Schopenhauer L’opera principale di schopenhauer si chiama “il mondo come volontà e rappresentazione”: il testo ha una struttura sistematica. Secondo Schopenhauer i filosofi si dividono in base allo stupore filosofico: ci sono quelli che si stupiscono dinanzi al mondo reale (la natura, le cose piu elementari) e quelli che invece si stupiscono in maniera indiretta (un tipo di stupore intellettuale, come dopo aver visto un opera d’arte o aver letto un libro di letteratura). Secondo il filosofo solo i primi sono i veri pensatori in quanto solo loro daranno vita ad una filosofia organica e sistematica come la sua: gli altri invece daranno vita ad un sistema che avrà un valore solo funzionale e non riuscirà a comunicare la verità assoluta. Riprendendo il concetto dello stupore, secondo schopenhauer l’origine della filosofia, come per la religione, sta nello stupore dinanzi al male e al dolore che sono presenti nel mondo: quindi l’origine della filosofia è di tipo morale e religiosa. L’opera (“il mondo come volontà e rappresentazione”) si divide in 4 libri che ruotano intorno ad un nucleo centrale e nasce appunto come tentativo per rispondere alla domanda “perché la sofferenza?”. Per quanto riguarda lo stile, l’opera non è letteraria alla maniera kantiana, ma il linguaggio è limpido e scientifico e critica l’oscurità dello stile di hegel e in generale di tutti gli intellettuali romantici. Nell’opera viene preso in considerazione il mondo o come volontà (è il mondo nascosto, irrazionale e oscuro) o come rappresentazione (il mondo che ci appare così com’è, quello fenomenico). Nel prendere in considerazione il rapporto soggetto-oggetto (io-mondo) schopenhauer analizza le varie classi di oggetti: 1) la prima classe è quella delle rappresentazioni intuitive che stanno alla base di ogni nostra esperienza (le rappresentazioni intuitive sono i fenomeni regolati da leggi oggettive) 2) la seconda classe è quella delle rappresentazioni astratte (o concetti): secondo lui, la conoscenza astratta è secondaria rispetto a quella intuitiva, perché solo quest’ultima da il contenuto alla conoscenza astratta (i concetti prevedono una conoscenza di base: per affermare per esempio la mia proprietà di un oggetto, dovrò avere delle conoscenze intuitive di base, come magari il mio nome inciso sopra, che mi porteranno ad affermare che quell’oggetto è mio). 3) È costituita dalle rappresentazioni di spazio e tempo che, a differenza della prima classe, non sono piu intuitive ma sono separate dalla materia, cioè sono le rappresentazioni pure della matematica (come le proprietà del triangolo) 4) È quella delle azioni, che sono regolate dalla legge di motivazione. Se nella prima classe gli oggetti erano regolati dal rapporto causa-effetto, gli oggetti della quarta classe invece sono regolati dal rapporto tra motivo e azione, che mette quindi in evidenza la volontà e la libertà del soggetto. Secondo schopenhauer la volontà del soggetto non trova il suo spazio nel mondo fenomenico, come la libertà kantiana non trovava il suo spazio nel mondo fenomenico. Le quattro classi di oggetti servono per spiegare il mondo in quanto rappresentazione, cioè il mondo fenomenico, ma non servono a spiegare il mondo noumenico, kant non era riuscito ad accedere al mondo noumenico mentre schopenhauer, nella sua opera, vanta di aver scoperto la via d’accesso alla cosa in sé (noumenico). Per arrivare a scoprire questa via di accesso, che schopenhauer identifica con la volontà, si serve di una metafisica immanente, cioè una metafisica dell’esperienza e non una metafisica trascendente. Schopenhauer, riprendendo il principio degli idealisti, sostiene che il mondo sensibile non è il vero mondo ma è un immagine ingannevole, è sogno, è illusione; oltre a questo mondo esiste un'altra dimensione del mondo, è il mondo della volontà. Mentre il mondo come rappresentazione volge lo sguardo verso l’esterno (verso le cose sensibili), il mondo come volontà volge lo sguardo all’interno, verso la coscienza. Nel mondo della volontà l’io voglio è la condizione stessa del soggetto (così come per kant l’io penso era la condizione stessa degli oggetti). Il ponte tra i due mondi (quello della volontà e quello della rappresentazione) è il corpo, in quanto lo possiamo vedere secondo due prospettive: 1) come corpo tra i corpi, e quindi è un fenomeno tra i fenomeni 2) come volontà, quindi è un noumeno che si manifesta attraverso i fenomeni Possiamo affermare quindi che c’è un identificazione tra cose in sé e volontà (tra il noumeno e la volontà: il mondo noumenico infatti è regolato dalla volonta). Il mondo fenomenico è il mondo ingannevole dei sensi, è quello che schopenhauer definisce il mondo della rappresentazione. Dietro questo mondo (cioè dietro il velo di maya) esiste il vero mondo, un mondo irrazionale che schopenhauer chiama “il mondo della volontà”. Affermare che nel mondo noumenico regna la volontà, cioè affermare l’identificazione tra mondo noumenico e volontà significa identificare la metafisica e l’etica. Questa identificazione è tipica del metodo dell’immanenza proprio di schopenhauer: la sua immanenza viene fuori anche quando schopenhauer descrive la condotta umana, che non è piu trascendente ma è a libera interpretazione, quindi non la prescrive come aveva fatto kant. La volontà di schopenhauer è veramente libera di volere ciò che vuole. Il concetto di volontà viene analizzato nell’opera principale, che si suddivide in quattro libri: il primo contiene la gnoseologia, il secondo la metafisica, il terzo l’estetica, il quarto l’etica. I primi due sviluppano la teoria della subordinazione dell’intelletto alla volontà dove la volontà viene vista come un essenza metafisica al di là di ogni comprensione intellettuale, quindi irrazionale, e che si serve dei singoli corpi finiti per oggettivarsi, manifestarsi, nel mondo spazio temporale. Tra i vari fenomeni della volontà c’è anche la coscienza che comprende sia l’intelletto che la ragione. Il terzo libro, quello che si interessa dell’estetica, prende in considerazione l’arte che è una forma di conoscenza, ma non una conoscenza comune cioè quella intuitiva che si serve dei sensi, ma una conoscenza che si rivolge alle idee, e solo l’artista o il genio ha la capacità di rivolgersi alle idee. Schopenhauer attribuisce all’arte una funzione metafisica in quanto l’arte esprime l’aspetto profondo della realtà vista come volontà oltre il fenomeno, l’arte cioè esprime la volontà stessa grazie al suo atteggiamento contemplativo; infatti per schopenhauer il bello è l’oggetto di un piacere disinteressato (riprende da kant questo concetto). L’arte è una forma di conoscenza superiore a quella scientifica, perché solo l’arte coglie l’oggetto in sé per sé, al di la delle sue relazioni con il mondo fenomenico. Infine l’arte è come una liberazione dalla volontà, liberazione però momentanea: infatti l’arte è vista come un momento di allontanamento dal bisogno e dal dolore, caratteristiche strettamente legate alla volontà di vivere. Il quarto libro invece è dedicato all’etica, meglio ancora all’etica della liberazione, in quanto la moralità rende definitiva quella liberazione dalla volontà che nell’arte era solo momentanea. La volontà è sinonimo di vita, cioè la volontà è volontà di vivere. Come seconda via di liberazione dalla volontà, schopenhauer individua l’etica: vede l’etica come superamento dell’egoismo che è secondo il filosofo una delle maggiori fonti di dolore. Secondo schopenhauer l’etica non nasce da un imperativo categorico dettato dalla ragione (come diceva kant) ma è un sentimento di pietà che ci permette di sentire nostre le sofferenze degli altri cioè noi compatiamo, nel senso che sentiamo con gli altri, il dolore. La morale di schopenhauer si fonda su due virtu principali: la giustizia e la carità. La giustizia è il primo limite all’egoismo, perché noi siamo portati a non fare il male agli altri. La carità, non solo prevede di non fare male, ma anzi prevede di fare bene. Schopenhauer parla di una carità come vero amore disinteressato, ma nonostante sia una carità amorevole e disinteressata, questo tipo di carità si trova ad agire comunque all’interno della vita e quindi non prevede una liberazione totale perché schopenhauer non vuole arrivare solo alla liberazione dall’egoismo o dalla sofferenza, ma vuole arrivare ad una liberta totale cioè l’uomo si deve liberare della stessa volontà di vivere. Questa liberazione potra avvenire solo con l’ascesi. L’ascesi è un esperienza attraverso la quale l’uomo smette di volere la vita, smette di desiderare e l’uomo diventa veramente libero: è quello stadio definito dai cristiani “grazia divina”. L’ascesi di schopenhauer però si differenzia però da quella dei mistici cristiani, in quanto quella dei mistici prevede l’estasi, cioè l’unione con dio; l’ascesi di schopenhauer invece si fonda su un misticismo ateo che porta al nirvana buddista, cioè all’esperienza del nulla: il nulla di cui parla però non è il niente ma è tutto, nel senso che con l’ascesi vanno via tutte le illusioni, tutte le sofferenze, ma resta tutta la pace, tutta la serenità, cioè il nirvana. [e dinanzi a questa ci sono due comportamenti etici possibili: il primo è l’atteggiamento di chi, avendo compreso che l’unica realtà è la volontà, accetta di identificarsi con questa: è cioè colui che ha detto si alla vita. A questo comportamento se ne contrappone un altro, quello tipico dell’asceta (l’ascetismo, secondo schopenhauer, consiste nella morale della compassione, ovvero nell’abolire la distinzione tra l’io e l’altro, cioè nel superare l’egoismo e compatire con l’altro. Secondo schopenhauer non è possibile definire l’ascetismo in forma positiva, ma solo in maniera negativa: il massimo grado dell’ascetismo è la noluntas, cioè una volontà liberata, una volontà che non è più cieca volontà di vivere ma è una non volontà. Schopenhauer rintraccia varie gradi di ascetismo tra cui quello più importante è quello della castità, perché attraverso la castità non si cede alla volontà di accoppiarsi e quindi di mettere al mondo una terza sofferenza. ), cioè il comportamento di colui che, avendo compreso che l’essenza del mondo è la volontà, ha paura della realtà di dolore e, pur continuando a vivere, sospende liberamente il suo assenso alla volontà: quindi è colui che nega la vita.] Ci sarebbe un terzo atteggiamento, il suicidio, ma schopenhauer non la ritiene una soluzione, perché la volontà di vivere è immortale e non cesserebbe di vivere con la fine di una singola vita: inoltre il suicidio è la massima affermazione della volontà