LA PSICOMOTRICITA` PERCHE` LA PSICOMOTRICITA` Alcune

LA PSICOMOTRICITA’
PERCHE’ LA PSICOMOTRICITA’
Si parla sempre più spesso di psicomotricità, attività presente in un numero via via crescente
di istituzioni educative e scolastiche, tanto da costituire ormai un vero e proprio fenomeno
culturale.
Le riviste specializzate sull’infanzia ospitano molteplici scritti sull’argomento, si
organizzano incontri aperti ai genitori di presentazione e introduzione all’attività, aumenta
la sua diffusione in diversi ambiti.
L’accresciuta curiosità rispetto a questo tipo di proposta educativa è motivata, in parte,
anche dalla storia relativamente recente, in Italia, della psicomotricità - la sua introduzione
nelle scuole risale a poco più di vent’anni fa’ - e dal desiderio e dalla necessità che
avvertiamo, in quanto genitori, di proporre ai nostri figli attività adatte al loro sviluppo
evolutivo.
Alcune considerazioni sul neonato e sul suo
sviluppo psicomotorio
Alla nascita il bambino stabilisce i primi contatti con la realtà che lo circonda attraverso i
propri sensi ed il movimento. In tal modo acquisisce e scambia informazioni con il mondo e
ad esse reagisce modificando i propri stati corporei, ad esempio contraendosi e piangendo,
rilassandosi, dormendo, succhiando avidamente mani e piedi, e così via.
Attraverso il contatto corporeo, i neonati cominciano la lunga e avventurosa scoperta di se
stessi. Durante le prime settimane, infatti, quando l'unico modo di comunicare del bambino
è il pianto, la pelle è un tramite prezioso per dire e sentire tutto quello che ancora non si sa
spiegare e comprendere: la fame, il bisogno di affetto, la paura e la curiosità della vita, le
incertezze e lo stupore. Le mani di chi tocca, accarezza, massaggia il neonato percorrono
tutto il suo corpo, quasi disegnandolo, in modo che lui possa sentirlo ed identificarne una
forma.
Per mezzo del contatto fisico il bambino, fin dai primi giorni, coglie nel proprio corpo lo
stato emotivo altrui, a seconda dei modi con cui viene accudito. Egli acquisisce sin da allora
la conoscenza del proprio corpo, mediante l'introiezione del corpo dell'altro, prima di tutti
quello materno. Una volta compreso il proprio confine esterno, è più facile per il piccolo
dare l'avvio alla propria personalità autonoma.
La pratica del contatto corporeo non va abbandonata con la crescita del neonato, bensì
modulata secondo le sue nuove esigenze, trasformata in gioco, avventura e personalizzata
secondo le richieste del bambino.
Difatti è indispensabile che il massaggio, il contatto fisico, il piacere senso-motorio e del
movimento non si esauriscano con i primi mesi del piccolo ma diventino uno stimolo
prezioso per la sua crescita fisica ed intellettiva.
Il Movimento
foto di: Cosimo Cardea
La psicomotricità considera il movimento come un mezzo per armonizzare lo sviluppo della
persona, e non un fine.
Vengono incoraggiate le abilità espressive di ciascuno e prese in considerazione le sue
peculiari caratteristiche, a seconda della sua personalità, della tappa evolutiva che sta
attraversando e considerando i limiti dovuti ad una eventuale patologia.
Nell'attività psicomotoria non è importante la prestazione sportiva o artistica: le proposte
motorie sono veicoli di contenuti affettivi ed evolutivi.
I movimenti del corpo raccontano molto della persona, in un'ottica di comunicazione non
verbale, e le rigidità muscolari, le contratture, la tonicità sono elementi che lo
psicomotricista considera con attenzione nelle proposte di attività di gruppo e individuali
Nella pratica psicomotoria le proposte relative al movimento implicano il corpo in:
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esercizi di motricità fine, che coinvolgono le dita delle mani nell'utilizzo di oggetti;
esercizi di coordinazione oculo-manuale, ovverosia giochi con oggetti da lanciare e
da ricevere, come ad esempio la palla;
esercizi di coordinazione cinetica globale, che prendono in considerazione gli
spostamenti nello spazio e l'andatura con la quale si procede: gattonare, camminare,
saltare e così via.
Lo psicomotricista, durante la seduta, osserva i movimenti spontanei dei bambini e ne
incoraggia i movimenti intenzionali, risultato del controllo cosciente delle proprie azioni.
Il ruolo del movimento nella terapia
psicomotoria
Alcune lettere inviatemi, attraverso la rubrica, da genitori, educatori e insegnanti,
descrivono bambini in difficoltà nell’espressione motoria, laddove il movimento, frenetico o
mancato, è motivo di preoccupazione per gli adulti.
Se consideriamo il movimento come fulcro per la percezione, e quindi come funzione
psichica, allora il campo di intervento della terapia psicomotoria riguarderà gli ambiti in cui
vi è legame tra deficit e movimento, laddove quest’ultimo sia stato riconosciuto come
“creatore di funzioni” e posto, pertanto, come nucleo centrale dell’intervento (A.M. Wille,
Ambrosiani, Manuale di terapia psicomotoria dell’età evolutiva).
I bambini, a differenza degli adulti, si muovono, oltre che per raggiungere lo spostamento,
anche seguendo finalità ludiche o squisitamente dettate dal desiderio di muoversi.
Con il movimento il bambino costruisce se stesso e lo fa con interesse, energia e piacere:
queste sono le componenti del movimento che vengono accolte e favorite nella terapia
psicomotoria.
Il terapeuta, nella sala psicomotoria, osserva il modo in cui il bambino esercita il proprio
movimento, originale e particolare per ogni individuo.
Nel percorso terapeutico, lo psicomotricista incontra bambini la cui motricità appare
disturbata ed il suo compito sarà quello di cogliere nell’inibizione e nell’ipercinesia i segni
che celano la pulsione per il movimento, connotato da bisogno e desiderio.
Movimento
nei primi sei-otto anni di vita
I primi sei-otto anni di vita del bambino sono caratterizzati dal movimento: attraverso il fare
e le azioni egli individua il percorso che lo porterà al pensiero.
La strada per giungere alle capacità cognitive, in altre parole, prende avvio dalle emozioni;
gradualmente lascia il posto al pensiero e la stessa intelligenza rappresentativa, che a poco a
poco si sviluppa, dipende in modo evidente dall’azione.
Il bambino, a partire da un necessaria esperienza di sé, in modo del tutto originale, avvia la
conoscenza delle cose, degli altri, del mondo esterno, mediante l’azione.
In altre parole, osserva F. Cartacci (F. Cartacci, Bambini che chiedono aiuto), "se l’attività
psichica è la pianta, il movimento non è uno strumento come la zappa, neanche un elemento
indispensabile come la terra o l’acqua, ma è il seme stesso della pianta".
Il movimento può essere stereotipato, apparentemente senza inizio e fine, come accade nelle
psicosi, ove si manifesta in modo evidente il difficile o impossibile contatto con il mondo.
Anche il movimento continuo nelle ipercinesie, o il movimento bloccato nelle inibizioni,
assumono significato di difficoltà, per l’individuo, nella relazione con il mondo.
In tale ottica l’intervento psicomotorio appare un approccio terapeutico adeguato, sebbene
occorra valutare ogni intervento nella propria originalità. Lo psicomotricista, difatti, è uno
specialista della relazione corporea, di cui conosce il linguaggio, il codice non verbale dei
segnali, la lettura dell’espressività gestuale.
Disturbi minori del movimento
foto di: Mirna Boscolo
Goffaggine e forte insicurezza, oppure iperattività e impulsività, sono alcune tra le
espressioni con cui si possono manifestare i disturbi minori del movimento, patologia non
così evidente come altre della funzione motoria, tuttavia motivo d'ostacolo per l'autonomia
individuale nella vita di tutti i giorni.
La causa di tali disturbi è solitamente da riferire ad una nascita prematura, a sofferenza
fetale intrauterina o a problemi durante il parto.
I bambini soggetti a tali disturbi presentano spesso un ritardo nello sviluppo psicomotorio
riscontrabile in tutto l'arco dell'infanzia. Azioni quali camminare, salire le scale, imparare a
nuotare o pedalare sono raggiunte più tardi rispetto ai coetanei.
I disturbi minori del movimento talvolta si manifestano attraverso un evidente impaccio
mortorio: benché il bambino abbia imparato a deambulare, le frequenti cadute, perdite di
equilibrio, la tensione muscolare non consona allo sforzo motorio richiesto, e la presenza di
irrigidimenti rendono l'azione motoria goffa, irregolare.
I bambini sovente cercano di sopperire all'inibizione o all'impedimento della normale
funzione, - che peraltro vorrebbero compiere, senza riuscirvi, - mediante atteggiamenti di
falsa disinvoltura, di disagio, di goffaggine.
La comunicazione non verbale
Il movimento, il tono muscolare, le posture, l'andatura, le modalità di occupare lo spazio ed
il tempo… sono alcuni tra gli aspetti della comunicazione non verbale che lo psicomotricista
considera attentamente osservando i bambini che partecipano all'attività.
E' importante comprendere le emozioni e la comunicazione espressa attraverso il linguaggio
motorio, gestuale e mimico: non sempre le parole ci consentono di esprimere e spiegare i
sentimenti più profondi.
Accade anche che l'emozione del singolo venga trasmessa agli altri partecipanti alla seduta
suscitando in tal modo un'emozione condivisa, e quindi un'espressività più ricca.
I messaggi corporei durante i
primi mesi di vita del bambino
foto di: Cosimo Cardea
Nei primi mesi di vita il bambino sperimenta il piacere attraverso il corpo dell'adulto: le
cure di chi lo accudisce gli consentono di apprendere e interiorizzare attraverso i messaggi
veicolati a livello corporeo.
Il bambino viene cullato, massaggiato, abbracciato, nutrito, lavato…egli sente e vive tali
azioni con una totale implicazione corporea.
Talvolta è difficile per l'adulto riappropriarsi del linguaggio corporeo e privilegiare tale
canale comunicativo: si è abituati a comunicare soprattutto attraverso il linguaggio verbale.
Per il bambino molto piccolo, invece, assumono grande importanza anche i piccoli gesti di
contatto, il calore ricevuto, il modo in cui viene toccato.
Quando l'adulto soddisfa una richiesta del bambino, quest'ultimo vive un piacere globale,
tale da favorire in lui l'integrazione delle varie parti, emotive e cognitive.
Il bambino e la comunicazione
corporea
foto di: Cosimo Cardea
Alla nascita il bambino entra gradualmente in contatto con la realtà attraverso i cinque sensi
e il movimento, vettori di scambio delle prime informazioni con il mondo.
Tanto più egli entrerà in contatto con esperienze, che risultano essere per lui piacevoli,
aventi come centro il corpo proprio e dell'adulto, tanto più si aprirà alla comunicazione.
Il bambino si rilassa o si contrae, piange o ride…le informazioni che riceve vengono accolte
o respinte attraverso la modificazione dei suoi stati corporei.
La qualità degli scambi di comunicazione corporea, tonica e non verbale con la madre, gli
consente di accedere a sensazioni di piacere o dispiacere.
Il corpo e le emozioni
foto di: Cosimo Cardea
La proposta psicomotoria smuove emozioni profonde e vitali in quanto coinvolge, allo
stesso tempo, gli aspetti motori e quelli relazionali, basati sull'affetto.
Nella sala di psicomotricità viene facilitato l'incontro con i propri stati d'animo, senza
riserve, sia che si tratti di stati di tensione quanto di benessere.
Si possono vivere situazioni in libertà, attraverso il piacere sensomotorio, utilizzando canali
di comunicazione non verbali e verbali, accettando il confronto e l'interazione con l'altro.
Accade di potersi stupire nella scoperta di sé, mentre si procede gradualmente alla presa di
coscienza di se stessi: scopro come sono e come mi sento di essere.
I bambini giocano a nascondersi sotto i teli per riapparire con grande soddisfazione, entrano
ed escono dalla propria casetta, salgono sulla montagna di cuscini per lasciarsi andare al
piacere della scivolata e della caduta…
Le azioni del corpo, il movimento e il gioco incidono sul piano sensoriale ed emotivo: il
piacere dell'azione è al centro della pratica psicomotoria e risponde al bisogno del bambino,
consentendogli di vivere liberamente la propria espressività motoria e la carica emozionale.
Il suono, il ritmo e la musica
foto di: Cosimo Cardea
Il suono è parte integrante del movimento e pertanto caratteristica costante della seduta
psicomotoria.
Le azioni che producucono ritmi e suoni sono molteplici: battere le mani ed i piedi, mettere
in contatto gli oggetti ed i materiali presenti in sala, schioccare le dita, emettere suoni
onomatopeici, utilizzare strumenti musicali e, naturalmente, la propria voce.
La possibilità di emettere suoni incoraggia l'espressione del movimento e stimola gesti utili
allo sviluppo della manualità.
Inoltre l'ausilio della musica registrata o improvvisata dallo psicomotricista induce il
movimento e la sincronizzazione acustico-motoria, facilitando il controllo motorio.
La proposta di ascolto di brevi canzoni, nenie, filastrocche può diventare un riferimento
sonoro per il bambino ed uno spazio di comunicazione privilegiata tra il gruppo e l'adulto.
Ad esempio, in un gruppo di bambini di circa tre anni, il semplice motivo che la
psicomotricista proponeva nello spazio dedicato al dondolio, era diventato talmente noto ai
piccoli partecipanti da proporlo essi stessi dondolandosi sui grandi palloni colora
LA SALA DI PSICOMOTRICITA’
E’ il luogo dove si svolge la pratica psicomotoria. Si tratta solitamente di una palestra,
tuttavia è necessario precisare che, sulla base del bisogno del gruppo di bambini (o adulti!)
lo psicomotricista potrà allestire un luogo anche altro che suggerisca e stimoli l’attività
voluta.
Prima di accedere alla sala ci si prepara, indossando un abbigliamento comodo e togliendosi
le scarpe. Tale abitudine consente di separare, anche attraverso i gesti, il “fuori” (la vita
all’esterno, regolata da tempi e leggi proprie) ed il “dentro”, lo spazio cioè in cui il piacere
del bambino viene riconosciuto e trova la sua massima espressione nello sperimentare,
creare, agire, comunicare.
La sala di psicomotricità si presenta ordinata, con gli oggetti presenti ben distribuiti: cuscini
di stoffa colorata dalle varie forme e grandezze, magari impilati in alte torri; materassi
capienti e morbidi, dagli spessori variabili; tessuti di svariate tonalità, raccolti, disposti in
una cesta oppure aperti sul pavimento; cerchi di differenti grandezze; palloni, palline di
spugna o plastica, maxi palloni ideali per il dondolio; spalliere o plance adatte per compiere
salti e per stimolare la ricerca della verticalità, bastoni, moduli in legno per costruire torri,
case ed altro ancora, un grande specchio dove incontrare la propria immagine e quella degli
altri partecipanti; carta, colori, plastilina, argilla…tutto ciò che consente di esprimere le
emozioni vissute durante l’attività, con un linguaggio anche non verbale.
La sala di psicomotricità è dunque il luogo in cui il bambino può esprimersi attraverso
proprie modalità, da quelle più inibite a quelle meno controllate, accettando e canalizzando
la pulsionalità.
La seduta psicomotoria si svolge in uno spazio e in un tempo costanti, è cadenzata da un rito
iniziale, da uno finale e dalla presenza costante dei materiali proposti e delle persone che
conducono il percorso; è il luogo della spontaneità e della libertà d’azione del bambino, che
deve essere lasciato libero nel gioco.
I rituali
foto di: Cosimo Cardea
In termini generali, i rituali sono sequenze comportamentali che si ripetono, nel tempo, nel
medesimo modo. I riti che tutti conosciamo riguardano momenti importanti della vita –
come ad esempio il rito attraverso cui l’individuo, nell’ambito religioso, entra a far parte
della comunità – oppure consuetudini quotidiane, come la favola della buona notte o il
saluto della mattina: piccoli gesti che avvengono regolarmente e, come tali, diventano
facilmente prevedibili e rassicuranti nella loro ripetitività.
Anche la seduta psicomotoria prevede alcuni rituali, momenti che il bambino può pregustare
con certezza e che gli danno sicurezza.
La seduta, che si svolge in uno spazio e tempo costanti, è cadenzata da un rituale di inizio e
da uno finale, dalla presenza dei medesimi materiali da adoperare, dal ritrovare sempre gli
stessi adulti conduttori.
Durante il Rito iniziale i bambini, seduti l’uno accanto all’altro, attendono di essere chiamati
per nome e salutati, quindi ricordano le poche regole che normano l’attività, legate
soprattutto al rispetto degli altri, di se stessi e del luogo, e vengono invitati ad occupare lo
spazio dei giochi.
Durante il Rito finale i bambini ripercorrono le azioni e le emozioni dei giochi appena
terminati, non solo con le parole ma anche attraverso disegni , manipolazione della creta o
della plastilina, costruzioni in legno.
Un altro aspetto della ritualità riguarda la sala della psicomotricità, che solitamente si
presenta ordinata, con gli oggetti e gli spazi per il gioco ben distribuiti e possibilmente
sempre nel medesimo posto; anche questa cura contribuisce ad accrescere la sicurezza di cui
il bambino necessita.
Oltre agli aspetti educativi i rituali contengono anche elementi di gioco: non è raro che un
gioco proposto quasi per caso dai bambini durante la seduta di psicomotricità, come l’arrivo
di uno squalo o del lupo, venga da essi ripetuto anche nei successivi incontri con eguali
caratteristiche, divenendo un gioco immancabile anche perché conosciuto e rassicurante
nella propria ripetitività.
Il gioco
foto di: Cosimo Cardea
Il gioco permette al bambino di sviluppare abilità motorie, cognitive e sociali, inoltre, è
senza dubbio un'importante espressione della vita affettiva del piccolo.
Durante la seduta psicomotoria il bambino può compiere esperienze di gioco, da solo o in
piccoli gruppi, senza fretta, utilizzando il materiale presente nella sala.
Una pila di cubi potrà diventare una torre da abbattere con le proprie forze o con un pallone;
un telo colorato potrà essere velocemente trasformato in una nave, lasciandosi trascinare e
cullare; i materassi saranno adatti per i salti e i tuffi; i cerchi, appoggiati a terra, potranno
diventare un percorso per sperimentare le proprie abilità.
Lo psicomotricista propone al gruppo di bambini giochi sensomotori, giochi simbolici,
giochi di costruzione, giochi di regole, in maniera da sollecitare le diverse forme di gioco
infantile.
Lo spazio delle
rappresentazioni finali
Come accennato in precedenza, all'interno della sala di psicomotricità, sono allestiti alcuni
spazi: lo spazio sensomotorio e della pulsionalità, lo spazio simbolico e dell'emotività, e
infine lo spazio delle rappresentazioni finali, articolato a sua volta, in due luoghi, l'uno
dedicato alla grafica e l'altro alle costruzioni.
La seduta psicomotoria volge ormai al termine, i partecipanti hanno vissuto giochi ed
esperienze motorie, le cui tracce emotive possono essere ora depositate su un altro
materiale, come il foglio da disegno o la plastilina, consentendo una distanza dal proprio
vissuto.
Nello spazio della grafica il bambino può disegnare e rendere visibile per sé e per gli altri
quanto ha vissuto durante l'attività psicomotoria, aiutato dalla psicomotricista a nominare,
con alcune parole, le emozioni espresse e le esperienze provate.
Analogamente, nello spazio delle costruzioni, l'utilizzo della plastilina o di pezzi di legno di
varie dimensioni consente al bambino di cercare una forma concreta per il proprio vissuto
psicomotorio.
Il gioco sensomotorio
foto di: Cosimo Cardea
L' attività psicomotoria, partendo dalla spontaneità del bambino e dal piacere ch’egli prova
nel gioco e nelle azioni, favorisce uno sviluppo psicofisico armonioso. Attraverso il piacere
ludico si attiva la motivazione al movimento , alla scoperta, alla conoscenza, all’interazione
con il mondo circostante.
Il piacere del gioco, sino ai dodici/diciotto mesi, è prevalentemente legato alle esperienze
sensoriali e motorie che il bambino stesso può provare. Si parla difatti di gioco
“sensomotorio”, in cui muoversi, lasciar cadere, toccare, far rumore, esplorare con la bocca
e con i sensi, spostare gli oggetti,… sono tutte azioni che strutturano un approfondito
rapporto con l’esterno.
Il piacere sensomotorio regala al bambino la sensazione ed il sentimento di se stesso, nel
percorso di costruzione di un’immagine positiva di se stesso.
Nello spazio per le attività sensomotorie i materiali necessari sono:
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materassini e cubi morbidi di varia dimensione e colore;
una struttura per arrampicarsi, saltare e scivolare;
stoffe,
teli,
palloni…
oggetti cioè che diano spazio al desiderio, al movimento, e che consentano al bambino la
percezione corporea nella sua totale potenzialità.
Nel gioco sensomotorio il bambino, attraverso il movimento, racconta di sé: corre, si
dondola, salta, sperimenta l’equilibrio e il disequilibrio, si rotola al suolo, si appende alle
sbarre, si arrampica, lancia un oggetto, rincorre gli amici…attraverso queste attività impara
a conoscere se stesso ed i propri limiti, ad affrontare le paure che lo coinvolgono.
Sino ai dodici/diciotto mesi il gioco psicomotorio si manifesta soprattutto attraverso le
esperienze sensoriali e motorie che il bambino scopre poco per volta.
Con l’inizio della deambulazione si moltiplicano le possibilità di movimento dei bambini, e
le azioni sensomotorie vengono ripetute innumerevoli volte, al fine di essere interiorizzate.
Nella sala di psicomotricità, all’interno dello spazio dedicato al gioco sensomotorio, il
bambino cerca liberamente, a seconda delle proprie attitudini, movimenti ed oggetti da
esplorare, motivo ed avvio di nuovi apprendimenti.
La psicomotricista osserva il bambino in questa ricerca, proponendogli oggetti e situazioni
di gioco via via diversi, in un percorso evolutivo individuale e di gruppo
Il gioco simbolico
foto di: Cosimo Cardea
Continuiamo il nostro percorso all’interno della sala di psicomotricità, dove abbiamo sinora
parlato del gioco sensomotorio.
Quando la situazione motoria si è conclusa si può lasciare spazio al gioco simbolico, luogo
in cui il bambino racconta di sé, delle proprie paure e desideri, attraverso i propri vissuti.
In quale modo? Con il gioco simbolico i bambini attribuiscono significati diversi per i vari
oggetti presenti nella sala: un cubo su cui poco prima si saltava diventa ora un essenziale
parete per costruire una casetta, il telo che prima la psicomotricista tendeva per il dondolio
ora è il mantello di un principe coraggioso che lotta contro i draghi, e così via, lasciando
spazio al desiderio del bambino di mettere in gioco le proprie fantasie, paure, richieste.
I materiali ed i giochi messi a disposizione nello spazio simbolico sono: i teli - utilizzati per
travestirsi, avvolgersi, nascondersi, farsi trascinare-, le bambole, le palle, i cubi, i bastoni, le
corde, i cerchi…
I giochi simbolici sono di ampio contenuto educativo, e fondamentali per la genesi e lo
sviluppo delle rappresentazioni fantasmatiche del bambino, che anima gli oggetti
adeguandoli ai propri desideri simbolici.
In altre parole: attraverso i giochi simbolici l’oggetto ed il vissuto con l’oggetto (ad esempio
un bastone che diventa un cavallo) sono, in maniera spontanea simboli e rappresentazioni.
Il gioco simbolico si manifesta nel bambino, per la prima volta, intorno ai dodici/diciotto
mesi ed è una fase evolutiva che interessa tutta la prima infanzia, tra i due ed i sette anni di
vita. Proprio a questa età, difatti, il bambino mostra la capacità di capire il mondo attraverso
l’uso di simboli. Per questo motivo si può affermare che il gioco di finzione è un’esperienza
culturale e di crescita educativa.
Attraverso il gioco simbolico i bambini si avvicinano al mondo degli adulti, provano a
capirne i rapporti che ne regolano il funzionamento, seguendo naturalmente il proprio modo
di interpretare le cose.
La terapia psicomotoria
foto di: Cosimo Cardea
Se sinora, in queste pagine, si è provato a fornire un primo approccio all'attività
psicomotoria, si passerà ora ad approfondire i campi di intervento della psicomotricità,
volgendo l'attenzione all'ambito terapeutico.
Si tratta di proposte mirate al recupero ed al miglioramento dell'agilità motoria, al sostegno
ed all'accompagnamento emotivo e cognitivo del bambino.
La terapia psicomotoria si occupa di molteplici disturbi, tra i quali:
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disturbi di apprendimento,
disturbi minori del movimento,
ritardo mentale,
disturbi da deficit dell'attenzione e iperattività,
problematiche legate all'inibizione,
disturbi generalizzati dello sviluppo,
autismo,
disturbi della personalità (disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, disturbi della
condotta).
Il disturbo da deficit di
attenzione e iperattività
foto di: Cosimo Cardea
Da alcuni anni, in campo neuropsichiatrico, viene studiato, con interesse sempre maggiore,
un disturbo caratterizzato, clinicamente, da disattenzione, iperattività e impulsività, la cui
incidenza nella popolazione infantile è significativa e in aumento.
Attualmente le caratteristiche del disturbo possono essere riassunte in tal modo:
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deficit dell'attenzione, che pregiudica l'esecuzione dei compiti nei contesti di vita
dell'individuo (scuola, lavoro…);
iperattività e impulsività, che compromettono le situazioni quotidiane di vita del
soggetto;
una prevalenza del disturbo nella popolazione maschile;
l'esordio sintomatologico in età prescolare, diagnosticabile, con maggiore precisione,
nell'età scolare;
l'attenuazione della sintomatologia nella tarda adolescenza;
l'associazione con disturbi dell'apprendimento, della condotta, dell'umore, ed
emotivo-affettivi.
Il bambino con disturbo dell'attenzione e iperattività presenta una vivacità e disattenzione
eccessive, la cui intensità è tale da influire in modo negativo sul profitto scolastico, sulle
relazioni sociali e con i coetanei, nonché con gli adulti.
DDAI: bambini e adulti
E' opinione comune che il Disturbo da Deficit di attenzione e Iperattività (DDAI), con la
crescita del bambino, vada lentamente attenuandosi, non costituendo quindi un problema
nell'età adulta.
Diversi studi dimostrano invece la persistenza dei sintomi sia nell'età adolescenziale che in
quella adulta, forse meno visibili, in quanto di importanza secondaria rispetto ad altre
difficoltà, quali i comportamenti sociali trasgressivi, i disturbi della condotta, le non facili
relazioni sociali, e così via.
E' importante sottolineare che un adulto con DDAI è stato nell'infanzia un bambino con
DDAI, ed è quindi cresciuto con le difficoltà tipiche del disturbo. Se è stato aiuto, tramite i
professionisti e i familiari, ad elaborare le strategie per far fronte alle sue caratteristiche,
avrà potenzialità ed uno stile di vita diverso da chi ha convissuto, per l'intera vita, con il
DDAI.
Gli adulti in cui, anche a causa della recente divulgazione di informazioni, mai sia stato
prima riconosciuto il disturbo, e che ne acquisiscano ora consapevolezza, possono imparare
a riconoscere i propri sintomi e a guardare al proprio passato considerando per la prima
volta il ruolo che essi abbiano avuto nella carriera scolastica e lavorativa, nella vita affettiva
e relazionale.
Essi riusciranno finalmente a spiegarsi quanto, nella storia della propria vita, interpretavano
prima solo con sofferenza, senso di colpa, impotenza, e che oggi appare loro, invece, come
una condizione che poteva essere trattata, motivo delle ricorrenti difficoltà
DDAI: ipotesi di intervento
foto di: Cosimo Cardea
Nell'ipotesi di un trattamento multimodale di un bambino affetto da disturbo da deficit
dell'attenzione e iperattività, risulta efficace l'apporto di attività psicomotoria e di
rilassamento, accanto ad un intervento psicopedagogico, di psicoterapia individuale e
familiare e, laddove i terapeuti ne ravvedano la necessità, farmacologico.
L'intervento terapeutico dello psicomotricista si struttura attraverso letture multiple delle
azioni (o non azioni) dei bambini: accanto a momenti di iperattività spesso si registrano,
forse talvolta meno visibili, spazi di inibizione, di fuga dall'azione.
L'attività psicomotoria mira a fornire, attraverso la relazione, la spinta e il sostegno,
l'accompagnamento verso un cambiamento possibile
Intervento psicomotorio con bambini
affetti da disturbo da deficit di
attenzione e iperattività (DDAI)
disegno di: Nicole descrive l'esperinza di una seduta di psicomoticita'
Il bambino ipercinetico presenta una motricità esplosiva, manifestazione, secondo alcuni, di
un disagio psichico che si svela attraverso il corpo; secondo altri, di un disturbo di origine
fisiopatologia.
In sala psicomotoria il bambino con disturbo DDAI presenta ipertonia, movimenti
afinalistici, mantenimento dell'attenzione per tempi brevi.
E' un bambino che si espone ad una miriade di stimoli, che egli stesso cerca, in un disegno
che appare di difficile lettura e linearità, in assenza di progettualità e integrazione.
Il messaggio corporeo che il terapeuta deve inviare al bambino consiste in un "contenimento
della tensione emotiva che il bambino trasmette"; lo psicomotricista mira ad aiutare il
bambino a "fare un'esperienza migliore di sé, nella corporeità, nel movimento,
nell'espressione creativa, nella relazione con l'altro". (M.Massenz, 2000)
Disturbi di apprendimento e
intervento psicomotorio
Molti bambini con problematiche relative all'Inibizione e ai Disturbi Minori del Movimento
presentano difficoltà di apprendimento.
L'intervento psicomotorio, in tali circostanze, deve essere indirizzato in modo differente,
ovverosia finalizzato ora all'intervento riabilitativo volto al disturbo precedentemente
individuato, ora alle difficoltà di apprendimento, laddove esse siano ritenute di competenza
psicomotoria.
Pertanto nel caso in cui ci si rivolga, ad esempio, ad un soggetto con problematiche relative
ai Disturbi Minori del Movimento, affetto anche da dislessia, l'accento dell'intervento
psicomotorio sarà posto sui Disturbi Minori del Movimento, e anche sui requisiti
psicomotori necessari per la lettura.
Qualora l'intervento psicomotorio venga richiesto invece per i soli disturbi di
apprendimento, alcuni autori (Ambrosiani e A-M.Wille, 2005) precisano che è necessario
distinguere circa la competenza psicomotoria.
Essi individuano infatti alcuni disturbi di apprendimento prettamente di competenza
psicomotoria, quali i Disturbi di Apprendimento della Scrittura, le disgrafie (non per gli
aspetti linguistici); per altri disturbi riconoscono una parziale potenzialità di intervento,
come ad esempio nei Disturbi di Apprendimento del Calcolo (discalculia), e, infine, in altre
situazioni, come nei Disturbi di Apprendimento della Lettura (dislessia) escludono la
possibilità di intervento psicomotorio.
L'intervento psicomotorio è indicato per il disturbo della disgrafia e può essere utilizzato
anche per affrontare alcune difficoltà legate alla lettura, in cui siano anche però presenti
problematiche di orientamento spaziale e temporale.
Nei casi in cui si debbano affrontare difficoltà di calcolo e, osserva A.M. Wille, anche se
"l'apprendimento della geometria e della geografia si sviluppa sulla base di problemi di
percezione corporea e cognizione spaziale", potrà essere indicata una terapia psicomotoria
il cui orientamento sia prettamente verso "gli aspetti cognitivi della rappresentazione del
corpo e dei rapporti spaziali".
Si aggiunge infine che il disturbi di apprendimento sono spesso associati ai disturbi minori
del movimento e a problematiche comportamentali: tali patologie, in aumento progressivo
nella popolazione infantile, possono essere efficacemente trattate mediante l'intervento
psicomotorio.
Disgrafia
e intervento psicomotorio
Tra i Disturbi dell’Apprendimento, la Disgrafia, intesa come difficoltà di controllo motorio
nella scrittura, può prevedere, in termini riabilitativi, l’intervento psicomotorio, solitamente
con buon esito.
Inoltre la terapia psicomotoria può essere molto utile in alcune difficoltà di lettura, laddove
esse si presentino associate a problemi di lateralizzazione, di orientamento spaziale e
temporale.
Nei soggetti disgrafici la scrittura è sovente illeggibile, priva di criteri estetici, dal ritmo
eccessivamente lento o veloce. Il bambino può incontrare difficoltà nel riprodurre i caratteri
della scrittura anche nella loro dimensione, oltre che nella forma e nella pressione esercitata
con il tratto.
Alcuni autori ritengono vada comunque sempre considerata la reale necessità di una
scrittura manuale, rapida e leggibile, rispetto allo sforzo che essa richiede, giacché oggi
esistono strumenti alternativi, come ad esempio il computer, che consentono l’espressione
scritta, in modo efficace.
L’intervento psicomotorio pone il proprio focus, in tale disturbo, prevalentemente sul
movimento.
Oltre all’esame psicomotorio, la valutazione psicomotoria della scrittura prevede che
vengano considerati, in ogni paziente, gli aspetti visuo-spaziali, relativi all’organizzazione
spaziale delle lettere, al loro concatenamento, all’impaginazione…) e gli aspetti motori del
gesto grafico.
E’ importante che gli esercizi psicomotori proposti non siano subito specifici, ma
privilegino l’attività spontanea, per procedere successivamente a interventi funzionali
all’atto grafico.
La relazione educativa attraverso il
percorso narrativo
Raccontare storie ai bambini e parlare con loro utilizzando un linguaggio narrativo consente
l'esplorazione di mondi in cui la fantasia apre scenari possibili ed emozionanti, dove la
paura e i pensieri destinanti talvolta a restare silenti, trovano spazio e parole.
D'altra parte i bambini sono in una fase di avvio del proprio corso di vita, la loro storia si sta
costruendo attraverso le prime esperienze, acquisizioni, vissuti; e, l'approccio alla
narrazione li aiuta a ritrovare cadenze temporali, connessioni, similitudini.
Scriveva Oliver Sacks che "ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto
interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi
costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.".
Sovente i bambini sono desiderosi di muoversi, correre, saltare, oppure capita che si
annoino, sembra non abbiano capacità di organizzazione autonoma: la presenza di un adulto
che racconta apre la possibilità di orientare le energie dei piccoli, stimola la curiosità, crea
spazi di apprendimento, consente all'adulto di conoscere meglio il proprio figlio.
Gli spunti narrativi sono davvero tanti: si può raccontare una fiaba nota, leggere una storia
che incuriosisca e piaccia al bambino, e anche lasciar posto alla narrazione dei propri
vissuti, così come raccontare, senza stupirsi che il bambino lo domandi per l'ennesima volta,
gli episodi della sua vita, ovverosia la sua Storia.
L’inibizione
Pur non trovando posto come entità fisica a se stante, l'inibizione, ora definita come un
"disturbo di evitamento", ora come un "disturbo di attaccamento deficitario del bambino"
può essere espressa, da un punto di vista psicomotorio, più come un sintomo che come una
sindrome.
Tale sintomo, viene messo in atto dal bambino sia da un punto di vista comportamentale che
da un punto di vista intrapsichico, e appare come la risposta possibile ad una difficoltà, ad
un disagio emotivo, ad una debolezza costituzionale, che non gli consentono sufficiente
adeguatezza con l'ambiente circostante e con se stesso.
Le manifestazioni del comportamento inibitorio di possono riscontrare già nei primi anni di
vita del bambino, sebbene possa talvolta considerarsi come una modalità adattiva e, come
tale, è importante che sia limitata nel tempo, per non alterare la relazione del bambino con la
realtà. .
Inibizione psicomotoria
Si è precedentemente accennato alla caratteristica dell'inibizione psicomotoria, intesa come
modalità del bambino di porsi nei confronti del mondo esterno: il bambino inibito, nelle
descrizione fornite da numerosi studiosi sull'argomento, appare incapace di prendere
iniziative, oppure, qualora si avvii verso un'attività, questa appare ripetitiva, faticosa
nell'avvio; la chiusura e il ritiro appaiono modalità privilegiate nei confronti della realtà,
benché il bambino inibito possa avere in sé desideri che non riescono ad emergere per timori
e paure.
In alcuni studi si pone l'accento sull'origine del disturbo, da attribuirsi alla repressione
dell'aggressività e ad un disturbo di comunicazione (Ambrosiani, De Panfilis, Wille); si
insiste inoltre sull'assenza di lesioni organiche (De Ajuriaguerra) e sull'influenza di un
ambiente sfavorevole, che, in bambini con caratteristiche della personalità particolari, può
provocare "disturbi momentanei dell'organizzazione motoria" (Russo). Nei primi anni di
vita del bambino, difatti, le relazioni genitoriali eccessivamente protettive o inadeguate nei
suoi confronti, possono provocare in lui disturbi anche di tipo inibitorio. Si trattarerà in
seguito dell'aiuto che l'intervento psicomotorio può fornire ai bambini con tali
problematiche.
L''inibizione psicomotoria non andrebbe considerata come una sindrome, ma piuttosto come
un meccanismo di difesa "nei confronti di un vissuto di reale o presunta inadeguatezza del
soggetto di fronte a situazioni per lui penose"; tale modalità diviene quindi un modo di
essere, una risposta comportamentale a una situazione generatrice di conflitto (A.M.Wille).
Può intendersi inoltre come modalità adattiva e in tal caso è importante accertarsi che la
durata della condotta inibitoria sia limitata nel tempo per non compromettere la relazione
del bambino con la realtà.
L'inibizione si evidenzia sia sul versante comportamentale (ripiegamento su se stessi,
riduzione della mimica e della motricità…), sia sul versante intrapsichico (momenti di
amnesia, incapacità di pensare…).
E' possibile pertanto distinguere una "inibizione delle condotte esterne e socializzate" e una
"inibizione delle condotte mentalizzate". La prima riguarda diversi gradi di patologia, quali
la timidezza, qualora essa diventi eccessiva e richiami il quadro della fobia sociale, o
l'impaccio motorio e le disprassie. La seconda riguarda sia il funzionamento intellettivo che
la stessa organizzazione fantasmatica (inibizione a sognare, immaginare…)
(Adriana Guareschi Cazzullo).
L’intervento psicomotorio
con il bambino inibito
Il bambino inibito appare spesso “senza corpo”, non prende iniziative, o se le prende,
svolge attività ripetitive.
Esita o aspetta ad iniziare, quando agisce presenta ipotonicità o ipertonicità corporea, non
riesce a raggiungere lo scopo desiderato, e spesso non insiste nei tentativi.
L’intervento psicomotorio con il bambino inibito necessita, in prima battuta, di un
“ascolto” del corpo del bambino da parte del terapeuta.
Si apre un tempo di attesa, caratterizzato dall’apparente “non fare”, utile al piccolo per
trovare una modalità di accesso all’attività individuale.
Al contempo lo psicomotricista presenta, e talvolta anche presta, il proprio corpo al
bambino, “agisce” per lui, consentendogli di riconoscere e trasformare in modo piacevole
le sue esperienze corporee.
Le sensazioni piacevoli, dapprima solo embrionali, vengono a poco a poco riconosciute
come emozioni e organizzate gradualmente in simboli.
FONTI:
Servizi Sociali città di Torino, Dott.ssa Valeria Moschee, Pedagogista, psicomotricista ed
educatrice professionale