• Ogni Scienza si avvale di una
terminologia appropriata, rigorosa e
precisa.
• L'oggetto della chimica è la materia
e, quindi, l'arte figurativa che si avvale
di materiali da plasmare, è permeata
da realtà e problematiche che
riguardano la chimica.
• La Chimica segue il manufatto dalla
creazione, durante la sua vita fino al
degrado.
• La consapevolezza che il bene culturale
fosse non solo un oggetto da “fruire” ma
anche da salvaguardare risale agli anni
sessanta, anche se inizialmente si è
passati da un eccesso di trascuratezza a
un eccesso di “scientificità”,
trasformando il restauro in una semplice
e fredda operazione scientifica.
• Sebbene il significato e l'importanza
di un manufatto non risiedano nei
materiali che lo costituiscono, è
necessario comprendere che da questi
dipende il suo permanere nel tempo.
• Tale consapevolezza è necessaria sia
nell'ambito della fruizione del bene
che nell'ambito della conservazione e
del restauro.
• La Chimica permette di indagare a
fondo le caratteristiche della
materia e i processi degradativi che
la riguardano, con lo scopo di
arrestarli o rallentarli per
prolungare l'esistenza delle opere e
tramandarle alle culture che
seguiranno.
• A differenza degli esseri viventi
che possono reagire e adattarsi alle
• Il restauratore deve rappresentare sia mutate condizioni fisiche, gli oggetti
l'esigenza tecnico-materica che quella
materiali possono solo subire le
espressivo-artistica, utilizzando la prima modifiche e le aggressioni
in funzione della seconda.
dell'ambiente
Per tale motivo, il restauratore moderno deve possedere
un bagaglio scientifico abbastanza approfondito, senza
arrivare ad una conoscenza di tipo “professionale”, al fine
di attuare l'intervento nella maniera più congrua, nel
rispetto del significato e per la salvaguardia del manufatto.
.
“San Giuseppe” di Andrea Malinconico
1660 -1665 Barocco Napoletano
Quindi la chimica è importante nello studio dei beni culturali perché:
1) I Materiali sono sostanze chimiche (organiche ed
inorganiche)
•Lapidei: CaCO3
•Metallici: Rame (Cu), Bronzo (Cu+ tr.Fe, Mn, Co), Ottone (Cu+ Zn)
•Cellulosici: Legno, Carta, Tessuti (Cotone e Lino)
•Proteici: Tessuti (Seta, Lana)
•Pigmenti:
Inorganici (sali di Fe, Mn, Co),
Minerali (Malachite, Lapislazzuli, polverizzati),
Organici di origine Vegetale (Fiori e Bacche) o
Animale (Nero di seppia)
2) I prodotti di alterazione sono sostanze chimiche
ottenute da reazioni chimiche
(Ossidazione e Corrosione)
in realtà sono reazioni chimiche del tipo:
a) Acido/Base e Idrolisi
b) Ossido-riduzione
c) Complessazione
d) Precipitazione
indotte da fenomeni alla superficie dei materiali
a) Adsorbimento
b) Condensazione
3) Le alterazioni si verificano come effetto della
interazione dei materiali con
Calore, Luce,Inquinanti:
si modificano la stabilità delle sostanze e le energie associate ai fenomeni
fisici ed alle reazioni chimiche
4) La combinazione dei materiali originali con quelli
usati in precedenti restauri:
a) filosofia del restauro fino al rinascimento
b) dal 1800 il restauro non deve alterare l’originale
Tipologie di materiali (inorganici ed organici)
Danno fisico, chimico e biologico
I materiali inorganici come i metalli,
le leghe, il vetro, i materiali lapidei
e le malte, costituiscono la parte dei
beni culturali generalmente meno
soggetta a deterioramento
all’interno dei musei, degli archivi e
dei palazzi storici, ma egualmente
sottoposta a lento ma inesorabile
invecchiamento.
I materiali organici come la carta, il legno, il
cuoio, la gomma, le plastiche, i dipinti e i
tessuti, costituiscono una consistente parte
dei beni culturali dei musei, degli archivi e
dei palazzi storici.
I principali fattori ambientali di
rischio, sono:
– clima: inadeguata umidità,
temperatura e luce
– inquinamento di gas e
polveri: deposizione di aerosol
sulle superfici proveniente da
sorgenti interne e esterne,
fenomeni di corrosione,
formazione di strutture cristalline
superficiali, ossidazione e
carbonatazione
– microbiologia: formazioni di
patine batteriche e algali in
condizioni di forte disponibilità di
acqua e luce sulle superfici
Materiali
teoricamente
più(particelle
tollerantie
Gli inquinamenti
urbani
ma
loro particolarmente
relativa impermeabilità
gas)lasono
aggressivi
all’acqua,
fattadieccezione
per pietre,
nei confronti
questi materiali
per le
marmi
e intonaci,
si frequentemente
che si formi
reazioni
chimiche fa
che
acqua
di condensa
(rugiada) sulla
lorodi
generano
prodotti cristallini
in grado
superficie
mettendo delle
in soluzione
le
crescere all’interno
microscopiche
polveri
depositate
che possono dare
discontinuità
del materiale
luogo
a reazioni
chimiche aggressive
producendo
fessurazioni,
fratture e
con
conseguente solubilizzazione del
distacchi.
substrato.
Rimedio: controlli e spolverature
Rimedio:
frequenti.spolverature frequenti.
I materiali organici come la carta, il legno, il cuoio, la gomma, le
plastiche, i dipinti e i tessuti, costituiscono una consistente parte dei
beni culturali dei musei, degli archivi e dei palazzi storici.
Essi sono i materiali più vulnerabili al deterioramento e presentano i
seguenti tipi di danno:
– Dipinti: scolorimento, screpolature, sporcizia.
– Tessuti: resistenza ridotta, cambiamento di colore e sbiadimento.
– Carta: infragilimento, macchie e sbiadimento.
– Legno: rotture, decomposizione e polverizzazione superficiale.
– Cuoio: indebolimento e superficiale polverizzazione
I principali fattori ambientali di rischio, sono:
1) Clima
Umidità relativa, temperatura, luce sono tutti
importanti fattori che debbono essere monitorati nei
musei.
La limitazione delle fluttuazioni di umidità relativa è
importante nella conservazione preventiva dei
materiali organici.
Luce e radiazione ultravioletta vanno
monitorati per gli oggetti fotosensibili.
2) inquinamento da gas e polveri
Deposizione di aerosol sulle superfici proveniente
da sorgenti interne e esterne e risollevato da
visitatori e macchine, fenomeni di corrosione,
formazione di patine che riducono la leggibilità,
ossidazione, substrato adatto per lo sviluppo di
forme biologiche diverse
3) Microbiologia
Gli attacchi fungini su oggetti
esposti in vetrine o sistemati nei
magazzini con alta umidità
rappresentano un caso molto
frequente nei musei. La
presenza di batteri può costituire
un ulteriore rischio.
Un tipo particolare di
alterazione dovuta ai
funghi è lo
scolorimento di
inchiostri dovuto alle
tannasi, enzimi che
catalizzano l’idrolisi
del gallotannato,
prodotto da alcuni
ceppi di Aspergillus e
Penicillium.
Clima
• La limitazione delle fluttuazioni di umidità relativa
è fondamentale nella conservazione preventiva dei
materiali organici.
Luce e radiazione ultravioletta vanno monitorati per
gli oggetti fotosensibili.
Inquinamento
• I risultati del monitoraggio di musei mostrano che
le concentrazioni di inquinanti indoor e outdoor
dipendono dal tipo di edificio e dal suo uso.
Microbiologia
• Il controllo delle condizioni ambientali è
importante per evitare che il bioaerosol depositato,
con favorevoli condizioni di crescita, aggredisca i
materiali organici.
Attenzione all’eccessivo
essiccamento dei materiali
organici che utilizzano l’acqua
come supporto
strutturale al pari delle
sculture di sabbia bagnata.
La pratica suggerisce di non
scendere mai sotto il 40% di
UR e di non superare il 65%.
Le escursioni molto rapide (entro i 30 minuti) di UR
vengono avvertite poco dal legno e dai libri, più
sensibili sono le stampe se non protette
adeguatamente.
Più pericolose sono le oscillazioni cicliche di UR nelle
24 ore che permettono al legno di mettersi in
equilibrio con l’ambiente con conseguenti ritiri e
rigonfiamenti che possono causare la caduta della
lamella pittorica superficiale.
UMIDITA’RELATIVA
- Influenza sulle dimensioni e sulla forma (UR alta =
rigonfiamento = sviluppo di microrganismi; UR bassa =
restringimento = crepe e rotture)
- Influenza sulla velocità delle reazioni chimiche
deteriogene (corrosione nei metalli, scolorimento del
colore dei materiali, aumento fragilità carta e tessuti,
deterioramento di alcuni materiali di vetro).
- Influenza sulle sorgenti del biodeterioramento
Il colore, sin dall’alba della civiltà, è stato lo strumento espressivo più
conosciuto e diffuso fra tutte le civiltà.
Nel corso della storia il senso del colore si è sviluppato con l’evolversi delle
civiltà e l’ampliarsi di scambi e conoscenze sui materiali, leganti, terre e le
tecniche pittoriche.
Spessore
variabile di
alcune
decine di
micron ( m)
Strato pittorico composto da una o più sostanze colorate disperse in
forma più o meno fine (…polvere…) in un mezzo (medium) trasparente ,
la cui funzione è di rendere quanto più possibile omogenea la loro
distribuzione, di legarle fra loro e di farle aderire alla superficie
sottostante.
Pigmenti: sono sotto forma di polveri sottili, colorate
(naturalmente come per esempio certi ossidi di metalli
oppure per adsorbimento di coloranti), insolubili nel
mezzo (medium) disperdente. Il pigmento disperso nel
medium forma una pasta che, stesa, costituisce un film
coprente.
Coloranti: sono sostanze, spesso organiche,
trasparenti, solubili, non coprenti. Conferiscono colore
ad altre sostanze non colorate per adsorbimento su un
substrato, inclusione o legame chimico stabile.
In gergo → I pigmenti hanno colore e “corpo”
→ I coloranti hanno solo colore
Per l'uomo della strada sono proprietà intrinseche degli oggetti
e delle luci;
Per il fisico sono un aspetto dell'energia radiante;
Per il pittore sono pigmenti che gli permettono di fare un
quadro;
Per lo psicologo sono un fenomeno percettivo;
Per il fisiologo una risposta del sistema nervoso.
Il
colore
dipende
dalle
caratteristiche fisiche della
luce che arriva sul nostro
occhio, ma non è di per sé
un'entità fisica: il colore è una
qualità della nostra sensazione
visiva, e come tale è un'entità
puramente soggettiva
Dunque il colore di una luce o di un corpo non è una
proprietà intrinseca di quella luce o di quel corpo, ma è
un aspetto che il nostro sistema visivo attribuisce loro:
una fiamma non è gialla, una foglia non è verde, ma noi
vediamo gialla la fiamma e verde la foglia.
E il colore che noi attribuiamo alla luce o agli oggetti è il
risultato di un processo abbastanza complesso che inizia
nei nostri occhi per azione di radiazioni di opportuna
lunghezza d'onda che gli oggetti osservati ci riflettono;
l'elaborazione di questa informazione continua poi nel
cervello.
In questo processo entrano in gioco perciò le proprietà
fisiche dello stimolo luminoso e delle componenti ottiche
del nostro occhio, le proprietà fisiologiche dell'occhio e
del cervello, e anche fattori genetici, che possono
influire sulla maggiore o minore ricchezza di sensazioni
cromatiche percepibili da un soggetto.
Il termine luce (dal latino lux, lucis) si riferisce alla porzione dello
spettro
elettromagnetico
visibile
dall'occhio
umano,
ed
è
approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri (nm) di
lunghezza d'onda, ovvero tra 750 e 428 THz di frequenza.
Questo
intervallo
coincide
con
la
regione di massima emissione da parte
del sole. I limiti dello spettro visibile
all'occhio umano non sono uguali per
tutte
le
persone,
ma
variano
soggettivamente e possono raggiungere
i 380 nanometri, avvicinandosi agli
ultravioletti,
e
i
730
avvicinandosi agli infrarossi.
Nota :
1 nm 10 9 m
1 THz 1012 Hz
nanometri
La luce è costituita da un insieme di onde elettromagnetiche che si propagano nello
spazio a velocità costante e che si ripetono periodicamente nella direzione di
propagazione.
In fisica l'onda è un movimento periodico o
impulsivo che si propaga in un mezzo (non
necessariamente un mezzo materiale) con una
velocità ben definita.
L’onda elettromagnetica è costituita dalla
propagazione di un campo elettromagnetico,
nel vuoto o in un mezzo che la consente.
La distanza richiesta per un ciclo in un’onda
luminosa (da picco a picco) è chiamata
lunghezza d’onda ( ). La frequenza ( )
rappresenta il numero di onde in un secondo
e le due grandezze sono correlate
dall’equazione
= C, dove C è la velocità
costante (300.000 Km/sec) della luce nel
vuoto.
Le principali relazioni tra le grandezze
caratteristiche sono:
1) = n vibraz / tempo
2) c = x λ
oppure
3) E = h x
= 1 vibraz / T
c = λ /T
h, costante di Planck = 6,625 x 10-34 J x s
Dalla relazione 2) si nota che la
frequenza, , e la lunghezza d'onda, λ,
sono inversamente proporzionali
(il loro prodotto è un valore costante).
Mentre dalla relazione 3) risulta che
l'energia, E, dell'onda
elettromagnetica è direttamente
proporzionale al valore della
frequenza, .
Osservando uno schema dello spettro
elettromagnetico, lascia stupiti il fatto
che di tutte le onde elettromagnetiche
conosciute, dai raggi gamma fino alle
onde radio, solo una piccola porzione
compresa tra i 400 ed i 700 nanometri
faccia parte dello spettro visibile
all'occhio umano. Rispettivamente, 400
e
700
nm
sono
i
limiti
per
l’ultravioletto e per l’infrarosso; in
questa piccola regione trovano posto
tutte le sfumature che colorano il
mondo intorno a noi.
Noi percepiamo il colore così come percepiamo il gusto. Quando
mangiamo, le nostre papille gustative sono in grado di farci sentire i
gusti dolce, salato, acido o amaro.
Analogamente, quando osserviamo una scena, i nostri nervi ottici
registrano il colore in termini di attributi quali l’ammontare di
rosso-o-verde, di blu-o-giallo, e la luminosità.
N.B.: il colore esiste solo in presenza della luce!!!
Il colore è una sensazione fisiologica e soggettiva dell’occhio
umano, il quale è sensibile alle radiazioni dello spettro
elettromagnetico di lunghezza d’onda compresa fra circa 350 e
750 nm. “regione del visibile”
La sensazione di “colore” dipende da tre fattori principali:
(1) Le interazioni fra la luce e la materia che costituisce l’oggetto in
esame
(2) La sensibilità dell’occhio alle radiazioni
(3) La sorgente di illuminazione che colpisce l’oggetto
Lampade a
vapori di Hg
Dirette
Sorgente
Indirette o
riflettenti
Sole
Sorgenti a spettro
discontinuo (lampade al
mercurio o al neon)
Sorgenti a spettro continuo
(luce solare, lampadine
elettriche ad
incandescenza, lampade
alogene)
La componente rossa dello spettro in
una lampada ad incandescenza risulta
più importante delle componenti verde
e blu e pertanto il colore della luce di
una lampadina ad incandescenza è
“meno bianca” delle luce solare.
Lampada ad incandescenza
• È la classica “lampadina”
• è una sorgente luminosa in cui
la luce viene prodotta dal
riscaldamento (fino a circa
2700 K) di un filamento di
tungsteno attraverso cui passa
la corrente elettrica.
• genera al 90% calore e luce
per il 10
30
Lampada alogena
• La lampadina alogena è una particolare
lampada ad incandescenza, ma ci sono alcune
fondamentali caratteristiche che differenziano i
due prodotti.
• Al gas contenuto nel bulbo viene aggiunto iodio,
kripton, e, a volte, xeno per permettere il
riscaldamento del filamento fino a oltre 3000 K,
in modo da aumentare l'efficienza luminosa e
spostare verso l'alto la temperatura di colore,
cioè la luce è più bianca.
• “Temperatura di Colore” è un termine usato in
illuminotecnica per quantificare la tonalità della
luce.
31
Lampada a scarica
• La lampada a scarica è un tipo di
lampadina basata sull'emissione di
radiazione elettromagnetica da
parte di un plasma di gas ionizzato.
La ionizzazione del gas è ottenuta
per mezzo di una scarica elettrica
(da cui il nome) attraverso il gas
stesso.
• È costituita da una ampolla o un
tubo di vetro o quarzo contenente il
gas e almeno due elettrodi tra cui
avviene la scarica.
• Il gas può anche essere il vapore di
un elemento solido o liquido, per
esempio mercurio o sodio.
32
Lampada fluorescente
La lampada fluorescente è un particolare
tipo di lampada a scarica in cui
l'emissione luminosa visibile è indiretta,
ovvero non è emessa direttamente dal
gas ionizzato, ma da un materiale
fluorescente (da cui il nome).
Questo tipo di lampade sono
erroneamente chiamate lampade al
neon o tubi al neon, ma in realtà il
funzionamento è dovuto alla presenza di
vapori di mercurio e non al neon.
33
L’occhio, o bulbo oculare, è una struttura
sferoidale del diametro di circa 2,5 cm con
una
sporgenza
pronunciata
sulla
sua
superficie anteriore.
La parte esterna è formata da tre strati di
tessuto: il più esterno è la sclera, un
rivestimento protettivo che ricopre circa
cinque sesti della superficie oculare e che,
nella parte anteriore, è in continuità con la
cornea, trasparente e sporgente.
Infine, lo strato più interno è
la
retina,
sensibile alla luce.
Lo strato intermedio è la coroide, molto
ricca di vasi sanguigni, che riveste i tre
quinti posteriori del bulbo oculare ed è in
continuità con il corpo ciliare e con l’iride
che si trova nella parte anteriore dell’occhio.
La
cornea è una membrana
trasparente,
convessa
in
avanti,
costituita da cinque strati, attraverso
la quale la luce penetra all’interno
dell’occhio.
Dietro la cornea c’è una cavità (camera
anteriore)
che
contiene
un
liquido
trasparente e acquoso,
che
Il cristallino è una sfera appiattita
formata da un gran numero di fibre
trasparenti disposte in strati; è
circondato dal muscolo ciliare, di
forma circolare, a cui è collegato da
alcuni legamenti.
la
separa
cristallino,
dell’occhio.
da
l’umore vitreo,
una struttura, il
che rappresenta la “lente”
Insieme ai tessuti circostanti, il muscolo ciliare forma il corpo ciliare che,
appiattendo il cristallino o arrotondandolo, ne modifica la lunghezza focale,
cioè la distanza alla quale esso mette a fuoco le immagini.
L’iride
è una formazione circolare,
pigmentata, localizzata dietro la cornea
e davanti al cristallino; essa presenta
un’apertura
pupilla,
Dietro il cristallino, il bulbo
oculare contiene una sostanza
gelatinosa trasparente,
l’umore vitreo,
racchiusa da
uno strato membranoso sottile,
la membrana ialoidea. La
pressione dell’umore vitreo
mantiene il bulbo oculare
disteso.
circolare
al
centro,
la
le
cui
dimensioni
sono
controllate da un muscolo posto sul suo
margine. Contraendosi e rilassandosi,
questo
muscolo
fa
allargare
o
rimpicciolire
la
pupilla
stessa,
controllando la quantità di luce che
penetra nell’occhio.
La retina è una membrana
fotosensibile, formata da cellule
nervose stratificate che poggiano, dal
lato esterno della retina, su uno strato
pigmentato.
Sulla retina, in perfetta opposizione
alla pupilla, si trova una piccola zona
ellissoidale (circa 2,5 mm), di colore
giallo, chiamata fovea centralis: essa
corrisponde alla zona di massima
acutezza visiva dell’occhio.
Nel punto in cui il nervo ottico
penetra nel bulbo oculare si trova
una piccola zona rotonda di retina
priva di cellule fotosensibili, la papilla
ottica (disco ottico), che rappresenta
il punto cieco dell’occhio.
Queste cellule si distinguono in coni
e bastoncelli e hanno differenti
sensibilità ai colori e alla quantità di
luce.
I coni sono più sensibili ai colori e
permettono un’alta acutezza visiva; i
bastoncelli sono più sensibili dei precedenti
alla luce e permettono la visione
crepuscolare a scarsa acutezza visiva.
Nella fovea le cellule fotosensibili sono
rappresentate solo da coni. Intorno a essa
sono presenti sia coni sia bastoncelli;
procedendo verso la periferia della zona
sensibile i coni si diradano e, all’estremità
esterna, si trovano solo bastoncelli.
A causa della struttura nervosa della retina, l’occhio vede con la massima chiarezza solo
nella regione della fovea. I
permettono di distinguere dettagli fini, in quanto sono
collegati singolarmente alle fibre nervose e pertanto gli stimoli diretti a ciascuno di essi
vengono riprodotti in modo preciso.
I
, invece, sono collegati alle
fibre nervose a gruppi; pertanto sono in
grado di rispondere a stimoli ridotti ma
diffusi, mentre non hanno la capacità di
distinguere piccoli dettagli dell’immagine
visiva. A causa di queste differenze, sia
strutturali sia funzionali, il campo visivo
dell’occhio è formato da una piccola zona
centrale di grande nitidezza, circondata da
una zona di nitidezza minore, in cui però la
sensibilità alla luce è maggiore.
La conseguenza di questo fenomeno è che gli
oggetti risultano visibili di notte nella parte
periferica della retina, mentre sono invisibili in
quella centrale. I responsabili della visione
diurna sono i coni, mentre alla visione
notturna presiedono i bastoncelli.
I bastoncelli sono responsabili della visione
scotopica, ovvero della visione notturna o in
situazioni di carenza di luce. I bastoncelli non
sono in grado di distinguere i colori e sono
organi ad alta sensibilità con uno spettro di
sensibilità che copre tutto il visibile.
In luce diurna (regime fotopico), invece, la
visione è a carico dei coni che mostrano una
sensibilità più bassa dei bastoncelli, ma
selettiva rispetto alle lunghezze d'onda della
luce. I coni sono di tre tipi, differenziati rispetto
alla banda di sensibilità (blu, verde e rosso)
Gli occhi possono essere paragonati a
semplici macchine fotografiche, in
quanto il cristallino forma sulla retina
fotosensibile, che corrisponde a una
pellicola
fotografica,
un’immagine
capovolta degli oggetti.
Nell’occhio la messa a fuoco viene
ottenuta con l’appiattimento o
l’arrotondamento del cristallino: tale
processo
viene
chiamato
accomodazione. In condizioni
normali, l’accomodazione non è
necessaria per vedere oggetti lontani.
Il cristallino, appiattito dal legamento
sospensore, mette a fuoco questi
oggetti sulla retina. Per vedere oggetti
più vicini, il cristallino viene
progressivamente arrotondato dalla
contrazione del corpo ciliare, che fa
rilassare il legamento.
Un bambino in tenera età riesce a vedere chiaramente a
una distanza di soli 6,3 cm; con il passare degli anni, il
cristallino gradualmente si indurisce, al punto che i
limiti della visione da vicino sono circa 15 cm a 30 anni e
40 cm a 50 anni.
Il meccanismo della visione comporta la sensibilizzazione delle cellule
della retina da parte di un pigmento fotosensibile che nei bastoncelli
prende il nome di rodopsina, nei coni iodopsina. Per la produzione
della rodopsina è necessaria la vitamina A: per tale motivo, una
carenza alimentare di questa vitamina può provocare problemi della
visione notturna (emeralopia).
La rodopsina viene inattivata per azione della luce e deve essere
riformata dai bastoncelli in condizioni di oscurità; quindi, l’effetto
che si avverte passando dalla luce del sole a una stanza buia, quando
non si riesce a vedere nulla, è dovuto al fatto che le nuove molecole
di rodopsina non sono ancora disponibili. Quando il pigmento si è
formato e gli occhi sono diventati sensibili ai bassi livelli di
illuminazione, si dice che la vista si è adattata all’oscurità.
When light strikes the retina of your
eyes, the 11-cis-retinal portion of
rhodopsin absorbs a photon, and a cistrans photoisomerization occurs:
Sources of 11-cis-retinal include Vitamin
A and -carotene. A diet lacking in
Vitamin A can lead to night blindness,
whereas a diet rich in b-carotene (found
in carrots) can improve vision. Carrots
truly are good for your eyes.
Vitamina A
-carotene
L’occhio non ha la stessa sensibilità a tutte le lunghezze d’onda, e la
sensibilità dipende anche dall’intensità della radiazione.
Inoltre l’occhio non riesce a distinguere singole lunghezze d’onda, ma
intervalli di lunghezze d’onda che costituiscono i COLORI.
L’occhio è in grado di registrare anche sovrapposizioni dei diversi intervalli
di lunghezza d’onda, recepite come tonalità cromatiche diverse.
I tre tipi di coni hanno una diversa risposta
allo stimolo luminoso.
La risposta di ogni tipo di cono è proporzionale
all’intensità della luce che lo colpisce solo entro
certi limiti: c’è un limite inferiore, al di sotto
del quale il cono non è più sensibile (soglia di
sensibilità) che non è la stessa per i tre tipi (il
blu ha la soglia più bassa) e c’è un limite
superiore (soglia di saturazione), al di sopra
della quale la risposta è sempre la stessa.
La stimolazione con luce monocromatica a
420 nm produce la massima risposta del
primo tipo di coni, e la sensazione che si
produce è quella di una luce blu; la
stimolazione a 530 nm produce il
massimo di risposta del secondo tipo di
coni, e la sensazione associata è quella di
luce verde; infine, per stimolazioni a
lunghezza d’onda maggiore di circa 620
nm prevale il terzo tipo di coni, e la
sensazione associata è di luce rossa. Una
stimolazione a lunghezza d’onda
intermedia ai valori indicati produce una
sensazione di colore composto; ad es. una
stimolazione a 570 nm attiva più o meno
in pari misura i bastoncelli del verde e
del rosso producendo una sensazione di
luce gialla.
Della Teoria dei Colori (in tedesco Zur Farbenlehre) è un saggio scritto da
Johann Wolfgang von Goethe nel 1810 e pubblicato a Tubinga.
Nel primo volume, Goethe, classificando i colori e
studiandoli in tutte le loro manifestazioni, vuole
arrivare a mettere in risalto la complessità del
fenomeno cromatico e l'ingerenza non trascurabile
che vi ha l'organo della vista. Un capitolo è dedicato
interamente all'azione sensibile e morale dei colori e
alla loro funzione estetica e artistica.
Nel secondo volume, dopo aver preparato il lettore a non sottovalutare gli aspetti
sentimentali e soggettivi dei colori, Goethe attacca violentemente le teorie di Newton.
Goethe con quest'opera lancia un grido di protesta contro ciò che ritiene una
insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e dell'ottica. A suo modo di
vedere è inammissibile che i colori siano solo un puro fenomeno fisico; ritiene questa
una prepotenza dei newtoniani accusandoli di aver sepolto il lavoro di secoli. Il poeta
romantico ritiene che i colori, al contrario, siano qualche cosa di vivo, di umano; che
abbiano origine indubbiamente nelle varie manifestazioni naturali ma trovino la loro
composizione e il loro perfezionamento nell'occhio, nel meccanismo della visione e nella
spiritualità dell'animo dell'osservatore.
Il fisico inglese Isaac Newton dimostrò, nel
1672, che la luce, che vediamo bianca, è
in realtà composta dai sette colori dello
spettro solare. Nel suo esperimento
Newton fece passare un raggio di luce
attraverso un prisma di cristallo. Il raggio
si scompose così nei sette colori dello
spettro solare, dimostrando che il bianco
è la somma di quei colori.
Una cosa simile accade nell’arcobaleno: la
luce che passa attraverso le piccole gocce
d’acqua, sospese nell’aria dopo una
pioggia, si scompone nei sette colori dello
spettro (con tutte le relative gradazioni
intermedie).
Ogni "colore" e' costituito da tre
componenti:
Tonalità, Luminosità, Saturazione.
Saturazione
Si dicono saturi i colori che hanno la massima purezza e corrispondono a
radiazioni monocromatiche. I colori non saturi si ottengono
sovrapponendo una qualsiasi delle radiazioni spettrali di colore saturo con la
radiazione solare bianca. Sono colori non saturi per esempio il rosa di una nuvola
al tramonto e il colore celeste del cielo diurno
Intensità
L’intensità di un colore è la qualità che lo fa apparire all’occhio umano più o meno
luminoso.
La radiazione solare è costituita da radiazione a diverse lunghezze d’onda (colori)
che hanno all’incirca tutte la stessa intensità. Il nostro occhio tuttavia è più
sensibile alle radiazioni centrali dello spettro visibile che pertanto ci appaiono più
luminose
Tinta o tonalità
La tinta o tonalità è la qualità che distingue tra loro i colori saturi in base alla loro
lunghezza d’onda.
Sebbene la sensazione del colore non si spieghi completamente in base alla
percentuale di stimolazione di ciascun tipo di coni, emerge la rappresentazione
tricromica dei colori: esistono tre colori fondamentali mediante la cui
composizione sono generati tutti i colori visibili in natura.
I colori si suddividono in PRIMARI, SECONDARI E TERZIARI.
I colori PRIMARI: ROSSO, BLU, GIALLO, non possono essere
generati da altri colori.
A partire da tre colori Rosso,
Verde, Blu, Colori Primari, è
possibile generare tutta la
rimanente
scala
cromatica
mescolando
con
le
dovute
percentuali questa terna di
riferimento.
Sintesi additiva
(luci colorate)
Si immagini di proiettare tre fasci
luminosi monocromatici rappresentanti
i colori primari, sovrapponendoli, si
otterrà una luce bianca,
apparentemente priva di ogni
componente colore. In realtà in essa è
contenuto tutto lo spettro visibile.
Con la sintesi viene detta Cromatica
Additiva RGB, mescolando due additivi
primari (in questo caso rosso, verde o
blu) si ottiene un Colore Secondario o
sottrattivo: ad esempio unendo il
Rosso al Verde si otterrà il Giallo, il
Rosso al Blu restituirà il Magenta, il
Blu al Verde invece il Ciano; a seconda
della percentuale di primario utilizzata
si avranno secondari più o meno
tendenti dall’una o dall’altra parte.
colori secondari: i colori secondari si
ottengono mescolando a due a due i
colori primari. Sono: arancione, verde e
violetto (o colori secondari) e l'indaco,
che è una variazione del viola.
Mescolando fra di loro i colori secondari,
in ogni combinazione possibile, riusciremo
a ottenere e tutti colori esistenti in
natura.
Mischiando due primari in
quantità diverse, si ottiene un
colore TERZIARIO come in
questo esempio:
All’interno dei colori primari e secondari,
abbiamo tre coppie di colori detti
COMPLEMENTARI.
All’interno del cerchio cromatico i colori diametralmente opposti si dicono
Complementari, ad esempio il Magenta è il complementare del verde e
viceversa, il giallo il complementare del blu ed il ciano il complementare del
rosso.
Perché è importante conoscere i
colori
complementari?
Perché
permettono di passare dalla teoria
alla pratica: ricordate la regoletta
“Equilibrio e cromatismo”, il giusto
accostamento dei colori diventa un
elemento
compositivo
dell’immagine; una delle tecniche
che permette di rafforzare il
soggetto è il contrasto, esistono
molti modi per ottenerlo ed uno di
questi è accostare tra loro i colori
complementari.
Ogni coppia di complementari è formata da un primario e dal secondario ottenuto
dalla mescolanza degli altri due primari. Per sapere qual è il complementare del
colore primario giallo, mischiate gli altri due primari, il rosso e il blu: ottenete il
viola che risulta essere il complementare del giallo.
il viola è complementare del giallo
il verde è complementare del rosso
l'arancio
è
complementare
del
blu.
Sintesi sottrattiva
(luce riflessa; pigmenti)
Nel caso della sintesi Cromatica Sottrattiva:
ora sono i colori "complementari" (che
vengono però definiti come primari sottrattivi)
che se uniti restituiscono il nero; è quello che
succede nella pittura e nella stampa dove la
mescolanza di Giallo e Ciano restituisce il
Verde, Ciano e Magenta il Blu e Giallo e
Magenta il rosso.
Per poter capire bene il meccanismo della mescola dei colori
della tavolozza, é necessario capire bene come funziona quello
della mescola dei colori-luce.
Abbiamo detto - niente luce, niente colore (cioè nero) - e immensa fonte di luce, forti e molti raggi luminosi (cioè bianco).
Ne deriva che più raggi luminosi mescoliamo insieme, più ci
avviciniamo al bianco.
Chi ha già avuto, anche una piccola esperienza nel dipingere, tutto ciò gli
sembrerà strano, perché quando si mescolano insieme il verde il rosso e
l'azzurro, non si ottiene il colore bianco, bensì un colore alquanto scuro, un
colore molto vicino al nero.
Sarà quindi necessario fare delle distinzioni sulle sintesi dei colori
I colori presi in primo esame, sono i colori-luce. Essi quando
vengono sovrapposti l'uno all'altro danno dei risultati, definiti
risultati da sintesi additiva, per somma di colore, somma di
luce (avvicinamento al bianco). I colori pigmento, quelli che usiamo
noi per dipingere, se mescolati danno risultati da sintesi sottrattiva,
sottrazione di colore, sottrazione di luce (avvicinamento al nero).
I colori pigmento, cioè quei colori di cui noi tutti i giorni abbiamo
a che fare, selezionano ognuno un solo tipo di raggi che il
nostro occhio percepisce e chiama colore. Essi, presi a parte, hanno
difficoltà di riflettere altri raggi, cioè altri colori. Se vengono mescolati
insieme, questa difficoltà nel riflettere cambia, e come conseguenza ne
deriva che si ottiene colori sempre più scuri, cioè perdita di luce. Se
due colori pigmento - ad esempio uno chiaro ed uno scuro - vengono
mescolati insieme, il colore che ne deriva é sicuramente più scuro
del colore chiaro usato per la mescola. Quindi il comportamento dei
colori
pigmento
é
inverso
a
quello
dei
colori
luce.
Diversi saranno anche i colori pigmento di base, dai colori luce
di base.