Schopenhauer Influenze culturali nel pensiero di Schopenhauer: La

Schopenhauer
Influenze culturali nel pensiero di Schopenhauer:
La filosofia di Schopenhauer si pone come punto d’incontro fra varie esperienze filosofiche:
 di Platone l’attrae la “teoria delle idee”, considerate come forme eterne sottratte alla caducità dolorosa del mondo.
 da Kant deriva l’impostazione soggettivistica della sua gnoseologia.
 dall’illuminismo lo attraggono le idee materialistiche, la tendenza demistificatrice nei confronti delle credenze e lo spirito ironico.
 dal romanticismo trae tematiche come l’irrazionalismo, l’importanza dell’arte e della musica, il tema dell’infinito (ovvero la presenza di un
principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni). Tuttavia mentre le idee romantiche mostrano tendenze globalmente
ottimistiche, Schopenhauer sarà più orientato verso un profondo pessimismo.
 dal pensiero orientale recupera alcune fondamentali tematiche e trae molte immagini ed espressioni tipiche; inoltre egli intuisce che anche
in occidente questi pensieri avrebbero avuto in futuro una certa fortuna.
-Per quanto riguarda l’idealismo e soprattutto Hegel, egli ritiene che questi pensieri debbano essere rifiutati, poiché si propongono solo di
giustificare credenze che tornano utili alla chiesa o allo stato e si contrappongono alla libertà che deve caratterizzare un pensiero filosofico.
Sono “filosofie dell’universalità” al servizio, non della verità, ma di interessi volgari come il successo ed il potere.
Il mondo come sogno:
-La filosofia di Schopenhauer si sviluppa dai concetti kantiani di fenomeno e noumeno.
Kant aveva dato due definizioni di fenomeno: è nella coscienza (1° critica); è l’oggetto della percezione (2° critica). Schopenhauer fa sua la
prima accezione e pensa che il fenomeno esiste solo dentro la coscienza, definendo il mondo come una rappresentazione. In tal senso egli si
discosta dal pensiero kantiano che considerava il fenomeno come l’oggetto della rappresentazione al di fuori della coscienza (anche se
appreso tramite le forme a priori nella coscienza).
Il fenomeno è: per Kant l’unica realtà accessibile alla mente umana, mentre per Schopenhauer un illusione, detta “velo di Maya”;
Il noumeno è: per Kant l’oggetto che non si può conoscere causa delle sensazioni, mentre per Schopenhauer la realtà nascosta celata dietro
l’inganno del fenomeno.
-Se tutti i fenomeni sono nella coscienza, allora il mondo è rappresentazione. Essa è costituita da due aspetti: il soggetto rappresentante e
l’oggetto rappresentato, i quali esistono solo all’interno della rappresentazione e hanno stessa importanza (in tal senso è criticato l’idealismo
che riduceva l’oggetto al soggetto, ed il materialismo che riduceva il soggetto all’oggetto).
-Ora, sulle orme del criticismo, Schopenhauer ritiene che la mente dell’uomo risulti fornita di una serie di forme a priori. Esse però, rispetto a
Kant, sono soltanto tre: spazio, tempo e causalità, alla quale sono riconducibili tutte le altre categorie, poiché tutta la realtà dell’oggetto si
risolve nella sua azione causale su altri oggetti. La causalità si manifesta in forme diverse, come necessità logica, fisica, matematica e morale.
-Poiché le forme a priori sono come vetri sfaccettati che deformano la visione di ogni cosa, la stessa rappresentazione è una proiezione
ingannevole, quindi la vita è sogno. Tuttavia, al di là del sogno esiste la vera realtà sulla quale il filosofo è spinto ad interrogarsi (poiché
l’uomo è animale metafisico che si stupisce della propria esistenza).
La via d’accesso alla vera realtà:
-Schopenhauer pensa alla propria filosofia come la continuazione di quella kantiana. Egli crede infatti di aver scoperto la via d’accesso al
noumeno, che Kant aveva negato.
-Se noi fossimo soltanto rappresentazione non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico, ma siccome abbiamo anche un corpo che
viviamo interiormente, godendo e soffrendo, possiamo renderci conto che l’essenza profonda del nostro io (la cosa in sé del nostro essere) è
la volontà, o brama di vivere, cioè un impulso irresistibile che ci spinge ad agire. In tal senso l’intero mondo fenomenico non è che il modo
attraverso cui la volontà si manifesta nella rappresentazione spazio-temporale.
-Attraverso il principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere è la radice noumenica dell’intero universo, poiché
pervade ogni essere (anche se secondo gradi di consapevolezza diversi).
La Volontà:
-Essendo al di là del fenomeno la Volontà presenta caratteri opposti ad esso, in quanto si sottrae alle deformanti forme a priori di
quest’ultimo.
La Volontà è:
 Inconscia, poiché non si identifica con il concetto di volontà cosciente, ma con quello più generale di energia ed impulso
 Unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo si sottrae al principio di individuazione
 Eterna, poiché senza inizio né fine;
 Senza causa né scopo, poiché, essendo al di là della causalità, essa non ha né un perché né uno scopo;
-Secondo Schopenhauer, infatti, la Volontà non ha una meta oltre se stessa. Tutti gli esseri vivono solo per continuare a vivere, e lo fanno
anche gli uomini, nonostante abbiano mascherato questa evidenza, creando un Dio in cui troverebbe un senso e a cui sarebbe finalizzata la
propria vita. Per Schopenhauer Dio non esiste, l’unico Assoluto è la stessa Volontà, la quale si manifesta nel mondo fenomenico attraverso
due fasi:
Prima fase: la Volontà si “concretizza” in un sistema di forme immutabili, aspaziali ed atemporali, chiamate “idee”, considerate come
archetipi del mondo.
Seconda fase: La Volontà si “concretizza” nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che una copia delle idee nelle
dimensioni dello spazio e del tempo. Fra gli individui e le idee esiste infatti un rapporto di copia-modello.
-Attraverso queste due fasi il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta attraverso una serie di gradi formanti una piramide che
culmina nell’uomo dove la volontà è pienamente consapevole (questa consapevolezza dell’uomo è inversamente proporzionale alla
sicurezza, poiché la ragione come guida della vita è meno efficace dell’istinto e fa sì che l’uomo risulti sempre un animale malaticcio).
Il Pessimismo:
Dolore, piacere e noia
-Per Schopenhauer affermare che l’essere è la manifestazione di una Volontà infinita equivale a dire che la vita è dolore. Egli, infatti, afferma
che volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa, e, dunque, in uno stato di
dolore. Il desiderio infatti è per definizione assenza, vuoto e, perciò, dolore.
-Poiché nell’uomo la Volontà è più cosciente esso risulta il più bisognoso degli esseri.
-Il dolore dell’uomo cessa solo con l’appagamento di un desiderio; tuttavia, dice Schopenhauer, “per un desiderio appagato ne rimangono
almeno dieci insoddisfatti” e l’appagamento è breve rispetto alla durata della brama.
Tutto ciò fa sì che la soddisfazione di un desiderio sia solo apparente: nessun appagamento è durevole, tutti prolungano soltanto il dolore
dando vita a nuovi desideri.
-Per di più il godimento (fisico) e la gioia (psichica) sono nient’altro che una cessazione di dolore. In tal senso perché ci sia il piacere è
necessario un dolore preesistente, ma ciò non vale per l’opposto, poiché il dolore non può essere ridotto a cessazione di piacere, in quanto un
individuo può sperimentare una serie di dolori senza che essi siano preceduti da altrettanti piaceri (“non v’è rosa senza spine, ma vi sono
parecchie spine senza rose!”).
-Accanto al dolore e al piacere Schopenhauer pone una terza condizione esistenziale, la noia, che è momentanea e subentra quando viene
meno il dolore del desiderio e il piacere dell’appagamento.
-Da tutto ciò deriva la concezione pessimistica di Schopenhauer, che conclude affermando che la vita dell’uomo è come un pendolo che
oscilla fra il dolore e la noia e il piacere fugace e illusorio.
La sofferenza universale
-La volontà di vivere è un desiderio perennemente inappagato e dunque il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma investe ogni creatura.
Tutto soffre, e l’uomo ancor di più poiché ne ha maggior consapevolezza. Per la stessa ragione il genio, che ha maggior sensibilità degli
individui comuni, è votato ad una maggiore sofferenza (chi aumenta il sapere moltiplica il dolore).
-Schopenhauer giunge quindi ad una delle massime forme di pessimismo della storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel
mondo, ma nel principio stesso da cui esso dipende.
- Espressione di questo male non è solo il desiderio doloroso della vita provocato dalla volontà, ma anche le conseguenze pratiche che questo
comporta, come ad esempio la lotta crudele di tutte le cose. Proprio grazie a questa all’uomo è consentito auto-conservarsi e perciò si può
dire che dietro ad una qualsiasi esistenza si cela una catena di morti strazianti.
-La lotta per la spartizione di spazio e tempo mostra come l’individuo sia in realtà solo al servizio della specie. L’unico fine della natura
sembra quindi quello di perpetuare la vita e con essa il dolore.
L’illusione dell’amore
-Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una manifestazione nell’amore. Infatti l’amore è uno dei più forti
stimoli dell’esistenza. Lo scopo per cui l’amore è voluto dalla natura è solo quello dell’accoppiamento.
-Dunque se l’amore è solo uno strumento per perpetuare la specie, non c’è amore senza sessualità. Per Schopenhauer, quindi, l’amore non ha
nulla per essere elogiato poiché perpetua il dolore della vita, al contrario, ad esempio, dell’amore disinteressato che viene provocato dalla
pietà.
Le vie di liberazione del dolore:
Dal pensiero di Schopenhauer emerge una visione della vita estremamente pessimistica. Ciò potrebbe far pensare alla sua filosofia come una
legittimazione del suicidio. In realtà non è così, egli rifiuta e condanna il suicidio per due motivi:
 Perché a ben guardare è un atto di forte affermazione della Volontà, (infatti in realtà il suicida vuole la vita, e decide di privarsene
solo perché malcontento delle sue condizioni, non per protesta contro la Volontà che produce dolore);
 perché il suicidio sopprime unicamente l’individuo, ossia una sola manifestazione fenomenica della Volontà, la quale non viene
annullata nella sua totalità.
Secondo Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell’eliminazione della vita, ma nella liberazione dalla Volontà di
vivere. Per raggiungere questa condizione il filosofo propone una via composta da tre fasi: l’arte, la morale e l’ascesi.
L’arte:
Mentre la scienza è sempre unita alle forme di spazio e tempo e asservita ai bisogni della Volontà, l’arte è conoscenza libera e disinteressata
che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure e ai modelli eterni delle cose.
Ciò accade perché nell’arte il soggetto contempla gli aspetti universali della realtà e diviene dunque un individuo estraneo ai bisogni pratici
della Volontà. Quindi, proprio per questa sua essenza che si fonda su un mondo di forme eterne, l’arte sottrae l’individuo dalla catena infinita
dei bisogni e dei desideri quotidiani, elevandolo al di sopra del dolore e del tempo.
Un posto a parte occupa la musica. Essa non riproduce le idee, ma si pone come immediata rivelazione della Volontà a se stessa; è capace di mettere l’uomo a contatto
con le radici stesse della vita.
Dunque, ogni arte è liberatrice poiché l’uomo, grazie ad essa, più che vivere contempla la vita ponendosi al di là della Volontà stessa (la
conoscenza si svincola dalla Volontà e si pone come disinteressata contemplazione). Tuttavia, la funzione purificatoria dell’arte risulta
temporanea, rappresentando non tanto una soluzione al dolore della vita, ma piuttosto un conforto ad esso.
L’agape:
In modo differente agisce la morale, che implica un impegno a favore del prossimo, nel tentativo di superare l’egoismo e l’ingiustizia.
Secondo Schopenhauer l’etica deriva da un sentimento di pietà, con il quale si avvertono proprie le sofferenze altrui. La pietà non nasce da
un ragionamento astratto (imperativo categorico kantiano), ma da un’esperienza vissuta. Tramite di essa l’uomo può sperimentare l’unità
metafisica di tutti gli esseri, comprendendo come il tormentatore e il tormentato siano noumenicamente una stessa realtà.
La moralità si oggettiva nell’agape, l’amore disinteressato nel fare del bene al prossimo, ben differente dall’eros egoistico.
Tuttavia, nonostante la moralità implichi una vittoria contro il dolore, essa rimane sempre all’interno della vita e presuppone un qualche
legame con la Volontà.
L’ascesi:
Schopenhauer pensa ad una liberazione totale non solo dall’egoismo, ma dallo stesso Impulso della vita attraverso l’ascesi: un deliberato
infrangimento della Volontà. Il primo passo è quello della castità perfetta che libera l’uomo dal più forte impulso: quello sessuale. Poi si
hanno tutte le altre manifestazioni tipiche dell’asceta, che tendono a sciogliere ogni desiderio della Volontà.
Questa soppressione dell’impulso vitale è l’unico atto di libertà possibile all’uomo che culmina con il nirvana, l’esperienza del nulla.
La critica delle varie forme di ottimismo:
Uno degli aspetti tipici del pensiero di Schopenhauer è il suo carattere demistificatorio volto a criticare le ideologie con cui gli uomini
tentano di nascondere a se stessi la negatività della vita.
Contro l’ottimismo cosmico: Esso consiste in quella forma di pensiero tipicamente occidentale che interpreta il mondo come
provvidenzialmente governato da un Dio o da una Ragione immanente (Hegel). Questa visione che appare consolatrice è per Schopenhauer
assolutamente falsa, poiché la vita è il teatro dell’illogicità e dell’irrazionalità.
Contro l’ottimismo sociale: Esso coincide con la tesi della socievolezza e bontà dell’uomo. Secondo Schopenhauer i rapporti umani sono
regolati solo dal tentativo di sopraffazione reciproca, in quanto l’uomo è una belva cattiva con i propri simili. Dunque, se gli uomini vivono
insieme non è per simpatia, ma per bisogno e se lo Stato esiste non è per l’eticità umana, ma per il controllo e la regolamentazione degli
istinti aggressivi degli individui.
Contro l’ottimismo storico: Schopenhauer ridimensiona il ruolo conoscitivo della storia. Egli afferma che gli storici, studiando gli uomini,
finiscono col cadere nell’illusione che gli uomini mutino davvero di epoca in epoca. In realtà, invece, il destino umano presenta dei tratti
immutabili (il dolore e la sofferenza dell’uomo), che non cambiano mai la condizione dell’uomo nei vari secoli.
La storia, dunque, è solo una pretesa di rivelarci il diverso ed il progressivo, che maschera il dolore della vita attraverso l’idea di un
progresso illusorio.