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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Avvenire, 23-25 aprile 2010
Scocca l’ora dei cattolici Web 2.0___________________________________________________ 2
Quel link con Michelangelo _______________________________________________________ 4
Portatori di verità, credibili e affidabili ______________________________________________ 5
Per una Rete con l’anima _________________________________________________________ 5
Sono necessarie nuove garanzie____________________________________________________ 7
Bisogna evitare i modelli astratti ___________________________________________________ 7
La tecnologia? Ci fa ancora paura__________________________________________________ 7
La relazione di Crociata __________________________________________________________ 8
Tanti giovani e comunicatori Ascoli Piceno e Macerata «si sintonizzano» sul presente________ 9
Diocesi toscane in prima linea: La Rete ci sfida ______________________________________ 10
Evitiamo l’utilizzo della Rete come bacheca _________________________________________ 11
Così Avvenire.it si rinnova _______________________________________________________ 11
Evento su Tv2000 e Internet ______________________________________________________ 12
Confronto utile al nostro lavoro ___________________________________________________ 12
Chiesa e Web: qui il crocevia _____________________________________________________ 12
Basi teoriche per i miei studi _____________________________________________________ 13
Dalla Polonia per imparare ______________________________________________________ 13
Noi, pionieri dell’era multimediale_________________________________________________ 13
Stiamo al passo della tecnologia___________________________________________________ 14
Sarò cronista in modo diverso ____________________________________________________ 14
Nuovi spunti per le tv locali ______________________________________________________ 14
Io, economista nell’età digitale____________________________________________________ 14
Banco di prova per i catechisti ____________________________________________________ 15
Innoveremo il nostro sito ________________________________________________________ 15
Impegnato, da cristiano _________________________________________________________ 15
Strumento per le diocesi _________________________________________________________ 15
Novi contesti, stessa avventura. Umanesimo dà luce al mondo digitale____________________ 16
Un nuovo umanesimo digitale ____________________________________________________ 17
Questa mattina in ottomila nell’Aula Paolo VI per l’incontro col Papa ___________________ 18
Chiesa e Rete: dialogo aperto _____________________________________________________ 19
I giovani e il Web_______________________________________________________________ 20
Nuovo umanesimo ed «ecologia dell’ambiente digitale» le sfide poste dalla Rete____________ 21
Giovani i più creativi____________________________________________________________ 21
Frontiera Sociale Network _______________________________________________________ 22
Alla ricerca d’intimità ___________________________________________________________ 22
Testimoni di verità. Anche online__________________________________________________ 23
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Una diaconia della cultura digitale ________________________________________________ 23
Restare connessi con i più giovani _________________________________________________ 24
Un parroco virtuale con 250mila fedeli _____________________________________________ 25
Fare Rete al servizio dell’annuncio ________________________________________________ 25
Una piattaforma per il settimanale_________________________________________________ 26
Ridare speranza con i Portaparola _________________________________________________ 26
Sale di comunità tecnologia e Vangelo _____________________________________________ 26
La visita guidata alla Cappella Sistina. Un itinerario di fede e storia dell’arte ______________ 27
La vetrina aperta di «Rebeccalibri» ________________________________________________ 27
La parola di Pietro. Tornare ai volti nel tempo delle illusioni ___________________________ 27
Il Papa: nel mare digitale prendere il largo da cattolici ________________________________ 28
Le 5 parole chiave del convegno___________________________________________________ 30
Quegli 8mila accesi come 'pixel' __________________________________________________ 31
Alziamo le nostre vele nella Rete __________________________________________________ 32
Testimoni, la verità che fa notizia__________________________________________________ 33
Ora la leggerezza della fantasia ___________________________________________________ 34
Scocca l’ora dei cattolici Web 2.0
Il convegno della Chiesa italiana lancia la sfida dell’annuncio sui nuovi media: «Noi ci
siamo»
Umberto Folena
Di là c’è chi sgomita, invade e occupa. C’è chi non dà grande importanza alle cose da dire
perché l’importante, per lui, è dire e basta, ossia fare rumore ed esibirsi. Di qua c’è anche
chi intende partecipare, offrendo testimonianze, idee, contributi. Progetti. Intessendo relazioni. Questi sono i cattolici «Web 2.0», rappresentati dai 1.300 che ieri affollavano le sale
del Summit Hotel per la giornata inaugurale di «testimoni digitali». A guardarli in faccia e
a sentirli parlare, è evidente quanta acqua sia passata sotto i ponti virtuali in questi otto
anni, da «Parabole mediatiche» in poi. Allora fu una scoperta, oggi è una conferma: esiste,
perché pensa e agisce, un vero e proprio movimento di operatori dei mass media, di animatori della comunicazione e della cultura, con tante diverse specializzazioni – carta
stampata, emittenti radio e tv, comunicazioni sociali, webmaster… – ma tutti mossi dalla
stessa passione, dalla stessa convinzione. Quella che aprendo i lavori monsignor Mariano
Crociata, segretario generale della Cei, poneva come punto fermo di non ritorno: le comunicazioni sociali non sono né un segmento né un settore della pastorale, ma ne costituiscono lo sfondo. È un popolo mite fatto da gente che proviene dalle cento periferie d’Italia,
non un consesso di addetti ai lavori. È un movimento dalle radici profonde nelle città, nei
paesi, nei quartieri. Nelle parrocchie. Che chiede semplicemente di poter partecipare ed
esprimersi. «Né demonizzare il Web, né tentare di occuparlo», ammonisce Crociata, ricordando quello che dovrebbe essere scontato: la Chiesa intende offrire un contributo di idee
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
e partecipare al libero dibattito per la formazione di un’opinione pubblica che non sia pensiero unico, uniforme, omologato. Il segretario generale Cei invita il movimento dei «testimoni digitali» ad offrire uno «sguardo assolutamente originale». Esorta le diocesi «timide» a «scongelare gli animatori della comunicazione e della cultura», profilo pastorale per
il quale «si è investito ancora troppo poco». Sono parole forti che dovrebbero costituire
una sorta di spartiacque. Crociata non nasconde però i ritardi: linguaggi ancora autoreferenziali, quasi di nicchia; e la difficoltà a integrare le comunicazioni sociali nei piani pastorali diocesani. Il clima generale è di intelligente fiducia. È il desiderio di accettare le sfide
senza ingenuità. È il desiderio di capire senza fermarsi ai luoghi comuni e alla superficie.
Francesco Casetti chiede: è vero dialogo quello del Web? E la relazione può essere limitata
al semplice contatto, a chi sembra pensare: «Non dirmi che cosa dici, ma dimmi che parli
con me?». E alla fine propone, per ogni comunicazione, la necessità di un supplemento di
carità, per passare da spettatori a testimoni, da recettori a interlocutori, riscoprendo il senso e il valore di intimità, fedeltà e qualità.
La tecnologia si umanizza, negli interventi di Sorice, Eugeni, Calabresi e Peverini. Anche
Sorice mette in guardia da una «connessione senza relazione» e riprende l’invito di Crociata: «Non invasione ma partecipazione». La parola «relazione» torna più e più volte, come
antitesi ai troppi soliloqui esibizionistici del Web, scambiati per comunicazione. Relazione
e comunità, anche se prive di un «luogo» e fatte, appunto di relazioni. Lo stesso Sorice e
soprattutto Calabresi sottolineano la centralità delle mediazioni e dei mediatori, perfino
dei giornalisti, tutt’altro che in via di estinzione, purché evitino di inseguire la velocità della rete erigendola a idolo, scivolando sciaguratamente nel sensazionalismo. Calabresi – un
direttore di quotidiano – non nasconde i pericoli dell’informazione sul Web: «Superficialità, impossibilità di un reale controllo, inevitabili falsità, un ancor più insidioso 'verosimile'
che vero non è ma ci assomiglia». Il futuro è dei giornalisti capaci di essere originali e unici, fornendo ciò che altri non possono fornire: «Chiavi di lettura, comprensione, punti fermi, contesti». E a chi ancora fosse colpito dalla sindrome da estinzione prossima fatale, ricorda: «Il 95 per cento dell’informazione in rete proviene dalla carta stampata. Non siamo
morti. La professionalità e le competenze sono ancora necessarie. E dedicare energie e anni
di passione all’attività giornalistica ha ancora un senso».
Al termine della prima giornata rimane una sorta di «refrain» di fondo. Un motivo conduttore che potrebbe essere sintetizzato in un dei più felici – e citati – passaggi della Caritas in
veritate , pure ieri mai ricordata esplicitamente, là dove Benedetto XVI ricorda che la globalizzazione - ma potremmo paragrafare: il Web, come strumento globale - ci ha resi più
vicini, ma non ancora fratelli. l «testimoni digitali », con gli accenti di ieri sulle relazioni,
sulla partecipazione, sull’attenzione al lato umano, personale, dolce della comunicazione,
possono darsi l’obiettivo ambizioso di contribuire a creare fratellanza tra chi già è vicino.
Otto anni dopo «Parabole mediatiche» si consolida una presenza. Il segretario generale
della Cei: le comunicazioni sociali sono lo sfondo dell’intera pastorale. A Roma un grande
popolo entusiasta e convinto, non addetti ai lavori
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Quel link con Michelangelo
Mimmo Muolo
Negli affreschi della Cappella Sistina, il primo «ambiente digitale» della Storia
Avete presente la Cappella Sistina? Bene, nel ’500 era più o meno come Internet di oggi.
Anzi, meglio di Internet. Un’affermazione solo in apparenza sorprendente, se solo si pensa
all’esperienza «immersiva» in cui è trasportato chi vi entra, avvolto e sovrastato da immagini grandiose, che provocano il coinvolgimento profondo di tutti i sensi. Così la Cappella
Sistina, e in particolare l’affresco della creazione, non è solamente il logo del convegno
«Testimoni digitali», ma si è inserita a pieno titolo nei lavori, grazie alla visita offerta in esclusiva, ieri sera, ai convegnisti. Visita che ha avuto una guida d’eccezione, il professor
Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani.
«In effetti – spiega monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei e uno dei principali organizzatori di 'Testimoni digitali' – la visita è
stata pensata non come un momento a se stante, ma come un elemento che completasse il
messaggio del Convegno». Monsignor Pompili, spiega per esempio che è stato scelto di
non restringere l’iconografia del logo al solo sfiorarsi delle dita di Dio e dell’uomo, ma di
riprodurre l’intero dipinto. «La vera comunicazione è un gioco di sguardi e questo
nell’affresco è chiaramente presente. Così come è presente il coinvolgimento di tutta la
persona. Dunque c’è una dimensione sensoriale che va al di là della parola e che ha molto
da insegnare anche a noi uomini e donne del 2000». Nella scelta, aggiunge il direttore
dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, ha pesato molto anche la volontà di ripresentare la grande tradizione di trasmissione visiva dei contenuti della fede, che è sempre stato un territorio in cui la Chiesa si è sempre mossa con grande padronanza. Infine, fa
notare monsignor Pompili, «abbiamo voluto inserire nei lavori di questi giorni
un’esperienza che desse a tutti la percezione che quando si parla di comunicazione, oltre ai
mezzi, sono importanti i contenuti e i contesti, i quali mettono le ali anche alle nuove tecnologie, altrimenti internet e tutto il resto finiscono per essere contenitori vuoti». Queste
motivazioni sono presenti anche sul sito ufficiale del Convegno, all’indirizzo
www.testimondigitali.it. Un articolo scritto dalla sociologa dell’Università Cattolica di Milano, Chiara Giaccardi, istituisce proprio il parallelo tra la grandiosa rappresentazione della Cappella e l’ambiente digitale. Come su internet, tutto è in relazione e stimola le percezioni sensoriali, così «Michelangelo non ci offre una rappresentazione esemplificativa e informativa, ma ci costringe ad abbandonare la nostra posizione di osservatori esterni per
lasciarci coinvolgere da una storia che ci riguarda, e che è raccontata in modo da poterci
trasportare al suo interno». Tuttavia, mentre la comunicazione sul web è decentrata, non
ha cioè un centro unificatore, nella Cappella Sistina il centro c’è ed è ben visibile. «Lo
sguardo di Dio su di noi, il volto di Cristo che possiamo contemplare nel volto dell’altro ci
offrono questa chiave unificante». Che è poi il messaggio e la lezione della visita di ieri sera, da aggiungere a tutti gli altri messaggi del Convegno.
Chiara Giaccardi
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Portatori di verità, credibili e affidabili
Francesco Ognibene
Per tre mesi ha aggiornato con frequenza esemplare «L’era dei testimoni. Abitare il continente digitale», il suo blog all’interno del sito ufficiale del grande incontro romano iniziato
ieri (www.testimonidigitali.it). Con la riflessione 'caricata' nello spazio Web alla vigilia
dell’evento («Cosa mi aspetto dal convegno»), Chiara Giaccardi, studiosa di antropologia
dei media all’Università Cattolica di Milano, ha completato un’accurata esplorazione sul
concetto di «testimone» cristiano nell’era digitale, tutta da leggere online. Mentre i «testimoni» ai quali si è applicata prendono posto – a centinaia – nell’aula del Summit, prova a
sintetizzare in alcune parole-chiave la sua intuizione, «in realtà una costellazione di concetti in ordine sparso essenziali anche nell’era digitale», spiega. «Una prima parola centrale è 'verità': il testimone prende la parola per dire qualcosa che ritiene vero: la sua è una
verità mai del tutto posseduta ma di cui vuole comunicare ciò che ha compreso. La leva
che muove il testimone è certamente il desiderio di comunicare la verità che lo ha toccato e
che ha conosciuto». Viene poi una parola difficile: «È 'parresìa': dire la verità anche se costa, prendersi la responsabilità di essere sinceri a costo di pagare di persona, di turbare la
propria tranquillità». Decisiva a questo punto è la «'fedeltà' a se stessi: un testimone – aggiunge Chiara Giaccardi – deve essere credibile, affidabile: e per suscitare fiducia deve essere in grado di rispondere di se stesso. Non si tratta di essere infallibili, o coerenti senza
alcuna incertezza, ma di avere semplicemente la capacità di mantenere fede ai propri impegni». È dunque cruciale anche «la 'responsabilità'. Il testimone se la assume in due direzioni: nei confronti degli altri e della verità di cui parla. La responsabilità è una forma di
azione che non vede il soggetto come protagonista assoluto, ma come uno strumento insostituibile: può 'lasciar essere' la verità, e per farlo deve prendere un’iniziativa». Altre due
parole fondamentali sono «la 'relazione' autentica con gli altri cui si parla e con la verità di
cui ci si fa portavoce» e «l’'alterità' che siamo abituati a neutralizzare per assimilarla nelle
nostre categorie. Il testimone invece sa di doversi mettere in relazione con essa, quand’è
trascendente come quando è quella di chi non condivide le proprie convinzioni». Infine, la
massmediologa indica tra le caratteristiche del testimone digitale «la 'capacità' di leggere il
proprio tempo: si parla conoscendo e rispettando il contesto ambientale e umano nel quale
si è immersi. Il testimone sa di doversi porre in modo fermo ma non aggressivo, sfrutta le
opportunità che gli si presentano, libero e non prigioniero nella realtà».
Per una Rete con l’anima
Paolo Viana
Riportare nello spazio virtuale senso, dialogo e relazioni: sul ruolo della Chiesa esperti a
confronto
Se l’elaborazione di un «linguaggio credente» e un «progetto organico» sono il compito
per casa dei testimoni digitali, il mondo del Web 2.0 contiene delle opportunità che possono aiutarli, purché con coraggio si facciano «ibridare dalla logica della partecipazione ».
Parola di massmediologi: il primo a disegnare i nuovi scenari digitali e le forme di presenza della Chiesa è stato Francesco Casetti. Introdotto da don Ivan Maffeis, vicedirettore
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Testimoni Digitali
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dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, e da Paolo Bustaffa, direttore
dell’agenzia Sir, il direttore del dipartimento di scienza della comunicazione
dell’Università Cattolica di Milano – da qualche tempo impegnato anche a Yale – ha risposto all’invito del segretario generale della Cei individuando le opportunità offerte dal
mondo del Web 2.0 e dei social network.
Se l’obiettivo della Chiesa per il decennio è quello di elaborare una strategia comunicativa
missionaria, lo studioso ha ammesso che il mondo di Facebook, Twitter e Chatroulette si
limita a offrire «un puro e semplice contatto» perché in quel mondo «ciò che conta è
l’accessibilità, il raggiungere e l’essere raggiunti». Poiché, come si sa, una relazione «vera»
si basa «su una offerta di sé e insieme su un ascolto reciproco», ecco la prima opportunità:
«Non basta usare 'intelligentemente' i media della Rete (tv digitale, computer e telefonino),
bisogna 'rifondarli', facendo sì che essi tornino ad essere strumenti di relazione vera».
Dando, ad esempio, un nuovo senso alla gratuità: «La maggior parte degli scambi sul Web
– ha sottolineato Casetti – non comportano una transazione di denaro, ma non per questo
sono gratuiti: comportano un 'pagamento' in svariate forme, comprese quelle del 'debito
simbolico'. Reintrodurre la logica del dono – intercettando le forme di commitment che
troviamo sulla Rete – può essere un passo rilevante». Altro «compito a casa»: offrire alla
Rete un nuovo senso dell’intimità e riscoprire il vero dialogo. Dobbiamo chiederci, ha detto Casetti, se lo sia quello che si alimenta di linguaggi che si intrecciano, appelli ai sensi,
messaggi instabili: «Ci vuole un supplemento di ascolto e di corresponsabilità, siamo
chiamati a articolare meglio verità e carità nel nostro linguaggio» ha commentato. Infine,
«le reti mediali tendono a presentarsi non come una parte del complesso sistema di relazioni che regge una società, ma come un sostituto»: la realtà sociale, tuttavia, «continua a
mantenere una sua concretezza e la dimensione comunicativa acquista senso proprio nella
misura in cui si innesta sul nostro essere uomini».
Vivere da cristiani la relazione mediale rappresenta insomma un atto di cittadinanza e
come tale è stato analizzato da Michele Sorice. Il sociologo della comunicazione e media
research della Luiss di Roma è partito dalle trasformazioni storiche: «Oggi non è più importante una appartenenza territoriale ma basta appartenere alla relazione in rete perché
la relazione stessa è pregnante. Nel Web 2.0 non ci sono rapporti nuovi: sono sempre la riformulazione di rapporti preesistenti, semplicemente li si rialloca nelle nuove modalità ».
Prevale la logica Wiki: «Compartecipazione della conoscenza, i soggetti stabiliscono forme
di partecipazione sociale fondati sulla condivisione cooperativa, paritaria, orizzontale delle conoscenze». Insomma, «i soggetti che sviluppano le nuove forme di rapporto riformulano anche la cittadinanza» e cambia il concetto stesso di partecipazione sociale: non basta
garantire neppure l’accesso ai media, è richiesta la possibilità di «produrre un feedback»
attraverso i contenuti che ciascuno produce. Questo, in realtà, è anche lo spartiacque tra
realtà e illusione: «Si dice che si crea una comunità in cui tutti si è connessi, ma in realtà si
è solo connessi, soli e connessi». Il rischio delle nuove forme di relazione è «anche
l’opportunità» per Sorice, il quale ha consigliato ai cattolici di «entrare con coraggio » in
questo mondo «per farci ibridare dalla logica della partecipazione».
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Testimoni Digitali
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Sono necessarie nuove garanzie
Eugeni. Il massmediologo
Disagio. Quello dei cattolici nel mondo dei new media. Ruggero Eugeni, massmediologo
dell’Università Cattolica di Milano lo confessa senza reticenze. «Le nuove forme di comunicazione non hanno territorio, si parla di settimo continente ma non possiamo mapparlo».
Siamo immersi in una comunicazione senza luogo e con tanti luoghi: «Le relazioni autocostituiscono luoghi su cui basarsi». Ma non è l’unico motivo di disagio: «Le relazioni in Rete
presentano sempre un confine indefinibile tra serietà e gioco, non è più chiara la differenza
tra i vari media e le relazioni possono essere contemporaneamente cognitive, emotive e
pratiche…». In questo scenario cambia il rapporto fiduciario: «Dove la Chiesa era una garanzia previa di credibilità, oggi le relazioni comunicative debbono rinegoziare costantemente la fiducia del rapporto, in una ottica a-istituzionale». Secondo il massmediologo
queste dinamiche modificano il rapporto di cittadinanza e il modo stesso di essere Chiesa:
«Lazzati avrebbe parlato di cittadinanza paradossale, ci sentiamo stranieri e al tempo stesso parte in causa di gruppi e relazioni». I cristiani non possono non sentire che ogni relazione in cui si inseriscono, anche nel web 2.0, è «fibra di un tessuto più ampio che noi contribuiamo ad alimentare». Lo scriveva già la Lumen Gentium, invitando a «meglio esprimere e adattare con più successo la vita sociale e umana ai nostri tempi».
Bisogna evitare i modelli astratti
Il semiologo. Peverini
Si fa presto a dire «viralità». Il sogno di produrre contenuti in grado di contagiare la rete
rischia di restare tale per Paolo Peverini, semiologo della università Luiss di Roma, che ieri
ha analizzato le logiche dei social network e le architetture del Web 2.0 dove alcuni testi
riescono a entrare nelle reti e replicarsi in modo sempre più invasivo.
«Ma attenzione – ha detto – ci sono rumors e tormentoni nati nella Rete che si spengono in
fretta e altri che magari non nascono in Rete, ma nella comunicazione tradizionale, e prevalgono». L’errore di molti analisti, ha aggiunto, è quello di forzare complessi sinonimici
per decrittare il comportamento sul Web e il momento «magico» in cui si incontrano e
spesso si fondono l’enunciatario e l’enunciatore.
«Testi che sembrano amatoriali, sono progettati consapevolmente da chi si occupa di pubblicità per entrare in contatto con il mercato della Rete e questo ci pone di fronte a una sfida sul piano della responsabilità, alla necessità di riflettere bene sulle logiche che muovono i discorsi». Anche per i cristiani: «Nel Web 2.0 si può pensare a un’evoluzione virale del
messaggio come nuova forma della testimonianza, ha detto, ma bisogna evitare di rincorrere tassonomie e modelli astratti».
La tecnologia? Ci fa ancora paura
Il giornalista. Calabresi
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Paura della Rete. L’ammette Mario Calabresi, direttore de La Stampa di Torino. «I giornalisti hanno avuto paura in questi anni, per la sensazione che fosse più veloce, fuori controllo. C’è stata idea che si potesse affermare un modello informativo in cui tutti distribuivano
informazione e nulla potesse avere un filo conduttore». Ma chiudersi in trincea è «inutile e
perdente».
Meglio, la linea dei cattolici, che danno «importanza al coinvolgimento e alla partecipazione». Secondo il direttore del quotidiano torinese, «il giornalismo deve coinvolgersi nei
new media, giocare la partita. Una recente ricerca Usa dice che il 95% dell’informazione
che circola in Rete è prodotta da giornalismo tradizionale. Tanto per rispondere a chi ha
teorizzato che non vi fosse più bisogno di giornalisti».
Calabresi ha difeso appassionatamente la professionalità giornalistica, insistendo sulle
«competenze» e sulle «chiavi di lettura che sono offerte dall’esperienza giornalistica». Citando casi di scuola e aneddoti personali, ha insistito: «La Rete creerà pure la realtà ma la
realtà è testarda e presto o tardi emerge, non si può negarla a lungo. Non bisogna arrendersi e ritirarsi sdegnati. Il ruolo dei giornalisti è approfondire e controllare: nei rumori di
fondo, che si accavallano e ci danno sfinimento, c’è un bisogno maggiore di chiavi di lettura, di punti fermi di comprensione e di contesti».
La relazione di Crociata
Il segretario della Cei ripercorre i molteplici itinerari che si spalancano grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie «Non è nostra intenzione occupare il Web, quanto piuttosto offrire anche in questo contesto la nostra testimonianza». I progressi registrati dai
media di ispirazione cattolica Il rischio di un linguaggio autoreferenziale
Mimmo Muolo
Abitanti della rete, ma non per occuparla. Utilizzatori delle nuove tecnologie, per stare accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, «evitando di precludersi alcuna strada
pur di raggiungerli». Esperti nel dialogare con gli altri media, perché capaci di usare i linguaggi più moderni. I testimoni digitali, secondo monsignor Mariano Crociata, devono
possedere queste fondamentali caratteristiche. Davanti al segretario generale della Cei ce
ne sono già oltre 1200, nell’affollatissima sessione inaugurale del grande convegno che, a
otto anni di distanza da «Parabole mediatiche », si è aperto ieri a Roma. Diverse altre migliaia se ne aggiungeranno sabato per l’incontro con il Papa. E dunque tra i due poli, iniziale e conclusivo dell’appuntamento, il vescovo ha il compito quasi di tracciare la rotta
della navigazione.
Prima di tutto. Qual è lo scopo di questo nuovo convenire? «La sollecitudine per il bene
dell’uomo e della società è alla base del convegno – risponde Crociata –, per riflettere insieme sulle frontiere aperte dalla tecnologia digitale. Non è nostra intenzione occupare il
Web – aggiunge – quanto piuttosto offrire anche in questo contesto la nostra testimonianza
per alimentare la cultura e, quindi, contribuire alla costruzione del futuro del Paese». Se
dunque si parla di internet e di ambiente digitale, è perché anche in questo ambiente vive
l’uomo. Il vescovo ricorda a tal proposito la grande lezione del Convegno ecclesiale nazio8
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
nale di Verona (nel 2006) con i suoi ambiti. In particolare la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, l’educazione, la sfera sociale e politica. Tutte realtà in cui «si dispiega l’esistenza umana», che divengono perciò «terreno per una adeguata comunicazione
del mistero di Dio e quindi per una testimonianza missionaria». La rotta, però, deve tener
conto che intorno il panorama sta cambiando. Gli stessi ambiti di vita sono «fortemente
trasformati dalla cultura che nasce dal sistema mediatico». Dunque nuove sfide si intravedono all’orizzonte, così come nuove tecnologie offrono anche all’azione della comunità ecclesiale il loro «straordinario potenziale ». La Chiesa italiana a dire il vero non parte da zero. Crociata sottolinea a tal proposito quanto è stato fatto nel decennio di «Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia». Innanzitutto la pubblicazione del 'Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa'. Quindi i media di ispirazione cattolica:
dal circuito radiofonico InBlu, «pensato nella prospettiva di garantire sul territorio una voce di ispirazione cattolica» all’emittente televisiva Tv2000. Dal quotidiano Avvenire, che
ha compiuto quarant’anni e si è consolidato quale «strumento culturale decisivo per i cattolici e punto di riferimento nel panorama informativo del Paese»; all’Agenzia Sir (Servizio
informazione religiosa), che «ha tagliato in buona salute i suoi primi vent’anni».
Il segretario generale della Cei cita anche la Federazione italiana dei settimanali cattolici
(Fisc) con oltre 180 testate aderenti e circa un milione di copie diffuse ogni settimana; le
migliaia di siti internet d’ispirazione cattolica (e qui, ricorda il vescovo, «va riconosciuta la
lungimiranza con la quale la Chiesa italiana ha saputo offrire alle diocesi un servizio di gestione dei contenuti Web, attraverso l’esperienza del Sicei)». Insomma una dotazione di
strumenti a 360 gradi che comprende anche l’attenzione ai Webmaster cattolici italiani (
WeCa), la formazione assicurata dalle Università cattoliche e pontificie, il progetto Anicec,
i forum e i convegni promossi dal Servizio per il progetto culturale.
Ma, prosegue Crociata, «l’ambito che ci sta maggiormente a cuore è quello locale», dove
«le nostre comunità si sono attivate per valorizzare la figura dell’animatore della cultura e
della comunicazione », chiamato a muoversi sia verso i credenti, per aiutarli a decifrare «il
contesto socio-culturale dominato dai media», sia verso persone «estranee alla vita della
Chiesa e alla sua missione».
Ora però c’è un nuovo tratto di rotta da tracciare. Sarà naturalmente compito del lavoro di
questi giorni. Ma intanto il segretario generale offre alcuni spunti. Primo, «la presenza di
mezzi di comunicazione promossi esplicitamente dalla comunità ecclesiale non deve essere intesa in alternativa ad un impegno negli altri media». Secondo, superare il ritardo di
«un linguaggio che a volte rimane ancora autoreferenziale, quasi di nicchia». Infine «mettere a fuoco, all’interno dei piani pastorali delle nostre diocesi, un progetto organico per le
comunicazioni sociali, che integri queste ultime negli altri ambiti», «scongelando la figura
dell’animatore della cultura e della comunicazione, per elaborare una strategia comunicativa missionaria». Testimoni digitali si diventa anche così.
Tanti giovani e comunicatori Ascoli Piceno e Macerata «si sintonizzano»
sul presente
Simona Mengascini
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Centoventisei l’una e cento l’altra: i numeri delle presenze al convegno 'Testimoni digitali'
delle diocesi marchigiane di Ascoli Piceno e di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
sono importanti. Molto giovani i partecipanti ascolani: 75 di loro sono ragazzi che provengono dal liceo cittadino della comunicazione. E poi professionisti impegnati nel mondo
delle comunicazioni sociali della diocesi e in particolare nel settimanale diocesano «Emmaus». «Certo è stato importante l’arrivo tre anni fa di monsignor Claudio Giuliodori, attuale presidente della Commissione episcopale Cei per la cultura e le comunicazioni sociali – commenta don Luigi Taliani, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi
di Macerata –, perché ci ha 'sintonizzato' sul presente e sulle urgenze di questo mondo, che
comunica in maniera sempre più veloce attraverso le tecnologie digitali. La trasformazione
di 'Emmaus', la ristrutturazione avviata di Radio Nuova Macerata, il rinnovamento del sito diocesano e il progetto di una Web tv della diocesi danno l’idea del cammino che abbiamo fatto e di quanto sia cresciuta l’attenzione per le comunicazioni sociali, non più considerate una parte 'marginale' della pastorale». Il suo omologo di Ascoli, don Gianpiero
Cinelli, sottolinea che il successo del convegno, cui partecipano anche operatori della comunicazione, soggetti impegnati nel progetto Portaparola e 15 persone che hanno frequentato il corso Anicec per animatori della cultura, è stato in parte determinato dall’interesse
che ha suscitato il centenario del periodico diocesano «Vita Picena» e dal ciclo di incontri
in preparazione proprio di 'Testimoni digitali', organizzato dalla parrocchia di Monticelli.
«In questi anni – spiega don Cinelli – grazie anche all’incoraggiamento del vescovo, monsignor Silvano Montevecchi, abbiamo fatto grandi passi avanti. Il giornale diocesano si è
rinnovato, abbiamo dei progetti per Radio Ascoli, molte parrocchie sono entrate in rete e
una di loro, quella dei Santi Simone e Giuda ha aperto anche una web tv. Molto c’è ancora
da fare e spero che questo convegno di Roma serva a sensibilizzare i giovani sul tema».
Diocesi toscane in prima linea: La Rete ci sfida
Giacomo Gambassi
Dai catechisti ai ragazzi impegnati nella pastorale giovanile. Dai giornalisti delle testate locali agli insegnanti. «Testimoni digitali» supera il sagrato della chiesa e fa breccia fra chi
entra ogni giorno in contatto con il mondo dei mass-media. Basta scorrere la lista dei
quindici delegati che dalla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro parteciperanno ai tre
giorni del convegno Cei su cui si è alzato il sipario ieri, o quella delle cinquanta persone
che sabato giungeranno a Roma dalla diocesi di Fiesole per l’udienza con Benedetto XVI.
Non solo rappresentanti della comunità ecclesiale, ma anche «comunicatori» che avvertono l’urgenza di confrontarsi con il nuovo «umanesimo» figlio della cultura digitale. «La
sfida è quella di abitare il nuovo continente digitale, come ci ha chiesto Benedetto XVI –
spiega Massimo Rossi, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali di Arezzo –. In
quest’ottica il nostro gruppo raccoglie sia gli operatori dei media diocesani, sia alcuni degli
animatori parrocchiali della comunicazione e della cultura che la diocesi ha contribuito a
formare negli anni scorsi». Insieme con loro anche il preside dell’Istituto tecnico commerciale di Arezzo, Anselmo Grotti, esperto di Web, che ha in cantiere di trasformare la sua
scuola in un laboratorio di «cittadinanza digitale» per gli immigrati. E poi il responsabile
del Centro diocesano di pastorale giovanile, don Danilo Costantino, che ha fatto della Rete
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
uno spazio di «incontro» con i ragazzi, e suor Lucia Zamboni, delle Figlie di San Paolo, cha
ha scelto Radioincontri, emittente cattolica della Valdichiana, come «strumento con cui entrare nelle case e persino nelle auto di giovani e adulti», racconta la religiosa. La buona volontà soltanto non basta, però. «C’è bisogno di comprendere come le relazioni cambino in
un contesto virtuale e come la fede possa essere trasmessa nelle nuove agorà», afferma Luca Primavera, giornalista della tv diocesana Telesandomenico. Ecco, quindi, l’idea di formare una 'équipe' che comprenda, ad esempio, anche un ragazzo in servizio civile alla Caritas o il grafico del sito diocesano. È l’idea che ha guidato anche il cammino della diocesi
di Fiesole verso il convegno.
Già da gennaio l’Ufficio comunicazioni sociali guidato da Paolo Bonci aveva messo a disposizione un pullman per l’udienza del Papa. «L’intento – spiega Bonci – è stato quello di
coinvolgere sia parrocchie, sia le realtà legate all’ambito della comunicazione. Perché,
quando si parla di annuncio del Vangelo, va persuasa l’intera comunità cristiana che si
tratta di una sfida in cui la capacità di adeguarsi ai linguaggi del nostro tempo è fondamentale».
Evitiamo l’utilizzo della Rete come bacheca
Viganò
Attenzione all’illusione dell’evangelizzazione mediale. Il monito viene da monsignor Dario Edoardo Viganò dell’Università Lateranense, moderatore della tavola rotonda su «Media, messaggi e crossmedialità». «Anche nelle nostre comunità cristiane – ha detto – abbiamo da una parte l’illusione un po’ ingenua di passare subito a una evangelizzazione
mediale che è una sintesi non feconda e dall’altra emerge la richiesta della fedeltà
all’evangelizzazione tradizionale». Monsignor Viganò ha riconosciuto la «duplice visione
della Rete» chiedendo alle comunità di «partecipare alla Rete invece di limitarci a usarla
come bacheca» ma al tempo stesso invitando i convegnisti a ricordare che «la carne è il
cardine della salvezza; questo ci riconsegna alla forma testimoniale dell’incontro dove nel
volto dell’altro compare l’eco di quel mistero fascinoso in cui ciascuno di noi è generato alla fede cristiana».
Così Avvenire.it si rinnova
Avvenire si presenta al convegno di Roma «Testimoni digitali» con alcune importanti novità. Da www.avvenire.it è già possibile pubblicare gli articoli, direttamente sui due social
network più diffusi: Facebook e Twitter. Si consente ai lettori di condividere con i propri
amici i contenuti del giornale, aggiungere le proprie considerazioni e suggerire gli argomenti ritenuti interessanti. Inoltre è stata aperta una sezione specifica
(www.avvenire/accessibilita ) per favorire l’accesso e la fruibilità del sito anche ai nostri
lettori anche quelli con maggiori difficoltà o disabilità. Per questo abbiamo dato il via a
collaborazioni con Davide. it, per la navigazione sicura dei bambini, Eldy, per i nostri lettori più anziani, e con l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. Un progetto destinato a svilupparsi e migliorarsi nel tempo per non «escludere o lasciare indietro nessuno ».
Entro fine mese sarà resa più fluida e agevole la lettura del quotidiano in rete, migliorando
la modalità di consultazione de Il quotidiano in edicola. Sempre verso la fine di aprile Av11
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
venire sbarcherà anche sugli smartphone con due servizi. Il primo permetterà al lettore di
avere l’intera edizione del quotidiano in edicola sul proprio telefonino, sia in modalità grafica che testuale. Il secondo consentirà ai nostri utenti di essere aggiornati costantemente
con le notizie in tempo reale curate dalla nostra redazione Internet.
Evento su Tv2000 e Internet
Tv2000, la televisione dei cattolici italiani, segue in diretta gli eventi e i dibattiti del convegno «Testimoni digitali». Dalle ore 9.30 alle 13 (con la sola pausa di Tg2000 alle ore 11.30)
si potrà oggi assistere agli interventi di monsignor Claudio Giuliodori, presidente della
Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali della Cei e di Chiarda
Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano, oltre alle tavole rotonde su «Profili della generazione digitale » e «La fede nella Rete
delle relazioni: comunione e connessione». Nel pomeriggio Tv2000 riprenderà a trasmettere il convegno dalle ore 17. Alle 17.30 in diretta l’intervento del cardinale Angelo Bagnasco
dal titolo «Un’anima cristiana per il mondo digitale: comunità, strumenti, animatori».
Domani trasmissioni in diretta a partire dalle ore 9.30 con l’intervento di monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, e la tavola rotonda con padre Federico Lombardi, Lorenza Lei e il direttore
di «Avvenire», Marco Tarquinio. Alle 12 l’udienza concessa da Benedetto XVI ai partecipanti al convegno. Sul sito testimonidigitali.it è possibile seguire integralmente i lavori in
streaming.
Confronto utile al nostro lavoro
«Dare un volto 'professionale' alla comunicazione: è questa una delle sfide più impegnative per la comunità cristiana oggi. Troppe volte i messaggi non raggiungono i giovani perché trasmessi con strumenti non adeguati». È la provocazione che lanciano Marta Vescovi
ed Errico Piselli , ventiseienni, che da un anno spendono la loro professionalità (lavorano
nel campo del video editing e del montaggio) per la pastorale giovanile dell’arcidiocesi di
Perugia-Città della Pieve ma anche per tutte le Chiese della Regione attraverso il progetto
«MediAzione», promosso con le Acli. «Per la pastorale giovanile curiamo la parte della
comunicazione, per il progetto regionale seguiamo numerose iniziative come laboratori di
cinematografia e musica. Il risultato è su Youtube al canale 'Mediazionegiovani'».
Chiesa e Web: qui il crocevia
«Navigando in Internet, già tre mesi fa ho saputo del convegno 'Testimoni digitali' e mi
sono convinta subito della necessità di prendervi parte. Come appartenente alla congregazione delle Figlie di San Paolo sento miei i temi in discussione, proprio come avvenne nel
2002 per Parabole medianiche». Suor Pina Riccieri sta completando il suo dottorato alla
Pontificia Università Auxilium di Roma sul tema 'La formazione alla vita consacrata
nell’era del Web'. «Questo mondo ormai – spiega la religiosa – è il continente più abitato e
come tale ha bisogno di una presenza attiva, di una partecipazione matura al fine di una
evangelizzazione possibile e necessaria. Non è sempre facile correre alla velocità della comunicazione. Ma eventi come questo che stiamo vivendo sono dei crocevia indispensabili
per l’impegno futuro».
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Gli articoli di Avvenire
Basi teoriche per i miei studi
Si definisce un «teorico» e non uno «smanettone» ed esprime l’auspicio che «la Chiesa si
spinga sempre più avanti nella riflessione attorno alle numerose dimensioni non ancora
affrontate del mondo dei media». Padre Ruggiero Doronzo è un cappuccino di Lecce, dove
è impegnato come ricercatore all’università. «Nei miei studi ho percorso tutti i documenti
magisteriali sui mezzi di comunicazione dal 1936 ad oggi – racconta –: emerge che fin
dall’inizio la Chiesa ha creduto nello sviluppo dei media preoccupandosi di moralizzare il
contenuto. Oggi la riflessione è arrivata a considerare anche le implicazioni antropologiche
dell’uso dei media ma molto resta da fare in campo teorico, perché la presenza di questi
mezzi non si riduca a un’applicazione tecnica».
Dalla Polonia per imparare
«Bisogna avere il coraggio di essere presenti su internet perché la rete, e i nuovi media in
genere, offrono opportunità di confronto e di crescita davvero preziose. Me ne accorgo
quando scrivo online: ogni testo suscita commenti di ogni genere e quindi crea relazioni».
Don Piotr Studnicki è un sacerdote polacco dell’arcidiocesi di Cracovia, studente del secondo anno della facoltà di Comunicazione sociale istituzionale dell’Unversità Santa Croce. «Sono qui al convegno 'Testimoni digitali' perché penso che sia un’esperienza preziosa
da cui imparare molto. La Chiesa italiana in questo nel campo della comunicazione e dei
media ha molto da insegnare. In Polonia patiamo ancora in parte l’eredità pesante del periodo comunista, ma l’interesse e le compentenze stanno crescendo. Un cammino dove la
collaborazione è una delle prime risorse».
Noi, pionieri dell’era multimediale
I partecipanti: siamo a Roma per capire come dare unità al messaggio cristiano
E allora eccoli i «testimoni dell’era digitale»: studenti e suore, religiosi e sacerdoti, vescovi
e professionisti della comunicazione. Giovani e più attempati, stravaganti o «istituzionali»,
uomini e donne, del Nord, del Sud, o anche stranieri, impegnati nella pastorale o nei centri
in cui la cultura prende forma. Ognuno con un’esperienza, un’attesa particolare, con gusti
e competenze tecniche, entusiasti dello sviluppo tecnologico ma anche ben attenti ad ambiguità e rischi. Chi usa internet, chi i social network, chi lavora in un giornale, una tv, una
radio, chi è curioso e basta. Tutti diversi eppure tutti insieme nella convinzione che per testimoniare non è sufficiente conoscere scienza e tecnica degli strumenti da usare, ma è necessario curare un rapporto personale intenso con il contenuto - o la persona - di cui si è
testimoni. In questa pagina riportiamo alcuni dei volti di coloro che a Roma, al convegno
«Testimoni digitali», sono venuti non per scoprire l’ultima innovazione tecnologica, ma
per capire come dare unità e sostanza al messaggio cristiano in un mondo che sembra
smaterializzare il vissuto all’interno di un flusso confuso di bit. Dentro quel flusso loro
vogliono starci, perché sentono di avere piena cittadinanza nel panorama dei media digitali. Anzi, come artigiani che pietra dopo pietra domano e guidano le acque dei fiumi o con
il cesello danno forma al legno del sicomoro, vogliono usare i bit di quel flusso per raccontare la sorpresa, sempre attuale, di un Dio che comunica e dialoga continuamente con il
mondo.
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Gli articoli di Avvenire
Stiamo al passo della tecnologia
Con i suoi 19 anni, Maddalena Collini , di Pinzolo (Trento), è tra le più giovani partecipanti a 'Testimoni digitali'. Ha raggiunto Roma con una trentina di redattori e collaboratori del
settimanale diocesano 'Vita Trentina', per il quale lei stessa collabora. «Quando la redazione ci ha proposto questo viaggio ho accettato con entusiasmo. È la prima volta che partecipo ad un convegno nazionale. Da tempo la comunicazione mi interessa e mi sto anche
impegnando per diventare giornalista pubblicista, anche se coltivo contemporaneamente
altri interessi. Di questo convegno – dice mentre con l’amica Gloria frequenta la sala
internet dell’albergo – sono più attratta dalle relazioni che investono le novità tecnologiche. Ma è chiaro che c’è un interesse particolare in tutti noi per ascoltare le parole del Santo Padre».
Sarò cronista in modo diverso
«In 'Testimoni digitali' sono coinvolta su più fronti: perché sono una studentessa di media
e pubblicità allo Iulm di Milano; perché sono impegnata con la mia diocesi, Massa Carrara-Pontremoli, nell’ambito del giornale diocesano 'Vita Apuana', e perché nel mondo della
comunicazione ci vorrei lavorare come giornalista». Idee chiare per Marina Viappiani che
si aspetta di ascoltare, dalle relazioni del convegno, contenuti già in parte studiati sui libri
universitari. «Questo confronto mi incuriosisce ma mi stimola anche perché sarà interessante scoprire le strategie che la Chiesa vuol mettere in campo per essere protagonista di
questa nuova frontiera culturale. Ritengo inoltre difficile valutare il messaggio della Chiesa sui media di oggi; troppe strumentalizzazioni. Convegni come quello di oggi mi aiutano ad andare alla fonte delle notizie».
Nuovi spunti per le tv locali
«Sinergia è la parola chiave sulla quale stiamo lavorando; anche per questo siamo qui, per
gettare reti di collaborazione e raccogliere spunti concreti per i percorsi futuri». Gianni
Rossi, direttore di Tv Prato e dell’Ufficio per le comunicazioni sociali di Prato, è affiancato
da uno dei suoi collaboratori, Giacomo Cocchi. Entrambi sono consapevoli delle non poche difficoltà che comporta l’impegno nel portare avanti media locali diocesani come tv,
radio, portale web, settimanale, ma entrambi sono convinti della fondamentale importanza di questo compito: «I media locali incidono in maniera significativa sul territorio - nota
Rossi - , per questo per la comunità cristiana sono voci da far dialogare in una rete sempre
più qualificata. Un compito nel quale per noi l’appoggio del nostro vescovo e dei nostri
pastori è davvero prezioso».
Io, economista nell’età digitale
Apparentemente una studentessa universitaria di economia politica avrebbe poco da spartire con i temi della tre giorni del convegno «Testimoni digitali». Eppure a Marta Rocchi –
di Ascoli Piceno, a Roma per studio, un impegno nella stampa diocesana della sua diocesi
– «interessa conoscere il metodo pianificato per realizzare il convegno; non solo i contenuti
della comunicazione, dunque, ma anche i contenitori. Voglio confrontarmi, ascoltare esperienze, soprattutto di giovani, capire come essere efficaci in questo mondo in continua e
rapidissima evoluzione. E poi, attendo con impazienza l’udienza di domani mattina con
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Benedetto XVI. Dal Papa mi aspetto tantissimo anche per decifrare l’atteggiamento e il
percorso della Chiesa nell’era digitale».
Banco di prova per i catechisti
«Certo che noi catechisti dobbiamo essere qui! Se non siamo in grado di interpretare i linguaggi di oggi e il mutato contesto culturale che influenza i ragazzi, come potremo sperare
di vincere la sfida educativa?». Ne è convinta Liliana Storti che, con molti 'colleghi catechisti', laici e due sacerdoti, fa parte del nutrito gruppo della parrocchia Santa Maria Assunta
di Bibione (comune di San Michele al Tagliamento, Venezia). «Ho saputo di questo appuntamento romano dal bollettino parrocchiale. In un articolo il parroco, don Andrea Vena,
scriveva: «Io ci vado, e voi?». Qui vogliamo approfondire le nostre conoscenze, sulle quali,
in parrocchia, abbiamo avuto non pochi confronti. In questo ambito non si può restare indietro perché il rischio è di perdere il contatto con i ragazzi».
Innoveremo il nostro sito
«Per noi la comunicazione è essenziale, perché è una delle dimensioni più importanti
dell’annuncio del Vangelo, che è l’impegno principale dettato dal carisma della nostra
congregazione, nel quale non mancano religiose impegnate nel giornalismo». Suor Emanuela , 36 anni, si sente un po’ una «pionera» tra le Missionarie dell’Immacolata, religiose
del Pime, perché alcuni anni fa sua è stata l’idea di lanciare il sito della sua congregazione.
«Le mie superiore – sottolinea – mi hanno chiesto di studiare comunicazioni sociali
all’Università salesiana, un percorso di studi che mi ha permesso di portare la 'frontiera'
dei media digitali anche tra le mie consorelle. Il prossimo anno sarò in Brasile e spero di
portare anche là questo tipo di attenzione».
Impegnato, da cristiano
Roma ci è venuto solo Giovanni Varuni, napoletano, laureato in sociologia con indirizzo in
comunicazione. A «Non appartengo a strutture diocesane e non mi sono aggregato a
gruppi. Sono qui perché mi sento doppiamente impegnato: come tecnico della comunicazione e come cristiano. Chi mi ha invitato? Il Papa! È stato lui a indicare questa nuova cultura come una frontiera di straordinaria importanza anche per tutti noi, laici cristiani. Ecco
perché mi sento chiamato in causa». Un impegno, quello di Giovanni, che ha preceduto il
convegno: «Prima di questo evento ho utilizzato anche Facebook come una piattaforma di
dialogo tra laici, preti e persone lontane dalla nostra sensibilità».
Strumento per le diocesi
«Direi che per chi, come me, ha la responsabilità del Servizio per il Progetto culturale di
una diocesi, non può fare a meno di partecipare a simili eventi per poi sviluppare in diocesi quanto questo straordinario laboratorio di idee ed esperienze partorirà». Anna Maria
Garziano è impegnata nella Chiesa di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti; è arrivata
a Roma con una corposa rappresentanza della sua diocesi. «I tantissimi giovani che vedo
qui al convegno – rileva Anna Maria – testimoniano una Chiesa che come non mai vuole
puntare sulle nuove generazioni; ascoltandole e studiandone abitudini, bisogni, idee e,
non ultimi, i linguaggi».
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Gli articoli di Avvenire
Novi contesti, stessa avventura. Umanesimo dà luce al mondo digitale
Alessandro Zaccuri
In fondo è semplice: sono gli uomini che fanno l’umanesimo. È stato così in ogni epoca, da
quella del papiro fino a quella della stampa, e non è diverso oggi, non sarà diverso domani. Mediale e cross-mediale, digitale e convergente sono concetti nuovi, d’accordo, processi
che possono addirittura risultare rivoluzionari. Ma alla fine tocca ancora a noi fare la differenza. Tocca a ciascuno di noi, come sempre, assumere l’onere della testimonianza. Non si
tratta di entusiasmarsi per qualsiasi dispositivo alimentato da una batteria al litio. Si tratta
piuttosto di imparare a riconoscere i segni dei tempi, senza ignorare le zone d’ombre e
senza lasciarsene assorbire. È un panorama sorprendente, quello che emerge dai lavori del
convengo sui 'Testimoni digitali' che si conclude oggi a Roma al cospetto e con la parola di
Benedetto XVI. E la sorpresa proviene dalla realtà, in perfetta coerenza con la tradizione
del cristianesimo, che è scuola altissima – e severa – di realismo. Si annuncia il Vangelo nel
mondo così com’è, non nel mondo così come vorremmo che fosse. Se il mondo della contemporaneità è un contesto 'aumentato', interconnesso e annodato da fili invisibili, è lì che
i cristiani si danno appuntamento: nella nuova agorà, in una piazza che cessa di essere fittizia e secondaria perché è abitata da una concretezza radicale, da un’istintiva adesione alle ragioni ultime dell’essere uomo e dell’essere donna.
Tecno-ottimismo? Non esattamente. Anche per chi appartiene alla generazione degli 'immigrati digitali', persone nate e cresciute prima dell’avvento di computer e smart phone,
quello che si sta delineando è un fenomeno che impone di evitare i luoghi comuni, i più
radicati dei quali riguardano, al contrario, i cosiddetti 'nativi digitali'. Sono i ragazzi dai 25
anni in giù, solitamente rappresentati come incapaci di sottrarsi alla seduzione del virtuale, liquidi nei rapporti e instabili nei valori. La ricerca che l’Università cattolica ha realizzato in vista del convegno romano restituisce invece l’immagine di un universo giovanile
smaliziato e consapevole, abilissimo nel dosare tempi e modi della presenza in rete. Forse
noi adulti ancora non lo abbiamo capito, ma essere reperibili su Facebook non equivale a
costruirsi un profilo su MySpace e l’amicizia vera, spesa nella consuetudine quotidiana, è
simboleggiata dal numero di telefono. Anzi, di telefonino, un dettaglio che rimanda alla
traccia creaturale della voce, il più immateriale e nel contempo il più riconoscibile fra i segni con cui la persona comunica la propria presenza.
In continuità ideale con 'Parabole mediatiche', il convegno che nel 2002 diede la dimensione dell’impegno della Chiesa italiana nell’ambito della comunicazione, 'Testimoni digitali'
è un evento che si affaccia su un decennio caratterizzato da una rinnovata preoccupazione
educativa. Un’impresa che non si compie solo per mezzo di allarmi e divieti, ma che diventa efficace quando rimodula 'l’alfabeto dell’umano' in un ambiente mediale che, già di
per sé, fa a meno dei confini e costruisce ponti, come ha ricordato ieri il presidente della
Cei, cardinale Angelo Bagnasco. Con queste parole la Chiesa indica una prospettiva che
non ignora la leggerezza della relazioni on line, ma che proprio per questo fa appello alla
densità originaria di un annuncio fondato sulla «presenza delle presenze», e cioè sulla verità del Risorto. Perché sono gli uomini che fanno l’umanesimo, certo. Ma è l’umanità di
Cristo a infondere speranza in ogni avventura, anche quella che inizia nel momento in cui
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
uno schermo si illumina davanti ai nostri occhi e il mondo che conoscevamo allarga i suoi
orizzonti.
Un nuovo umanesimo digitale
Discernimento, persona, anima: tre parole chiave per una trama di riflessioni culminata
nella relazione del presidente della Cei, il cardinale Bagnasco. «Testimoni digitali»:
continua il confronto a tutto campo
Umberto Folena
«E pensare che c’era il pensiero», cantava sul finire del secolo scorso il profeta laico Giorgio Gaber. Una canzone amara, che denunciava l’egemonia del fare e dell’agire, senza senso e senza scopo. Il dominio di una tecnologia che s fa idolatria. Per fortuna che c’è il pensiero, veniva da pensare ieri alla seconda, densa, densissima giornata di «Testimoni digitali». Per fortuna c’è chi nella rete si mette pure a pensare sul senso della rete stessa, e sui
suoi nodi ed intrecci; e non soltanto agisce, inebriato dal potere seduttivo della tecnologia.
Una parola che segni la giornata? Più d’una. La prima è discernimento. La traduciamo:
voglia e capacità di osservare, ascoltare, comprendere. Insieme, confrontandosi con chi
condivide la stessa passione. E come stile permanente. L’invito al discernimento, in modo
esplicito, è di monsignor Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per
la cultura e le comunicazioni sociali, e di padre Antonio Spadaro, gesuita redattore della
«Civiltà cattolica». Discernimento, spiega Giuliodori, senza chiusure superficiali né ingenue adesioni. Più nel dettaglio: conoscenza approfondita, attenta valutazione critica del
mondo dei media e della loro influenza. Per Spadaro, se internet è «il luogo delle risposte»,
spesso affastellate senza una logica chiara, il discernimento consiste innanzitutto nel riconoscere le domande vere all’interno del parco delle risposte. Discernimento. C’è una gran
voglia di consapevolezza, di intelligenza, di chiarezza. Di conoscere rotte e venti nel mare
della crossmedialità. E al discernimento si rifà il cardinale Angelo Bagnasco, presidente
della Cei, quando invita gli animatori della comunicazione e della cultura a impegnarsi
«con intelligenza e fiducia, senza assolutismi ingenui e acritici o demonizzazioni apocalittiche».
La seconda parola è in realtà un gruppo di parole tra loro simili e amiche: persona, uomo,
antropologia. «Occorre portare una visione piena e integrale dell’uomo – è l’invito di Giuliodori – un uomo chiamato alla piena comunione con Dio e con i fratelli. Anche nella realtà digitale». È il «nuovo umanesimo digitale» di cui parla Chiara Giaccardi, presentando
un’accurata ricerca sui giovani e il mondo digitale, con la rete come «luogo antropologico», dove la relazione può essere centrale, il rischio dell’individualismo disinnescato, lo
spazio digitale costruito veramente dal basso. I giovani di cui parla Chiara Giaccardi sono
diversi dai bamboccioni privi di sugo emergenti da altre rappresentazioni frettolose, superficiali e facilone, ma di maggiore appeal… Un’altra parola è anima. Anima cristiana. E
si trova al centro dell’intervento di Bagnasco, quando indica «le strade possibili di
un’anima cristiana per il mondo digitale ». E subito collegata a questa ci sono relazione e
comunità, perché «dare un’anima – è sempre Bagnasco – significa restituire densità alle relazioni leggere della rete». Comunità: i mass media, la loro comprensione, la competenza
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
nel saperli leggere e interpretare e «usare» spetta a tutti, non a una minoranza di addetti ai
lavori. Il sociologo Guido Gili è netto: «Nell’ambiente globalizzato spetta a tutti comunicare. A tutti darsi una formazione adeguata. A tutti essere comunicatori allenati». Spetta a
tutti essere testimoni in quello che Gili definisce «un campo di battaglia, di tensioni, di
conflitti». E Spadaro ricorda: è necessaria la testimonianza di tutti, tutti i naviganti del
Web. Tutti surfisti, chiamati a domare le onde dei media.
Il convegno sui nuovi (e vecchi…) media si rivela così un appuntamento che dimostra di
avere a cuore sempre e comunque la persona, la sua capacità di vivere una vita consapevole, e quindi libera. È un convegno che si rivela un continuo invito alla creatività e alla fantasia, come emerge dalle testimonianze di lavoro sul campo, dal settimanale diocesano alla
sala di comunità, da Tv2000 lanciata sul digitale terrestre al quindicinale aquilano risorto
nella redazione container, dal neonato servizio parrocchie. map al Portaparola, fino al
Consorzio editoria cattolica. È un convegno che vive in sala e fuori, dove si ritrovano amici
antichi e si allacciano amicizie nuove, e la rete si arricchisce di nodi, ed è un continuo
scambio di idee, esperienze, valutazioni. I «Testimoni digitali » sono assai reali e amano
guardarsi in faccia e parlarsi senza schermi. È un convegno la cui colonna sonora - un brusio fatto di dozzine di voci sottovoce - non è un difetto ma un pregio. Sono comunicatori
che amano dialogare.
Questa mattina in ottomila nell’Aula Paolo VI per l’incontro col Papa
Matteo Liut
Anche nell’era dei media digitali, dove tutto si smaterializza e si moltiplica, non perde il
suo fascino e la sua irripetibilità il fatto di esserci, l’esperienza di vivere in prima persona
emozioni e impressioni, la ricchezza di un ascolto dal vivo di chi con la proprie parole ricorda continuamente al mondo la speranza offerta da un «Dio con noi». Lo sanno bene le
migliaia di pellegrini che da tutta Italia stamattina si uniranno ai 1300 convegnisti di «Testimoni digitali» per la sessione conclusiva dell’incontro in Aula Paolo VI, dove al termine
interverrà Benedetto XVI. In totale sono attesi circa ottomila fedeli: molti di essi avranno
affrontato un viaggio lungo e impegnativo per raccogliere gli appelli e le provocazioni che
il Papa vorrà loro consegnare sul tema della comunicazione sociale e dell’annuncio del
Vangelo nel mondo digitale.
«Vino nuovo in otri nuovi» sarà il tema dell’intervento di monsignor Domenico Pompili,
sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, che
aprirà la mattinata finale del convegno alle 9,30. A offrire ulteriori spunti di riflessione e
indicazioni di percorso sarà poi una tavola rotonda cui prenderanno parte padre Federico
Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, di Radio Vaticana e del Centro televisivo
vaticano, Lorenza Lei, vicedirettore generale della Rai, e Marco Tarquinio, direttore di
«Avvenire». Il dibattito sarà moderato da Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale. Infine, alle 12, in Aula Paolo VI farà il suo ingresso il Pontefice, cui verrà rivolto un indirizzo di saluto da parte del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Al termine ci sarà l’intervento di Ratzinger, che durante il convegno «Parabole mediatiche» del 2002 tenne una delle relazioni più apprezzate, dalla quale è stata
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
tratta l’immagine degli «intagliatori di sicomori» al centro in questi giorni della riflessione
del convegno romano.
In Aula Nervi, proprio dove si concluse l’incontro del 2002, saranno presenti i pellegrini
provenienti da ben 180 diocesi di tutta Italia. Un dato che dice il grande interesse incontrato dal tema della comunicazione nell’era dei nuovi media. Subito dopo l’incontro in Vaticano molti dei presenti, come ad esempio la maggior parte dei pellegrini provenienti dalla
Lombardia, risaliranno sugli autobus facendo rientro nella notte alle proprie diocesi. Avranno trascorso poche ore a Roma, ma torneranno a casa ancora più consapevoli che la
rete dei testimoni della fede è un autentico segno di profezia anche nell’era digitale.
Chiesa e Rete: dialogo aperto
Paolo Viana
Lo studioso gesuita Antonio Spadaro: «Il Web? Ambiente da evangelizzare»
Teilhard de Chardin aiuta i cattolici a fare pace con Internet. Ne è convinto padre Antonio
Spadaro, giornalista della Civiltà Cattolica e docente dell’Università Gregoriana, che ieri
ha tenuto la relazione più seguita. Ecco come inquadra il rapporto Chiesa-Rete. Cosa
c’entra un teologo degli anni Venti con i new media? La pretesa del cristianesimo nei confronti della cultura digitale è ben rappresentata dall’immagine dell’'intagliatore di sicomori' di Amos: il sicomoro produce frutti che restano senza gusto se non li si incide e i
frutti sono la cultura del tempo, mentre il Logos cristiano è il taglio che permette la maturazione. Il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale e Teilhard, pur tra ombre e ambiguità, ha inciso anzitempo questo taglio con
il concetto di 'Noosfera', teorizzando un sistema nervoso tecnologico planetario. Secondo
Teilhard, le tecnologie formano una sorta di intelligenza collettiva e la noosfera si espande
verso una crescente integrazione che culminerà nel 'Punto Omega', il Logos ossia il Cristo.
Da cristiani, si può vivere senza Internet?
La Rete è sempre di più un 'luogo' da frequentare per stare in contatto con gli altri e poiché
la Chiesa ha nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri
fondanti del suo essere, Rete e Chiesa sono destinate ad incontrarsi. Ma per la Chiesa
Internet non è un semplice 'strumento' di comunicazione, è un 'ambiente' culturale che determina uno stile di pensiero: non basta usare i media per diffondere il messaggio cristiano, occorre integrarlo nella cultura digitale.
Il messaggio cristiano è compatibile con la logica dei media?
La logica del Web ha un impatto sulla quella teologica e Internet pone delle sfide alla
comprensione del cristianesimo. Se una volta, l’uomo era attratto dal religioso come da
una fonte di senso, ora si sta trasformando in un decoder delle domande sulla base delle
molteplici risposte che lo raggiungono. Occorre tanto discernimento.
Quali sono i limiti ecclesiologici di una Chiesa in Rete?
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Non è possibile immaginare una vita ecclesiale essenzialmente di Rete: una 'Chiesa di Rete' in sé e per sé è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di vita. Inoltre, la Rete può essere compresa come una sorta di grande testo 'orizzontale', una struttura
chiusa. La Chiesa invece ha un fondamento 'esterno', la Rivelazione.
Qual è lo snodo più critico in questo rapporto?
Il concetto di 'dono'. Per la Chiesa, la Rivelazione è un dono indeducibile e l’agire ecclesiale ha in esso fondamento. Ma è il concetto stesso di 'dono' che muta nella società di
Internet. La Rete è luogo di dono ma in realtà si tratta di uno 'scambio' libero. L’ottica dei
freebies, i prodotti gratuiti creati dagli utenti del Web, è spostata su chi 'prende' liberamente, mentre la gratia gratis data non si 'prende', si 'riceve'. La Grazia non è un freebie,
anzi, per citare Bonhoeffer, è 'a caro prezzo'. Al contempo la Grazia si comunica attraverso
mediazioni incarnate e si diffonde in una logica compatibile con quella peer-to-peer, ma
irriducibile ad essa.
I giovani e il Web
Cadono alcuni pregiudizi sulla negatività di social network e chat: i giovani non rinunciano alla vita reale. Uno studio dell’Università Cattolica evidenzia come i ragazzi di
oggi abbiano sviluppato attraverso Internet una dimensione relazionale e un senso di
identità più forti
Mimmo Muolo
Telefonino all’età della scuola media. Computer con connessione flat e messager inclusi
durante il percorso delle superiori. Facebook all’inizio dell’università. I nativi della generazione digitale seguono di solito questo percorso di alfabetizzazione tecnologica. Anche
se negli ultimi tempi l’età di iniziazione all’uso delle nuove tecnologie va in qualche modo
abbassandosi. Lo dice la ricerca sui giovani nello scenario digitale presentata ieri al convegno Testimoni digitali , da Chiara Giaccardi, docente di Sociologia della comunicazione alla Cattolica di Milano. Ma soprattutto lo studio condotto da un’équipe coordinata proprio
dalla studiosa milanese dice che non tutto nel rapporto tra Internet e i giovani deve essere
guardato con sospetto o negatività. Anzi, la «buona notizia », per usare le parole della
stessa Giaccardi, è «la centralità della dimensione relazionale ». In altri termini la Rete, i
social network e le chat non sono mondi alienanti dalla realtà, quasi una second life sognata e parallela alla realtà, ma luoghi in cui si possono costruire, mantenere e rafforzare rapporti interpersonali anche ricchi e veri. «Gli spazi della Rete – ha detto ieri la sociologa, introducendo in aula i risultati della ricerca – non sono luoghi utopici dove proiettare il desiderio di un mondo totalmente altro, ma neppure luoghi autonomi e discontinui dalla
dimensione esistenziale concreta». Quella dei giovani non è dunque una generazione di
aut aut , quando piuttosto di et et. Che poi, detto nel linguaggio dei ricercatori, suona così:
«La costruzione di identità e la manutenzione delle relazioni rivelano una stretta relazione
e continuità tra online e offline, tanto che si può dire che la diffusione dei social media inaugura un modo socialmente orientato – da parte dei giovani – di abitare il continente
digitale. La continuità tra online e offline è dunque positiva». E anzi si assiste ad una umanizzazione del luogo, che si configura «come intreccio stabile di relazioni nel tempo».
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Secondo la ricerca, gli usi relazionali possono essere di quattro tipi. Organizzativo per organizzare appunto la propria attività e soprattutto il tempo libero. Denotativo per commentare con gli amici e sui social network quello che accade nella rete amicale e che permettere di mantenere le relazioni. Monitorante per un controllo continuo dei 'movimenti'
dei propri contatti. E infine fàtico , che nel linguaggio della ricerca sta per un uso finalizzato a mantenere sempre aperta la comunicazione, in maniera da restare continuamente
connessi e non sentirsi mai soli.
Proprio in virtù di questi usi, la ricerca ha anche smontato alcune aspettative legate
«all’utilizzo narcisistico, esibizionista e autoreferenziale di un nascondimento e di un mascheramento di sé». Specie nei social network «non ha senso nascondersi dietro un nickname , (nomignolo, ndr), perché lo scopo è anzi essere rintracciabili». Nelle regole non
scritte della Rete, infatti, chi si cela dietro false foto o falsi nomi ha qualcosa da nascondere. Come a dire che non si cercano «discrasie» tra la propria immagine online e offline . Si
tratta di aspetti, che per Chiara Giaccardi, «rappresentano un correttivo alle derive antiumanistiche della cultura contemporanea e aprono delle prospettive nelle quali un umanesimo attento alla totalità della persona può trovare spazio ». Dunque, ha concluso la sociologa, «ci pare di poter affermare che i presupposti per un nuovo umanesimo sono più favorevoli rispetto alla cultura di cui è portatrice la generazione degli adulti». Nuovi testimoni digitali crescono.
Nuovo umanesimo ed «ecologia dell’ambiente digitale» le sfide poste dalla
Rete
Si scrive Internet, si deve leggere «nuovo umanesimo sociale». Il vescovo di MacerataTolentino-Recanati-Cingoli-Treia Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, ha sintetizzato così, ieri mattina, la sfida che
la Chiesa si trova dinanzi, quando si entra nell’arena delle nuove tecnologie. «Non ci si
può accontentare – ha detto il presule – di dare una verniciatura digitale alla testimonianza cristiana illudendosi che sia sufficiente adottare qualche nuovo strumento di comunicazione per rendere l’azione più accattivante e accettata». La questione è ben più profonda. E
deve rispondere alla domanda sul tipo di umanesimo verso il quale ci spinge la rete. «Mi
sembra – ha risposto Giuliodori – che dallo spazio digitale venga generato un umanesimo
omogeneizzato nel quale i diversi momenti della vita si intrecciano e si integrano».
Dunque il mondo digitale «può favorire un umanesimo poliedrico e quanto mai ricco di
conoscenze e competenze, ma anche dissociato e frantumato». Perciò, anche in relazione ai
social network, «nuove piazze virtuali dove ci si incontra e si costruiscono relazioni più o
meno stabili», il vescovo ha sostenuto «la necessità di un’ecologia dell’ambiente digitale
affinché esso sia fruibile da tutti, non comporti pericoli, soprattutto per le categorie più esposte e meno attrezzate ad un uso appropriato e anche critico della rete». (M.Mu.)
Giovani i più creativi
Se la tv resta centrale nel sistema dei mass media, in realtà i suoi contenuti sono ormai usciti dai confini dello schermo televisivo. Nell’approfondimento di alcuni aspetti particolari della ricerca promossa dall’Università Cattolica e presentata da Chiara Giaccardi è tocca21
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
to a Massimo Scaglioni soffermarsi sul rapporto dei ragazzi con i «mass media» e i «personal media». Nel suo intervento il ricercatore della Cattolica ha ricordato che «i nuovi
media si innestano su un sistema di vecchi media», che non vengono spazzati via ma modificati. Soprattutto dalle nuove generazioni. «La tv – ha detto Scaglioni – è ancora oggi il
mezzo più pervasivo ma molti, ad esempio, la cercano sul web e questo vuol dire libertà di
guardarla in spazi e tempi personalizzati, ma anche possibilità di condividere impressioni
e commenti, con i quali i ragazzi spesso prendono le distanze da ciò che guardano». Ma se
il modo di usare i contenuti televisivi è sempre più variegato quando si passa ad analizzare i contenuti scelti dai giovani si arriva in quello che Scaglioni ha definito un «giardino ristretto», dove vengono privilegiati pochi generi, come i talent show, le fiction, i reality.
La generazione digitale, insomma, dimostra grande creatività dal punto dei vista dell’uso
dei mezzi e anche capacità critica, ma scarso interesse ad ampliare messaggi e contenuti.
Anche questa è una sfida per i testimoni del continente digitale.
Frontiera Sociale Network
Ma perché i «social network», le reti sociali sul web, occupano un ruolo così centrale nelle
«pratiche comunicative» dei più giovani? È la domanda che ha animato parte della ricerca
dell’Università Cattolica e che è stata approfondita da Simone Carlo. «Questi strumenti –
ha sottolineato il ricercatore – vengono usati dai ragazzi sia per rendere più 'movimentate'
e ampie le relazioni, sia per stabilizzarle e gestirle». Numerose le funzioni delle reti sociali:
da quella «monitorante» (osservare gli altri per conoscerli) a quella di «gestione in profondità delle relazione», fino a quella «fatica» (mantenere un canale comunicativo aperto per
sentirsi sempre in contatto con gli altri). Di fatto i ragazzi che usano le reti sociali sul web
si dividono in quattro famiglie che assegnano valori diversi agli stessi strumenti, ha aggiunto Carlo: «Ci sono i riservati, che ne fanno un utilizzo disincantato e poco convinto.
Gli ipersocevoli, che hanno tantissimi contatti ma pensano che l’uso dei social network
non sostituisca le relazioni faccia a faccia. I collezionisti, che considerano le reti sociali online un gioco. I conviviali che pensano a questi strumenti come opportunità per moltiplicare la propria socialità». La ricerca, però, ha concluso Carlo, mostra che, al contrario di quello che si pensa spesso, i ragazzi sono in grado di utilizzare questi strumenti per costruire
relazioni profonde e significative.
Alla ricerca d’intimità
Sbagliato pensare, come fanno ancora troppi, che la tecnologia sia neutrale: essa ha sempre
un significato simbolico attribuitole dagli utenti sulla base della propria esperienza. Matteo Tarantino, terza voce nell’approfondimento della ricerca dell’Università Cattolica presentata ieri a «Testimoni digitali», ha sottolineato più volte che «l’uso degli strumenti tecnologici viene sempre influenzato dalle metafore e dai significati che si attribuiscono loro».
Così per i giovani è il concetto di «intimità» a condizionare l’utilizzo dei diversi media e
degli strumenti digitali: «Vengono considerate più intime, più prossime a sé, le tecnologie
che offrono uno spazio più protetto, dove ci si può esprimere liberamente, senza la paura
di essere giudicati o di qualche fuga di notizie private», ha notato Tarantino. Dimensioni
che si intersecano con altre variabili: con chi si può parlare, di cosa si può parlare e quanto
«impegno» richiede l’uso della tecnologia. Criteri a partire dai quali la ricerca della Catto22
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
lica ha permesso di classificare i media dai più intimi, come il cellulare, a quelli più ampi
ed esterni, come Facebook. In mezzo ci sono i sistemi per scambiarsi messaggi istantanei
sul web, come Microsoft Messenger. «La cosa importante – ha notato Tarantino – è comprendere che ognuno di questi mezzi occupa un posto diverso nelle dinamiche comunicative dei ragazzi ma ognuno di essi è in relazione con gli altri e nel tempo può assumere diversi significati».
Testimoni di verità. Anche online
Guido Gili
Per arginare il relativismo multimediale serve l’impegno di ogni cristiano
Il Web 2.0 è un mondo che i cristiani possono realmente abitare?
La posizione dei cristiani di fronte alla Rete – risponde Guido Gili, sociologo della comunicazione alla Università del Molise e alla Luiss e relatore al convegno sui testimoni digitali – non è diversa da quella di San Paolo, che predicava nell’agorà di Atene tra tanti dei. La
modernità mina le forme tradizionali del consenso sociale e ogni credente è costretto a
confrontarsi con una molteplicità di posizioni. Così la fede torna ad essere una questione
di adesione personale.
Nella Rete, i cristiani navigano o naufragano?
La presenza della Chiesa nell’ambiente mediatico deve tenere conto che ci si trova in una
piazza, dove la direzione della navigazione è costituita a posteriori dal percorso del navigante: è il fruitore a decidere quale percorso compiere. Al tempo stesso, non c’è relazione
mediale che non si fondi su una preventiva credibilità dell’emittente, che genera l’apertura
di fiducia del ricevente. I cristiani che vogliano navigare debbono sapere che solo una volta entrati in un rapporto così costruito si può suggerire un percorso all’interlocutore.
Molti cristiani sono convinti che i media siano strumenti di relativismo culturale ed etico. È così?
Il sistema dei media realizza uno dei caratteri peculiari della modernità: il relativismo dei
valori e degli stili di vita. La tv e Internet sono l’esempio eclatante: tutti i contenuti, i programmi, i generi televisivi hanno lo stesso valore purché siano in grado di suscitare interesse e raccolta pubblicitaria. Nello spazio cacofonico dei media vecchi e nuovi, occorre
saper discriminare le voci in base al criterio del rispetto della verità sull’uomo e sulla vita.
Concretamente, dopo il convegno, cosa si aspetta che faccia la Chiesa italiana?
Deve parlare con una pluralità di voci, non una sola: lo impone la struttura del Web. Al
tempo stesso, le sue voci devono seguire uno spartito comune. Quanto alla formazione dei
testimoni digitali, la voce va allenata, bisogna raggiungere una competenza comunicativa
che non può riguardare solo chi ha le maggiori responsabilità.
Una diaconia della cultura digitale
Nell’era del web serve una «diaconia della cultura digitale», per far passare il Vangelo anche sulle strade dell’online. È l’appello che ai 1200 convegnisti di Testimoni digitali ha lan23
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
ciato ieri monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. «Le nostre strade oggi sono queste – ha detto in riferimento a internet e alle
nuove tecnologie –. Bisogna conoscerle, essere bene equipaggiati, avere chiara la meta e
conoscere a fondo gli obiettivi». Nel mondo digitale, infatti «non siamo chiamati ad essere
semplici cittadini. Il nostro compito non è neanche occupare un qualsiasi spazio. Dobbiamo lasciare tracce visibili, riconoscibili, che facciano pensare alla nostra presenza e non a
quella indistinta di qualsiasi altro». «Se la rete è digitale – ha fatto notare il relatore – a noi
spetta renderla concreta, offrire un’anima e darle vita». Tutto ciò, partendo dalla consapevolezza che «oggi i media sono dentro la nostra stessa vita, e spesso non solo la orientano,
ma la condizionano». In questo modo, ha spiegato monsignor Celli, «l’attenzione ritorna
più decisamente sull’uomo, che rischia di essere sovrastato dall’invadenza delle nuove
tecnologie, a cui è chiesto di riprendersi la propria responsabilità». Ecco, dunque, perché
«una diaconia della cultura digitale non è solo utile, ma necessaria per porre l’accento sulla
dimensione antropologica di tutto il fenomeno della comunicazione». Di qui l’attualità della proposta del Papa di ripristinare il Cortile dei Gentili, «come riedizione di uno spazio
nuovo e moderno, per un confronto intessuto di rispetto» senza proselitismi. Il rischio, altrimenti, ha concluso Celli, è quello di «trasformarci in grandi torri d’avorio, invece che di
optare per un dialogo a tutto raggio aperto ad ogni uomo».
Restare connessi con i più giovani
Vito Salinaro
«È assolutamente indispensabile conoscere lo sviluppo tecnologico, e i nuovi media che da
esso derivano, per conservare quel collegamento con il mondo dei giovani e delle famiglie
che consente di comunicare». Questa la priorità su cui si muove la Rai nelle parole di Luigi
Rocchi, direttore delle Strategie tecnologiche dell’azienda, che ha sottolineato come in Italia, tra il 2001 e il 2009, siano cresciuti i consumi di tutti i media, con la tv a fare la parte del
leone visto che il 97,8% della popolazione ne risulta utente.
Internet fa passi da gigante ed è utilizzato sia per l’informazione sia per l’intrattenimento.
Due mondi, quella della tv e di Internet che, ha spiegato Rocchi, pur differendo nelle modalità di fruizione, «sono destinati a breve alla convergenza sul televisore domestico con
l’affermarsi delle nuove piattaforme open Internet tv ».
Del resto con la Rete bisogna rapportarsi continuamente vista la velocità di affermazione
nel mondo: «A Facebook – ha evidenziato Rocchi – sono bastati meno di sei mesi, nel 2009,
per passare da 100 a 250 milioni di utenti registrati!». Lo sforzo della Rai si spalma su tutte
le nuove piattaforme di distribuzione: sul digitale terrestre con 13 canali televisivi, uno in
alta definizione e la radio; su satellite con tivùsat; su IP con due siti: rai.it e rai.tv; sulla
piattaforma «mobile». «In particolare il 2010 – ha detto Rocchi – rappresenta l’anno centrale per il digitale terrestre con il superamento della soglia del 70% di copertura della popolazione mentre aumentano le sperimentazioni di servizi innovativi». Tra gli altri, la fruizione via Internet sul televisore domestico e i servizi interattivi su smart-phone.
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Un parroco virtuale con 250mila fedeli
Si definisce «un semplice e ordinario parroco olandese», ma ci si accorge subito che la sua
pastorale non è affatto «ordinaria». Padre Roderick Vonhögen, 37 anni, gesuita, ieri ha raccontato alla nutrita platea del convegno «Testimoni digitali» la sua avventura tutta digitale, che l’ha portato a essere un vero e proprio pioniere del rapporto tra Chiesa e nuove tecnologie. Un’esperienza fatta di molto entusiasmo e voglia di fare, nata quasi per caso nel
2005 quando il giovane sacerdote si trovava a Roma durante i giorni della malattia di Giovanni Paolo II. «Raccontai su Internet l’esperienza di quei giorni – ha detto ieri –. Dopo
pochi giorni centinaia di persone avevano ascoltato quei racconti: molti di loro erano non
credenti. Capii che era necessario continuare a usare la rete per raggiungere sempre più
persone e comunicare loro il Vangelo». Da quell’intuizione è nato Sqpn, (Star quest
production network) cioè «Rete di produzione alla ricerca della stella»: un sito che offre
contenuti di ogni genere e tratta i più disparati temi, tutti con la particolare sensibilità cristiana. «Ogni giorno – racconta padre Roderick –, grazie anche ai volontari, raggiungiamo
250 mila persone. Il tutto si ispira allo stile racchiuso nell’episodio evangelico dei Re Magi,
portati fino alla capanna di Betlemme da una stella». Dio parla ai saggi d’Oriente con una
stella, «si mostra lì dove essi avevano già rivolto la propria attenzione, il cielo – spiega il
sacerdote –: così siamo chiamati a fare oggi, trattando proprio quei temi che più attirano la
gente».
Fare Rete al servizio dell’annuncio
Nell’integrazione tra vecchie e nuove tecnologie, risorse per la missione della Chiesa
Si usa dire: «media vecchi e nuovi». Ma la realtà è andata già oltre questa semplificazione,
che metteva di qua dal confine carta stampata e libri e di là web, cellulari e tv digitale.
Quel che si vede è che la tecnologia sta creando aree di integrazione che – per fare un esempio – non escludono i giornali a vantaggio esclusivo dell’informazione online ma consegnano a questa l’aggiornamento in tempo reale e lasciano alla stampa
l’approfondimento, la selezione delle notizie, la costruzione dei giudizi.
Nella comunità ecclesiale questo sembra singolarmente chiaro, e non per un ipotetico «ritardo» culturale ma per una scelta di campo all’origine stessa della comunicazione: tutti
sono strumenti per portare ovunque e a chiunque il Vangelo e la sua visione della persona
e di tutti gli strumenti, delle loro potenzialità e di ciò che può nascere dalle loro connessioni si sta imparando a servirsi. Questa ricchezza di linguaggi e di percorsi è stata efficacemente esemplificata nella rassegna di esperienze «sul campo» che – dopo l’intervento
dell’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali (di cui si riferisce a parte) – ha aperto il pomeriggio di ieri. Sei iniziative che
portano l’impronta dell’intelligenza creativa di chi vuole incontrare gli uomini là dove
comunicano tra loro. Sei rapide presentazioni di proposte – tra stampa, web, cinema, tv e
radio, libri, più uno sguardo sulla televisione del futuro, il tutto moderato dal giornalista
di Avvenire, Francesco Ognibene – esemplari perché costruite per rendere possibile anche
all’uomo digitale l’incontro con Dio.
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Una piattaforma per il settimanale
Tra le esperienze presentate a Roma, quella del sito del settimanale Vita Trentina ( vitatrentina.it ) che offre uno strumento efficace «per la distribuzione multicanale di informazioni». Per ottimizzare tempo e risorse umane, hanno spiegato Augusto Goio e Gabriele
Francescotto, «Vita Trentina ha immaginato una piattaforma per la gestione dei contenuti
prodotti – testo, immagini, audio – che consente di passare dal computer del redattore al
Web e dal Web all’impaginazione e alla tipografia». È nata così la piattaforma eZmagazine
che consente di gestire un archivio unico online. Gli articoli sono inseriti nella piattaforma
e diventano fruibili attraverso una molteplicità di canali: i grafici possono caricarli nel programma di impaginazione per produrre la pagina da inviare alla tipografia; chi naviga
può scorrere un articolo e scegliere il suo personale percorso di lettura; gli articoli possono
essere letti «via» cellulare. La possibilità di distribuzione multicanale dei contenuti è uno
dei punti di forza del sistema.)
Ridare speranza con i Portaparola
Tra i testimoni digitali un ruolo da protagonisti continueranno ad averlo i Portaparola
sparsi in tante diocesi italiane. Il gruppo Portaparola dell’Aquila è nato quattro anni fa.
«Sino al terribile terremoto dello scorso anno – ha spiegato ieri don Claudio Tracanna, direttore dell’Ufficio diocesano comunicazioni sociali – abbiamo svolto l’ordinario lavoro di
animazione culturale anche attraverso Avvenire. Dopo il sisma i Portaparola, fra le tendopoli, si sono trasformati in veicolo di informazione necessaria e credibile, direi anche in 'testimoni di speranza'. Ci siamo resi conto – prosegue il sacerdote – che la gente aveva bisogno di leggere notizie offerte con uno 'sguardo particolare' che Avvenire ha sempre saputo
offrire. Nel frattempo siamo stati protagonisti, anche grazie all’aiuto dei media Cei, di esperienze mediatiche come il quindicinale Vola. Sono anche nati il nuovo sito diocesano e
un blog che hanno portato e portano speranza in un contesto fortemente provato».
Sale di comunità tecnologia e Vangelo
Le vecchie sale parrocchiali hanno ormai lasciato il passo alle sale della comunità: mille in
Italia quelle aderenti all’Acec, l’associazione cattolica esercenti cinema. L’avvento del digitale ha segnato una svolta per queste sale che possono scegliere, attraverso un corposo catalogo, il menu da proporre giornalmente ai fruitori, in alta definizione. Proprio come sta
avvenendo da ormai due anni nella parrocchia San Giuliano Martire di Rimini, come ha
spiegato ieri Stefano Tonini, tra i venti volontari che si occupano della sala nel centro storico della città romagnola. Ad un prezzo relativamente contenuto, la parrocchia ha aderito
al circuito Microcinema che, via satellite, trasmette i contenuti alle sale dotate di un apposito software. Cinema, teatro, lirica, musica leggera, eventi in diretta. La sala è un concentrato di tecnologia di semplice approccio che incontra il favore della gente visto che ha
fruttato, a livello nazionale, 2,5 milioni di euro al box office nell’ultimo anno. E che rappresenta un efficace avamposto di evangelizzazione.
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
La visita guidata alla Cappella Sistina. Un itinerario di fede e storia
dell’arte
Il direttore dei Musei vaticani Paolucci: prima che capolavoro artistico, un luogo identitario
«Chiunque nel mondo pensi alla Chiesa romano cattolica pensa alla Cappella Sistina. Per i
gesti che vi si compiono e per il suo significato essa è un 'luogo identitario' prima ancora
che un’opera d’arte»: così Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani, giovedì sera ha
introdotto la visita riservata ai 1300 partecipanti al convegno «Testimoni digitali» nella
grande aula dove viene eletto il successore di Pietro. Una guida d’eccellenza, dunque,
all’interno di quella che può essere definita una delle massime espressione della maestria
comunicativa da sempre posseduta dalla comunità cristiana. Narrando le varie fasi della
realizzazione della Cappella, dove gli affreschi di Michelangelo sono solo l’ultimo tassello
di un lungo percorso, Paolucci ha offerto ai presenti un itinerario non solo nella storia
dell’arte ma anche attraverso il patrimonio teologico così saggiamente rappresentato nella
Sistina e troppo spesso tralasciato da chi si è impossessato delle immagini in essa custodite. Un tesoro che funge da modello anche ai moderni comunicatori dell’era digitale.
La vetrina aperta di «Rebeccalibri»
Giacomo Gambassi
Si chiama «Rebeccalibri» il portale dell’editoria religiosa italiana che si propone di essere
una sorta di vetrina aperta sui libri che guardano oltre. A promuoverlo il Consorzio per
l’editoria cattolica che lo ha inserito fra i suoi progetti cardine. Il sito non è soltanto un motore di ricerca di titoli che «possono contare su schede bibliografiche approfondite», ha
spiegato Roberto Bava, presidente del Consorzio. Nel portale possono essere trovati percorsi di lettura che, prendendo spunto da un evento di attualità, consigliano volumi sul
tema, notizie aggiornate di continuo e persino un magazine web ribattezzato «Pensare i/n
libri». Il Consorzio, nato nel 2005, vuol essere un «polo promozionale e formativo», ha affermato Bava. Fra le iniziative in cantiere quella di aiutare le piccole librerie ad avvalersi
del sistema di ordinazione di libri «Arianna» e quella di organizzare un corso on-line per
librai specializzati in materie religiose che coinvolga commessi, responsabili dei negozi e
chi vuol aprire un punto vendita.
La parola di Pietro. Tornare ai volti nel tempo delle illusioni
Francesco Ognibene
Saranno pure digitali, ma i testimoni che a migliaia ieri mattina hanno colmato l’Aula Paolo VI fino all’ultimo posto in piedi sono sembrati anzitutto cristianissimi testimoni di gioia.
Un colpo d’occhio, qualche parola scambiata tra la gente: e tra lombardi e siciliani, calabresi e veneti, gente che ha attraversato l’Italia dalla notte precedente per esserci, è parso
subito evidente che hanno tutti fortemente voluto dire al Papa che gli vogliono un bene
dell’anima.
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Quella che ha accolto Benedetto XVI al suo apparire nella grande sala delle udienze è stata
una carezza a lungo preparata, un’indiscutibile ondata di affetto. Il Papa ne è stato come
avvolto: la Chiesa italiana – e la sua rappresentanza concentrata ieri in Vaticano la esprimeva in modo efficace – ha saputo dire la parola che portiamo tutti nel cuore accompagnando Benedetto nel suo sofferto cammino di queste settimane, un cammino faticoso che
ad alcuni è parso vedergli trasparire sul viso. E il Papa ha colto questo flusso di sentimenti
profondi, parlando subito della «fedele adesione a Pietro di tutti i cattolici di questa amata
nazione». Di comunicazione si è riflettuto in questi giorni di convegno ecclesiale sui «Testimoni digitali»: e la comunicazione tra il pastore e il suo popolo raramente è parsa più
intensa di ieri.
Anche per questo è suonato familiare, possibile, entusiasmante il compito assegnato dal
Papa a quanti tra gli ottomila accorsi ieri si adoperano per dar voce al Vangelo dentro tutti
i media in funzione. La missione, ancor più di ieri, è di saper «riconoscere i volti» di donne
e uomini resi senza nome dal flusso immenso della comunicazione digitalizzata, e quindi
«superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie ». Ecco il punto: «Tornare ai volti »,
proprio mentre le relazioni si moltiplicano facendosi impalpabili e illudendo che la connessione permanente sia garanzia di non essere mai soli.
Ma quanto può essere davvero «uomo» – riconosciuto e rispettato come tale – chi galleggia
su una nuvola di parole leggere, di informazioni senza mèta, di messaggi lanciati nel vuoto? Se è questo il modo in cui si estenua la comunicazione nell’era della tecnologia digitale,
che la fa esplodere in un’infinità di coriandoli, le persone – avverte Benedetto – sono destinate a restare fantocci inerti, «corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo». Cose,
non persone. E ci stupisce ancora che, quando davvero conta la visione dell’uomo che uno
si è lasciato costruire dentro, non si trovino le categorie per difendere la vita, la famiglia, la
donna, i più piccoli? Per questo oggi non servono «tecnocrati » del comunicare ma «testimoni » credibili, convinti che questo «inquinamento dello spirito» vada bonificato a partire
da un’idea chiara del mondo, un’antropologia coltivata, argomentata, convinta.
Come si fa? Basta guardare chi tiene saldamente il timone: è il Papa, che una volta ancora
ci ha invitati a impegnarci «senza timori» a «prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della
Chiesa». Basta seguirlo, imitarne il coraggio e la limpidezza, e il più è fatto. È lui che mostra quale stile serva ad abitare «questo universo con un cuore credente». È lui che spiega
come «non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre di più ai suoi linguaggi». È lui, ancora, che chiede di
saper vibrare di «profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo col
Signore». Un testimone massimamente credibile. Ovvio che i «testimoni digitali» ne vogliano sostenere, oggi ancor più di prima, ogni risoluto passo.
Il Papa: nel mare digitale prendere il largo da cattolici
Mimmo Muolo
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Tra potenzialità e rischi la sfida del nuovo mandato a dare un’anima alla Rete
Tutti in piedi ad applaudire il Papa. Tutti gli sguardi verso la bianca figura che da pochi
minuti ha fatto il suo ingresso nell’Aula 'Paolo VI' gremita come nei giorni delle udienze
generali. Benedetto XVI che pure a questi incontri è abituato si ferma per un momento,
prima di sedersi al suo posto. Saluta sorridente, si guarda intorno quasi a cercare gli occhi
di ciascuno degli ottomila presenti, a ricambiare con uno sguardo tanto affetto. E non a caso. Dirà poco dopo, quando toccherà a lui prendere la parola: «Questo Convegno punta a
riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie: quando
ciò accade, esse restano corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo».
Non è certamente così per gli ottomila e forse più che sono accorsi da ogni parte d’Italia
per incontrare il Papa nell’ultimo giorno di Testimoni digitali. E il clima che fin dal primo
mattino si respira sotto l’ampia volta disegnata da Pierluigi Nervi ha il sapore frizzante di
quello che il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili, aprendo i lavori della sessione conclusiva, definisce «uno spumeggiante vino novello». Così quando a mezzogiorno
Papa Ratzinger fa il suo ingresso nell’Aula, accompagnato da folate di autentico entusiasmo, il suo discorso si pone come il naturale punto di arrivo del lavoro di questi tre giorni.
Potenzialità («la rete come vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista») e
pericoli («omologazione e controllo, relativismo intellettuale e morale, verità ridotta al gioco delle opinioni, digital divide »). Ma soprattutto sguardo lungimirante: «Senza timori –
afferma il Pontefice – vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa».
Anche perché in un mondo che accanto a quello atmosferico, conosce oggi anche forme di
«inquinamento dello spirito», la missione della Chiesa e dei cattolici è quella di «dare
un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete».
Così il discorso di Benedetto XVI diventa anche punto di partenza per un nuovo tratto di
strada. Non solo per i media della Chiesa italiana che il Pontefice cita puntualmente ( Avvenire, Tv2000, inBlu, il Sir, i settimanali diocesani, i periodici e i tanti siti internet di ispirazione cattolica), ma per tutti coloro che, come «professionisti della comunicazione », vogliano «nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad
avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto».
Per tutti, poco prima, si era fatto interprete il cardinale Angelo Bagnasco nel suo saluto al
Papa. «Siamo qui – aveva sottolineato – con la disponibilità a non rimanere indifferenti
davanti alle tante persone che oggi vivono nei deserti del mondo. Intendiamo valorizzare
tutte le strade che il continente digitale offre per farci più prossimi all’uomo». Il che significa «portare avanti la missione di costruire ponti di comprensione e di comunione, perché
cresca il dialogo e la pace nella società».
Una missione, questa, che era stata ribadita durante la tavola rotonda coordinata dal responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale, Vittorio Sozzi. Con il direttore
della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, a sottolineare che «la nostra testi29
Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
monianza deve essere di rigore e coerenza su ciò che siamo, contro ogni ipocrisia e doppiezza»; il vicedirettore generale della Rai, Lorenza Lei, a sostenere che «la sfida oggi si
gioca sulla qualità della proposta e sui contenuti»; e con il direttore di Avvenire, Marco
Tarquinio a ricordare, che di fronte ai tentativi di manipolazione della realtà, «c’è un altro
modo di fare informazione e di stare nella rete». Un modo «fatto di rispetto delle persone e
dei fatti, di adesione alla realtà, ma anche di limpida capacità di contraddirla questa realtà
quando è segnata dal male». Tarquinio ricorda «fatti e misfatti» dell’informazione. E non
dimentica di menzionare il suo predecessore, Dino Boffo. All’indirizzo del quale scatta un
applauso scrosciante e prolungato.
Le 5 parole chiave del convegno
Discernimento.
Ovvero osservare, ascoltare, comprendere, giudicare. Possibilmente insieme. Discernere
quanto di autentico o di artefatto propone il web, «senza chiusure superficiali né ingenue
adesioni» (Giuliodori); «riconoscendo le domande vere all’interno del parco delle risposte»
(Spadaro). Discernimento come capacità dell’intelligenza di saper tracciare la rotta nelle
acque insidiose dei media.
Partecipazione
Nel «cortile dei gentili» dove si forma l’opinione pubblica, occorre starci. Partecipando.
Con idee originali. Esprimendo giudizi originali. Proponendo progetti originali. Dalla
crossmedialità non è possibile chiamarsi fuori, ma occorre partecipare, con competenza.
«La forma dell’annuncio del Regno implica, come per Gesù, essere continuamente in movimento, segna la necessità di andare e farsi ovunque presente» (Bagnasco).
Anima
«Testimoni digitali» con quale obiettivo? Sullo sfondo del convegno, c’è stata la ricerca
delle «strade possibili di un’anima cristiana per il mondo digitale» (Bagnasco). Anima,
«non tanto per usare bene la rete, ma per vivere bene al tempo della rete» (Spadaro).Anima, «non per occupare il web, ma per offrire una testimonianza, un contributo per
il futuro del Paese» (Crociata). Un Paese che ha bisogno di anima.
Relazione
La relazione non è solo contatto: «Non dirmi che cosa dici, ma dimmi che parli con me» .
Per una relazione autentica occorre un «supplemento di carità» (Casetti). Sono le relazioni
centrali nel «luogo antropologico» della rete (Giaccardi). Quelle relazioni a cui «va restituita densità, affinché non siano leggere. Relazioni dense, per dare un’anima al mondo digitale» (Bagnasco). E « capacità di relazioni che non s’improvvisano, ma si acquisiscono» (Sorice).
Responsabilità
Accanto a fedeltà e testimonianza, la responsabilità è una delle tre condizioni essenziali
per «stare», in modo propositivo, all’interno di «media polis» (Giaccardi). La responsabilità è quella di chi non si tira indietro e decidere di giocare fino in fondo la partita della
crossmedialità. E responsabili sono quegli operatori dei media che non manipolano le no-
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
tizie, non ne stravolgono i contenuti ma sanno che «c’è un altro modo», il modo dei cristiani che amano la verità (Tarquinio).
Quegli 8mila accesi come 'pixel'
Matteo Liut
La partecipazione attiva di chi ha voluto esserci per trovare nuovi strumenti di evangelizzazione e dimostrare affetto al Santo Padre «Noi giovani ora in prima fila»
Come ottomila «pixel» ognuno di un colore diverso; come ottomila elementi a comporre
un’unica immagine digitale di un grande schermo. E su quello schermo la proiezione di un
affetto sempre più intenso, emozionato, popolare e genuino. È questo «mosaico» di volti e
storie che ieri mattina Benedetto XVI ha visto gettando lo sguardo sull’affollata platea entrando in Aula Nervi per l’udienza che ha chiuso il convegno «Testimoni digitali». Nelle
parole di quegli ottomila pellegrini l’espressione della capacità della Chiesa italiana di costruire una rete di relazioni sincere e intense, in periferia come al centro.
Sono stanchi, molti di loro hanno fatto la notte in autobus, ma all’annuncio dell’imminente
arrivo del Pontefice il sonno è presto dimenticato. Al suo posto un’attesa festante: «Solo
sentire il suo nome mi emoziona – dice Loredana, della diocesi di San Marco Argentano –.
Per noi era importante essere qui oggi, perché siamo ben consapevoli che anche
nell’ambito delle comunicazioni sociali è necessario portare il Vangelo. Dal Papa non possono che venire indicazioni preziose in tal senso». Stanchezza? «Ne valeva la pena», sottolineano subito da parte loro i 35 pellegrini di Benevento. E di «stimoli, indicazioni, spunti
preziosi dal Pontefice » parlano anche Gianluca, Marco, Salvatore, Emanuele, tre universitari e un liceale della parrocchia di Santa Domenica a Messina. «Noi curiamo il notiziario
parrocchiale – raccontano – siamo certi che l’essere qui oggi assieme al Papa è
un’occasione unica per arricchire anche nel nostro piccolo il lavoro all’interno della comunità cristiana». E poi l’affetto per Benedetto XVI, che i pellegrini riuniti ieri in Aula Paolo
VI hanno messo davanti a tutto: «Essere qui in questo momento ha un immenso valore per
noi, perché è un modo per esprimere la nostra vicinanza al Pontefice in un periodo in cui
la Chiesa è al centro di provocazioni, sollecitazioni e attacchi mediatici senza precedenti »,
dice Simone, della diocesi di Cagliari. «Ero presente a 'Parabole mediatiche' nel 2002 e ho
seguito le Gmg, ma questo incontro con il Papa ha un significato davvero speciale e diverso dalle altre volte». A ricordare il delicato ruolo del Pontefice nell’indicare soprattutto ai
giovani «la strada per diventare protagonisti nel mondo» è Ladis, 40 anni, consigliere provinciale delle Acli di Perugia, di origine indiana ma residente in Italia dal 1993. «I giovani
sono i principali utenti delle tecnologie digitali, sempre più diffuse – dice –. In questo
mondo Benedetto XVI ha il prezioso incarico di dire alle nuove generazioni di 'sedersi in
prima fila'». E allora eccoli lì, i tantissimi giovani che ieri affollavano l’Aula Paolo VI: tra
loro anche i 54 palermitani che si sono fatti due notti in pulmann per incontrare Benedetto
XVI. «Siamo qui per anticipare l’incontro che vivremo durante la visita del Papa alla nostra diocesi in ottobre e che attendiamo con gioia», dice Annalisa, 29 anni, che appartiene
al Gruppo Speranza». «Qui abbiamo avuto la conferma che oltre la cortina spesso confusa
dei media digitali – sottolinea da parte sua Stefano, webmaster del sito
www.grupposperanza.it – i messaggi di questo Papa e della Chiesa continuano ad arrivare
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
anche alle nuove generazioni». I ragazzi vorrebbero continuare a parlare ma sta arrivando
il Papa ed è ora di far festa assieme a lui, perché le parole, senza i gesti, perdono il loro
spessore. Anche nell’era digitale.
Alziamo le nostre vele nella Rete
Giacomo Gambassi e Vito Salinaro
Unanimi i diciotto vescovi presenti all’udienza papale: un’iniezione di fiducia da trasferire adesso nelle diocesi
La definiscono un’«iniezione di fiducia» che adesso va trasferita nelle diocesi. Dalle parole
del Papa che ha concluso il Convegno «Testimoni digitali» e dai tre giorni di confronto che
hanno scandito l’evento, i vescovi ricavano un invito ad «alzare le vele nel mare della Rete», consapevoli della forza che il messaggio del Vangelo porta con sé. In diciotto hanno
partecipato all’udienza con Benedetto XVI. Fra loro alcuni hanno seguito anche tutti i lavori. «Quello che portiamo nelle nostre Chiese – spiega il vescovo di Albano , Marcello
Semeraro – è un incoraggiamento a superare le difficoltà e ad entrare nel continente digitale senza paura». Per il presule l’incontro degli operatori della cultura e della comunicazione col Papa «apre nuovi orizzonti ed è un esplicito riconoscimento del loro ruolo». Oggi, è
il parere del vescovo di Noto, Antonio Staglianò, «si può reimpostare la pastorale, intendendo la comunicazione come trasversale e non come un settore a sé stante».
Agli animatori della cultura guarda il vescovo di Prato, Gastone Simoni:
«Nell’evangelizzazione in Rete occorre impegnare persone e risorse – afferma –. Da questo
appuntamento sono scaturite rinnovate motivazioni perché la Chiesa investa su una sapiente presenza che sarà tanto più fruttuosa quanto si dimostrerà più competente e testimoniale».
Lo stile dell’azione viene indicato dal vescovo ausiliare de L’Aquila , Giovanni D’Ercole:
«Nell’era digitale serve parlare attraverso la vita con coraggio. Anche se il mondo cambia,
la buona notizia che noi proponiamo non invecchia mai e va annunciata con fierezza». Già
al termine dell’udienza c’è già chi pensa all’eredità. «Come è accaduto 8 anni fa con 'Parabole mediatiche' – evidenzia il vescovo di Pistoia , Mansueto Bianchi – va iniziato un percorso che consenta di arrivare a una significativa ricaduta dei numerosi spunti venuti alla
luce in questi giorni». Ne è convinto anche l’arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna. «Non
abbiamo vissuto un momento celebrativo ma un’occasione di riflessione che necessita di
entrare nella pastorale ordinaria, a cominciare dal richiamo a creare comunità nella Rete e
a salvaguardare la dignità dell’uomo ». Per il vescovo di Conversano-Monopoli Domenico
Padovano «l’entusiasmo non basta a riversarci in questo nuovo contesto mediale. C’è una
sola strada da perseguire con fermezza e continuità: l’alta formazione dei nostri operatori». Mentre il vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa , Gianfranco Todisco, rileva che «l’evento
di Roma è servito a farci comprendere che non abbiamo ancora colto del tutto
l’importanza dei media. Di informazioni – aggiunge il presule – ce ne sono tante ma è necessario distinguere la bontà di un’informazione rispetto a un’altra».
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Si affida al vocabolo «incoraggiamento » Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo emerito di
Lecce: «Il linguaggio dei testimoni digitali – sottolinea – sarà quello della coerenza,
dell’assenza di ipocrisie e dell’amore per la verità».
Testimoni, la verità che fa notizia
Voci a confronto per la sfida lanciata a chiusura del convegno nazionale
Padre Lombardi: serve coerenza e rigore rifiutando ogni ipocrisia Sozzi: mettere la persona al centro Tarquinio: essere faro e approdo nella corrente. Lei: una tv che aiuta a
sentirsi parte di una comunità
Umberto Folena
Millecinquecento teste pensanti, quelle del convegno «Testimoni digitali». Più altre migliaia che in fila, diligentemente, affluiscono nell’Aula Paolo VI, fino e riempirla tutta.
«Millecinquecento teste pensanti – ripete Marco Tarquinio, direttore di Avvenire – si sono
riunite per giorni intensi di lavoro comune eppure non hanno fatto (quasi) notizia». Sono i
«testimoni» arrivati a Roma da ogni angolo d’Italia in una livida mattina umida di pioggia.
«Ma siamo un’onda tranquilla» garantisce Tarquinio. Onda tranquilla e forte, che approva
padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, quando invita a essere tutti
«generatori di onde», attori protagonisti; e a non vivere di paura, ma a saper coglier il positivo del mondo dei media. È un popolo tranquillo ma non inerte quello che apprezza
l’invito di padre Lombardi a essere «testimoni, in grado di non avere nulla da nascondere,
con coerenza e rigore, nel rifiuto di ogni ipocrisia e doppiezza». È un tempo, ribadisce
Lombardi con richiamo implicito e sereno ai casi di pedofilia tra persone consacrate agitati
contro la Chiesa, «di verità, trasparenza e credibilità. Il segreto e la riservatezza non sono,
ora, valori che vanno per la maggiore. Bisogna essere in grado di non avere nulla da nascondere». Apprezzate anche le sue osservazioni sulla «molteplicità » dei siti. «Una grande
ricchezza, ma an- che una grande babilonia. Ce ne sono molti, anche in campo ecclesiale,
che cercano di accreditarsi come autorevoli, senza esserlo ». Onda tranquilla, diceva Tarquinio. Una piccola, voluta bugia… È un popolo mite; ma è anche un popolo che non accetta supino le aggressioni. Un popolo che dà sfogo alla propria indignazione in un applauso lungo quattro minuti quando Tarquinio ricorda di stare ad Avvenire «con orgoglio
smisurato », lui direttore dopo Dino Boffo, «un grande giornalista». Da giovedì pomeriggio i «testimoni digitali» aspettavano di poter dare sfogo all’applauso liberatorio, tributo
all’uomo aggredito più ancora che protesta civile contro chi ha voluto abbatterlo con bieco
cinismo. Tarquinio riprende a parlare sull’applauso, faticando a smorzarne l’inerzia: «Si è
fatto da parte per non esporre la Chiesa, Avvenire e gli altri media cattolici agli attacchi di
cui era bersaglio. La sua vicenda è la dimostrazione di come i meccanismi mediatici possano stritolare chiunque. O quasi». E in quel «quasi» tutti leggono un’allusione alla recente, reiterata aggressione mediatica allo stesso Pontefice, quel Benedetto XVI per sostenere
il quale, non è un mistero, molti si sono sobbarcati anche due notti filate in pullman. Tarquinio cita un altro genere di aggressione, quello in cui ad essere manipolati e stravolti sono i contenuti stessi della notizia. Febbraio 2009.
Avvenire esce con un post-it giallo sulla testata: «Giudicateci per quello che scriviamo, non
per quello che ci fanno dire». Un’agenzia di stampa, e poi un paio di siti, hanno abilmente
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
tagliato e ricucito un editoriale sul caso tragico di Eluana Englaro, una «manipolazione
chirurgica » la definisce Tarquinio. «C’è un altro modo», conclude. C’è un altro modo di
fare informazione e dare le notizie. Il modo che è anche di Avvenire e dei media
d’ispirazione cattolica: «Avvenire è terra, sale, lievito. Terra ferma, solida, un approdo sicuro, un faro. Fatto insieme a voi». C’è un altro modo, che vorrebbe essere contagioso.
È il modo di chi non esita a «mettere al centro la persona», come ricorda Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale, in nome di «un Vangelo che
non sostituisce, ma plasma la cultura e configura l’umano». In attesa del Ratzinger oggi
Papa, Sozzi evoca un altro Ratzinger, il prefetto della Dottrina della fede che nello stesso
luogo, dallo stesso tavolo, nel 2002 fu relatore alla stessa tavola rotonda conclusiva del
convegno «Parabole mediatiche», assieme a Giorgio Rumi e a Dino Boffo. Ed è un modo
«leggero, ma non superficiale né effimero; leggero della leggerezza della fantasia – sono
parole di monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali – la fantasia capace di far emergere il lato non immediatamente evidente dei
fatti, spesso umoristico, per un mondo che non sa più ridere di sé».
Ed è un’onda che rischia di bagnare i piedi a Lorenza Lei, vicedirettore generale della Rai,
che parla di come la sua azienda stia raccogliendo la sfida digitale, per una tv che «aiuta a
sentirsi parte di una comunità: ecco il servizio pubblico». Lei lo dice con convinzione e tiene per certa questa stella polare. Ma qualcuno vorrebbe chiederle perché allora non c’è più
la tv dei bambini e dei ragazzi, la cui capostruttura, Mussi Bollini, ha partecipato in silenzio ai lavori di tutto il convegno. E quando annuncia che la Rai sta cercando «nuovi talenti
sul web», verrebbe da suggerirle di guardarsi attorno, per ritrovarsi «accerchiata» da talenti, impegnati con passione e professionalità in una miriade di emittenti tv e radio locali
di ispirazione cattolica. Oltre che sul web, la Rai potrebbe anche pescare lì...
Ora la leggerezza della fantasia
Mimmo Muolo
Da ora in poi niente sarà più come prima nel rapporto tra la comunità ecclesiale e Internet.
Una sfida da affrontare con la «leggerezza della fantasia». Ne è convinto monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali del- la Cei e uno dei principali
organizzatori del convegno Testimoni digitali. «Dal discorso del Papa e dal lavoro di questi giorni – afferma il portavoce della Conferenza episcopale italiana – emerge chiaramente
l’idea che la rete è una frontiera irreversibile della missione della Chiesa. Un luogo di
prossimità in cui far emergere la domanda su Dio e immettere il seme del Vangelo».
Con quale bilancio si chiude il Convegno?
Io penso che sia un bilancio positivo, sia per la partecipazione, sia per i contenuti. Mi riferisco in particolare al mandato del Papa a far sì che la comunicazione non sia più un ambito accanto agli altri, ma una dimensione con cui l’intera pastorale deve fare i conti. Credo
che come gli anni ’70-’80 hanno visto un investimento sulla catechesi e quelli successivi un
analogo impegno sulla carità, sia giunto il momento di investire adesso proprio sugli operatori della comunicazione e della cultura.
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Testimoni Digitali
Gli articoli di Avvenire
Operatori che sono tornati a gremire l’Aula 'Paolo VI' otto anni dopo 'Parabole mediatiche'.
E questo è un secondo dato da sottolineare, insieme con la presenza di tanti giovani, cui si
sono aggiunti da casa 8mila contatti in streaming. L’incontro con il Papa, come ha ricordato il cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha mostrato il volto di una Chiesa
giovane in cui anche le generazioni più recenti sanno mettere a disposizione del Vangelo
le loro competenze e la loro fantasia.
È per questo che lei ha parlato di vino nuovo in otri nuovi?
L’immagine evangelica serve a ricordare che anche nella comunicazione del Vangelo oggi
c’è qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio. Il nuovo è, naturalmente, la Buona Notizia,
spumeggiante e dirompente come un vino novello; il vecchio è paradossalmente la comunicazione, che è soggetta a innovazioni rapide e presto datate, a mutamenti che cominciamo a comprendere solo quando sono passati. Perciò dobbiamo imparare a comunicare con
intenzionalità, interesse, impegno e responsabilità.
In definitiva che cosa ha insegnato agli operatori il Convegno 'Testimoni digitali'?
Ha detto a tutti noi che della Rete non bisogna avere paura, ma anzi bisogna abitarla con il
nostro stile e con la nostra identità di cristiani. Di fronte alla rivoluzione digitale la Chiesa
deve fare ciò che ha sempre fatto, cioè attraversare tutte le culture, senza sposarne una in
particolare.
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