relazione individuale di storia

Studente: Francesca Visconti
Classe 5 C
Anno Scolastico 2007-2008
RELAZIONE INDIVIDUALE DI STORIA
per l’esame di Stato
TITOLO DELLA RELAZIONE
CONFLITTO ISRAELE PALESTINA
(parte prima e seconda)
Parte prima
Dopo la guerra mondiale, il problema di come governare i territori mediorientali appartenuti all’impero
ottomano fu risolto dalle potenze vincitrici attraverso il sistema dei mandati. La Società delle nazioni,
affidò alla Gran Bretagna il mandato su Mesopotamia e Palestina, alla Francia quello sulla Siria e i
Libano. Durante la guerra la gran Bretagna aveva sollecitato la ribellione delle tribù arabiche contro il
dominio ottomano, accordandosi con Alì Hussein , emiro della mecca. Per ottenere l’adesione di Hussein
alla lotta contro i turchi, erano state fatte promesse di indipendenza, che prospettavano la creazione di
un grande stato arabo unificato, ma che poi non vennero mantenute, dato che Francia e Gran Bretagna
si erano accordate per la futura spartizione dei domini ottomani in quell’area. Cio favorì la crescita del
nazionalismo arabo, vi era la rivendicazione dell’indipendenza politica dei diversi stati arabi. I confini di
questi stati erano stati tracciati dai vincitori ma vennero accetati dai gruppi dirigenti arabi che guidavano
la lotta indipendentista. Iracheni, siriani, egiziani, algerini e marocchini, si rifacevano a un’identità
sopranazionale, espressione della “nazione araba” estesa dal Marocco alla Mesopotamia
(panarabilismo). Il panislamismo, un movimento che voleva unire contro il predominio occidentale i
popoli accomunati dall’ Islam, arabi e non arabi, ne faceva parte la Società dei fratelli musulmani, che
proponeva il ritorno alla società di basata sulla rigida applicazione della legge coranica e sull’educazione
religiosa.
Gli inglesi cercarono di non scontrarsi con i movimenti nazionalisti in maniera diretta, ma mirando ad
assicurarsi l’alleanza con le classi dirigenti locali:

Londra riconobbe l’Indipendenza dell’Egitto sotto la sovranità del re Faud I, il nazionalismo
egiziano si sviluppò sotto la guida del partito Wafd, costringendo le truppe britanniche a lasciare
il paese ad eccezione del Canale di Suez.
 In Mesopotamia fu creato l’Iraq, che comprendeva diversi gruppi etnici e religiosi. Il
nazionalismo iracheno portò all’indipendenza del paese, che però rimase ancora sotto il
controllo britannico.
 Nella penisola arabica gli inglesi riconobbero uno stato che prese il nome di Arabia Saudita.
 L’influenza britannica nell’area era completata dal protettorato sul Kuwait, dal controllo sullo
Yemen, e dai possedimenti coloniali di Aden, della Somalia britannica e dalla fascia costiera dal
Mar Rosso al Golfo Persico.
Il problema più grave era della Palestina, dove i problemi dell’indipendenza si intrecciarono con il
conflitto tra arabi ed ebrei. Mentre le comunità ebraiche e cristiane si concentravano nelle città, òa
popolazione arabo-musulmana, era prevalentemente rurale, sparsa in piccoli villaggi e in gran parte
analfabeta. Il fenomeno si aggravò perché se inizialmente i coloni ebrei usarono manodopera araba, a
seguito dei pogrom ( gli atti di violenza popolare sulle comunità ebraiche), si sviluppò un’immigrazione
da un forte desiderio di riscatto e da ideali nazionalistici e socialisteggianti. I coloni non dovevano
sfruttare manodopera locale a buon mercato, ma fare tutto da soli, anche i lavori più umili, costruendo
una sorta di economia basata sui kibbutz, fattorie collettivistiche autosufficienti. Nacquero così le prime
tensioni a livello locale fra coloni e nativi, dovute sia alle diversità linguistiche, culturali, religiose, sia a
contese di natura economica.
Allo scoppio della Grande guerra, la penetrazione sionista iniziava a preoccupare anche le classi dirigenti
palestinesi. Durante la guerra, la situazione si aggravò per l’atteggiamento della Gran Bretagna, che da
un lato faceva promesse di indipendenza a gli arabi per indurli alla rivolta contro gli ottomani, dall’altro
si accordava con la Francia per spartirsi il Medio Oriente. La dichiarazione di Balfour, considerata l’atto
di nascita del problema arabo-israeliano-palestinese. Balfour , ministro degli esteri inglesi inviò a
Rothschild, grande finanziere, una lettera in cui dichiarava che il governo britannico vedeva di buon
occhio la creazione in Palestina di un “focolare nazionale per il popolo ebraico”. La dichiarazione mirava
a legittimare la futura presenza inglese nella regione, contrastando le rivendicazioni della Francia.
Con l’insediamento ebraico crebbe l’immigrazione favorita dal governo di Londra e incentivata dalla
politica antisemita di Hitler. Qui giocò un ruolo importante l’Agenzia ebraica, che rappresentava il
movimento sionista e gli ebrei in Palestina. L’insediamento ebraico disponeva di un sistema scolastico, di
un’organizzazione fiscale autonoma, di un forte sindacato, che tutelava i lavoratori e gestiva un sistema
sanitario e varie imprese industriali e agricole. Di fronte a una comunità ebraica sempre più forte, ma
anche più separata dal contesto locale, stava una comunità palestinese sempre più divisa socialmente e
priva di direzione politica. Gli inglesi tennero un atteggiamento ambiguo, cercando di destreggiarsi fra gli
impegni presi con i sionisti e cercando di non aumentare le tensioni nel paese e non irritare le classi
dirigenti arabe. Questa politica fece scattare una rivolta araba contro i britannici e gli ebrei nel 19361939.
Nel corso della rivolta, i sionisti lasciarono a gli inglesi il compito di sconfiggere glia arabi. Il movimento
revisionista, così chiamato perché rivendicava la revisione del mandato sulla Palestina e la creazione di
uno stato ebraico su entrambe le rive del Giordano. L’organizzazione militare Igrun, che affermava la
necessità di una più decisa iniziativa militare. L’Igrun prese a organizzare attentati terroristici contro i
luoghi affollati e mezzi di trasporto arabi, originando così una sorta di “ tradizione mediorientale”, i
mercati, le stazioni degli autobus, i cinematografi, e altri luoghi pubblici palestinesi, e poi israeliani,
diventarono obbiettivi tipici.
PARTE II
Dopo la II guerra mondiale il mondo coloniale fu investito da un processo di decolonizzazione che si
intrecciò con la guerra fredda. Fu in questa fase che il Medio Oriente divenne instabile e conflittuale. Ciò
derivò da diversi fattori:




Interessi economici, legati soprattutto al petrolio.
Conflitti geopolitici, in particolare quelli fra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Conflitti locali, il più importante dei quali è stato quello arabo-israeliano-palestinese.
Il nazionalismo, che portò alcuni stati arabi a competere per il ruolo di potenza egemone su
scala regionale.
La competizione bipolare e la “guerra fredda” fece registrare un influenza americana, e negli anni
sessanta segnò una crescente penetrazione sovietica. Così le monarchie di Arabia saudita e Giordania, gli
stati del golfo Persico, l’Iran si allinearono con l’Occidente. La Libia, l’Egitto, la Siria, l’Iraq, si schierarono
con l’Unione sovietica. Si trattò, di regimi autoritari spesso a partito unico, in cui lo stato era chiamato a
giocare un ruolo centrale nel promuovere la modernizzazione del paese.
La risorsa fondamentale a questo scopo, era il petrolio, la fonte energetica che alimentò lo sviluppo
economico occidentale del dopoguerra. La produzione del petrolio era monopolizzata, dalle grandi
compagnie petrolifere occidentali, le famose “sette sorelle”: le americane Exxon, Gulf, Texano, Chevron,
l’olandese Shell e l’inglese Anglo-Iranian. Nel 1951 Mossadeq tentò di nazionalizzare la Anglo-Iranian
Oil. Si aprì una fase di disordini e un colpo di stato riportò al potere lo shah Reza Pahlavi, sicuro alleato
dell’Occidente.
Nell’area siro-palestinese, i mandati brittanici e francesi divennero indipendenti: la Siria e il Libano a
seguito di ribellioni che indussero la Francia al ritiro; la Transgiordania attraverso un trattato di alleanza
con la Gran Bretagna. Durante la guerra era proseguita l’immigrazione degli ebrei europei in fuga dallo
sterminio nazista. Nel dopoguerra maturò in occidente un clima favorevole alla creazione di uno stato
ebraico.
Secondo l’Onu, la diivisione della Palestina avrebbe dovuto realizzarsi entro due mesi dal ritiro inglese,
però gli ebrei, benché il territorio concesso fosse inferiore a quello desiderato, accettarono il
piano;palestinesi e stati arabi invece, lo respinsero. Gli ultimi mesi del mandato britannico
intensificarono il conflitto fra arabi ed ebrei, estendendo il loro controllo sui territori destinati dal piano
Onu al futuro palestinese. Il 14 maggio 1948 Gurion proclamò la nascita dello stato d’Israele con capitale
Tel Aviv. I paesi arabi non riconobbero Israele e lo attaccarono su tre fronti. Ne seguì la prima guerra
arabo-israeliana, in cui Israele sconfisse gli eserciti arabi. Gli stati arabi vennero sconfitti, anche se
l’Egitto acquisì la “striscia di Gaza” e la Transgordania inglobò la Cisgiordania, prendendo il nome di
Giordania. Gerusalemme fu divisa in due parti, l’ovest agli ebrei, l’est ai giordani.
La conseguenza più importante della guerra fu il problema dei profughi palestinesi. Il problema
palestinese assunse la forma di un conflitto fra stati, Israele e paesi arabi. Israele si irrobustì sia
economicamente che militarmente, grazie alle forniture americane e francesi, e anche dal punto di vista
demografico. Il conflitto si trascinò per alcuni anni con violente rappresaglie israeliane. Israele rifiutava
le concessioni richieste dagli arabi, restituzione dei territori occupati con la guerra a diritto di ritorno per
i profughi palestinesi, questi ultimi continuavano a negare l’esistenza dello stato di Israele.
Nasser annunciò la nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez, di proprietà anglo-francese.
Francia e Gran Bretagna decisero un’azione militare contro l’Egitto per far cadere Nasser, strinsero un
accordo segreto con Israele. La guerra condotta da Israele ma non da Francia e Gran Bretagna, fu
bloccata dall’intervento americano e sovietico.
Nella società israeliana agivano per ampliare i confini dello stato, per realizzare un “grande Israele”.
Israele scatenò un attacco aereo e terrestre contro il Sinai. In solo sei giorni l’aviazione israeliana
distrusse il nemico, mentre l’esercito esercitava un’avanzata sui tre fronti. La vittoria aveva portato
Israele a occupare l’intero Sinai con la striscia di Gaza, la Cisgiordania con Gerusalemme est e il Golan. Il
22 novembre 1967 il Consiglio di sicurezza dell’Onu approvò la risoluzione 242 che invitava Israele a
ritirarsi dai territori occupati con la “Guerra dei sei giorni” e i paesi arabi a riconoscere lo stato ebraico.
Israele oltre a liberare l’annessione a Gerusalemme est, aveva avviato la colonizzazione dei territori
ocuppati.
La “Guerra dei sei giorni” portò alla ribalta i “territori occupati” (Cisgiordania, Gaza e Golan) e i profughi
palestinesi. Le conquiste del 1967 trasformarono Israele nel paese con la più numerosa minoranza
palestinese, molti fuggirono oltre il Giordano, in Siria e in Libano, ingrossando la massa di profughi
supportati a fatica dal governo arabo. Quelli che rimasero sotto il governo d’Israele furono soggetti a un
regime d’occupazione.
Fu la conquista israeliana della Palestina a stimolare nei palestinesi la maturazione di una coscienza
nazionale e la volontà di condurre una lotta di liberazione, senza delegarla ai paesi arabi. Già nei primi
anni sessanta era nato un movimento di liberazione palestinese, articolato in varie organizzazioni, tra le
quali la principale fu al-Fatah e Arafat con l’obbiettivo di condurre la lotta armata contro Israele. La
guerriglia palestinese crebbe d’intensità dopo la “guerra dei sei giorni”, mentre al-Fatah vedeva crescere
la sua popolarità. Arafat riuscì così a prendere il controllo dell’Organizzazione per la liberazione della
Palestina (Olp).
Faceva rifornimento all’Olp il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il Fronte democratico di
liberazione della Palestina. Dalla fine degli anni sessanta si affiancò alla guerriglia una strategia
terroristica, che colpiva obiettivi sia in Israele sia nei paesi occidentali. Nel settembre 1970, il cosiddetto
“settembre nero”, il timore che l’Olp riuscisse a creare in Giordania una sorta di “stato nello stato”,
spinse il re Hussein I, a una violenta repressione, con il massacro di migliaia di profughi e militanti
palestinesi e la loro espulsione in Libano soprattutto.
Fra Egitto e Israele si svolgeva una “guerra d’attrito” nel Sinai. Il 6 ottobre 1973 la Siria e l’Egitto con
l’appoggio di Libia, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, attaccarono Israele. L’attacco fu respinto e la
controffensiva avviata. La guerra del Kippur non produsse modificazioni territoriali; ma le sue
conseguenza andarono oltre il teatro mediorientale, poiché il raddoppio del prezzo del petrolio fu una
causa della grave crisi economica degli anni settanta.