Recensioni 551 ghiana, riportandosi ancora una volta alla tensione

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ghiana, riportandosi ancora una volta alla tensione tra le due istanze culturali fondamentali, si va connotando, così, come posizione «metareligiosa» (come afferma
lo stesso autore a p. 13).
Il sesto e ultimo studio (pp. 200-254), si presenta, già a partire dal titolo, come un «epilogo interculturale», ossia come una proposta metodologica (p. 13)
che, a partire dagli studi precedenti, mostri la possibile applicabilità della proposta
rosenzweighiana. Si tratta esplicitamente di una metodica del dialogo fra i popoli
che Ciglia articola in quattro momenti fondamentali: domanda di riconoscimento
(pp. 210-220); offerta di riconoscimento (pp. 220-230); concessione (eventuale)
del riconoscimento (pp. 230-233); vaglio critico del riconoscimento ricevuto e
controfferta ermeneutica (pp. 233-250).
In conclusione, si può certamente affermare che tale volume presenta un duplice volto, relativo direttamente alla sua duplice utilità: può connotarsi sia come
momento di approfondimento per coloro che sono, già, abbastanza ‘pratici’ degli
intrecci del pensatore ebreo, sia come possibile introduzione al suo pensiero dal
momento che ne evidenzia con chiarezza e precisione i punti cardine e i momenti
di sviluppo fondamentali.
STEFANO SANTASILIA
J. PATOCKA, Che cos’è la fenomenologia? Movimento, mondo corpo, a cura di G. Di Salvatore, Verona, Fondazione Centro Campostrini, 2010, 378 pp.
Il filosofo ceco Jan Patocka non è certamente una figura di spicco tra quelle generalmente prese in considerazione, nel panorama italiano, quando si parla di coloro
che hanno contribuito in maniera decisiva al cammino e allo sviluppo della fenomenologia. Più che per i suoi apporti filosofici, tale pensatore è conosciuto dal
pubblico italiano a causa delle sue vicende politiche (oppositore al regime cecoslovacco, promotore di “Charta 77”, morì in carcere in seguito ai ‘duri’ interrogatori
ai quali fu sottoposto). Il volume in questione, pertanto, rappresenta un momento
interessante nell’ambito di quella costellazione di studi, di carattere filosofico, che
si sta, man mano, sviluppando attorno a tale figura. Grazie all’introduzione di
Giuseppe Di Salvatore, il lettore non è direttamente, e brutalmente, posto dinanzi
al testo filosofico, bensì viene introdotto in maniera accurata, attraverso un sintetico, ma preciso, ripercorrere di tutti i momenti salienti della formazione del filosofo. In tal modo, è possibile risalire alla formazione fenomenologica di Patocka,
alla sua relazione, sotto forma di allievo, con Husserl, e il suo conseguente distanziarsi, il tutto ben accompagnato da una ricca bibliografia critica.
Il volume si compone di tredici saggi raccolti secondo dei precisi parametri interpretativi. Come esplicitato nella stessa prefazione (pp. 16-19), si è deciso di
dare maggiore risonanza ai saggi che corrispondessero al lavoro fenomenologico
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Bollettino Filosofico XXVI (2010)
concreto di Patocka, al fine di mettere in luce la dinamica applicativa stessa, attraverso la quale il pensatore ceco dipanava le sue analisi sulla storia, l’esistenza
umana, la cultura (da sottolineare l’interessante riflessione sull’Europa). Lo stesso
dare inizio alla serie dei saggi, ponendo come primo quello sul «movimento» risponde ad un’esigenza precisa: la convinzione, espressa dal curatore (p. 14), che
tutta la produzione fenomenologica del filosofo, e soprattutto, la sua formulazione
matura, può essere compresa solo a partire dalle nozioni di movimento, corpo e
mondo. L’intento, ancora una volta esplicitamente dichiarato, è quello (p. 17) di
lasciar venire alla luce il carattere «metafilosofico» del pensiero patockiano.
Il saggio sul movimento si articola attraverso un confronto con la lettura aristotelica del movimento, con una particolare attenzione alla definizione di kinesis,
ripresa da Patocka in maniera radicale al fine di mostrarla come il fondamento
stesso di qualsivoglia manifestarsi (pp. 53-54). Attraverso una ripresa della lezione
heideggeriana, ed elaborando una concezione dinamica del soggetto intenzionale,
il pensatore ceco desostanzializza il concetto aristotelico ma, allo stesso tempo e
stavolta in maniera distante da Heidegger, afferma la soggettività come corporeità. Si tratta della «corporeità soggettiva» come luogo costitutivo del relazionarsi
dell’io al mondo, quindi del farsi fenomeno del mondo stesso. Ecco che, in Patocka, l’esistenza non si può dare senza movimento: sia per quanto riguarda il movimento inteso come genesi dell’esistenza, sia per quel che riguarda il relazionarsi al
mondo della corporeità soggettiva.
Appunto a queste ultime due tematiche è dedicata la seconda parte del volume,
che raccoglie testi dedicati, nello specifico, alle questioni del corpo e del mondo.
Quest’ultimo, svolge concettualmente un ruolo fondamentale nel pensiero di Patocka. Il mondo, inteso come totalità originaria e irriducibile, mai totalizzabile attraverso un’intuizione e, però, allo stesso tempo configurantesi come un a-priori concreto e presente in ogni fenomeno. Ecco che, una volta considerato il mondo come
il luogo dell’apparire autentico e originario, subito ci si rende conto che l’epoché è
proprio l’atto che permette al mondo, e non alla coscienza, di venire alla luce, il
mondo nel suo senso originario: «la forma-del-mondo dell’esperienza è anche ciò
che rende possibile un’esperienza del mondo» (p. 137). Il mondo, secondo Patocka,
si va strutturando come un campo di possibilità ontologiche, la cui essenza è il tempo come av-venire (p. 226). A tale campo corrisponde l’io, che non è se non corporeità soggettiva. Di qui, seguono le analisi riguardanti appunto la corporeità e la differenziazione, di chiara ascendenza husserliana, tra corpo-soggetto (Leib) e corpooggetto (Körper), dove quest’ultimo non assume i caratteri della reificazione scientifica, bensì dell’oggettivarsi nella relazione con l’altro.
La terza parte del volume è costituita da un insieme di testi riguardanti la questione del senso, la collocazione storica e la definizione stessa di fenomenologia.
Collocati alla fine del volume, tali saggi si delineano come i risultati effettivi delle
analisi svolte precedentemente. Nello specifico, vale la pena segnalare l’elaborazione della fenomenologia «asoggettiva», come possibilità contrapposta al sogget-
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tivismo fenomenologico di stampo husserliano. In questo caso, per «asoggettività»
bisogna intendere la subordinazione alla correlazione fenomenologica, un orizzonte nel quale si colloca lo stesso soggetto come «risultato» (p. 233). Questo, per il
pensatore ceco, non significa sminuire il valore dell’uomo, bensì dare maggiore
valore al suo domandare a partire da un radicamento originario ineludibile. L’uomo rimane sempre e comunque «il destinatario dell’apparizione» (p. 226), e ciò
implica una responsabilità che non permette vie di fuga. Il volume si chiude con la
postfazione di Reanud Barbaras, accreditato studioso di fenomenologia e uno dei
principali studiosi del pensiero di Patocka, che sottolinea l’importanza del movimento e il valore che tale rielaborazione di tale concetto assume nell’ambito della
riflessione patockiana.
Un’opera questa estremamente interessante, sia per quel che riguarda la mera
ricostruzione di questioni storiografiche e genetiche collocabili nell’ambito degli sviluppi della fenomenologia, sia per il suo aprire sempre più l’orizzonte su un mondo
di riflessione estremamente ricco e, in buona parte, tutto da scoprire, soprattutto
per quel che riguarda, cosa alla quale Patocka non smette mai di fare riferimento, i
legami indissolubili tra riflessione e pratica, un “sempre nuovo” apprendere e riprendere, «una filosofia che in un certo modo ricomincia ogni volta da capo» (p. 216).
STEFANO SANTASILIA
A. NIFO, La filosofia nella corte, a cura di E. De Bellis, Milano, Bompiani, 2010,
pp. 784, € 28.
Le discussioni teoriche e, con esse, gli aspetti precettistici della tradizione umanistica della filosofia di corte, costituiscono le voci che Ennio De Bellis vuole offrire
all’ascolto del lettore attraverso lo studio e la prima traduzione italiana del De re
aulica di Agostino Nifo, documento emblematico della filosofia morale del Rinascimento. È questo un motivo che ci spinge ad apprezzare maggiormente l’introduzione di Ennio De Bellis, per il quale i caratteri distintivi dei vari momenti, in
cui è scandito lo sviluppo storico della riflessione del Suessano, devono essere riconosciuti come molteplici espressioni di quell’intuizione fondamentale che guida
e sorregge l’intero filosofare di Agostino Nifo: una riflessione critica interna alla
tradizione aristotelica rinascimentale nell’ambito della quale la filosofia di corte
rappresenta «l’ideale della riflessione filosofica inteso come civile conversazione in
cui la correttezza delle conclusioni è frutto della sinergia del ben ragionare, ben
persuadere e ben operare» (p. 14).
De Bellis affronta il lavoro con studio paziente delle fonti e ricchezza di documentazione, segni rilevanti dell’impegno con cui mette quest’opera a disposizione
degli studiosi del pensiero umanistico, non facile per la robustezza dell’itinerario e
per la complessità dei risultati. Lo studio monografico che introduce il testo rap-
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