• Ogni Scienza si avvale di una terminologia appropriata, rigorosa e precisa. • L'oggetto della chimica è la materia e, quindi, l'arte figurativa che si avvale di materiali da plasmare, è permeata da realtà e problematiche che riguardano la chimica. • La Chimica segue il manufatto dalla creazione, durante la sua vita fino al degrado. • La consapevolezza che il bene culturale fosse non solo un oggetto da “fruire” ma anche da salvaguardare risale agli anni sessanta, anche se inizialmente si è passati da un eccesso di trascuratezza a un eccesso di “scientificità”, trasformando il restauro in una semplice e fredda operazione scientifica. • Sebbene il significato e l'importanza di un manufatto non risiedano nei materiali che lo costituiscono, è necessario comprendere che da questi dipende il suo permanere nel tempo. • Tale consapevolezza è necessaria sia nell'ambito della fruizione del bene che nell'ambito della conservazione e del restauro. • La Chimica permette di indagare a fondo le caratteristiche della materia e i processi degradativi che la riguardano, con lo scopo di arrestarli o rallentarli per prolungare l'esistenza delle opere e tramandarle alle culture che seguiranno. • A differenza degli esseri viventi che possono reagire e adattarsi alle • Il restauratore deve rappresentare sia mutate condizioni fisiche, gli oggetti l'esigenza tecnico-materica che quella materiali possono solo subire le espressivo-artistica, utilizzando la prima modifiche e le aggressioni in funzione della seconda. dell'ambiente Per tale motivo, il restauratore moderno deve possedere un bagaglio scientifico abbastanza approfondito, senza arrivare ad una conoscenza di tipo “professionale”, al fine di attuare l'intervento nella maniera più congrua, nel rispetto del significato e per la salvaguardia del manufatto. . “San Giuseppe” di Andrea Malinconico 1660 -1665 Barocco Napoletano Quindi la chimica è importante nello studio dei beni culturali perché: 1) I Materiali sono sostanze chimiche (organiche ed inorganiche) •Lapidei: CaCO3 •Metallici: Rame (Cu), Bronzo (Cu+ tr.Fe, Mn, Co), Ottone (Cu+ Zn) •Cellulosici: Legno, Carta, Tessuti (Cotone e Lino) •Proteici: Tessuti (Seta, Lana) •Pigmenti: Inorganici (sali di Fe, Mn, Co), Minerali (Malachite, Lapislazzuli, polverizzati), Organici di origine Vegetale (Fiori e Bacche) o Animale (Nero di seppia) 2) I prodotti di alterazione sono sostanze chimiche ottenute da reazioni chimiche (Ossidazione e Corrosione) in realtà sono reazioni chimiche del tipo: a) Acido/Base e Idrolisi b) Ossido-riduzione c) Complessazione d) Precipitazione indotte da fenomeni alla superficie dei materiali a) Adsorbimento b) Condensazione 3) Le alterazioni si verificano come effetto della interazione dei materiali con Calore, Luce,Inquinanti: si modificano la stabilità delle sostanze e le energie associate ai fenomeni fisici ed alle reazioni chimiche 4) La combinazione dei materiali originali con quelli usati in precedenti restauri: a) filosofia del restauro fino al rinascimento b) dal 1800 il restauro non deve alterare l’originale Tipologie di materiali (inorganici ed organici) Danno fisico, chimico e biologico I materiali inorganici come i metalli, le leghe, il vetro, i materiali lapidei e le malte, costituiscono la parte dei beni culturali generalmente meno soggetta a deterioramento all’interno dei musei, degli archivi e dei palazzi storici, ma egualmente sottoposta a lento ma inesorabile invecchiamento. I materiali organici come la carta, il legno, il cuoio, la gomma, le plastiche, i dipinti e i tessuti, costituiscono una consistente parte dei beni culturali dei musei, degli archivi e dei palazzi storici. I principali fattori ambientali di rischio, sono: – clima: inadeguata umidità, temperatura e luce – inquinamento di gas e polveri: deposizione di aerosol sulle superfici proveniente da sorgenti interne e esterne, fenomeni di corrosione, formazione di strutture cristalline superficiali, ossidazione e carbonatazione – microbiologia: formazioni di patine batteriche e algali in condizioni di forte disponibilità di acqua e luce sulle superfici Materiali teoricamente più(particelle tollerantie Gli inquinamenti urbani ma loro particolarmente relativa impermeabilità gas)lasono aggressivi all’acqua, fattadieccezione per pietre, nei confronti questi materiali per le marmi e intonaci, si frequentemente che si formi reazioni chimiche fa che acqua di condensa (rugiada) sulla lorodi generano prodotti cristallini in grado superficie mettendo delle in soluzione le crescere all’interno microscopiche polveri depositate che possono dare discontinuità del materiale luogo a reazioni chimiche aggressive producendo fessurazioni, fratture e con conseguente solubilizzazione del distacchi. substrato. Rimedio: controlli e spolverature Rimedio: frequenti.spolverature frequenti. I materiali organici come la carta, il legno, il cuoio, la gomma, le plastiche, i dipinti e i tessuti, costituiscono una consistente parte dei beni culturali dei musei, degli archivi e dei palazzi storici. Essi sono i materiali più vulnerabili al deterioramento e presentano i seguenti tipi di danno: – Dipinti: scolorimento, screpolature, sporcizia. – Tessuti: resistenza ridotta, cambiamento di colore e sbiadimento. – Carta: infragilimento, macchie e sbiadimento. – Legno: rotture, decomposizione e polverizzazione superficiale. – Cuoio: indebolimento e superficiale polverizzazione I principali fattori ambientali di rischio, sono: 1) Clima Umidità relativa, temperatura, luce sono tutti importanti fattori che debbono essere monitorati nei musei. La limitazione delle fluttuazioni di umidità relativa è importante nella conservazione preventiva dei materiali organici. Luce e radiazione ultravioletta vanno monitorati per gli oggetti fotosensibili. 2) inquinamento da gas e polveri Deposizione di aerosol sulle superfici proveniente da sorgenti interne e esterne e risollevato da visitatori e macchine, fenomeni di corrosione, formazione di patine che riducono la leggibilità, ossidazione, substrato adatto per lo sviluppo di forme biologiche diverse 3) Microbiologia Gli attacchi fungini su oggetti esposti in vetrine o sistemati nei magazzini con alta umidità rappresentano un caso molto frequente nei musei. La presenza di batteri può costituire un ulteriore rischio. Un tipo particolare di alterazione dovuta ai funghi è lo scolorimento di inchiostri dovuto alle tannasi, enzimi che catalizzano l’idrolisi del gallotannato, prodotto da alcuni ceppi di Aspergillus e Penicillium. Clima • La limitazione delle fluttuazioni di umidità relativa è fondamentale nella conservazione preventiva dei materiali organici. Luce e radiazione ultravioletta vanno monitorati per gli oggetti fotosensibili. Inquinamento • I risultati del monitoraggio di musei mostrano che le concentrazioni di inquinanti indoor e outdoor dipendono dal tipo di edificio e dal suo uso. Microbiologia • Il controllo delle condizioni ambientali è importante per evitare che il bioaerosol depositato, con favorevoli condizioni di crescita, aggredisca i materiali organici. Attenzione all’eccessivo essiccamento dei materiali organici che utilizzano l’acqua come supporto strutturale al pari delle sculture di sabbia bagnata. La pratica suggerisce di non scendere mai sotto il 40% di UR e di non superare il 65%. Le escursioni molto rapide (entro i 30 minuti) di UR vengono avvertite poco dal legno e dai libri, più sensibili sono le stampe se non protette adeguatamente. Più pericolose sono le oscillazioni cicliche di UR nelle 24 ore che permettono al legno di mettersi in equilibrio con l’ambiente con conseguenti ritiri e rigonfiamenti che possono causare la caduta della lamella pittorica superficiale. UMIDITA’RELATIVA - Influenza sulle dimensioni e sulla forma (UR alta = rigonfiamento = sviluppo di microrganismi; UR bassa = restringimento = crepe e rotture) - Influenza sulla velocità delle reazioni chimiche deteriogene (corrosione nei metalli, scolorimento del colore dei materiali, aumento fragilità carta e tessuti, deterioramento di alcuni materiali di vetro). - Influenza sulle sorgenti del biodeterioramento Il colore, sin dall’alba della civiltà, è stato lo strumento espressivo più conosciuto e diffuso fra tutte le civiltà. Nel corso della storia il senso del colore si è sviluppato con l’evolversi delle civiltà e l’ampliarsi di scambi e conoscenze sui materiali, leganti, terre e le tecniche pittoriche. Spessore variabile di alcune decine di micron ( m) Strato pittorico composto da una o più sostanze colorate disperse in forma più o meno fine (…polvere…) in un mezzo (medium) trasparente , la cui funzione è di rendere quanto più possibile omogenea la loro distribuzione, di legarle fra loro e di farle aderire alla superficie sottostante. Pigmenti: sono sotto forma di polveri sottili, colorate (naturalmente come per esempio certi ossidi di metalli oppure per adsorbimento di coloranti), insolubili nel mezzo (medium) disperdente. Il pigmento disperso nel medium forma una pasta che, stesa, costituisce un film coprente. Coloranti: sono sostanze, spesso organiche, trasparenti, solubili, non coprenti. Conferiscono colore ad altre sostanze non colorate per adsorbimento su un substrato, inclusione o legame chimico stabile. In gergo → I pigmenti hanno colore e “corpo” → I coloranti hanno solo colore Per l'uomo della strada sono proprietà intrinseche degli oggetti e delle luci; Per il fisico sono un aspetto dell'energia radiante; Per il pittore sono pigmenti che gli permettono di fare un quadro; Per lo psicologo sono un fenomeno percettivo; Per il fisiologo una risposta del sistema nervoso. Il colore dipende dalle caratteristiche fisiche della luce che arriva sul nostro occhio, ma non è di per sé un'entità fisica: il colore è una qualità della nostra sensazione visiva, e come tale è un'entità puramente soggettiva Dunque il colore di una luce o di un corpo non è una proprietà intrinseca di quella luce o di quel corpo, ma è un aspetto che il nostro sistema visivo attribuisce loro: una fiamma non è gialla, una foglia non è verde, ma noi vediamo gialla la fiamma e verde la foglia. E il colore che noi attribuiamo alla luce o agli oggetti è il risultato di un processo abbastanza complesso che inizia nei nostri occhi per azione di radiazioni di opportuna lunghezza d'onda che gli oggetti osservati ci riflettono; l'elaborazione di questa informazione continua poi nel cervello. In questo processo entrano in gioco perciò le proprietà fisiche dello stimolo luminoso e delle componenti ottiche del nostro occhio, le proprietà fisiologiche dell'occhio e del cervello, e anche fattori genetici, che possono influire sulla maggiore o minore ricchezza di sensazioni cromatiche percepibili da un soggetto. Il termine luce (dal latino lux, lucis) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri (nm) di lunghezza d'onda, ovvero tra 750 e 428 THz di frequenza. Questo intervallo coincide con la regione di massima emissione da parte del sole. I limiti dello spettro visibile all'occhio umano non sono uguali per tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono raggiungere i 380 nanometri, avvicinandosi agli ultravioletti, e i 730 avvicinandosi agli infrarossi. Nota : 1 nm 10 9 m 1 THz 1012 Hz nanometri La luce è costituita da un insieme di onde elettromagnetiche che si propagano nello spazio a velocità costante e che si ripetono periodicamente nella direzione di propagazione. In fisica l'onda è un movimento periodico o impulsivo che si propaga in un mezzo (non necessariamente un mezzo materiale) con una velocità ben definita. L’onda elettromagnetica è costituita dalla propagazione di un campo elettromagnetico, nel vuoto o in un mezzo che la consente. La distanza richiesta per un ciclo in un’onda luminosa (da picco a picco) è chiamata lunghezza d’onda ( ). La frequenza ( ) rappresenta il numero di onde in un secondo e le due grandezze sono correlate dall’equazione = C, dove C è la velocità costante (300.000 Km/sec) della luce nel vuoto. Le principali relazioni tra le grandezze caratteristiche sono: 1) = n vibraz / tempo 2) c = x λ oppure 3) E = h x = 1 vibraz / T c = λ /T h, costante di Planck = 6,625 x 10-34 J x s Dalla relazione 2) si nota che la frequenza, , e la lunghezza d'onda, λ, sono inversamente proporzionali (il loro prodotto è un valore costante). Mentre dalla relazione 3) risulta che l'energia, E, dell'onda elettromagnetica è direttamente proporzionale al valore della frequenza, . Osservando uno schema dello spettro elettromagnetico, lascia stupiti il fatto che di tutte le onde elettromagnetiche conosciute, dai raggi gamma fino alle onde radio, solo una piccola porzione compresa tra i 400 ed i 700 nanometri faccia parte dello spettro visibile all'occhio umano. Rispettivamente, 400 e 700 nm sono i limiti per l’ultravioletto e per l’infrarosso; in questa piccola regione trovano posto tutte le sfumature che colorano il mondo intorno a noi. Noi percepiamo il colore così come percepiamo il gusto. Quando mangiamo, le nostre papille gustative sono in grado di farci sentire i gusti dolce, salato, acido o amaro. Analogamente, quando osserviamo una scena, i nostri nervi ottici registrano il colore in termini di attributi quali l’ammontare di rosso-o-verde, di blu-o-giallo, e la luminosità. N.B.: il colore esiste solo in presenza della luce!!! Il colore è una sensazione fisiologica e soggettiva dell’occhio umano, il quale è sensibile alle radiazioni dello spettro elettromagnetico di lunghezza d’onda compresa fra circa 350 e 750 nm. “regione del visibile” La sensazione di “colore” dipende da tre fattori principali: (1) Le interazioni fra la luce e la materia che costituisce l’oggetto in esame (2) La sensibilità dell’occhio alle radiazioni (3) La sorgente di illuminazione che colpisce l’oggetto Lampade a vapori di Hg Dirette Sorgente Indirette o riflettenti Sole Sorgenti a spettro discontinuo (lampade al mercurio o al neon) Sorgenti a spettro continuo (luce solare, lampadine elettriche ad incandescenza, lampade alogene) La componente rossa dello spettro in una lampada ad incandescenza risulta più importante delle componenti verde e blu e pertanto il colore della luce di una lampadina ad incandescenza è “meno bianca” delle luce solare. Lampada ad incandescenza • È la classica “lampadina” • è una sorgente luminosa in cui la luce viene prodotta dal riscaldamento (fino a circa 2700 K) di un filamento di tungsteno attraverso cui passa la corrente elettrica. • genera al 90% calore e luce per il 10 30 Lampada alogena • La lampadina alogena è una particolare lampada ad incandescenza, ma ci sono alcune fondamentali caratteristiche che differenziano i due prodotti. • Al gas contenuto nel bulbo viene aggiunto iodio, kripton, e, a volte, xeno per permettere il riscaldamento del filamento fino a oltre 3000 K, in modo da aumentare l'efficienza luminosa e spostare verso l'alto la temperatura di colore, cioè la luce è più bianca. • “Temperatura di Colore” è un termine usato in illuminotecnica per quantificare la tonalità della luce. 31 Lampada a scarica • La lampada a scarica è un tipo di lampadina basata sull'emissione di radiazione elettromagnetica da parte di un plasma di gas ionizzato. La ionizzazione del gas è ottenuta per mezzo di una scarica elettrica (da cui il nome) attraverso il gas stesso. • È costituita da una ampolla o un tubo di vetro o quarzo contenente il gas e almeno due elettrodi tra cui avviene la scarica. • Il gas può anche essere il vapore di un elemento solido o liquido, per esempio mercurio o sodio. 32 Lampada fluorescente La lampada fluorescente è un particolare tipo di lampada a scarica in cui l'emissione luminosa visibile è indiretta, ovvero non è emessa direttamente dal gas ionizzato, ma da un materiale fluorescente (da cui il nome). Questo tipo di lampade sono erroneamente chiamate lampade al neon o tubi al neon, ma in realtà il funzionamento è dovuto alla presenza di vapori di mercurio e non al neon. 33 L’occhio, o bulbo oculare, è una struttura sferoidale del diametro di circa 2,5 cm con una sporgenza pronunciata sulla sua superficie anteriore. La parte esterna è formata da tre strati di tessuto: il più esterno è la sclera, un rivestimento protettivo che ricopre circa cinque sesti della superficie oculare e che, nella parte anteriore, è in continuità con la cornea, trasparente e sporgente. Infine, lo strato più interno è la retina, sensibile alla luce. Lo strato intermedio è la coroide, molto ricca di vasi sanguigni, che riveste i tre quinti posteriori del bulbo oculare ed è in continuità con il corpo ciliare e con l’iride che si trova nella parte anteriore dell’occhio. La cornea è una membrana trasparente, convessa in avanti, costituita da cinque strati, attraverso la quale la luce penetra all’interno dell’occhio. Dietro la cornea c’è una cavità (camera anteriore) che contiene un liquido trasparente e acquoso, che Il cristallino è una sfera appiattita formata da un gran numero di fibre trasparenti disposte in strati; è circondato dal muscolo ciliare, di forma circolare, a cui è collegato da alcuni legamenti. la separa cristallino, dell’occhio. da l’umore vitreo, una struttura, il che rappresenta la “lente” Insieme ai tessuti circostanti, il muscolo ciliare forma il corpo ciliare che, appiattendo il cristallino o arrotondandolo, ne modifica la lunghezza focale, cioè la distanza alla quale esso mette a fuoco le immagini. L’iride è una formazione circolare, pigmentata, localizzata dietro la cornea e davanti al cristallino; essa presenta un’apertura pupilla, Dietro il cristallino, il bulbo oculare contiene una sostanza gelatinosa trasparente, l’umore vitreo, racchiusa da uno strato membranoso sottile, la membrana ialoidea. La pressione dell’umore vitreo mantiene il bulbo oculare disteso. circolare al centro, la le cui dimensioni sono controllate da un muscolo posto sul suo margine. Contraendosi e rilassandosi, questo muscolo fa allargare o rimpicciolire la pupilla stessa, controllando la quantità di luce che penetra nell’occhio. La retina è una membrana fotosensibile, formata da cellule nervose stratificate che poggiano, dal lato esterno della retina, su uno strato pigmentato. Sulla retina, in perfetta opposizione alla pupilla, si trova una piccola zona ellissoidale (circa 2,5 mm), di colore giallo, chiamata fovea centralis: essa corrisponde alla zona di massima acutezza visiva dell’occhio. Nel punto in cui il nervo ottico penetra nel bulbo oculare si trova una piccola zona rotonda di retina priva di cellule fotosensibili, la papilla ottica (disco ottico), che rappresenta il punto cieco dell’occhio. Queste cellule si distinguono in coni e bastoncelli e hanno differenti sensibilità ai colori e alla quantità di luce. I coni sono più sensibili ai colori e permettono un’alta acutezza visiva; i bastoncelli sono più sensibili dei precedenti alla luce e permettono la visione crepuscolare a scarsa acutezza visiva. Nella fovea le cellule fotosensibili sono rappresentate solo da coni. Intorno a essa sono presenti sia coni sia bastoncelli; procedendo verso la periferia della zona sensibile i coni si diradano e, all’estremità esterna, si trovano solo bastoncelli. A causa della struttura nervosa della retina, l’occhio vede con la massima chiarezza solo nella regione della fovea. I permettono di distinguere dettagli fini, in quanto sono collegati singolarmente alle fibre nervose e pertanto gli stimoli diretti a ciascuno di essi vengono riprodotti in modo preciso. I , invece, sono collegati alle fibre nervose a gruppi; pertanto sono in grado di rispondere a stimoli ridotti ma diffusi, mentre non hanno la capacità di distinguere piccoli dettagli dell’immagine visiva. A causa di queste differenze, sia strutturali sia funzionali, il campo visivo dell’occhio è formato da una piccola zona centrale di grande nitidezza, circondata da una zona di nitidezza minore, in cui però la sensibilità alla luce è maggiore. La conseguenza di questo fenomeno è che gli oggetti risultano visibili di notte nella parte periferica della retina, mentre sono invisibili in quella centrale. I responsabili della visione diurna sono i coni, mentre alla visione notturna presiedono i bastoncelli. I bastoncelli sono responsabili della visione scotopica, ovvero della visione notturna o in situazioni di carenza di luce. I bastoncelli non sono in grado di distinguere i colori e sono organi ad alta sensibilità con uno spettro di sensibilità che copre tutto il visibile. In luce diurna (regime fotopico), invece, la visione è a carico dei coni che mostrano una sensibilità più bassa dei bastoncelli, ma selettiva rispetto alle lunghezze d'onda della luce. I coni sono di tre tipi, differenziati rispetto alla banda di sensibilità (blu, verde e rosso) Gli occhi possono essere paragonati a semplici macchine fotografiche, in quanto il cristallino forma sulla retina fotosensibile, che corrisponde a una pellicola fotografica, un’immagine capovolta degli oggetti. Nell’occhio la messa a fuoco viene ottenuta con l’appiattimento o l’arrotondamento del cristallino: tale processo viene chiamato accomodazione. In condizioni normali, l’accomodazione non è necessaria per vedere oggetti lontani. Il cristallino, appiattito dal legamento sospensore, mette a fuoco questi oggetti sulla retina. Per vedere oggetti più vicini, il cristallino viene progressivamente arrotondato dalla contrazione del corpo ciliare, che fa rilassare il legamento. Un bambino in tenera età riesce a vedere chiaramente a una distanza di soli 6,3 cm; con il passare degli anni, il cristallino gradualmente si indurisce, al punto che i limiti della visione da vicino sono circa 15 cm a 30 anni e 40 cm a 50 anni. Il meccanismo della visione comporta la sensibilizzazione delle cellule della retina da parte di un pigmento fotosensibile che nei bastoncelli prende il nome di rodopsina, nei coni iodopsina. Per la produzione della rodopsina è necessaria la vitamina A: per tale motivo, una carenza alimentare di questa vitamina può provocare problemi della visione notturna (emeralopia). La rodopsina viene inattivata per azione della luce e deve essere riformata dai bastoncelli in condizioni di oscurità; quindi, l’effetto che si avverte passando dalla luce del sole a una stanza buia, quando non si riesce a vedere nulla, è dovuto al fatto che le nuove molecole di rodopsina non sono ancora disponibili. Quando il pigmento si è formato e gli occhi sono diventati sensibili ai bassi livelli di illuminazione, si dice che la vista si è adattata all’oscurità. When light strikes the retina of your eyes, the 11-cis-retinal portion of rhodopsin absorbs a photon, and a cistrans photoisomerization occurs: Sources of 11-cis-retinal include Vitamin A and -carotene. A diet lacking in Vitamin A can lead to night blindness, whereas a diet rich in b-carotene (found in carrots) can improve vision. Carrots truly are good for your eyes. Vitamina A -carotene L’occhio non ha la stessa sensibilità a tutte le lunghezze d’onda, e la sensibilità dipende anche dall’intensità della radiazione. Inoltre l’occhio non riesce a distinguere singole lunghezze d’onda, ma intervalli di lunghezze d’onda che costituiscono i COLORI. L’occhio è in grado di registrare anche sovrapposizioni dei diversi intervalli di lunghezza d’onda, recepite come tonalità cromatiche diverse. I tre tipi di coni hanno una diversa risposta allo stimolo luminoso. La risposta di ogni tipo di cono è proporzionale all’intensità della luce che lo colpisce solo entro certi limiti: c’è un limite inferiore, al di sotto del quale il cono non è più sensibile (soglia di sensibilità) che non è la stessa per i tre tipi (il blu ha la soglia più bassa) e c’è un limite superiore (soglia di saturazione), al di sopra della quale la risposta è sempre la stessa. La stimolazione con luce monocromatica a 420 nm produce la massima risposta del primo tipo di coni, e la sensazione che si produce è quella di una luce blu; la stimolazione a 530 nm produce il massimo di risposta del secondo tipo di coni, e la sensazione associata è quella di luce verde; infine, per stimolazioni a lunghezza d’onda maggiore di circa 620 nm prevale il terzo tipo di coni, e la sensazione associata è di luce rossa. Una stimolazione a lunghezza d’onda intermedia ai valori indicati produce una sensazione di colore composto; ad es. una stimolazione a 570 nm attiva più o meno in pari misura i bastoncelli del verde e del rosso producendo una sensazione di luce gialla. Della Teoria dei Colori (in tedesco Zur Farbenlehre) è un saggio scritto da Johann Wolfgang von Goethe nel 1810 e pubblicato a Tubinga. Nel primo volume, Goethe, classificando i colori e studiandoli in tutte le loro manifestazioni, vuole arrivare a mettere in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l'ingerenza non trascurabile che vi ha l'organo della vista. Un capitolo è dedicato interamente all'azione sensibile e morale dei colori e alla loro funzione estetica e artistica. Nel secondo volume, dopo aver preparato il lettore a non sottovalutare gli aspetti sentimentali e soggettivi dei colori, Goethe attacca violentemente le teorie di Newton. Goethe con quest'opera lancia un grido di protesta contro ciò che ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e dell'ottica. A suo modo di vedere è inammissibile che i colori siano solo un puro fenomeno fisico; ritiene questa una prepotenza dei newtoniani accusandoli di aver sepolto il lavoro di secoli. Il poeta romantico ritiene che i colori, al contrario, siano qualche cosa di vivo, di umano; che abbiano origine indubbiamente nelle varie manifestazioni naturali ma trovino la loro composizione e il loro perfezionamento nell'occhio, nel meccanismo della visione e nella spiritualità dell'animo dell'osservatore. Il fisico inglese Isaac Newton dimostrò, nel 1672, che la luce, che vediamo bianca, è in realtà composta dai sette colori dello spettro solare. Nel suo esperimento Newton fece passare un raggio di luce attraverso un prisma di cristallo. Il raggio si scompose così nei sette colori dello spettro solare, dimostrando che il bianco è la somma di quei colori. Una cosa simile accade nell’arcobaleno: la luce che passa attraverso le piccole gocce d’acqua, sospese nell’aria dopo una pioggia, si scompone nei sette colori dello spettro (con tutte le relative gradazioni intermedie). Ogni "colore" e' costituito da tre componenti: Tonalità, Luminosità, Saturazione. Saturazione Si dicono saturi i colori che hanno la massima purezza e corrispondono a radiazioni monocromatiche. I colori non saturi si ottengono sovrapponendo una qualsiasi delle radiazioni spettrali di colore saturo con la radiazione solare bianca. Sono colori non saturi per esempio il rosa di una nuvola al tramonto e il colore celeste del cielo diurno Intensità L’intensità di un colore è la qualità che lo fa apparire all’occhio umano più o meno luminoso. La radiazione solare è costituita da radiazione a diverse lunghezze d’onda (colori) che hanno all’incirca tutte la stessa intensità. Il nostro occhio tuttavia è più sensibile alle radiazioni centrali dello spettro visibile che pertanto ci appaiono più luminose Tinta o tonalità La tinta o tonalità è la qualità che distingue tra loro i colori saturi in base alla loro lunghezza d’onda. Sebbene la sensazione del colore non si spieghi completamente in base alla percentuale di stimolazione di ciascun tipo di coni, emerge la rappresentazione tricromica dei colori: esistono tre colori fondamentali mediante la cui composizione sono generati tutti i colori visibili in natura. I colori si suddividono in PRIMARI, SECONDARI E TERZIARI. I colori PRIMARI: ROSSO, BLU, GIALLO, non possono essere generati da altri colori. A partire da tre colori Rosso, Verde, Blu, Colori Primari, è possibile generare tutta la rimanente scala cromatica mescolando con le dovute percentuali questa terna di riferimento. Sintesi additiva (luci colorate) Si immagini di proiettare tre fasci luminosi monocromatici rappresentanti i colori primari, sovrapponendoli, si otterrà una luce bianca, apparentemente priva di ogni componente colore. In realtà in essa è contenuto tutto lo spettro visibile. Con la sintesi viene detta Cromatica Additiva RGB, mescolando due additivi primari (in questo caso rosso, verde o blu) si ottiene un Colore Secondario o sottrattivo: ad esempio unendo il Rosso al Verde si otterrà il Giallo, il Rosso al Blu restituirà il Magenta, il Blu al Verde invece il Ciano; a seconda della percentuale di primario utilizzata si avranno secondari più o meno tendenti dall’una o dall’altra parte. colori secondari: i colori secondari si ottengono mescolando a due a due i colori primari. Sono: arancione, verde e violetto (o colori secondari) e l'indaco, che è una variazione del viola. Mescolando fra di loro i colori secondari, in ogni combinazione possibile, riusciremo a ottenere e tutti colori esistenti in natura. Mischiando due primari in quantità diverse, si ottiene un colore TERZIARIO come in questo esempio: All’interno dei colori primari e secondari, abbiamo tre coppie di colori detti COMPLEMENTARI. All’interno del cerchio cromatico i colori diametralmente opposti si dicono Complementari, ad esempio il Magenta è il complementare del verde e viceversa, il giallo il complementare del blu ed il ciano il complementare del rosso. Perché è importante conoscere i colori complementari? Perché permettono di passare dalla teoria alla pratica: ricordate la regoletta “Equilibrio e cromatismo”, il giusto accostamento dei colori diventa un elemento compositivo dell’immagine; una delle tecniche che permette di rafforzare il soggetto è il contrasto, esistono molti modi per ottenerlo ed uno di questi è accostare tra loro i colori complementari. Ogni coppia di complementari è formata da un primario e dal secondario ottenuto dalla mescolanza degli altri due primari. Per sapere qual è il complementare del colore primario giallo, mischiate gli altri due primari, il rosso e il blu: ottenete il viola che risulta essere il complementare del giallo. il viola è complementare del giallo il verde è complementare del rosso l'arancio è complementare del blu. Sintesi sottrattiva (luce riflessa; pigmenti) Nel caso della sintesi Cromatica Sottrattiva: ora sono i colori "complementari" (che vengono però definiti come primari sottrattivi) che se uniti restituiscono il nero; è quello che succede nella pittura e nella stampa dove la mescolanza di Giallo e Ciano restituisce il Verde, Ciano e Magenta il Blu e Giallo e Magenta il rosso. Per poter capire bene il meccanismo della mescola dei colori della tavolozza, é necessario capire bene come funziona quello della mescola dei colori-luce. Abbiamo detto - niente luce, niente colore (cioè nero) - e immensa fonte di luce, forti e molti raggi luminosi (cioè bianco). Ne deriva che più raggi luminosi mescoliamo insieme, più ci avviciniamo al bianco. Chi ha già avuto, anche una piccola esperienza nel dipingere, tutto ciò gli sembrerà strano, perché quando si mescolano insieme il verde il rosso e l'azzurro, non si ottiene il colore bianco, bensì un colore alquanto scuro, un colore molto vicino al nero. Sarà quindi necessario fare delle distinzioni sulle sintesi dei colori I colori presi in primo esame, sono i colori-luce. Essi quando vengono sovrapposti l'uno all'altro danno dei risultati, definiti risultati da sintesi additiva, per somma di colore, somma di luce (avvicinamento al bianco). I colori pigmento, quelli che usiamo noi per dipingere, se mescolati danno risultati da sintesi sottrattiva, sottrazione di colore, sottrazione di luce (avvicinamento al nero). I colori pigmento, cioè quei colori di cui noi tutti i giorni abbiamo a che fare, selezionano ognuno un solo tipo di raggi che il nostro occhio percepisce e chiama colore. Essi, presi a parte, hanno difficoltà di riflettere altri raggi, cioè altri colori. Se vengono mescolati insieme, questa difficoltà nel riflettere cambia, e come conseguenza ne deriva che si ottiene colori sempre più scuri, cioè perdita di luce. Se due colori pigmento - ad esempio uno chiaro ed uno scuro - vengono mescolati insieme, il colore che ne deriva é sicuramente più scuro del colore chiaro usato per la mescola. Quindi il comportamento dei colori pigmento é inverso a quello dei colori luce. Diversi saranno anche i colori pigmento di base, dai colori luce di base.