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Volume realizzato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato
Marco Giannini, Valentino Turini
Un modello di efficacia e di efficienza
Il distretto della pelle di Santa Croce sull’Arno
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 15
00040 Ariccia (RM)
(06) 93781065
isbn 978-88-548-8680-3
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2015
Indice
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Introduzione
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Capitolo I
I distretti industriali in Italia
Introduzione, 13 – 1.1. I distretti industriali e le loro caratteristiche, 18 –
1.2. Analisi di alcune altre forme di aggregazioni interorganizzative, 29 –
1.2.1 Il distretto tecnologico, 29 – 1.2.2 I poli tecnologici ed i parchi scientifici, 36 – 1.2.3 Il distretto culturale, 40 – 1.3. Globalizzazione e distretti
industriali, 46 – 1.4. Il contributo dell’Osservatorio nazionale dei distretti
italiani, 52 – 1.5. La governance dei distretti industriali, 64 – 1.6. La gestione ambientale nei distretti industriali, 69
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Capitolo II
Considerazioni di carattere generale sul distretto del cuoio e
della pelle di Santa Croce sull’Arno
2.1. Caratteristiche tecnico-produttive dei comuni che fanno parte del comprensorio conciario, 77 – 2.2. Alcuni cenni storici, 84 – 2.3. La disamina
dei fattori che hanno determinato e determinano il successo del distretto,
87 – 2.4. La dimensione aziendale, 93 – 2.5. Il processo produttivo, 98 –
2.6. La divisione del lavoro, 107 – 2.7. I fornitori, 112 – 2.8. Il patto per un
distretto socialmente responsabile e funzionalmente autonomo, 118 – 2.9.
Il ruolo delle capacità imprenditoriali, 122 – 2.10. La governance del distretto, 125 – 2.11. Il capitale umano, 128 – 2.12. La produttività del lavoro, 135 – 2.13. La sicurezza sul lavoro, 138 – 2.14. La formazione professionale, 149 – 2.15. Ricerca e innovazione: il polo tecnologico, 159 – 2.16.
L’Associazione Conciatori, 166 – 2.17. La qualità e le relative certificazioni, 168 – 2.18. L’inquinamento e la depurazione delle acque, 184
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Indice
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Indice
Capitolo III
Il ruolo del marketing nel comprensorio
Introduzione, 199 – 3.1. Il concetto di Marketing, 201 – 3.2. Le ricerche di
mercato, 208 – 3.3. Il ruolo delle fiere di settore, 212 – 3.4. Alcune linee
evolutive, 215
217
Brevi considerazioni finali
219
Bibliogra¿a
223
Ringraziamenti
Introduzione
Questa pubblicazione si inserisce tra i molti testi che trattano il tema
dei distretti sotto il profilo economico nei suoi molteplici riflessi, evidenziando soprattutto negli ultimi anni elementi di criticità per la loro
stessa sopravvivenza. Taluni contributi, infatti, hanno finito per porre
in discussione l’efficacia stessa del distretto, così come è stato inteso
sin dalle sue origini. Invero dai dati raccolti riguardo le vicissitudini
economiche che hanno interessato i distretti italiani in particolare nel
2014, si può evidenziare come i più noti e quelli a maggiore contenuto
innovativo hanno fatto registrare dati molto positivi in termini di export per prodotti elitari in diversi settori, quali la meccanica, il sistema
moda, il sistema casa, ecc.
In un contesto disciplinare macroeconomico gli autori hanno ritenuto di sviluppare, con ampie considerazioni teoriche, il tema
dell’organizzazione distrettuale, esaminando la sua nascita ed il suo
sviluppo; ciò riportando delle definizioni che hanno anche lo scopo di
distinguere il distretto industriale da altre forme di rapporti interorganizzativi, come, ad esempio, i distretti tecnologici e quelli culturali.
La crescita dell’export ha interessato in modo significativo la realtà toscana, in particolare l’oreficeria di Arezzo e la pelletteria/calzature di Firenze. Per quest’ultimo distretto risulta fondamentale
la collaborazione con i grandi marchi della moda e del lusso che riescono a trovare, in tale territorio, una capacità manifatturiera di elevata qualità che ha nel distretto di Santa Croce sull’Arno le migliori risposte in termini di fornitura mondiale di pelli. Per Santa Croce non si
tratta, in realtà, di una novità in quanto la sua posizione è sempre stata
di “prima tra i primi”.
Con riferimento a tale distretto, gli autori intendono sviluppare uno
studio monografico relativo ad un distretto di rilevanza internazionale,
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Introduzione
Introduzione
quello del cuoio e della pelle che comprende comuni della provincia
di Pisa e di quella di Firenze, descrivendone in dettaglio le caratteristiche che lo connotano, quali, in particolare, le peculiarità della classe
imprenditoriale nonché del lavoro legato ad una tradizione artistica
che si è sviluppata nel tempo nella fabbricazione del cuoio e della pelle. Tale distretto, superate le impegnative vicissitudini legate ai temi
ecologici, ha fatto registrare elevate performances.
Da alcuni anni, purtroppo, come noto, il nostro paese è interessato
da una grave crisi economica che ha portato l’Italia in una fase recessiva, ma ciò ha investito solo in minima parte il comprensorio toscano
del cuoio e della pelle. Il distretto, infatti, anche in questa fase, si è
confermato e si conferma tra i più “performanti” nel novero dei distretti italiani.
L’area considerata, come accennato, è stata oggetto, per le sue stesse caratteristiche, di diverse indagini da parte di studiosi sia storici,
con studi volti ad analizzare i diversi periodi di sviluppo di questa attività fino ai giorni nostri, e sia economisti, in un’ottica macro e micro
economica. Altri contributi hanno riguardato tematiche quali la sociologia, le materie giuslavoristiche, l’organizzazione del lavoro e la funzionalità dell’azienda. Si possono, altresì, ricordare altri testi, redatti
con stile più pragmatico, con testimonianze delle diverse parti “in gioco”, quali quelle datoriali, sindacali, pubbliche e private. Invero diverse pubblicazioni di carattere meramente teorico risultano datate e tali
da non tener ovviamente conto degli sviluppi che si sono verificati negli ultimi anni, facendo esse riferimento ad un contesto economico
generale, reale e finanziario, precedente alla situazione di crisi economica attuale. Sul piano più pragmatico ci siamo avvalsi in larga misura di pubblicazioni aggiornatissime, datoriali, sindacali, ecc., che riguardano i diversi argomenti attinenti al comprensorio; tali motivazioni ci hanno spinti a realizzare la presente pubblicazione.
Considerando alcuni dati statistici, risulta che, nella gamma dei
prodotti conciari di per sé piuttosto vasta, quelli relativi ai settori della
calzatura e della pelletteria (borse, valigie, cinture, portafogli, ecc.),
destinati precipuamente al settore dell’alta moda, costituiscono quota
predominante del fatturato dell’intera produzione. Questo dato, nella
vita del comprensorio fino ai giorni nostri, ha avuto un rilevante impatto sulla produzione complessiva di pelle e di cuoio, dove la tendenza all’aumento di tale valore può essere interpretato come una positiva
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risposta alla situazione di crisi che il sistema paese continua ad attraversare.
Per assicurare il risultato indicato i rapporti con il settore dell’alta
moda (tema che sarà oggetto di specifici approfondimenti nella presente pubblicazione) si sono mano a mano sempre più intensificati (si
pensi, a titolo esemplificativo, all’importanza assunta da questi collegamenti che emerge dalle diverse manifestazioni fieristiche). In tale
ottica si possono evidenziare i crescenti contatti che le aziende conciarie hanno sviluppato e consolidato a livello internazionale con i più
noti “creatori” della moda, i quali, di fatto, si recano presso le aziende
considerate per potere avere rapporti diretti per richiedere prodotti
che, per le loro specifiche peculiarità, siano in grado di soddisfare le
loro esigenze, ad esempio in termini di colore, consistenza, spessore,
ecc.; per realizzare ciò sono necessari contatti diretti non sostituibili
con altre forme di relazioni per la necessità di focalizzare specifiche
caratteristiche che le aziende conciarie del distretto riescono a soddisfare.
In questo contesto l’Associazione Conciatori, che sarà oggetto di
un apposito paragrafo quale istituzione particolarmente attiva con riferimento al tema della governance del distretto, in una visione internazionale dello sviluppo del comprensorio, ha dato corso ad una serie di
iniziative di marketing, studiate ad hoc per poter favorire ed alimentare i rapporti indicati. In queste azioni promozionali svolge un ruolo di
primo piano l’Unic (Unione Nazionale Industria Conciaria aderente a
Confindustria), sia perché ha una visione mondiale del settore e sia
come soggetto in grado di garantire alle aziende conciarie un supporto
consulenziale su temi quali le novità produttive, il lavoro, le statistiche
di settore (andamento delle importazioni, delle esportazioni, ecc.), il
marketing con i relativi aggiornamenti realizzati con specifiche pubblicazioni; l’Unic è anche organizzatore delle più importanti manifestazioni dirette a promuovere il prodotto pelle, come Lineapelle. Tra le
iniziative locali per la promozione del cuoio, da tempo è stato costituito dagli stessi produttori di tale bene il consorzio “Vero cuoio”: recentemente, a fronte dell’”offensiva” concorrenziale messicana per
l’importazione di cuoio di tale origine, con caratteristiche tecniche (resistenza all’usura, allo strappo, ecc.) e qualitative inferiori, lo stesso
consorzio ha promosso l’ottenimento di un certificato di origine che
ha la funzione di garantire l’autenticità e la provenienza dalla Toscana.
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Da segnalare anche il consorzio “Vera pelle italiana conciata al vegetale” al quale aderiscono oltre 20 aziende.
Più sopra è stato accennato che obiettivo degli autori è quello di
evidenziare, rispetto a studi precedenti, le novità che si sono venute
presentando e, proprio in tale contesto, si inseriscono i continui contatti con il settore dell’alta moda.
Si può, al riguardo, ricordare, come punto di svolta nella sistematizzazione e nella pianificazione delle indicate relazioni, in precedenza
sviluppate in modo sovente informale, il piano di sviluppo del distretto, successivamente integrato e modificato, che investe l’attività complessiva del settore nello stesso distretto. I fattori presi in considerazione da tale piano saranno attentamente analizzati nella presente pubblicazione, senza escludere, ovviamente, una disamina di tutti gli altri
aspetti che ineriscono la produzione del bene pelle, affinché il lettore
disponga di un quadro conoscitivo adeguato per poter comprendere
tutti i traguardi che il piano si è posto.
D’altro lato la tecnologia collegata alle attività del settore, come
avremo modo di evidenziare, risulta assai complessa e ha trovato e
continua a trovare nel contesto geografico considerato la sua valorizzazione in un modello di efficacia e di efficienza che, pur con qualche
difficoltà, ha saputo affrontare il corrente periodo di recessione economica con risultati decisamente positivi rispetto ad altre realtà distrettuali del nostro paese.
La conoscenza diretta del settore e le performances raggiunte hanno spinto gli autori a redigere la presente pubblicazione, diretta a tutti
coloro che, per motivi di studio o di interesse personale, sono interessati agli argomenti di cui trattasi.
Nel testo si intende esaminare i fattori, come individuati dal precitato piano (le capacità imprenditoriali, un’occupazione di maestranze
altamente specializzate in un’attività che ha origini pluricentenarie, la
tecnologia, un mercato internazionale di prodotti venduti e di forniture
delle materie prime (si tratta di pelli ricavate dalla macellazione dei
più svariati animali fino a quella dei rettili e dei pesci), i servizi resi
disponibili dalle associazioni di categoria, dai consorzi presenti
nell’area distrettuale) che hanno reso possibile e contribuito al successo di questo distretto. Proprio gli aspetti indicati sembrano fare del distretto in esame un esempio paradigmatico.
Quanto contenuto nella presente pubblicazione è mutuato precipuamente da esperienze dirette sul campo, sempre secondo una pro-
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spettiva di indagine di carattere economico-aziendale; partendo da tali
premesse non ci sembra di poter generalizzare le critiche rivolte al fenomeno dei distretti, proprio in funzione del caso preso in esame. Lo
studio dei distretti, del resto, dovrebbe essere sempre preceduto da
un’analisi della natura dei prodotti che vengono realizzati in ogni distretto, essendo la stessa in grado di incidere sulle condizioni di efficienza o di non efficienza; ciò anche rilevando che il mercato attuale
non è più solo nazionale ma mondiale.
Considerata la notorietà del distretto preso in esame si è ritenuto
opportuno introdurre nel testo alcuni cenni storici, attesa la ridondanza
dei citati studi in materia. In effetti, la genesi dell’”arte” della lavorazione della pelle e del cuoio a Pisa e provincia risale agli albori del
medioevo, sulla scorta di un retaggio che si rifà alla preistoria, ed è
stata favorita dall’impegno degli abitanti di allora; si tratta di una forma di attività che era facilitata dalla ricchezza delle acque, necessarie
per il suo svolgimento, nonché dalla presenza nella vicina campagna
di alberi dai quali veniva ricavata una sostanza conciante (il tannino).
Nel susseguirsi delle generazioni di conciatori si è venuta affermando una sorta di “informazione genetica”, costituita da vari fattori
quali l’inventiva, l’eleganza, il designer, l’artigianalità. Tutti questi
elementi hanno consentito significativi sviluppi del settore fino ai
giorni nostri, sviluppi che hanno riguardato in particolare i progressi
dell’applicazione della chimica, ciò mentre i macchinari sono rimasti
funzionalmente simili anche se notevolmente affinati con una continua
crescita in termini di produttività.
Circa la vita stessa dei distretti si ritiene che molti di questi oggi
non funzionano anche per notevoli carenze di “governance” e di performances economico-finanziarie.
Il distretto conciario presenta, invece, al suo interno le istituzioni
che come vedremo sono tipiche della governance di un distretto, anche se occorre precisare che le stesse hanno contribuito ma non certo
determinato il successo che pone la realtà considerata in una posizione
apicale nel contesto dei distretti italiani analizzati dall’Osservatorio
nazionale degli stessi. Il ruolo di tali istituzioni è stato molto importante con riferimento alle tematiche che hanno riguardato
l’inquinamento delle acque e dell’aria nel corso degli anni ’70-’80 e la
cui soluzione investiva l’esistenza stessa del distretto; in seguito le
stesse hanno continuato ad affrontare e risolvere questioni di interesse
collettivo, quali ad esempio il trattamento completo di tutti i residui
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della lavorazione, il trattamento dei fanghi di risulta, il recupero del
cromo, ecc. In questo contesto, come avremo modo di analizzare nel
corso della pubblicazione, di particolare importanza è stata la creazione di un polo tecnologico per il settore.
Sulla base delle considerazioni che precedono particolare enfasi sarà attribuita al ruolo dell’imprenditoria conciaria quale vero “viatico”
del successo del distretto di Santa Croce. Se è vero che le grandi
aziende del distretto hanno i contatti più diretti con il settore della moda e una nutrita serie di terzisti realizzano alcune fasi della produzione, questi ultimi, nel contesto di tale attività, si sono dimostrati in grado di apportare alle lavorazioni, con proprie iniziative, contributi innovativi che hanno conferito al prodotto particolari attributi in termini
di originalità e valore.
Per poter scrivere sul distretto di Santa Croce è necessario conoscerlo direttamente e a lungo, così come hanno avuto modo di farlo gli
autori: la “toscanità” che si esprime in questo sito, si concreta, al di là
dei diversi aspetti considerati, in una fattiva e redditizia collaborazione
e in un assoluto afflato con la classe lavoratrice. Chi studia
dall’esterno tale realtà può solo recepire dati di ogni genere ma che
tuttavia finiscono per restare solo delle cifre, che, pur essendo indicative per una valutazione dei risultati economici conseguiti, rimangono,
comunque, aridi numeri, tali da non poter evidenziare le ragioni del
successo. In altri termini, per poter capire il successo di questo distretto, questo, come accennato, va vissuto “dal di dentro”.
Nella presente pubblicazione, pur tenendo conto di quest’ultima
precisazione, verranno curate tutte le considerazioni di taglio dottrinale.
Il libro è il risultato di un comune sforzo di ricerca degli autori, che
sono responsabili di tutto il contenuto. In particolare Marco Giannini
ha curato la stesura dell’introduzione e del capitolo 1, dei paragrafi
2.9, 2.10, 2.11, 2.17 e 2.18 e del capitolo 3, Valentino Turini ha curato
tutti gli altri paragrafi del capitolo 2.
Capitolo I
I distretti industriali in Italia
Introduzione
Il presente capitolo intende approfondire il tema dei distretti industriali in un paese come il nostro dove continua ad avere una sua grande
importanza il settore manifatturiero. Queste realtà rappresentano sovente, per il loro retaggio storico, espressioni di arti e mestieri, pur
avendo subito modificazioni nel tempo (mutamenti del mercato, nuove tecnologie, rapporti più integrati tra piccole, medie e grandi imprese, ecc.) che hanno conferito agli stessi un volto nuovo.
Il distretto è composto da un insieme di attori distinti, ognuno dei
quali, da un lato, persegue le proprie finalità, dall’altro genera una rete
di relazioni con altri attori. Tra questi la protagonista principale resta
l’azienda:
È nel successo duraturo delle aziende che si costruisce il presupposto per lo
sviluppo dei distretti. Ed alla base del successo duraturo di un’azienda vi è la
qualità della strategia e la capacità di realizzarla efficacemente ed efficientemente; in altre parole: la qualità dell’attività imprenditoriale e manageriale.1
In tale contesto il Made in Italy è l’insieme dei prodotti e dei servizi per i quali il nostro paese presenta un elevato grado di specializzazione ed è apprezzato nel mondo per la qualità, l’innovazione, il design.
1
S. BIANCHI MARTINI (a cura di), L’azienda calzaturiera. Le prospettive di sviluppo
dell’“area lucchese”, Franco Angeli, Milano 2005, p. 65.
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L’espressione Made in Italy identifica non solo un mix di prodotti
ma anche l’insieme delle attività che sono strettamente legate all’idea
di Italian Style, espressione di gusto, arte, bellezza del territorio, cultura, creatività, senso estetico ed esclusività. Lo stesso Made in Italy è,
in realtà, un fenomeno complesso che investe diverse settori ed attività
del sistema Italia, spaziando dai beni industriali fino ai prodotti tipici
dell’agricoltura e del turismo. Quando si parla di Made in Italy si fa riferimento ad un concetto vastissimo che racchiude in sé caratteristiche
come unicità, artigianalità, qualità, originalità, attenzione ai dettagli,
creatività, inventiva e forte legame con il territorio. In effetti il Made
in Italy è un brand costruito, in particolare, sugli indicati valori immateriali dei prodotti italiani che esprimono anche il valore proprio del
territorio in cui la relativa produzione ha luogo. Valori immateriali dei
prodotti e valore del territorio, legato alle sue stesse vocazioni, alla
sua storia, alla cultura che l’hanno generato, tendono a fondersi, concorrendo alla “costruzione” della complessiva capacità attrattiva dello
stesso Made in Italy. In ogni caso il Made in Italy non rappresenta solo un brand ma anche un modello organizzativo in cui un’azienda, nata con forte legame con il territorio e con una spiccata vocazione artigianale, tende a trasformarsi in una realtà in grado di gestire le fasi di
creazione, produzione, distribuzione e commercializzazione dei propri
prodotti.
Le imprese manifatturiere del Made in Italy si possono identificare
principalmente in alcuni macro settori, quali ad esempio,
l’abbigliamento/moda, l’arredo/casa, l’agroalimentare, l’automazione/
meccanica2 nei quali l’Italia ha rappresentato da sempre un riferimento
costante per i diversi operatori presenti a livello mondiale. Un Made in
Italy che ha le possibilità di continuare ad affermarsi a condizione di
“non guardare il mondo di oggi con gli occhi di ieri”: i prodotti del
Made in Italy, oltre alle loro caratteristiche intrinseche, devono sviluppare la loro portata simbolica, essere cioè apprezzati anche per i significati che veicolano.
2
Anche nel settore dell’automazione industriale ed elettronica si è avvertita la necessità di
un marchio (“PLL Forum Made in Italy”) volto ad assicurare che la produzione venga realizzata totalmente in Italia, che i semilavorati e le varie componenti siano prodotte nel nostro
paese e che i prodotti siano conformi alle norme cogenti applicabili. Con tale marchio
l’azienda riesce a comunicare in modo corretto il valore del prodotto di qualità realizzato interamente in Italia.
I. I distretti industriali in Italia
I. I distretti industriali in Italia
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L’espressione Made in Italy evoca da sempre l’idea di una produzione artigianale ben curata. Le sue origini sono molto antiche anche
se il relativo marchio ha fatto registrare, con riferimento in particolare
ai settori dell’abbigliamento e dei relativi accessori, un significativo
sviluppo negli anni settanta e ottanta.
Il Made in Italy è sempre stato sinonimo di creatività. Una creatività, in primo luogo di natura artistica, espressione dell’estro e della fantasia; a questa si è affiancata una creatività di tipo commerciale che si
traduce nella capacità di comprendere le esigenze dei clienti e di anticiparle, offrendo un prodotto in grado di soddisfarle. In questo secondo caso elemento centrale diventa il cliente. Un’ulteriore tipologia di
creatività ha una dimensione imprenditoriale e si traduce nella capacità di prevedere gli scenari futuri nell’ambito del sistema competitivo
attuale.
Se fino ad un recente passato il concetto di Made in Italy era associabile prevalentemente alle prime due tipologie di creatività con la
sua capacità di interpretare i gusti della clientela, oggi trova un elemento di criticità proprio negli aspetti legati alle capacità imprenditoriali.
L’azienda distrettuale ha, infatti, bisogno di competenze tecniche,
imprenditoriali, manageriali. Le sue possibilità di sviluppo ma anche
di sopravvivenza dipendono in buona parte dalla sua capacità di analizzare ed interpretare i trend di evoluzione e di cambiamento:
Il rilancio dei distretti deve passare da una ricomposizione della struttura interna degli stessi e ciò non può che avvenire per effetto dell’azione strategica
di singole aziende che siano dotate di idee imprenditoriali originali, efficacemente ed efficientemente perseguite e di risorse e competenze distintive significative e tali da creare un posizionamento competitivo non solo vincente
3
ma anche sostenibile.
Un altro concetto abbinato tipicamente al Made in Italy è la qualità,
intesa in senso ampio come accuratezza (cura nelle scelte dei materiali
e nelle fasi di lavorazione), funzionalità, stile e innovatività.
Di certo, ancora oggi, l’espressione Made in Italy rappresenta un
forte elemento di richiamo, specie per i clienti esteri.
3
S. BIANCHI MARTINI, op. cit., p. 69.
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La creazione (e l’affermazione) di un marchio proprio, tuttavia, non rappresenta una condizione di successo e, in ogni caso, espone al problema della
contraffazione, in seguito al quale sul mercato vengono collocati dei prodotti
che riportano un marchio falso. Tutto ciò, come è intuibile, determina un
danno nei confronti sia della singola azienda, sia della produzione nazionale
nel suo insieme; oltre a comportare un’erosione degli utili, infatti, danneggia
l’immagine di entrambe.
Numerose, e sempre più forti, sono le richieste di intervento da parte dello
Stato, per poter porre fine a questi problemi: le aziende italiane domandano
sia una tutela dei singoli marchi, sia del marchio “Made in Italy”. Peraltro, si
può ritenere che le stesse aziende dovrebbero essere in grado di “difendersi”,
offrendo dei prodotti appartenenti alle fasce più alte, che possono essere facilmente riconoscibili come rappresentanti dell’Italian Style, senza che ci sia
bisogno di verificarne l’etichetta. Non si può pensare di poter solo aspettare
che ci sia una tutela esterna: è dall’interno che si devono ricreare le condizioni per ottenere un prodotto che sia di per sé difendibile, un prodotto dal quale
traspaia il Made in Italy, al quale sono le stesse aziende che dichiarano di essere fortemente orientate4. Ciò richiede indubbiamente uno sforzo consistente
a diversi livelli, affinché ci sia un recupero di quei valori che ad esso venivano associati. In primo luogo a livello di creatività, che rappresenta un elemento che non può essere trascurato, soprattutto anche per quanto concerne la
creatività di tipo imprenditoriale.5
Si può affermare, in definitiva, che il Made in Italy rappresenta
l’emblema del modello di industria italiana e tra gli elementi che caratterizzano tale modello, possiamo ricordare in primo luogo la specializzazione produttiva in alcuni settori chiave che contribuiscono a
creare all’estero un’immagine positiva del nostro paese. I prodotti
simbolo del Made in Italy sono attribuibili ad alcune categorie di beni,
quali beni durevoli per la cura della persona (abbigliamento, le calzature, i gioielli, ecc.), prodotti per l’arredamento (mobili, cucine, piastrelle, rubinetteria, ecc.), beni alimentari (vino, pasta, olio di oliva,
parmigiano, ecc.), l’automazione meccanica (macchine, robotica,
ecc.). Altro elemento caratterizzante è la dimensione delle imprese: il
modello del Made in Italy è, infatti, caratterizzato dalla straordinaria
prevalenza di unità di piccole dimensioni, a carattere familiare, che
presentano l’attitudine ad adattarsi prontamente alle differenziate e
mutevoli esigenze della domanda. Un terzo elemento è dato dalla diffusa localizzazione in distretti industriali, con una forte concentrazione
4
5
L’argomento verrà approfondito nel capitolo III che conclude la presente pubblicazione.
S. BIANCHI MARTINI, op. cit., pp. 226-227.
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territoriale delle filiere produttive in particolari sistemi locali che favoriscono la divisione e la specializzazione del lavoro tra le imprese ed
offrono una serie di economie esterne6 e di vantaggi alle imprese radicate al loro interno.
Riguardo il concetto di distretto industriale si riportano di seguito
alcune definizioni, salvo poi riprendere il tema nel prossimo paragrafo.
Un distretto industriale si presenta come un’aggregazione di imprese, in genere di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzato in una o
più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico.7
Si può rilevare come questa definizione si attagli alle caratteristiche
del distretto oggetto di specifici approfondimenti nel presente volume
e che risulta unico per la natura del bene prodotto: la pelle.
Sebbene il modello di sviluppo industriale basato sui distretti non
sia un’esclusiva italiana, lo stesso ha trovato nel nostro paese le condizioni ideali per la sua affermazione sin dagli anni ’70, contemporaneamente alle prime avvisaglie di crisi della grande impresa. Sono, infatti, venute meno le condizioni di crescita espansiva della domanda di
mercato, di abbondanza di risorse disponibili, di stabilità monetaria
sulle quali si era basato lo sviluppo industriale degli anni ’60. Molte
grandi imprese intrapresero la strada di una profonda riorganizzazione,
avviando azioni di decentramento produttivo, sfruttando le possibilità
offerte dalla specializzazione e dalla divisione del lavoro tra imprese
di uno stesso settore. Ciò ha contribuito alla crescita di un “tessuto” di
piccole imprese fortemente radicate con un’attività produttiva “tradizionale”, in aree geografiche ristrette e che ha raggiunto gradualmente
rilevanti quote di mercato in produzioni di nicchia.
Il distretto presenta, altresì, una sua connotazione giuridica, riconosciuta dalla Regione competente per territorio.
In Italia, la prima legge che ha disciplinato i distretti industriali è la n. 317 del
5 ottobre 1991 “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole im6
Le economie esterne sono riconducibili alla specializzazione produttiva di quelle aziende che, con la loro manodopera, i loro macchinari, le loro esperienze maturate su quel tipo
particolare di attività che viene ad esse commesse, sono in grado di garantire minori costi e
maggiore qualità del singolo componente commissionato.
7
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prese” che all’art. 36, comma 1, definisce i distretti industriali quali “aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con
particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle
imprese”. L’obiettivo è quello di individuare le aree del paese a più forte vocazione industriale e promuovere, in queste aree misure di politica di sviluppo industriale e territoriale al fine di sostenere la crescita di sistemi produttivi
che soffrono i limiti dimensionali delle imprese che li compongono. Al riguardo, per le aree distrettuali è consentito il finanziamento da parte delle regioni, in base a un contratto di programma stipulato con le regioni medesime,
le quali definiscono le priorità degli interventi. Il comma 2 dello stesso art. 36
affida alle regioni il compito di individuare le aree distrettuali sulla base di
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una serie di criteri.
In seguito, con la legge n. 140 del 1999 è stato modificato l’articolo
36 della predetta normativa, senza peraltro che tale nuovo intervento
comportasse un decollo operativo della disciplina sui distretti industriali. Interventi normativi successivi hanno previsto misure di natura
fiscale, amministrativa e finanziaria a favore degli stessi distretti.
Dopo aver analizzato il concetto di distretto industriale, riteniamo
fare riferimento ad altre forme di aggregazioni di organizzazioni (tecnologiche, scientifiche, culturali) che non presentano, comunque, tutte
le caratteristiche proprie di un distretto industriale (ad esempio, il collegamento con tradizioni artigianali anche lontane nel tempo). Per una
migliore comprensione dei termini richiamati, di seguito questi saranno passati in rassegna al fine di individuarne le rispettive peculiarità.
Approfondendo il tema dei distretti industriali ne saranno esaminate le implicazioni in termini di governance e di impatti ambientali.
1.1. I distretti industriali e le loro caratteristiche
Nel tempo il tema dei distretti industriali è stato un argomento di ricerca di particolare importanza in un paese come il nostro caratterizzato da una grande diffusione delle piccole e medie imprese.
Il distretto industriale è
8
S. TOMMASO, Distretti e reti di imprese. Evoluzione organizzativa, finanza innovativa,
valutazione mediante rating, Franco Angeli, Milano 2009, p. 69.
I. I distretti industriali in Italia
I. I distretti industriali in Italia
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un’area territoriale con un’alta concentrazione di piccole e medie imprese industriali ad elevata specializzazione produttiva, generalmente caratterizzate
da un’intensa interdipendenza dei loro cicli produttivi e fortemente integrate
con l’ambiente socio-economico locale che le ospita.9
Considerando appunto le realtà distrettuali italiane molteplici ricerche hanno fatto emergere le difficoltà di poter ricondurre la grande varietà delle forme distrettuali ad un modello onnicomprensivo.
In ogni caso,
la competitività dei distretti industriali deriva dalle modalità di organizzazione produttiva secondo il modello di specializzazione flessibile, per cui il ciclo
produttivo è scomposto in fasi e ciascuna impresa si specializza
nell’esecuzione di una particolare fase produttiva garantendo riduzione dei
costi, flessibilità e capacità di innovazione.10
La letteratura sul tema è molto ampia con una ricca raccolta di analisi empiriche. Tra i diversi approcci teorici si riportano di seguito solo
dei cenni ad alcuni di questi.
a) Approccio neo-marshalliano
Già nei Principles of Economics, l’economista inglese Alfred Marshall si interrogava sulla presenza di industrie specializzate concentrate in località particolari, quali quella tessile presente nel diciannovesimo secolo nel Lancashire del sud e mettallurgica nell’area di
Sheffiled e Solingen. Osservando tali realtà produttive Marshall notava che in certi contesti i vantaggi della produzione su larga scala
possono essere conseguiti raggruppando in un’area geografica circoscritta un gran numero di piccoli produttori. L’elevata concentrazione
di imprese, le infrastrutture, la specializzazione della manodopera e
l’“atmosfera industriale” vengono viste come le determinanti di quella parte dei rendimenti crescenti che non trova spiegazione nelle economie di scala interne o nell’introduzione di innovazioni sostanziali.
L’accezione marshalliana di distretto industriale poggia sul concetto
chiave di economie esterne già citato in nota. Secondo Marshall le
economie esterne sono conseguibili dai piccoli produttori purché essi
siano concentrati ed il processo produttivo sia scomponibile in fasi. Il
concetto di economie esterne è associabile con la specializzazione e
la divisione del lavoro tra imprese, ma è anche legato all’esistenza e
9
A. RICCIARDI, I distretti dell’Osservatorio: sintesi dei fenomeni più rilevanti, in Federazione dei Distretti Italiani (a cura di), 1° Rapporto Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, Confindustria e Unioncamere, 2009.
10
S. TOMMASO, op. cit., p. 20.
Sul settore conciario
20
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alla riproduzione di un sapere locale, frutto di competenze professionali accumulate, che si riproducono e circolano grazie al delicato
equilibrio di concorrenza e collaborazione che contraddistingue i
rapporti tra le imprese. I vantaggi delle economie esterne sarebbero in
questo senso equivalenti ai vantaggi delle economie interne di scala:
nel primo caso, la divisione del lavoro avviene tra imprese specializzate su fasi diverse del ciclo mentre, nel secondo, la divisione del lavoro è attuata all’interno dell’impresa. In questo senso l’Autore rimane fedele all’idea di Smith secondo cui la ricchezza deriva dalla
divisione del lavoro. La concentrazione spaziale e la specializzazione
promuovono la riproduzione delle competenze, la diffusione della
conoscenza, l’impiego di macchinari specializzati, lo sviluppo di attività sussidiarie e complementari e la formazione di un mercato del
lavoro specializzato. In queste circostanze è possibile sfruttare i vantaggi legati alle economie esterne sia in termini di minori costi di
produzione e di transazione e sia in termini di rapida circolazione delle idee e delle informazioni che favorisce lo sviluppo del sapere ed il
progredire della tecnica.
Nella definizione marshalliana, il distretto non è considerato solo un modo
per organizzare la produzione, ma un ambiente in cui le relazioni fra gli attori
sono peculiari e rappresentative di un aggregato sociale storicamente e geograficamente determinato. L’atmosfera industriale di cui parla Marshall rappresenta in sostanza quell’insieme di “intangible asset” appartenenti al particolare contesto sociale che si traduce in maggiore conoscenza del come fare
che cosa e può diventare una barriera all’entrata per concorrenti che non operino in eguali condizioni di informazioni e coordinamento.11
Tale “atmosfera” sta, infatti, ad indicare la condivisione di linguaggi, consuetudini, cultura, conoscenze che favorisce la cooperazione e l’integrazione tra le diverse aziende. In sintesi Marshall definì il distretto industriale come un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in
un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione, ma anche
concorrenza.
Si tratta di una definizione che conserva i caratteri di un distretto, riconducibili a uno spazio economico circoscritto, alla specializzazione produttiva, al punto da identificare il territorio
stesso con un’attività produttiva e con il clima sociale che si tro11
A. SAMMARRA, Lo sviluppo dei distretti industriali. Percorsi evolutivi fra globalizzazione e localizzazione, Carocci Editore, Roma 2003, pp. 14-15.