4. Il linguaggio medico come linguaggio specialistico Il linguaggio

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4. Il linguaggio medico come linguaggio specialistico
Il linguaggio medico possiede due caratteristiche che lo distinguono da qualsiasi
altro linguaggio specialistico, ovvero la ricchezza terminologica e la ricaduta sulla
lingua comune (cfr. Serianni 2005:115). Per quanto riguarda la ricchezza
terminologica, una prova si può avere consultando un dizionario, nel quale, circa
un lemma su venti è di ambito medico. Il forte impatto sulla lingua comune si
deve, invece, al fatto che il diffuso interesse per i problemi di salute ha
determinato un grande sviluppo nella comunicazione divulgativa.
Ma quali sono le ragioni che spiegano l’imponenza del lessico medico? Secondo il
linguista Serianni, le ragioni principali sono tre. La prima è che, almeno fino al
pieno Novecento, i termini medici furono formati da composti di base greca senza
ricorrere all’ampliamento semantico di termini già presenti nella lingua comune.
La seconda si basa sul forte individualismo che caratterizza la professione del
medico. Egli ambisce a lasciare una propria traccia linguistica, come nel caso
della denominazione di una nuova patologia.
La terza ragione, infine, è rappresentata dalla complessità e dalla varietà
dell’oggetto di studio, come l’anatomia e la patologia (cfr. Serianni 2005:116).
I termini medici possono essere classificati in base ai seguenti criteri (cfr. Serianni
2005:121):
 criterio semantico;
 criterio formale;
 criterio sociolinguistico
Con il criterio semantico si distinguono (Serianni 2005:121),
 tecnicismi dell’anatomia (ulna, massetere);
 della fisiologia (metabolismo, midriasi);
 della patologia (glaucoma, setticemia);
 relativi alla strumentazione e alle metodiche di analisi (endoscopio,
radiologia);
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 appartenenti a scienze strettamente connesse con la medicina (narcisismo,
estrogeno, ecc...).
Il criterio formale, invece, prende come riferimento la forma linguistica,
classificando i tecnicismi in (cfr. Serianni 2005:121):
 monorematici non analizzabili: singole parole di cui non si riesce
intuitivamente a risalire al significato, come timo, epilessia;
 monorematici analizzabili: singole parole il cui significato richiama quello
del greco antico o del latino, come i termini con suffissi (-ite) o prefissi (ipo);
 polirematici: più parole che costituiscono un’unica unità lessicale come
afta epizootica.
La classificazione mediante criterio sociolinguistico porta alla conclusione che
alcuni termini sono entrati nel parlare comune e hanno assunto significati
simbolici. Un esempio è il termine medico fegato, che oltre ad essere un
tecnicismo, è anche una parola comune con annessa fraseologia idiomatica (avere
fegato).
Questi tipi di tecnicismi sono chiamati tecnicismi specifici, infatti :
per indicare il piccolo osso che forma la parte terminale della colonna vertebrale
dobbiamo adoperare obbligatoriamente il tecnicismo coccige (ferma restando la
possibilità di spiegarci ricorrendo a una perifrasi o magari all’iperonimo osso,
accompagnato da deittici [...] (Serianni 2005:127),
Parallelamente ai tecnicismi specifici, nel linguaggio medico sono presenti anche i
tecnicismi collaterali, ovvero:
vocaboli (nomi, aggettivi, verbi e in misura ridotta costrutti) altrettanto
caratteristici di un certo àmbito settoriale, che però sono legati non a effettive
necessità comunicative bensì all’opportunità di adoperare un registro elevato,
distinto dal linguaggio comune [...] (Serianni 2005:127),
Si prendano come esempio queste frasi (Serianni 2005:128):

il paziente sente (avverte, prova) un forte dolore alla bocca dello
stomaco;
28
 Il paziente accusa (o lamenta, riferisce) vivo dolore nella regione
epigastrica (cartella clinica scritta dal medico).
Confrontiamo le parole della lingua comune di cui si avvale un paziente per
spiegare i sintomi al medico con i tecnicismi collaterali utilizzati dal medico nella
compilazione della cartella clinica:
Paziente
Medico
Parole comuni
Tecnicismi collaterali
sente
accusa
forte
vivo
bocca dello stomaco
regione epigastrica
Appare evidente che i tecnicismi collaterali del medico modificano il registro ma
ai fini comunicativi non ci sono cambiamenti rilevanti. Quindi, i tecnicismi
collaterali appartengono allo stile espositivo dei medici, i quali possono scegliere
di ricorrere ad essi o di mantenersi nel registro della lingua comune.
I tecnicismi collaterali, a differenza di quelli specifici, non sono stabili: essi,
infatti, sono legati alle esigenze del registro stilistico, perciò presentano dei
margini di oscillazione (cfr. Serianni 2005:130). In più, essi non si limitano al
lessico ma “investono anche strutture più profonde” (Serianni 2005:131), come le
parti del discorso e la microsintassi. Nel primo caso “ è notevole [...] il ricorso
agli aggettivi di relazione” (Serianni 2005:131). Alcuni esempi sono: fosse nasali
e bulbo oculare. Dagli esempi si comprende che la struttura generale di questo
tipo di tecnicismo collaterale è nome generico + aggettivo portatore del significato
specifico. Tuttavia, questo è solo un esempio. Serianni, infatti, ha studiato diversi
testi e ne ha ricavato una casistica molto ricca, di seguito riportata (2005:131):



evento + agg.: per indicare un episodio non meglio precisato di rilevanza
patologica, evento trombotico, eventi cardiovascolari acuti, ecc...;
in sede + agg.: per indicare una determinata localizzazione, in sede otologica, in
sede retrosternale, ecc...;
su base + agg.: per indicare una certa eziologia, il dato posto a fondamento di una
diagnosi, la premessa clinica di un certo processo, una patologia su base
29


psicosomatica; questo tecnicismo collaterale concorre con di origine + agg.,
coma di origine diabetica, ecc...;
di tipo + agg.: per indicare il dato saliente di una patologia, inquadrandola dal
punto di vista nosografico, addensamento di tipo lombare, ecc...;
rischio + agg.: per indicare la probabile insorgenza di una certa patologia,
soggetti a rischio cefalalgico, ecc... .
La microsintassi, invece, rende il linguaggio medico anonimo, in quanto si omette
l’articolo indeterminativo “in oggetti, soggetti e nomi del predicato in posizione
postverbale al singolare”(Serianni 2005:133). Un esempio di questo tipo di
microsintassi è la frase “è stata dimostrata intolleranza alimentare verso alcuni
alimenti”(Serianni 2005:133). Si nota, infatti, che il termine intolleranza non è
preceduto dall’articolo indeterminativo. Tuttavia, l’articolo non è omesso solo nel
caso precedentemente descritto ma anche nei complementi indiretti retti da
preposizione. In questo caso si tratta di omissione di articoli determinativi il che
comporta l’uso di preposizioni semplici al posto di quelle articolate. Un esempio è
“passaggio di liquido ascitico in cavità pleuritica”(Serianni 2005:133). Anche in
questo caso il termine cavità è anticipato dalla sola preposizione semplice in, che
sostituisce la preposizione articolata nella. Un altro caso in cui l’articolo non
viene espresso è il seguente (Serianni 2005:133),
con alcuni nomi trattati alla stregua di nomi propri e precisamente: a) nomi latini
di batteri, virus e altri microrganismi con i relativi derivati italiani (per esempio
streptomicina, dal nome del genere Streptomyces); b) nomi registrati di
medicinali (con qualche oscillazione).
Altri esempi contribuiscono a chiarire il concetto (Serianni 2005:134):
a) “è necessario escludere una concomitante infezione da Treponema pallidum”;
b) “Supradyn va assunto in dose di una compressa […] al giorno”.
A caratterizzare il linguaggio medico concorrono anche alcuni tecnicismi
collaterali collegati all’uso di preposizioni e locuzioni preposizionali, e così
classificati (Serianni 2005:135):
 a con valore modale, in luogo di altre preposizioni come di, da, con: eventi clinici
a carattere aterosclerotico;
 da con valore causale invece di ‘causato da’, ‘dovuto a’: dermatiti da contatto;
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 a carico di, seguito dal nome del distretto anatomico colpito o della funzione
compromessa: tra le malformazioni a carico dell’anca la più diffusa è la
lussazione congenita;
 a livello, seguito da di/del + nome del distretto anatomico o dal corrispondente
aggettivo di relazione: il ferro alimentare viene assorbito in larga parte a livello
del duodeno;
 in presenza di, col valore di un semplice con, ma con l’intento di sottolineare una
certa evenienza di interesse patologico[…]: in presenza di un esantema andrà
sempre eseguito un attento esame delle mucose;
 in assenza di ‘senza’, locuzione speculare alla precedente: gravi ostacoli alle
arterie coronarie in assenza di manifestazioni anginose o elettrocardiografiche.
Per concludere, prendiamo in esame l’ultima tipologia di tecnicismi collaterali,
ovvero i tecnicismi collaterali lessicali. Essi sono i più numerosi e possono essere
così classificati (cfr. Serianni 2005:140):
 nomi generali: termini “di estrema latitudine semantica”, come danno,
fatto, fenomeno; es. Dosi elevate possono determinare danni a carico del
sangue;
 sinonimi di registro più elevato rispetto a forme della lingua comune: es.
esordio/inizio, inibire/impedire, pregresso/precedente;
 scarti semantici: sono parole che generalmente si riferiscono a soggetti
umani ma che in questo caso vengono adoperate in riferimento ad enti
inanimati, es. difetto/mancanza, carenza; oppure sono parole che cambiano
la connotazione, “da positiva a non marcata”, es. apprezzare/riscontrare.
4.1. Influenze dalle altre lingue
Nel corso dei secoli, il linguaggio medico è stato influenzato da diverse lingue,
che hanno lasciato un segno nel lessico della medicina. Queste lingue sono il
greco, il latino, l’arabo, il francese e l’inglese. Seguendo un percorso cronologico,
il greco è stata la prima lingua che ha contribuito alla formazione del linguaggio
medico. Testimonianze, seppur in numero ridotto, di termini greci nell’italiano
medico, si hanno sin dal Medioevo (cfr. Serianni 2005:168). Si tratta di termini
come alopecia, clistere e collirio, presenti in documenti del Trecento. Secondo
Serianni, “nei primi secoli il tramite fondamentale per l’ingresso di grecismi in
31
italiano è costituito dai volgarizzamenti dei testi latini”, anche se “è pur vero che
in molti casi il traduttore interviene con perifrasi o sostituzioni che non
permettono al grecismo di radicarsi” (2005:169). Il linguista fornisce poi alcuni
esempi per sostenere quanto detto, quali aneurisma, colon, perithoneo. Risale,
invece, al Settecento la formazione moderna di grecismi medici (cfr. Serianni
2005:169). Questo avviene tramite derivazione di termini del greco classico, ad
esempio il prefisso flebo- che “ha dato vita a numerosi altri termini di formazione
moderna da flebite a fleboclisi” (Serianni 2005:170).
Dopo il greco, la lingua antica che ha segnato il lessico medico è il latino, anche
se i Romani non produssero testi medici ma ne tradussero una gran quantità dal
greco. In tali traduzioni compaiono “forme greche adattate morfologicamente al
latino e non, calchi semantici, ed anche una certa terminologia indigena [...]”
(Serianni 2005:170). Alcuni esempi si ritrovano nei termini occhio, cuore,
polmone. Quanto alla pronuncia, ovvero se sia opportuno seguire quella greca o
quella latina, Serianni seguente prevede i seguenti casi (2005:174):




convergenza tra accentazione latina e greca, es. paralisi, lat. paràlysis, gr.
parálysis;
casi di divergenza in cui ha prevalso l’accentazione alla latina, es. artrosi, lat.
arthròsis, gr. árthrōsis;
casi di divergenza in cui ha prevalso l’accentazione alla greca, es. colera, lat.
chòlera, gr. choléra e tutta la serie dei suffisati in –ia, come glicemìa,
cardiologìa, ecc... ;
casi di divergenza in cui nessuna delle due accentazioni prevale nettamente, es.
molti tecnicismi in –osi, anastomòsi dal lat. anastomòsis / anastòmosi dal gr.
anastómōsis.
Fino all’età umanistica, anche la lingua araba ha un ruolo nel linguaggio medico. I
medici arabi hanno contribuito al rinnovamento della medicina nel basso
Medioevo (cfr. Serianni 2005:176) e gli arabismi che sono sopravvissuti fino ad
oggi, anche se pochi, appartengono per lo più all’anatomia: è il caso di nuca, o dei
calchi pia madre, dura madre e vena safena.
Per quanto riguarda il francese, Serianni afferma che (2005:180),
l’influsso francese nella lingua medica italiana è di proporzioni ingenti, ma
difficilmente precisabile in assenza di studi. La gran parte dei francesismi medici
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rientra infatti nella categoria degli xeno-latinismi o xeno-grecismi: tecnicismi
foggiati con materiale latino o greco che avrebbero potuto essere diffusi da
qualsiasi altra lingua romanza.
Parole di origine francese sono tabagismo da tabagie (fumeria) e mentoniero
(relativo al mento) da menton (cfr. Serianni 2005:180). È da citare la presenza di
prestiti non adattati, tra i quali il più antico e conosciuto è bisturi (cfr. Serianni
2005:180).
Infine, la lingua che ha esercitato ed esercita tutt’ora grande influenza sulla lingua
medica italiana è la lingua inglese. Secondo Serianni si possono distinguere
cinque categorie di anglicismi, ovvero (2005:186):





generici o occasionali, spesso possibili anche al di fuori della lingua medica, e
tendenzialmente sostituibili con termini italiani: screening della popolazione,
indagine, esame;
relativi alla patologia, tra cui alcuni radicati nell’uso da tempo: shock emorragico;
relativi alla chirurgia: bypass, shunt/raccordi;
relativi alla diagnostica: breath-test, follow-up;
di ambito biologico: teoria dell’undefilling, scarso riempimento.
4.2. La formazione delle parole
Nel linguaggio medico composizione e derivazione vengono spesso utilizzate
nella formazione delle parole. In linguistica “la composizione è la combinazione
di due elementi liberi”(Serianni 2005:195). Tale principio applicato alla lingua
medica risulta nella combinazione di due o più termini latini o greci. Un esempio
è il termine gastroenterologia, composto dalle parole greche, gaster/stomaco,
enteron/intestino e logos/discorso. La derivazione, invece, è “la combinazione di
un elemento libero, cioè adoperabile anche come parola autonoma e di un affisso
(prefisso o suffisso), cioè di un elemento che non può essere usato da solo”
(Serianni 2005:195). Nel linguaggio medico i suffissi tipici sono –ite, -osi e –oma,
e si riferiscono in particolar modo alla patologia.
Il suffisso –ite, indica un processo infiammatorio che colpisce l’organo alla base;
es. bronchite: infiammazione dei bronchi. Il suffisso –osi indica un’affezione non
infiammatoria spesso a carattere degenerativo. Si contrappone a –ite, con il quale
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a volte, forma delle coppie come artrite/artrosi. Inoltre –osi svolge in molti casi la
funzione di iperonimo per riferirsi ad un gruppo di patologie con una caratteristica
comune. Un esempio è avitaminosi, ovvero, un insieme di disturbi contraddistinti
dall’assenza di vitamine.
Infine,–oma è il suffisso che indica i tumori: la base della parola, cioè la radice,
può indicare il distretto anatomico colpito. Tuttavia questo suffisso può anche
riferirsi a patologie di altro tipo, come in granuloma o ematoma, in cui sta
significare “lesione occupante spazio”(Serianni 2005:202).
Una spiegazione a parte merita il suffisso –ismo, i cui derivati “si lasciano
ricondurre a tre tipologie fondamentali” (Serianni 2005:203). Nella prima
tipologia la base “può indicare l’elemento esterno responsabile di una certa
patologia” (Serianni 2005:203), es. botulino/botulismo, alcol/alcolismo, ecc... .
Nella seconda tipologia, la base può indicare “la patologia stessa, talvolta con
valore
iperonimico”
(Serianni
2005:203),
es.
adenoide/adenoidismo,
sonnambulo/sonnambulismo, ecc... . La terza tipologia ricorre all’introduzione di
prefissi come iper-o ipo- nella base, es. ipertiroidismo, ipotiroidismo, ecc... .
Altra caratteristica tipica del linguaggio medico è il suppletivismo. In linguistica il
suppletivismo è “un fenomeno per cui, nell'ambito di uno stesso paradigma, le
diverse forme derivano da radici diverse” (Beccaria 2004:314). Nella lingua
medica si incontra il suppletivismo sin dai tempi di Vesalio (XVI secol):
l’intervento del noto anatomista e medico fiammingo in ambito anatomico, ha
avuto come conseguenza una presenza rilevante di termini latini in anatomia,
mentre nel lessico patologico prevale la lingua greca. Un caso tipico di
suppletivismo “è rappresentato dal paradigma costituito da una base nominale (di
trafila popolare) e un aggettivo di relazione di trafila dotta tratto dal latino o, più
spesso dal greco” (Serianni 2005:204). Esempi sono ciglio/ciliare; fegato/epatico,
tosse/bechico, ecc... .
In ultima analisi, si prendono in considerazione gli eponimi e gli acronimi.
Gli eponimi sono denominazioni di una malattia, di uno strumento o di un organo
che fanno riferimento al nome dello scienziato che li ha studiati o scoperti. (cfr.
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Serianni
2005:211). Ad esempio morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer,
sindrome di Capgras, ecc... . Alcuni eponimi derivano anche dalla letteratura o
dalla mitologia. E’ il caso di tendine di Achille, sindrome di Pickwick o
bovarismo.
Queste denominazioni sono state spesso criticate a causa dell’opacità provocata
dal nome proprio che impedisce di dedurne il significato in mancanza di una
conoscenza specifica. A tale caratteristica si aggiunge poi “la chiusura iniziatica
della corporazione medica rispetto all’esterno” intenzionata a non turbare il
paziente con un’eccessiva trasparenza sulla patologia (Serianni 2005:210).
L’acronimo, infine, è formato dalle lettere iniziali di parole, frasi o definizioni.
concentrazione Tale uso è frequente nei referti, ovvero nei “testi scritti da un
medico e idealmente destinati ad altri specialisti” (Serianni 2005:213). Un
esempio di acronimo è TAC, tomografia assiale computerizzata, tra l’altro anche
calco dall’inglese CAT, computerized axial tomography. Data la derivazione
dall’inglese, “solo in minima parte gli acronimi riferiti alla medicina come scienza
e pratica clinica riproducono l’ordine delle parole dell’italiano” (Serianni
2005:214). Tra i rari esempi abbiamo VES, velocità di eritrosedimentazione o
ECG elettrocardiogramma, ma nella maggior parte dei casi si preferisce l’ordine
inglese come nel caso di AIDS, invece che SIDA (usato invece nel francese).
4.3. Lo stile
Lo stile del linguaggio medico rispecchia le caratteristiche di qualsiasi altro
linguaggio specialistico (vedi 3.1.1.), pur presentando alcune sue peculiarità.
L’uso dello stile nominale è frequente, e si manifesta nei seguenti modi (cfr.
Serianni 2005:255):
 frasi nominali, ovvero senza la presenza di un verbo di modo finito, es.
azione cardiaca ritmica tachicardica, non edemi declivi;
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 nome come concentrato di carica informativa, al verbo è invece “affidato il
compito di un semplice vettore sintattico, semanticamente generico”, es.
sono stati riportati alcuni disturbi gastro-intestinali;
 riduzione dei parametri morfologici verbali (modo, tempo, persona)
effettivamente adoperati e adoperabili, es. possono insorgere, raramente,
superinfezioni da batteri resistenti.
L’uso della diatesi passiva è un altro aspetto stilistico tipico. Per Serianni la
diatesi passiva (2005:257)
risponde allo scopo pragmatico di assicurare la progressione tema-rema,
realizzata da dislocazioni nella lingua parlata: la sicurezza del farmaco riguardo
a questo particolare settore non è stata ancora stabilita; ed è un modo per
garantire la cancellazione dell’agente, cioè la spersonalizzazione tipica del
discorso medico-scientifico (nella frase attiva, il soggetto implicito di hanno
sarebbe ovviamente “i medici, gli scienziati”).
Per quanto riguarda l’emotività, i testi medici mancano di emozioni o di pareri
soggettivi, anche se almeno fino a tutto l’Ottocento i medici introducevano il
proprio parere clinico con espressioni di circostanza, rammaricandosi dei fastidi di
un malato più o meno illustre. Nel linguaggio medico moderno, ciò che emerge,
invece, è la velatura eufemistica che permette al medico di non presentare
brutalmente al paziente una realtà sgradita, pur senza occultarla. Spesso la
velatura eufemistica si realizza con l’uso di acronimi come Ca o K per carcinoma,
di HD per Hodgkin Disease (cfr. Serianni 2005:263).
Le metafore e le similitudini sono due altri aspetti dello stile del linguaggio
medico. In epoche in cui non esisteva la diagnostica per immagini, il ricorso alla
metafora era il metodo più economico per comunicare nuove acquisizioni
descrittive, come per esempio muso di tinca. Ancora oggi, nei referti diagnostici si
possono incontrare metafore quali cuore a scarpa, lesioni polmonari a vetro
smerigliato, il che sottolinea come ci si avvalga ancora della figuralità. Anche le
cure per le malattie vengono rappresentate da metafore, del tipo lotta contro il
cancro, essere colpiti da ictus, debellare la febbre ecc... .
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La similitudine, invece, può essere classificata in base “al figurante evocato”, che
può riguardare (Serianni 2005:269),
a) l’ambito biologico e medico, familiare allo scrivente; b) il mondo
vegetale e animale che cade nell’esperienza quotidiana; c) immagini e
oggetti eterogenei di immediata evidenza.
In ultima istanza è doveroso accennare all’importanza dei nomi dei colori nel
linguaggio medico. Ve ne sono in grande varietà ed incidono sia in ambito
anatomico che patologico. In passato, era nell’analisi delle urine che si trovavano
la maggior parte dei colori, come : acqueo, verdiccio, citrino, ranciato, rossigno,
lionato, fuligginoso, rugginoso, nericcio. Serianni ha individuato sei gruppi di
aggettivi composti da colori, così schematizzandoli (2005:276):
 aggettivi semplici (rosso, verde, giallo) e alterati (rossiccio, verdastro,
giallognolo); a volte accompagnati da suffissi come –astro, -etto, iccio,
-igno, -ognolo;
 aggettivi doppi formati da due colori diversi, es. albo-cereo, bianco-bleu,
ecc...;
 aggettivi doppi formati da due colori in cui il primo indica un colore, il
secondo il chiaro-scuro o il lucente-opaco, es. bianco fosco, rosso carico,
rosso scuro, ecc...;
 aggettivi di relazione tratti da termini che indicano un referente
tipicamente dotato di un certo colore es. acqueo, amarantaceo, latteo,
ecc...;
 aggettivi di relazione tratti da termini di àmbito biologico, es. epatico che
sta per rosso bruno;
 sostantivi indicanti referenti dal colore caratteristico, richiamati come
termini di riferimento esemplari e universalmente noti, es. amaranto caffè,
cenere, ecc... .
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Da quanto finora detto, è possibile affermare la rilevanza degli aspetti lessicali nel
linguaggio medico, dominato da tecnicismi che sono la costante dei testi medici,
sia scritti che orali, e che variano in quantità e qualità a seconda della tipologia del
testo. Infine, la precisione terminologica e l’attenzione alla lingua sono due basi
portanti del linguaggio medico che chiunque gestisca professionalmente (dunque
anche come traduttore) questo tipologia testuale dovrà sempre avere come punto
di riferimento.
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