Testi commentati
 Norma e abitudini del parlato nello scritto dei semicolti
Miacara mollie, o Giaricevutto la tua Cara dezideratta Lettera Conmolto piacere a sentire che
godette la buona salutte e gozi e un simille di me stesso Cara mollie ti noto che lao ricevutta che
giero in lavoro per che alla dimenicha si lavora fino alla una dopopranzo e se ga la giornata intira
e vieni la posta e dice e qui Luigi D. e ti puoi in maginarti la mia Consolazione e dicevo a sabatto
di sera che vuol dire che mia mollie non scrivi e poi me gomeso a scrivere una cartolina e ti di
cho che non la o neanche im postata Mia Cara mollie tu me scrivi se mi acori qualche cosa e ti
dicho mi faria di bizogno un pera di brage e un gile e se lo podaria trovare un Capoto di sotto
man per ora qui non e tanto fredo. Mia Cara mollie quando che me gomesso alegere che tu me
spiegi delle mie fatiche della legria me go in gropatto il quore e sono rimasto con tento a sentire
che gavemo fatto più che lano scorso o poi ti di co pena mangiato me gomesso subito a scrivere
e i miei Compagni me diceva gigi andiamo a bevere la birra in bottel e i mi diceva ti puol essere
Con tento e mi dicevo ringrassi Idio e poi dalla Contentessa go bevudo 4 litri di bira.
Il testo rappresenta un brano da una lettera di un anonimo soldato istriano fatto prigioniero
dalle truppe austriache nel 1917 dopo l’offensiva austro-tedesca di Caporetto. Vi si notano
molte strutture che sono riconducibili al parlato, non solo dialettale, ma anche italiano, sebbene realizzato da uno scrivente di bassa cultura che tenta di impiegare la lingua comune
innestandola su di un fondo rappresentato dalla lingua madre dialettale.
Oltre alla mancanza quasi completa di punteggiatura e al frequente ricorso al discorso
diretto non segnalato, gli aspetti più evidenti – ma in realtà più prevedibili in un testo semicolto – riguardano la grafia. Si ha un’errata divisione delle parole sia nel tipo univerbato
Miacara, giaricevutto ecc., sia nella scrizione analitica di in maginarti, in postata, della legria
ecc. Alcuni errori ortografici, tuttavia, testimoniano una certa influenza della norma codificata, per quanto recepita parzialmente e soltanto superficialmente: si notino per esempio
le molte grafie ipercorrettive, erroneamente ricostruite dallo scrivente in quanto assenti dal
dialetto materno e avvertite perciò come “più italiane”: salutte, simille, ricevutta, giornatta.
La volontà di fondo di esprimersi nella lingua normativa è testimoniata anche dalle corrette
realizzazioni di alcune parole, come neanche (invece del veneto e friulano gnanca).
La <h> è usata in modo irrazionale (assente in o ‘ho’ e lao ‘la ho’, brage ‘braghe’, spiegi ‘spieghi’, presente invece in dicho), mancano gli accenti (e ‘e’, gile ecc.), abbondano le
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Luca Serianni, Giuseppe Antonelli, Manuale di linguistica italiana – Bruno Mondadori © Pearson Italia S.p.A.
maiuscole (Giaricevutto, Cara, Conmolto, Consolazione, Capoto ecc., ma gigi). Da segnalare
anche le grafie quore ‘cuore’, bizogno (con <z> per s sonora) e mollie (in cui <lli> indica la
laterale palatale).
Sono riconducibili, invece, al dialetto la presenza di tratti genericamente settentrionali
come la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche (bevudo, podaria ‘potresti’), il
passaggio da -zz- a -ss- (ringrassi e Contentessa), la scrizione scempia di molte consonanti
intervocaliche, in conformità con la pronuncia settentrionale (Capoto, bira ecc.). Dialettismi di natura morfologica sono l’uso del pronome soggetto i ‘io’, la sovrapposizione della
2a persona verbale alla 3a in vieni la posta e mia mollie non scrivi, il condizionale del tipo
amare habebat (podaria, faria), impiego del rafforzato gavere per avere con concrezione
dell’elemento ghe ‘ci’, l’epitesi nella 3a persona del verbo potere in puol (parzialmente italianizzato dal dialettale pòl).
Nel lessico questa influenza del dialetto è particolarmente evidente, con l’inserzione
di espressioni come un pera di brage ‘un paio di braghe’ e di singole parole come bottel
‘bottiglia’.
A livello sintattico si notano infine alcune strutture di senso tipiche ancora oggi delle
realizzazioni parlate, regionali o poco controllate dell’italiano, come l’accordo con soggetto
plurale e verbo singolare: i miei Compagni me diceva.
Il testo è tratto da L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Boringhieri, Torino 1976, p. 69. Per
il commento cfr. G. Antonelli, Italiano degli umili, italiano dei potenti, in L. Serianni (a c. di), La lingua nella storia
d’Italia, Società Dante Alighieri - Libri Scheiwiller, Roma-Milano 2002, p. 556.
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Luca Serianni, Giuseppe Antonelli, Manuale di linguistica italiana – Bruno Mondadori © Pearson Italia S.p.A.