Individualità postmoderna e pensiero mediterraneo: Ossimoro e

Individualità postmoderna e pensiero mediterraneo:
Ossimoro e riconciliazione attraverso un approccio cultural-crossing
Luca Massimiliano Visconti∗
Joan Miró – Nord-Sud, 1917 (Parigi, Galleria Adrien Maeght)
∗
Luca Massimiliano Visconti è PhD student presso l’Università Bocconi di Milano e Docente dell’Area Marketing
della SDA Bocconi. Email: [email protected]
E’ un giovane senza importanza collettiva,
è soltanto un individuo
(Louis-Ferdinand Celine – L’Eglise)
1. VERSO UNA DEFINIZIONE DI MARKETING MEDITERRANEO
Il rapporto tra tradizione e innovazione, tra continuità e deriva, si pone come uno dei temi
ancestrali per definizione. Già a partire dalla crescita psicologica umana, infatti, è possibile
cogliere un duplice processo di sviluppo (Moscardino & Axia, 2001), che abbraccia la
dimensione cognitiva (area psicomotoria, percezioni, pensiero, linguaggio) e quella socioaffettiva (personalità, affettività, comportamento sociale). La costruzione della personalità
adulta passa quindi attraverso un processo di affermazione del sé in opposizione alla
famiglia e, in tale prospettiva, alla “tradizione”. L’attaccamento, che è generalmente
proposto in letteratura come un legame affettivo duraturo ed emotivamente profondo con
la figura accudente (Bowlby, 1969), comporta una perdita fisiologica di questa figura a
vantaggio della genesi di un’identità autonoma. Tale processo, infine, può approdare a una
riconciliazione tra passato e propria identità, ricucendo la cesura temporaneamente
venutasi a creare.
Analogamente, per le scienze naturali e sociali sono numerose le attestazioni di questa
lotta tra il nuovo e il vecchio, tra ciò che viene creato e ciò che va perduto. A titolo
puramente esemplificativo, in fisica si deve a Einstein (1907) l’enunciazione del principio di
conservazione della massa-energia, attraverso cui trova una formalizzazione il rapporto tra
queste due dimensioni spesso contrapposte. In filosofia, Francesco Bacone (1620) formulò,
in opposizione al preesistente metodo sillogistico aristotelico, il principio di una nuova
scienza retto sulla base dell’induzione. Il metodo induttivo, per Bacone, si compone di una
pars destruens, volta a liberare la mente da pregiudizi e falsi idoli (idola tribus, idola
specus, idola fori, idola theatri), e una pars costruens che, basandosi su un’enumerazione
sia dei casi di conferma sia di quelli di disconferma, può arrivare a produrre nuova
conoscenza. Con un approccio del tutto analogo ma in ben altro contesto, molto più tardi lo
stesso Schumpeter (1971) concepì l’innovazione come “distruzione creatrice”, sostenendo
2
che la generazione di nuove idee, soprattutto se radicali, può nascere dall’azzeramento
delle conoscenze passate.
Come si colloca il marketing all’interno di questa arena in cui configgono discontinuità e
radicamento, innovazione e tradizione? In maniera del tutto analoga, anche per il
marketing si va delineando una sempre maggiore insoddisfazione per una visione monolitica
e “mainstream” della disciplina, al punto che da più fronti si sono alzati cori di dissenso e
proposte di rinnovamento. Tra i maggiori attacchi all’approccio di stampo post-positivista
anglosassassone, solo per citarne alcuni, possono ricordarsi lo sviluppo del marketing dei
servizi
(Grönroos,
1982,
1990;
Lovelock,
1983;
Normann,
1984),
del
marketing
relazionale/di comunità (Cova & Cova, 2002; Kozinets, 1998; Micelli, 1997), del marketing
esperienziale (Hirschman & Holbrook, 1982; Holbrook & Hirschman, 1982; Schmitt, 1999),
del marketing postmoderno (Brown, 1995; Firat Fuat & Venkatesh, 1993; Holbrook, 1983).
Questo spirito di rinnovamento, che ha portato alla fondazione di un “neo-marketing”
(Badot & Cova, 1992), ha essenzialmente celebrato nuovi valori, tra cui ricordiamo il
pluralismo, l’eclettismo, la riscoperta della tradizione quale fonte di stimoli autentici e
originali. Esattamente con riferimento a quest’ultimo punto, la ritrovata importanza della
tradizione lascia intravedere un’opportunità di sviluppo per un “marketing mediterraneo”,
quale espressione di una via sud-europea alla disciplina di marketing.
Cova (2004) ammette la possibilità di parlare di un pensiero meridiano (Cassano, 1996), e in
particolare riconosce che la definizione di un marketing mediterraneo può seguire due
percorsi tra loro antitetici:
ƒ
una definizione oppositiva, da intendersi come la formulazione di un pensiero
mediterraneo in aperta critica e quale alternativa a un “sapere del Nord”,
facilmente identificabile con il tradizionale approccio anglossassone di marketing (si
rinvia alla tabella 1). Il concetto può essere riassunto con il termine “resistenza”
(Aubenas & Benasayag, 2002, citati in Cova 2004: 4), sinonimo di “essere anti” sulla
base della volontà di garantire pluralismo di pensiero e di metodo. Ma questo
orientamento, che si lega alla nozione di pars destruens di baconiana memoria, non
è quello da preferirsi o, per lo meno, non rappresenta il punto d’arrivo. “Nous ne
nous intéressons pas ici aux mouvements qui se cristallisent sur une particularité
3
géographique pour dénoncer les abus de la mondialisation galopante et de la
tyrannie du marché” (Cova, 2004: 3);
ƒ
una definizione propositiva, che rappresenta pertanto la pars costruens del
ragionamento. Non si vuole negare la presenza di un lato critico e antagonista nel
pensiero mediterraneo rispetto a quello atlantico. Piuttosto, s’intende andare oltre
tale critica, proponendo nuovi valori e nuove idee, che si pongano a complemento di
quel sapere consolidato ormai non più sufficiente a spiegare le profonde
trasformazioni sociali, culturali ed economiche della nostra realtà. Il passo è simile a
quello già compiuto all’interno del postmodernismo, che ha infatti saputo
oltrepassare un postmodernismo “scettico”, in sé nichilista e paralizzante, per un
postmodernismo “affermativo”, capace di aggiungere al dibattito scientifico
un’autonoma proposta in termini di contenuti e stimoli.
Tabella 1 – Valori del Nord e del Sud (Cassano, 1996; Cova, 2004)
I valori del Nord (Atlantici)
I valori del Sud (Mediterranei)
ƒ
Produttività
ƒ
Gioia, piacere d’esserci
ƒ
Attivismo
ƒ
Lentezza
ƒ
Propensione alla drammatizzazione
ƒ
Accettazione tragica
ƒ
Brutalità
ƒ
Rispetto
ƒ
Esistenza di assolutizzazioni
ƒ
Relativismo
ƒ
Presenza di un ordine imposto dall’esterno
ƒ
Ordine imposto dall’interno (pensare il sud
ƒ
Conoscenza di tipo normativo e prescrittivo
ƒ
Accoglimento della modernità e del progresso
ƒ
Metafora: l’oceano
dal sud)
ƒ
Conoscenza speculativa (comprendere le cose
per loro stesse e non per ciò che dovrebbero
essere)
ƒ
Accoglimento della tradizione e resistenza al
concetto di progresso
ƒ
Connettività e cabotaggio
ƒ
Metafora: il punto d’incontro tra mare
(simbolo di modernità, positivismo, liberismo,
sradicamento) e terra (simbolo di tradizione,
oscurantismo, radicamento)
Quali, dunque, le caratteristiche attribuibili a questo neo-nato marketing mediterraneo?
Cassano (1996:3) parla esplicitamente di un pensiero del Sud, che definisce “pensiero
4
meridiano”, esprimendo così la volontà di “non pensare il sud alla luce della modernità ma
al contrario pensare la modernità alla luce del sud”. In altri termini, ci s’interroga sul
portato valoriale e sulle risorse che il Mediterraneo può mettere a disposizione della
modernità, attingendo alle esperienze di vita del Sud e partendo dalla pura constatazione
degli errori e dei limiti che la modernità stessa ha mostrato. Nell’esperienza meridiana
sono da salvare e riscoprire: il vissuto del tempo, con i suoi rallentamenti funzionali e
generatori di idee; lo spazio per forme di vita “altre”; la connettività, in quanto il
Mediterraneo è, per l’autore, un mare che unisce le terre che vi si affacciano. Sulla base di
ciò, Cova (2004) riprende questi valori fondativi della meridianità e li traspone alla base di
un approccio di marketing nuovo, definito appunto “mediterraneo”. Tre sono le
caratteristiche dominanti attribuite a questo nuovo sapere:
ƒ
il relativismo ben temperato, che si nutre del rifiuto per ogni universalismo,
assolutismo e fondamentalismo. Applicativamente, ciò si traduce in un approccio
multi-paradigmatico, sia sotto il profilo teorico sia metodologico, realizzando
l’anarchismo epistemologico distillato nel principio “dell’anything goes” di
Feyerabend (1975);
ƒ
la rivalorizzazione del Mediterraneo come risorsa per la modernità. Se il sapere del
Sud non si legge più come uno stadio evolutivo precedente rispetto alla modernità
(visone evoluzionista del sapere), diviene possibile apprezzarne appieno la ricchezza,
fatta di valori quali l’immaginazione, la libertà, la creatività. In termini di marketing
questo comporta il superamento di una visione individualistica e isolata del
consumatore, per aprire le porte a una lettura del consumo all’interno di un reticolo
dinamico di relazioni. Gli aspetti relazionali, emozionali, non strettamente
utilitaristici (o diversamente utilitaristici) del consumo conducono così a un
marketing centrato sulla società, più che sul singolo attore, e battezzato “societing”
(Badot & Cova, 1992; Cova, 2003);
ƒ
il senso della misura, che trova geograficamente nel Mediterraneo una sua piena
espressione. Il bacino mediterraneo, infatti, non propone né la stabilità e la fissità
della terra né la smisurata forza dispersiva dell’oceano. E’ quindi una sintesi di
cambiamento e radicamento, di “sì” e “no”, di adesioni e di rifiuti. Citando ancora
Cassano (1996:21), “il luogo nel quale è (ed è stato) possibile dire nel modo più puro
un sì al mondo è il Mediterraneo. E’ qui che si conserva il segreto della Misura, di
5
quell’accordo tra uomo e natura che si raccoglie nei miti e negli dèi greci,
nell’architettura e nella tradizione classica. Il pensiero non è indipendente dal
mondo in cui nasce, dalla luce e dalle ombre che trova e il pensiero meridiano è
quello che ha conosciuto il sole che si interseca al mare, l’amore per la bellezza, la
forza e la sofferenza degli eroi, il loro essere insieme sfida al cosmo e parte di esso”.
Il senso della misura si ritrova anche nel rapporto con il tempo (Cova, 2004), che può
finalmente subire un rallentamento quale antidoto alla saturazione e opportunità per
il riposo e la modulazione dei ritmi sulle esigenze proprie della persona (Fabris,
2003; Finzi, 2002). In termini applicativi per il marketing, si tratta sia di saper
cogliere le opportunità insite in tale rallentamento del consumo e della disposizione
dei beni, sia di definire un ruolo “moderato” per il marketing, con il conseguente
abbandono della presunzione che l’impresa possa giocare un ruolo onnipotente e
totalmente condizionante all’interno del suo mercato.
Ammettendo, a questo punto, la possibilità di parlare di un marketing mediterraneo, resta
da chiedersi come sia definibile. Prima di tracciare una risposta, sembra opportuno
richiamare alcuni problemi definitori che, allo stato dell’arte, risultano piuttosto delicati.
In particolare, una definizione di marketing mediterraneo non è formulabile senza aver
prima riflettuto su:
ƒ
il “locus” della mediterraneità. Un primo aspetto riguarda la ricerca delle radici
della mediterraneità, dove la principale alternativa che si profila è tra una sua
fondazione nel luogo geografico, il bacino mediterraneo appunto, piuttosto che nel
sistema di valori evocati dal pensiero meridiano (si veda ancora la tabella 1). La
questione è sottile ma rilevante, poiché la fondazione geografica attribuirebbe
un’omogeneità di profilo a quanti - persone o imprese - sono cresciuti sulle sponde di
questo mare. Al contrario, il radicamento nel corpus di valori consentirebbe di
qualificare come “mediterraneo” qualsiasi pensiero o approccio di marketing
coerente con tali principi, per quanto eventualmente espresso da persone o imprese
operanti in altri contesti territoriali. Tale differenza rievoca il mai risolto dibattito
sui presupposti della cittadinanza, che per alcuni Paesi vedono privilegiato il
principio dello “ius soli” (è cittadino di un Paese chi lo sceglie e lo abita) e per altri
invece quello dello “ius sanguinis” (si è cittadini del Paese in cui si è nati o, almeno,
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in cui sono nati i propri ascendenti). E quindi, mediterranei si nasce o si sceglie di
diventare? A nostro avviso, convince di più la tesi della mediterraneità come scelta,
come mostrato, a titolo di esempio, dai modelli d’inclusione sociale degli immigrati
proposti a livello internazionale. Se infatti si ammette che l’apertura alle diversità e
il pluralismo sono valori fondativi del pensiero meridiano, si dovrà poi constatare che
un Paese mediterraneo come la Francia ha proposto nei decenni un modello di
accoglienza, denominato di “assimilazione”, connotato dall’obiettivo di acculturare
gli stranieri al modello autoctono francese, pur a fronte di ampi riconoscimenti sul
piano dei diritti. Al contrario, Paesi non mediterranei come l’Olanda, l’Inghilterra o
il Canada hanno promosso modelli di “integrazione sociale” (melting pot), dove la
creolizzazione delle culture e il pluralismo delle voci – tipici valori mediterranei hanno trovato una maggiore opportunità d’affermazione;
ƒ
l’eterogenietà mediterranea. A rinforzo di posizioni e argomentazioni del punto
precedente, non si può inoltre trascurare il fatto che il bacino mediterraneo
(dimensione territoriale) è come tale connotato da un’ampia varietà di culture, stili
di vita, religioni, colori e profumi. Pertanto, una definizione di marketing
mediterraneo fondata sull’oggettività della collocazione geografica soffrirebbe di un
vizio interno, poiché dovrebbe proporsi con una coerenza intrinseca in realtà
mancante. Al contrario, il Mediterraneo come “luogo delle idee” e come adesione
etica può più facilmente trovare nel suo portato teorico quella coerenza e integrità
necessarie sia per sostenere la critica di parzialità all’approccio dominante di
marketing, sia per fornire una diversa e complementare chiave di lettura dei
mercati;
ƒ
gli stereotipi. Il pensiero mediterraneo si propone, almeno negli assunti qui discussi,
come un sapere che intende superare gli stereotipi e i pregiudizi costruiti nel corso
dei decenni dall’approccio post-positivista anglosassone (superiorità della ragione,
preferenza per gli aspetti misurabili e quantitativi, esistenza di una verità oggettiva,
etica della tecnologia, etc.). Si intravede tuttavia all’orizzonte il rischio di uno
scivolamento in nuove forme di stereotipi, se il pensiero mediterraneo venisse usato
come un semplicistico strumento per tagliare in modo manicheo il mondo in bianco e
nero, in giusto e sbagliato, in Nord e Sud. La tentazione, infatti, di ascrivere alla
mediterraneità aspetti solo positivi, da opporre all’atlanticità, quale vessillo della
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degenerazione, è un rischio possibile. Un limite da evitare. Ciò, per altro, aderisce
alla formulazione di una definizione propositiva, e non oppositiva, di marketing
mediterraneo, come già ricordato;
ƒ
rischio di un nuovo etnocentrismo del Sud. In continuità con la tentazione di arrivare
a una visione manichea Nord/Sud, si può anche cogliere il rischio di giungere a
un’esaltazione indistinta di tutto ciò che è mediterraneo, chiudendosi nuovamente in
un approccio, pur diversamente, etnocentrico.
Quali sono, ad oggi, le possibili accezioni di marketing mediterraneo? Al di là di quanto
riscontrabile in letteratura, e già ricordato, è possibile intraprendere un altro percorso per
dare risposta al quesito. In particolare, coerentemente con un approccio di costruttivismo
sociale (Vygotsky, 1978), la verità è definibile come un discorso condiviso; bisogna quindi
guardare ai luoghi d’incontro della collettività per comprendere quali siano i discorsi
dominanti sulle cose. Di questi tempi, un “luogo” sicuramente tra i più frequentati è lo
spazio virtuale aperto da Internet. Per valutare le diverse definizioni di marketing
mediterraneo costruite socialmente si è quindi svolta una ricerca in Google (Italia, Francia
e USA/UK), inserendo nelle tre lingue di riferimento (italiano, francese, inglese) l’esatta
espressione “marketing mediterraneo”. Sulla base dei risultati della ricerca si è poi
realizzata una content analysis della pagine trovate con Google. Contestualmente, le unità
di analisi (parole chiave individuate nel testo) sono state rilevate per frequenza e
categorizzate, in base a un criterio di similarità, conducendo all’identificazione di tre
definizioni dominanti di marketing mediterraneo:
1. marketing mediterraneo come geomarketing. Una prima possibilità riguarda
l’identificazione del marketing mediterraneo come quell’insieme di strumenti
analitici e operativi volti alla promozione commerciale del bacino mediterraneo, che
viene quindi letto come una distintiva area di business. Ciò è stato rilevato da parole
chiave (unità di analisi) quali vacanze, viaggi, export, turismo, business e così via;
2. marketing mediterraneo come sinonimo di sviluppo equo e sostenibile. Una seconda
e meno frequente modalità definitoria vede invece il marketing mediterraneo come
espressione di un marketing territoriale e sociale, volto cioè a sostenere lo sviluppo
più bilanciato ed equo dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo. Parole chiave, in
8
tal caso, sono state termini quali etica, responsabilità globale, sviluppo, CSR
(Corporate Social Responsibility);
3. marketing mediterraneo come identità mediterranea. Infine, dall’analisi empirica è
emersa anche un’accezione più vicina a quella sinora discussa di marketing
mediterraneo, fotografato infatti come un approccio teorico e pratico volto a creare
e sostenere un senso di comunità, di appartenenza, di autenticità. Termini chiave
sono stati perciò marketing tribale, comunità, autenticità, valori del mediterraneo.
Da questa breve ricerca, sintetizzata in tabella 2, è possibile in primo luogo concludere che
il concetto di marketing mediterraneo è ancora poco diffuso (solo 33 casi rilevanti raccolti)
e che ha comunque natura polisemica. In termini percentuali, la definizione prevalente di
marketing mediterraneo (66,7%) è quella legata alla promozione del business all’interno del
bacino mediterraneo, seguita dalla definizione legata all’identità distintiva del pensiero
meridiano (27,3%). Emergono differenze anche tra Paesi, dal momento che la Francia è
completamente sbilanciata verso una definizione identitaria di marketing mediterraneo
(100%), mentre i Paesi anglofoni sono dominati dall’interpretazione commerciale (89,5%).
L’Italia presenta una situazione assolutamente bilanciata tra le due posizioni dominanti
(45,5% in entrambi i casi), pur restando sempre residuale la definizione sociale (9%).
Tabella 2 – Defizioni di marketing mediterraneo
Geomarketing
Sviluppo equo
Idendità med.
Key words
Unità di analisi
rilevate
Google Francia
www.google.fr
0
0%
0
0%
3
100%
3
100%
Google Italia
www.google.it
5
45,5%
1
9%
5
45,5%
11
100%
Google UK/USA
www.google.com
17
89,5%
1
5,25%
1
5,25%
19
100%
“Marketing
méditerranéen”
Holiday, turism,
typical products,
hospitality,
business in the
Mediterranean,
Mediterranean
consultants,
import, export,
cultural turism,
travel, viaggi,
vacanze, turismo
“Marketing
mediterraneo”
Global
responsibility, CSR,
ethics,
Mediterranean
women and
business,
Mediterranean
family firms,
responsabilità,
sviluppo
“Mediterranean
marketing”
Pénsée méridienne,
Marketing
méditerranéen,
marketing tribale,
valori del marketing
mediterraneo,
comunità,
autentiticità
9
Totali per tipo
di definzione
22
66,7%
2
6%
9
27,3%
33
100%
2. PERCHE’ RECUPERARE UNA DEFINIZIONE IDENTITARIA DI MARKETING MEDITERRANEO
Al termine del paragrafo precedente si è giunti a tracciare tre possibili definizioni di
marketing mediterraneo. Ai fini di selezionarne una cui dare specifica adesione, sembra
opportuno fare riferimento ad alcune delle principali trasformazioni in atto a livello socioeconomico. Di conseguenza, la definizione che si mostrerà come più “sensibile” a
raccogliere tali cambiamenti potrà essere di seguito utilizzata come “contenuto” per
l’espressione “marketing mediterraneo”.
Evidentemente, una sintesi esaustiva dei trend principali non è in questo contesto
percorribile né auspicabile. Ciò nonostante, è ugualmente possibile identificare alcuni
macro-filoni di crescente attenzione, tra cui si citano:
ƒ
l’impresa come meaning provider. Gli aspetti strettamente funzionali di prodotto
vengono via via arricchiti da elementi nuovi ed esperienziali, capaci di attribuire un
rinnovato
e
più
ricco
significato
all’atto
dell’acquisto/consumo/disposizione
(Hirschman & Holbrook, 1982; Holbrook & Hirschman, 1982; Schmitt, 1999).
L’impresa non è quindi più un puro solutore di problemi, ma un attore cui si chiede
di costruire significati, sia in contesto business-to-consumer sia, in maniera
crescente, persino in contesto business-to-business (Golfetto & Gibbert, 2004);
ƒ
il prodotto come linguaggio. Se l’impresa diviene un fornitore di significati, ciò
comporta che il prodotto possa essere utilizzato dai consumatori per esprimere la
loro identità e per comunicare con il mondo. “(…) Ciò che si scambia sul mercato è,
solo apparentemente, rappresentato da prodotti. In realtà sono immagini, segni,
messaggi. (…). Il consumo nelle sue più recenti teorizzazioni viene interpretato come
linguaggio” (Fabris, 2003: 68). Si registra in tal senso il passaggio dal “cognitive
consumer” al cosiddetto “communicative consumer”, passaggio attraverso cui il
consumatore si riconosce come attore che utilizza il mercato quale palcoscenico e il
prodotto come maschera per la rappresentazione quotidiana (Baudrillard, 1983;
Brown, 1993);
ƒ
il consumo come tratto denotativo della nostra società. Bauman (1998), ad esempio,
sostiene che le nostre società occidentali sono sempre meno fondate sul lavoro e
sulle professioni, per passare a una loro costruzione a partire dai consumi. La
10
marginalità sociale, quindi, non è più spiegabile in base alle competenze e
all’occupazione quanto piuttosto in funzione dei livelli e delle tipologie di consumo;
ƒ
l’urgenza di autenticità e la glocalizzazione. Il progressivo abbattimento delle
antiche barriere spazio-temporali, forse con la conseguente creazione di nuove
barriere, ha portato da alcuni anni alla ribalta il tema della globalizzazione, a volte
descritta come era delle possibilità a volte indicata come fine dei particolarismi
(Klein, 2001). A prescindere dalle prese di posizione sulla globalizzazione, non si può
comunque evitare di notare che questa si è accompagnata a un crescente interesse
per i localismi e per la conseguente riscoperta dell’autenticità. “La globalizzazione
spinge al ripiegamento sul passato e sul localismo, invece di far sperare in un
universalismo progressista” (Cova, 2003: 80). E ciò sembra avvenire attraverso
percorsi spesso contrapposti. Con riguardo specifico al contesto delle migrazioni
(figura 1), ad esempio, la ritrovata attenzione per la cultura locale è il risultato sia
di posizioni oppositive rispetto all’alloctono, tali a volte da sfociare in fenomeni di
xenofobia, sia di opposti percorsi di rispetto e valorizzazione delle culture “altre”,
attraverso cui gli autoctoni riprendono coscienza anche della propria identità
culturale (Visconti, 2004). Globalizzazione e localismo vanno quindi di pari passo, al
punto da aver indotto la coniazione del neologismo “glocalizzazione”;
Figura 1 – I processi di radicamento dei localismi
Pressione dei
flussi migratori
Tutela delle
identità culturali
dei migranti
Percezione
dell’invasione
Riscoperta della
centralità del dato
culturale
Ostilità e
paura
Tutela dell’identità
culturale locale
e nazionale
11
ƒ
il senso di appartenenza. Sempre in anni recenti si è venuta a creare una “via di
mezzo” tra il modello individualista di stampo nord-americano e il modello
collettivista di stampo sovietico. Si potrebbe parlare di “individualismo socializzato”
o di “Io esteso”, per descrivere l’incontro tra l’individuo, che come tale rivendica la
propria distintività, e il contesto (reale, virtuale, iperreale) di relazioni cui si
riferisce e che dà senso alla medesima soggettività. Questo nuovo tribalismo (Cova &
Cova, 2002) riconosce l’esistenza di esternalità sociali, e quindi l’uso dei beni di
consumo per rafforzare ed esprimere i legami che ogni consumatore intrattiene con
le diverse comunità;
ƒ
la centralità della variabile culturale. Rispetto alla comprensione di mercati e
consumi è sempre più ampiamente ammessa la rilevanza esplicativa della cultura
(Lachman, 1997; McCracken, 1988), soprattutto nella sua accezione di “identità
culturale” (Massimini, Inghilleri, & Delle Fave, 1996). Comprendere la cultura, o le
culture, cui ogni consumatore aderisce e che lo strutturano è il presupposto per dare
un significato alle scelte di acquisto e ai processi di disposizione di prodotti e servizi.
“Cultura e mente si compenetrano in modo tale che ogni comportamento è
inevitabilmente culturale. Per questa ragione è futile decontestualizzare il
comportamento nel tentativo di arrivare a degli universali invarianti [ossia uguali in
tutte le culture], poiché gli esseri umani senza cultura sono inconcepibili” (Jahoda,
1992: 11).
Quale, tra le definizioni proposte di marketing mediterraneo, sembra raccogliere meglio le
sfide della post-modernità? L’accezione dominante, che identifica la mediterraneità con lo
sfruttamento commerciale di quest’area territoriale, sembra poco adatta a raccogliere tale
sfida, restando infatti ancorata a una visione funzionale e utilitarista del consumo. Al
contrario, l’idea di un marketing mediterraneo come pensiero che incarna e promuove
un’identità mediterranea rispecchia meglio i principi di autenticità, di appartenenza, di
riscoperta dei localismi, e ammette esplicitamente la cultura in cui ha avuto origine il
pensiero meridiano. Evidenziate le analogie tra pensiero mediterraneo e postmodernismo,
resta a questo punto da interrogarsi sul grado di sovrapponibilità e integrabilità dei due
approcci.
12
3. POSTMODERNISMO E MARKETING MEDITERRANEO: UN OSSIMORO?
La comparazione tra postmodernismo e pensiero mediterraneo nasce, di fatto, dalla
convergenza epistemologica dei due approcci, che si sostanzia nella condivisione di
numerosi principi fondativi, tra cui: la contingenza e la diversità (Firat & Venkatesh, 1993);
la centralità della cultura (Cassano, 1996; Firat & Venkatesh, 1995); il simbolismo, la
soggettività e l’interpretazione dall’interno (Cassano, 1996; Firat, Dholakia, & Venkatesh,
1993; Podestà & Addis, 2004); il relativismo e la rinuncia all’oggettività (Brown, 1993;
Cova, 2004; Podestà & Addis, 2004); la pluralità di approcci e il cabotaggio, come metafora
dell’incontro tra gli estremi di terra e mare (Badot & Cova, 1992; Cassano, 1996; Firat &
Shultz II, 1997).
Già Cova (2004), del resto, ha posto sul tavolo la questione delle aree di compatibilità tra
pensiero mediterraneo e postmoderno, comparando questi approcci sulla base dei tre
principi costitutivi del pensiero meridiano (Cassano, 1996), già ricordati in precedenza (§1).
Le conclusioni cui giunge, in sintesi, confermano una coerenza epistemologica su più punti,
e nello specifico rispetto al cosiddetto “relativismo ben temperato” e alla “rivalorizzazione
del Mediterraneo come risorsa per la modernità”, che infatti colgono sia l’abbandono di
ogni sapere oggettivo sia il recupero di tradizione e senso di appartenenza quali eredità per
il futuro. Allo stesso tempo, tuttavia, Cova ammette che postmodernismo e mediterraneità
confliggono con riguardo al terzo caposaldo del pensiero meridiano, e quindi rispetto al
“senso della misura”, che infatti nel postmodernismo non trova espressione e viene, al
contrario, sostituito dal suo opposto, la mancanza di misura e l’iperrealtà. Questa
conclusione è tanto più vera quanto più si fa riferimento alle posizioni esperienziali
contigue al marketing postmoderno.
A ben guardare, poi, postmodernismo e marketing mediterraneo sembrano trovare un
ulteriore motivo di attrito, che riguarda il focus di queste discipline. Da una parte, il
marketing mediterraneo, definito come identità mediterranea, enfatizza gli aspetti di
condivisione di valori e tratti culturali, con l’effetto di promuovere una sorta di
“oggettivazione” della cultura mediterranea.
13
Dall’altra, invece, il
postmodernismo spinge l’acceleratore nella direzione della
soggettività, della non ripetibilità, della frammentazione del sé (Brown, 1993; Firat &
Schultz II, 1997). L’effetto è di rifuggire da ogni oggettivazione e, all’opposto, di
promuovere l’idea di un’identità esclusiva e persino composita. Del resto, l’ipotesi di un
“sé multiplo” ha radici profonde. All’interno degli studi di psicologia, ad esempio, già Freud
introdusse la ripartizione tra “id, ego e superego”, ponendo una pietra miliare in tale
direzione. Con riguardo poi alle discipline manageriali, Mead (1934) per primo parlò di un
“parlamento dei sé”. In antropologia, Ochs & Capps (1996) hanno ulteriormente affermato
che questo “self-world” è dinamico, a volte represso e alienato, e tale da includere sia sé
attuali sia potenziali. Elster (1995), infine, mette a sistema la letteratura esistente sul
tema del “multiple self”, offrendo, in primo luogo, un quadro integrato delle diverse
posizioni teoriche (più o meno aperte a una visione pluralista del sé, più o meno propense a
usare il costrutto del “sé multiplo” come semplice metafora esplicativa o, piuttosto, come
struttura oggettiva della persona umana). Al contempo, lo stesso autore si interroga sugli
aspetti più critici del sé multiplo, che si riferiscono alla definizione di un principio di
partizione del sé, ai meccanismi di interazione tra i diversi sé (gerarchici, negoziali,
paralleli), alla natura dei diversi sé (ontologica/oggettiva o metaforica).
Si può quindi concludere che, se il marketing mediterraneo enfatizza la condivisione e
l’oggettivazione culturale, il postmodernismo promuove invece l’individualità e la
rielaborazione soggettiva degli stimoli culturali. Dimensione relazionale e appartenenza
contro individualità e distintività. In entrambi i casi, comunque, la cultura è posta al centro
dell’attenzione, ora osservata come qualcosa di omogeneo, denotativo e accomunante
(marketing
mediterraneo),
ora
esplorata
nelle
sue
riverberazioni
soggettive
(postmodernismo). Del resto, la difficoltà a riconciliare questo punto di scontro tra
approcci disciplinari è ulteriormente amplificata dalla mancanza di una visione unitaria e
condivisa di cosa sia la “cultura”. Schein (1996) ammette che la cultura è un “concetto
mancante”, nel senso che, al di là del frequente uso e abuso di tale termine, ancora non si
è arrivati a darne una definizione unica e sistematica. In effetti, oltre alla numerosità degli
oggetti di ricerca cui la cultura può essere attribuita (organizzazioni, nazioni, consumatori,
singoli soggetti, gruppi di riferimento, etc.), possono inoltre rilevarsi almeno quattro diversi
approcci definitori:
14
ƒ
un approccio contenutistico. Rappresenta l’approccio tradizionale, in base a cui la
cultura è definita rispetto a ciò che è, e quindi al suo contenuto (Sackman, 1992), di
volta in volta letto come un sistema di ideologie (Harrison, 1972), un set coerente di
credenze (Baker, 1980; Sapienza, 1985), un insieme di assunti di base (Phillips, 1984;
Schein, 1985), un complesso di valori condivisi (Deal & Kennedy, 1982; Peters &
Waterman, 1982), o la programmazione collettiva della mente umana (Hofstede,
1980);
ƒ
un approccio funzionale. Differentemente rispetto al più diffuso approccio
contenutistico, la cultura può anche essere definita rispetto alle funzioni cui assolve.
Secondo lo psicologo culturale Mantovani (1998), ad esempio, la cultura assumerebbe
la funzione di mediazione (intesa come la possibilità di mettere in contatto il
soggetto conoscitore con l’oggetto conoscibile), la funzione di conferimento di senso
(già ben analizzata da Weick in contesti organizzativi, 1995) e la funzione di
attribuzione di norme per orientare il comportamento (dimensione etica);
ƒ
un approccio residuale. Secondo una logica apofatica e negativa, la cultura può
anche essere dipinta come una categoria residuale, precisando “cosa non è”. In tal
caso, Firat & Venkatesh (1995) affermano che cultura è tutto ciò che non è natura, e
quindi ciò che è costruito dagli uomini (scienza, arte, etica, etc.);
ƒ
un approccio multi-livello. In tal caso, come chiaramente illustrato da Ogden et al.
(2004), risulta possibile identificare tre livelli di cultura, distinguendo la “cultura
allargata” (dagli autori definita come “broader culture”, e quindi riassunta nella
cultura
nazionale),
la
“subcultura”
(coincidente
con
il
gruppo
etnico
di
appartenenza) e la “microcultura” (relativa ai segmenti culturali ulteriormente
rintracciabili all’interno di ogni subcultura).
I diversi approcci definitori rievocano, per altro, lo scollamento qui descritto tra
postmodernismo
e
marketing
mediterraneo,
dal
momento
che
una
definizione
contenutistica risulta vicina a una logica di oggettivazione culturale (dimensione della
condivisione), laddove un approccio multi-livello evidenzia invece le sfaccettature rilevabili
all’interno del costrutto culturale (dimensione della varietà e della differenza).
Pertanto, postmodernismo e marketing mediterraneo sono termini antitetici, e quindi
rappresentano un ossimoro, o è possibile trovare un terreno di riconciliazione?
15
4. POSTMODERNISMO E MARKETING MEDITERRANEO: RICONCILIAZIONE NEL METODO
Individualità postmoderna e oggettivazione culturale, distillata nei valori condivisi a livello
di pensiero mediterraneo (tabella 1), inducono a riflettere sul rapporto persona-ambiente
o, più propriamente, individuo-cultura collettiva. Qual è, infatti, la relazione che esiste tra
cultura e soggetto? Due sono le possibili risposte:
1. l’opportunità culturale. In primo luogo, è necessario soffermarsi sulla dimensione
esterna al soggetto, e quindi sulla cultura condivisa in un determinato contesto
(geografico,
organizzativo,
extrasomatica”
(Massimini,
sociale).
Si
tratta
Inghilleri,
Delle
della
Fave,
cosiddetta
1996),
che
“cultura
rappresenta
un’opportunità culturale poiché fornisce a ogni persona l’occasione di confrontarsi
con precisi valori, norme, artefatti tipici di un luogo e di un tempo. Questa
dimensione risulta per altro coerente con una definizione contenutistica di cultura e
appare quindi in linea con la ricerca di una base comune, finalità che è stata
attribuita al pensiero mediterraneo;
2. la metabolizzazione culturale. In aggiunta, e sempre in linea con gli assunti della
psicologia culturale (Massimini, Inghilleri, Delle Fave, 1996), ogni soggetto, partendo
dalla cultura extrasomatica, opera una selezione di elementi che progressivamente
assimila a livello intrapsichico (“cultura intrasomatica”). Attraverso la costruzione
del cosiddetto “reticolo culturale” (figura 2) si ha quindi una più chiara
formalizzazione dell’identità della persona, anche nella sua specifica valenza di
consumatore e di comunicatore di significati. In particolare, il costrutto del reticolo
culturale ha il merito di conciliare le due dimensioni confliggenti del nostro discorso.
Da una parte, infatti, la prospettiva socio-relazionale (oggettivazione di una cultura
mediterranea) dà evidenza alla cultura extrasomatica e ammette esplicitamente la
rilevanza del contesto in cui si vive e consuma, in linea per altro con il principio di
societing
già
ricordato.
Dall’altra,
la
prospettiva
soggettiva
(individualità
postmoderna) introduce la consapevolezza che i percorsi di sviluppo personale, pur
all’interno di un medesimo contesto socio-relazionale (cultura extrasomatica), non
possono prescindere dalle specificità di ogni individuo, in termini di sue risorse,
attitudini e tratti di personalità. Risulta così possibile far convivere un set di valori
mediterranei comuni con una disposizione e un utilizzo personale degli stessi,
16
ricucendo lo strappo tra pensiero meridiano e postmodernismo, tra appartenenza a
un’ideologia condivisa e unicità della persona.
Figura 2 – Il reticolo culturale
RETICOLO CULTURALE EXTRASOMATICO
SELEZIONE PSICOLOGICA
RETICOLO CULTURALE INTRASOMATICO
Un’esemplificazione di come opera il meccanismo della selezione psicologica, e quindi di
come interagiscono la cultura esterna e l’io culturale intrapsichico, è offerto dalla
letteratura transculturale, che osserva i processi attraverso cui le persone, tipicamente i
migranti, si confrontano con diverse culture. In tal caso, la cultura del Paese di origine è
letta come cultura intrasomatica, poiché ormai assorbita e rielaborata, mentre la cultura
del Paese ospite viene descritta come cultura extrasomatica, in quanto ancora nuova e
sconosciuta. A rimarcare come di fronte a una medesima cultura esterna possano seguire
differenti percorsi di suo utilizzo e metabolizzazione, in letteratura si giunge a identificare
diversi percorsi soggettivi di appropriazione culturale e di creolizzazione (Devereux, 1975;
Inghilleri, 2004; LaFramboise, Coleman, & Gerton, 1993). In dettaglio, si è soliti distinguere
tra:
ƒ
acculturazione. In psicologia transculturale l’acculturazione è più restrittivamente
definita come un processo, imposto dall’esterno, di sostituzione della cultura di
origine con la nuova cultura. Gli effetti sono spesso patologici e negativi,
comportando stress, perdita di autostima, marginalità sociale e persino disagio
psichico;
17
ƒ
assimilazione. In tal caso, l’assimilazione, se non differisce dall’acculturazione
poiché entrambe sono connotate dalla sostituzione della cultura d’origine con una
nuova, tuttavia se ne differenzia per grado di libertà. I processi di assimilazione
culturale, per gli psicologi transculturali, sono infatti definiti come processi volontari
originati dalla convinzione che la nuova cultura sia superiore o comunque preferibile
rispetto a quella di origine;
ƒ
alternanza o bi-culturalismo. Si tratta della situazione più complessa in cui un
soggetto riesce a combinare creativamente elementi delle due culture, scegliendo
alternativamente, in funzione del momento e del contesto, tra l’una e l’altra.
Solitamente è descritta come la strada per i veri processi d’integrazione e di
multiculturalità;
ƒ
polarizzazione oppositiva. Si tratta tipicamente di una risposta patologica
all’incontro con una nuova cultura, che porta infatti il soggetto a chiudersi di fronte
al nuovo, restando radicato alla cultura d’origine (in tal senso, polarizzato).
Applicando questo schema interpretativo al nostro oggetto di discussione, si può quindi
riconoscere nel pensiero mediterraneo un corpus di valori, norme e convinzioni di fondo – in
tal senso definibili come una cultura extrasomatica – di fronte a cui ogni individuo
(consumatore, ricercatore, marketing manager, etc.) è libero di confrontarsi e operarne
una selezione, trasferendo nella propria cultura interna, attraverso meccanismi di selezione
psicologica, quegli elementi che appaiono di volta in volta più rilevanti. E’ evidente che la
selezione sarà influenzata dalle proprie conoscenze pregresse (formazione, esperienza
personale e/o professionale, passaparola, etc.) e da tratti distintivi (genetica, schemi
cognitivi, tratti di personalità), con l’effetto di poter osservare diversi percorsi di
accettazione di quella che potremmo chiamare “proposta culturale mediterranea”. Di
conseguenza, davanti all’offerta di un marketing mediterraneo si potranno immaginare
atteggiamenti di ostinata chiusura, vicini a stati di polarizzazione oppositiva, sino a forme
di adesione libera e completa (acculturazione), piuttosto che volontaria ma parziale
(alternanza). Difficile pensare, al momento, a contesti in cui la pressione sociale sia tale da
indurre un’adesione completa ma forzata (assimilazione).
18
In sintesi, se sotto un profilo concettuale è stato riconciliato il paradosso, poiché il
meccanismo di selezione psicologica consente di mantenere un equilibrio tra cultura
mediterranea e percorsi soggettivi di sua appropriazione e metabolizzazione, resta tuttavia
ancora da risolvere un’impasse metodologica. E’ infatti necessario supportare il
ragionamento teorico con la proposta di un nuovo approccio metodologico, che verrà
chiamato “cultural-crossing” per segnarne le differenze rispetto al filone egemone noto
come “cross-cultural” (Hofstede, 1980). Gli studi cross-cultural, pur ammettendo la
centralità del dato culturale, tendono poi a darne una lettura omogenea e stereotipica per
ogni Paese o gruppo etnico di riferimento. In tal modo, l’approccio cross-cultural è
essenzialmente di tipo comparativo, di volta in volta ricercando differenze tra presunte
razze (bianchi e neri, Pratt, 1993), religioni (Hirschman, 1981; Wallendorf & Arnould,
1991), gruppi etnici intra-nazionali (Berry & Bennett, 1992; Laroche et al., 2003; Lee & Ro
Um, 1992; Tavassoli, 1997), o Paesi (Anderson & Engledow, 1977; Green et al., 1983;
Schmitt & Zhang, 1998; Spreng & Chiou, 2000; Tse, Belk, & Zhou, 1989). Un approccio
cross-cultural, perciò, è coerente con la volontà di trovare all’interno di un preciso
contesto (geografico, religioso, etnico) gli elementi di comunanza e condivisione. In tal
senso, si può proporre come una metodologia coerente con la costruzione di una cultura
mediterranea, cui tuttavia manca la capacità di valorizzare e cogliere le differenze
intersoggettive. Un approccio cross-cultural, a questo punto, potrebbe risultare utile per
contrapporre un pensiero del Sud a uno del Nord, ma non risulterebbe adatto per
comprendere la varietà di posizioni interne al solo pensiero meridiano.
In aggiunta a tale limite, che riporta al paradosso qui osservato tra oggettivazione
mediterranea e soggettività postmoderna, agli studi cross-culturali sono stati contestati
ulteriori (Lachman, 1997; Sagie & Elizur, 1998):
ƒ
limiti definitori. La cultura, e le sue dimensioni specifiche, non sono ancora state
correttamente definite. Il fraintendimento tra concetti quali quelli di cultura,
nazione ed etnia da una parte alimenta la difficoltà d’inquadramento del tema di
ricerca e, dall’altra, rinforza l’ipotesi di omogeneità dei tratti culturali all’interno di
una determinata nazione o gruppo etnico;
ƒ
limiti esplicativi. Poiché l’approccio cross-culturale è di tipo comparativo, di fatto si
traduce nella ricerca, all’interno di diverse culture, di elementi di variazione nel
19
comportamento di una variabile oggetto di ricerca (ad esempio, il comportamento di
consumo di un prodotto o l’esposizione a determinate fonti informative). Qualora si
osservino delle differenze sistematiche di tale variabile dipendente (explanandum),
se ne attribuirà la responsabilità alla diversa appartenenza culturale, usata quindi
come variabile esplicativa (explanans). Secondo Lachman (1997), questo significa
attribuire ex post alla cultura gli effetti di variazione osservati, ma non significa
invece comprendere e studiare ex ante l’impatto diretto della cultura sulla variabile
ricercata. Detto diversamente, le variazioni nell’explanandum potrebbero dipendere
anche da altre variabili ben diverse dalla cultura. Ciò significa concludere che gli
studi cross-culturali operano per attribuzioni ex post, piuttosto che per spiegazioni
ex ante;
ƒ
limiti di misurazione. Le difficoltà definitorie e la complessità del costrutto
“cultura” non ne facilitano l’operazionalizzazione e la sua conseguente misurabilità.
Spesso, infatti, la cultura viene trattata come una categoria residuale, quando tutte
le altre variabili sono state già definite e misurate;
ƒ
limiti nelle implicazioni manageriali. Stante la situazione descritta, gli studi crossculturali risulterebbero fragili nelle conclusioni che raggiungono, non fornendo solide
basi per le implicazioni manageriali.
A complemento del tradizionale framework cross-cultural, l’approccio che di seguito viene
proposto potrebbe definirsi “cultural-crossing”. Gli assunti distintivi, riassunti in tabella 3,
partono esattamente dalle rilevate manchevolezze concettuali ed esplicative della matrice
cross-culturale, e si sostanziano quindi in:
ƒ
un principio di varietà, in luogo del precedente principio di omogeneità. Evidenziare
la varietà significa sia osservare le microculture (Ogden et al., 2004), e quindi gli
aspetti di differenza soggettiva che sono riscontrabili all’interno di uno stesso gruppo
nazionale/etnico, sia le ulteriori differenze interne a ogni persona (il cosiddetto “sé
multiplo”; Elster, 1995). Tale approccio risulta particolarmente adatto per
l’inquadramento dei comportamenti di consumo, anche mediterranei, in una
prospettiva simbolica ed espressiva (Baudrillard, 1983; Fabris, 2003);
ƒ
un principio di individualità, a integrazione della prospettiva “aggregata” (nazione,
etnia, razza) presente nell’approccio cross-culturale.
20
Tabella 3 – Approccio cross-cultural e cultural crossing a confronto
ARRPOCCIO
CROSS-CULTURAL
Nazione/Etnia/Razza
Fuori dall’individuo
Æ ciò che è condiviso all’interno della
nazione/etnia/razza
Omogeneità per nazione/etnia/razza
Æ Cultura nazionale
Possibilità di tracciare confine precisi
(nazionali o etnici)
ARRPOCCIO
CULTURAL CROSSING
Individuo
Dentro all’individuo
Æ disposizioni soggettive e
metabolizzazione degli stimuli culturali
Varietà per nazione/etnia
Æ Cultura/e individuale/i
Polverizzazione dei confini nazionali ed
etnici
VARIABILE
ESPLICATIVA
Cultura nazionale/etnica
Ricostruzione creative e soggettiva
dell’identità culturale individuale
LOGICA
Logica comparativa tra
nazioni/etnie/razze
Logica introspettiva
UNITA’ DI ANALISI
FOCUS
ASSUNTI DI BASE
ASSUNTO
SULL’AMBIENTE
TIPO DI METODO
ADATTO
DIMENSIONE
TEMPORALE
IMPLICAZIONI DI
MARKETING
Per lo più qualitativi (focus group, test
proiettivi, storytelling, etnografia, etc.)
Tipicamente studi diacronici (life
stages)
Stili individuali di consumo, che
conducono a nuovi criteri di
segmentazione basati sulle tipologie di
ricostruzione identitaria e i life stages
Quantitativi e qualitativi
Tipicamente studi sincronici
Stili nazionali/etnici di consumo
Assumendo il punto di vista del singolo soggetto, quindi, il nuovo approccio culturalcrossing esprime, almeno negli intenti, la continua selezione di elementi culturali
extrasomatici da parte dell’individuo, che pertanto risulta idealmente attraversare diverse
culture. Utilizzare questa rinnovata chiave di lettura dei comportamenti umani e dei
processi di consumo offre allora una serie di opportunità, sia per il marketing in generale
sia per il marketing mediterraneo in particolare. Nel dettaglio:
ƒ
si consegue una più completa comprensione del funzionamento dei mercati in
rapporto alla variabile culturale. In effetti, la visione cross-cultural e quella
cultural-crossing,
anziché
essere
tra
loro
antitetiche,
risultano
strumenti
complementari di analisi dei mercati. Se non si può negare il ruolo centrale giocato
dalla cultura esterna, che infatti è stata descritta come un’occasione culturale, allo
stesso tempo non è verosimile assumere che tutti gli individui siano omogenei
all’interno di una data cultura, richiedendo così un metodo più adatto a cogliere e
valorizzare i fattori di distintività individuali;
21
ƒ
si ricavano nuove opportunità di segmentazione della domanda. Se, ad oggi, la
variabile culturale è stata usata come criterio di segmentazione solo sulla base delle
differenze di etnia, razza o Paese di provenienza, la matrice cultural-crossing fa
intravedere una nuova ipotesi. I consumatori, infatti, potrebbero essere più
proficuamente distinti non tanto in base alla loro appartenenza etnica o geografica,
ma in base alle differenze espresse rispetto ai processi di selezione e
metabolizzazione culturale (alternanza, assimilazione, etc.). Ciò significherebbe
fondare il presupposto della segmentazione non su variabili esterne alla persona
(appunto l’etnia o la provenienza geografica), ma su variabili interne, quali i percorsi
soggettivi di selezione psicologica e di costruzione del già citato reticolo culturale.
Una simile fondazione appare più promettente sia sotto il profilo esplicativo dei
comportamenti sia sul lato previsionale degli stessi;
ƒ
si creano nuove possibilità per il micromarketing e il marketing one-to-one. E’ da
tempo risaputo che l’orientamento al cliente richiede una personalizzazione
dell’offerta sulle caratteristiche del singolo consumatore (Lambin, 1998), oltre a un
investimento sul versante relazionale. La logica cultural-crossing, che, come
evidenziato, valorizza gli aspetti di unicità del singolo individuo (anche nel suo lato
di consumatore), appare perciò particolarmente fertile rispetto a interventi in tale
direzione;
ƒ
si offre una cornice metodologica per la riconciliazione tra marketing mediterraneo
e postmodernismo. Se un approccio cross-cultural è idoneo a sostenere l’idea di un
pensiero meridiano come sistema condiviso di valori del Sud, allo stesso tempo il
postmodernismo richiede il rispetto per la soggettività, ampiamente ammessa
all’interno di un framework cultural-crossing.
Questo capitolo ha provato a offrire una definizione di marketing mediterraneo, partendo
dai celebrati valori del Sud e tracciando diverse ipotesi definitorie sulla base delle posizioni
espresse sul tema, tanto in ambito accademico quanto internamente al dibattito sociale.
Accolta un’idea di marketing mediterraneo come pensiero promotore di un’identità
meridiana (§1), si è cercato di verificarne la coerenza sia con le principali trasformazioni in
atto nei mercati odierni (§2) sia con il pensiero postmoderno, di cui sembra condividere
molteplici principi ispiratori (§3). A quest’ultimo riguardo è sembrato d’intravedere un
22
paradosso, derivante dall’enfasi posta sugli aspetti di oggettivazione culturale espressa dal
marketing mediterraneo rispetto invece all’interesse per la soggettività, tipico del
postmodernismo.
Concettualmente
tale
strappo
sembra
superabile
mediante
il
riconoscimento del principio di selezione psicologica, che sostanzia i processi soggettivi di
appropriazione culturale, idiosincratici a ogni individuo. Inoltre, si è anche evidenziata la
necessità di utilizzare il pensiero mediterraneo come metafora per un corpus di valori
piuttosto che come un luogo geografico in senso stretto, richiamando infine ogni rifiuto per
un etnocentrismo del Sud. Sotto il profilo metodologico, poi, si è provato a costruire una
cornice più sistematica per questo pensiero, andando a integrare il tradizionale approccio
cross-cultural con un neonato approccio cultural-crossing (§4).
Aprirsi a un pensiero mediterraneo sembra possibile solo a partire dal riconoscimento della
varietà e della pluralità quali principi di una nuova epistemologia, tratti per altro ben
documentati anche all’interno di questo bacino geografico e culturale. “Il discorso sul
Mediterraneo ha sofferto della sua stessa verbosità: i profumi e i colori; i venti e le onde; le
spiagge sabbiose e le isole fortunate; le ragazze precocemente maturate e le vedove
avvolte nel nero; i porti, le barche e i richiami delle coste sconosciute, le navigazioni, i
naufragi e i racconti che si tramandano sulle une e sugli altri; l'arancio, il mirto e l'ulivo, le
palme, i pini e i cipressi; lo sfarzo e la miseria; la realtà e l'illusione, la vita e il sogno”
(Matvejevic, 1991: 20).
23
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