STUDIUM GENERALE MARCIANUM IL CORPO NELLA FENOMENOLOGIA (Appunti non rivisti) L’obiettivo che si prefigge il pensiero della fenomenologia è quello di ritornare “alla cosa stessa” (Zu den Sachen selbst). In particolare questo avviene attraverso un atto gnoseologico che viene chiamato “riduzione”, inteso come quel processo che dal fenomeno, dall’apparire della cosa, coglie l’oggetto stesso. Tra i suoi interessi, la fenomenologia pone un’attenzione particolare alla corporeità e fin dall’inizio il suo dichiarato programma intende superare il difetto della tradizione antropologica di marca dualistica. Grazie alla riflessione fenomenologica ritorna nella speculazione filosofica “sua maestà il corpo”1. Husserl e il corpo vissuto L’iniziatore della corrente fenomenologica e del pensiero contemporaneo è considerato Edmund Husserl (1859-1938) che muove una profonda critica alla pretesa “oggettività” delle scienze2. In particolare non si può trattare il corpo e coglierlo come se fosse una semplice “cosa”. Nell’esperienza percettiva che io stabilisco con il mondo, il mio corpo non si colloca solo come massa organica, ma si costituisce attraverso l’esperienza sensoriale percettiva della natura nella sua apparizione fenomenica. In questo senso la conoscenza non può trascurare la percezione sensoriale del mio corpo perché il corpo è sempre coinvolto nell’atto di conoscenza. L’accesso a me stesso, al mondo e alla verità è sempre determinato da una prospettiva corporea. Il corpo non è un mero oggetto nelle mani della coscienza che lo usa come uno strumento estrinseco. Io sono il mio corpo, il mio corpo è ciò che sono io. Il corpo è il mediatore senziente e vivente tra la bruta materialità fattuale e l’io come ricettività sintetica senso-percettiva, mediante il quale il mio corpo si sottrae al biologismo determinato per caratterizzarsi come elemento dal quale si parte per ogni comprensione del mondo. E’ famosa la distinzione operata nella fenomenologia tra le due parole tedesche Körper e Leib che in italiano si traducono entrambi con “corpo”. Con il primo termine si intende il corpo fisico, biologico, che in quanto dotato di visibilità è misurabile, pesabile, toccabile. Leib invece è inteso come il “corpo proprio” o il “corpo vissuto”, cioè il corpo percepito dal soggetto che fa parte della persona stessa. Il corpo proprio è coscienza vissuta della corporeità che sono io. Io ho accesso al mio corpo sempre attraverso la mia coscienza perché qualcosa che io sento sempre. Non posso oggettivarlo, distanzialo da me, perché fa sempre parte del mio io che sente. Sono centrali quindi la categorie di vissuto, di vita che fanno il loro ritorno in filosofia. Husserl porta al centro la Erlebnisse (esperienza) del corpo proprio, l’esperienza “propria”, di un io che è un corpo, che è uno spirito incarnato. La fenomenologia vuole incontrare la realtà in modo naturale, per restituire il corpo alla sua forma naturale, “ingenua”, prima di ogni riduzione colta dal pensiero. La fenomenologia 1 Per uno studio sul corpo in alcuni autori della corrente fenomenologica cfr. P.F. MANCINI, Verso la corporeità in fenomenologia. Ipotesi a confronto. Edmund Husserl Edith Stein Karol Wojtyla, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2004. 2 E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Il Saggiatore, Milano 1965. 1 diventa quindi scienza della coscienza del mondo della vita (Lebeswelt): i vissuti come il percepire, il ricordare, l’immaginare, il riflettere sono vissuti sempre connotati corporalmente. Quella di “vissuto” non è una categoria astratta della logica kantiana che si pone come un a-priori all’esperienza categoriale. Vivere il corpo vuol dire sentirlo soggettivamente in prima persona (Leibhaft). E’ questo corpo che è sempre coinvolto in ogni atto di conoscenza. Il corpo proprio è il mezzo e il soggetto di qualsiasi percezione. Quando tocco qualcosa sento le sensazioni di ciò che tocco, ma sento anche la mano che tocca. Quando tocco il mio corpo esso è colui che è toccato, ma è anche colui che sente il tatto. La mano non è solo l’organo sensoriale, ma “si vive” nella sua modalità di apparizione3. Questo sentirsi/percepirsi come fonte di sensazione dischiude un orizzonte dove la percezione che ho di me stesso, come corpo proprio si costituisce come un “vivermi”, un sentirmi e ciò implica che le relazioni non rimangono in superficie, ma penetrano formando modo di appartenenza al proprio corpo. Sentendo, sento me stesso. Percependo mi percepisco. Il corpo è inoltre il “punto zero” (nullpunkt) d’orientamento. Io esploro in mondo e conosco il mondo sempre a partire dal corpo che io conosco e percepisco. E’ quindi la mano stessa, che per noi è più di una cosa materiale, e a far sì che io - il soggetto del corpo proprio - dica: quello che è della cosa materiale è cosa sua e non mia. Tutte le sensazioni sono “localizzate”, si esprimono a partire da un punto nel corpo. In aggiunta il corpo è considerato “vivente” perché dotato di volontà, è capace di orientare la sua intenzionalità. Il corpo quando tocca qualcosa è carico di desideri, di aspettative, di intenzioni. Non è mai un toccare neutro, asettico, oggettivo che registra in modo puramente passivo. Si può quindi parlare di “corporeizzazione della coscienza e coscientizzazione del corpo” nel senso che la coscienza è sempre incarnata nel corpo e il corpo si muove nel mondo sempre da una intenzionalità della coscienza. L’immagine del corpo infine è sempre legata alla temporalità. Il corpo vissuto non è mai uguale a se stesso in quanto nella temporalità la coscienza si presenta come unità di vissuto fluente e modificantesi. Si percepisce sempre il proprio corpo dentro il flusso temporale in una coscienza che continuamente cambia. La riflessione fenomenologica husserliana è particolarmente rilevante per il fatto che la corporeità acquista un significato simbolico in quanto è coinvolta nelle costituzione dell’identità e della verità. Colgo me stesso (immagine) solo mediante il corpo e colgo la verità solo attraverso il corpo. Questo fa riprendere una dimensione “umana” alla corporeità che da una parte evita una deriva biologista del corpo, dove è ridotto alla dimensione clinica, fisiologica, anatomica e dall’altra la fenomenologia supera una concezione spiritualistica del corpo che comprende la coscienza a monte delle forme corporee, come presenza immediata a se stessa. Il contributo di E. Husserl è senz’altro prezioso, ma secondo alcuni autori rimane legato ad una accentuato idealismo trascendentale. Un tavolo giallo viene percepito nella sua essenzialità di giallo e di tavolo. E’ presente quindi una percezione idealistica dell’oggetto4. In questo senso la corporeità è collocata in un ottica prevalentemente noetica e cognitiva. Non è presenta una sufficiente attenzione al rapporto del corpo con la sua 3 4 Ivi, 544 MANCINI, Verso la corporeità in fenomenologia, 132. 2 forma morale, in ordine alla determinazione morale dell’esistenza e dunque della sua stessa coscienza5. L’empatia di Edith Stein Edith Stein (1891-1942) è stata studentessa e assistente di E. Husserl. Sulla linea del suo maestro afferma che il corpo non è la coscienza vissuta di un corpo, ma la coscienza vissuta del corpo, del corpo proprio che IO SONO. Il corpo non solo percepisce un oggetto, ma percepisce se stesso tramite l’oggetto esperito. Le sensazioni sono percepite attivamente come riconoscimento della loro presenza mediante la consapevolezza del mio corpo. La percezione consente al corpo di avvertirsi, di percepirsi, di riconoscersi. Sostiene inoltre l’esistenza di un Io, di un nucleo, un’anima che dà unità alle percezioni. Questo nucleo permette di mantenere la continuità dell’Io che non si disperde nelle mille percezioni particolari, ma - pur mutando - rimane se stesso. Lo studio sulla corporeità porta E. Stein, in un superamento del suo maestro, a valorizzare la categoria di vissuto di “empatia” (Einfühlung). La coscienza estranea, proprio attraverso l’empatia si rappresenta e si costituisce per il soggetto come espressione vissuta del corpo che incarna6. Empatia designa “una genere di atti, nei quali si coglie l'esperienza vissuta altrui”. A differenza del giudizio (Ein-Sicht), che è rivolto ad afferrare e comprendere argomenti, idee e concetti mentali di un altro (o le conseguenze causali di un fatto nella natura e nella storia), l'em-patia (Ein-Fühlung) indica un atto conoscitivo oppure la somma di atti percettivi -, che è rivolto alla percezione soggettiva dell'altro, alla sua "esperienza" interiore e perciò anche alla sua stessa personalità. E. Stein sostiene che per conoscere non basta rimanere legati alla pura sfera noetica del pensiero. Bisogna ritornare a respirare e vivere la profondità della oggettualità materiale, per cogliere e non solo pensare la molteplicità delle strutture degli enti. L’empatia è intesa come modalità di afferramento della coscienza estranea e mostra ciò che non è dimostrabile per un pensiero matematico. Nella datità di una postura, di un volto colgo non solo qualcosa di visivo, ma anche il sentimento emotivo. Per tale motivo sostiene l’esistenza di “sentimenti sentiti”. Empatia significa quindi percepire attraverso le mutevoli espressioni fisiche del corpo, il modo vissuto in cui l’altro ri-vive se stesso nell’attualità presentificante che solo l’unità del flusso di vissuti fa emergere. Wojtyla e il corpo sacramento della persona Prima di essere eletto pontefice, Karol Wojtyla elabora una profonda riflessione sulla corporeità influenzato dalla fenomenologia. Per il pensatore polacco il corpo con la sua specifica fisicità e la sua determinata struttura costitutiva è un momento irrinunciabile del suo darsi alla esperienza percettiva7. Essere persona vuol dire esistere nel corpo. E’ esprimersi attraverso il corpo e allo stesso tempo essere più del corpo. L’incontro con la persona umana attraverso il suo corpo significa l’incontro con una duplice trascendenza: 5 F.G. BRAMBILLA E. STEIN, Il problema dell’empatia, Studium, Roma 1998. 7 “Il corpo determina la concretezza dell’uomo, cui una parte ha dato espressione la tesi metafisica sull’individualizzazione della materia. Così avviene almeno nell’esperienza esterna che ci permette di cogliere ciò che nell’uomo è visibile. Si può porre un segno di uguaglianza tra «visibile ed esterno»” (K. WOJTYLA, Persona e atto, Bonpiani, Milano 2001, 475). 6 3 la trascendenza della persona e la trascendenza divina. Si incontra la persona nel corpo, ma l’io è più del corpo, trascende sempre il corpo e non è riducibile ad esso. «Il corpo umano è in un certo senso mezzo di espressione della persona»8. Il corpo fa conoscere la persona, la rende presente, e tuttavia non esaurisce tutto l’io9. Inoltre il corpo ricorda sempre una attività creatrice che lo ha posto in essere. Il corpo quindi rinvia anche ad una trascendenza divina. “Se il sacramento è il segno efficace della presenza di Dio, allora il corpo è una delle prime e più importanti espressioni naturali di questa presenza, cioè in certo senso un sacramento naturale (o presacramento)”10. In questo senso concepisce psiche e corpo con una distinzione nell’unità. «La chiave per comprendere in modo adeguato questa unità è il concetto di integrazione»11. L’integrazione psicosomatica è la categoria ontologica presa da Edith Stein sulla quale Wojtyla fonda interamente la sua visione antropologica personalista di matrice fenomenologica. L’unità integrativa consente all’uomo di rimanere legato ala corpo e di trascenderlo senza una spersonalizzazione decorporeizzante. Trascendimento ed integrazione sono strettamente correlate e complementari. Henry e la filosofia della carne Michel Henry (1922-2002) è un filosofo francese di matrice cristiana che si colloca all’interno del pensiero fenomenologico anche se ne contesta alcuni presupposti. Accusa all’intero pensiero occidentale di aver sempre accostato, in vario modo, al concetto di verità quello di manifestazione: la verità è ciò che appare, si manifesta12. Tuttavia in questa concezione il manifestarsi implica sempre un orizzonte di visibilità. Per il filosofo francese invece la verità si incentra nel manifestarsi stesso della vita che nella sua essenza profonda è pathos, è affettività. La vita nella sua immanenza, nel suo pathos si sottrae radicalmente alla manifestazione, non sopporta uno scarto tra il suo essere e il suo apparire. La vita è concepita come assoluta immanenza e assoluta manifestazione. La vita è ciò che non appare e tuttavia si manifesta in un unico modo, quello del pathos, della affettività, si percepisce nella suo stesso vivere nella carne. Sostiene che nella filosofia classica il pathos non ha avuto più alcun rilievo speculativo e in tal modo la vita è stata espulsa dal pensiero13. Accusa Husserl di aver creato una frattura tra oggetto e il suo manifestarsi. Per Henry invece la verità è la vita stessa che nella sua essenza è auto-rivelzione. Il “che” e il “come” dell’apparire coincidono perché appare la vita stessa. La vita si manifesta in se stessa, nell’ “immediation pathetique”, nel percepirsi immediato a se stessa. Questo perché la vita nella sua essenza è pathos, abbraccio senza scarto di un gioire e soffrire la cui materia fenomenologica è l’affettività pura14. Propone quindi un rovesciamento del metodo fenomenologico: non è il pensiero che ci dà accesso 8 Ivi, 483. “Mentre la «soggettività somatica» di per sé legata alla reattività somatica, e in gran parte non è compresa dalla coscienza, invece la «soggettività psichica» che emerge insieme con la sensazione a livello del corpo è già compresa dalla coscienza” (WOYTJLA, Persona e atto, 537). 10 J. MERECKI, Il corpo, sacramento della persona, in L. MELINA- S. GRYGIEL, “Amare l’amore umano”. L’eredità di Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia, Cantagalli, Siena 2008, 174. 11 WOYTJLA, Persona e atto, 477. 12 M. HENRY, L’essence de la manifestation, PUF, Parigi 19902. 13 M. HENRY, Incarnazione: una filosofia della carne, acura di Giuliano Sansonetti, SEI, Torino 2001. 14 Ivi, 173.? 9 4 alla vita, ma è la vita che permette al pensiero di accede a sé. Il pensiero non conosce la vita pensandola perché conoscere la vita è proprio della vita e di essa soltanto15. Il rovesciamento della fenomenologia è il riconoscimento originario del “preliminare” che ci impedisce di ridurre la vita ad un pensiero suscettibile di renderla manifesta, ma che riferisce il pensiero al processo di auto-donazione della vita assoluta. Dentro questo contesto teoretico, emerge il concetto di corpo soggettivo dove cerca di superare ogni dualismo tra interiorità ed esteriorità. Distingue tra “corpo” e “carne” (chair). Con il primo termine indica il corpo inerte dell’universo incapace di pathos. E’ il corpo scientifico, come emerge dalla descrizione della geometria. Le qualità sensibili del corpo sono mere “apparenze”, accidenti secondari, per cui nell’oggettività scientifica viene strappato lo “strato sensibile dai corpi” che viene trattato come insignificante. Con il termine “carne” intende invece “ciò che provando, soffrendo, subendo e sopportando se stessa e così godendo di sé secondo impressioni sempre rinnovate, si trova per ciò stesso capace di sentire il corpo che le è esterno, di toccarlo come pure di essere toccato da esso”16. Da questa definizione emerge come al centro della sua riflessione ci sia la soggettività dell’io che affonda le radici nella carne affettiva. La persona è sempre una “res corporea” e la carne è sempre chiamata affettiva, perché sentita e sentiente. Esiste sempre una dimensione originaria dove l’io si auto-sente come totalmente dato a se stesso. L’io è un tutt’uno con il suo agire e con la passività del suo corpo rispetto al mondo esterno. L’io quindi è prima di tutto un potere dove ego cogito non significa “io penso”, ma “io posso”. Descrive inoltre una triplice dimensione del corpo: il corpo sentito, il corpo trascedentale e il corpo originario: 1. Il corpo sentito è il corpo fisico, visibile, quantificato, misurato, è il corpo che appartiene al mondo. In questo senso è vicino al significato che Husserl dava al termine Körper. 2. Questo corpo sentito tuttavia ne presuppone uno che lo sente. Il corpo sentito richiama la presenza di un corpo senziente. Il fenomeno di un corpo che viene sentito presuppone un “potere di sentire”, un “potere di vedere”. Inoltre il sentire implica una messa in opera di questo potere. Quindi il corpo del mondo fisico richiama un “corpo trascendentale” dotato del potere di vedere, toccare, sentire. Trascendentale è un termine kantiano che determina le condizioni di possibilità di conoscenza. Il corpo trascendentale è un a-priori al sentire categoriale, è la condizione che si possa sentire il corpo concreto. E’ quindi quella dimensione dell’uomo che si pone come il fondamento dell’esperienza del sentire di un corpo. 3. Questo corpo trascendentale a sua volta rimanda ad una possibilità originaria, trascendentale della manifestazione del mondo sensibile. Tale possibilità risiede, “nel corpo trascendentale intenzionale che lo dà a sentire, alla possibilità trascendentale di questo stesso corpo intenzionale, all’auto-rivelazione dell’intenzionalità della vita”17. Ogni fenomeno sensibile si può compiere, può dare quello che dà (per esempio la visione dà ciò che è visto) solo in una rivelazione originaria dove nella donazione che si compie coglie se stesso. Per esempio la visione si coglie essa stessa vedente, in una auto-rivelazione diversa dall’apparire in 15 Ivi, 109. Ivi, 4. 17 Ivi, 135-136. 16 5 cui scopre le cose. Il corpo trascendentale che ci apre al corpo sentito si fonda su una corporeità molto più originaria, richiama un corpo “trascendentale in senso ultimo”, non sensibile, la cui essenza è la vita. Lo scopo di M. Henry è cercare il corpo non più a partire dal mondo, ma dalla vita che è intesa come vita patica. Il mondo esiste prima che i corpi lo scoprano. Non così tra vita e carne. “La vita rivela la carne generandola come ciò che nasce in essa, si forma e si costituisce in essa, che trae la sua sostanza, la sua sostanza fenomenologia pura dalla sostanza stessa della vita. Una carne impressionabile e affettiva la cui impressionabilità e affettività non derivano mai che dall’impressionabilità e affettività della vita stessa”18. Non esiste dunque, a differenza della fenomenologia, uno scarto tra la vita e la sua manifestazione. La carne possiede una impressionabilità e una affettività consustanziali con al sua essenza, solo che non sono le sue. Impressionabile e affettiva la carne lo è solo nella venuta a sé in una venuta originaria a se stessa che non dipende da essa ma dalla Vita. La carne è propriamente il modo in cui la vita si fa Vita. Non c’è Vita senza carne, ma non c’è carne senza vita. La conseguenza del pensiero di Henry è che “ogni vivente è carne” e per questo non c’è spazio per alcun dualismo anima/corpo. La carne non si aggiunge all’io come un attributo contingente che c’è ma potrebbe anche non esserci. La carne non è altro che la possibilità stessa del nostro Io. L’uomo vive e pensa solo dove agisce, desidera soffre: in una parola nella sua carne19. 18 19 Ivi, 140. Ivi, 143-144. 6