Ethan Frome - Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi

RETI DI IMPRESE E DISTRETTI INDUSTRIALI.
LE IMPLICAZIONI PER LA DOMANDA DI SERVIZI
FINANZIARI
Pierluigi Novello, LIUC, Castellanza.
Abstract
The relationship between firms and financial insitutions could prove in coming years an important
challenge to sustain the competitiveness of local systems of small firms. The paper analyses the
elements that in the changing definition of industrial districts can have effects on the demand for
financial services. Firms belonging to districts may have special features, if compared to small firms
acting in other environments, as regards their financial needs. Three areas are identified in which
banks can contribute to the growth of local systems: financial assistance to small businesses, to leader
firms, and the restructuring of districts.
1 Le imprese operanti nei distretti: la varietà dei comportamenti e i
percorsi di crescita
Da qualche anno il modello “storico” di funzionamento dei distretti appare sollecitato
a cambiamenti strutturali, indotti dalla maturità del mercato interno, dalla crescente
pressione competitiva sviluppata dai concorrenti emergenti sulle fasce inferiori di
mercato, dall’evoluzione tecnologica.
Per i distretti industriali italiani i fattori di competitività tendono a riqualificarsi
secondo direzioni diverse, riconducibili a due grandi fronti: la riduzione dei costi e
l’ulteriore sviluppo della capacità di innovazione1.
In alcuni casi,
le imprese distrettuali appaiono impegnate in strategie di
delocalizzazione produttiva, imposte dalla necessità di ottenere risparmi di costo in
talune lavorazioni di fase piuttosto che dalla ricerca di materie prime più economiche.
In altri casi si registrano percorsi di crescita di imprese locali che mirano ad un
maggior controllo dell’intero ciclo produttivo e che portano così ad una sorta di
“gerarchizzazione” del distretto.
Nella varietà dei fenomeni in atto, molte imprese operanti all’interno dei distretti
stanno sperimentando percorsi strategici che consentano di tutelare il patrimonio di
competenze accumulate nel tempo (dall’impresa e, più in generale, dal distretto) ma
anche di presidiare efficacemente i rapporti con i mercati e di gestire in modo
efficiente il ciclo produttivo.
Il dato che emerge dall’osservazione dei distretti è che risultano di norma popolati da
imprese di piccole e medie dimensioni, operanti su ambiti competitivi ristretti e
variamente impegnate nel “far funzionare” l’intero sistema.
1
Istituto Tagliacarne (1993), Censis (1995)
1
A tale riscontro si tende ad associare una sorta di stereotipo di impresa distrettuale, i
cui caratteri distintivi risultano essere la propensione a sviluppare competenze
nell’area tecnico-produttiva predominante all’interno dell’area locale, la strutturale
debolezza nelle funzioni di commercializzazione del prodotto, la fragilità della
posizione finanziaria.
All’origine di tale “omogeneità” dei comportamenti imprenditoriali vi sarebbero
fattori quali:
 la natura stessa della formula distrettuale, che ha spinto le imprese a concentrare la
propria attenzione sulla dimensione produttiva e a distrarre energie e risorse dallo
sviluppo commerciale;
 le condizioni della domanda, che per lungo tempo hanno assicurato alle imprese
risultati soddisfacenti senza dover profondere specifiche energie nell’area
commerciale e ancor meno in quella di marketing;
 il profilo degli attori chiave dell’impresa, la loro storia e formazione culturale,
elementi che hanno facilitato lo sviluppo tecnico-produttivo ma che hanno anche
determinato un approccio “residuale” alle altre aree gestionali.
A ben vedere, tuttavia, un tale approccio non consente di cogliere a fondo la varietà e
la complessità delle imprese distrettuali e, soprattutto, di entrare nel merito dei loro
punti di forza, delle aree di vulnerabilità, delle prospettive di crescita, delle condizioni
di sviluppo.
Il dato di partenza, infatti, è che le imprese operanti in un distretto tendono a
presentare profili di comportamento diversi, in relazione al fatto che:
 si trovino o meno nella condizione di formulare in autonomia la strategia
competitiva;
 dispongano o meno di competenze distintive che consentano di alimentare un reale
vantaggio concorrenziale nei confronti dei concorrenti.
Si possono così distinguere le imprese che risultano “vincolate” su una particolare
dimensione competitiva (tipicamente la tipologia di clientela servita, che induce a
focalizzarsi sul mercato locale) rispetto alle imprese che maturano in autonomia le
scelte di posizionamento sui mercati di sbocco (quali prodotti realizzare, per quali
clienti, in quali aree geografiche, con quali canali distributivi).
Non solo, ma è anche significativo discriminare i casi in cui l’organizzazione
aziendale ha sviluppato proprie capacità distintive (ad esempio nella progettazione e
realizzazione del prodotto, nel coordinamento di flussi produttivi complessi), rispetto
a situazioni in cui si tende più a valorizzare le opportunità offerte dal contesto
anzichè ad esprimere un progetto imprenditoriale intrinsecamente originale.
Concentrando l’attenzione su quelle imprese (le “imprese guida”) che, per cultura,
mezzi e capacità strategiche, si distaccano dalle imprese distrettuali attestate su
comportamenti relativamente indifferenziati, risulta opportuno delinearne i percorsi di
sviluppo più significativi e cioè le strategie di crescita interna e le strategie di filiera.
Con riguardo alle strategie di crescita interna, si deve osservare che, nello specifico
contesto dei distretti industriali:
 è difficile rilevare la presenza di imprese orientate a sviluppare, nell’ambito di una
singola unità giuridica, un fronte di impegno strategico particolarmente ampio, in
2
termini di gamma di prodotti, di tipologia di clienti, di raggio geografico di azione,
di grado di integrazione verticale;
 accade spesso di osservare aziende che, attraverso la filiazione di nuove imprese
piuttosto che mediante acquisizioni, abbiano perseguito una strategia di crescita in
forma di gruppo.
Al di là delle motivazioni più direttamente riconducibili alla figura e al ruolo
dell’imprenditore (il timore di non riuscire a governare l’impresa quando questa abbia
raggiunto una determinata dimensione, l’esigenza di risolvere conflitti esistenti
all’interno della base familiare e altre ancora), la crescita in forma di gruppo appare
stimolata da fattori quali:
 la ricerca di elevati livelli di efficienza nell’area produttiva, mediante la creazione
di unità specializzate su singole fasi di lavorazione, al servizio del gruppo ma
impegnate anche sul mercato esterno;
 l’obiettivo di assicurare condizioni di autonomia e di flessibilità allo sviluppo
delle singole combinazioni prodotto-mercato e, al contempo, di valorizzare
sinergie commerciali, nella ricerca e sviluppo, negli approvvigionamenti, e così
via;
 la preoccupazione di agevolare i processi di riorientamento della formula
imprenditoriale, piuttosto che, se del caso, il disinvestimento dalla attività
intrapresa.
La crescita in forma di gruppo rappresenta la principale risposta dell’impresa
distrettuale alle esigenze di cambiamento imposte dall’evoluzione dei sistemi
competitivi di riferimento.
Per certi versi, infatti, l’impresa ritrova nella struttura stessa del distretto una serie di
condizioni che, mentre scoraggiano il perseguimento della crescita per espansione,
costituiscono una sorta di “humus” che favorisce la strategia di gruppo. La varietà dei
prodotti realizzati e dei mercati serviti, la complessità del ciclo produttivo, la
specializzazione delle competenze tecniche, sono fattori che allontanano l’impresa da
un modello di crescita interna e la indirizzano verso un percorso più flessibile, quale è
quello costituito dalla crescita mediante la costituzione di un gruppo. Non solo, ma la
strategia di gruppo appare stimolata anche da condizioni intrinseche al sistema come
ad esempio la conoscenza diretta degli interlocutori interessati e l’accesso alle
informazioni in merito ad aziende acquisibili.
Per quanto riguarda la seconda modalità di crescita, si deve osservare che le imprese
distrettuali trovano nel funzionamento stesso della filiera produttiva una naturale
opportunità di sviluppo.
La modalità organizzativa con cui tale percorso di crescita prende forma è quello
della costellazione, ossia di un aggregato interaziendale nel quale convergono un
numero limitato di imprese che, pur distribuendosi le fasi di lavorazione, operano con
profondi rapporti di interdipendenza reciproca al fine di realizzare un prodotto finito
complesso.
Alcune di queste imprese sono impegnate in attività di fase o complementari, altre in
attività di predisposizione di tecnologie di processo o di attrezzaggio, altre ancora in
attività terminali.
3
Proprio queste ultime assumono il ruolo di “guida” della costellazione, selezionando
le imprese da coinvolgere nell’iniziativa, coordinando i flussi produttivi, mantenendo
i rapporti con i mercati di sbocco, governando l’attività di ricerca e di innovazione.
Pur non esistendo alcun legame formale tra i membri della costellazione, esiste un
legame di fatto, tanto più solido quanto più il ruolo di capofila viene esercitato con
competenza e lungimiranza. In questi casi, infatti, la costellazione costituisce
un’opportunità di crescita per tutte le imprese coinvolte.
2. Le implicazioni sulla domanda di servizi finanziari
Nell’impostazione tradizionale, le economie distrettuali sono in grado di surrogare
efficacemente l’integrazione verticale abbattendo i costi di transazione, poiché
all’interno di tali aree si acquisisce una rilevante esperienza nella gestione dei
«contratti tipici» delle imprese coinvolte. Ciò appare particolarmente evidente a
proposito dei rapporti con il sistema bancario, in quanto consente di evitare le
strategie di tassi elevati applicati prudenzialmente dal mutuante, ovvero il
razionamento quantitativo del credito che caratterizza le aree ove il grado di rischio
non risulta percepibile con la stessa precisione.
La recente evoluzione dei distretti industriali e, al loro interno, dei comportamenti
delle imprese, inducono a ipotizzare l’esistenza, a livello di domanda di servizi
2
finanziari , di tre profili di bisogni:
 i bisogni espressi dalla popolazione di imprese locali ampiamente intesa;
 le esigenze connesse ai processi di sviluppo delle imprese guida del distretto;
 i bisogni di razionalizzazione, di valorizzazione di sinergie e, più in generale, di
sviluppo imprenditoriale, del distretto nella sua globalità.
La prima area di bisogni fa riferimento a quella vasta popolazione di imprese
distrettuali che risultano focalizzate su lavorazioni di fase o comunque su ambiti
competitivi ristretti e che manifestano resistenze ad intraprendere percorsi di crescita
dimensionale, concentrando le energie imprenditoriali e le risorse finanziarie
nell’area tecnico-produttiva.
I comportamenti e le scelte economico-finanziarie di queste imprese non si
discostano, quantomeno ad un primo livello di analisi, da quelle attuate dalle media
delle imprese di minore dimensione: attento controllo dei costi di struttura, notevole
propensione all’indebitamento, scarsa patrimonializzazione.
Se ci si colloca nella prospettiva del “funzionamento” del distretto e delle modalità di
organizzazione del sistema del valore che al suo interno si sviluppa, è possibile
osservare che gran parte delle imprese distrettuali:
 si caratterizza per il fatto di generare un valore aggiunto strutturalmente basso, in
relazione vuoi all’elevata incidenza dei consumi sul valore totale del prodotto
(basti pensare alla produzione calzaturiera piuttosto che a quella conciaria), vuoi al
forte ricorso al decentramento produttivo. In particolare, la convenienza di costo al
2
Metallo – Pencarelli (1995)
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decentramento di parte della produzione può essere ricondotta al fatto che le
imprese di subfornitura, di norma, conseguono una minore incidenza del costo del
lavoro per unità di prodotto, realizzano un dimensionamento e un’utilizzazione più
razionale e flessibile della capacità produttiva, raggiungono scale di produzione
più efficienti;
 si trova nella necessità di gestire con grande attenzione il capitale circolante, non
solo perché rappresenta la quota più rilevante del capitale investito netto, ma anche
perché in molti casi l’impresa non è in condizione di esprimere potere contrattuale
verso i clienti e si deve confrontare con mercati di approvvigionamento instabili
quando non speculativi;
 presenta una struttura finanziaria fortemente caratterizzata dall’indebitamento a
breve e dalla bassa incidenza dei mezzi propri. Come spesso accade alle imprese di
minori dimensioni, il problema di molte imprese distrettuali non sembra risiedere,
“in primis”, nello squilibrio della struttura finanziaria verso fonti di finanziamento
esterno, quanto nella sua vulnerabilità al sorgere di opportunità/necessità di
riorientamento strategico. In altri termini: il “circuito finanziario” risulta in
equilibrio fin tanto che si assiste ad una sostanziale stabilità sia nei livelli di
attività sia nei margini, mentre appare fragile nel momento in cui le vicende
imprenditoriali impongono un riorientamento della formula competitiva, indotto
vuoi dal perdurare di una congiuntura negativa (e dalle tensioni finanziarie ad essa
connessa), vuoi dal configurarsi di opportunità di crescita il cui perseguimento
imponga un fabbisogno finanziario “straordinario”.
In sintesi, il profilo strategico ed economico-finanziario delle imprese distrettuali
“tipiche”, i punti di forza e le aree di vulnerabilità in esso presenti, l’intensità delle
sfide concorrenziali cui appare sollecitato, inducono a configurare possibili interventi
degli intermediari finanziari che:
 si innestino su una rigorosa selezione di quelle imprese che risultano portatrici di
competenze “distintive” (a livello di capacità tecniche, di innovazione, di servizio,
ancorché non compiutamente valorizzate) rispetto alla più ampia popolazione
locale e che presentino la necessità/opportunità di avviare un percorso di
riorientamento strategico;
 prendano avvio dall’assistenza in fase di gestione del capitale circolante e, se del
caso, da operazioni di ristrutturazione del debito;
 mirino ad “accompagnare” le imprese selezionate verso l’assunzione del ruolo di
impresa guida oppure a farle rientrare nella sfera di attrazione di imprese già
affermate.
Venendo al secondo profilo di bisogni, si deve rilevare che lo sviluppo delle imprese
guida tende a riflettere le tipiche problematiche finanziarie connesse ai processi di
crescita delle piccole e medie imprese3, con alcune “specificità” conseguenti alla
Emblematica, al riguardo, appare la rassegna di casi aziendali proposta da Corbetta nell’ambito del
paper “Strategia competitiva delle imprese e rapporti con gli intermediari finanziari” in Forestieri –
Corbetta (1996)
3
5
appartenenza al distretto4. In particolare, tali specificità emergono a tre differenti
livelli.
Innanzitutto nell’esistenza di condizioni che facilitano la crescita esterna mediante
acquisizioni: efficacia e tempestività delle informazioni in merito alle aziende
potenzialmente acquisibili; conoscenza diretta degli imprenditori e, più in generale,
degli altri attori locali coinvolti nell’operazione; disponibilità, da qualche anno a
questa parte, di aziende acquisibili “a buon prezzo”. Sembrano dunque delinearsi
rilevanti spazi di “assistenza” alle imprese capogruppo nella gestione di operazioni di
acquisizione, in tutti i loro aspetti (analisi generale del progetto, valutazione
dell’impresa, project financing e così via).
In secondo luogo nella diffusione di modelli di crescita (tipicamente la formula della
costellazione) che, pur non caratterizzandosi per relazioni formali, coinvolgono
numerose imprese, variamente impegnate, anche sotto il profilo finanziario, a
perseguire la traiettoria di sviluppo dettata dall’impresa “terminale”. In questi casi
potrebbero essere progettati e realizzati degli interventi di supporto alla gestione
finanziaria delle imprese in filiera, rafforzando l’efficacia del modello senza
compromettere l’autonomia della singola impresa. Va da sé che questa ipotesi di
lavoro presuppone l’identificazione, all’interno del distretto, di imprese capofila
portatrici di un disegno di sviluppo imprenditoriale intrinsecamente valido e sfidante
per le altre imprese della costellazione.
Da ultimo, nell’esistenza di una sorta di “appetibilità” delle imprese distrettuali per
conferenti di capitale esterni all’area. E’ infatti interessante notare che in qualche caso
lo sviluppo dell’impresa guida passa attraverso l’apertura del capitale a partner
esterni all’area, attratti da quelle solide tradizioni manifatturiere che fanno del
distretto un centro di conoscenze produttive e tecniche, dalla disponibilità di una
manodopera qualificata con un’elevata cultura di prodotto, dalla presenza di un
indotto evoluto ed efficiente e dunque, più in generale, dalle potenzialità di sviluppo
che vengono riconosciute all’impresa ma anche al sistema in cui è collocata. Al
riguardo, è possibile configurare interventi di “collegamento” tra partner potenziali,
oltre che, se del caso, di progettazione e di gestione dell’operazione.
Con riferimento al fabbisogno di sviluppo imprenditoriale del distretto nel suo
insieme, e venendo così ad illustrare il terzo profilo di bisogni, si deve osservare che
in molte aree sistema sembrano esistere interessanti spazi per la ricerca e la
valorizzazione di sinergie tra le imprese in esse operanti.
Basti pensare:
 allo sviluppo di sinergie nell’area commerciale. Per quanto accomunate da una
stessa “produzione tipica”, le imprese distrettuali non necessariamente si trovano
in diretta concorrenza sui mercati di sbocco. Ecco allora che si configurano spazi
di iniziativa congiunta a differenti livelli: imprese impegnate su produzioni
complementari che promuovono un maggior coordinamento delle iniziative
commerciali rivolte a mercati comuni di sbocco; imprese molto simili in termini di
prodotto che avviano congiuntamente l’ingresso in un nuovo mercato; imprese che
si alleano nell’ambito di iniziative promozionali; e così via.
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Visconti (1997)
6
 Al perseguimento di economie di scala nella fase di approvvigionamento. La
rilevanza assunta dalle operazioni di acquisto e la frequente debolezza contrattuale
nei confronti dei mercati di approvvigionamento, possono stimolare la
progettazione e la realizzazione di strutture gestionali “ad hoc”.
 Allo sviluppo di know-how scarso. Nel momento in cui il sistema produttivo si
presenta vulnerabile rispetto a determinate competenze, può rivelarsi opportuno
l’avvio di esperienze pilota, di scambi di know-how, di progetti sperimentali, che
possano favorire la diffusione delle conoscenze e delle tecnologie innovative.
Più in generale, è possibile configurare interventi di “razionalizzazione” del
funzionamento del sistema, finalizzati a recuperare efficienza e a
consolidare/sviluppare il progetto imprenditoriale di cui le imprese del distretto sono
portatrici.
Un valido esempio, a tal proposito, è offerto dalla dinamica strutturale del polo degli
antifurti elettronici per auto, localizzato intorno a Varese.
Le origini del distretto risalgono agli inizi degli anni settanta e si legano alle vicende
imprenditoriali della Elettronica Scarico, l’azienda che, in virtù delle competenze
tecniche di uno dei suoi fondatori, deposita il brevetto del primo antifurto elettronico
ed avvia l’industrializzazione del prodotto.
Proprio nella fase di start-up del settore si assiste ad un’attività particolarmente
intensa di gemmazione di nuove imprese, attività determinata non solo dalle
opportunità crescenti di mercato ma anche dalle tensioni e dalle rivalità esistenti tra i
diversi imprenditori coinvolti.
Il risultato di tale dinamica di nuova imprenditorialità è che, agli inizi degli anni
novanta, il settore presenta un quadro strutturale composto da una sessantina di
imprese e da almeno 300 subfornitori.
E’ proprio in questi anni, peraltro, che emergono esigenze di cambiamento strategico
che mettono in grave crisi la competitività delle imprese locali.
Si tratta di spinte al cambiamento indotte fondamentalmente da:
 l’evoluzione nel ciclo di vita del settore: il mercato non cresce più ai tassi con cui
era cresciuto nel corso degli anni ottanta. Non solo, ma si assiste a profondi
cambiamenti nella composizione della clientela e, di riflesso, nei fattori critici di
successo: si registra una costante crescita delle vendite effettuate direttamente alle
grandi case automobilistiche, una parallela contrazione del cosiddetto after market,
una crescente rilevanza di variabili come gli standard qualitativi, il servizio,
l’affidabilità delle consegne e, non ultimo, il prezzo;
 l’evoluzione nei confini geografici della competizione: da un “bacino di utenza”
tradizionalmente composto dai Paesi Europei più avanzati, il mercato va
allargandosi ai Paesi dell’Est e a quelli Mediterranei;
 l’ingresso nel settore dei grandi gruppi elettronici europei, che hanno iniziato ad
incorporare l’antifurto nell’ambito delle parti elettroniche fornite ai costruttori di
automobili.
L’impatto che le suddette dinamiche manifestano sulle imprese locali è di non poco
conto.
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In buona sostanza, le imprese varesine di antifurti risultano sollecitate ad aumentare
la loro dimensione media, e ciò al fine di rafforzare la presa commerciale nei
confronti del mercato; di avviare dei processi di internazionalizzazione di ampio
respiro; di porsi in condizione di liberare sistematicamente risorse finanziarie
sufficienti per rendere efficaci gli investimenti in attività di innovazione; di migliorare
gli standard qualitativi e di servizio, internalizzando fasi produttive delegate ai
subfornitori.
Nei fatti, le risposte alle esigenze di cambiamento si rivelano deboli e inconsistenti: si
registra qualche operazione di acquisizione, si assiste a timidi tentativi di accordi
nell’area commerciale, si discute (e nulla più) dell’ipotesi di costituire un polo di
“ricerca congiunta”. L’unico dato certo, purtroppo, è costituito dall’amministrazione
controllata, quando non dalla chiusura, di imprese anche significative per storia e
dimensioni.
Ebbene, proprio in condizioni di settore e di mercato come quelle descritte5, sembra
emergere un possibile spazio di intervento a livello di “regia” di operazioni
complesse, che:
 individuino il fabbisogno di ristrutturazione e di sviluppo imprenditoriale esistente
all’interno del distretto;
 identifichino le possibili alternative di soluzione ai problemi evidenziati;
 aggreghino il consenso e mobilitino le risorse necessarie per il perseguimento e la
realizzazione dell’alternativa più valida.
In altri termini, non è da escludere che una guida forte e in grado di aggregare
consenso attorno ad un valido progetto di sviluppo, possa avviare, in particolare in
distretti sollecitati a cambiamenti di tipo strutturale (come nell’esempio citato del
polo varesino degli antifurti), un percorso di crescita delle imprese che rilanci la
competitività dell’intero sistema.
Va da sé che nel momento in cui tale ruolo di “architetto” del cambiamento del
distretto (e, in particolare, di insiemi significativi di imprese in esso operanti) viene
assunto in prima persona da un istituto di credito, si delineano consistenti spazi per
operazioni di vario tipo, in particolare nell’area dei servizi di consulenza: dalla
valutazione di imprese da “cooptare” nel progetto alla strutturazione di aumenti di
capitale per le imprese destinate ad assumerne la leadership, dalla ristrutturazione del
debito alla individuazione di partner finanziari piuttosto che industriali, e così via6.
Vale la pena richiamare, in conclusione, come un istituto finanziario possa avere un
ruolo nella razionalizzazione e nel rilancio di un sistema produttivo locale, se pure
non necessariamente assimilabile alla classica definizione del distretto industriale
marshalliano, anche nell’ambito di interventi di politica industriale modulati a livello
locale, secondo la recente impostazione della programmazione negoziata. . In questo
E’ interessante notare che il settore plastico in provincia di Varese, caratterizzato da oltre 1000
imprese produttrici, sembra presentare esigenze di sviluppo imprenditoriali per molti versi
paragonabili a quelle evidenziate. Si veda, in proposito, Mazzola, Visconti, 1991.
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In generale, emergono i tratti distintivi di quelle che, nel contributo di Gatti in Forestieri – Corbetta
(1996), sono state definite merchant bank di matrice industriale
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senso, l’attività delle istituzioni finanziarie svolge di fatto un ruolo di promozione
dello sviluppo
L’esperienza di riferimento è quella di Mediocredito Lombardo quale banca
concessionaria per la valutazione dei progetti di investimento relativi al contratto
d’area di La Spezia: nello svolgere tale ruolo di servizio per la Pubblica
Amministrazione, la Banca ha collaborato con le imprese locali, con quelle esterne
ma interessate ad insediarsi nell’area, con le istituzioni e le associazioni, contribuendo
ad attrarre nuovi investimenti e a rivitalizzare un’area territoriale in transizione,
agendo di fatto come “regista” del rilancio dell’area. Interessa sottolineare come le
politiche pubbliche, industriali e del territorio, non abbiano in questo caso distorto o
forzato, ma anzi assecondato e reso più fluidi, i meccanismi di mercato, raggiungendo
gli obiettivi più agevolmente e con costi sostenibili.
In sintesi, è possibile notare come, passando dal primo al terzo profilo di bisogni,
l’offerta potenziale degli istituti di credito si arricchisca di nuove dimensioni e richieda
lo sviluppo di competenze di natura “strategica” che possano supportare la formulazione
e la realizzazione di progetti di sviluppo imprenditoriale articolati e complessi. Nello
svolgimento di tale ruolo di “regia”, per altri versi, gli istituti di credito avrebbero
l’opportunità di valorizzare a pieno quel patrimonio di conoscenze consolidatosi nel
tempo proprio grazie al radicamento sul territorio.
Dal punto di vista degli operatori finanziari, si potrebbe definire nella matrice
prodotto-mercato il business della sponsorizzazione dei distretti: in quest'area sia
la dinamica dei flussi di capitale circolante netto operativo del cliente, sia i piani
industriali dell'azienda sui quali si innestano le necessità finanziarie a titolo di
capitale o a titolo di credito a medio termine sono influenzate dalla appartenenza
del cliente ad un distretto industriale, tanto che la quasi totalità dei servizi offribili
non possono prescindere da tale appartenenza. In altri termini, dall'offerta del più
semplice servizio di cash management alla proposta di ristrutturazione aziendale
con prospettiva di quotazione in una borsa estera, il punto di partenza è la
comprensione della dinamica del distretto industriale e lo specifico ruolo
interpretato nel distretto dalla impresa potenziale cliente.
Opere citate
Censis (1995), “Imprese e istituzioni nei distretti che cambiano”, Angeli.
Forestieri G. – Corbetta G. (a cura di ) (1996), “Le banche italiane dal credito al
merchant banking”, Mediocredito Lombardo.
Istituto Tagliacarne (1993), “Rapporto 1992 sull’impresa, il sistema pubblico e le
economie locali”, Angeli.
Mazzola P. - Visconti F. (1991), “Percorsi di sviluppo per la piccola e media
impresa”, in Economia e Management n. 20.
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Metallo G. - Pencarelli T. (1995), “I circuiti finanziari locali nel finanziamento delle
imprese distrettuali”, Sinergie, n. 36.
Visconti F. (1997) “Le condizioni di sviluppo delle imprese operanti nei distretti
industriali”, Egea.
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