Individualità postmoderna e pensiero mediterraneo: Ossimoro e riconciliazione attraverso un approccio cultural-crossing Luca Massimiliano Visconti∗ Joan Miró – Nord-Sud, 1917 (Parigi, Galleria Adrien Maeght) ∗ Luca Massimiliano Visconti è PhD student presso l’Università Bocconi di Milano e Docente dell’Area Marketing della SDA Bocconi. Email: [email protected] E’ un giovane senza importanza collettiva, è soltanto un individuo (Louis-Ferdinand Celine – L’Eglise) 1. VERSO UNA DEFINIZIONE DI MARKETING MEDITERRANEO Il rapporto tra tradizione e innovazione, tra continuità e deriva, si pone come uno dei temi ancestrali per definizione. Già a partire dalla crescita psicologica umana, infatti, è possibile cogliere un duplice processo di sviluppo (Moscardino & Axia, 2001), che abbraccia la dimensione cognitiva (area psicomotoria, percezioni, pensiero, linguaggio) e quella socioaffettiva (personalità, affettività, comportamento sociale). La costruzione della personalità adulta passa quindi attraverso un processo di affermazione del sé in opposizione alla famiglia e, in tale prospettiva, alla “tradizione”. L’attaccamento, che è generalmente proposto in letteratura come un legame affettivo duraturo ed emotivamente profondo con la figura accudente (Bowlby, 1969), comporta una perdita fisiologica di questa figura a vantaggio della genesi di un’identità autonoma. Tale processo, infine, può approdare a una riconciliazione tra passato e propria identità, ricucendo la cesura temporaneamente venutasi a creare. Analogamente, per le scienze naturali e sociali sono numerose le attestazioni di questa lotta tra il nuovo e il vecchio, tra ciò che viene creato e ciò che va perduto. A titolo puramente esemplificativo, in fisica si deve a Einstein (1907) l’enunciazione del principio di conservazione della massa-energia, attraverso cui trova una formalizzazione il rapporto tra queste due dimensioni spesso contrapposte. In filosofia, Francesco Bacone (1620) formulò, in opposizione al preesistente metodo sillogistico aristotelico, il principio di una nuova scienza retto sulla base dell’induzione. Il metodo induttivo, per Bacone, si compone di una pars destruens, volta a liberare la mente da pregiudizi e falsi idoli (idola tribus, idola specus, idola fori, idola theatri), e una pars costruens che, basandosi su un’enumerazione sia dei casi di conferma sia di quelli di disconferma, può arrivare a produrre nuova conoscenza. Con un approccio del tutto analogo ma in ben altro contesto, molto più tardi lo stesso Schumpeter (1971) concepì l’innovazione come “distruzione creatrice”, sostenendo 2 che la generazione di nuove idee, soprattutto se radicali, può nascere dall’azzeramento delle conoscenze passate. Come si colloca il marketing all’interno di questa arena in cui configgono discontinuità e radicamento, innovazione e tradizione? In maniera del tutto analoga, anche per il marketing si va delineando una sempre maggiore insoddisfazione per una visione monolitica e “mainstream” della disciplina, al punto che da più fronti si sono alzati cori di dissenso e proposte di rinnovamento. Tra i maggiori attacchi all’approccio di stampo post-positivista anglosassassone, solo per citarne alcuni, possono ricordarsi lo sviluppo del marketing dei servizi (Grönroos, 1982, 1990; Lovelock, 1983; Normann, 1984), del marketing relazionale/di comunità (Cova & Cova, 2002; Kozinets, 1998; Micelli, 1997), del marketing esperienziale (Hirschman & Holbrook, 1982; Holbrook & Hirschman, 1982; Schmitt, 1999), del marketing postmoderno (Brown, 1995; Firat Fuat & Venkatesh, 1993; Holbrook, 1983). Questo spirito di rinnovamento, che ha portato alla fondazione di un “neo-marketing” (Badot & Cova, 1992), ha essenzialmente celebrato nuovi valori, tra cui ricordiamo il pluralismo, l’eclettismo, la riscoperta della tradizione quale fonte di stimoli autentici e originali. Esattamente con riferimento a quest’ultimo punto, la ritrovata importanza della tradizione lascia intravedere un’opportunità di sviluppo per un “marketing mediterraneo”, quale espressione di una via sud-europea alla disciplina di marketing. Cova (2004) ammette la possibilità di parlare di un pensiero meridiano (Cassano, 1996), e in particolare riconosce che la definizione di un marketing mediterraneo può seguire due percorsi tra loro antitetici: una definizione oppositiva, da intendersi come la formulazione di un pensiero mediterraneo in aperta critica e quale alternativa a un “sapere del Nord”, facilmente identificabile con il tradizionale approccio anglossassone di marketing (si rinvia alla tabella 1). Il concetto può essere riassunto con il termine “resistenza” (Aubenas & Benasayag, 2002, citati in Cova 2004: 4), sinonimo di “essere anti” sulla base della volontà di garantire pluralismo di pensiero e di metodo. Ma questo orientamento, che si lega alla nozione di pars destruens di baconiana memoria, non è quello da preferirsi o, per lo meno, non rappresenta il punto d’arrivo. “Nous ne nous intéressons pas ici aux mouvements qui se cristallisent sur une particularité 3 géographique pour dénoncer les abus de la mondialisation galopante et de la tyrannie du marché” (Cova, 2004: 3); una definizione propositiva, che rappresenta pertanto la pars costruens del ragionamento. Non si vuole negare la presenza di un lato critico e antagonista nel pensiero mediterraneo rispetto a quello atlantico. Piuttosto, s’intende andare oltre tale critica, proponendo nuovi valori e nuove idee, che si pongano a complemento di quel sapere consolidato ormai non più sufficiente a spiegare le profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche della nostra realtà. Il passo è simile a quello già compiuto all’interno del postmodernismo, che ha infatti saputo oltrepassare un postmodernismo “scettico”, in sé nichilista e paralizzante, per un postmodernismo “affermativo”, capace di aggiungere al dibattito scientifico un’autonoma proposta in termini di contenuti e stimoli. Tabella 1 – Valori del Nord e del Sud (Cassano, 1996; Cova, 2004) I valori del Nord (Atlantici) I valori del Sud (Mediterranei) Produttività Gioia, piacere d’esserci Attivismo Lentezza Propensione alla drammatizzazione Accettazione tragica Brutalità Rispetto Esistenza di assolutizzazioni Relativismo Presenza di un ordine imposto dall’esterno Ordine imposto dall’interno (pensare il sud Conoscenza di tipo normativo e prescrittivo Accoglimento della modernità e del progresso Metafora: l’oceano dal sud) Conoscenza speculativa (comprendere le cose per loro stesse e non per ciò che dovrebbero essere) Accoglimento della tradizione e resistenza al concetto di progresso Connettività e cabotaggio Metafora: il punto d’incontro tra mare (simbolo di modernità, positivismo, liberismo, sradicamento) e terra (simbolo di tradizione, oscurantismo, radicamento) Quali, dunque, le caratteristiche attribuibili a questo neo-nato marketing mediterraneo? Cassano (1996:3) parla esplicitamente di un pensiero del Sud, che definisce “pensiero 4 meridiano”, esprimendo così la volontà di “non pensare il sud alla luce della modernità ma al contrario pensare la modernità alla luce del sud”. In altri termini, ci s’interroga sul portato valoriale e sulle risorse che il Mediterraneo può mettere a disposizione della modernità, attingendo alle esperienze di vita del Sud e partendo dalla pura constatazione degli errori e dei limiti che la modernità stessa ha mostrato. Nell’esperienza meridiana sono da salvare e riscoprire: il vissuto del tempo, con i suoi rallentamenti funzionali e generatori di idee; lo spazio per forme di vita “altre”; la connettività, in quanto il Mediterraneo è, per l’autore, un mare che unisce le terre che vi si affacciano. Sulla base di ciò, Cova (2004) riprende questi valori fondativi della meridianità e li traspone alla base di un approccio di marketing nuovo, definito appunto “mediterraneo”. Tre sono le caratteristiche dominanti attribuite a questo nuovo sapere: il relativismo ben temperato, che si nutre del rifiuto per ogni universalismo, assolutismo e fondamentalismo. Applicativamente, ciò si traduce in un approccio multi-paradigmatico, sia sotto il profilo teorico sia metodologico, realizzando l’anarchismo epistemologico distillato nel principio “dell’anything goes” di Feyerabend (1975); la rivalorizzazione del Mediterraneo come risorsa per la modernità. Se il sapere del Sud non si legge più come uno stadio evolutivo precedente rispetto alla modernità (visone evoluzionista del sapere), diviene possibile apprezzarne appieno la ricchezza, fatta di valori quali l’immaginazione, la libertà, la creatività. In termini di marketing questo comporta il superamento di una visione individualistica e isolata del consumatore, per aprire le porte a una lettura del consumo all’interno di un reticolo dinamico di relazioni. Gli aspetti relazionali, emozionali, non strettamente utilitaristici (o diversamente utilitaristici) del consumo conducono così a un marketing centrato sulla società, più che sul singolo attore, e battezzato “societing” (Badot & Cova, 1992; Cova, 2003); il senso della misura, che trova geograficamente nel Mediterraneo una sua piena espressione. Il bacino mediterraneo, infatti, non propone né la stabilità e la fissità della terra né la smisurata forza dispersiva dell’oceano. E’ quindi una sintesi di cambiamento e radicamento, di “sì” e “no”, di adesioni e di rifiuti. Citando ancora Cassano (1996:21), “il luogo nel quale è (ed è stato) possibile dire nel modo più puro un sì al mondo è il Mediterraneo. E’ qui che si conserva il segreto della Misura, di 5 quell’accordo tra uomo e natura che si raccoglie nei miti e negli dèi greci, nell’architettura e nella tradizione classica. Il pensiero non è indipendente dal mondo in cui nasce, dalla luce e dalle ombre che trova e il pensiero meridiano è quello che ha conosciuto il sole che si interseca al mare, l’amore per la bellezza, la forza e la sofferenza degli eroi, il loro essere insieme sfida al cosmo e parte di esso”. Il senso della misura si ritrova anche nel rapporto con il tempo (Cova, 2004), che può finalmente subire un rallentamento quale antidoto alla saturazione e opportunità per il riposo e la modulazione dei ritmi sulle esigenze proprie della persona (Fabris, 2003; Finzi, 2002). In termini applicativi per il marketing, si tratta sia di saper cogliere le opportunità insite in tale rallentamento del consumo e della disposizione dei beni, sia di definire un ruolo “moderato” per il marketing, con il conseguente abbandono della presunzione che l’impresa possa giocare un ruolo onnipotente e totalmente condizionante all’interno del suo mercato. Ammettendo, a questo punto, la possibilità di parlare di un marketing mediterraneo, resta da chiedersi come sia definibile. Prima di tracciare una risposta, sembra opportuno richiamare alcuni problemi definitori che, allo stato dell’arte, risultano piuttosto delicati. In particolare, una definizione di marketing mediterraneo non è formulabile senza aver prima riflettuto su: il “locus” della mediterraneità. Un primo aspetto riguarda la ricerca delle radici della mediterraneità, dove la principale alternativa che si profila è tra una sua fondazione nel luogo geografico, il bacino mediterraneo appunto, piuttosto che nel sistema di valori evocati dal pensiero meridiano (si veda ancora la tabella 1). La questione è sottile ma rilevante, poiché la fondazione geografica attribuirebbe un’omogeneità di profilo a quanti - persone o imprese - sono cresciuti sulle sponde di questo mare. Al contrario, il radicamento nel corpus di valori consentirebbe di qualificare come “mediterraneo” qualsiasi pensiero o approccio di marketing coerente con tali principi, per quanto eventualmente espresso da persone o imprese operanti in altri contesti territoriali. Tale differenza rievoca il mai risolto dibattito sui presupposti della cittadinanza, che per alcuni Paesi vedono privilegiato il principio dello “ius soli” (è cittadino di un Paese chi lo sceglie e lo abita) e per altri invece quello dello “ius sanguinis” (si è cittadini del Paese in cui si è nati o, almeno, 6 in cui sono nati i propri ascendenti). E quindi, mediterranei si nasce o si sceglie di diventare? A nostro avviso, convince di più la tesi della mediterraneità come scelta, come mostrato, a titolo di esempio, dai modelli d’inclusione sociale degli immigrati proposti a livello internazionale. Se infatti si ammette che l’apertura alle diversità e il pluralismo sono valori fondativi del pensiero meridiano, si dovrà poi constatare che un Paese mediterraneo come la Francia ha proposto nei decenni un modello di accoglienza, denominato di “assimilazione”, connotato dall’obiettivo di acculturare gli stranieri al modello autoctono francese, pur a fronte di ampi riconoscimenti sul piano dei diritti. Al contrario, Paesi non mediterranei come l’Olanda, l’Inghilterra o il Canada hanno promosso modelli di “integrazione sociale” (melting pot), dove la creolizzazione delle culture e il pluralismo delle voci – tipici valori mediterranei hanno trovato una maggiore opportunità d’affermazione; l’eterogenietà mediterranea. A rinforzo di posizioni e argomentazioni del punto precedente, non si può inoltre trascurare il fatto che il bacino mediterraneo (dimensione territoriale) è come tale connotato da un’ampia varietà di culture, stili di vita, religioni, colori e profumi. Pertanto, una definizione di marketing mediterraneo fondata sull’oggettività della collocazione geografica soffrirebbe di un vizio interno, poiché dovrebbe proporsi con una coerenza intrinseca in realtà mancante. Al contrario, il Mediterraneo come “luogo delle idee” e come adesione etica può più facilmente trovare nel suo portato teorico quella coerenza e integrità necessarie sia per sostenere la critica di parzialità all’approccio dominante di marketing, sia per fornire una diversa e complementare chiave di lettura dei mercati; gli stereotipi. Il pensiero mediterraneo si propone, almeno negli assunti qui discussi, come un sapere che intende superare gli stereotipi e i pregiudizi costruiti nel corso dei decenni dall’approccio post-positivista anglosassone (superiorità della ragione, preferenza per gli aspetti misurabili e quantitativi, esistenza di una verità oggettiva, etica della tecnologia, etc.). Si intravede tuttavia all’orizzonte il rischio di uno scivolamento in nuove forme di stereotipi, se il pensiero mediterraneo venisse usato come un semplicistico strumento per tagliare in modo manicheo il mondo in bianco e nero, in giusto e sbagliato, in Nord e Sud. La tentazione, infatti, di ascrivere alla mediterraneità aspetti solo positivi, da opporre all’atlanticità, quale vessillo della 7 degenerazione, è un rischio possibile. Un limite da evitare. Ciò, per altro, aderisce alla formulazione di una definizione propositiva, e non oppositiva, di marketing mediterraneo, come già ricordato; rischio di un nuovo etnocentrismo del Sud. In continuità con la tentazione di arrivare a una visione manichea Nord/Sud, si può anche cogliere il rischio di giungere a un’esaltazione indistinta di tutto ciò che è mediterraneo, chiudendosi nuovamente in un approccio, pur diversamente, etnocentrico. Quali sono, ad oggi, le possibili accezioni di marketing mediterraneo? Al di là di quanto riscontrabile in letteratura, e già ricordato, è possibile intraprendere un altro percorso per dare risposta al quesito. In particolare, coerentemente con un approccio di costruttivismo sociale (Vygotsky, 1978), la verità è definibile come un discorso condiviso; bisogna quindi guardare ai luoghi d’incontro della collettività per comprendere quali siano i discorsi dominanti sulle cose. Di questi tempi, un “luogo” sicuramente tra i più frequentati è lo spazio virtuale aperto da Internet. Per valutare le diverse definizioni di marketing mediterraneo costruite socialmente si è quindi svolta una ricerca in Google (Italia, Francia e USA/UK), inserendo nelle tre lingue di riferimento (italiano, francese, inglese) l’esatta espressione “marketing mediterraneo”. Sulla base dei risultati della ricerca si è poi realizzata una content analysis della pagine trovate con Google. Contestualmente, le unità di analisi (parole chiave individuate nel testo) sono state rilevate per frequenza e categorizzate, in base a un criterio di similarità, conducendo all’identificazione di tre definizioni dominanti di marketing mediterraneo: 1. marketing mediterraneo come geomarketing. Una prima possibilità riguarda l’identificazione del marketing mediterraneo come quell’insieme di strumenti analitici e operativi volti alla promozione commerciale del bacino mediterraneo, che viene quindi letto come una distintiva area di business. Ciò è stato rilevato da parole chiave (unità di analisi) quali vacanze, viaggi, export, turismo, business e così via; 2. marketing mediterraneo come sinonimo di sviluppo equo e sostenibile. Una seconda e meno frequente modalità definitoria vede invece il marketing mediterraneo come espressione di un marketing territoriale e sociale, volto cioè a sostenere lo sviluppo più bilanciato ed equo dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo. Parole chiave, in 8 tal caso, sono state termini quali etica, responsabilità globale, sviluppo, CSR (Corporate Social Responsibility); 3. marketing mediterraneo come identità mediterranea. Infine, dall’analisi empirica è emersa anche un’accezione più vicina a quella sinora discussa di marketing mediterraneo, fotografato infatti come un approccio teorico e pratico volto a creare e sostenere un senso di comunità, di appartenenza, di autenticità. Termini chiave sono stati perciò marketing tribale, comunità, autenticità, valori del mediterraneo. Da questa breve ricerca, sintetizzata in tabella 2, è possibile in primo luogo concludere che il concetto di marketing mediterraneo è ancora poco diffuso (solo 33 casi rilevanti raccolti) e che ha comunque natura polisemica. In termini percentuali, la definizione prevalente di marketing mediterraneo (66,7%) è quella legata alla promozione del business all’interno del bacino mediterraneo, seguita dalla definizione legata all’identità distintiva del pensiero meridiano (27,3%). Emergono differenze anche tra Paesi, dal momento che la Francia è completamente sbilanciata verso una definizione identitaria di marketing mediterraneo (100%), mentre i Paesi anglofoni sono dominati dall’interpretazione commerciale (89,5%). L’Italia presenta una situazione assolutamente bilanciata tra le due posizioni dominanti (45,5% in entrambi i casi), pur restando sempre residuale la definizione sociale (9%). Tabella 2 – Defizioni di marketing mediterraneo Geomarketing Sviluppo equo Idendità med. Key words Unità di analisi rilevate Google Francia www.google.fr 0 0% 0 0% 3 100% 3 100% Google Italia www.google.it 5 45,5% 1 9% 5 45,5% 11 100% Google UK/USA www.google.com 17 89,5% 1 5,25% 1 5,25% 19 100% “Marketing méditerranéen” Holiday, turism, typical products, hospitality, business in the Mediterranean, Mediterranean consultants, import, export, cultural turism, travel, viaggi, vacanze, turismo “Marketing mediterraneo” Global responsibility, CSR, ethics, Mediterranean women and business, Mediterranean family firms, responsabilità, sviluppo “Mediterranean marketing” Pénsée méridienne, Marketing méditerranéen, marketing tribale, valori del marketing mediterraneo, comunità, autentiticità 9 Totali per tipo di definzione 22 66,7% 2 6% 9 27,3% 33 100% 2. PERCHE’ RECUPERARE UNA DEFINIZIONE IDENTITARIA DI MARKETING MEDITERRANEO Al termine del paragrafo precedente si è giunti a tracciare tre possibili definizioni di marketing mediterraneo. Ai fini di selezionarne una cui dare specifica adesione, sembra opportuno fare riferimento ad alcune delle principali trasformazioni in atto a livello socioeconomico. Di conseguenza, la definizione che si mostrerà come più “sensibile” a raccogliere tali cambiamenti potrà essere di seguito utilizzata come “contenuto” per l’espressione “marketing mediterraneo”. Evidentemente, una sintesi esaustiva dei trend principali non è in questo contesto percorribile né auspicabile. Ciò nonostante, è ugualmente possibile identificare alcuni macro-filoni di crescente attenzione, tra cui si citano: l’impresa come meaning provider. Gli aspetti strettamente funzionali di prodotto vengono via via arricchiti da elementi nuovi ed esperienziali, capaci di attribuire un rinnovato e più ricco significato all’atto dell’acquisto/consumo/disposizione (Hirschman & Holbrook, 1982; Holbrook & Hirschman, 1982; Schmitt, 1999). L’impresa non è quindi più un puro solutore di problemi, ma un attore cui si chiede di costruire significati, sia in contesto business-to-consumer sia, in maniera crescente, persino in contesto business-to-business (Golfetto & Gibbert, 2004); il prodotto come linguaggio. Se l’impresa diviene un fornitore di significati, ciò comporta che il prodotto possa essere utilizzato dai consumatori per esprimere la loro identità e per comunicare con il mondo. “(…) Ciò che si scambia sul mercato è, solo apparentemente, rappresentato da prodotti. In realtà sono immagini, segni, messaggi. (…). Il consumo nelle sue più recenti teorizzazioni viene interpretato come linguaggio” (Fabris, 2003: 68). Si registra in tal senso il passaggio dal “cognitive consumer” al cosiddetto “communicative consumer”, passaggio attraverso cui il consumatore si riconosce come attore che utilizza il mercato quale palcoscenico e il prodotto come maschera per la rappresentazione quotidiana (Baudrillard, 1983; Brown, 1993); il consumo come tratto denotativo della nostra società. Bauman (1998), ad esempio, sostiene che le nostre società occidentali sono sempre meno fondate sul lavoro e sulle professioni, per passare a una loro costruzione a partire dai consumi. La 10 marginalità sociale, quindi, non è più spiegabile in base alle competenze e all’occupazione quanto piuttosto in funzione dei livelli e delle tipologie di consumo; l’urgenza di autenticità e la glocalizzazione. Il progressivo abbattimento delle antiche barriere spazio-temporali, forse con la conseguente creazione di nuove barriere, ha portato da alcuni anni alla ribalta il tema della globalizzazione, a volte descritta come era delle possibilità a volte indicata come fine dei particolarismi (Klein, 2001). A prescindere dalle prese di posizione sulla globalizzazione, non si può comunque evitare di notare che questa si è accompagnata a un crescente interesse per i localismi e per la conseguente riscoperta dell’autenticità. “La globalizzazione spinge al ripiegamento sul passato e sul localismo, invece di far sperare in un universalismo progressista” (Cova, 2003: 80). E ciò sembra avvenire attraverso percorsi spesso contrapposti. Con riguardo specifico al contesto delle migrazioni (figura 1), ad esempio, la ritrovata attenzione per la cultura locale è il risultato sia di posizioni oppositive rispetto all’alloctono, tali a volte da sfociare in fenomeni di xenofobia, sia di opposti percorsi di rispetto e valorizzazione delle culture “altre”, attraverso cui gli autoctoni riprendono coscienza anche della propria identità culturale (Visconti, 2004). Globalizzazione e localismo vanno quindi di pari passo, al punto da aver indotto la coniazione del neologismo “glocalizzazione”; Figura 1 – I processi di radicamento dei localismi Pressione dei flussi migratori Tutela delle identità culturali dei migranti Percezione dell’invasione Riscoperta della centralità del dato culturale Ostilità e paura Tutela dell’identità culturale locale e nazionale 11 il senso di appartenenza. Sempre in anni recenti si è venuta a creare una “via di mezzo” tra il modello individualista di stampo nord-americano e il modello collettivista di stampo sovietico. Si potrebbe parlare di “individualismo socializzato” o di “Io esteso”, per descrivere l’incontro tra l’individuo, che come tale rivendica la propria distintività, e il contesto (reale, virtuale, iperreale) di relazioni cui si riferisce e che dà senso alla medesima soggettività. Questo nuovo tribalismo (Cova & Cova, 2002) riconosce l’esistenza di esternalità sociali, e quindi l’uso dei beni di consumo per rafforzare ed esprimere i legami che ogni consumatore intrattiene con le diverse comunità; la centralità della variabile culturale. Rispetto alla comprensione di mercati e consumi è sempre più ampiamente ammessa la rilevanza esplicativa della cultura (Lachman, 1997; McCracken, 1988), soprattutto nella sua accezione di “identità culturale” (Massimini, Inghilleri, & Delle Fave, 1996). Comprendere la cultura, o le culture, cui ogni consumatore aderisce e che lo strutturano è il presupposto per dare un significato alle scelte di acquisto e ai processi di disposizione di prodotti e servizi. “Cultura e mente si compenetrano in modo tale che ogni comportamento è inevitabilmente culturale. Per questa ragione è futile decontestualizzare il comportamento nel tentativo di arrivare a degli universali invarianti [ossia uguali in tutte le culture], poiché gli esseri umani senza cultura sono inconcepibili” (Jahoda, 1992: 11). Quale, tra le definizioni proposte di marketing mediterraneo, sembra raccogliere meglio le sfide della post-modernità? L’accezione dominante, che identifica la mediterraneità con lo sfruttamento commerciale di quest’area territoriale, sembra poco adatta a raccogliere tale sfida, restando infatti ancorata a una visione funzionale e utilitarista del consumo. Al contrario, l’idea di un marketing mediterraneo come pensiero che incarna e promuove un’identità mediterranea rispecchia meglio i principi di autenticità, di appartenenza, di riscoperta dei localismi, e ammette esplicitamente la cultura in cui ha avuto origine il pensiero meridiano. Evidenziate le analogie tra pensiero mediterraneo e postmodernismo, resta a questo punto da interrogarsi sul grado di sovrapponibilità e integrabilità dei due approcci. 12 3. POSTMODERNISMO E MARKETING MEDITERRANEO: UN OSSIMORO? La comparazione tra postmodernismo e pensiero mediterraneo nasce, di fatto, dalla convergenza epistemologica dei due approcci, che si sostanzia nella condivisione di numerosi principi fondativi, tra cui: la contingenza e la diversità (Firat & Venkatesh, 1993); la centralità della cultura (Cassano, 1996; Firat & Venkatesh, 1995); il simbolismo, la soggettività e l’interpretazione dall’interno (Cassano, 1996; Firat, Dholakia, & Venkatesh, 1993; Podestà & Addis, 2004); il relativismo e la rinuncia all’oggettività (Brown, 1993; Cova, 2004; Podestà & Addis, 2004); la pluralità di approcci e il cabotaggio, come metafora dell’incontro tra gli estremi di terra e mare (Badot & Cova, 1992; Cassano, 1996; Firat & Shultz II, 1997). Già Cova (2004), del resto, ha posto sul tavolo la questione delle aree di compatibilità tra pensiero mediterraneo e postmoderno, comparando questi approcci sulla base dei tre principi costitutivi del pensiero meridiano (Cassano, 1996), già ricordati in precedenza (§1). Le conclusioni cui giunge, in sintesi, confermano una coerenza epistemologica su più punti, e nello specifico rispetto al cosiddetto “relativismo ben temperato” e alla “rivalorizzazione del Mediterraneo come risorsa per la modernità”, che infatti colgono sia l’abbandono di ogni sapere oggettivo sia il recupero di tradizione e senso di appartenenza quali eredità per il futuro. Allo stesso tempo, tuttavia, Cova ammette che postmodernismo e mediterraneità confliggono con riguardo al terzo caposaldo del pensiero meridiano, e quindi rispetto al “senso della misura”, che infatti nel postmodernismo non trova espressione e viene, al contrario, sostituito dal suo opposto, la mancanza di misura e l’iperrealtà. Questa conclusione è tanto più vera quanto più si fa riferimento alle posizioni esperienziali contigue al marketing postmoderno. A ben guardare, poi, postmodernismo e marketing mediterraneo sembrano trovare un ulteriore motivo di attrito, che riguarda il focus di queste discipline. Da una parte, il marketing mediterraneo, definito come identità mediterranea, enfatizza gli aspetti di condivisione di valori e tratti culturali, con l’effetto di promuovere una sorta di “oggettivazione” della cultura mediterranea. 13 Dall’altra, invece, il postmodernismo spinge l’acceleratore nella direzione della soggettività, della non ripetibilità, della frammentazione del sé (Brown, 1993; Firat & Schultz II, 1997). L’effetto è di rifuggire da ogni oggettivazione e, all’opposto, di promuovere l’idea di un’identità esclusiva e persino composita. Del resto, l’ipotesi di un “sé multiplo” ha radici profonde. All’interno degli studi di psicologia, ad esempio, già Freud introdusse la ripartizione tra “id, ego e superego”, ponendo una pietra miliare in tale direzione. Con riguardo poi alle discipline manageriali, Mead (1934) per primo parlò di un “parlamento dei sé”. In antropologia, Ochs & Capps (1996) hanno ulteriormente affermato che questo “self-world” è dinamico, a volte represso e alienato, e tale da includere sia sé attuali sia potenziali. Elster (1995), infine, mette a sistema la letteratura esistente sul tema del “multiple self”, offrendo, in primo luogo, un quadro integrato delle diverse posizioni teoriche (più o meno aperte a una visione pluralista del sé, più o meno propense a usare il costrutto del “sé multiplo” come semplice metafora esplicativa o, piuttosto, come struttura oggettiva della persona umana). Al contempo, lo stesso autore si interroga sugli aspetti più critici del sé multiplo, che si riferiscono alla definizione di un principio di partizione del sé, ai meccanismi di interazione tra i diversi sé (gerarchici, negoziali, paralleli), alla natura dei diversi sé (ontologica/oggettiva o metaforica). Si può quindi concludere che, se il marketing mediterraneo enfatizza la condivisione e l’oggettivazione culturale, il postmodernismo promuove invece l’individualità e la rielaborazione soggettiva degli stimoli culturali. Dimensione relazionale e appartenenza contro individualità e distintività. In entrambi i casi, comunque, la cultura è posta al centro dell’attenzione, ora osservata come qualcosa di omogeneo, denotativo e accomunante (marketing mediterraneo), ora esplorata nelle sue riverberazioni soggettive (postmodernismo). Del resto, la difficoltà a riconciliare questo punto di scontro tra approcci disciplinari è ulteriormente amplificata dalla mancanza di una visione unitaria e condivisa di cosa sia la “cultura”. Schein (1996) ammette che la cultura è un “concetto mancante”, nel senso che, al di là del frequente uso e abuso di tale termine, ancora non si è arrivati a darne una definizione unica e sistematica. In effetti, oltre alla numerosità degli oggetti di ricerca cui la cultura può essere attribuita (organizzazioni, nazioni, consumatori, singoli soggetti, gruppi di riferimento, etc.), possono inoltre rilevarsi almeno quattro diversi approcci definitori: 14 un approccio contenutistico. Rappresenta l’approccio tradizionale, in base a cui la cultura è definita rispetto a ciò che è, e quindi al suo contenuto (Sackman, 1992), di volta in volta letto come un sistema di ideologie (Harrison, 1972), un set coerente di credenze (Baker, 1980; Sapienza, 1985), un insieme di assunti di base (Phillips, 1984; Schein, 1985), un complesso di valori condivisi (Deal & Kennedy, 1982; Peters & Waterman, 1982), o la programmazione collettiva della mente umana (Hofstede, 1980); un approccio funzionale. Differentemente rispetto al più diffuso approccio contenutistico, la cultura può anche essere definita rispetto alle funzioni cui assolve. Secondo lo psicologo culturale Mantovani (1998), ad esempio, la cultura assumerebbe la funzione di mediazione (intesa come la possibilità di mettere in contatto il soggetto conoscitore con l’oggetto conoscibile), la funzione di conferimento di senso (già ben analizzata da Weick in contesti organizzativi, 1995) e la funzione di attribuzione di norme per orientare il comportamento (dimensione etica); un approccio residuale. Secondo una logica apofatica e negativa, la cultura può anche essere dipinta come una categoria residuale, precisando “cosa non è”. In tal caso, Firat & Venkatesh (1995) affermano che cultura è tutto ciò che non è natura, e quindi ciò che è costruito dagli uomini (scienza, arte, etica, etc.); un approccio multi-livello. In tal caso, come chiaramente illustrato da Ogden et al. (2004), risulta possibile identificare tre livelli di cultura, distinguendo la “cultura allargata” (dagli autori definita come “broader culture”, e quindi riassunta nella cultura nazionale), la “subcultura” (coincidente con il gruppo etnico di appartenenza) e la “microcultura” (relativa ai segmenti culturali ulteriormente rintracciabili all’interno di ogni subcultura). I diversi approcci definitori rievocano, per altro, lo scollamento qui descritto tra postmodernismo e marketing mediterraneo, dal momento che una definizione contenutistica risulta vicina a una logica di oggettivazione culturale (dimensione della condivisione), laddove un approccio multi-livello evidenzia invece le sfaccettature rilevabili all’interno del costrutto culturale (dimensione della varietà e della differenza). Pertanto, postmodernismo e marketing mediterraneo sono termini antitetici, e quindi rappresentano un ossimoro, o è possibile trovare un terreno di riconciliazione? 15 4. POSTMODERNISMO E MARKETING MEDITERRANEO: RICONCILIAZIONE NEL METODO Individualità postmoderna e oggettivazione culturale, distillata nei valori condivisi a livello di pensiero mediterraneo (tabella 1), inducono a riflettere sul rapporto persona-ambiente o, più propriamente, individuo-cultura collettiva. Qual è, infatti, la relazione che esiste tra cultura e soggetto? Due sono le possibili risposte: 1. l’opportunità culturale. In primo luogo, è necessario soffermarsi sulla dimensione esterna al soggetto, e quindi sulla cultura condivisa in un determinato contesto (geografico, organizzativo, extrasomatica” (Massimini, sociale). Si tratta Inghilleri, Delle della Fave, cosiddetta 1996), che “cultura rappresenta un’opportunità culturale poiché fornisce a ogni persona l’occasione di confrontarsi con precisi valori, norme, artefatti tipici di un luogo e di un tempo. Questa dimensione risulta per altro coerente con una definizione contenutistica di cultura e appare quindi in linea con la ricerca di una base comune, finalità che è stata attribuita al pensiero mediterraneo; 2. la metabolizzazione culturale. In aggiunta, e sempre in linea con gli assunti della psicologia culturale (Massimini, Inghilleri, Delle Fave, 1996), ogni soggetto, partendo dalla cultura extrasomatica, opera una selezione di elementi che progressivamente assimila a livello intrapsichico (“cultura intrasomatica”). Attraverso la costruzione del cosiddetto “reticolo culturale” (figura 2) si ha quindi una più chiara formalizzazione dell’identità della persona, anche nella sua specifica valenza di consumatore e di comunicatore di significati. In particolare, il costrutto del reticolo culturale ha il merito di conciliare le due dimensioni confliggenti del nostro discorso. Da una parte, infatti, la prospettiva socio-relazionale (oggettivazione di una cultura mediterranea) dà evidenza alla cultura extrasomatica e ammette esplicitamente la rilevanza del contesto in cui si vive e consuma, in linea per altro con il principio di societing già ricordato. Dall’altra, la prospettiva soggettiva (individualità postmoderna) introduce la consapevolezza che i percorsi di sviluppo personale, pur all’interno di un medesimo contesto socio-relazionale (cultura extrasomatica), non possono prescindere dalle specificità di ogni individuo, in termini di sue risorse, attitudini e tratti di personalità. Risulta così possibile far convivere un set di valori mediterranei comuni con una disposizione e un utilizzo personale degli stessi, 16 ricucendo lo strappo tra pensiero meridiano e postmodernismo, tra appartenenza a un’ideologia condivisa e unicità della persona. Figura 2 – Il reticolo culturale RETICOLO CULTURALE EXTRASOMATICO SELEZIONE PSICOLOGICA RETICOLO CULTURALE INTRASOMATICO Un’esemplificazione di come opera il meccanismo della selezione psicologica, e quindi di come interagiscono la cultura esterna e l’io culturale intrapsichico, è offerto dalla letteratura transculturale, che osserva i processi attraverso cui le persone, tipicamente i migranti, si confrontano con diverse culture. In tal caso, la cultura del Paese di origine è letta come cultura intrasomatica, poiché ormai assorbita e rielaborata, mentre la cultura del Paese ospite viene descritta come cultura extrasomatica, in quanto ancora nuova e sconosciuta. A rimarcare come di fronte a una medesima cultura esterna possano seguire differenti percorsi di suo utilizzo e metabolizzazione, in letteratura si giunge a identificare diversi percorsi soggettivi di appropriazione culturale e di creolizzazione (Devereux, 1975; Inghilleri, 2004; LaFramboise, Coleman, & Gerton, 1993). In dettaglio, si è soliti distinguere tra: acculturazione. In psicologia transculturale l’acculturazione è più restrittivamente definita come un processo, imposto dall’esterno, di sostituzione della cultura di origine con la nuova cultura. Gli effetti sono spesso patologici e negativi, comportando stress, perdita di autostima, marginalità sociale e persino disagio psichico; 17 assimilazione. In tal caso, l’assimilazione, se non differisce dall’acculturazione poiché entrambe sono connotate dalla sostituzione della cultura d’origine con una nuova, tuttavia se ne differenzia per grado di libertà. I processi di assimilazione culturale, per gli psicologi transculturali, sono infatti definiti come processi volontari originati dalla convinzione che la nuova cultura sia superiore o comunque preferibile rispetto a quella di origine; alternanza o bi-culturalismo. Si tratta della situazione più complessa in cui un soggetto riesce a combinare creativamente elementi delle due culture, scegliendo alternativamente, in funzione del momento e del contesto, tra l’una e l’altra. Solitamente è descritta come la strada per i veri processi d’integrazione e di multiculturalità; polarizzazione oppositiva. Si tratta tipicamente di una risposta patologica all’incontro con una nuova cultura, che porta infatti il soggetto a chiudersi di fronte al nuovo, restando radicato alla cultura d’origine (in tal senso, polarizzato). Applicando questo schema interpretativo al nostro oggetto di discussione, si può quindi riconoscere nel pensiero mediterraneo un corpus di valori, norme e convinzioni di fondo – in tal senso definibili come una cultura extrasomatica – di fronte a cui ogni individuo (consumatore, ricercatore, marketing manager, etc.) è libero di confrontarsi e operarne una selezione, trasferendo nella propria cultura interna, attraverso meccanismi di selezione psicologica, quegli elementi che appaiono di volta in volta più rilevanti. E’ evidente che la selezione sarà influenzata dalle proprie conoscenze pregresse (formazione, esperienza personale e/o professionale, passaparola, etc.) e da tratti distintivi (genetica, schemi cognitivi, tratti di personalità), con l’effetto di poter osservare diversi percorsi di accettazione di quella che potremmo chiamare “proposta culturale mediterranea”. Di conseguenza, davanti all’offerta di un marketing mediterraneo si potranno immaginare atteggiamenti di ostinata chiusura, vicini a stati di polarizzazione oppositiva, sino a forme di adesione libera e completa (acculturazione), piuttosto che volontaria ma parziale (alternanza). Difficile pensare, al momento, a contesti in cui la pressione sociale sia tale da indurre un’adesione completa ma forzata (assimilazione). 18 In sintesi, se sotto un profilo concettuale è stato riconciliato il paradosso, poiché il meccanismo di selezione psicologica consente di mantenere un equilibrio tra cultura mediterranea e percorsi soggettivi di sua appropriazione e metabolizzazione, resta tuttavia ancora da risolvere un’impasse metodologica. E’ infatti necessario supportare il ragionamento teorico con la proposta di un nuovo approccio metodologico, che verrà chiamato “cultural-crossing” per segnarne le differenze rispetto al filone egemone noto come “cross-cultural” (Hofstede, 1980). Gli studi cross-cultural, pur ammettendo la centralità del dato culturale, tendono poi a darne una lettura omogenea e stereotipica per ogni Paese o gruppo etnico di riferimento. In tal modo, l’approccio cross-cultural è essenzialmente di tipo comparativo, di volta in volta ricercando differenze tra presunte razze (bianchi e neri, Pratt, 1993), religioni (Hirschman, 1981; Wallendorf & Arnould, 1991), gruppi etnici intra-nazionali (Berry & Bennett, 1992; Laroche et al., 2003; Lee & Ro Um, 1992; Tavassoli, 1997), o Paesi (Anderson & Engledow, 1977; Green et al., 1983; Schmitt & Zhang, 1998; Spreng & Chiou, 2000; Tse, Belk, & Zhou, 1989). Un approccio cross-cultural, perciò, è coerente con la volontà di trovare all’interno di un preciso contesto (geografico, religioso, etnico) gli elementi di comunanza e condivisione. In tal senso, si può proporre come una metodologia coerente con la costruzione di una cultura mediterranea, cui tuttavia manca la capacità di valorizzare e cogliere le differenze intersoggettive. Un approccio cross-cultural, a questo punto, potrebbe risultare utile per contrapporre un pensiero del Sud a uno del Nord, ma non risulterebbe adatto per comprendere la varietà di posizioni interne al solo pensiero meridiano. In aggiunta a tale limite, che riporta al paradosso qui osservato tra oggettivazione mediterranea e soggettività postmoderna, agli studi cross-culturali sono stati contestati ulteriori (Lachman, 1997; Sagie & Elizur, 1998): limiti definitori. La cultura, e le sue dimensioni specifiche, non sono ancora state correttamente definite. Il fraintendimento tra concetti quali quelli di cultura, nazione ed etnia da una parte alimenta la difficoltà d’inquadramento del tema di ricerca e, dall’altra, rinforza l’ipotesi di omogeneità dei tratti culturali all’interno di una determinata nazione o gruppo etnico; limiti esplicativi. Poiché l’approccio cross-culturale è di tipo comparativo, di fatto si traduce nella ricerca, all’interno di diverse culture, di elementi di variazione nel 19 comportamento di una variabile oggetto di ricerca (ad esempio, il comportamento di consumo di un prodotto o l’esposizione a determinate fonti informative). Qualora si osservino delle differenze sistematiche di tale variabile dipendente (explanandum), se ne attribuirà la responsabilità alla diversa appartenenza culturale, usata quindi come variabile esplicativa (explanans). Secondo Lachman (1997), questo significa attribuire ex post alla cultura gli effetti di variazione osservati, ma non significa invece comprendere e studiare ex ante l’impatto diretto della cultura sulla variabile ricercata. Detto diversamente, le variazioni nell’explanandum potrebbero dipendere anche da altre variabili ben diverse dalla cultura. Ciò significa concludere che gli studi cross-culturali operano per attribuzioni ex post, piuttosto che per spiegazioni ex ante; limiti di misurazione. Le difficoltà definitorie e la complessità del costrutto “cultura” non ne facilitano l’operazionalizzazione e la sua conseguente misurabilità. Spesso, infatti, la cultura viene trattata come una categoria residuale, quando tutte le altre variabili sono state già definite e misurate; limiti nelle implicazioni manageriali. Stante la situazione descritta, gli studi crossculturali risulterebbero fragili nelle conclusioni che raggiungono, non fornendo solide basi per le implicazioni manageriali. A complemento del tradizionale framework cross-cultural, l’approccio che di seguito viene proposto potrebbe definirsi “cultural-crossing”. Gli assunti distintivi, riassunti in tabella 3, partono esattamente dalle rilevate manchevolezze concettuali ed esplicative della matrice cross-culturale, e si sostanziano quindi in: un principio di varietà, in luogo del precedente principio di omogeneità. Evidenziare la varietà significa sia osservare le microculture (Ogden et al., 2004), e quindi gli aspetti di differenza soggettiva che sono riscontrabili all’interno di uno stesso gruppo nazionale/etnico, sia le ulteriori differenze interne a ogni persona (il cosiddetto “sé multiplo”; Elster, 1995). Tale approccio risulta particolarmente adatto per l’inquadramento dei comportamenti di consumo, anche mediterranei, in una prospettiva simbolica ed espressiva (Baudrillard, 1983; Fabris, 2003); un principio di individualità, a integrazione della prospettiva “aggregata” (nazione, etnia, razza) presente nell’approccio cross-culturale. 20 Tabella 3 – Approccio cross-cultural e cultural crossing a confronto ARRPOCCIO CROSS-CULTURAL Nazione/Etnia/Razza Fuori dall’individuo Æ ciò che è condiviso all’interno della nazione/etnia/razza Omogeneità per nazione/etnia/razza Æ Cultura nazionale Possibilità di tracciare confine precisi (nazionali o etnici) ARRPOCCIO CULTURAL CROSSING Individuo Dentro all’individuo Æ disposizioni soggettive e metabolizzazione degli stimuli culturali Varietà per nazione/etnia Æ Cultura/e individuale/i Polverizzazione dei confini nazionali ed etnici VARIABILE ESPLICATIVA Cultura nazionale/etnica Ricostruzione creative e soggettiva dell’identità culturale individuale LOGICA Logica comparativa tra nazioni/etnie/razze Logica introspettiva UNITA’ DI ANALISI FOCUS ASSUNTI DI BASE ASSUNTO SULL’AMBIENTE TIPO DI METODO ADATTO DIMENSIONE TEMPORALE IMPLICAZIONI DI MARKETING Per lo più qualitativi (focus group, test proiettivi, storytelling, etnografia, etc.) Tipicamente studi diacronici (life stages) Stili individuali di consumo, che conducono a nuovi criteri di segmentazione basati sulle tipologie di ricostruzione identitaria e i life stages Quantitativi e qualitativi Tipicamente studi sincronici Stili nazionali/etnici di consumo Assumendo il punto di vista del singolo soggetto, quindi, il nuovo approccio culturalcrossing esprime, almeno negli intenti, la continua selezione di elementi culturali extrasomatici da parte dell’individuo, che pertanto risulta idealmente attraversare diverse culture. Utilizzare questa rinnovata chiave di lettura dei comportamenti umani e dei processi di consumo offre allora una serie di opportunità, sia per il marketing in generale sia per il marketing mediterraneo in particolare. Nel dettaglio: si consegue una più completa comprensione del funzionamento dei mercati in rapporto alla variabile culturale. In effetti, la visione cross-cultural e quella cultural-crossing, anziché essere tra loro antitetiche, risultano strumenti complementari di analisi dei mercati. Se non si può negare il ruolo centrale giocato dalla cultura esterna, che infatti è stata descritta come un’occasione culturale, allo stesso tempo non è verosimile assumere che tutti gli individui siano omogenei all’interno di una data cultura, richiedendo così un metodo più adatto a cogliere e valorizzare i fattori di distintività individuali; 21 si ricavano nuove opportunità di segmentazione della domanda. Se, ad oggi, la variabile culturale è stata usata come criterio di segmentazione solo sulla base delle differenze di etnia, razza o Paese di provenienza, la matrice cultural-crossing fa intravedere una nuova ipotesi. I consumatori, infatti, potrebbero essere più proficuamente distinti non tanto in base alla loro appartenenza etnica o geografica, ma in base alle differenze espresse rispetto ai processi di selezione e metabolizzazione culturale (alternanza, assimilazione, etc.). Ciò significherebbe fondare il presupposto della segmentazione non su variabili esterne alla persona (appunto l’etnia o la provenienza geografica), ma su variabili interne, quali i percorsi soggettivi di selezione psicologica e di costruzione del già citato reticolo culturale. Una simile fondazione appare più promettente sia sotto il profilo esplicativo dei comportamenti sia sul lato previsionale degli stessi; si creano nuove possibilità per il micromarketing e il marketing one-to-one. E’ da tempo risaputo che l’orientamento al cliente richiede una personalizzazione dell’offerta sulle caratteristiche del singolo consumatore (Lambin, 1998), oltre a un investimento sul versante relazionale. La logica cultural-crossing, che, come evidenziato, valorizza gli aspetti di unicità del singolo individuo (anche nel suo lato di consumatore), appare perciò particolarmente fertile rispetto a interventi in tale direzione; si offre una cornice metodologica per la riconciliazione tra marketing mediterraneo e postmodernismo. Se un approccio cross-cultural è idoneo a sostenere l’idea di un pensiero meridiano come sistema condiviso di valori del Sud, allo stesso tempo il postmodernismo richiede il rispetto per la soggettività, ampiamente ammessa all’interno di un framework cultural-crossing. Questo capitolo ha provato a offrire una definizione di marketing mediterraneo, partendo dai celebrati valori del Sud e tracciando diverse ipotesi definitorie sulla base delle posizioni espresse sul tema, tanto in ambito accademico quanto internamente al dibattito sociale. Accolta un’idea di marketing mediterraneo come pensiero promotore di un’identità meridiana (§1), si è cercato di verificarne la coerenza sia con le principali trasformazioni in atto nei mercati odierni (§2) sia con il pensiero postmoderno, di cui sembra condividere molteplici principi ispiratori (§3). A quest’ultimo riguardo è sembrato d’intravedere un 22 paradosso, derivante dall’enfasi posta sugli aspetti di oggettivazione culturale espressa dal marketing mediterraneo rispetto invece all’interesse per la soggettività, tipico del postmodernismo. Concettualmente tale strappo sembra superabile mediante il riconoscimento del principio di selezione psicologica, che sostanzia i processi soggettivi di appropriazione culturale, idiosincratici a ogni individuo. Inoltre, si è anche evidenziata la necessità di utilizzare il pensiero mediterraneo come metafora per un corpus di valori piuttosto che come un luogo geografico in senso stretto, richiamando infine ogni rifiuto per un etnocentrismo del Sud. Sotto il profilo metodologico, poi, si è provato a costruire una cornice più sistematica per questo pensiero, andando a integrare il tradizionale approccio cross-cultural con un neonato approccio cultural-crossing (§4). Aprirsi a un pensiero mediterraneo sembra possibile solo a partire dal riconoscimento della varietà e della pluralità quali principi di una nuova epistemologia, tratti per altro ben documentati anche all’interno di questo bacino geografico e culturale. “Il discorso sul Mediterraneo ha sofferto della sua stessa verbosità: i profumi e i colori; i venti e le onde; le spiagge sabbiose e le isole fortunate; le ragazze precocemente maturate e le vedove avvolte nel nero; i porti, le barche e i richiami delle coste sconosciute, le navigazioni, i naufragi e i racconti che si tramandano sulle une e sugli altri; l'arancio, il mirto e l'ulivo, le palme, i pini e i cipressi; lo sfarzo e la miseria; la realtà e l'illusione, la vita e il sogno” (Matvejevic, 1991: 20). 23 BIBLIOGRAFIA Anderson, R., Engledow, J. 1977. A Factor Analytic Comparison of U.S. and German Information Seekers. Journal of Consumer Research, 3 (marzo): 185-196. Aubenas, F., Benasayag, M. 2002. Résister c’est créer. 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