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Fonte: Il Sole 24 Ore, 4/07/2004
PIANI DI ACCUMULO – Negli ultimi 14 anni l’investiemnto
domenstico a rate batte di poco i titoli di Stato
Il Pac? Era meglio farlo con i BTp
Spesso si dà per scontato che l’investimento azionario nel lungo periodo sia vincente rispetto al
semplice investimento in tranquille obbligazioni governative. Tali affermazioni nascono in
riferimento alla realtà americana ed in particolare al “premio per il rischio” storico dell’indice
S&P500 o del DJIA rispetto ai titoli governativi.
Il Pac sulle azioni…
In effetti essendo le azioni più rischiose delle
obbligazioni, nel lungo periodo, le prime hanno
dato dei rendimenti medi decisamente
superiore ai tassi di interessi e quindi
l’assunzione di maggiore rischi in termini di
volatilità, per l’investitore americano, è ben
stata
premiata.
Questo
ragionamento,
purtroppo, regge poco se guardato da lato del
risparmiatore italiano. Questo perché i
rendimenti del mercato azionario americano,
essendo calcolati in dollari, non tengono conto
dell’effetto cambio che subisce il nostro
investitore convertendo i relativi guadagni nella
propria moneta di conto e cioè l’euro. In secondo luogo, la tendenza di investire prevalentemente
nel proprio mercato domestico e nei mercati limitrofi è ancora affermata. Infine gli indici di
“riferimento” sono al lordo di tasse ma soprattutto al lordo di quei costi dei risparmio gestito, tanto
più elevati quanto più si ci avvicina a prodotti ad alto contenuto azionario largamente diffusi presso
il pubblico. Gli stessi risparmiatori possono constatare quanto, anche a distanza di anni, la realtà
dei propri investimenti azionari sia lontana dal “sogno” americano.
Prendendo dunque a riferimento il mercato
…e quello sulle obbligazioni
italiano verifichiamo gli effettivi rendimenti, al
lordo di costi e tasse ma al netto
dell’inflazione, che si sarebbero ottenuti
attraverso un piano di accumulo mensile (in
sigla Pac) di 100 euro dal dicembre 1990 a
maggio 2004 per un totale versato, in più di 13
anni, di euro 16.100.
Per quanto riguarda l’analisi dei piani
d’accumulo nel mercato azionario italiano sono
stati considerati sia l’indice azionario Comit
Globale,
sia
l’indice
azionario
Comit
Performance.
Entrambi
questi
indici
descrivono l’andamento nominale delle azioni presenti sulla Borsa Italiana, ma il primo non tiene
conto dei dividendi distribuiti dalle azioni comprese nel paniere e quindi il suo valore si abbassa in
occasione dello stacco dei dividendi, il secondo, invece, li reinveste nell’indice stesso e quindi
consente di valutare i rendimenti complessivi (dividendi più guadagni in conto capitale).
Nel lungo periodo la “bestia nera” da battere per l’investitore è l’inflazione, cioè l’aumento
dell’indice dei prezzi al consumo. Battere l’inflazione significa riuscire ad ottenere un rendimento
maggiore rispetto all’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per tutelare il proprio potere
d’acquisto. Se gli strumenti finanziari in cui si decide di investire non riescono in questo obiettivo,
l’investimento stesso non ha senso. Per tale motivo abbiamo ricostruito il FOI (indice dei prezzi al
consumo per famiglie di operai e impiegati ex. tabacchi), in quanto l’investitore nel lungo periodo
deve tenere in considerazione l’inflazione, che è appunto l’aumento dei prezzi al consumo.
Sono stati quindi depurati dall’inflazione i rendimenti degli Indici Azionari Comit Globale e Comit
Performance, ottenendo dei rendimenti “reali” utilizzati nel calcolo della capitalizzazione degli
investimenti effettuati. Nel lungo periodo meglio ragionare in termini di tassi reali e non nominali.
Per quanto riguarda l’analisi dei piani d’accumulo nel mercato obbligazionario italiano sono stati
considerati sia l’indice BTP sia l’indice CCT, ovvero i rispettivi indici lordi di capitalizzazione MTS
“ex Banca d’Italia”. Da questi due indici si è ricostruito l’Indice BTP & CCT, indice che simula
l’andamento di una serie composta dal 50% di BTP e dal 50% di CCT. Anche in questo caso sono
stati utilizzati rendimenti “reali” ossia al netto dell’inflazione.
L’arco temporale preso in considerazione si riferisce agli anni ’90 nei quali si è assistito
strutturalmente ad un periodo di accumulo e di crescita dei mercato azionario italiano che ha
raggiunto il suo culmine con l’esplosione della bolla speculativa ed al successivo tracollo seguito
negli ultimi tempi da un inizio di ripresa, mentre i tassi di interesse e l’inflazione hanno seguito un
lento e variegato percorso di discesa.
Questo scenario storico della realtà italiana ha prodotti i risultati visibili nei grafici riportati. L’analisi
profittabilità di un piano d’accumulo, sia esso azionario o obbligazionario, dipende dalle dinamiche
storiche circa le fasi di mercato che si susseguono. Molti affermano che un investimento azionario
in un piano di accumulo (PAC), “smorza” i cicli del mercato, e che più lungo è l’orizzonte
temporale, a maggior ragione conviene pesare più l’azionario. La storia recente sembra non
esaltare questa affermazione in quanto i rendimenti PAC negli indici azionari non sembrano
essere significativamente superiori a quelli obbligazionari tali da garantire un buon premio per il
maggior rischio assunto. Nel mercato italiano l’investimento PAC 100% azionario media i prezzi
ed i rendimenti ma non la maggiore volatilità a cui sono sottoposti i risparmiatori.
Pagina a cura di
Giuseppe Romano
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Per la performance i dividendi sono determinanti
Dicembre
1990
Maggio
2004
Rendimento
medio annuo
composto
Comit Globale
100
20546,34
3,54%
Comit Performance
100
25023,55
6,30%
-
4477,21
2,77%
BTP
100
23798,55
5,61%
CCT
100
20211,95
3,30%
-
3586,60
2,30%
100
21930,05
4,46%
Indice
Tipo
Azionario
Depurato PAC
Obbligazionario
Depurato PAC
Nome
Differenza
Differenza
BTP & CCT
(50%;50%)
Dalle tabelle riportate è possibile individuare vari spunti di riflessione. I dividendi nel lungo periodo
sono determinanti nella performance di un investimento. Infatti il gap dei rendimenti reali medi
composti (pari a 2,77%) a favore del Comit Performance, si devono unicamente ai dividendi
distribuiti dalle azioni comprese nel paniere dei due indici, che sono reinvestiti dal Comit
Performance, mentre non sono considerati dal Globale. Tale gap, trattandosi di un rendimento che
si accumula di anno in anno, è significativo: in più di tredici anni c’è un differenziale pari a 4.477
euro su un totale investito di 16.100 euro. Inoltre con un rendimento reale del 3,54% l’investimento
non comprensivo dei dividendi ha reso nettamente di meno dell’investimento in Btp
(rispettivamente 20546 contro 23798) e di un banale mix tra Cct e Btp. Con un piccolo differenziale
positivo pari a 335 euro riesce a reggere il confronto con i rendimenti monetari. Il piano
d’accumulo azionario diventa vincente solo considerando il reinvestimenti dei dividendi e battendo i
Btp con un premio per il rischio pari ad appena 0,69% con un montante finale di 25023 euro
rispetto ai 23798 con il Pac nel tasso fisso.
Il risparmiatore che investe nel lungo periodo in un mercato azionario, nella fattispecie quello
italiano, deve essere sensibile alla variabile dividendi, per ottenere rendimenti in linea con gli indici
comprensivi dei dividendi. Determinante la scelta degli strumenti finanziari: costi eccessivi e
gestioni non a valore aggiunto erodono i proventi e spesso sottoperformano addirittura gli indici
che escludono i dividendi. E’ il caso di molti FCI azionari, con piani pac molto costosi. L’italiano
medio, che investe prevalentemente nel mercato domestico con strumenti del risparmio gestito,
subisce spesso costi ingiustificati che abbattono ulteriormente i già esigui rendimenti dei
benchmark. Ad oggi, per avvicinarsi alle performance degli indici “teorici” e riceverne i relativi
dividendi, gli strumenti più adatti sono gli ETF. Essi presentano un costo medio totale annuo dello
0,43% contro un Ter dichiarato da Assogestioni del 2,2% dei fondi azionari.
La storia del mercato italiano ci dimostra che non c’è bisogno di sovrappesare la componente
azionaria per ottenere “buoni rendimenti” nel lungo periodo. I risultati possono essere diversi su un
orizzonte internazionale, mentre i rendimenti dei titoli di Stato nei prossimi anni potranno essere
strutturalmente inferiori. Ma la realtà italiana degli ultimi 14 anni porta a questa conclusione: più si
pesa l’obbligazionario rispetto all’azionario, più i risultati migliorano e non solo in termini di minori
rischi.
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