 2007 e posseggano il 59% delle riserve comprovate di petrolio dell’Africa, è a sud del Sahara che si stanno registrando gli aumenti più cospicui della produzione. La Nigeria è il principale produttore di petrolio in Africa, con una produzione che costituisce il 22% di quella complessiva del continente. I danni ambientali provocati dell’estrazione di petrolio nella regione del delta del Niger e il mancato reinvestimento delle entrate petrolifere nelle aree di estrazione costituiscono tuttavia un terreno fertile per il sorgere di gruppi armati che con le loro azioni belliche provocano rallentamenti nella produzione. Quanto agli altri paesi dell’Africa sub-sahariana, nell’arco di un decennio la produzione di petrolio è più che raddoppiata in Angola, passando da 731 mila barili al giorno nel 1998 a 1,7 milioni barili al giorno nel 2007. Quella del Sudan è letteralmente esplosa: mentre nel 1998 da 12 mila barili al giorno nel 1998 a 457 mila barili al giorno nel 2007. Anche la Guinea Equatoriale ha registrato un costante e significativo aumento della produzione, salita da 83 mila barili al giorno nel 1998 a 363 mila barili al giorno nel 2007. Negli ultimi cinque anni è stata avviata l’estrazione del petrolio in Ciad, paese le cui riserve sembrano ben superiori al miliardo di barili inizialmente stimato. La produzione in Camerun e Gabon è in progressiva diminuzione a motivo del graduale esaurimento dei giacimenti di questi due paesi. L’estrazione e l’esportazione del petrolio hanno garantito ai paesi produttori un enorme flusso di risorse. Si stima, ad esempio, che dai primi anni ’70 a oggi il governo nigeriano abbia incassato oltre 400 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio (2). A questo dato positivo fa da contraltare la conseguente inevitabile dipendenza delle economie esportatrici dalle entrate petrolifere. Queste ultime nel 2006 hanno rappresentato mediamente il 67,5% del PIL dei paesi africani produttori di petrolio, raggiungendo il 77,9% nel caso della Nigeria (3). Nonostante la ricchezza petrolifera, l’Africa sub-sahariana è il continente con il più basso indice di sviluppo umano del pianeta (0,493 nel 2005) (4). La Nigeria è al 158° posto tra i 177 paesi classificati, l’Angola al 162° e il Ciad al 170°. Inoltre si consideri che meno di un terzo del petrolio estratto in Africa viene consumato all’interno del continente, che infatti registra il più basso consumo di petrolio del pianeta (il 3,5% del consumo mondiale). Come spiegare questo paradosso? Per quanto ogni paese costituisca un caso a sé, una delle costanti che accomuna gli stati a sud del Sahara è data dalla debolezza dei regimi al potere. Questa fragilità ha fatto sì che il controllo della rendita petrolifera divenisse la principale posta in gioco nella competizione politica, e ha di fatto alimentato una spirale di conflitti violenti e povertà. Tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana sono alle prese con gravi problemi di povertà e di crescita delle disuguaglianze; in quelli produttori di petrolio, tuttavia, questi problemi assumono toni ancora più drammatici proprio a causa della mancata corrispondenza tra le entrate fiscali derivanti dal petrolio e il benessere della popolazione. Assicurare che le rendite petrolifere vengano utilizzate a favore delle popolazioni locali rimane la priorità da affrontare tanto per i governi africani quanto per quelli stranieri che, per sostenere le attività estrattive delle compagnie petrolifere, non esitano ad appoggiare diplomaticamente e a rafforzare militarmente e finanziariamente regimi marcatamente autoritari in Africa. (1) I dati sulla produzione petrolifera sono tratti da: British Petroleum, BP Statistical Review of World Energy, June 2008, http://www.bp.com/statisticalreview (2) Revenue Watch Institute, work/countries/nigeria-transparency.php Nigeria, http://www.revenuewatch.org/our- (3) Jan-Peter Olters, Old Curses, New Approaches? Fiscal Benchmarks for Oil-Producing Countries in Sub-Saharan Africa, IMF Working Paper 07/107, Washington, IMF, maggio 2007, p. 17 (4) L’indice di sviluppo umano è stato elaborato dalle Nazioni Unite per misurare il livello di benessere degli abitanti di un paese. Dati tratti da: United Nations Development Programme, Human Development Report 2007/8. Fighting Climate Change: Human Solidarity in a Divided Word, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2007, p. 232