PSICOPEDAGOGIA PROF.SSA LETIZIA CARRUBBA Sommario INTRODUZIONE .................................................................................................. 6 I LEZIONE I PROCESSI DI APPRENDIMENTO E LA MOTIVAZIONE ............................................................................................................................... 10 1.1 Cosa vuol dire apprendere ............................................................................. 10 1.2 Visioni e concezioni di apprendimento: spunti di riflessione per l'insegnante ............................................................................................................................... 13 1.2.1 Finestra di approfondimento: ........................................................................ 16 1.3 L'apprendimento per condizionamento: il principio associazionista ............. 26 1.4 L'approccio cognitivista: Acquisizione ed elaborazione delle conoscenze ... 30 1.4.1 Caratteristiche dell'apprendimento in psicologia cognitiva ........................ 36 1.4.2 La social cognition ...................................................................................... 38 1.5 Come si apprende: il contributo del Costruttivismo ...................................... 42 1.5.1 Il socio-costruttivismo ................................................................................ 48 1.6 Come si apprende: il contributo dell'approccio socio-culturale..................... 50 1.7 Prospettive recenti: dall'apprendimento significativo di Ausubel alle mappe concettuali di Novak. ............................................................................................. 56 1.7.1 Finestra di approfondimento ....................................................................... 60 La teoria dell'apprendimento di Ausubel ............................................................... 60 1.8 La motivazione all'apprendimento ................................................................. 66 1.8.1 La motivazione come variabile complessa: dal comportamentismo al cognitivismo........................................................................................................... 67 1.8.2 Le dimensioni del concetto di motivazione ad apprendere ......................... 69 1.8.3 Motivazione estrinseca ed intrinseca .......................................................... 70 1.8.4 La motivazione di competenza ................................................................... 73 1.8.5 La motivazione di effectance ...................................................................... 74 1.8.6 La teoria dell'autodeterminazione ............................................................... 77 1.8.7 La teoria dell'attribuzione ........................................................................... 81 1.8.8 Stili motivazionali ....................................................................................... 85 II LEZIONE COME SI INSEGNA E COME SI APPRENDE ...................... 90 2.1 Da ― una‖ a ― più‖ intelligenze: implicazioni psicopedagogiche..................... 90 2.1.1 Finestra di approfondimento: ...................................................................... 96 Concezioni di senso comune sull‘intelligenza ....................................................... 96 2.2 La teoria triarchica di Sternberg .................................................................... 99 2.3 La teoria delle intelligenze multiple di Gardner .......................................... 104 2.4 La teoria modulare di Fodor ........................................................................ 108 2.5 Come si apprende: gli stili cognitivi ............................................................ 109 2. 6 Gli stili cognitivi in prospettiva evolutiva .................................................. 125 2.7 Gli stili di apprendimento: una finestra di osservazione per l'insegnante ... 128 2.8 Valutare gli stili: una proposta di integrazione ............................................ 135 2.9 La metacognizione: da quello che pensi a come lo pensi ............................ 136 2.9.1 Finestra di approfondimento ....................................................................... 137 Tappe nello sviluppo della competenza metacognitiva ....................................... 137 2.9.2 Finestra di approfondimento ....................................................................... 138 Lavoro scolastico e metacognizione .................................................................... 138 2.10 Indagine metacognitiva: Indicatori per la costruzione di percorsi ............. 151 2. 11 Studiare che fatica! Metacognizione e metodo di studio .......................... 165 2.11.1 Difficoltà di studio .................................................................................. 169 III LEZIONE COMPETENZE, CREATIVITÀ E INTEGRAZIONE: IMPLICAZIONI PSICOPEDAGOGICHE .................................................... 172 3.1 Tante vie per imparare: le competenze trasversali ....................................... 172 3.1.1 Imparare insieme: la dimensione relazionale dell'apprendimento ............ 180 3.1.2 Imparare sempre: la dimensione creativa dell'apprendimento .................. 185 3.2 Creatività e resilienza................................................................................... 189 3.3 Intervento psicopedagogico: racconto di un'esperienza con i bambini dell'Abruzzo ......................................................................................................... 193 3.4 Immigrazione e resilienza ............................................................................ 202 3.4.1 Favorire l'integrazione del bambino straniero a scuola ............................ 205 IV LEZIONE LA RELAZIONE INSEGNANTI-GENITORI: DIMENSIONI RELAZIONALI NEL CONTESTO SCOLASTICO ..................................... 210 4.1 Le relazioni genitori-insegnanti: modelli interpretativi ............................... 210 4.2 Insegnanti..si diventa ................................................................................... 226 4.2.1 L'insegnante riflessivo .............................................................................. 231 4.3 Guardiamoci...e partiamo! Gli stili degli insegnanti .................................... 240 4.4 Genitori a scuola: Aspettative familiari e successo scolastico .................... 244 4.5 Insegnamento e relazione di aiuto a scuola ................................................. 250 4.5.1 Il Coaching: la funzione di ― guida‖ .......................................................... 252 contenimento affettivo‖ ............................... 256 4.5.2 L'Holding: la funzione del ― 4.5.3 Il Counseling: la funzione di ― ascolto‖ ..................................................... 259 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................... 264 Introduzione Lo scopo di questa dispensa di psicopedagogia è quello di condurre il lettore sia ad ampliare le proprie conoscenze, in particolare teoriche, sia condurlo a riflettere sulle dinamiche che entrano in gioco nel rapporto insegnamento-apprendimento. L'intento è anche quello di stimolare la riflessione e di incoraggiare il docente a cercare attivamente piste di intervento e proposte operative che, supportate dalla letteratura di riferimento, possano aiutarlo ad acquisire maggiore consapevolezza riguardo l'importante compito educativo e formativo che è chiamato a compiere. La dispensa ruota intorno a quattro nuclei tematici, interconnessi tra loro, che sinteticamente potremmo presentare come segue: apprendimento, insegnamento, integrazione e relazione. Essendo principalmente rivolta ad insegnanti ed educatori non potevamo non partire dalle concezioni di apprendimento per poi giungere alla relazione insegnamento-apprendimento. L'insegnante gioca un ruolo importantissimo non solo in quanto facilitatore e cocostruttore di conoscenze insieme all'alunno, ma perchè capace di coniugare le dimensioni cognitive (che indubbiamente chiama in causa dall'apprendimento) con tutti gli aspetti legati alla sfera emotivo - affettivo e relazionale. Stare bene insieme a scuola potrebbe anche voler dire imparare in maniera diversa, prendere atto delle cosiddette competenze trasversali, dedicare maggiore attenzione al pensiero creativo e considerare dimensioni importanti, quali ad esempio: la capacità di assumere e comprendere prospettive diverse dalle proprie 6 e sviluppare flessibilità cognitiva. La dimensione relazionale, sostiene e chiude il ― cerchio‖: Winnicott sosteneva che ― il bambino non esiste‖, nel senso che non si dà alcun bambino se non in relazione con altri esseri umani e con un ambiente che sia accogliente. L'adulto significativo di riferimento, cioè l'insegnante è investito del compito di prendersi cura degli alunni dal punto di vista della crescita cognitiva, ma anche socio-affettiva. L'insegnante non è meno importante dell'alunno e per lavorare bene, deve sentirsi accettato e riconosciuto, per cui l'aspetto relazionale è da proteggere e coltivare sia nei rapporti con i colleghi che con i genitori. La relazione sostiene lo sviluppo e, come avremo modo di vedere, la collaborazione scuola-famiglia si è rivelata una delle possibili risposte per promuovere il benessere cognitivo e affettivo di bambini e ragazzi. La dispensa si articola in quattro capitoli. Nel primo capitolo vengono inquadrati alcuni temi psicopedagogici relativi ai processi cognitivi implicati nell'apprendimento e vengono descritte le principali teorie della motivazione ad apprendere e le relazioni tra motivazione, aspetti strategici e di prestazione. Le differenze individuali, trattate nel secondo capitolo, appaiono sempre più un fattore fondamentale e di cui tenere presente nel programmare e impostare l'insegnamento e lo studio. Dai risultati present in letteratura emerge l'importanza per l'insegnante di acquisire la consapevolezza che vi sono modi diversi di procedere, cioè diversi stili cognitivi e che che questi non si identificano mai con le abilità. Importante per l'insegnante è anche riuscire a riconoscere i propri stili, 7 in modo da variare sia il proprio modo di insegnare, sia l'atteggiamento nei confronti degli argomenti da insegnare, sviluppando così nei propri studenti flessibilità cognitiva. E' importante anche sottolineare come, nonostante si abbia spesso la tendenza a vedere le cose in modo unidimensionale, le persone non sono caratterizzate da un singolo stile o da un singolo modo di procedere, ma piuttosto da un profilo di stili cognitivi che in parte variano a seconda dei compiti e delle situazioni. Nel terzo capitolo, partendo dall'idea che la scuola non sia l'unico luogo in cui si apprende, ma che oltre agli insegnamenti formali vi sono anche quelli informali che si arricchiscono di emozioni, esperienze e vissuti, abbiamo ― aperto le porte‖ alle competenze trasversali. Particolare attenzione è stata dedicata alla dimensione creativa, vista sia nella sua specificità, sia come trama costitutiva di tutti i processi che portano l'individuo a superare eventuali traumi mediante un processo di ripresa attraverso attività espressive-simboliche e creative. Il costrutto di resilienza viene, inoltre, utilizzato nel corso del capitolo come chiave interpretativa per meglio comprendere le difficoltà e i traumi a cui va incontro il bambino ed il ragazzo immigrato, in particolare con l'ingresso a scuola. Nel quarto ed ultimo capitolo si affronta l'importanza dell'incontro scuolafamiglia e l'esigenza di costruire uno spazio di condivisione di intenti su cui lavorare, nel rispetto delle reciproche competenze, al fine di realizzare una collaborazione proficua che permetta la crescita e il successo formativo dei bambini e dei ragazzi. Il capitolo si conclude con alcuni riferimenti alla relazione di cura implicata nell'insegnamento. 8 La dispensa è arricchita da strumenti complementari: finestre con approfondimenti tematici, ricchi riferimenti bibliografici e note esplicative. Tali contributi intendono fornire chiarimenti, facilitare l'approfondimento e attivare una riflessione sulla possibile messa in pratica delle tematiche trattate. Concludiamo questa introduzione con alcune immagini di Lévi-Strauss con l'augurio che possano ispirare tutti noi nella pratica professionale: ― L'uomo non è come un personaggio che sale una scala, che aggiunge con ogni suo movimento un nuovo gradino a tutti quelli già conquistati, ma come un giocatore di dadi che ogniqualvolta li getta, li vede spargersi sul tappeto, dando luogo via via a combinazioni diverse. O alla maniera del cavallo degli scacchi, che ha sempre a sua disposizione svariate progressioni, ma mai nello stesso senso‖ (Levi-Strauss C. Razze e storia e altri studi di antropologia, Einaudi, Torino, 1967). Rimanendo nella metafora degli scacchi, si tratta allora di sostenere e orientare i nostri studenti non solo a compiere le mosse rettilinee della torre e dell'alfiere, ma anche le più imprevedibili mosse del cavallo, orientandole verso obiettivi positivi. 9 I Lezione I PROCESSI DI APPRENDIMENTO E LA MOTIVAZIONE 1.1 Cosa vuol dire apprendere Che cosa intendiamo con il termine apprendimento? Quando siamo certi di avere imparato qualcosa? Tutti noi fin da piccoli siamo immersi in contesti di sviluppo (famiglia, scuola) e senza neanche rendercene conto impariamo moltissime cose. Alcune delle quali sono frutto di un'istruzione di tipo formale, altre invece le acquisiamo semplicemente perchè fin dalla nascita siamo in interazione continua con gli altri. Il miglioramento degli apprendimenti è l'obiettivo storico dell'istruzione scolastica e studiare ― il modo migliore‖ di imparare, il che cosa si debba imparare (la selezione di conoscenze canoniche), le strategie e i processi mentali attivati così come le rappresentazioni che i discenti hanno dell'attività mentale richiesta, sono indubbiamente elementi rilevanti sia per la pratica educativa, sia per l'impostazione dei processi di insegnamento – apprendimento. Storicamente, per migliorare gli apprendimenti la pedagogia si è servita dei contributi teorici e applicativi provenienti dalla psicologia, primariamente cognitiva, fino a sviluppare conoscenze teoriche e applicative tali da costituire un ambito disciplinare specifico, ponte tra la pedagogia e la psicologia, qual è appunto la psicopedagogia. Apprendere, come vedremo, è un processo molto complesso che chiama in 10 causa diverse abilità, come ad esempio la memoria, la percezione, l'attenzione, il linguaggio fino ad arrivare alle abilità sociali. Per quanto riguarda l'apprendimento, la psicopedagogia studia le dimensioni psicologiche coinvolte nei processi educativi, in particolare nei processi di insegnamento e di apprendimento. Si avvale principalmente dei contributi di studio della psicologia dell‘educazione e della psicologia dell‘istruzione che coprono sostanzialmente lo stesso settore di indagine perché la maggior parte della ricerca svolta finora si è focalizzata sull‘apprendimento nei contesti di istruzione. L‘apprendimento viene generalmente definito come un cambiamento che si manifesta in un individuo per effetto dell‘esperienza. Il cambiamento può riguardare il comportamento o la conoscenza e può avvenire in modo incidentale o in modo intenzionale. L‘apprendimento nel contesto scolastico dovrebbe avvenire intenzionalmente e non come nella vita quotidiana dove si apprende senza progettazione, organizzazione e sforzo. Le principali teorie psicologiche che si sono occupate di apprendimento hanno caratterizzato la storia della psicologia dell‘educazione. Queste teorie si sono occupate di apprendimento come cambiamento nel comportamento o cambiamento nella conoscenza, esaminando nel primo caso le relazioni tra stimolo ambientale e risposte dell‘individuo direttamente osservabili; nel secondo caso le attività mentali non direttamente osservabili quali pensare, ragionare o risolvere problemi. Esistono, quindi, vari modi per descrivere un apprendimento. Ci si può soffermare solo sui cambiamenti a carico del comportamento osservabile, 11 oppure possiamo andare oltre e chiederci quali siano i processi che sia pure non direttamente osservabili, rendono possibile un apprendimento. Prima di affrontare da un punto di vista teorico i principali contributi di studio che si sono avvicendati nel tentativo di spiegare le dinamiche insegnamento-apprendimento, cercheremo di fare emergere attraverso alcune esercitazioni le concezioni implicite che tutti noi abbiamo riguardo il processo di apprendimento. Dopo aver riflettuto sul modo di intendere l'apprendimento affronteremo lo studio delle principali teorie a partire dal modello teorico comportamentista. Tale modello assume che la mente, i suoi contenuti e i suoi processi siano simili ad una scatola nera (cioè non possano essere indagati) mentre ciò che possiamo analizzare sono gli elementi osservabili, cioè il nostro comportamento prima e dopo l'avvenuto apprendimento. Sposteremo poi la nostra attenzione sui meccanismi e i processi che si desume abbiano luogo nella nostra mente nel corso dell'apprendimento. Vedremo, quindi, alcune teorie accomunate dall'assunto di base per cui ciò che avviene nel corso dell'apprendimento può essere considerato una modifica a livello della rappresentazione delle conoscenze. 12 1.2 Visioni e concezioni di apprendimento: spunti di riflessione per l'insegnante Definire cosa sia l'apprendimento potrebbe essere arduo anche per un insegnante, considerato, non a torto, ― l'addetto ai lavori‖. Ognuno di noi interpellato sul quesito darebbe sicuramente una definizione più o meno ampia e completa, magari ancorandosi ad una teoria di riferimento o ricorrendo ad una definizione da manuale. Altri ancora potrebbero rifarsi alla propria esperienza personale e professionale o intendere per apprendimento soltanto gli insegnamenti formali. Negli anni passati sono stati condotti alcuni studi che hanno portato ad identificare alcune principali concezioni che le persone svilupperebbero in relazione all'apprendimento. La differenziazione proposta da Marton risulta per noi interessante. Lo studioso divide tra visioni superficiali e profonde. Nella visione superficiale ritroviamo le tre seguenti immagini di apprendimento: accrescimento delle proprie conoscenze, memorizzazione e capacità di riproduzione delle informazioni. Da queste visioni deriva un'immagine di apprendimento di tipo riproduttivo o possiamo dire pragmaticofunzionale (cioè apprendere mi serve per saper fare, saper utilizzare, portare a termine un'attività, ecc.). Mentre nella visione profonda, troviamo immagini (e quindi definizioni di apprendimento) che intendono l'apprendimento come applicazione, come comprensione e come capacità di vedere le cose da un diverso punto di vista. Queste ultime visioni sono dette trasformative perchè 13 sottolineano l'importanza di cogliere il significato delle cose di rielaborarlo e valutarlo. Potremmo anche considerare queste diverse immagini da un punto di vista evolutivo, infatti il bambino passa da una visione superficiale in cui, per esempio, impara a memoria o impara solo ciò che gli serve nell'immediato, per passare poi nel corso dello sviluppo ad una visione più ampia in cui si studia e apprende anche per il gusto di farlo, in cui si riconosce il valore della problematicità, del confronto, la possibile coesistenza di prospettive differenti e l'apporto del ragionamento e della discussione. E' importante ricordare che la visione che ognuno di noi ha è collegata al sistema culturale di riferimento, quindi ai valori e alle attese che l'individuo percepisce nel proprio contesto di apprendimento. L'imparare però non è solo una questione di attività cognitiva (ora più superficiale ed ora più profonda) ma mette in moto aspetti emotivo-affettivi, relazionali e personali e quindi l'idea che ognuno di noi ha risente delle nostre esperienze, dei nostri vissuti e dei nostri valori. Per poter cogliere questo insieme sfumato di connotazioni possiamo ricorrere ad una serie di espedienti che consentono di risalire in maniera assolutamente non invasiva (ma anzi divertente) a quella che è la nostra rappresentazione implicita dell'apprendimento e dell'imparare. Ad esempio la prima esercitazione proposta riguarda la scelta di alcuni verbi cosiddetti mentali (cioè che fanno riferimento al lavoro della mente, come ad esempio il verbo apprendere) con l'obiettivo di comprendere ciò che spontaneamente associamo ad una certa funzione mentale. Questo ci può servire per comprendere quanto gli insegnanti che lavorano in equipe o nello stesso istituto hanno un'immagine 14 condivisa di apprendimento. Più chiaramente quando gli attori del percorso di apprendimento (insegnanti e studenti) si trovano d'accordo nel ritenere che in un certo caso imparare vuol dire acquisire informazioni (memorizzare), in altri cogliere il senso (capire), altre volte ancora cogliere delle inferenze a partire dai dati forniti (rielaborare) diventa più semplice predisporre gli apprendimenti. Cogliere le differenze ci consente di adottare atteggiamenti e strategie diversificate secondo il significato dell'imparare che è in questione. Questo significa da un lato rendere più trasparenti le finalità delle azioni di insegnamento e dall'altro lato aiutare e abituare i nostri studenti a studiare e ad imparare con maggiore consapevolezza. Le ricerche indicano che già a 7 anni i bambini hanno un'immagine precisa di apprendimento a scuola, immagine che talvolta differisce da quella che si costruiscono gli insegnanti. Per esempio gli insegnanti tendono a ricostruire gli eventi sviluppatisi durante una lezione nella sequenza in cui questi ultimi si sono verificati o in base agli obiettivi che si intendeva perseguire, mentre i bambini ricordano le situazioni di lavoro scolastico accompagnati da alti livelli di attivazione, quelli che li vedono direttamente coinvolti (lavori di gruppo, simulazioni), quelli in cui sono stati utilizzati stimoli visivi o evocativi. Altre discrepanze emergono circa le strategie di insegnamento che si ritengono pù efficaci. Riportiamo un elenco di procedure che i bambini, ma non gli insegnanti, ritengono utili: ascoltare storie raccontate dall'insegnante, lavorare in gruppo, fare esperienze di role playing, ricorrere a materiali collegati la mondo infantile (personaggi di cartoni animati). Nel complesso ritengono più efficaci 15 strategie che li coinvolgono (storie personali, immagini, ecc.) che li interpellano attivamente come co-costruttori del processo di apprendimento. Immagini e storie sono strategie che forniscono la ― cornice di lavoro‖ o lo ― sfondo‖ per la ricostruzione delle informazioni e che aiutano a collegare queste ultime all'esperienza personale in modo da renderle significative. In conclusione, i bambini costruiscono un loro senso dell'attività scolastica, senso che è parzialmente indipendente dall'azione e dalla direzione impressa dall'insegnante. Le discussioni, i disegni, i racconti possono aiutare, se focalizzati sull'oggetto ― apprendimento‖ a portare ad espressione quei significati inespressi che si sviluppano attorno a ciò che la scuola, e la vita, propongono come importante obiettivo (Antonietti, 1998). 1.2.1 Finestra di approfondimento: Definire l'apprendimento (strumenti per insegnanti e studenti) Nella finestra di approfondimento vengono presentate alcune esercitazioni/alcuni strumenti che consentono di comprendere meglio la propria concezione di apprendimento. Strumento 11 Definisco 1 Le esercitazioni riportate sono state ideate da A.Antonietti e collaboratori e pubblicate in Antonietti A. (1998), Psicologia dell'apprendimento. Processi, strategie e ambienti cognitivi, La Scuola Brescia. 16 Istruzioni: Ci sono molti verbi che possono essere considerati come sinonimi di ― apprendere‖ o di ― imparare‖. Qui sotto ne trovi un elenco. Scegli i 7 verbi che meglio si avvicinano all‘idea che hai dell‘apprendimento. ACCORGERSI; ACQUISIRE; ASSIMILARE; ATTIVARSI; CAMBIARE; CERCARE; COGLIERE; COLLEGARE; CRESCERE; INTERAGIRE; INTERIORIZZARE; INVENTARE; MEMORIZZARE; OSSERVARE; PERSONALIZZARE; RECEPIRE; RIELABORARE: RINNOVARSI; SCOPRIRE; SPERIMENTARE; TRASFORMARE I 21 verbi sono di tre tipi: Tipo A Tipo B Tipo C acquisire attivarsi accorgersi assimilare cercare cambiare cogliere collegare crescere interiorizzare interagire personalizzare memorizzare inventare rielaborare osservare scoprire rinnovarsi recepire sperimentare trasformare Dopo aver scelto i verbi, conta il numero di verbi di tipo A, B o C. Se i verbi di tipo A sono 7, 6, 5 oppure se i verbi di tipo A sono 4 e gli altri verbi sono 2 di uno dei restanti tipi e 1 dell‘altro restante tipo: restituzione A; Se i verbi di tipo B sono 7, 6, 5 oppure se i verbi di tipo B sono 4 e gli altri verbi sono 2 di uno dei restanti tipi e 1 dell‘altro restante tipo: restituzione B; Se i verbi di tipo C sono 7, 6, 5 oppure se i verbi di tipo C sono 4 e gli altri verbi sono 2 di uno dei restanti tipi e 1 dell‘altro restante tipo: restituzione C; 17 Se i verbi di tipo A sono 4 e quelli B 3 o viceversa oppure se i verbi A sono 3 e quelli B sono 3: restituzione AB; Se i verbi di tipo A sono 4 e quelli C 3 o viceversa oppure se i verbi A sono 3 e quelli C sono 3: restituzione AC; Se i verbi di tipo B sono 4 e quelli C 3 o viceversa oppure se i verbi B sono 3 e quelli C sono 3: restituzione BC; Se la scelta dei verbi A, B e C fa registrare le frequenze 3-2-2, 2-2-3, 2-3-2: restituzione ABC. Restituzione A La tua immagine mentale dell‘apprendimento è prevalentemente centrata sul processo del ricevere, dell‘immagazzinare, dell‘accumulare, del ―por tare dentro‖ di te. Tieni presente che quando si tratta di imparare qualcosa di nuovo, oltre a momenti in cui si tratta di compiere queste operazioni, vi sono momenti in cui l‘apprendimento avviene in altri modi, più attivi, che richiedono partecipazione e rielaborazione. Restituzione B La tua immagine mentale dell‘apprendimento è prevalentemente centrata sul ―f are‖, sulla ricerca, sull‘esperienza diretta. Ci sono situazioni in cui questo è l‘atteggiamento richiesto. Non dimenticare che però in altri casi sei invece chiamato ad ascoltare, a riflettere, a rielaborare. Restituzione C La tua immagine mentale dell‘apprendimento è prevalentemente centrata sull‘esigenza di comprendere, riflettere e di mettere in collegamento ciò che ti è proposto con il tuo modo di essere. Tieni presente che per raggiungere questi obiettivi sono anche ne18 cessari momenti di ricezione, di memorizzazione e momenti di partecipazione attiva in esperienze pratiche. Restituzione AB La tua immagine mentale dell‘apprendimento è centrata su due modalità: 1) ricevere, immagazzinare, accumulare, ―por tare dentro‖ di te; 2) ―f are‖, ricercare, compiere esperienze dirette. Cerca di individuare quali sono le situazioni in cui è richiesta la prima modalità di apprendimento e quali per cui è più pertinente la seconda. Non dimenticare però che in certi momenti ti è richiesta riflessione e rielaborazione personale. Restituzione AC La tua immagine mentale dell‘apprendimento è centrata su due modi: 1) ricevere, immagazzinare, accumulare, ―por tare dentro‖ di te; 2) comprendere, riflettere, mettere in collegamento ciò che ti è proposto con il tuo modo di essere. Cerca di individuare quali sono le situazioni in cui è richiesta la prima modalità e quella per cui è più pertinente la seconda. Tieni presente che per raggiungere certi obiettivi sono anche necessari momenti di partecipazione attiva in esperienze pratiche. Restituzione BC La tua immagine mentale dell‘apprendimento è centrata su due modi: 1) ―f are‖, ricercare, esperire direttamente; 2) comprendere, riflettere, mettere in collegamento ciò che ti è proposto con la tua persona. Cerca di individuare quali sono le situazioni in cui è richiesto il primo tipo di approccio e quelle per cui è più pertinente il secondo. Non dimenticare però che in certi casi sei chiamato a recepire, ascoltare ed a memorizzare. 19 Restituzione ABC La tua immagine mentale dell‘apprendimento tiene conto di vari aspetti: quelli recettivi (l‘apprendimento come ascolto e memorizzazione), quelli attivi (l‘apprendimento come esplorazione ed esperienza diretta) e quelli riflessivi (l‘apprendimento come rielaborazione personale). Cerca di individuare quali sono le situazioni in cui è pertinente ciascuno di questi tre modelli. Presentazione di strumenti per i contesti educativi Negli strumenti presentati viene chiesto di leggere con attenzione la storia e completare il racconto. I racconti prodotti possono aiutarci a individuare gli impliciti e le credenze che possediamo riguardo lo studio, la fatica, il tempo da dedicare, l'utilità ecc. I racconti possono essere messi a confronto tra docenti oppure l'esercitazione può essere proposta alla classe e le diverse versioni raccolte possono essere raggruppate per categorie in modo da cogliere le visioni e le rappresentazioni legate allo studio presenti nel gruppo classe. Strumento 2 Gli eschimesi Al suono della campanella tutti i piccoli eschimesi sono al loro banco nel grande igloo al centro del villaggio. Sono tutti eccitati e attenti perché il maestro inizierà un argomento molto interessante e importante: come si costruisce una canoa. I piccoli eschimesi sono impazienti e nei loro occhi si legge che stanno già immaginandosi di essere in estate a girare tra gli iceberg con la loro piccola canoa che si sono costruiti a scuola. Ma ci vorrà un po' di tempo per riuscire a costruire una bella canoa in cui non entri acqua e che non si rovesci al primo colpo ricevuto da una foca dispettosa. ―Cost ruiamo la canoa! Costruiamo la canoa!‖ gridano subito i bambini appena il maestro entra nell‘igloo. 20 ―Cal ma, calma!‖ -li frena il maestro- ―Capi sco il vostro entusiasmo. Vi prometto che arriveremo a costruire la canoa. Però bisognerà che voi studiate ...‖ ―St udiare? Che cosa vuol dire ‗studiare‘?‖ -chiedono stupiti i bambini. E‘ infatti la prima volta che i piccoli eschimesi sentono il loro maestro parlare di ―s tudiare‖. Tra di loro c‘è fortunatamente Erica che li può aiutare a capire. Erica è infatti una bambina italiana che adesso si trova tra gli eschimesi perché da alcuni mesi i suoi genitori, che sono degli scienziati, si sono trasferiti al Polo Nord per fare delle ricerche. Prima di andare con i suoi genitori tra gli eschimesi Erica ha frequentato da noi per alcuni anni la scuola e quindi sa che cosa vuol dire ―s tudiare‖. Se tu fossi stato/a Erica, che cosa avresti detto ai piccoli eschimesi per far capire loro che cosa vuol dire “studiare”? Come potresti spiegare a uno che non lo sa che cosa significa “studiare”? Erica ha cercato di spiegare con parole sue agli eschimesi che cosa vuol dire ―s tudiare‖ ma dagli occhi dei suoi piccoli compagni capisce di non essere stata troppo chiara. Prova allora, per farsi capire meglio, a descrivere quello che fa una persona quando studia. Come descriveresti tu lo studio? Che cosa fai tu quando studi? Dove e quando si studia? ―M a è una cosa bella o brutta studiare?‖ -domanda Squitter, il più piccolo della classe degli eschimesi. ―Ehm , come dire... Vediamo...‖ Erica non sa bene che cosa rispondere 21 Come ti senti quando studi? Che cosa provi quando studi? Che sensazioni ti fa venire in mente lo studio? Che cosa ti piace e che cosa non ti piace dello studio? Gli eschimesi sembrano soddisfatti per quello che Erica ha raccontato circa la sua esperienza con lo studio. ―Beh,adesso abbiamo le idee più chiare‖ -dicono- ―M a quello che non abbiamo ancora capìto è perché si studia‖. Erica prova a spiegare anche questo. Se tu fossi stato/a Erica, avresti detto che studiare serve per... Prova a fare degli esempi di casi in cui è stato utile aver studiato e casi in cui non è stato utile. Da quello che Erica ha raccontato loro, gli eschimesi si sono fatti l‘idea che studiare sia una cosa piuttosto difficile e perciò interrogano la bambina italiana anche su questo punto. Che cosa c’è di difficile nello studio (che cosa è difficile fare, quando si fa fatica, si incontrano ostacoli o si sbaglia, ecc.)? Quali sono i motivi (perché è difficile, perché si fa fatica)? ―M a cos‘è che può far diventare lo studio più facile?‖ chiede allora Ronfy, il più pigro della classe. 22 Che cosa si può fare per far diventare lo studio più facile? Come si potrebbe aiutare un bambino che non riesce o ha poca voglia di studiare? Che cosa si puç fare per studiare meglio? ―M a c‘è allora chi è più bravo e chi meno bravo a studiare‖ -conclude Balanzon, il primo della classe. Chi è bravo a studiare? Che cosa bisogna essere capaci di fare per riuscire bene? Secondo te, in che cosa è bravo uno che studia bene? Una persona che studia molto, che cosa sa fare soprattutto bene? Perché certe capacità sono importanti per studiare bene? ―E un o che non studia o sa studiare bene può migliorare?‖ chiede timidamente Last. Si può imparare a studiare? Come si fa? Come si imparano, potenziano, esercitano le capacità di studio? ―A bbiamo un‘ultima domanda da farti, Erica. Come farà il maestro a sapere se abbiamo studiato o no?‖ Erica, che la sa lunga anche su questo, dà agli eschimesi tutte le informazioni del caso Come si può capire se uno ha studiato o se ha studiato bene o male? Dopo tutte le spiegazioni ricevute da Erica i piccoli eschimesi hanno capito ciò che li attende per poter imparare a costruire canoe. La cosa sembra adesso un po‘ meno immedia- 23 ta, ma ne vale comunque la pena, se studiare è necessario per poter guizzare la prossima estate tra il pack (ma voi avete studiato che cos‘è il pack?) con la propria canoa. Strumento 3 Cos'è la scuola? Un gruppo di ragazzi sta dirigendosi verso un grande edificio. Con lo zainetto in spalla da cui spunta la copertina di qualche libro, camminano in fretta. Al gruppetto si affianca un tizio dall‘aria stralunata, che si capisce subito non essere dell‘ambiente, il quale chiede: ―M a dove andate così di corsa?‖ Un ragazzo risponde sbrigativo: ―Ascuola‖. "A scuola?‖ il tizio pare non aver inteso. ―Sì , a scuola‖ ripete il ragazzo, sempre camminando di fretta. ―Ascuola? Ma a fare che?‖ la domanda del tizio pare proprio impertinente. ―Siva a scuola per imparare‖ è la risposta spazientita. ―M a che cosa vuol dire imparare?‖ quel tizio sembra proprio che non sappia che cos‘è la scuola. 1- Se tu fossi stato nel gruppo di quei ragazzi, che cosa avresti risposto? Che cosa vuol dire “imparare”? Come potresti spiegare a uno che non lo sa che cosa significa “imparare”? ………………………………………………………………………………………………… ………........................................................................................................................................ .................................................................................................................................................... ―M a a che cosa serve imparare?‖ domanda ancora il tizio, sempre inseguendo il gruppetto dei ragazzi. ―Ehm , come dire ... Vediamo ...‖ A questo punto qualche altro ragazzo vuole 24 intervenire. 2- Se tu fossi stato nel gruppo avresti detto che imparare serve per ... ………………………………………………………………………………………………… ………........................................................................................................................................ ……………………………………………………………………………………………….... Da quello che i ragazzi hanno detto, il tizio si è fatto l‘idea che imparare sia una cosa piuttosto difficile e perciò continua a interrogare i malcapitati anche su questo punto: "Che cosa si può fare perché imparare diventi più facile?‖ 3- Tu che cosa avresti risposto? ………………………………………………………………………………………………… ………........................................................................................................................................ .................................................................................................................................................... ―M a c‘è allora chi è più bravo e chi meno bravo a imparare‖ conclude il tizio. 4- Chi è bravo a imparare? Che cosa bisogna essere capaci di fare per riuscire bene a imparare? Che capacità sono importanti per imparare bene? ………………………………………………………………………………………………… ………........................................................................................................................................ ………………………………………………………………………………………………… ………....................................................................................................................... ―U n‘ultima domanda‖ il gruppetto è arrivato ormai alla porta dell‘edificio ―Com e si fa a sapere se uno ha imparato?‖ 5- Come si può capire se uno ha imparato? ………………………………………………………………………………………………… 25 ……........................................................................................................................... ………………………………………………………………………………………………… ………........................................................................................................................ ―Sent a, non abbiamo più tempo per risponderle. Se proprio vuol sapere tutte queste cose, venga qui dentro con noi" 1.3 L'apprendimento per condizionamento: il principio associazionista Le teorie classiche sull'apprendimento si sono sviluppate prevalentemente in ambito comportamentista. Il comportamentismo (o behaviorismo) è la teoria psicologica egemone in campo sperimentale negli stati Uniti dagli anni Venti fino agli anni Cinquanta-Sessanta. Tra i principali esponenti ricordiamo J.B. Watson, E.L. Thorndike e B.F. Skinner. Il comportamentismo nasce ufficialmente nel 1913, con la pubblicazione del saggio di Watson Psychology as the behaviorist views it. La tesi fondamentale del behaviorismo afferma che oggetto della psicologia è, deve essere, il solo comportamento osservabile. Questa definizione dell‘oggetto della disciplina rappresenta una radicale rottura rispetto alla tradizionale visione della psicologia come studio della ― psiche‖, termine greco che indica l‘anima, la mente, la coscienza. In questo senso, il behaviorismo si oppone radicalmente al metodo dell‘introspezione, sostenuto da Wundt e dai suoi seguaci, che viene considerato completamente fallace. 26 Dietro a questa definizione, vi è un‘opzione teorica e metodologica molto precisa, ossia il tentativo di costruire la psicologia come disciplina scientifica secondo il modello delle scienze naturali. Il behaviorismo ha infatti riferimenti filosofici molto precisi nell‘epistemologia neopositivista che proponeva un modello di scienza basato sul confronto con dati empirici intersoggettivamente verificabili e misurabili. La trasposizione in psicologia di questi assunti determina l‘esclusione della sfera psichica (ossia della coscienza, del pensiero, delle credenze personali, delle intenzioni, delle emozioni, ecc.) dall‘ambito della scienza. Il mondo psichico, che rappresenta il campo privato e soggettivo per antonomasia, non è suscettibile di indagine scientifica. Il campo di indagine del behaviorismo si limita quindi al comportamento osservabile. La mente umana è considerata dal comportamentismo come una scatola nera (black box), in quanto i suoi processi e contenuti non sono empiricamente osservabili. Per contro, molti studi sono dedicati alla psicologia animale, attraverso i quali si mettono in luce i meccanismi dell‘apprendimento. Si definisce apprendimento ogni modificazione relativamente stabile del comportamento di un organismo in seguito ad un‘esperienza. Il modello esplicativo fondamentale del comportamentismo, che spiega i meccanismi dell‘apprendimento, è il modello Stimolo (S)-Risposta (R), basato su uno schema causa-effetto. Lo stimolo riguarda l‘impatto che l‘ambiente ha sull‘individuo, mentre la risposta è la reazione dell‘individuo all‘ambiente. Un 27 determinato stimolo (per esempio una certa condizione ambientale) causa in un certo organismo una determinata risposta (il comportamento osservabile). Il principale meccanismo attraverso il quale si realizza l‘apprendimento è, secondo i comportamentismi, il condizionamento. Per condizionamento si intende lo stabilirsi di una connessione fra due tipi di stimoli, dei quali l‘uno adeguato a provocare una risposta (stimolo incondizionato) e l‘altro inadeguato (stimolo condizionato); quando la connessione si stabilisce, lo stimolo inadeguato diviene capace di provocare da solo la risposta stessa. Si distinguono diverse forme di condizionamento; le principali sono il condizionamento classico ed il condizionamento operante. Il condizionamento classico, studiato dal fisiologo russo Pavlov (18491936) nei suoi famosi esperimenti sui cani, consiste nella presentazione congiunta di uno stimolo artificiale (il suono di un campanello) e di uno stimolo naturale (il cibo), atto a provocare una certa risposta fisiologica nel cane (la salivazione). Dopo un certo numero di presentazioni associate, il solo stimolo artificiale (il suono del campanello) diviene sufficiente per provocare nel cane la risposta (salivazione), detta per questo condizionata, che normalmente si verifica solo nel caso della presentazione dello stimolo naturale (il cibo). Un meccanismo fondamentale su cui si basa il condizionamento è il rinforzo. Il rinforzo consiste nella presentazione di stimoli che costituiscono delle ricompense (per esempio un cibo molto buono) o delle punizioni (per esempio una scarica elettrica), atte a provocare la risposta desiderata. 28 Mentre nel condizionamento classico la risposta segue alla presentazione dello stimolo, nel condizionamento operante, studiato da Skinner nei suoi esperimenti sui topi, quest'ordine è invertito. La risposta precede infatti lo stimolo, che è fornito dallo sperimentatore solo in un secondo tempo, come rinforzo volto a fissare la risposta stessa. Così Skinner pone i suoi topi in una gabbia-labirinto, lasciandoli liberi di cercarsi il cibo attraverso tutti i tentativi possibili. Uno solo di questi è però efficace per l'ottenimento del cibo (rinforzo positivo) e solo quando l'animale emette la risposta adeguata avviene l'erogazione della ricompensa. Il meccanismo di apprendimento di una certa risposta è basato sulla connessione di essa con una ricompensa. Attraverso i meccanismi (concettualmente analoghi a quelli del condizionamento, anche se più complessi) di apprendimento e rinforzo, il behaviorismo ritiene di poter spiegare fenomeni umani complessi, quali l'aggressività, lo sviluppo linguistico, la socializzazione. Da questo punto di vista, esso tende ad accreditare una concezione dell'uomo come totalmente passivo e plasmabile da parte dell'ambiente, attraverso la manipolazione di stimoli opportuni. Scrive Watson (1914): ― Datemi una dozzina di bambini normali, ben fatti, ed un ambiente opportuno per allevarli e vi garantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare un qualsiasi tipo di specialista io voglia selezionare, indipendentemente dalle sue attitudini, simpatie, inclinazioni, capacità, vocazioni‖. Il modello behaviorista appare oggi del tutto insoddisfacente, benché, a onor del vero, un comportamentismo radicale sia rintracciabile solo in Watson. Autori come Hebb e Tolman elaborano un modello in cui tra stimolo e risposta 29 compare la mediazione dell'organismo, aprendo la strada per il superamento del radicale antimentalismo watsoniano. L'inadeguatezza del modello comportamentista a rendere ragione dei fenomeni più specificamente umani (per esempio, cognizioni, volizioni, ragionamento ecc.) porta alla nascita e allo sviluppo del cognitivismo. 1.4 L'approccio cognitivista: Acquisizione ed elaborazione delle co- noscenze L‘approccio cognitivista, si è affermato nell‘ambito della psicologia sperimentale statunitense e inglese degli anni 50 ed ha rappresentato, in particolare dagli anni '70, la prospettiva dominante sulla cognizione, sullo sviluppo e sull‘apprendimento anche nell‘ambito della psicologia dell‘educazione. Il cognitivismo2 studia i processi di elaborazione dell’informazione, come 2 Con il termine cognitivismo si indica una linea di ricerca della psicologia che nasce negli Stati Uniti intorno agli anni Sessanta, la cui data ufficiale d'inizio è convenzionalmente fissata nel 1967, anno della pubblicazione del libro di Neisser Cognitive Psychology (tr. it. 1976). La psicologia cognitivista si configura come una psicologia mentalistica, contrapponendosi al comportamentismo ed alla visione della mente come scatola nera. Alcuni autori considerano il cognitivismo una diretta filiazione del comportamentismo, che negli anni Cinquanta deteneva ancora il predominio della psicologia sperimentale americana: secondo tale interpretazione i primi cognitivisti erano dei comportamentisti appartenenti ad una nuova fase. In effetti, autori come Hebb e Tolman avevano elaborato e introdotto, nel modello behaviorista di spiegazione del comportamento, concetti - come quelli di ― variabili intervenienti‖ e di ― mappe cognitive‖ - che si interponevano tra lo stimolo e la risposta, anticipando tematiche tipiche del cognitivismo. Tuttavia col tempo si sono evidenziate profonde differenze tra i due orientamenti; il cognitivismo va progressivamente contrapponendosi in modo sempre più netto al comportamentismo, di cui mette in luce incongruenze e limiti, criticandone l'incapacità di spiegare il comportamento umano al di fuori dal laboratorio e configurandosi essenzialmente come un suo superamento. 30 ad esempio la trasformazione, la riduzione, l' immagazzinamento e il recupero che soggiacciono all‘esecuzione di attività cognitive complesse, quali il comprendere, il ricordare, il ragionare, il risolvere problemi (gran parte del lavoro scolastico). Di seguito vedremo quattro assunti fondamentali comuni alle teorie e ai modelli dell‘approccio cognitivista. 1. L’attività mentale consiste nella processazione dell’informazione: le Il cognitivismo propone infatti un modello di organismo opposto a quello comportamentista, ponendo al centro dello studio psicologico non più il comportamento ma la mente, considerata come un sistema organizzato di strutture e processi che elaborano i dati provenienti dall'esterno. L'uomo viene concepito non più come un'entità passiva ma come un soggetto attivo, guidato dalla sua attività mentale. La nozione comportamentista di ― stimolo‖ viene sostituita da quella di ― informazione‖; il modello stimolo-risposta viene rimpiazzato da sofisticati modelli basati sull'organizzazione gerarchica dei processi mentali. L'analisi si focalizza sulle modalità con le quali l'uomo raccoglie informazioni dal mondo circostante, attribuisce ad esse significato, le elabora e conseguentemente interagisce con esso. Secondo una celebre definizione di Neisser (1967), ― la psicologia cognitiva si occupa di tutti quei processi per mezzo dei quali l'input sensoriale viene trasformato, ridotto, elaborato, immagazzinato, recuperato e infine utilizzato‖. Nella costruzione di modelli del funzionamento mentale dell'individuo, il cognitivismo si rifà in modo cospicuo alla cibernetica e alla teoria dell'informazione, basandosi sull'analogia tra l'uomo, visto come elaboratore attivo e trasformatore di informazioni, ed il computer; non vengono tuttavia disdegnati contributi provenienti da varie discipline quali ad esempio linguistica, antropologia, filosofia e neuroscienze, che configurano il cognitivismo come un orientamento interdisciplinare ed eclettico. Poca attenzione viene invece attribuita, almeno inizialmente, allo studio dei fattori affettivi ed emozionali nonché a quelli storicoculturali: pur riconoscendo la loro importanza, si ritiene che il prendere in considerazione tali elementi costituisca una complicazione eccessiva per la ricerca scientifica (Gardner, 1985). Oggetto privilegiato di ricerca divengono la percezione, la memoria, l'attenzione, il linguaggio, l'apprendimento, temi tradizionali di studio della psicologia, interpretati però facendo riferimento ai processi mentali sottostanti. Questi vengono concettualizzati in modelli dettagliati che ne descrivono le sequenze tipiche. Nella costruzione di tali modelli, i cognitivisti si avvalgono di simulazioni tratte dall'intelligenza artificiale e dal funzionamento dei programmi computerizzati; un tipico esempio di un simile approccio è rappresentato dal paradigma dello Human Information Processing (H.I.P.). Ciò ha talora condotto gli studiosi di questo orientamento a indagare soprattutto i micro-processi (memoria a breve e a lungo termine, riconoscimento di stimoli visivi, ecc.), utilizzando situazioni di laboratorio a volte semplici e parcellizzate (cfr. Reed, 1989). Tuttavia, in anni recenti, sono emerse linee di ricerca che, motivate dalla necessità di effettuare studi dotati di maggiore validità ecologica, si dedicano all'analisi dei macro-processi (per esempio problem-solving di problemi mal definiti), ossia all'elaborazione di situazioni complesse e significative simili a quelle della vita reale. Così i metodi utilizzati dalla psicologia cognitivista sono molteplici: si va da situazioni di laboratorio con controllo rigoroso di variabili specifiche, come la misurazione dei tempi di reazione, ad approcci di tipo più globale, come l'analisi dei protocolli in cui il soggetto sperimentale illustra verbalmente allo sperimentatore ciò che sta facendo e ciò che pensa mentre è impegnato in un compito (thinking-aloud). 31 teorie si interessano non tanto degli stadi, ma dei modi in cui il bambino rappresenta e trasforma l‘informazione, i limiti di attenzione e di memoria che influenzano la rappresentazione e la trasformazione dell‘informazione. 2. Enfasi sui meccanismi di cambiamento: sono intesi come quei processi mentali che migliorano l‘abilità di processazione dell‘informazione nel bambino. 3. Conoscenza come processo di automodificazione continua: l‘uso da parte del bambino di varie strategie in mondi familiari, quali l‘aritmetica, la lettura, dire l‘ora, aumenta la conoscenza che il bambino ha delle strategie e delle condizioni e dei limiti della loro applicazione. 4. Uso della task analysis : consiste nell‘analisi minuziosa di ciò che il compito richiede dal punto di vista cognitivo e fornisce il criterio per valutare esattamente le difficoltà di processazione. Il modo di rappresentare e processare l‘informazione dipende dal tipo di compito che l‘individuo deve eseguire. E‘, quindi, uno strumento metodologico fondamentale per la comprensione del pensiero infantile. Questo approccio fornisce scarsa attenzione ai modi in cui le abilità vengono acquisite, cioè all‘apprendimento, ma si è focalizza sull‘analisi della prestazione in abilità cognitive già acquisite. Ad esempio cosa accade quanto si ricorda di un brano di prosa, quali strategie si adottano nella soluzione di un problema, o nell‘organizzazione della stesura di un testo scritto. 32 Nel cognitivismo il funzionamento della mente umana è rappresentato mediante la metafora del computer, ovvero in termini dei processi di elaborazione dell‘informazione mediante i quali le macchine pensano. Il confronto tra pensiero umano e artificiale ha permesso di fare ipotesi sul funzionamento cognitivo dell'uomo, privilegiando l‘analisi delle strutture che regolano la processazione dell‘informazione (memoria a breve termine MBT, memoria a lungo termine MLT, processi di controllo). Per tale motivo è stata condotta molta ricerca sulla memoria, a svantaggio dell‘apprendimento. Il modello dei magazzini di memoria Atkinson e Shiffrin L‘individuo riceve le informazioni dal mondo esterno attraverso gli organi di senso, ciascuno collegato con un registro sensoriale (visivo, uditivo) dove l‘informazione viene conservata per un intervallo brevissimo (poche frazioni di secondo) e viene riconosciuta, cioè confrontata con la conoscenza depositata nel magazzino di memoria a lungo termine. Per esempio un segno viene riconosciuto come una lettera dell‘alfabeto e inserito nel magazzino di memoria a breve termine, dove l‘informazione, trasformata tramite il riconoscimento, viene conservata per qualche decina di secondi. La memoria a breve termine è il luogo in cui vengono depositate temporaneamente le informazioni su cui si sta mentalmente lavorando. Ha una capienza limitata, ovvero in media 7 unità e ha una limitazione temporale, ovvero le informazioni possono permanere solo per qualche decina di secondi e poi decadono. Infine l‘informazione passa nella memoria a lungo termine che è 33 permanente e a capacità illimitata. Qui l‘informazione viene depositata e conservata in base a tipi differenti di conoscenza (dichiarativa, procedurale) e può essere recuperata attraverso un processo di ricerca. Questo sistema di processazione dell‘informazione comprende delle componenti strutturali o di architettura, ovvero i magazzini e aspetti relativi ai processi e al controllo dei processi stessi . Tra i diversi autori, ricordiamo il contributo di Anderson (studioso di scienze cognitive) che ha elaborato una teoria della cognizione complessa, secondo il quale l‘apprendimento sarebbe riconducibile a un unico insieme di processi che coinvolgono due forme di conoscenza distinte: la conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale. Conoscenza dichiarativa: riguarda il sapere cosa. Ci consente di avere conoscenze di eventi, nomi, significati, fatti. E‘ una conoscenza di informazioni statica, che nel modello viene rappresentata da una rete semantica i cui nodi, costituiti da asserzioni o proposizioni, rappresentano gli elementi conoscitivi, come per esempio i concetti, che sono collegati tra loro mediante relazioni. La conoscenza dichiarativa è stata ulteriormente suddivisa in memoria episodica e memoria semantica (Tulving). La memoria episodica immagazzina informazioni su episodi ed eventi che hanno una collocazione temporale, consentendo di ricordare che si ha un appuntamento tra qualche ora, ecc. Un evento che entra nella memoria episodica, viene archiviato insieme alle informazioni su ciò che si è verificato prima, nello stesso momento e dopo. 34 La memoria semantica, invece, è necessaria per usare il linguaggio, comprende le conoscenze sulle parole e sui simboli verbali, sui significati, sui referenti e le loro relazioni. Ciò che viene archiviato nella memoria semantica è accompagnato dalla sua referenza cognitiva, ovvero una quantità di informazioni che viene organizzata in un‘unica informazione riferita a una classe precisa. Le due memorie sono distinte proprio dall‘organizzazione delle informazioni, in quanto nella memoria episodica le informazioni vengono aggregate in base alla vicinanza temporale, mentre nella memoria semantica le informazioni vengono aggregate in base all‘appartenenza categoriale o alla somiglianza sintattica e per questo motivo durano nel tempo. Conoscenza procedurale: riguarda il come fare, cioè il modo con cui eseguire attività semplici, complesse o di natura intellettuale. Non tutte le conoscenze procedurali immagazzinate nella memoria sono accessibili, cioè non sempre siamo in grado di spiegare il procedimento seguito per svolgere un‘operazione. La conoscenza procedurale viene rappresentata da un insieme di produzioni, ovvero regole di azione, che vengono messe in atto solo se si verificano certe condizioni. 35 1.4.1 Caratteristiche dell'apprendimento in psicologia cognitiva Secondo il modello cognitivista l'apprendimento viene inteso come un processo costruttivo, per cui apprendere non è mai un semplice immagazzinare l‘informazione, ma significa connettere la nuova informazione ad un‘informazione già presente nella memoria a lungo termine. Nel cognitivismo, analizzare il funzionamento cognitivo comporta la possibilità di aiutare un alunno ad acquisire nuove strategie, comporta un apprendimento di contenuti e di un funzionamento sul piano cognitivo ad un livello più evoluto. La conoscenza viene costruita e tale costruzione è influenzata dal modo in cui la conoscenza precedente è strutturata. Gli schemi, gli script, e i frames si riferiscono a forme di rappresentazione della conoscenza nella memoria dell‘uomo e del computer. Possiamo definire lo schema: 1) Una struttura di dati per rappresentare i concetti generici immagazzinati nella memoria. 2) Un pacchetto organizzato di conoscenze che serve a rappresentare unità singole di conoscenze riunite insieme. 3) Un insieme di concetti e di associazioni tra concetti che definisce 36 un concetto più complesso e frequentemente incontrato. Per esempio lo schema di ― faccia‖ comprende alcuni concetti (occhio, naso) e le relazioni tra questi (posizione, simmetria). Lo schema presenta delle variabili, che assumono diversi valori nelle diverse situazioni in cui lo schema viene esemplificato, infatti lo schema non specifica il colore degli occhi o la lunghezza del naso, ma solo la presenza di questi elementi. Gli schemi sono ricavati dal presentarsi ripetuto di situazioni o esempi del concetto che lo schema rappresenta e possono essere organizzati in schemi più semplici o sottoschemi. Hanno la funzione di guidare l‘organizzazione dell‘informazione in arrivo, per dare un senso a ciò che percepiamo e apprendiamo. Se l‘informazione è incompleta gli elementi che mancano possono essere inferiti per difetto attraverso lo schema. Comprendere significa verificare uno schema, cioè far comprendere i dati di una situazione ogni volta che quella situazione può essere interpretata come esempio dello schema rappresentato. Il rapporto tra schema e apprendimento: il modello di Rumelhart e Norman Rumelhart e Norman (1978) hanno proposto un modo di categorizzare l'apprendimento che in parte richiama quanto fin qui detto. L'apprendimento viene suddiviso in tre processi principali: accrescimento (accretion); creazione (structuring) e aggiustamento (tuning). Con il termine accrescimento, gli studiosi fanno riferimento al fatto che 37 apprendere significa aggiungere nuove informazioni a schemi o rappresentazioni già esistenti. Gli studiosi hanno osservato come gli studenti con difficoltà di apprendimento manchino proprio della capacità di integrare le nuove conoscenze negli schemi preesistenti. E', quindi, importante quando si insegnano nuovi concetti fare in modo che gli alunni li colleghino a conoscenze o concetti che già possiedono. Apprendere significa anche creare nuovi schemi per rappresentare le conoscenze quando uno schema preesistente è inadeguato o insufficiente. Infine nell'aggiustamento si ha il progressivo adattamento di uno schema conseguente all‘applicazione ripetuta dello schema; uno schema già esistente viene modificato in modo da adattarsi sempre meglio alle situazioni a cui si applica. I tre processi considerati non sono modalità alternative, ma tutte e tre partecipano all‘aumento e alla modificazione della conoscenza. Questo modello sottolinea la continuità di ciò che viene acquisito con ciò che è nuovo: ogni acquisizione si innesta in strutture di conoscenza già organizzate. 1.4.2 La social cognition Sempre all'interno dell'approccio cognitivista troviamo il paradigma di ricerca definito come ― approccio statunitense alla social cognition”. La social cognition americana tende, infatti, a non riconoscere la specificità degli stimoli sociali rispetto a quelli provenienti dal mondo fisico: ― sociali‖ 38 sono i contenuti della conoscenza sociale, ma i processi sottostanti sono i medesimi studiati dalla psicologia generale cognitiva (percezione, memoria, ecc.). Questa prospettiva si dedica alla ricerca di invarianti cognitive del pensiero individuale che, nonostante siano applicate a contenuti sociali, sono considerate indipendenti dal contesto sociale. In base a tali presupposti viene elaborato un modello che considera l'uomo come uno scienziato ingenuo (per le somiglianze nel comportamento e nel ragionamento con le procedure dello scienziato professionista) e come un economizzatore di risorse cognitive, il cui modo di ordinare la realtà sociale è finalizzato principalmente a semplificarla, sacrificando l'accuratezza a favore dell'efficienza. Gli aspetti emotivi e sociali sono visti in questa prospettiva come ― errori logici‖, ossia come elementi disturbanti nella costruzione della conoscenza sociale. Tra i contenuti fondamentali della social cognition, vi sono le teorie implicite di personalità ed i processi di attribuzione. Essendo uno scienziato ingenuo e un economizzatore di risorse cognitive, l'individuo seleziona le informazioni, elaborando solo quelle che gli appaiono salienti, e cade perciò inevitabilmente in alcuni errori. I più tipici sono: 1. la chiusura dell’informazione: l'individuo coglie soprattutto le informazioni che confermano i suoi punti di vista e trascura le altre; 2. la produzione della conferma comportamentale: l'individuo stimola negli altri comportamenti consoni alle proprie aspettative; 39 3. la personalizzazione (o errore fondamentale): l'individuo tende ad interpretare gli atti degli altri più in termini disposizionali (ossia attribuibili a tratti stabili di personalità) che situazionali (ossia riconducibili a fattori legati al contesto e alla situazione specifica). In conclusione, la psicologia sociale cognitiva (approccio americano alla social cognition) si caratterizza per un'impronta marcatamente individualista e per una scarsa attenzione ai contesti sociali in cui si forma la conoscenza del mondo sociale. L'approccio europeo alla social cognition, affermatosi in Europa alla fine degli anni Sessanta, grazie ad autori quali Tajfel, Turner, Doise, Moscovici, Palmonari, si pone come un indirizzo di ricerca autonomo ed alternativo rispetto all'analogo filone statunitense di cui critica alcuni presupposti considerati svianti. In particolare: - l'adozione di una prospettiva individualistica secondo la quale il comportamento sociale viene spiegato in termini intraindividuali (cognitivi e, perciò, pre-sociali); - la concezione astorica della società, come semplice aggregato omogeneo di individui indifferenziati. Ad essi, l'approccio socio-cognitivo (o psico-sociale) di stampo europeo contrappone invece una concezione interazionista del soggetto, secondo cui l'interazione sociale influenza e struttura l'azione individuale, ed un concetto di sociale come organizzato: la società è considerata come articolata in gruppi, legati da complessi vincoli e gerarchie. 40 Il comportamento individuale deve essere quindi necessariamente interpretato facendo riferimento al gruppo sociale di cui l'individuo stesso è membro. Il riconoscimento della natura organizzata del sociale implica inoltre il tentativo di costruire delle situazioni sperimentali che tengano conto dei comportamenti e delle credenze che i soggetti, in base alla posizione che occupano nel sociale, portano in sede sperimentale (Doise, 1980). Il modello di uomo che viene proposto è quello di attore della vita quotidiana: l'individuo è considerato quale membro di gruppi e particolare attenzione viene dedicata alle determinanti sociali che guidano i processi conoscitivi e al contesto sociale nel quale nascono le strutture cognitive. I processi di ordinamento della realtà presentano, secondo la psicologia sociale europea, consistenti e sistematiche differenze in rapporto alla collocazione degli individui all‘interno dei diversi contesti interattivi (Ugazio, 1988). ― Sociali‖ non sono soltanto i contenuti, ma anche l‘origine e la condivisione delle conoscenze sociali. L‘attenzione degli autori europei si focalizza in modo particolare sul processo di categorizzazione sociale (Tajfel, 1981) e sulle rappresentazioni sociali (Farr e Moscovici, 1984). L‘approccio europeo alla social cognition pone quindi al centro del proprio studio un individuo in costante interazione sociale; particolare attenzione viene dedicata alla articolazione tra i processi cognitivi e quelli sociali (Polmonari, 1989). Le due prospettive si configurano comunque non come antitetiche, ma come complementari. Alla base di esse vi è un grande inte- 41 resse in comune: lo studio e l‘analisi dei meccanismi e dei processi attraverso i quali l‘individuo percepisce se stesso, gli altri individui, la realtà. Inoltre, su un piano epistemologico, entrambi gli orientamenti considerano, seppur a diverso titolo, la realtà secondo una prospettiva di tipo costruttivista, che implica la concezione di un soggetto attivo e di una realtà non oggettivamente data ma connessa all‘osservatore. 1.5 Come si apprende: il contributo del Costruttivismo Un'altra parte del cognitivismo abbraccia una visione ― costruttivista‖ dell'uomo e, quindi, anche dell'apprendimento. Secondo il costruttivismo la realtà non può essere considerata come un qualcosa di oggettivo, indipendente dal soggetto che la sperimenta, perchè è il soggetto stesso che crea, costruisce, inventa quello che crede esista. Non siamo dotati esclusivamente di capacità reattive (classificare e organizzare le informazioni in arrivo) ma anche di abilità anticipatorie e attive. In linea generale, il termine ― costruttivismo‖ si riferisce alla posizione filosofica secondo la quale la realtà conosciuta non è pre-data alla conoscenza, ma viene in qualche modo costruita (o ri-costruita) dal soggetto conoscente. In altri termini, per questa prospettiva, ciò che si definisce ― realtà‖ (ancorché essa venga concepita come esistente a prescindere dal soggetto conoscente) non è qualcosa di univocamente e oggettivamente dato. Al contrario, ciò che si conosce è ricor- 42 sivamente connesso al soggetto conoscente: nessuna conoscenza può pertanto considerarsi ― oggettiva‖. a. A livello filosofico generale, l'origine della posizione costruttivista è da rintracciarsi nella ― rivoluzione copernicana‖ di Kant. Come è noto, Kant sostiene che il soggetto conoscente non è in grado di conoscere direttamente la realtà come è in se stessa, ma soltanto una rappresentazione soggettiva di essa, che egli definisce ― fenomeno‖ (letteralmente ― ciò che appare‖). Un fenomeno è la sintesi dell'incontro tra la realtà stessa e le strutture conoscitive dell'uomo. Queste ultime sono dette ― a priori‖, in quanto precedono e rendono possibile l'esperienza. È l'uomo, secondo Kant, a costruire veramente il mondo in quanto oggetto di esperienza e ad attribuire un ordine razionale all'informe dato sensibile, rendendo possibile la conoscenza scientifica. Sotto questo profilo, il costruttivismo si oppone alla concezione passiva e ricettiva della conoscenza sensibile, condivisa da buona parte del pensiero moderno e, in particolar modo, dall'empirismo. Il costruttivismo sottolinea il ruolo attivo del soggetto conoscente, categorizzatore e ordinatore della realtà conosciuta. b. Sul piano della epistemologia, la prospettiva costruttivista si oppone al neopositivismo. Come è noto, il neopositivismo proponeva il riferimento ai fatti empirici ed alla osservazione di essi, quale criterio ultimo di verità. 43 La posizione costruttivista sostiene invece che non esiste un'osservazione neutra, che possa prescindere da presupposti teorici. A questo proposito, Popper, uno dei maggiori esponenti dell'epistemologia contemporanea, sostiene che, se non ci fossero aspettative e ipotesi determinate dalle teorie, lo scienziato non saprebbe cosa osservare e come mettere a punto i suoi esperimenti scientifici. All‘induttivismo e al principio di verificazione, Popper (1959) contrappone il criterio della falsificabilità, secondo il quale ciò che demarca il confine tra scienza e non scienza è la possibilità, propria delle teorie scientifiche, di essere falsificate e rigettate. ― All'inizio del secolo l'epistemologia si vuole definire come scientifica proprio sulla base di una strategia di neutralizzazione del soggetto. Ma sono stati proprio gli sviluppi interni, e tecnici, delle scienze a cui l'epistemologia si ispirava per definire scientificamente il proprio metodo a delineare l'inevitabilità del riferimento al soggetto, dell'integrazione dell'osservatore nelle loro descrizioni‖ (Ceruti, 1986, p. 99). ― ... una stessa ― cosa‖ è in realtà un vero ― fascio di oggetti‖, addirittura un fascio potenzialmente infinito di oggetti, perché, a seconda dei ― punti di vista‖ da cui la si vuol considerare, essa diviene effettivamente oggetto di una scienza diversa, e i punti di vista sono moltiplicabili all'infinito. (...) ...è proprio il ― punto di vista‖ che costruisce l'oggetto di una scienza, nel senso che è l'assumere un punto di vista piuttosto che un altro, sulle ― cose‖, a collocarci all'interno di questa piuttosto che di quest‘altra scienza‖ (Agazzi, 1976, p. 11). 44 I due brani riportati mostrano chiaramente l'influenza esercitata dal costruttivismo sulla filosofia della scienza contemporanea. c. Per quanto concerne la psicologia, il ruolo attivo del soggetto nella conoscenza e nella rappresentazione della realtà viene prepotentemente alla ribalta con il cognitivismo che si contrappone al comportamentismo. Tuttavia due antesignani della posizione costruttivista in psicologia elaborano le loro teorie molto prima della comparsa del cognitivismo: Jean Piaget e George A. Kelly. Piaget , psicologo svizzero autore di numerose opere e fondatore di una scuola di pensiero e di ricerca molto feconda, si interessa prevalentemente a temi di psicologia evolutiva e in particolare allo sviluppo della conoscenza, elaborando una teoria nota con il nome di ― epistemologia genetica‖ (Piaget, 1971). Alla base del progetto dell'epistemologia genetica piagetiana sta l'idea che il fenomeno della conoscenza possa essere definito come una sorta di ricostruzione della realtà a partire dalle operazioni concrete del bambino fino alle operazioni mentali astratte dell'adulto; in altre parole, le operazioni mentali vengono da Piaget concepite come forme di costruzione (o ricostruzione) dell‘immagine della realtà. È opportuno ricordare, a tal proposito, che il programma piagetiano (teso fra l'altro a dimostrare che spazio e tempo sono categorie del soggetto) è di derivazione kantiana. Kelly elabora la prima proposta costruttivista nell'ambito della psicologia clinica e della personalità. La sua opera principale (Kelly, 1955) viene pubblicata in 45 piena epoca behaviorista e ciò determina l'isolamento scientifico e culturale dell'autore, il cui pensiero è stato riscoperto solo di recente. Punto di partenza della teoria di Kelly, piuttosto complessa, è la metafora (ripresa in seguito dal cognitivismo) dell'uomo come scienziato, il cui scopo è quello di predire e controllare gli eventi, ossia di attribuire ad essi un significato. In questa prospettiva, l'uomo crea un sistema organizzato di costrutti bipolari (per esempio bello-brutto, dipendente-autonomo, intelligente-ottuso, ecc.), attraverso i quali osserva la realtà nel tentativo di interpretarla. I costrutti sono cioè delle griglie che consentono al soggetto conoscente di dare significato alla realtà, rendendola prevedibile. Non esiste un unico modo di costruire il mondo, dal momento che l‘uomo può formarsi rappresentazioni alternative della realtà; ciascuno ha cioè la propria visione della realtà (i costrutti sono detti per questo ― personale‖), che può altresì mutare nel corso del tempo man mano che viene posta a confronto con gli eventi. Questo concetto è denominato da Kelly ― constructive alternativism‖. Sul piano clinico la teoria di Kelly consiste essenzialmente nella possibilità da parte del paziente di rielaborare, attraverso la relazione terapeutica, il proprio sistema di costrutti divenuto disfunzionale, sperimentando costruzioni alternative a quella che ha creato un disturbo. In psicologia, il costruttivismo (da Piaget e Kelly fino ai più recenti orientamenti del cognitivismo statunitense) si è tradizionalmente associato ad una concezione individualista: l‘interesse per il ruolo attivo del soggetto conoscente e per le sue strutture cognitive ha portato l‘attenzione sull‘individuo, considerato 46 avulso dal suo contesto sociale. A tal proposito alcuno autori, che in linea generale si riconoscono nell‘orientamento teorico della psicologia sociale europea, criticano questa posizione, soprattutto per quanto concerne la conoscenza del mondo sociale (― social cognition‖), tacciandola di ― costruttivismo in solitudine‖ (Carugati, 1988). Al costruttivismo individualista si oppone polemicamente il ― costruttivismo sociale‖, secondo cui la costruzione della conoscenza non è opera di singoli individui, ma è un prodotto sociale. L‘origine della conoscenza deve essere cioè ricondotta ai processi interattivi che avvengono tra persone e gruppi e al ruolo svolto dalla comunicazione nella creazione di definizioni condivise della realtà. Gergen (1985), che denomina la sua posizione social constructionism, critica il costruttivismo tradizionale, rappresentato emblematicamente dal cognitivismo. Esso si fonda su di un dualismo tra rappresentazione (soggettiva) e realtà (esterna) che, portato alle estreme conseguenze, sfocia in una sorta di solipsismo (ossia nella posizione secondo cui il soggetto conoscente, prigioniero delle proprie rappresentazioni, non è in grado di cogliere alcuna realtà esterna a sé). Il costruzionismo sociale di Gergen si basa invece su una ― epistemologia sociale‖, che, anziché porre il luogo della costruzione della conoscenza nella mente degli individui singoli, lo individua in pratiche sociali di tipo conversazionali. L‘attività costruttiva e le strutture cognitive del soggetto conoscente non vengono quindi considerate dal costruttivismo sociale in quanto ― universali‖, ossia come entità neutre legate alla essenza più profonda della mente (Palmonari, 1987) e perciò uguali in tutti gli individui appartenenti alla specie umana. Al 47 contrario, la tesi di fondo di questo orientamento e della psicologia sociale europea è che i processi di ordinamento della realtà, essendo concepiti come dipendenti dall‘interazione sociale, presentino consistenti e sistematiche variazioni in rapporto alla collocazione sociale degli individui e la contesto interattivo in cui vengono formulati (Ugazio, 1988). I referenti filosofici del costruttivismo sociale (o per dirla con Gergen, ― costruzionismo sociale‖) si trovano nel pragmatismo di Dewey e di Mead, nell‘opera dell‘ultimo Wittgenstein (1953), in quella di Bateson (1972) e di Berger e Luckmann (1966). In conclusione è possibile sostenere che, se da un lato il costruttivismo individualista può portare, come si è già detto, a una sorta di solipsismo, dall‘altro, il ritenere la conoscenza individuale un esclusivo prodotto di pratiche sociali (come sembrano affermare i sostenitori più radicali del costruzionismo sociale) può sfociare in una forma di determinismo sociologico che rischia di non riconoscere il ruolo attivo dell‘individuo nella costruzione della conoscenza. 1.5.1 Il socio-costruttivismo Come abbiamo visto la psicopedagogia, influenzata inizialmente dalla prima psicologia dell‘educazione, studiava le modalità individuali di acquisizione della conoscenza e della metaconoscenza, le componenti individuali, motivazionali e le differenze individuali nell‘acquisizione della conoscenza. Questo 48 percorso non considerava il polo culturale e delle dinamiche sociali coinvolte nell‘apprendimento. Le ricerche condotte in ambito educativo avevano quindi deluso per l'astrattezza degli studi in laboratorio, percepiti in netto contrasto con la complessità dell‘apprendimento in classe, a cui, quindi, si adattano male le generalizzazioni basate su ricerche condotte in contesti troppo differenti. Vengono per cui individuate le caratteristiche specifiche dell‘apprendimento scolastico e sorge un nuovo interesse per l‘istruzione, anche in funzione del rinnovamento dei curricola scolastici. Si afferma quindi quella che viene definita dagli studiosi la seconda psicologia dell‘educazione che riconosce il postulato del sociale (presente agli inizi del ventesimo secolo), secondo il quale la mente, il pensiero e lo sviluppo umano hanno origine nelle condizioni storiche e sociali in cui gli individui vivono (Wundt). Secondo questa prospettiva, definita sociocostruttivista, le interazioni sociali sono all‘origine della costruzione di abilità individuali e il possesso di abilità individuali di una certa complessità permette all‘individuo di partecipare ad interazioni sociali più complesse che consentono a loro volta di costruire abilità di complessità via via superiore. Vi è quindi una sorta di spirale di causalità che collega il funzionamento a livello sociale e il funzionamento a livello individuale. Questa prospettiva ha avviato negli anni ‗70 un programma di ricerca che prende le mosse dal postulato sociale con l‘obiettivo di studiare nei dettagli le 49 dinamiche con cui gli individui costruiscono i propri strumenti cognitivi grazie a interazioni sociali e come la cultura influenzi la costruzione di questi strumenti anche quando gli individui operano da soli. La psicologia sociale ci suggerisce che le dinamiche fra soggetti impegnati nella soluzione di un compito possono produrre risultati molto diversi dal punto di vista della prestazione finale e del progresso individuale che ciascun partner ne può trarre. Imitazione, conflitto, cooperazione e competizione sono nozioni utili a comprendere tale prospettiva. 1.6 Come si apprende: il contributo dell'approccio socio-culturale Secondo Bruner la realtà si crea, non si trova. La nostra cultura è il primo e più complesso prodotto della quotidiana costruzione della realtà: è questo il principio del costruttivismo socio-culturale. Nell‘approccio socioculturale troviamo il concetto di apprendistato cognitivo: l‘apprendistato cognitivo presenta due differenze rispetto all‘apprendistato tradizionale nei contesti professionali: in primo luogo il suo obiettivo è trasmettere abilità cognitive e metacognitive attraverso l‘esecuzione di compiti e la risoluzione di problemi, mentre l‘apprendistato tradizionale si riferisce all‘acquisizione di comportamenti concreti e di abilità manuali legate alla produzione di oggetti. Collegata al concetto di apprendistato vi è l‘idea che la conoscenza è situata nei contesti in cui la elaboriamo e non può essere appresa se 50 staccata artificiosamente da essi; la conoscenza è, quindi, distribuita tra le persone e negli strumenti che esse utilizzano nello svolgimento delle attività. Il tema dell‘apprendimento, attraverso l‘interazione fra soggetti il cui livello di sviluppo o di conoscenze non è paritario, è stato ripreso nel 1989 e ha dato vita al paradigma dell‘apprendistato cognitivo con Brown e Campione. Richiamandosi all‘elaborazione teorica vygotskiana propongono la costruzione di un ambiente di apprendimento denominato community of learners (COL) che si basa sulla metafora dell‘apprendistato cognitivo. La classe, partendo da problemi ― reali‖, mette in atto dei processi di elaborazione volti a costruire soluzioni, in modo che ogni studente possa divenire un esperto. I principi base di una COL sono: le comunità pratiche, in cui ogni membro della comunità, svolgendo attività di ricerca, e divenendo quindi un esperto, può fungere da insegnante nei confronti dei propri compagni; la struttura dialogica, infatti, le Col si configurano come comunità in cui gli spazi di discussione di gruppo hanno la funzione di favorire le decisioni sul percorso di conoscenza da intraprendere, in modo tale che gli obiettivi di apprendimento siano consapevoli per tutti e quindi intenzionali. Tali spazi hanno, inoltre, la funzione di condividere la conoscenza elaborata individualmente o per piccoli gruppi, consentendo così l‘approvazione delle idee altrui, legittimando le differenze individuali, assunte come risorsa da mettere in gioco nella comunità, infatti ognuno può trovare un ruolo e uno spazio di partecipazione per contribuire alla conoscenza comune. Nelle COL le attività mirano ad affrontare problemi reali di conoscenza riferiti ai loro contesti, e la valutazione della conoscenza sviluppata viene realizzata secondo criteri trasparenti a tutti 51 i partecipanti. L‘attività in una COL prevede momenti di riflessione sull‘attività svolta, orientati a prendere consapevolezza dell‘efficacia delle strategie utilizzate e a introdurre quindi delle modifiche per ottimizzarle. In una classe costruita secondo la prospettiva della COL, tra gli attori-partner, oltre agli studenti e agli insegnanti, si prevede la possibilità di coinvolgere degli esperti esterni alla scuola, scelti sulla base dei problemi su cui il gruppo-classe sta lavorando. Gli studenti sono chiamati a svolgere attività molto differenziate tra loro: analizzare fonti diverse, fare esperimenti, produrre materiali utilizzando diversi media, spiegare e commentare i propri lavori a fare da consulenti e supervisori del lavoro altrui, interagendo con compagni e adulti di pari o diverso livello di competenza. Gli studenti entrano nel ruolo di ricercatori, in quanto non sono solo utenti di conoscenze già esistenti ma sono chiamati a produrne essi stessi. Un elemento fondamentale in questo processo è la dimensione collaborativa: agli studenti è richiesto di cooperare con gli altri a vari livelli, nel proprio gruppo di lavoro, con altri gruppi, con l‘insegnante e con altre comunità scolastiche e non, grazie anche all‘uso del computer che permette di collaborare a distanza. Gli insegnanti hanno un ruolo strategico: organizzare l‘attività della classe, favorire l‘individuazione degli oggetti di indagine e mantenere il lavoro sugli argomenti e sugli obiettivi individuati; essi forniscono le istruzioni per avviare le nuove attività, hanno un‘iniziale funzione di modeling (si offrono come modello per esemplificare lo svolgimento dell‘attività) e supervisionano lo svolgimento delle attività fornendo eventuali ulteriori istruzioni. Gli insegnanti hanno il compito di facilitare lo svolgimento dei compiti attraverso azioni di scaffolding (for52 nendo agli studenti supporto nel mettere a punto le proprie strategie di ricerca, senza sostituirsi ad essi, ma anzi aiutandoli a organizzare le proprie idee e rendendoli progressivamente più autonomi). Un metodo utilizzato in questo approccio è il jigsaw, modello pensato per la prima volta da Aronson nel 1978, è una modalità di apprendimento cooperativo. Gli studenti possono fare una ricerca collaborativa e successivamente condividere con gli altri la competenza acquisita. La tecnica jigsaw3 prevede che agli studenti vengano assegnate parti (diverse, non consequenziali) di un argomento da apprendere, che verranno insegnate agli altri in un secondo momento attraverso il reciprocal teaching guidato. Gli studenti sono parzialmente responsabili della progettazione del loro curricolo perché al momento opportuno dovranno guidare (fare da leader) il seminario di apprendimento del loro sotto-argomento attraverso l'insegnamento reciproco. In questo modo la scelta del leader non è 3 Per ulteriori approfondimenti si veda: Piergiuseppe Ellerani, Jigasaw in 10 passi, in www.ipbz.it/ImagesUpload/Area/11/Jigsaw.doc 1. Dividi gli studenti in gruppi di 4 – 5 persone. Il gruppo dovrebbe essere eterogeneo per genere, razza, etnia, e abilità. 2. Scegli uno studente per gruppo come responsabile. Inizialmente questa persona dovrebbe essere l‘alunno più maturo del gruppo. 3. Dividi la lezione del giorno in 4 – 5 segmenti. 4. Assegna ad ogni alunno una parte da imparare e assicurati che ogni studente abbia accesso solo alle sue informazioni. 5. Dai il tempo agli studenti di leggere almeno due volte la loro porzione di studio per familiarizzare con essa, senza il bisogno di memorizzarla. 6. Forma "gruppi esperti" temporanei unendo tra loro alunni che abbiano la stessa parte. Dà agli esperti tempo per discutere dei punti essenziali del loro paragrafo e per ripetere la presentazione che faranno al gruppo; 7. Fa tornare gli esperti al loro gruppo casa. 8. Chiedi ad ognuno di presentare la propria parte nel gruppo. Incoraggia gli altri a fare domande di chiarificazione 9. Gira tra i gruppi osservando i processi. Se sorgono dei problemi (per es. qualche membro domina sugli altri) intervieni in modo appropriato. Può essere anche opportuno lasciare che il "responsabile" di gruppo si occupi di ciò. I responsabili possono essere aiutati a gestire sussurrando un suggerimento su come intervenire finche non padroneggiano da soli la situazione. 53 casuale, ma fondata sulla competenza. In ogni gruppo di apprendimento, ciascun ragazzo è esperto (leader) di qualche parte del materiale, lo insegna agli altri e prepara le domande per il test che tutti dovranno eseguire al termine dell'unità. Nelle ricerche condotte dalla Brown per analizzare i cambiamenti fondamentali introdotti in classe attraverso questo modello, vengono sottolineati alcuni aspetti rilevanti: - il cambiamento del ruolo degli studenti da una posizione di passiva ricezione di informazioni all‘assunzione di una molteplicità di ruoli di costruzione attiva di conoscenza; - una visione della conoscenza non come qualcosa di statico o che si recepisce passivamente, ma che si costruisce attraverso l‘interazione, valutando criticamente le informazioni; - la capacità degli studenti di adottare strategie diverse davanti a fonti differenti; - una didattica da parte degli insegnanti meno orientata alla trasmissione di informazioni e maggiormente centrata sulla ― scoperta guidata‖, con un‘acquisizione attiva della conoscenza; - l‘uso del computer non solo come fonte di informazioni, ma soprattutto come ambiente di collaborazione; - metodi di valutazione non più centrati sulla memorizzazione di fatti e su test ma sull‘apprendimento per scoperta, sull‘esecuzione di compiti, la formulazione di progetti e la realizzazione di prodotti. 54 L‘apprendimento quindi non si esaurisce in ambito scolastico, ma è un processo di cambiamento, come tale riguarda qualsiasi attività umana e non è specifico unicamente della scuola. Assume quindi una particolare rilevanza il concetto di contesto, cioè del quadro culturale entro cui ha luogo un particolare evento interattivo e che offre risorse per la sua realizzazione e la sua interpretazione. L‘attività conoscitiva umana è inestricabilmente integrata all‘interno di attività che si svolgono nel mondo sociale: è sempre un‘attività contestualizzata o, per meglio dire, ― situata‖. Viene meno quindi la tradizionale prospettiva che vedeva l‘apprendimento come un processo di decontestualizzazione: si tratta piuttosto di una ri-contestualizzazione, di una articolata transizione a diversi contesti di vita e di conoscenza. Cambia anche la professionalità del docente che diventa sempre più simile a quella del ricercatore. La classe si trasforma in un laboratorio all'interno del quale dare vita a una reale scienza dell'educazione. Si tratta quindi di una professionalità estesa, la cui caratteristica principale riguarda la disponibilità ad una verifica sistematica del proprio lavoro, attivando reti di confronto sia con altri docenti (infatti si parla di comunità di insegnanti), sia con studiosi. L'obiettivo ultimo è di riqualificare gli insegnanti come produttori di cultura e gestori delle risorse umane. 55 1.7 Prospettive recenti: dall'apprendimento significativo di Ausubel alle mappe concettuali di Novak. I più recenti studi sul campo dell‘apprendimento indicano che la qualità dell‘apprendimento è maggiore nella misura in cui durante il processo viene consentito allo studente di esplicitare a se stesso le abilità di cui dispone e di potenziarle, nonché di esercitarle e divenire consapevole delle strategie metacognitive che può utilizzare per apprendere. Già la riflessione teorica di Bruner sullo sviluppo cognitivo e sull‘educazione appare caratterizzata dal tentativo di integrare l‘approccio di Piaget, basato sulle strutture cognitive che si sviluppano per stadi, con quello socioculturale di Vygotskij. Bruner ipotizza l‘esistenza nella nostra cultura di tre diversi sistemi (o modalità) di rappresentazione della conoscenza, che corrispondono ad altrettante modalità di pensiero e di apprendimento della nostra mente: il sistema attivo di rappresentazione, in cui la conoscenza è organizzata in sequenze di azioni, costruite mediante l‘esplorazione. Si impara a fare qualcosa attraverso la sperimentazione pratica di un‘attività; il sistema iconico di rappresentazione, in cui la conoscenza è presentata attraverso immagini. 56 Ne deriva un secondo tipo di apprendimento legato all‘osservazione del fare: vi sono delle abilità che si apprendono ― vedendo fare‖, osservando e imitando l‘azione che l‘altro compie; il sistema simbolico di rappresentazione, in cui la conoscenza è presentata mediante simboli (la scrittura, le formule matematiche). Questa suddivisione per certi versi ricalca la successione degli stadi della teoria di Piaget (fase senso-motoria, rappresentativa e operatorio-formale). Utilizzando il sistema attivo di rappresentazione il bambino identifica un oggetto soprattutto per l‘uso che ne fa, costruendosi una rappresentazione motoria dell‘esperienza; questo livello di sviluppo cognitivo può essere avvicinato al periodo senso-motorio piagetiano in cui il ― pensiero‖ consiste in schemi di azione interiorizzati, cioè sequenze di movimenti che il bambino può compiere su oggetti per ottenere un certo risultato. Ricorrendo al sistema di rappresentazione iconico il bambino di costruisce una rappresentazione degli oggetti mediante l‘uso dell‘immaginazione e per questo aspetto tale sistema può essere accostato al periodo dell‘intelligenza rappresentativa di Piaget, in cui le azioni mentali del bambino sono all‘inizio fortemente legate alle immagini. Nel terzo sistema, quello simbolico, l‘esperienza può essere rappresentata e comunicata attraverso insiemi di simboli verbali, matematici che costituiscono veri e propri linguaggi e che caratterizzano la cultura della nostra società. Quest‘ultimo sistema dunque si configura come più complesso rispetto a tutti gli altri e può essere accostato per certi versi al periodo delle operazioni formali della sequenza piagetiana. Bruner non ripropone, a differenza di Piaget, una relazione necessariamente gerarchica 57 fra le tre forme di pensiero; egli ipotizza che tali forme possano essere compresenti nei diversi momenti della vita del bambino e dell‘adulto. Bruner inoltre, attribuisce un ruolo importante alla cultura per quanto riguarda lo sviluppo di tali modalità di conoscenza da parte dell‘individuo. In primo luogo la cultura favorisce il passaggio da un sistema di conoscenza all‘altro grazie alle possibilità di interazione sociale con adulti e coetanei. Infine, ricollegandosi al concetto di mediazione di Vygotskij, Bruner definisce gli strumenti degli ― amplificatori‖ culturali del sistema sensoriale e motorio dell‘individuo; essi vengono utilizzati come delle protesi che aumentano il potere di azione dell‘uomo sulla realtà. Il processo di crescita dell‘individuo prevede l‘interiorizzazione dei modi di agire, di immaginare e di usare i simboli che esistono nella sua cultura, veicolati da strumenti che rappresentano degli amplificatori dei suoi poteri. Le diverse discipline non sono quindi un insieme di informazioni che gli insegnanti devono trasmettere e gli studenti memorizzare, ma linguaggi per leggere le realtà, strumenti per agire su di essa e idee fondamentali che ne costituiscono il nucleo centrale e sono nello stesso tempo abbastanza semplici da poter essere apprese anche dagli studenti più giovani, se presentate ed esemplificate secondo adeguate modalità. L‘insegnante che utilizza la riflessione bruneriana parte quindi dal presupposto che di ogni capacità o conoscenza esiste un‘adeguata versione che può essere impartita a qualsiasi età, per quanto iniziale e preparatoria questa versione possa essere. L‘insegnamento di una disciplina, inoltre, non è inteso nel senso di trasmettere delle informazioni ma di portare lo studente a pensare per proprio 58 conto attraverso le categorie di quella disciplina. Lo studente quindi partecipa al processo di produzione del sapere proprio di ciascuna disciplina. Bruner introduce quattro criteri fondamentali per costruire ambienti in cui l‘apprendimento sia significativo: la capacità di azione , agency: il soggetto che intraprende un percorso di conoscenza assume il controllo della propria attività mentale; la riflessione: per apprendere occorre dare un senso personale a quello che si impara, per cui l‘apprendimento deve essere riferito a contesti reali; la collaborazione: le risorse del percorso conoscitivo vanno condivise fra tutti i membri impegnati nell‘insegnamento e nell‘apprendimento; la cultura: la conoscenza viene costruita, negoziata, sistematizzata in un prodotto comune, uno stile di vita e di pensiero che diviene condiviso. Per comprendere meglio il pensiero di Bruner riprendiamo quanto da lui scritto: ― La conoscenza di una persona non ha sede esclusivamente nella sua mente, in forma solistica, bensì anche negli appunti che prende e consulta sui notes, nei libri con brani sottolineati che sono negli scaffali, nei manuali che ha imparato a consultare, nelle fonti di informazioni che caricate nel computer, negli amici che si possono rintracciare per richiedere un riferimento o un’informazione, e così via quasi all’infinito [… ] Giungere a conoscere qualcosa in questo senso è un’azione sia situata sia distribuita. Trascurare questa na59 tura situazionale e distribuita della conoscenza e del conoscere, significa perdere di vista non soltanto la natura culturale della conoscenza, ma anche la natura culturale del processo di acquisizione della conoscenza" Bruner, 1992 trad.it). A partire dalle riflessioni bruneriane, due pensatori come Novak e Ausubel, sono stati in grado di creare un atteggiamento nuovo rispetto al come si apprende, i primi a parlare di apprendimento significativo versus apprendimento meccanico, a sperimentare e a riportare i loro risultati in riviste scientifiche, con l‘obiettivo di costruire una nuova teoria dell‘educazione. 1.7.1 Finestra di approfondimento La teoria dell'apprendimento di Ausubel All'incirca negli anni '60, troviamo la teoria dell‘apprendimento per assimilazione proposta da Ausubel, studioso americano contemporaneo dei processi cognitivi. Il suo contributo di studio si sviluppa principalmente negli Stati Uniti e successivamente in ambito internazionale con concetti particolarmente importanti sull‘apprendimento nel campo dell‘educazione. Lo studioso presenta per la prima volta la sua teoria dell‘apprendimento significativo nel 1962 con il titolo ― A Subsumption theory of meaningful learning and retention‖. Ausubel distingue nell‘apprendimento due direzioni: a) all‘interno: il modo e il processo con cui l‘uomo arriva ad afferrare e incorporare la nuova conoscenza nella sua mente, dove sono già presenti concetti 60 e generalizzazioni. In questo senso l‘apprendimento può essere o meccanico o significativo. b) all‘esterno: la via e lo strumento di come si forma la nuova conoscenza o abilità o comportamento. In questa direzione l‘apprendimento può avvenire per ricezione o per scoperta. Lo studioso tratteggia i seguenti quattro diversi tipi di apprendimenti che negli anni hanno portato gli insegnanti ad interrogarsi sulle possibili modalità didattiche che potevano favorire o meno gli apprendimenti: Significativo per scoperta Significativo per ricezione Meccanico per scoperta Meccanico per ricezione Apprendimento significativo Col termine significativo si intende l‘aspetto di relazione che il nuovo apprendimento acquista quando viene incorporato nella struttura psichica del soggetto, cioè nella matrice cognitiva, costituita dalle rappresentazioni interne, concetti, principi, regole, procedimenti, capacità intellettuali oltre agli atteggiamenti e agli stati emotivi formando una rete di generalizzazione. Il nuovo materiale si integra nella struttura psichica producendo diversi effetti: - trasformazione, acquisendo una sua forma nella struttura mentale; - modificazione della struttura mentale; - ricordo e utilizzazione, che vengono facilitati dalla rete delle relazioni. Apprendimento meccanico 61 Si verifica quando il nuovo apprendimento viene incorporato in maniera isolata, senza relazioni con la struttura conoscitiva e con gli altri concetti posseduti. Il ricordo è condizionato alla memorizzazione e la sua utilizzazione è limitata, proprio perché manca l‘integrazione in uno schema concatenato ed elaborato di relazioni. Non si tratta di apprendimento mnemonico, perché esiste sempre un‘associazione all‘interno del mondo psichico. Apprendimento per scoperta Il soggetto arriva a conoscere un contenuto o una verità in maniera autonoma, senza che un altro soggetto glielo abbia comunicato e ci arriva con le sue capacità e il suo comportamento interiore e non per trasmissione da parte di altri. E‘ gratificante per l‘individuo, dà fiducia e stimola a continuare la ricerca. Può avvenire in modo occasionale o essere facilitato intenzionalmente con stimoli offerti in maniera espositiva o per ricezione. Apprendimento per ricezione Si verifica quando le conoscenze vengono incorporate in forma già strutturata per trasmissione culturale o per comunicazione verbale. E‘ caratterizzato da mancanza di autonomia del soggetto nel conoscere un concetto, nel cogliere gli elementi essenziali di un evento, nella formulazione di giudizi. Il soggetto può avere però la capacità di rielaborare e integrare il nuovo materiale conoscitivo. Non va confuso con l‘apprendimento meccanico, perché il soggetto deve essere motivato e devono essere costruiti i prerequisiti per l‘apprendimento. Tale concezione non implica che l‘apprendimento debba essere realizzato in modo autonomo; l‘apprendimento per ricezione e la lezione espositiva restano validi quando sol62 lecitano la partecipazione degli alunni e stimolano i loro processi nella direzione di un apprendimento significativo per scoperta. Strategie per favorire l'apprendimento Alla luce delle teorie di Ausubel, consideriamo il seguente elenco: a) Ciò che viene proposto deve essere potenzialmente significativo, cioè deve essere tale da poter essere acquisito all‘interno delle conoscenze dell‘allievo. b) L‘alunno deve possedere idee o concetti fondamentali perno su cui realizzare la connessione tra la nuova conoscenza e quella già esistente. c) Lo studente deve avere voglia di mettere in relazione il contenuto con la sua struttura conoscitiva in modo sostanziale. (motivazione). Per favorire questo tipo di apprendimento bisogna realizzare un‘atmosfera che: - incoraggi ad essere attivi - favorisca la natura personale dell‘apprendimento - riconosca il diritto all‘errore - tolleri l‘imperfezione - incoraggi l‘apertura di spirito e la fiducia in sé - dia l‘impressione di essere rispettati e accettati - faciliti la scoperta - ponga l‘accento sull‘auto-valutazione in cooperazione - permetta il confronto delle idee. Secondo gli autori l‘apprendimento significativo si verifica ogni volta che un individuo decide di mettere in relazione consapevolmente nuove informazioni con quelle che già possiede. Ausubel sostiene che più delle capacità mnemoniche, altrettanto importanti, è bene che lo studente si alleni ad affinare la capa63 cità di rielaborare, manipolare e rianalizzare attraverso un suo sistema di significato e valore l‘ informazione appresa. Il nostro cervello assimila e categorizza in modo preciso e chiaro una moltitudine di informazioni al secondo, ma per farlo lavorare efficacemente è indispensabile proporre le informazioni nuove istruendolo su dove metterle, in quale cassetto della memoria, perché solo in questo modo la persona sarà poi in grado di recuperare quell‘informazione al momento giusto. L‘apprendimento significativo oltre ad essere più affidabile in termini di ricordo, decade molto più lentamente e mai definitivamente come quello prodotto dall‘apprendimento mnemonico, è indispensabile per districarsi all‘ interno della miriade di informazioni di cui quotidianamente disponiamo. Oggi infatti il proliferare di notizie e di fonti delinea gravi problemi di sovraccarico e le persone, spinte dai nuovi media, ad essere elastiche e flessibili, sono sottoposte a nuove richieste di crescita individuale: l‘apprendimento significativo può fornire gli strumenti adeguati per affrontare queste problematiche. “L’apprendimento significativo si verifica quando chi apprende decide di mettere in relazione delle nuove informazioni con quelle che già possiede”. (Ausubel) L‘apprendimento significativo avviene soltanto se esistono conoscenze pregresse relative all‘ambito di interesse e se chi sta apprendendo decide di investire energie per creare conoscenza, mettere in relazione, associare. L‘apprendimento significativo quindi non è miracolistico ma necessita di importanti sforzi e di una spinta motivazionale che funga da catalizzatore. Per queste 64 caratteristiche l‘apprendimento significativo comporta uno sforzo maggiore, perché maggiore sarà la qualità dell‘informazione memorizzata. Durante l‘apprendimento significativo i concetti più rilevanti, cioè quelli che vengono richiamati molte volte e più spesso utilizzati, tendono a perfezionarsi sulla base dei nuovi concetti assimilati che producono sostanziali modifiche qualitative, e quantitative. L‘immagine che viene in mente è un inestricabile rete di collegamenti dove dalle idee centrali (nodi) si diramano concetti secondari collegati. Stiamo parlando della teoria delle mappe concettuali di Joseph Novak. ― Le conoscenze che abbiamo appreso in maniera approfondita integrando azioni, sentimenti e pensieri, sono quelle che sappiamo padroneggiare meglio. E‘ questa la conoscenza che si controlla e con la quale si sente una sensazione di padronanza e potere. Considerate un campo in cui avete studiato soprattutto in modo meccanico. All‘opposto questa sarà una conoscenza che avrete in gran parte dimenticato, che vi sembra abbia poche relazioni con l‘esperienza del presente. Purtroppo la maggior parte delle persone a scuola ha sempre studiato in modo meccanico e questo mancato sviluppo delle proprie capacità ha reso la maggior parte della gente timorosa di apprendere in uno o più ambiti, come le scienze, la storia, la matematica, la musica o lo sport‖ (Novak). Lo sviluppo della teoria di Ausubel compiuta da Novak sostiene che le persone non siano affatto dei recipienti vuoti, da riempire con informazioni, ma propone concetti nuovi, generativi di conoscenza che emergono appunto con un buon utilizzo delle mappe concettuali, per condurre la persona alla totale autonomia e alla creazione di nuovi contenuti e significati. 65 "Molto presto abbiamo scoperto che le mappe concettuali potevano essere usate per rappresentare la conoscenza in qualsiasi età ed in qualunque dominio della conoscenza, dalle scienze, alla storia, alla letteratura e alla danza. Inoltre, gli insegnanti che preparavano mappe concettuali per pianificare la propria lezione guadagnavano in confidenza e capacità nel guidare l'apprendimento, e gli studenti che preparavano le proprie mappe concettuali non solo miglioravano la loro comprensione della materia, ma scoprivano anche che imparavano come imparare" (Novak). 1.8 La motivazione all'apprendimento Si può definire la motivazione come un modello organizzato di tre funzioni psicologiche che servono a dirigere, attivare e regolare l‘attività rivolta a un obiettivo. Le funzioni psicologiche sono: gli obiettivi personali, i processi emozionali e le convinzioni dell‘individuo sulla propria capacità di agire (agency) per raggiungere un determinato obiettivo. L‘individuo motivato è tale in quanto tende a un obiettivo, cioè si rappresenta un risultato da conseguire o da evitare. Gli obiettivi possono essere perseguiti per se stessi o come mezzo per raggiungere altri obiettivi. L‘individuo ha poi un sistema del sé, che consiste in una conoscenza dei propri mezzi e limiti e una stima di sé. 66 Nella scelta degli obiettivi e nel loro perseguimento la persona tiene conto di se stesso, della propria capacità di azione e di controllo e nel fare questo svolgono un ruolo importante le esperienze precedenti di successo e insuccesso nel perseguimento di obiettivi analoghi. Il risultato del comportamento motivato (il raggiungimento o meno dell‘obiettivo) ha conseguenze sia sul piano cognitivo che sul piano affettivo. Dal punto di vista cognitivo, l‘individuo cerca di spiegare/giustificare le ragioni del successo e soprattutto dell‘insuccesso. Per quanto riguarda, invece, il piano affettivo, le conseguenze affettive concludono l‘esperienza e anticipano quella successiva, creando nell‘individuo un atteggiamento favorevole o sfavorevole nei confronti del compito. 1.8.1 La motivazione come variabile complessa: dal comportamentismo al cognitivismo L‘approccio comportamentista centrava lo studio della motivazione sui concetti di bisogno e di rinforzo. In particolare questo approccio connetteva motivazione e apprendimento: la motivazione, come nel caso del bisogno di cibo, spinge l‘organismo alla ricerca della sua soddisfazione, cioè a raggiungere l‘equilibrio omeostatico che la privazione di cibo ha causato. La soddisfazione, quindi, costituisce il rinforzo che consolida, ovvero rinforza la risposta dell‘organismo, cioè il comportamento che ha immediatamente 67 preceduto l‘evento rinforzante (per esempio la pressione della leva che fa fuoriuscire il cibo). In questo modo la risposta viene appresa. Hull (studioso degli anni '40) sostiene che l‘organismo agisce per ridurre i bisogni, alcuni dei quali sono importanti per la sopravvivenza, come la fame, la sete, l‘evitamento del dolore. I bisogni determinano le pulsioni, stimoli che sorgono da uno stato di bisogno con la funzione generale di attivare il comportamento. La concezione comportamentista all‘istruzione recupera il concetto di rinforzo, Skinner, ad esempio, ritiene che si possano modellare nell‘allievo comportamenti motivati tramite il rinforzo, cioè mediate uno stimolo che rafforza una risposta dell‘organismo, indipendentemente dal bisogno. Con il cognitivismo si ha il declino del comportamentismo e il concetto di bisogno viene messo in crisi alla fine degli anni ‘50 da alcuni studiosi che ipotizzano l‘esistenza di bisogni primari, che non sono legati all‘equilibrio omeostatico. Per cui anche l‘importanza del rinforzo viene ridimensionata. Nella prospettiva cognitivista l‘individuo con le sue esperienze precedenti, convinzioni e aspettative interpreta il risultato delle proprie azioni e lo attribuisce a una causa: questa attribuzione influenza l‘atteggiamento dell‘individuo nei confronti di un analogo compito futuro. 68 1.8.2 Le dimensioni del concetto di motivazione ad apprendere Con l'espressione motivazione ad apprendere, intendiamo sottolineare il ruolo attivo dell‘individuo: la motivazione sorge quando l‘individuo si pone degli obiettivi, si rappresenta risultati che vuole raggiungere o evitare. La motivazione può essere definita come l‘attivazione e la direzione del comportamento; la motivazione viene intesa come spinta, però non solo nella componente energetica, ma anche come tensione dell‘individuo verso un obiettivo per lui o lei saliente. La motivazione non è dovuta a una temporanea carenza dell‘individuo, ma è l‘individuo che costruisce la propria motivazione, perché agisce intenzionalmente nel proprio ambiente, valuta le proprie capacità prima e durante l‘azione e usa i mezzi di cui dispone per raggiungere l‘obiettivo. Il termine direzione evidenzia il carattere orientativo verso un obiettivo del comportamento, nonché il fatto che la direzione viene conservata e corretta dall‘individuo. Essere motivato significa attivarsi per un obiettivo per il quale si mettono in atto delle strategie. Gli individui cercano di capire se stessi e il loro ambiente e agiscono sulla base di ciò che hanno compreso e imparato. Questa dimensione del Sé aveva perso importanza con il comportamentismo, ma è ritornata con il cognitivismo: senso di efficacia, autopercezione di competenza, concetto di sé, sono usati per esprimere significati molto simili. Importante è il rap- 69 porto tra prestazione dell‘individuo e idea che egli si fa della propria competenza: l‘una influenza l‘altra. Le aspettative di un individuo nelle situazioni in cui gli viene chiesto di riuscire sono influenzate dal grado in cui si considera competente e dalle sue percezioni della difficoltà del compito. Queste percezioni da un lato predicono il suo rendimento, dall‘altro sono influenzate dalle percezioni che l‘individuo ha degli atteggiamenti e aspettative di altre persone nei propri confronti. Al momento motivazionale, segue l'autoregolazione, cioè la gestione delle fasi dell‘apprendimento, il controllo dei risultati, la modifica del contesto di studio. ll cosiddetto bravo studente è colui che pianifica, organizza, controlla e valuta il proprio comportamento rivolto a uno scopo, ad esempio il superamento di una prova di esame. 1.8.3 Motivazione estrinseca ed intrinseca Le categorie di motivi che attivano il comportamento rivolto ad un risultato si distinguono in: motivi intrinseci e motivi estrinseci. La motivazione intrinseca è una tendenza innata a esplorare e padroneggiare il proprio mondo interno e esterno, tendenza che si manifesta come curiosità e interesse; questo comportamento trova gratificazione in se stesso e si esplica nelle condizioni in cui l‘individuo si può sentire e autonomo e padrone di sé. 70 La motivazione estrinseca riguarda l‘attività che l‘individuo compie per ottenere vantaggi, evitare conseguenze sgradevoli, avere riconoscimenti o conformarsi a modelli di comportamento imposti dall‘ambiente sociale. Mentre la motivazione intrinseca riguarda attività in se gratificanti, eseguite per l‘interesse e o la sfida che stimolano, la motivazione estrinseca tende al conseguimento di obiettivi, ricompense e valori esterni all‘attività stessa. Alla motivazione intrinseca si collega l'interesse. Questo sorge quando l‘individuo incontra attività o oggetti che si presentano come nuovi, piacevoli o stimolanti, in un contesto che permette il soddisfacimento dei bisogni psicologici di base. Gli oggetti interessanti sfidano l‘individuo e rappresentano qualcosa di relativamente nuovo, stimolando il bisogno di competenza dell‘individuo. Attività nuove e sfidanti stimolano un interesse che può essere momentaneo o duraturo, in quanto disposizione individuale, ma è comunque sempre specifico, ovvero relativo a un settore, mentre la motivazione intrinseca è generale, cioè è un atteggiamento rivolto all‘acquisizione di competenza. In letteratura ritroviamo diverse teorie che si sono occupate di indagare gli aspetti caratterizzanti della motivazione estrinseca. Ricordiamo la teoria di Berlyne poggia sul concetto di pulsione e di curiosità. La pulsione all‘esplorazione serve a mantenere un livello di attivazione ottimale per l‘organismo. Mentre la curiosità verrebbe attivata quando l‘individuo incontra caratteristiche strane o inconsuete nell‘ambiente. 71 Altri autori, invece, hanno individuato la spinta fondamentale all‘esplorazione nella noia o sazietà degli stimoli, che spinge l‘individuo a cercare qualcosa di nuovo. Per Berlyne l‘individuo tende a raggiungere e mantenere un livello ottimale di attivazione dell‘organismo che dipende all‘intensità delle stimolazioni ambientali. Le condizioni ottimali per l‘esplorazione dipendono sia dallo stato dell‘organismo sia dalle caratteristiche degli stimoli esterni. Le caratteristiche di sorpresa, novità, complessità, incongruenza producono nell‘individuo incertezza e conflitto e attivano uno stato motivazionale di curiosità. La curiosità provoca un‘attività esploratoria rivolta al superamento dell‘incertezza o del conflitto attraverso la ricerca di nuove informazioni. L‘intensità della stimolazione deve essere media: se è troppo bassa o se è troppo forte ciò può determinare un effetto inibitorio. La curiosità può essere percettiva (dare all‘organismo informazioni percettive) oppure epistemica, cioè fornire conoscenza. La curiosità è attivata dal conflitto concettuale e determina il comportamento epistemico, che si suddivide in: - osservazione, come metodo di studio dei fenomeni; - consultazione di fonti di informazione; - pensiero orientato, come il processo di soluzione di un problema. 72 1.8.4 La motivazione di competenza Negli stessi anni White propone una spiegazione alternativa del comportamento esplorativo: i comportamenti di curiosità, esplorazione, manipolazione e gioco, rilevabili negli animali e nei bambini piccoli sembrano rispondere al bisogno di padroneggiare l‘ambiente. White ipotizza una motivazione di effectance (produrre effetti) o competenza che dà luogo a comportamenti mediante cui l‘individuo acquisisce padronanza o controllo sull‘ambiente. La motivazione è concepita come un bisogno intrinseco sempre presente nell‘individuo, messo in sottordine solo quando insorgono pulsioni più forti, conseguenti all‘interruzione dell‘equilibrio omeostatico. Questa padronanza riguarda l‘interazione giocosa con l‘ambiente, che si realizza con l‘esplorazione e la sperimentazione libera da bisogni omeostatici. La gratificazione che deriva è una forma di soddisfazione intrinseca ai comportamenti stessi e si manifesta come senso di competenza che ha un grandissimo significato per lo sviluppo dell‘individuo e per il suo adattamento all‘ambiente. Il bambino costruisce la sua esperienza attraverso due tipi di apprendimento: quelli più ristretti e specifici, con il soddisfacimento di pulsioni primarie urgenti e quelli che avvengono nei periodi di tranquillità omeostatici, durante i quali il bambino agisce nell‘ambiente senza ansia e senza il rischio di fallimento. 73 1.8.5 La motivazione di effectance Harter, successivamente propone un‘ulteriore formulazione della motivazione di competenza, individuando gli elementi che la compongono e che possono modificarsi con lo sviluppo. Harter considera il rapporto tra motivazione di competenza e successo/insuccesso che accompagna l‘esperienza dell‘individuo nel tentativo di padroneggiare l‘ambiente, aspetto che riguarda il rapporto tra aspetti intrinseci ed estrinseci della motivazione e il ruolo degli adulti nel favorire o inibire la motivazione. La percezione di competenza si sviluppa dall‘interpretazione data ai propri episodi di successo e di insuccesso, dal tipo di sostegno sociale (facilitante o inibente i tentativi di indipendenza e padronanza) e dall‘esito dei propri tentativi di padronanza. Secondo Harter la motivazione di competenza produce nei soggetti una forte tensione che li spinge a tentativi di padronanza in diverse aree di attività, fra cui l‘area cognitiva (apprendimento), l‘area fisica (attività sportiva e di gioco) e l‘area sociale (rapporto con gli altri). Quando i tentativi di padronanza sono seguiti da rinforzi positivi (soprattutto in età evolutiva ed in bambini piccoli), i bambini interiorizzano un vero e proprio sistema di autogratificazione che rinforza i tentativi di padronanza e 74 consente di affrontare le diverse situazioni come una sfida per mettersi alla prova e sentirsi competenti. Le emozioni positive che derivano dall‘esercizio delle proprie abilità rinforzano la motivazione intrinseca, che si manifesta in nuovi tentativi di padronanza. Quando, invece, i bambini sono disapprovati nei loro tentativi di padronanza, sviluppano più facilmente la tendenza a porsi obiettivi di prestazione miranti ad ottenere approvazione per le proprie abilità. La motivazione di competenza diminuisce, mentre aumenta la preoccupazione legata alla possibilità di dimostrarsi incapaci, che, a sua volta, riduce la propensione alla padronanza, impedendo lo sviluppo delle proprie competenze e aumentando i vissuti negativi come, ad esempio, l‘ansia. Nel campo dell‘educazione, e soprattutto a scuola, Harter sottolinea l‘importanza del concetto di sfida ottimale, secondo cui tanto più una persona è motivata ad apprendere, tanto più il compito rappresenta una sfida ottimale, cioè è un ‘attività stimolante,quindi un po‘ più difficile rispetto ai compiti normalmente affrontati, ma non troppo problematico da demotivare il tentativo di padronanza per la paura dell‘insuccesso. Alla base della motivazione intrinseca ci sono sia componenti cognitive che emotivo-motivazionali: affinché uno studente abbia voglia di imparare, l'apprendimento deve sia aumentare la sua competenza, che incrementare una sensazione piacevole di padronanza e autostima. 75 Il modello di sviluppo proposto da Harter può essere presentato in forma di diagramma diviso in due parti, corrispondenti agli effetti che il successo e l‘insuccesso hanno sulla motivazione di effectance. La motivazione di effectance produce dei tentativi di padronanza in diverse aree di attività che possono avere risultati positivi o negativi. Nel primo caso il bambino viene rinforzato positivamente e ciò è importante soprattutto nei primi anni di vita. Il bambino interiorizza un sistema di autogratificazione che gli consente di rinforzare da solo i propri tentativi di padronanza e i relativi risultati e il sistema di obiettivi di padronanza degli agenti di socializzazione che lo premiano o lo puniscono, cioè i genitori e gli insegnanti. Con il procedere del processo di interiorizzazione diminuisce la dipendenza dal rinforzo sociale esterno e cresce la motivazione di effectance per effetto: - della percezione della propria competenza e del proprio controllo sull‘ambiente che il bambino acquisisce attraverso rinforzi positivi; - della soddisfazione intrinseca che consegue al successo raggiunto in compiti di un livello ottimale di difficoltà. La motivazione diminuisce se i tentativi del bambino vengono frustrati o puniti e se vengono rinforzati i comportamenti di dipendenza dagli adulti. Il modello postula che la storia personale di rinforzi abbia implicazioni non solo per il complessivo orientamento motivazionale, ma anche per la percezione della propria competenza. I rinforzi positivi e l‘interiorizzazione degli obiettivi di padronanza mediano a loro volta un senso di competenza e di capacità di controllo negli speci76 fici settori di padronanza rinforzati. Questa percezione della propria competenza influenza il senso di soddisfazione intrinseca del bambino e accresce la sua motivazione a intraprendere successivi comportamenti di padronanza. Inversamente, il bambino che ha avuto una storia di insuccessi e di disapprovazione, che comporta un orientamento motivazionale estrinseco, sviluppa un senso di scarsa competenza e la percezione che agenti esterni controllano ciò che gli accade. 1.8.6 La teoria dell'autodeterminazione Questa teoria proposta da Deci e Ryan affronta il problema della fonte di energia del comportamento umano diversamente dalle altre che si sono focalizzate sugli obiettivi del comportamento motivato. Questa teoria postula tre bisogni innati: di competenza, di legame affettivo con gli altri, di autonomia. L‘individuo è tanto più motivato quanto più il contesto sociale in cui si trova gli dà l‘opportunità di soddisfare questi bisogni fondamentali. Altro aspetto della teoria è la distinzione tra regolazione intenzionale autodeterminata e regolazione controllata. Le azioni intenzionali sono autodeterminate quando sono completamente volontarie e l‘individuo trova in esse una conferma del proprio senso del sé. Le azioni sono controllate quando l‘individuo è dominato dalla volontà altrui o da una qualche forza o pulsione interna. 77 Quando il comportamento è autodeterminato, l‘individuo sente di avere il controllo degli eventi; quando è controllato percepisce la causalità come esterna a se stesso. Entrambi i comportamenti sono intenzionali, ma sono diversi i processi che li regolano: il primo è un comportamento intrinsecamente motivato, perché l‘autodeterminazione è la soddisfazione del bisogno di autonomia. Nella scuola l‘allievo autodeterminato sa controllare il proprio comportamento e sottrarsi o resistere alle pressioni esterne, mentre l‘allievo controllato dipende dalla regolazione esercitata dall‘insegnante e dalla famiglia. I teorici dell‘autodeterminazione attraverso il concetto di interiorizzazione tendono a stabilire un continuum tra motivazione estrinseca e motivazione intrinseca. Interiorizzazione è un processo con cui un individuo acquisisce credenze, atteggiamenti o comportamenti dall‘esterno e progressivamente trasforma questa regolazione esterna in valori o stili di regolazione personale o interna. I processi di interiorizzazione sono fondamentali nell‘esperienza scolastica che spesso è estrinsecamente motivata. Ryan e Connell distinguono alcuni fondamentali tipi di autoregolazione che possono essere disposti lungo un continuum di crescente interiorizzazione. Regolazione esterna: l‘allievo è motivato a eseguire o inibire un certo comportamento da contingenze esterne, come la promessa di un premio o la minaccia di un castigo. Gli allievi regolati dall‘esterno sono valutati come poco indipendenti e bisognosi di attenzione e stimolazione costante; essi percepiscono 78 l‘ambiente classe come coercitivo e se stessi come poco autonomi e con scarsa possibilità di controllo sui risultati scolastici. Questo stile di regolazione esterna è associato con atteggiamenti di difesa verso l‘insuccesso e con una percezione del proprio valore generalmente bassa. Regolazione introiettata: rappresenta un forma di autocontrollo, perché la persona agisce non per premi e punizioni esterne, ma per avere una buona concezione di sé e per evitare ansia e sensi di colpa. Questo stile di regolazione è correlato con la percezione delle proprie capacità di controllo dei risultati scolastici, ma non con la percezione della propria autonomia. L‘introiezione sembra rappresentare una forma di regolazione interiorizzata in cui la stima di sé è variabile e l‘allievo è spesso ansioso perché si sente responsabile del buon esito delle sue prestazioni scolastiche. Regolazione per identificazione: l‘allievo attribuisce valore all‘apprendimento e se ne assume la responsabilità; agisce non per pressioni esterne (premi e punizioni) o interne (stima di sé e senso di colpa), ma perché vuole capire o imparare, o perché ritiene che apprendere sia importante. I ragazzi che mostrano questo stile si percepiscono come autonomi, sono percepiti così anche da genitori e insegnanti e loro percepiscono gli adulti come presenze di aiuto e non di controllo. Vi è una forte correlazione positiva tra regolazione per identificazione e motivazione intrinseca. 79 Entrambi questi orientamenti motivazionali sono autodeterminati; l‘identificazione è la forma di regolazione più vicina alla motivazione intrinseca, anche se non coincide, perché un comportamento intrinsecamente motivato viene eseguito per il piacere di farlo, mentre un comportamento di identificazione è sempre strumentale al raggiungimento di un obiettivo (ad esempio sapere di più rispetto ad una conoscenza). In questa prospettiva l‘accento è posto sulle condizioni dell‘ambiente interpersonale che influenzano i processi di interiorizzazione e quindi l‘orientamento motivazionale. Le condizioni sono tre: - Grado di autonomia concesso al bambino: un controllo eccessivo rende precaria la capacità del bambino di autoregolarsi. - Dare al bambino una struttura, cioè portarlo a conoscenza del significato delle regole che deve apprendere e delle conseguenze del non apprenderle. - Il contesto in cui il bambino impara a essere autonomo deve rispondere alle esigenze affettive dell‘allievo, cioè il bambino deve sentirsi parte insieme alle persone che contano nella sua vita. 80 1.8.7 La teoria dell'attribuzione Le attribuzioni possono essere definite come le percezioni che gli individui hanno circa le cause degli eventi che accadono a se stessi (autoattribuzioni) e agli altri (eteroattribuzioni). Il processo attributivo consiste nel considerare un risultato proprio o altrui e poi, sulla base delle informazioni possedute, delle esperienze passate e di altri fattori individuali e motivazionali, attribuire quel risultato ad una o più cause particolari, ad esempio all'impegno, all'abilità personale, alla facilità del compito. Le attribuzioni possono essere considerate come il risultato di decisioni che l'individuo mette in atto, in genere in modo spontaneo per capire chi o che cosa è responsabile degli eventi che accadono. La positività delle emozioni associate all‘apprendimento e le modalità efficaci di gestirlo sono strettamente dipendenti dal modo in cui lo studente tende a giustificare ciò che gli succede, sia che si tratti di situazioni di successo o di insuccesso. La teoria più rappresentativa è quella di Weiner e risale agli anni Settanta. Lo studioso propone una teoria secondo cui tanto più si conoscono le teorie implicite (di senso comune) che le persone utilizzano per decidere ed agire, tanto più se ne possono predire i comportamenti e le reazioni emotive. In genere, le reazioni cognitive ed emotive al successo e all'insuccesso – ovvero le attribuzioni - permettono di predire il comportamento in situazioni di apprendimento. 81 Secondo Weiner le attribuzioni possono essere distinte in base alle tre dimensioni seguenti: 1. Locus of control: il carattere interno (abilità, sforzo, umore) o esterno (fortuna, difficoltà del compito) alla persona; 2. Stabilità o costanza: le cause possono essere tendenzialmente stabili nel tempo e nelle diverse situazioni. Ad esempio, l'abilità è stabile, mentre non lo sono l'umore, lo sforzo e la fortuna; 3. Controllabilità:si distinguono cause più (lo sforzo) o meno (fortuna e in certa misura l ‘abilità) controllabili dal soggetto. Abramson, Seligman e Teasdale (1978) propongono un‘ulteriore dimensione: ovvero le attribuzioni possono essere globali (generalità a più situazioni) e specifiche (specificità di una certa situazione). Dalla combinazione di questi parametri Weiner propone una tipologia di attribuzioni, fra cui le più frequentemente utilizzate da ciascuno di noi per spiegare l‘esito ottenuto in una situazione o compito, sono: sforzo, abilità, fortuna e facilità del compito. L'attribuzione del risultato all'una o all'altra di tali cause influenza le nostre aspettative rispetto i futuri risultati nel compito. In particolare sembra che soprattutto la dimensione ― locus of control‖ (causa interna o esterna alla persona) sia implicata nella motivazione ad apprendere, influenzando le reazioni affettive al successo o all'insuccesso delle persone. Weiner ritiene che ogni causa può essere collocata in un punto particolare rispetto alle tre dimensioni viste sopra: interno/esterno, stabilità/instabilità 82 (quanto è passeggera o duratura) e controllabilità (in che misura la causa è sotto il controllo di qualcuno). Queste tre dimensioni si incrociano formando otto possibili permutazioni di cause. Quando la causa cade sull‘asse interno/esterno, essa produce un effetto sull‘autostima: attribuire il successo agli sforzi personali accresce il proprio senso di orgoglio. Dove la causa è posta sulla dimensione della stabilità/instabilità, essa influenza le aspettative di cambiamento. In tal modo, imputare l‘insuccesso alle proprie capacità innate non favorisce alcuna aspettativa di miglioramento. Lo sforzo è una causa interna instabile e controllabile; l‘impegno è instabile perché deve essere rinnovato e permette di gestire l‘insuccesso perché si assume la responsabilità. Questa causa è la più funzionale al ciclo del benessere di apprendimento perché nel caso di successo rinforza l‘apprendimento; nel caso di insuccesso non si cade in depressione. La tabella seguente illustra le otto possibili attribuzioni che si ottengono incrociando le dimensioni di analisi locus of control, controllabilità e stabilità. 83 Caratteristiche dell'attribuzione Locus of control Stabilità Controllabilità Attribuzione Interno stabile Controllabile incontrollabile Tenacia Abilità Interno instabile Controllabile incontrollabile Impegno Tono dell'umore Esterno stabile Controllabile incontrollabile Pregiudizio Facilità del compito Esterno instabile Controllabile incontrollabile Aiuto Fortuna La teoria di Weiner pone l'accento sugli aspetti cognitivi e, in particolare, sulle interpretazioni date ai precedenti successi e insuccessi. La tendenza al successo si caratterizza per l'attribuzione del successo a una combinazione di abilità e impegno, mentre l'attribuzione all'insuccesso alla mancanza di impegno. La motivazione all'impegno, secondo questa teoria, non deriverebbe dalle emozioni anticipate, ma dai normali processi di riflessione sulle cause dei propri successi e insuccessi. Gli aspetti emotivi sono presenti, ma non sono visti come causa, ma come conseguenza, quindi un fallimento potrà determinare vergogna se attribuito alla mancanza di abilità, ma non se attribuito a fattori casuali imprevisti. Nella tabella seguente vediamo come la tendenza al successo è accompagnata all'impegno e alle buone capacità personali, mentre l'insuccesso viene ricondotto ad un impegno non sufficiente o a elementi non prevedibili. La motivazione a evitare il fallimento porta la persona ad attribuire il successo a fattori esterni non controllabili (fortuna, aiuto, ecc.), a sovrastimare i fallimenti e a non 84 sapere riconoscere le situazioni di successo, spesso interpretate come casuali o legate alla situazione contingente e non alle proprie abilità. Componente motivazionale prevalente Tendenza al successo Motivazione a evitare il fallimento Attribuzione del Attribuzione successo dell'insuccesso Sforzo, buona abi- Sforzo insufficienlità personale te, sfortuna Fortuna, compito Mancanza di ca- facile pacità personali Autovalutazione Bilancio positivo di successo/insuccesso Bilancio negativo di successo/insuccesso 1.8.8 Stili motivazionali Dopo aver passato in rassegna i principali contributi teorici riguardo la motivazione all'apprendimento, nella parte conclusiva di questo capitolo esamineremo le caratteristiche adattive di alcuni stili motivazionali. Come vedremo, ogni stile ha caratteristiche proprie che lo rendono motivante o demotivante e, quindi, più o meno funzionale all'apprendimento. Per quanto riguarda gli stili di motivazione innanzitutto possiamo pensare a due dimensioni imprescindibili: il senso di controllo personale sulla propria 85 prestazione e la possibilità di soddisfare i propri bisogni, quali l'autodeterminazione, la competenza e la curiosità. Il primo stile che consideriamo è quello dell'autoregolazione. Uno studente autoregolato è partecipe, attivo, flessibile nell'uso di diverse strategie di apprendimento ed esercita un buon controllo metacognitivo. E' uno studente che utilizza strategie di studio profonde, modifica il proprio atteggiamento di fronte al compito, la fine di mantenere la motivazione nonostante le distrazioni. Ha un alto livello di autoefficacia ed una motivazione di tipo intrinseco. Le strategie, generalmente utilizzate da uno studente autoregolato, mirano ad una comprensione profonda del materiale da apprendere e sono per esempio: elaborare, parafrasare, riassumere, prendere appunti, fare domande. L'utilizzo di strategie attive consente di ridurre al minimo le distrazioni, di mantenere un'attenzione focalizzata e di incrementare la percezione di controllo personale. La motivazione ad apprendere risulta accresciuta sia per l'effetto dell'insieme di atteggiamenti assunti durante l'esecuzione del compito, sia quale conseguenza dei positivi risultati di apprendimento ottenuti. Il tipo di studente descritto è sinceramente alquanto raro e spesso come insegnanti ci troviamo a dover fronteggiare stili di demotivazione. A tal proposito consideriamo l'interessante modello proposto da Eronen, Nurmi e Salmela-Aro (1998) il quale comprende sia stili di motivazione che di demotivazione. Per quanto riguarda gli stili di demotivazione, per un insegnante è importante conoscerli e cercare di capire perchè si formano in uno studente e come si mantengo- 86 no. Altro elemento da non dimenticare è che gli stili pur essendo abbastanza stabili, di fatto non sono rigidi per cui possono mutare. La classificazione riportata di seguito consente di individuare le possibilità di passaggio dall'uno all'altro stile e di conseguenza, le modalità attraverso cui incrementare la motivazione ad apprendere a partire da un processo circolare sottostante meno funzionale fino a renderlo più funzionale (De Beni, Moè, 2000). Eronen e coll. Individuano quattro stili che si differenziano per le capacità di pianificazione, le emozioni positive o negative provate in situazioni di apprendimento, l'entusiasmo nell'iniziare il compito e la presenza di comportamenti distraenti. Stile ottimistico: prevalenza di emozioni positive, buone capacità organizzative, concentrazione focalizzata sulle modalità, sulle strategie più efficaci per affrontare il compito, piuttosto che sui risultati o sui giudizi che possono derivare dalla prestazione ottenuta. Stile difensivo-pessimistico: buone capacità di pianificazione, ma presenza di emozioni negative o miste. Si tende ad avere aspettative di riuscita negative e ad evitare il fallimento. La paura dell'insuccesso costituisce la motivazione che predispone ad affrontare con tenacia, organizzazione e strategicità e, in genere, anche con successo le diverse situazioni di apprendimento. Stile self-handicapping: presenza di comportamenti irrilevanti per il compito, poca pianificazione e concentrazione, emozioni negative. Questo insieme di 87 emozioni, motivazioni e strategie poco efficaci si ripercuote sulle prestazioni che spesso risultano non essere adeguate. Stile impulsivo: assomiglia al precedente per ciò che concerne la poca pianificazione e strategicità, mentre differisce per l''aspetto emotivo e l'assenza di comportamenti irrilevanti. Chi rientra in questo stile tende a provare un buon entusiasmo iniziale perchè sostenuto da emozioni positive, ma successivamente è poco perseverante e si concentra poco a causa del venir meno della spinta motivazionale. Gli stili ottimistico e difensivo-permissivo si caratterizzano per livelli di successo simili, ma differiscono per la componente emotiva. Lo stile difensivo è accompagnato da ansia, timore e insoddisfazione per risultati anche di per sé buoni, mentre l'ottimistico si distingue per la soddisfazione, l'orgoglio, il senso di sfida e la padronanza. Rispetto alla funzionalità, il primo è funzionale a mantenere un buon livello emotivo e un adeguato senso di soddisfazione; il secondo nel consentire buone prestazioni ed elevati livelli di strategicità ed organizzazione; il terzo nel preservare l'immagine di competenza ed il quarto nel sostenere l'inizio delle varie attività e quindi l'entusiasmo per i compiti. Per quanto riguarda la demotivazione o l'insuccesso scolastico non vi sono in letteratura ricette facilmente asportabili ed utilizzabili. Entrano in gioco e si influenzano reciprocamente moltissime variabili alcune riconducibili allo studente (temperamento, convinzioni, vissuti, storia familiare, ecc.), altre al contesto di crescita del soggetto altre ancora all'insegnante che a sua volta si porta die88 tro un bagaglio di competenza ma anche convinzioni, preconcezioni, aspettative e vissuti. Ci auguriamo che la ricerca futura si occupi non solo dello studio dello stato attuale delle cose, ma trovi il sistema per apportarvi miglioramenti. Ciò concretamente potrebbe avvenire attraverso l'individuazione di modalità di intervento in grado di migliorare le motivazioni esistenti o cambiare le convinzioni, gli stili di demotivazione poco funzionali all'apprendimento in modo da identificare agenti di socializzazione e interventi efficaci per stimolare positivamente la motivazione ad apprendere. 89 II Lezione Come si insegna e come si apprende 2.1 Da “una” a “più” intelligenze: implicazioni psicopedagogiche Uno dei principali settori applicativi della psicopedagogia si occupa di indagare ciò che si sviluppa e accade ― sul campo‖, nei luoghi cioè in cui inevitabilmente si produce e gestisce l'apprendimento. La scuola e la classe, in particolare, rappresentano un oggetto di indagine privilegiato e anche se attualmente vanno per la maggiore le teorie di tipo contestualistico che puntano l'attenzione sui contesti di apprendimento e sottolineano il ruolo ineliminabile e inestricabile del sociale, rimane ugualmente importante l'attenzione al singolo studente. Ogni insegnante osservando i suoi allievi al lavoro, rileva differenze nelle modalità di apprendere, oltre che livelli diversi di abilità. Possiamo dire che il bravo studente, cioè colui che ottiene risultati migliori, sia lo studente più intelligente? Quali sono le abilità che concorrono a definire un'azione, una prestazione o un comportamento come ― intelligente‖? E per finire chi è il bravo studente? Rispondere a tutti questi quesiti, non è semplice come si potrebbe pensare. L'esercitazione4 sotto riportata ci consente di metterci alla prova, i valori ottenuti possono poi essere confrontati con quelli dei colleghi. Vedrete che difficilmente vi sarà un'omogeneità nelle risposte, l'obiettivo è quel- 4 L'esercitazione è tratta da Antonietti A., Psicologia dell'apprendimento. Processi, strategie e ambienti cognitivi, La Scuola, Brescia, 1998, pag. 29. 90 lo di confrontarsi e misurarsi rispetto a concetti che come insegnanti non possiamo e non dobbiamo mai dare per scontati. Esercitazione: L'immagine del bravo studente Lo scopo del questionario è di rilevare l'immagine del bravo studente che si ha. Il tuo compito è quello di rappresentarti mentalmente quello che ritieni essere il modello caratteristico di “bravo studente”. Qui sotto è riportato un elenco di caratteristiche: valuta in che misura ciascuna di esse contribuisce a determinare il modello di bravo studente che ti sei rappresentato. Esprimi la tua valutazione assegnando un punteggio compreso tra 1 e 5, secondo la seguente scala: 1=pochissimo, 2=poco, 3=mediamente, 4=molto, 5=moltissimo. Capacità di analisi 1 2 3 4 5 Capacità di pianificare 1 2 3 4 5 Capacità critica 1 2 3 4 5 Capacità di selezionare 1 2 3 4 5 Espressione orale chiara 1 2 3 4 5 Capacità di pensiero astratto 1 2 3 4 5 Rapidità di apprendimento 1 2 3 4 5 Capacità di approfondimento 1 2 3 4 5 Capacità di sintesi 1 2 3 4 5 Sistematicità, metodicità 1 2 3 4 5 Intuizione 1 2 3 4 5 Capacità di trarre conclusioni 1 2 3 4 5 Consequenzialità logica 1 2 3 4 5 Creatività 1 2 3 4 5 Espressione scritta chiara 1 2 3 4 5 Memoria 1 2 3 4 5 Ricchezza di vocabolario 1 2 3 4 5 91 Capacità di assimilazione 1 2 3 4 5 Elasticità mentale 1 2 3 4 5 Rapidità di ragionamento 1 2 3 4 5 Capacità di fare confronti 1 2 3 4 5 Capacità di pensiero concreto 1 2 3 4 5 Abilità grafiche 1 2 3 4 5 Capacità di valutare 1 2 3 4 5 Capacità di affrontare la novità 1 2 3 4 5 Fluidità verbale 1 2 3 4 5 Capacità di fare associazioni 1 2 3 4 5 Precisione 1 2 3 4 5 Sensibilità estetica 1 2 3 4 5 Visione globale delle situazioni 1 2 3 4 5 Capacità di schematizzare 1 2 3 4 5 Capacità di pensare per esempi 1 2 3 4 5 Visualizzazione mentale 1 2 3 4 5 Capacità di generalizzare 1 2 3 4 5 Capacità di affrontare la complessità 1 2 3 4 5 Capacità di fare previsioni 1 2 3 4 5 Fantasia 1 2 3 4 5 Capacità di conversare 1 2 3 4 5 Apertura mentale 1 2 3 4 5 Immaginazione 1 2 3 4 5 Lo studio delle differenze individuali nell'apprendimento accompagna da molti anni l'indagine psicopedagogica e, in particolare, affiancata dai contributi della psicologia ha indagato aspetti diversi: emotivo, affettivi, relazionali, cognitivi e i tratti di personalità che ormai sappiamo influenzare le modalità di apprendere. Passando in rassegna la letteratura si scorge il tentativo di concentrare 92 l'attenzione più verso caratteristiche che differenziano gli individui piuttosto che sui tratti comuni. In particolare ciò che ha attirato l'attenzione riguarda il rilevare come talvolta persone con medesime abilità cognitive ottengano risultati completamente diversi. La prova più immediata dell'esistenza di differenze qualitative nei processi cognitivi, sottolinea Antonietti, si ottiene osservando che individui, sostanzialmente simili per capacità cognitive affrontano i compiti in modo diverso. Taluni si soffermano sui dettagli, altri colgono l'insieme o i rapporti spaziali anche per ciò che concerne il ragionamento, vengono messi in atto diverse modalità: sistematiche, visualizzanti, legati alla formazione di ipotesi, ecc. Per cui a partire da studi che consideravano l'intelligenza come un'unica abilità generale, si è passati nel corso di circa 30 anni alla messa a punto di diverse teorie che hanno enfatizzato, come vedremo nel corso del capitolo, questo o quell'altro aspetto. A livello storico proviamo, quindi, a ripercorrere la strada compiuta dai pedagogisti e dagli psicologi del secolo scorso che hanno tentato di fornire agli insegnanti spunti e applicazioni da implementare sul campo. Fino alla fine del XIX secolo, la parola intelligenza è stata comunemente usata dalle persone per descrivere le proprie o altrui capacità mentali. Nel mondo occidentale venivano definiti intelligenti gli individui svelti o che sapevano parlare bene o che erano perspicaci in campo scientifico o più semplicemente saggi. In altre culture potevano essere indicati con termini traducibili con la parola intelligente individui ubbidienti, o che si comportavano bene, tranquilli, oppure con poteri magici. Nella maggior parte di tutti questi casi la parola intelli93 gente ha avuto un uso positivo, e questo ci aiuta a capire l'imprecisione del suo impiego e della sua individuazione, ―… basti pensare al fatto che sono stati definiti intelligenti quasi tutti i presidenti americani, anche se uno su due non ha avuto di sicuro quella prerogativa.” (Gardner) Alla fine del XIX secolo, Alfred Binet , su richiesta di alcuni ministri francesi, creò il primo test sull'intelligenza . Si pensò a quel punto di essere riusciti a misurare l'intelligenza di un individuo, analizzando le sue prestazioni attraverso una serie di prove eterogenee, che spaziavano dalla comprensione sensoriale alla conoscenza linguistica. Usati dapprima in campo clinico sugli alunni "a rischio" della scuola elementare di Parigi, i test dell'intelligenza divennero presto norma e furono utilizzati in modo diffuso con i bambini della borghesia californiana, soprattutto grazie agli sforzi di Lewis Terman dell'Università di Stanford. Verso il 1920/1930, i test dell'intelligenza (e il QI, il quoziente d'intelligenza) erano già stabilmente entrati nel costume non solo della società americana, ma anche di molte altre parti del mondo. Nonostante i diversi tentativi compiuti in ambito psicometrico, un problema che ha caratterizzato la storia della psicologia riguarda la possibilità di misurare il costrutto di intelligenza che non si presenta unitario. Oltre a Binet, ricordiamo anche il contributo di Spearman che, come vedremo, si collega ad una concezione unitaria di intelligenza. La teoria monofattoriale proposta comporta anche la diffusione del concetto di QI (quoziente intellettivo). Il QI consiste in 94 un punteggio che riassume la prestazione di un individuo in una serie di test destinati a valutare diversi aspetti dell‘intelligenza, che però assume nella sua sinteticità il carattere unitario di misura dell‘intelligenza globale. Spearman individua un fattore g o generale, presente in misura diversa a seconda delle caratteristiche degli individui, in ogni abilità. Il fattore g è analogo a un‘energia o forza trasferibile da una operazione mentale ad un‘altra e caratterizza, in particolare, i processi di ragionamento in cui si fanno inferenze e analogie, si colgono relazioni, si risolvono sillogismi e così via. Se in questa prima fase l'intelligenza fu concepita come un'unica entità, rappresentabile da un singolo numero, ben presto si cominciò a discutere se quell'entità potesse essere legittimamente scomposta in varie componenti. Ricercatori come Thurstone e Guilford sostennero che l'intelligenza poteva essere più propriamente definita come una serie di fattori abbastanza indipendenti fra loro. All'incirca negli anni 30, quindi, con la messa in crisi della concezione unitaria dell‘intelligenza. Thurstone individua dei fattori di gruppo, ovvero le abilità generali non riconducibili a un fattore unico, chiamate abilità primarie. Inizia un nuovo approccio che sostituisce all‘idea di intelligenza come abilità unitaria quella di insieme articolato di abilità che giungerà alla frammentazione estrema con i 120 fattori di Guilford, o in psicologia cognitivista con l‘analisi dei molteplici processi di cui consiste il comportamento intelligente. La teoria di Thurstone delle capacità mentali primarie rappresenta una posizione intermedia tra il fattore g di Spearman e le 120 componenti di Guilford. L‘intelligenza nella teoria dei Thurstone consiste di sette capacità primarie: 95 comprensione verbale: stimata mediante test di vocabolario; fluidità verbale: misurata dalla velocità con cui un individuo riesce a trovare parole che cominciano con una data lettera; capacità numerica: misurata mediante problemi di ragionamento aritmetico; capacità di visualizzazione spaziale: riflessa dalla capacità di eseguire compiti del tipo del confronto di configurazioni; memoria: verifica mediante test di rievocazione; ragionamento: misurato mediante la prestazione su problemi di analogia; velocità percettiva: misurata dalla velocità di esecuzione di compiti come quello di cancellare tutte le t presenti in una stringa di lettere; 2.1.1 Finestra di approfondimento: Concezioni di senso comune sull’intelligenza Il concetto di intelligenza in rapporto all‘apprendimento e all‘istruzione ha subito delle modificazioni. La ricerca ha confutato le concezioni di senso comune più diffuse sull‘intelligenza che indichiamo di seguito: 1. L’intelligenza è un’abilità cognitiva monolitica: Esempio di questa concezione in ambito psicologico è la teoria del fattore g di Sperman. In ambito educativo si è visto 96 che l‘abilità intellettiva dipende da un insieme di varie abilità-componenti e vari approcci hanno documentato come l‘intelligenza possa essere concepita nei termini di una molteplicità di abilità. 2. L’intelligenza è un’abilità cognitiva generale: Un tempo si riteneva che l‘intelligenza fosse trasferibile e applicabile in un‘ampia varietà di compiti e situazioni. Per esempio la capacità di pianificazione potrebbe essere trasferita dalla produzione del testo scritto alla soluzione di problemi. La visione attuale sostiene che le abilità intellettive siano dominio-specifiche, ovvero si impara a pensare in maniera differente mentre si apprendono i contenuti delle varie discipline scolastiche (studi sull‘apprendimento disciplinare). Per esempio la produzione del testo comporta l‘apprendimento di una serie di procedure di pianificazione apparentemente simili a quelle della soluzione di problemi matematici, ma in realtà pianificare un testo argomentativo è un‘operazione cognitiva alquanto differente dalla pianificazione utilizzata in ambito matematico. 3. L’intelligenza è un’abilità cognitiva innata: Secondo questa visione l‘intelligenza sarebbe determinata dal patrimonio genetico. La visione alternativa sostenuta dalla ricerca psicopedagogica sostiene che le abilità possono essere insegnate (in termini di strategie, attivazione di processi cognitivi, ecc) e ciò comporta un miglioramento nelle prestazioni scolastiche. Allora il successo scolastico non è determinato solamente dall‘intelligenza innata. 4. L’intelligenza è un’abilità cognitiva statica: L‘intelligenza sarebbe un prodotto misurabile attraverso le riposte che gli individui danno ai problemi. Attualmente la ricerca educativa ritiene che si possa meglio rilevare l‘abilità di un individuo mediante un accertamento dinamico, che permette di valutare il processo sottostante alla manifestazione dell‘attività mentale. Esiste una discrepanza tra prestazione e potenziale di apprendimento. Ciò introduce una visione dell‘intelligenza intesa come capacità di ap97 prendimento (Brown e Campione), in quanto una teoria dell‘intelligenza non deve solo rendere conto delle abilità richieste per fornire una buona prestazione ai test, ma anche specificare le modalità con cui gli individui si differenziano tra loro. Allora le potenzialità di apprendimento che sono continuamente modificabili possono essere valutate misurando le abilità in un settore specifico e poi valutando una situazione di apprendimento per stimare la quantità minima di aiuto necessaria per raggiungere il criterio stabilito (zona di sviluppo prossimale). Successivamente, la ricerca si concentra sui processi cognitivi che possono spiegare le differenze di prestazione tra gli individui. Si passa, quindi, da una concezione astratta di intelligenza ad un'intelligenza costituita da componenti di elaborazione dell'informazione. Gli studiosi si concentrano sull'esecuzione di compiti considerati rappresentativi dell'essere intelligenti (soluzione di problemi matematici, ragionamento analogico, lettura e comprensione, ecc.) e sulle modalità attraverso cui le abilità mentali coinvolte nell'apprendimento possono essere modificate con l'istruzione. Si verifica così un proliferare di studi sulle analogie tra funzionamento umano e computer (Human Information Processing). La mente umana viene intesa come un sistema di elaborazione delle informazioni e si presuppone un'analogia tra il modo in cui le persone pensano e il modo in cui i software per computer eseguono operazioni per risolvere i problemi. All'interno di questo ambito di studio vengono considerati fattori importanti per l'intelligenza la velocità e la precisione dell'elaborazione dell'informazione. In anni recenti, un certo numero di ricercatori, soprattutto grazie alle scoperte fatte nel campo dell'intelligenza artificiale, della psicologia dello sviluppo 98 e della neurologia, hanno avanzato l'idea che la mente consista di parecchi moduli indipendenti o intelligenze. Si è pervenuti alla conclusione che esistono prove convincenti dell'esistenza di varie competenze intellettive umane relativamente autonome, relativamente indipendenti l'una dall'altra, che possono essere plasmate e combinate da individui e culture in una varietà di modi adattivi (Cadamuro, 2004). Da queste considerazioni è, pertanto, scaturito un nuovo filone di studio e di ricerca che considera l'intelligenza un costrutto complesso e in interazione continua con l'ambiente. Questi approcci, definiti integrativi (cioè che mirano ad integrare i diversi aspetti dell'intelligenza) sono attribuibili principalmente a Sternberg e Gardner. 2.2 La teoria triarchica di Sternberg La gente comune, interrogata da Sternberg sul concetto di intelligenza, ha descritto tre tipi generali di capacità: la capacità di risolvere i problemi; la capacità verbale e la competenza sociale. La capacità di risolvere i problemi include la capacità di ragionare logicamente, di cogliere connessioni tra idee, di afferrare i vari aspetti di un problema e di avere un atteggiamento elastico. La capacità verbale, invece, include abilità come quella di parlare in modo chiaro e ordinato, di essere una persona ben informata di un dato settore, di aver letto molto e di possedere un ampio vocabolario. 99 Con l'espressione competenza sociale Sternberg intende definire la capacità di accettare gli altri per quello che sono, l'essere disposti ad ammettere i propri errori, l'avere una coscienza sociale ed essere sensibili ai bisogni degli altri. Gli esperti considerano come terzo tipo di capacità, l’intelligenza pratica, cioè la capacità di afferrare l‘essenziale delle situazioni, sapere come raggiungere gli scopi, aver interesse per il mondo nella sua varietà. A partire da queste prime rilevazioni andiamo ora ad approfondire gli aspetti caratterizzanti della teoria proposta dal nostro autore. Innanzi tutto dobbiamo dire che attualmente Sternberg è uno dei massimi studiosi di intelligenza. Egli la intende come l'abilità della mente di regolare e coordinare i processi di ordine inferiore, in modo da aumentare la possibilità di risolvere i problemi. Lo studioso individua tre aspetti interagenti nella costituzione dell‘intelligenza: L' abilità di elaborazione dell‘informazione, interno all‘individuo, che guida il comportamento intelligente = teoria componenziale. L' applicazione nei contesti reali, aspetto pratico dell‘intelligenza che consente di acquisire conoscenza negli ambienti in cui le strategie di successo non vengono esplicitamente insegnate o verbalizzate = teoria contestuale. L' abilità di riferirsi alle proprie esperienze per risolvere nuovi problemi e rendere automatiche le procedure in tempi brevi = teoria esperienziale. 100 L'intelligenza componenziale riguarda il mondo interno dell‘individuo e specifica i meccanismi cognitivi ovvero i componenti che soggiacciono alla prestazione intelligente. I componenti vengono distinti in tre tipi: metacomponenti, componenti di prestazione e componenti di acquisizione di conoscenza. Questi interagiscono tra loro e si separano solo per ragioni espositive. I metacomponenti sono processi esecutivi usati nella pianificazione, esecuzione e valutazione di un compito. Per esempio consentono all'individuo di : riconoscere che esiste un problema e definirne la natura; scegliere i componenti di prestazione da combinare e la strategia per combinarli; scegliere le modalità di rappresentazione mentale dell‘informazione; decidere come usare le risorse mentali; monitorare e valutare la soluzione. Sono come i registi che dicono agli attori (i componenti di prestazione e di acquisizione di conoscenze), come recitare; a loro volta gli attori danno un feedback su come vanno le cose in palcoscenico. I componenti di prestazione sono processi di ordine subordinato che eseguono le istruzioni dei metacomponenti. I metacomponenti sono pochi mentre i componenti sono numerosi in relazione alla esperienza dell‘individuo e al tipo di compito. Esempi sono quelli che caratterizzano il pensiero analogico, cioè lo stabilire relazioni di somiglianza tra oggetti e situazioni diverse. 101 I componenti di acquisizione della conoscenza riguardano i processi con cui si imparano cose nuove e si basano soprattutto sugli studi e sulla comprensione verbale. I componenti fondamentali per il funzionamento cognitivo sono tre: codificazione selettiva: distinguere l‘informazione rilevante da quella irrilevante; combinazione selettiva: organizzare in un insieme integrato le informazioni rilevate dalla codificazione; confronto selettivo: mettere in relazione le informazioni ottenute con le conoscenze preesistenti. L' intelligenza contestuale riguarda i contesti in cui opera l‘intelligenza, cioè le modalità con cui si attua l‘adattamento dell‘individuo all‘ambiente. Il comportamento intelligente è rivolto a tre obiettivi: l‘individuo cerca di adattarsi all‘ambiente esterno, cioè modifica se stesso; poi l‘individuo modifica l‘ambiente per adattarlo a se stesso. Infine è possibile scegliere un nuovo ambiente. L'intelligenza esperienziale specifica i momenti in cui compiti e situazioni presenti nell‘esperienza dell‘individuo richiedono maggiormente l‘utilizzo di intelligenza. La teoria di Sternberg propone una visione dell‘intelligenza fondata sui processi cognitivi e inserita in una prospettiva di relativismo culturale. 102 La sotto-teoria componenziale è universalista perchè i componenti sono gli stessi in tutte le culture, però la sotto-teoria contestuale è relativista rispetto agli individui e ai contesti perchè le funzioni di un adattamento all‘ambiente non sono culturalmente neutrali; anche la teoria esperienziale è relativista per l‘esperienza dell‘individuo. Oltre agli aspetti sopra evidenziati, Sternberg è molto noto soprattutto per la messa a punto, nel 1994, di una teoria sul pensiero intelligente, la cosiddetta teoria triarchica. Il pensiero umano si fonderebbe su tre tipi di intelligenze fondamentali: quella analitica, quella pratica e quella creativa. Il pensiero analitico si distingue per la capacità di scomporre, confrontare, esaminare, scendere nei dettagli, giudicare, valutare, chiedersi e spiegarsi il perché, spiegare le cause. L'intelligenza pratica si esplicita nell'abilità di usare strumenti, di saper organizzare, attuare progetti concreti, dimostrare come si fa. La dimensione creativa dell'intelligenza umana è chiaramente caratterizzata dall'intuizione, dalla immaginazione, dalla scoperta, dall'abilità a produrre il nuovo, dal saper ipotizzare, saper immaginare e saper inventare. All'interno di questa teoria non si definisce pertanto una persona intelligente soltanto se eccelle in tutte le abilità considerate, ma si considerano intelligenti coloro che scoprono come trarre il massimo vantaggio dalle proprie forze in modo da compensare o rimediare ai cosiddetti ― punti deboli‖ (Cadamuro, 2004). 103 2.3 La teoria delle intelligenze multiple di Gardner Gardner definisce l‘intelligenza come la capacità di risolvere problemi o di creare prodotti che sono apprezzati in uno o più contesti culturali. I prodotti possono essere un dipinto, un brano musicale, l‘esecuzione di un esperimento, un lavoro teatrale, la gestione di un‘azienda. Gli esseri umani si sono evoluti in modo da processare sette tipi di informazione, ciascuno legato a un particolare contesto ambientale, arrivando a possedere almeno sette separate forme di intelligenza, che sono le seguenti: Intelligenza logico matematica: calcolo, soluzione di problemi, dimostrazioni matematiche, pensiero scientifico; capacità di trattare modelli logici e numerici e di manipolare lunghe catene di ragionamento. Le persone con questa intelligenza comprendono il mondo attraverso un'intuizione delle azioni che si possono compiere sugli oggetti, le relazioni tra queste azioni, le affermazioni e le ipotesi che si possono fare su queste azioni. Un individuo con una Intelligenza Logico-matematica sviluppata comprende le relazioni tra le affermazioni e le ipotesi come un progresso dalla sfera senso-motoria a quella della pura astrazione . Questo tipo di Intelligenza si riferisce anche al pensiero scientifico che si basa sulla comparazione, contrasto e sintesi. Intelligenza linguistica: abilità implicate nella produzione e comprensione del linguaggio e sensibilità alle diverse funzioni linguistiche. Le persone con questa intelligenza hanno grande abilità con il linguaggio, sensibilità al signifi104 cato delle parole, all'ordine delle parole, al suono, al ritmo e alle inflessioni delle parole e manifestano una particolare sensibilità alle differenti funzioni del linguaggio. La manifestazione dell'intelligenza linguistica avviene in persone come giornalisti, romanzieri, commediografi o poeti che manipolano la sintassi ed il significato delle parole. Tutti hanno un qualche grado di intelligenza linguisticoverbale in accordo con la propria cultura. Intelligenza musicale: produzione, esecuzione e fruizione della musica. Questo tipo di Intelligenza riguarda il riconoscimento di modelli tonali, includendo vari suoni ambientali ed una sensibilità al ritmo e al suono. Le persone con questa intelligenza sono in grado di ascoltare continuamente suoni e ritmi nella loro testa. Essi cercano di ripetere questi modelli in più ampi schemi musicali, dando loro una forma. I musicisti e i compositori spesso comprendono il mondo attraverso questo tipo di Intelligenza. Intelligenza spaziale: capacità di percepire le relazioni spaziali e di rappresentarle ed elaborarle mentalmente. Questo tipo di Intelligenza implica la capacità di comprendere, percepire, interiorizzare e trasformare lo spazio. Un architetto, un ingegnere, uno scultore, un coreografo, un navigatore possiedono un alto livello di questa intelligenza. Anche i pittori e gli artisti figurativi, che rappresentano forme, linee, contrasti, figure e colori usano questo tipo di intelligenza quando creano. Le persone con questo tipo di intelligenza spesso amano gli scacchi, i puzzle, la fotografia e dipingere. Intelligenza corporea: capacità di controllare i movimenti del corpo e di maneggiare gli oggetti con perizia. Questo tipo di Intelligenza riguarda il movi105 mento fisico, la conoscenza del corpo e il modo in cui esso opera. Le persone che hanno un'alta intelligenza corporea posseggono una acuta padronanza sui movimenti del loro corpo (ballerini, nuotatori) o sono capaci di manipolare gli oggetti con finezza (strumentisti, chirurghi). L'intelligenza corporea implica la capacità di comprendere il mondo attraverso il corpo, di esprimere idee e sentimenti e comunicare con gli altri attraverso il corpo. Possiamo vedere alte manifestazioni di questa intelligenza negli atleti, ballerini, mimi ed attori ed anche in quelle persone che lavorano con le mani come chirurghi, scultori, carpentieri ed operai. Intelligenza interpersonale: capacità di rispondere appropriatamente agli umori, bisogni e sentimenti degli altri. Questa Intelligenza è la capacità di osservare e fare distinzioni sugli altri, in modo particolare sui loro stati d'animo e temperamenti, intenzioni e motivazioni. Essa consiste nella capacità di comprendere, percepire e discriminare le personalità e i comportamenti degli altri. Intelligenza intrapersonale: conoscenza di se stessi, delle proprie risorse e debolezze. Questa intelligenza è definita da un profondo e sviluppato senso del proprio Sé. Essa consiste nella capacità di conoscere il Sé, di comprendere il proprio mondo interiore. Le parole importanti per una persona con un alto livello di questa intelligenza sono: immaginazione, originalità, disciplina, rispetto di sé, motivazione, ispirazione e temperamento. Queste persone possono rimandare la propria gratificazione e riescono bene a disciplinare se stesse. Questa intelligenza è essenziale per gli artisti, i filosofi, gli psicologi e i pensatori. 106 A queste sette intelligenze, Gardner ne ha successivamente aggiunta un'ottava, che ha chiamato intelligenza naturalistica, riferita alla capacità di riconoscere e trattare piante, animali e altre parti dell'ambiente naturale. Gardner ha ipotizzato anche una nona intelligenza, l'intelligenza esistenziale che concerne la capacità di saper riflettere sulle tematiche fondamentali della nostra esistenza e la propensione al ragionamento astratto per categorie concettuali universali. Questa teoria ipotizza intelligenze diverse e implica particolari forme di processazione. L‘intelligenza linguistica ha processori fonologici e grammaticali, quella musicale ha processori ritmici. Le differenze individuali riguardano l‘efficienza dei processi e le modalità di accesso ai diversi sistemi simbolici. Le intelligenze sono indipendenti le une dalle altre: tutti gli individui normali possiedono le sette intelligenze, con risorse e debolezze specifiche dell‘uno o l‘altro dominio, ma non sono connesse tra loro. Lo sviluppo di un bambino in un dominio non consente previsioni sullo sviluppo negli altri settori. Però le intelligenze interagiscono; la soluzione di un problema matematico espresso verbalmente richiede competenze linguistiche e logico matematiche; l‘esecuzione di un balletto richiede intelligenza corporea ma anche musicale. La teoria di Gardner, da un punto di vista psicopedagogico, si differenzia nettamente dalle altre perché non si focalizza sulle capacità che assicurano il successo scolastico, e non si basa su test psicometrici. 107 2.4 La teoria modulare di Fodor La maggior parte delle teorie ha considerato l'intelligenza, sia singola che multipla, solo come entità o potenziale biologico, che esiste nella testa (e nel cervello) e che può essere misurata indipendentemente dal contesto. La teoria delle intelligenze multiple ha preso in considerazione i diversi modi del dispiegarsi dell'intelligenza nelle varie culture, però nella sua prima formulazione ha risentito di un'impostazione centrata sul solo individuo. La maggior parte degli studiosi ha raggiunto ora la consapevolezza che l'intelligenza non può essere valutata con precisione se viene considerata in modo separato dagli specifici contesti nel quale un individuo vive, lavora o gioca, e in modo indipendente rispetto alle opportunità e ai valori che quei contesti offrono. La teoria della mente di Fodor si muove all'interno dell'orizzonte funzionalista, ossia di quella concezione che assimila la mente a un elaboratore elettronico. L'aspetto più originale della proposta di Fodor consiste nell'architettura che starebbe alla base del funzionamento della mente. L'analisi degli input viene assegnata a strutture verticali (moduli) che hanno il compito di mediare tra l'output degli organi sensoriali/percettivi e i sistemi centrali deputati alle elaborazioni più complesse. Il processo di trasformazione degli input in rappresentazioni implica una teoria computazionale della mente e quindi una realizzazione dei processi cognitivi caratterizzata da una elaborazione di tipo sequenziale. Tale paradigma 108 si contrappone nettamente al modello connessionista che si basa invece su una elaborazione parallela e distribuita. I moduli sono determinati geneticamente: ciascuno di essi si occupa di un dominio specifico ed è collocato in una regione determinata del cervello. Caratteristica fondamentale che contraddistingue un sistema modulare è che esso risulta computazionalmente autonomo, cioè non scambia informazioni né con le strutture centrali, né con gli altri moduli, ma segue strategie di calcolo prefissate e non modificabili. In tal modo, i sistemi di output sono in grado di operare rapidamente: essi, infatti, oltre ad utilizzare percorsi obbligati, non hanno bisogno di impiegare tempo nella valutazione delle diverse opzioni possibili. Fodor non ritiene che il modello modulare sia applicabile alla mente nella sua globalità; anzi, egli in più occasioni cerca di sottolineare come la modularità sia ipotizzabile soprattutto per i sistemi periferici, quelli che hanno il compito di elaborare l'informazione in modo da renderla accessibile ai sistemi centrali. I sistemi centrali, per le loro caratteristiche di complessità e di necessario interscambio reciproco di informazioni, non sarebbero pertanto compatibili con un'organizzazione strutturata per moduli. 2.5 Come si apprende: gli stili cognitivi Una posizione differente, rispetto a quelle sopra considerate, viene invece sostenuta da quei ricercatori che sono più attenti alle differenze nei modi in cui le persone pensano e apprendono. Rispetto ad esempio a come i bambini ap109 prendono a scuola, non si focalizzano sui risultati, ma sulle preferenze evidenziate dai bambini nella scelta di determinate procedure rispetto ad altre in diverse attività didattiche. Queste diverse preferenze, che divengono modalità differenti di apprendere, non sarebbero il segno di una maggiore o minore intelligenza, ma di diversi stili di pensiero. La prova più immediata dell‘esistenza di differenze qualitative nei processi cognitivi la si rileva osservando come persone, sostanzialmente di simili capacità intellettive generali, affrontino determinati compiti in maniera diversa. A livello percettivo, alcune persone osservano maggiormente certi elementi dell‘ambiente: ad esempio si soffermano sulle cose, altri sulle persone, sui dettagli, sull‘insieme, sui colori ecc. A livello di ragionamento vengono utilizzati svariati modi di procedere più o meno sistematici, globali, visualizzanti, legati alla formulazione di ipotesi o all‘utilizzo del pensiero ad alta voce. In letteratura psicologica parliamo di stili cognitivi, stili di apprendimento, approcci all'apprendimento, strategie di apprendimento e metacognizione. Stile cognitivo è un‘espressione più agile e flessibile che tiene conto del fatto che la propensione ad affrontare i compiti cognitivi coerentemente con un certo stile; ciò non esclude che il soggetto possa compiere vari processi anche con lo stile opposto (Antonietti, 1998) La definizione stile cognitivo è stata utilizzata tutte le volte in cui si sono raggruppati i soggetti in ― tipi‖ distinti non tanto per il possesso di maggiori o 110 minori abilità, ma per modalità diverse nell‘affrontare determinati compiti cognitivi. Secondo Antonietti lo stile cognitivo è una modalità di elaborazione dell‘informazione che si manifesta talora in compiti e in settori diversi del comportamento, ovvero la tendenza generale del soggetto ad adottare strategie di un certo tipo in maniera molto più frequente di altre. In ambito educativo lo stile cognitivo è stato differenziato dal concetto di ― abilità‖. Possiamo considerare le abilità ciò che permette a un individuo di eseguire certi processi mentali. L‘analisi delle differenze negli stili cognitivi ha spostato l‘attenzione dalla quantità della abilità alla sua qualità. Quali sono le differenze tra abilità e stili? Le abilità riguardano il contesto e il livello di cognizione (quanto?) mentre gli stili riguardano la modalità (come?). L‘abilità rinvia alla misurazione in termini di accuratezza e concretezza delle risposte (se pensiamo in termini di livello procediamo in verticale: da B dobbiamo arrivare ad A) mentre lo stile implica l‘individuazione di modalità dominanti di risposta (immaginiamo due poli opposti e lungo un continuum andiamo a rilevare quanto la persona propende per l'uno o l'altro polo). L‘abilità è unipolare, gli stili sono bipolari, cioè si postulano due poli opposti (globale/analitico; visuale/verbale) e si misura lungo una sorta di continnum la propensione di un individuo verso l'una o l'altra modalità. 111 Le abilità hanno un valore in assoluto, mentre gli stili hanno un valore in relazione alla natura di un compito cognitivo. Le abilità sono specifiche di un settore, gli stili sono pervasivi. Le abilità facilitano l‘esecuzione di un compito in un‘area specifica, gli stili hanno funzioni di organizzazione e controllo del funzionamento cognitivo. Gli stili sono modalità di funzionamento mentale relativamente stabili e "trasversali" ai vari domini di attività psichica, sono correlati con la personalità e riflettono il modo in cui chi apprende elabora l‘informazione (Antonietti, 1998; Antonietti, Cantoia, 2000) Gli attributi fondamentali degli stili sono la costanza e la stabilità. Il bambino apprende con delle costanze, delle regolarità, degli aspetti di stabilità che dovrebbero essere "trasversali" alle varie aree disciplinari, che evidenziano il modo generale con cui il bambino apprende in tutti i domini. Qual è il rapporto tra stile cognitivo e strategie? La predisposizione ad attivare per un determinato genere di compiti che la persona è chiamata a svolgere, particolari classi di strategie è denominata approccio o orientamento all'apprendimento. Quando matura la tendenza a impiegare il medesimo genere di strategie, (indipendentemente dalle caratteristiche del compito, del materiale, nei vari contesti in cui l'individuo si trova a operare) l‘individuo sviluppa un particolare stile. Vi è, quindi. uno stretto legame tra stile cognitivo e strategia cognitiva. Possiamo dire di essere in presenza di uno stile cognitivo tutte le volte in cui si evi112 denzia una tendenza costante e stabile nel tempo ad usare una determinata classe di strategie. La nozione di strategia cognitiva si riferisce alla serie di procedure che un individuo adotta per sua iniziativa di fronte ad un certo compito cognitivo e che non deve adottare necessariamente. Messik definisce lo stile come strategia usata coerentemente in una classe di compiti, dove per strategia si intende un piano di azioni composto da tattiche o mosse organizzate. Lo stile cognitivo come modalità di funzionamento cognitivo (pensiero, memoria, percezione) riflette regolarità nella processazione dell‘informazione e si sviluppa intorno a orientamenti sottostanti alla personalità. Messik individua otto variabili che rappresentano stili cognitivi: ampiezza della categorizzazione: preferenza per l‘assegnazione di oggetti e eventi a categorie ampie o ristrette. complessità cognitiva: differenze nella tendenza a concettualizzare le esperienze e gli eventi in modo più o meno articolato e multidimensionale. dipendenza/indipendenza dal campo: grado con cui la percezione o comprensione dell‘informazione è influenzata dal campo percettivo o dal contesto in cui l‘informazione è collocata. livellamento/acutizzazione: i soggetti livellatori tendono a rendere uguali nel ricordo oggetti e eventi simili ma non identici; gli aguzzatori tendono ad accentuare le diversità. 113 esame generale/messa a fuoco: riguarda le differenze nell‘estensione e intensità dell‘attenzione. convergenza/divergenza: tendenza dell‘individuo a cercare soluzioni corrette e convenzionali ai problemi, rispetto alla preferenza per soluzioni molteplici e non convenzionali. automatizzazione: abilità ad eseguire semplici compiti automaticamente; non è una dimensione bipolare. riflessività/impulsività: tendenza dei bambini a inibire le risposte immediate e a riflettere sull‘accuratezza di una risposta piuttosto che rispondere impulsivamente. In seguito anche alle prime rilevazioni effettuate da Messik, che come abbiamo visto cerca di identificare alcune differenze rilevabili tra gli individui, in proposte più recenti relative agli stili di pensiero, sono stati individuati due opposti tipi di approccio che si possono assumere quando ci si trova di fronte ad una situazione nuova. Si può cercare di riportare tali situazioni ad altre più familiari, in modo da poter applicare strategie consolidate, oppure viverle come sfide che spingono verso il cambiamento. A questo riguardo si possono ricordare due stili cognitivi, per certi aspetti simili. Il primo è lo stile adattatore-innovatore teorizzato da Kirton. Gli adattatori sono coloro che hanno come principale obiettivo l'efficienza e di fronte alla novità procedono cautamente, esaminando un aspetto per volta e 114 attenendosi all'applicazione di regole e principi dati, senza metterli in discussione. Gli innovatori, al contrario apprezzano le possibilità di trasformazione che la novità implica e sono disposti ad avventurarsi, senza le rassicurazioni che provengono dalle abitudini, in territori ignoti. Il secondo stile in questione è quello assimilatore-esploratore, (Kaufmann, Martinsen), basato sui concetti piagetiani di assimilazione e accomodamento. Assimilatore è colui che applica schemi mentali tradizionali a situazioni nuove, in questo modo perseguendo il massimo di parsimonia cognitiva Esploratore è colui che trasforma invece i propri schemi mentali per adattarli alle novità che incontra. Poi ritroviamo uno stile molto interessante definito stile di pensiero sinistro e pensiero destro (Torrance), chiamato così a causa della classica differenziazione emisferica. Il pensiero sinistro collegato alle competenze ritenute peculiari dell'emisfero cerebrale sinistro sarebbe proprio dei bambini legati ai modi tradizionali e routinari di affrontare le situazioni, portati all'uso della logica e del codice verbale, tendenti a seguire procedure analitiche. Il pensiero destro sarebbe, invece, tipico dei bambini che sviluppano prospettive originali per affrontare le situazioni, elaborano molte idee contemporaneamente, fanno affidamento all'intuizione, alle emozioni, e alle sensazioni empatiche, tendono a ragionare in termini visivi, preferiscono l'azione alla riflessione, manifestano predilezioni per l'espressività di tipo artistico. 115 Lo stile di pensiero destro/sinistro - molto simile soprattutto per ciò che concerne la preferenza verso il codice visivo vs codice verbale - viene anche chiamato stile cognitivo visualizzatore/verbalizzatore. E' forse lo stile maggiormente indagato ed utilizzato dagli insegnanti. A questo proposito, nella finestra di approfondimento che segue, presentiamo un questionario che può essere utilizzato dai docenti e dagli studenti e che consente di rilevare e soprattutto riflettere sul modo in cui tendiamo a rappresentarci le conoscenze. Strumento 1 Questionario per la rilevazione dello stile cognitivo5 1. Dovendo memorizzare un numero telefonico: a) mi raffiguro nella mente le sue cifre, b) ripeto mentalmente le sue cifre. 2. Dovendo utilizzare o mettere in funzione un oggetto o, uno strumento: a) preferisco avere a disposizione la descrizione scritta delle operazioni da, compiere, 5 Il questionario riportato, originariamente era costituito da 70 item e comprendeva anche una possibilità di risposta intermedia, successivamente eliminata perchè troppo spesso scelta dagli individui che così facendo evitavano di posizionarsi e quindi di scegliere nell'uno o nell'altro caso risposte di tipo visuale o verbale. La versione qui riportata è composta da 35 item ed è stata messa a punto e pubblicata da Antonietti (1998). 116 b) preferisco avere a disposizione una sequenza di illustrazioni che spieghi le operazioni da compiere. 3. Quando devo andare in un luogo che non so dove si trovi e chiedo informazioni a un passante: a) mi creo nelle mente, in base alle indicazioni fornitemi dal passante, l'immagine della strada che devo percorrere, b) memorizzo le indicazioni verbali che il passante mi dà. 4. Quando studio: a) cerco di rappresentare graficamente quanto ho letto facendo degli schemi sul libro o sul quaderno, b) riassumo - sul libro o sul quaderno - con parole o frasi quanto ho letto. 5. Non mi ricordo dove ho posato un oggetto: a) elenco mentalmente le azioni che ho compiuto in precedenza o i luoghi m cui sono stato al fine di individuare il possibile posto in cui ora l'oggetto, b) visualizzo mentalmente le azioni che ho compiuto in precedenza o i luoghi in cui sono stato al fine di individuare il possibile posto in cui ora l'oggetto. 117 6. Quando lascio vagare liberamente la mi a mente: a) mi capita di compiere fantasie ad occhi aperti in cui mi rappresento visivamente situazioni future o immaginarie, b) mi capita di compiere mentalmente dei discorsi su situazioni future. 7. Quando devo recarmi con i mezzi di trasporto in un luogo noto: a) faccio mentalmente l'elenco dei mezzi che prenderò e delle relative fermate, b) mi creo nella mente l'immagine dell'itinerario da compiere e il percorso che compirò con i vari mezzi. 8. Quando studio un fenomeno fisico, un fatto storico o un ambiente geografico: a) cerco di crearmi nella mente un'immagine della situazione che è descritta nel testo, b) cerco di fissare nella mente le espressioni verbali relative alla situazione che è descritta nel testo. 9. Quando leggo un racconto: a) immagino visivamente la situazione e i personaggi descritti, 118 b) seguo attentamente la sola descrizione verbale della situazione e dei personaggi. 10. Quando mi descrivono un fenomeno o un fatto a) gradisco che mi presentino illustrazioni o grafici o una simulazione visiva (per esempio un filmato ecc.), b) gradisco che me lo presentino esclusivamente in termini verbali, a voce o per iscritto. 11. Quando prendo appunti: a) registro per esteso i contenuti scrivendo frasi complete, b) uso freccette, sottolineature, grafici ecc. 12. Quando devo disegnare un oggetto: a) ripeto mentalmente le sue caratteristiche, b) immagino l'oggetto come in una fotografia. 13. Mi piace risolvere giochi enigmistici: a) di tipo verbale, come le parole crociate, gli anagrammi, i crittogrammi ecc., b) di tipo visivo, come i confronti tra immagini, la ricerca di particolari nascosti, i labirinti ecc. 119 14. Quando qualcuno mi racconta qualcosa: a) mi si imprimono in mente le immagini visive di quanto mi si sta riferendo, b) mi si imprimono in mente le parole con cui viene descritto quanto mi si sta riferendo. 15. Quando devo memorizzare qualcosa: a) cerco di costruire rime, filastrocche, sequenze di parole ecc., b) cerco di formare immagini o associazioni di immagini. 16. Quando devo eseguire delle operazioni aritmetiche a mente: a) mi immagino visivamente i numeri come se fossero scritti davanti a me, b) ragiono in termini astratti. 17. Prima di addormentarmi mi capita: a) di ripetere verbalmente fatti della giornata, b) di rievocare visivamente fatti della giornata 18. Quando ascolto o leggo parole particolari: a) mi vengono in mente parole associate a quella parola, b) mi vengono in mente immagini che si riferiscono a quella parola. 120 19. Trovo la soluzione di un problema: a) usando formule matematiche, principi logici, concetti astratti, ecc., b) usando disegni, schemi, figure, ecc. 20. Dopo aver ascoltato la descrizione relativa a una persona che non conosco: a) ricordo l'immagine che mi sono fatta del suo aspetto, b) ricordo le espressioni verbali che ne hanno descritto l'aspetto. 21. Quando richiamo dei contenuti memorizzati: a) mi tornano alla mente le parole esatte con cui essi erano riportati nel testo, b) vedo nella mia mente il punto esatto della pagina dove erano riportati. 22. Quando studio i libri scolastici: a) sottolineo i testi con colori diversi, b) scrivo sui margini delle pagine parole o frasi che riassumono il contenuto del testo. 121 23. Quando voglio crearmi un'idea di un periodo storico o di un ambiente geografico: a) preferisco prendere in considerazione documenti illustrativi (dipinti, stampe, cartine ecc.), b) preferisco prendere in considerazione documenti letterari. 24. Quando studio un libro: a) faccio attenzione alle eventuali figure, quali diagrammi, schemi ecc., b) mi concentro sul testo scritto. 25. Quando devo predisporre un itinerario da percorrere (per una gita, una vacanza ecc.) cerco di memorizzare: a) la relativa cartina o mappa, b) la sequenza dei luoghi da cui passare. 26. Quando devo valutare il tempo necessario per raggiungere un luogo: a) visualizzo mentalmente il percorso che dovrò compiere e immagino di seguirlo, b) richiamo alla mente esperienze precedenti e relativi tempi di percorrenza (per esempio «Il tal giorno sono partito alle 10 e sono arrivato alle 10.30, ma c'era poco traffico ecc.»). 122 27. Quando devo spiegare a una persona il percorso. da seguire preferisco: a) fare una dettagliata descrizione a voce, b) fare degli schizzi o degli schemi. 28. Quando devo incontrare una persona che non conosco: a) richiamo alla mente i discorsi che ho sentito fare al riguardo, b) visualizzo nella mia mente il suo possibile aspetto. 29. Quando devo risolvere un problema: a) faccio molta attenzione ai significati precisi delle parole, b) faccio disegnini, schizzi, schemi ecc. 30. Nello scegliere il luogo dove fare una gita o trascorrere una vacanza: a) faccio attenzione alle illustrazioni dei luogo e cerco di immaginarmelo visivamente, b) faccio attenzione a quanto mi è stato detto o a quanto ho letto al riguardo. 31. Quando devo capire perché un apparecchio non funziona più: a) cerco di immaginarmi il suo meccanismo interno per individuare la possibile ragione del guasto, 123 b) cerco di richiamare alla mente le nozioni che mi possono aiutare per ripararlo. 32. Quando devo stabilire se un mobile o un oggetto è di dimensioni tali da poter essere collocato in una certa posizione: a) valuto "ad occhio" immaginandomi l'oggetto nel luogo destinatogli, b) procedo utilizzando il metro. 33. Dovendo spiegare a una persona il funzionamento di un apparecchio: a) preferisco descriverlo con chiarezza a voce, b) preferisco fare degli schizzi. 34. Dovendo valutare quale di due gruppi di elementi è più numeroso (per esempio, in quale coda c'è più gente): a) faccio un confronto "ad occhio" tra le due situazioni, b) conto gli elementi. 35. Se devo programmare una serie di azioni da compiere (per esempio, gli acquisiti al supermercato): a) le elenco mentalmente, b) le visualizzo mentalmente. 124 Punteggio: Sono considerate risposte visuali (o visive) le seguenti:1A – 2B – 3A – 4A – 5B – 6A – 7B – 8A – 9A – 10A – 11B – 12B – 13 B – 14 A – 15 A – 16 A - 17 B – 18 B – 19 B – 20 A – 21 B – 22 A – 23 A – 24 A – 25 A – 26 A – 27 B – 28 B – 29 B- 30 A – 31 A – 32 A – 33 B – 34 A – 35 B. Le altre sono ovviamente risposte di tipo verbali. Per identificare la tendenza del soggetto è necessario contare su 35 item quanti item visuali e quanti item verbali vengono scelti. Se i punteggi ottenuti sono molto simili (ad esempio 17 visuali e 18 verbali) si viene considerati ― integrati‖. Questo significa che non è emersa una tendenza, ma che si utilizzano le strategie che fanno riferimento ad entrambi i poli considerati. 2. 6 Gli stili cognitivi in prospettiva evolutiva Lo stile cognitivo è legato allo sviluppo cognitivo del bambino e in alcuni casi la tendenza verso uno stile piuttosto che un altro può cambiare con l‘età . Iniziamo con l'analizzare uno stile forse poco noto in letteratura, ma molto utilizzato dagli insegnanti (nido, scuola dell'infanzia e scuola primaria). Si tratta dello stile cognitivo visuale/tattile. Alcuni individui preferiscono elaborare l'informazione attraverso manipolazioni visive e spaziali, mentre altri, specialmente i bambini più piccoli, imparano maggiormente attraverso l'interazione tattile (per esempio toccando o te125 nendo in mano). Tra gli adulti, lo stile percettivo maggiormente dominante è quello visuale. L'importanza della percezione tattile cambia con l'età; sono stati riscontrati effetti evolutivi, il che significa che crescendo gli individui tendono a diventare più visuali e lo stile percettivo tattile diviene meno importante. Altro stile che può dipendere dall‘età è lo stile livellatore/puntualizzatore. Questo stile descrive come gli individui percepiscono e memorizzano le informazioni. Nella rievocazione di una storia i livellatori tendono a condensare gli elementi e a semplificare, poiché integrano l‘informazione più prontamente in memoria. I puntualizzatori tendono a mantenere chiaramente le differenze tra i vari elementi e i dettagli di una storia vengono conservati all‘interno della struttura originaria. Durante lo sviluppo gli individui tendono a cambiare dallo stile livellatore al puntualizzatore. Lo stile impulsivo/riflessivo definisce un continuum molto presente nei bambini. Questo stile misura la tendenza della persona a inibire le risposte iniziali e a riflettere sull‘accuratezza della risposta piuttosto che la tendenza a rispondere impulsivamente. Questa tendenza emerge soprattutto quando il compito contiene delle incertezze. Gli impulsivi rispondono velocemente e commettono più errori, 126 mentre i riflessivi hanno tempi di risposta più lunghi e commettono pochi errori di performance. Le differenze tra bambini impulsivi e bambini riflessivi sembra essere connessa alle differenze legate alla preoccupazione rispetto all‘errore. Per evitare l‘errore, i riflessivi prendono più tempo per considerare le soluzioni alternative. Confrontati con i riflessivi, gli impulsivi sono considerati più ansiosi e carenti di fiducia in loro stessi. Queste caratteristiche potrebbero dipendere dallo stress indotto dall‘incertezza e dall‘ambiguità della situazione. I bambini impulsivi sono ansiosi perché hanno paura di essere giudicati incompetenti se la loro risposta è lenta. Lo stile visualizzatore/verbalizzatore descrive la preferenza individuale nell‘elaborare le informazioni in modo visivo piuttosto che verbale. Alcuni individui preferiscono elaborare le informazioni attraverso la vista, usando grafici, diagrammi o illustrazioni; mentre altri preferiscono le parole, attraverso la lettura o l‘ascolto. I visualizzatori tendono a pensare più concretamente usando l‘immaginazione e personalizzando l‘informazione. Quando apprendono, preferiscono grafici, diagrammi, disegni aggiunti al materiale testuale di base. I verbalizzatori preferiscono elaborare l‘informazione attraverso le parole, con la lettura o l‘ascolto. Sono più oggettivi rispetto all‘informazione che stanno apprendendo. 127 Molti studenti possono ugualmente usare informazioni verbali o visuali per apprendere. 2.7 Gli stili di apprendimento: una finestra di osservazione per l'insegnante Con l'espressione stile di apprendimento gli studiosi intendono riferirsi alla tendenza di uno studente a preferire un certo modo di apprendere e di studiare. E' possibile identificare diverse tipologie di comportamenti che le persone mettono in atto quando sono coinvolte in situazioni di apprendimento. Vi sono ad esempio studenti cauti e prudenti che non corrono rischi e prediligono indicazioni chiare e metodologie didattiche sequenziali. Altri studenti recepiscono con facilità informazioni riferite a oggetti concreti, come fatti e dati, altri si trovano a propri agio con concetti astratti, ecc. Gli stili di apprendimento, a differenza degli stili cognitivi che sono trasversali ai vari domini dell'attività cognitiva, sono stati indagati prevalentemente in situazioni di apprendimento, all'interno delle classi e con studenti impegnati nello svolgimento delle attività, nella risoluzione di un problema o nella pianificazione di un compito. Iniziamo con lo stile di apprendimento proposto da Pask e denominato stile di apprendimento "basato sulla comprensione" e "basato sulle operazioni“. Questo stile, come abbiamo detto. Si riferisce all‘apprendimento scolastico e chiama in causa due classi di strategie di apprendimento: olistiche e seriali (Pask). 128 Lo stile basato sulla comprensione (olistico) consiste nel collegamento di varie idee all'interno di una unica struttura concettuale di riferimento. L‘individuo sa stabilire rapporti, compiere generalizzazioni, individuare le fonti da cui provengono le informazioni. Ha come obiettivo quello di giungere ad una assimilazione personale delle esperienze, ragione per cui mostra una predilezione per gli esempi concreti e collega i contenuti che incontra alle proprie credenze. Lo stile basato sulle operazioni (seriale) consiste nell'impiego di appropriate procedure e prove per verificare le idee, ma in questo l'individuo viene a possedere un insieme disarticolato di competenze operative e di schemi mentali che non sa coordinare in strutture organiche. L'apprendimento dà quindi luogo all'assimilazione di concetti frammentari. La distinzione tra le due tipologie è questione di grado, essendo entrambe richieste da qualunque forma di apprendimento. Uno studente sarà olista o seriale a seconda di quale delle due classi di strategie tende a usare maggiormente. Pask prevede l'esistenza di un terza tipologia denominata versatile: i versatili sanno passare da una strategia seriale a una olistica o viceversa secondo le situazioni di apprendimento in cui si trovano. In letteratura ritroviamo poi la distinzione tra stile di apprendimento superficiale e profondo (Entwistle). Anche questo stile si basa sulla contrapposizione tra comprensione personale e assimilazione riproduttiva. 129 I discenti superficiali sono quelli che sulla base della paura di fallire tendono a una acquisizione meccanica dei contenuti basata sulla semplice memorizzazione e cercando di compiere il minimo sforzo. I discenti profondi mirano a cogliere il massimo significato nei contenuti da apprendere nutrendo per essi un personale interesse e cercando di coglierne le idee-chiave e i principi. Anche in questo caso esisterebbe un orientamento intermedio, denominato strategico, che risulta dalla combinazione di elementi superficiali e profondi. Gli studenti strategici sono quelli che, motivati al successo scolastico, sanno cogliere le attese e i criteri di valutazione degli insegnanti e sulla base di questi indici scelgono le strategie di apprendimento più adeguate distribuendo oculatamente l'impegno. Solo l'apprendimento profondo rispecchia un processo naturale. L‘apprendimento superficiale e quello strategico sono artefatti creati dalla scuola attraverso il sistema di valutazione che viene in genere adottato e che spinge a impiegare strategie che non rispondono al reale bisogno di conoscenza dell'individuo, ma solo al raggiungimento di certificazioni istituzionali (voto, promozione). Ricordiamo inoltre il modello di Kolb. L'autore nel 1974 propone un modello che si pone l'obiettivo di illustrare il processo che sta alla base dell'apprendimento. Questa teoria pone l'accento sul ruolo fondamentale che gioca l'esperienza nel processo di apprendimento, integra il pragmatismo filosofico di 130 Dewey, la psicologia sociale di Lewin e l'epistemologia genetica sullo sviluppo cognitivo di Piaget. Kolb individua due assi per classificare il modo in cui gli individui affrontano le situazioni e usano la propria esperienza. Il primo asse si riferisce alla preferenza per l'osservazione riflessiva (guardare) o per la sperimentazione attiva (fare). Il secondo asse alla preferenza per l'esperienza concreta (sentire) o per la concettualizzazione astratta (pensare). Per Kolb il processo di apprendimento ha un andamento circolare in cui tutte le quattro citate caratterizzazioni entrano in gioco. Esso prende avvio dall'esperienza concreta su cui vengono compiute le osservazioni riflessive, che conducono il discente a concettualizzazioni astratte; queste ultime vengono poi messe alla prova attraverso la sperimentazione attiva, per verificare se si adattano a nuove situazioni. In questo modo attraverso ulteriori esperienze attive, il processo ricomincia. Dalla combinazione dei due assi proposti da Kolb scaturiscono quattro categorie di discenti: gli accomodatori: amano essere coinvolti in nuove esperienze, e sono disposti a rischiare, tendono a portare a compimento i progetti, risolvono i problemi con procedure per prove ed errori di tipo intuitivo, si adattano rapidamente a situazioni mutevoli, sanno trattare con le persone, da cui dipendono per ottenere le informazioni; 131 i divergenti: sono dotati di abilità immaginative e capaci di produrre molte e diversificate idee, con vasti interessi culturali, sensibili alla dimensione dei sentimenti e dei valori; i convergenti: riescono bene nei test tradizionali di intelligenza, nella soluzione di problemi, nella presa di decisione, nella applicazione pratica delle idee e controllano l'espressione delle proprie emozioni, preferiscono avere a che fare con problemi tecnici piuttosto che con le persone; gli assimilatori: tendono all'elaborazione teorica e particolarmente abili nel compiere generalizzazioni a partire da casi particolari. Meno noto in ambito educativo, rispetto al modello di Kolb, il modello di Gregorc descrive i modelli preferenziali nell‘apprendimento. Questo si realizza grazie alla percezione e alla procedura di elaborazione delle informazioni in entrata. La preferenza percettiva si riferisce all‘acquisizione delle informazioni che può avvenire in modo astratto o concreto (o combinato). La percezione concreta si riferisce all‘abilità di elaborare gli aspetti fisici dell‘informazione attraverso i sensi. La percezione astratta si riferisce all‘abilità di elaborare le informazioni attraverso il ragionamento e l‘intuizione, spesso non visibili ai nostri sensi fisici. 132 La preferenza nella procedura di elaborazione delle informazioni si riferisce al modo con cui la persona ordina, dà priorità e usa l‘informazione, che può avvenire in modo sequenziale o casuale (o combinato). Uno stile sequenziale utilizza uno schema lineare, organizzato passo per passo. Uno stile casuale coinvolge l‘organizzazione dei dati in un formato combinato che collega le informazioni in differenti modi. I modelli di percezione e di procedura di elaborazione delle informazioni si combinano in quattro modalità di base: concreto sequenziale astratto sequenziale concreto casuale concreto sequenziale. Queste modalità aiutano la persona a correlarsi con il mondo. L‘individuo può elaborare le informazioni in ognuno di questi quattro modi, però vi è una predisposizione per l'uno o per l'altro. Queste predisposizioni offrono punti di vista psicologici, modelli di pensiero , organizzazioni della mente , valori e modi di espressione del Sé . Il concreto sequenziale: preferisce ricercare le informazioni attraverso esperienze personali e le elabora in modo logico e sequenziale. I cinque sensi sono molto sviluppati e usati frequentemente. Utilizza processi di pensiero del tipo ― se-allora‖. Apprezza la logica, è ben organizzato e ri133 cerca la perfezione. Ricerca inoltre l‘autorità e una guida nell‘ambiente di apprendimento. Spesso ha memoria fotografica. Il concreto casuale: fa esperienza attraverso le idee e i concetti e apprende per prove ed errori. Gli piace esplorare un ambiente ricco di stimoli. Nelle esperienze di soluzione di problemi non strutturate, raccoglie le informazioni velocemente e ha ampie intuizioni nel tentativo di trovare una idea che unifichi e metta in relazione i concetti con il mondo reale. Ciò può portarlo a saltare a conclusioni veloci. Si muove facilmente dai fatti alla teoria. Non ama l‘intervento dell‘autorità. L'astratto sequenziale: è portato nell‘area della codifica dei simboli verbali, scritti e delle immagini. Raccoglie e organizza una gran quantità di immagini mentali concettuali, e confronta le informazioni lette, ascoltate o viste in forma grafica o pittorica. Preferisce presentazioni razionali e sequenziali e si basa su teorie, elaborando costruzioni mentali. L‘informazione deve essere ben organizzata e significativa. Sintetizza le idee e produce nuovi concetti pervenendo a nuove conclusioni. Deferisce all‘autorità e sopporta poco le distrazioni. L'astratto casuale: è caratterizzato da una profonda consapevolezza del comportamento umano e dall‘abilità di valutare e interpretare l‘atmosfera e gli umori. Globalizza l‘esperienza di apprendimento e apprende meglio in una atmosfera non strutturata che conduce alla discussione di gruppo, ad attività multisensoriali, e in ambienti affollati. Percepisce e assorbe informazioni globalmente e valuta attraverso le esperienze personali ed emotive. 134 Vede le relazioni tra le persone, idee, posti e cose. E‘ riflessivo e ha bisogno di tempo per elaborare i dati prima di rispondere. 2.8 Valutare gli stili: una proposta di integrazione E‘ importante per un insegnante conoscere e valutare gli stili. Antonietti identifica almeno per tre motivi: diagnostici, formativi e orientativi. Aspetti diagnostici: individuare il modo di apprendimento di un alunno può permettere di comprendere meglio se le difficoltà che egli manifesta sono a carico principalmente delle abilità o invece degli stili. Un bambino può evidenziare problemi nel percorso scolastico non perché non possiede le adeguate competenze, ma perché è poco incline a sfruttarle. Valenze orientative: la conoscenza dei modi di apprendimento degli alunni può permettere all'insegnante di adeguare la propria metodologia didattica agli stili dei soggetti cui si rivolge. Gli apprendimenti più profondi e duraturi si hanno quanto vi è corrispondenza tra stile del discente e modalità di insegnamento del docente (Pask). Ripercussioni di ordine formativo: promuovere nel bambino la consapevolezza dei propri stili costituisce un contributo alla maturazione dell'autoconoscenza. La conoscenza del proprio stile di pensiero è parte della più generale competenza metacognitiva. 135 Si tratta, quindi, di mettere in luce limiti e punti di forza, affinché l‘alunno sia consapevole sia delle proprie potenzialità, sia dei rischi cui va incontro quando fa affidamento alle proprie preferenze di elaborazione cognitiva. I vari stili hanno un valore funzionale che varia secondo i contesti e gli obiettivi: uno stile non è in assoluto preferibile all'altro, dato che quelli che sono i vantaggi offerti da una modalità di apprendimento possono diventare dei limiti in un'altra situazione. La finalità della scuola non è quella di incentivare esasperatamente le attitudini dei discenti e quindi evitare l'ipertrofia nel bambino di una polarità dello stile apprenditivo e l'atrofia della polarità opposta. Si deve dotare l'alunno di più risorse in modo che egli sappia sfruttarle diversamente secondo le situazioni , individuando di volta in volta la modalità di apprendimento più pertinente e sapendo spostarsi flessibilmente da un tipo di strategia all'altra, essendo riconosciuto che tale mobilità cognitiva è il segno distintivo della capacità di apprendere . 2.9 La metacognizione: da quello che pensi a come lo pensi La metacognizione rappresenta un concetto piuttosto recente sviluppato all‘interno della psicologia che si occupa dei processi cognitivi e dell‘apprendimento. Seppur il concetto sia complesso sul piano teorico e sperimentale, ha però una forte valenza operativa nel campo delle difficoltà di apprendimento e nell‘ambito scolastico, dove l‘attuazione di interventi di tipo metacognitivo ha comportato miglioramenti visibili sul piano pratico. 136 Anche in assenza di difficoltà, l‘approccio metacognitivo permette un apprendimento più profondo e generalizzabile (Antonietti). 2.9.1 Finestra di approfondimento Tappe nello sviluppo della competenza metacognitiva 1. Il primo passo richiesto perché si possa iniziare a parlare di metacognizione è ovviamente dato dalla separazione tra mondo fisico esterno e mondo mentale interno. 2. Acquisita questa distinzione, si tratta poi per il bambino di riconoscere in sé e attribuire agli altri precisi stati mentali (teorie della mente), distinguendo le varie funzioni psichiche coinvolte. 3. Infine, si arriva ad attribuire a cause mentali le conseguenze di certi comportamenti. Con il crescere dell‘età i bambini sono maggiormente in grado di individuare dentro la mente i motivi di certe difficoltà cognitive e le possibilità per trovarvi rimedio. Per esempio, per quanto riguarda la disattenzione, si passa dall‘attribuirne la causa alla presenza di stimoli esterni disturbanti al riconoscimento della propria mancanza di interesse o di concentrazione. Con l‘avanzare dell‘età i bambini non soltanto tendono a ‗localizzare‘ maggiormente nella mente le dinamiche di certi fenomeni, ma ampliano anche la propria conoscenza del funzionamento psichico, venendo a conoscenza di una gamma di strategie mentali più vasta, riuscendo a discriminare più finemente le varie strategie e a riconoscerne le peculiarità, migliorando la capacità di predire i risultati delle proprie operazioni intellettive. 137 2.9.2 Finestra di approfondimento Lavoro scolastico e metacognizione In relazione alle difficoltà che si incontrano nel lavoro scolastico, in una certa area disciplinare, si possono registrare gradi crescenti di consapevolezza metacognitiva: Livello non-metacognitivo in cui gli alunni non sanno indicare alcuna ragione delle proprie difficoltà (la tal disciplina è difficile perché si sbaglia sempre) Pre-consapevolezza in cui si ha almeno la descrizione di comportamenti collegabili alle difficoltà(la tal disciplina è difficile perché bisogna prendere appunti velocemente) Prima consapevolezza metacognitiva (la tal materia è difficile perché bisogna apprendere dei contenuti che non si comprendono subito) Si ha una consapevolezza più analitica quando lo studente è in grado di far riferimento alla mente individuando i motivi causanti di certi processi: motivazione esterna: ―l a tal disciplina è difficile perché il testo è scritto con un linguaggio ostico‖ motivazione interna: ‖la tal disciplina è difficile perché bisogna ricordarsi molte informazioni ed io ho poca memoria‖ I tre livelli della metacognizione Come vedremo nel corso del capitolo il costrutto teorico di metacognizione è molto complesso, ma ha delle ricadute molto importanti in ambito psicopedagogico perchè rende gli allievi più consapevoli riguardo l'attività della mente e la possibilità di migliorare e 138 potenziare i propri processi di pensiero. Per renderlo facilmente più comprensibile, riportiamo lo schema dei tre livelli metacognitivi ripreso anche da autori molto importanti come ad esempio Ianes e Cornoldi. Iniziamo dal livello 1 che si riferisce all'insieme delle conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale L‘insegnante fornisce all‘alunno informazioni generali sui vari processi cognitivi, sui meccanismi che li rendono possibili, sui limiti che condizionano le prestazioni mentali, ecc. Ad esempio si informa l‘alunno sulle caratteristiche della memoria, le varie strategie di elaborazione e immagazzinamento delle informazioni, i vari tipi di memoria, le strategie di cui dispone l‘essere umano per migliorare le sue prestazioni mnestiche. Lo stesso input teorico può essere fornito per altri aspetti della vita mentale: la percezione, l‘attenzione, i vari tipi di apprendimento, le emozioni, lo sviluppo delle abilità logiche e di ragionamento, le abilità di studio, ecc. All‘interno di queste conoscenze teoriche generali distinguiamo 3 aspetti: - il funzionamento in generale; - i limiti del processo stesso (con le variabilità interindividuale); - la possibilità di influenzare attivamente lo svolgimento del processo cognitivo (attraverso esperienze che lo possono far crescere in estensione e complessità oppure con strategie di autoregolazione e di aumento dell‘efficacia del processo stesso). Livello 2: Autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo Ci riferiamo all‘introspezione, all‘ autoanalisi, all‘autoconsapevolezza di ―cos a e come sto pensando valutando, ricordando, ecc.‖ Dalle conoscenze teoriche generali si passa a quelle più strettamente individuali, si cerca cioè di conoscere il funzionamento dei propri processi cognitivi e comportamentali, rendendosi conto dei rispettivi punti di forza e di debolezza. Livello 3: Uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva 139 Nel processo di controllo o autoregolazione è utile individuare, anche a scopo operativo o didattico, alcune operazioni fondamentali. Autoregolare un proprio processo cognitivo significa: - fissarsi un chiaro obiettivo di funzionalità ottimale del processo stesso, anche in termini di risultati che deve produrre, oltre che rispetto al come dovrebbe svolgersi; - darsi delle istruzioni e dei suggerimenti per svolgere concretamente le operazioni tipiche del processo stesso (per esempio scrivere su un foglio una sequenza da ricordare); - osservare l‘andamento del processo stesso; - confrontare questi dati con gli obiettivi e gli standard che si erano fissati; - valutare il proprio operato ed eventualmente operare correzioni e modifiche alle strategie in corso. Le strategie possono essere definite come delle procedure potenzialmente consapevoli e controllabili e aventi scopi specifici, quali l‘apprendimento. Secondo Schneider e Pressley (1997) le strategie sono dei processi o sequenze di processi che, se messe appropriatamente in relazione al compito, facilitano la prestazione. Elementi importanti sono quindi lo scopo cognitivo l‘elemento di consapevolezza che implica la possibilità di scelta e di controllo. Un buon funzionamento metacognitivo consente di trarre il massimo dall‘uso flessibile, articolato e attivo delle diverse strategie. Inoltre, permette di organizzare e adeguare le strategie alle caratteristiche personali, del compito e della specifica situazione. Un buon livello metacognitivo, inoltre, influenza positivamente la motivazione ad apprendere, in quanto chi sa organizzare le varie strategie e applicarle adeguatamente sente di avere il controllo della situazione e questo l‘autodeterminazione e un senso positivo di autoefficacia. 140 stimola motivazioni quali Negli ultimi anni si sono succedute diverse definizioni di metacognizione che evidenziano il cambiamento di ottica che ha coinvolto il concetto di apprendimento stesso. L‘apprendimento considerato come processo cognitivo in atto, diviene atto di cognizione riferito a se stesso, con tutte le implicazioni teoriche ed operative che ne conseguono. Il concetto di metacognizione ha assunto diverse connotazioni. Ad esempio Brown et al. ritengono che il concetto di ― metacognizione‖ possa assumere due significati differenti: metaconoscenza e meccanismi di controllo. La metaconoscenza si riferisce alla conoscenza che un soggetto ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello altrui e al modo con cui divenirne consapevole e tenerne conto. Nella mente è presente un primo livello, la cognizione, costituita da contenuti e da processi cognitivi, come le rappresentazioni e le operazioni psichiche che l‘individuo utilizza per svolgere funzioni quali memorizzare, immaginare, dedurre, prendere decisioni, e così via. Vi è poi un ulteriore livello di attività psichica, rappresentato dalla metaconoscenza che si riferisce alla consapevolezza e alla conoscenza che si ha di quanto avviene nella mente. Questo primo significato relativo alla metacognizione è quindi costituito dalla metaconoscenza, ossia dall‘insieme di credenze, opinioni e convinzioni che una persona elabora sul funzionamento della mente (per esempio che cosa vuol dire ricordare qualcosa, leggere un brano, stare attenti e così via). 141 I processi di controllo si riferiscono al secondo significato di metacognizione, introdotto più recentemente, ovvero quei meccanismi di controllo del funzionamento cognitivo, i quali permettono di guidare e regolare l‘apprendimento nelle situazioni di risoluzione dei problemi. I processi di controllo costituiscono l‘aspetto più attivo della metacognizione, che si riferisce alla possibilità di controllare i propri processi di pensiero. La maggior parte dei meccanismi psichici si attivano in modo automatico, però ci sono anche meccanismi che possono essere pilotati. Il soggetto può stabilire se, quando e come dare avvio a una certa strategia, adattarla alla situazione in cui si trova, modificarla o sostituirla se si rivela insoddisfacente e verificarne l‘efficacia. Conoscenza metacognitiva e processi di controllo sono divenuti due accezioni complementari, in quanto la conoscenza metacognitiva implica l‘attuazione dei processi di controllo. Gli autori possono focalizzarsi o sul primo significato, cioè sulla metaconoscenza, o sui processi di controllo, ritenendo questi una conseguenza evidente di un cambiamento a livello di conoscenza metacognitiva e considerando così i due termini inscindibili. Analizziamo ora il contributo di Cornoldi che rappresenta in ambito italiano forse il più fecondo e noto autore riguardo gli studi di metacognizione. Secondo Cornoldi la metaconoscenza si riferisce alle idee che un individuo ha sviluppato sul funzionamento mentale, che includono impressioni, intuizioni, nozioni, sentimenti, autopercezioni. L‘attivazione di una determinata stra142 tegia piuttosto che di un‘altra, a parità di compito e di contesto, può essere dovuta alle caratteristiche della persona, alla valutazione che fornisce del compito e alla stima del modo che ritiene più idoneo per affrontare quel compito in un determinato contesto. In funzione della conoscenza metacognitiva vengono attivate le strategie. Quindi ― valutazione‖ e ― stima‖ sono aspetti della conoscenza metacognitiva del soggetto. Per quanto riguarda la sua struttura, la metaconoscenza è costituita da unità di informazioni particolari relative a sensazioni, vissuti, esperienze metacognitive , anche fuggevoli e semicoscienti. E‘ ancorata alla conoscenza del mondo: per esempio il soggetto sa che in un determinato contesto ci si comporta in un certo modo. Cornoldi, inoltre, usa l'espressione ― atteggiamento metacognitivo‖, per sottolineare come questo nucleo basilare di conoscenza metacognitiva sia qualcosa di più di un semplice insieme di conoscenze, poiché l‘aspetto conoscitivo è legato strettamente con quello emotivo e ha conseguenze estremamente forti sul comportamento di un individuo. L‘atteggiamento metacognitivo è considerabile come un nucleo critico di una generale abilità metacognitiva, che ha un rapporto con l‘intelligenza ma non si identifica con essa e include la somma delle conoscenze metacognitive che un soggetto possiede. Per Cornoldi i meccanismi di controllo costituiscono l‘ingrediente essenziale del funzionamento psicologico e hanno una valenza adattiva positiva. Rappresentano quei meccanismi che il soggetto utilizza per poter iniziare, dirigere e 143 guidare la propria attività di conoscenza. Gli esseri viventi hanno bisogno di controlli sofisticati e continui per fare fronte alle situazioni nuove ed ad esiti comportamentali che possono variare in ogni momento. La strategia può essere costituita solo da processi esecutivi, che sono strategici poiché vengono adottati in alternativa ad altri, mentre i processi di controllo non sono unicamente di tipo esecutivo, ma avviano e supervisionano le strategie stesse. Metaconoscenza e processi di controllo: consapevolezza e automatismo Nell‘ambito della psicologia cognitiva l‘interesse si è progressivamente spostato dalla ricerca finalizzata a verificare l‘efficacia di determinate strategie stabilite e pianificate dallo sperimentatore, allo studio del modo in cui i soggetti stabiliscono e pianificano l‘attività cognitiva richiesta per svolgere un dato compito sperimentale. Brown ha sottolineato il ruolo dell‘attività di controllo relativa ai processi cognitivi: rendersi conto dell‘esistenza di un problema; essere in grado di predire la propria prestazione; pianificare l‘attività cognitiva conoscendo l‘efficacia delle azioni programmate; registrare e guidare l‘attività cognitiva in relazione all‘obiettivo posto. 144 Affinché si attui il processo di controllo, non è necessario che tutto il contenuto della metaconoscenza sia consapevole; infatti un controllo a livello consapevole costituirebbe un grosso impedimento per l‘attività cognitiva. Si può ritenere che anche la metaconoscenza abbia dei contenuti che si trovano ad un livello non consapevole e che solo una parte di questi sia consapevole nel momento in cui vi è necessità . I processi tramite i quali opera il controllo cognitivo possono essere inconsapevoli quanto i processi cognitivi di base. Un comportamento controllato può costituire la ripetizione di un comportamento che in passato è stato più volte consapevolmente controllato, ed essendo risultato funzionale tende a essere ripetuto. I processi di controllo possono arrivare a un notevole livello di automatizzazione, o comunque essere eseguiti molto rapidamente e senza l‘intervento della coscienza. Alcuni processi di controllo precedono l‘attività cognitiva o si attuano durante pause critiche; altri invece accompagnano e regolano l‘effettuazione dei processi cognitivi (regolazione e autoregolazione). Alcuni processi di controllo precedenti l‘esecuzione del compito sono i seguenti: riconoscimento del fatto che esiste un problema; comprensione del problema; capacità di metterlo in relazione con altri compiti simili già svolti; 145 recupero dalla memoria a breve termine di informazioni e di abilità pertinenti e loro integrazione; generazione di possibili modalità alternative per la soluzione dei problemi e loro esame; scelta di un piano strategico e nella sua implementazione, inibizione delle strategie che non sono state adottate. Tutti questi processi di controllo possono essere ricondotti alla voce ― pianificazione‖. La metaconoscenza emerge attraverso tecniche di colloquio in cui si chiede al soggetto la giustificazione o spiegazione verbale di una prestazione cognitiva. I processi di regolazione delle attività cognitive non sono stabili come la metaconoscenza, ma hanno luogo quando i sottoprocessi che essi controllano sono abbastanza familiari. Per cui mentre la metaconoscenza può essere verbalizzata anche da un bambino, i processi di regolazione avvengono ad un livello di non consapevolezza (cioè si sono automatizzati) e sono più difficili da esternalizzare e verbalizzare. Metaconoscenza e sviluppo cognitivo Il rapporto tra metaconoscenza e prestazioni cognitive è stato studiato soprattutto nel campo della memoria e della lettura. 146 Agli inizi degli anni Settanta l‘attenzione degli studiosi era centrata sulle strategie di memoria. Si cercava di spiegare lo sviluppo cognitivo nei termini di sviluppo di tali strategie e il ritardo cognitivo come deficit di produzione di tali strategie. Come conseguenza di tale ipotesi si pensava che le prestazioni di memoria potessero migliorare con un adeguato addestramento strategico. In realtà l‘addestramento all‘uso di strategie, in particolare la reiterazione, non comporta necessariamente un miglioramento della prestazione nei compiti di memoria. Il problema allora consiste nell‘incapacità del bambino ad utilizzare strategie di memoria come conseguenza della mancanza di conoscenze metacognitive relative a quando e con quali modalità usare le strategie a cui è stato addestrato o che possiede (metamemoria). Per Flavell e Brown la questione non consiste nel verificare se il bambino possiede o meno una strategia, ma se sa individuare le situazioni in cui usarla. Lo sviluppo cognitivo sarebbe riconducibile a una conoscenza sempre più ampia e sofisticata delle condizioni di applicabilità delle strategie. Metamemoria e metacognizione Flavell e Wellman distinguono tre categorie di fenomeni relativi alla memoria: 1) la conoscenza, 2) le strategie e 3) la metamemoria. 1) La conoscenza comprende le informazioni acquisite, conservate e recuperate dalla memoria; 147 2) Le strategie riguardano quei meccanismi che l‘individuo mette in atto per eseguire meglio i compiti di memoria. Esempi di strategie sono la reiterazione, cioè la ripetizione di un elemento di informazione allo scopo di conservarlo più a lungo nella memoria a breve termine e facilitarne il trasferimento nella memoria a lungo termine. Per esempio nel fare un numero telefonico non familiare utilizziamo questa strategia fino a quando non abbiamo composto il numero telefonico sulla tastiera, altrimenti lo trascriviamo. Le strategie di codificazione sono utilizzate per ricordare più a lungo il materiale nuovo nella memoria a lungo termine. Per esempio costruire immagini familiari o l‘imporre una organizzazione semantica a elementi eterogenei, che ne facilitano il recupero successivo. Questo tipo di conoscenza si accresce con l‘esperienza e l‘istruzione. 3) La metamemoria è la conoscenza e la consapevolezza che l‘individuo ha della memoria e di ciò che attiene all‘immagazzinamento e al recupero dell‘informazione. Nella metamemoria gli autori distinguono una sensibilità con cui il bambino e l‘adulto avvertono le situazioni che richiedono la memorizzazione e la conoscenza dei fattori o variabili che influenzano la prestazione di memoria di un individuo. Queste variabili sono state classificate relativamente 1) alla persona 2) al compito e 3) alle strategie. 1) Le variabili della persona riguardano tutto ciò che un individuo sa su stesso quale esecutore di compiti di memoria. La conoscenza delle proprie 148 abilità e limiti e la consapevolezza della prestazione in condizioni specifiche. 2) La categoria del compito comprende la conoscenza delle variabili che influenzano la difficoltà di un compito di memoria; per esempio sapere che la difficoltà aumenta con la lunghezza del compito o quando si deve imparare un materiale poco organizzato. 3) Le strategie comprendono la conoscenza dei modi possibili per aiutare l‘attività cognitiva. Questo tipo di conoscenza riguarda sia le strategie cognitive, cioè le procedure usate per svolgere un compito, sia quelle metacognitive, usate per valutare l‘utilizzo delle prime. Esempio: dopo aver usato la reiterazione per memorizzare un brano, si controlla se la strategia ha funzionato confrontando ciò che si è memorizzato con quanto è scritto nel libro. Il modello di Brown e Campione Brown e Campione presentano all'interno della loro teoria metacognitiva dell‘abilità mentale e delle differenze individuali, la seguente classificazione dei processi metacognitivi: predizione pianificazione monitoraggio valutazione 149 Predizione: si chiede ai soggetti di predire il loro livello di prestazione in un compito o di stimarne il grado di difficoltà, o di predire il risultato dell‘applicazione di una certa strategia. La predizione richiede l‘abilità di immaginare gli atti cognitivi che non si sono ancora verificati e risulta abbastanza difficile per i soggetti più giovani. Pianificazione: riguarda la capacità di organizzare le azioni che portano a un obiettivo. Si chiede a un bambino se, dopo che gli è stato detto il numero di telefono di un suo amico, preferisce telefonargli subito o fare qualche cosa di diverso prima. I bambini di otto anni si mostrano di regola consapevoli che è meglio telefonare subito per non dimenticare il numero o di scriverlo, mentre i più giovani non sanno indicare un piano per ricordare. Monitoraggio: riguarda il controllo che un individuo esercita su un‘attività cognitiva da lui intrapresa, in particolare sulla soluzione di un problema. Risolvere un problema implica una serie di operazioni, la correttezza di ciascuna delle quali è condizione necessaria per la soluzione. A differenza della predizione e della progettazione, che evolvono con l‘età e l‘esperienza, le carenze di questa forma di controllo si rilevano a tutte le età. Valutazione: riguarda la capacità di mettere alla prova una strategia di apprendimento ed eventualmente di modificarla. Mentre il monitoring è un controllo progressivo che si esercita sulle singole fasi, la valutazione riguarda l‘esecuzione di una strategia nella sua globalità. 150 Il pregio di questa teoria sta nell‘aver individuato la sequenza dei processi che riflette il comportamento di un pensatore o solutore. 2.10 Indagine metacognitiva: Indicatori per la costruzione di percorsi6 Nell'ambito della metacognizione, possiamo distinguere quattro questioni specifiche che vengono affrontate in relazione alle funzioni psicologiche (memoria, attenzione, ragionamento, ecc.) e che hanno le maggiori ricadute a livello psicopedagogico: a) Le caratteristiche dei contenuti, degli stimoli, dei materiali su cui la mente è chiamata a lavorare; b) Le caratteristiche del contesto, dell‘ambiente, della situazione in cui si svolge l‘attività psichica; c) Le caratteristiche del processo mentale che viene attivato durante l‘esecuzione di un certo compito; d) Le modalità alternative, le altre strategie di pensiero che si sarebbero potute attivare per quel particolare compito. Per ciascuno di questi aspetti l'insegnante può mettere a punto delle domande, riferite ai livelli di consapevolezza che lo studente può avere, alle sue 6 Le esercitazioni e gli strumenti riportati in questa parte sono tratti dai testi di A.Antonietti, di M.Cantoia e di L.Carrubba indicati in bibliografia. Altro materiale, oltre a quello qui proposto è reperibile presso i Quaderni SPAEE pubblicati da Vita e Pensiero, Università Cattolica, Milano. 151 conoscenze al riguardo e al controllo che egli riesce ad esercitare sui propri processi mentali. Esempi di domande Domande finalizzate alla rilevazione di somiglianze e differenze Il soggetto è consapevole che il compito che deve svolgere è dello stesso genere di altri compiti svolti in precedenza? Il soggetto sa riconoscere la tipologia di compito che gli è proposto e ciò che differenzia le strategie adatte a tale compito da quelle idonee per altri contesti? E‘ importante la capacità che la persona ha di individuare gli aspetti salienti sia degli stimoli da elaborare sia del lavoro mentale che deve compiere su questi stimoli. Si possono, inoltre, predisporre domande relative alla valutazione della facilità o semplicità del materiale da elaborare, la stima del tempo, dell‘impegno e del carico mentale richiesto per 1‘elaborazione cognitiva, il riconoscimento delle potenziali fonti di difficoltà e di errore, la rilevazione da parte del soggetto dei vantaggi e dei limiti connessi a certi tipi di materiali e di processi mentali e l‘esame delle risorse cognitive che sono a disposizione. Possono essere proposte domande relative all‘essere coscienti delle proprie capacità, abitudini e preferenze, il senso di insicurezza o di padronanza che su- 152 scitano certi compiti o l‘utilizzo di certe strategie, il tipo di emozioni e di motivazioni che si collegano all‘attivazione di determinati processi mentali. L‘esecuzione di un‘operazione intellettiva può essere accompagnata da una vasta gamma di consapevolezze e credenze che riguardano l‘operazione cognitiva stessa . Esempio: nel caso di un individuo posto di fronte a un problema, l‘indagine metacognitiva dovrebbe portare a interrogarsi sul complesso di conoscenze e atteggiamenti che ha sviluppato in relazione al compito che lo attende. Di seguito presentiamo un esempio di domande che possono essere utilizzate dall'insegnante in questa versione oppure messe a punto in base alla situazione specifica di apprendimento. Lo studente sa distinguere di che tipo di problema si tratta? Sa valutare le proprie capacità e predire la propria prestazione? Sa quali sono le strategie che potrebbe seguire? Sa valutare i vantaggi e gli svantaggi delle possibili strategie e le proprie capacità al riguardo? E‘ consapevole del proprio stile di pensiero, del proprio modo di porsi di fronte al problema, delle proprie preferenze ad affrontare i problemi in un certo modo? Sa individuare le cause di difficoltà e di errore, i motivi e sa poi approntare delle operazioni di ‗aggiornamento‘ o di ‗recupero‘? E‘ certo di essere arrivato alla soluzione corretta? 153 Se si propone allo studente di esprimere ad alta voce i ragionamenti che esegue mentre affronta un compito e di verificare se nel suo modo di procedere sono presenti operazioni di controllo, le conoscenze metacognitive che emergono possono poi essere differenziate in base si seguenti criteri: genericità o specificità coerenza e sistematicità pregnanza emotiva forza del credito che viene loro attribuito. Possono poi variare secondo: possibilità di essere verbalizzate facilità con cui il soggetto vi può accedere possibilità di essere tradotte in comportamento o di guidare il lavoro mentale dell‘individuo. La tecnica che permette di evidenziare i differenti livelli di metacognizione consiste nel thinking aloud, ovvero nella richiesta al soggetto di esprimere ad alta voce il ragionamento che esegue mentre affronta un compito e verificare poi se nel suo modo di procedere sono presenti operazioni di controllo. Le verbalizzazioni possono essere analizzate utilizzando una griglia, la cui versione italiana consiste in un adattamento da Swanson (1990). Questa griglia di analisi delle verbalizzazioni presenta 13 item, relativi a comportamenti che indicano la presenza di un atteggiamento metacognitivo . 154 Griglia di analisi delle verbalizzazioni durante la soluzione di un problema (adattato da Swanson H.L., ― Influence of metacognitive knowledge and aptitude on problem solving‖, Journal of Educational Psychology, 82, 1990, 306-314) 1) Ripete le informazioni date 2) Dichiara assunti impliciti 3) Organizza i dati 4) Identifica le informazioni mancanti 5) Identifica l‘informazione importante/scarta quella irrilevante 6) Definisce la condizione di partenza 7) Definisce l‘obiettivo 8) Individua possibili domande 9) Assegna delle priorità 10) Individua possibili strategie 11) Pianifica l‘esecuzione 12) Formula ipotesi, previsioni, ecc. 13) Identifica feedback Di seguito vengono presentate una serie di esercitazioni destinate agli studenti di diversi ordini di scuola, il docente potrà utilizzare gli strumenti così come vengono riportati o apportare modifiche in base alle proprie esigenze didattiche. Iniziamo con il proporre un percorso metacognitivo messo a punto da Antonietti. 155 Strumento 2 Riflessioni metacognitive su un’attività scolastica ― Desidererei portarti a fare alcune riflessioni su quello che hai compiuto. Ciò che mi interessa è ricostruire i processi mentali che hai seguito. Ti invito pertanto a rivolgere la tua attenzione, per quanto è possibile, a ciò che si è sviluppato nella tua testa e a rispondere alle domande che ti porgerò.‖ 1) La prima cosa che vorrei chiederti è di provare a ricostruire ciò che hai fatto nella tua mente mentre svolgevi l‘attività. 2) Se dovessi fare un paragone, a che cosa diresti assomigli il processo che hai seguito? 3) Se dovessi scegliere tra queste strategie, quale ti sembra che si avvicini di più al modo con cui hai svolto l‘attività? ▪ procedere a caso ▪ seguire un piano ▪ farmi guidare dal ―f iuto‖ ▪ fare un‘analisi ▪ procedere da un‘idea all‘altra, ecc. 4) Quali sono gli obiettivi che ti pare di esserti proposto mentre svolgevi l‘attività? 5) Che cosa ti è soprattutto piaciuto dell‘attività? 6) Nell‘attività hai incontrato dei punti o momenti di difficoltà/incertezza/dubbio? Se sì, quali/quando/perché. 156 7) Ti sei posto delle domande mentre svolgevi l‘attività? Se sì, quali? 8) Secondo te, quali funzioni mentali hai soprattutto impiegato nell‘attività? ▪ attenzione ▪ memoria ▪ fantasia ▪ ragionamento ▪ decisione 9) Che cosa, a tuo parere, è particolarmente importante fare e/o deve essere fatto per svolgere bene l‘attività? 10) Che cosa può impedire di svolgere bene l‘attività? 11) Ti sembra ti poter individuare delle regole generali o dei principi utili per svolgere quel tipo di attività? 12) Quali capacità pensi siano soprattutto richieste per svolgere l‘attività? ▪ fare collegamenti ▪ valutare ▪ fare ipotesi ▪ trarre conclusioni ▪ ricordare ▪ progettare ▪ selezionare ▪ concentrare l‘attenzione ▪ sintetizzare 157 13) Pensi che l‘attività possa essere svolta bene da chi ha la tendenza a: analizzare i particolari — considerare il quadro generale passare subito all‘azione — riflettere creare — applicare fare più cose contemporaneamente — fare una cosa alla volta procedere in modo sistematico — procedere in modo intuitivo fare cose nuove — fare cose conosciute rischiare — essere prudente L'indagine metacognitiva che segue è rivolta agli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, ovviamente l'insegnante deciderà quali spunti inserire, cosa mantenere rispetto alla versione proposta e cosa eventualmente modificare in base all'analisi dei bisogni dei singoli studenti e del gruppo classe. Strumento 3 Identificare le strutture concettuali ALCUNI INTERROGATIVI DI PARTENZA COME POSSO COMPRENDERE TESTI DIFFICILI? COME POSSO MIGLIORARE NELLA LETTURA E NELLA COMPRENSIONE DEL TESTO? COME POSSO COMPRENDERE LA NATURA DI UN PROBLEMA MATEMATICO? 158 Strumento 4 (rivolto ai docenti) Alla ricerca degli aspetti principali: come posso migliorare nella lettura? Per favorire negli alunni il possesso di una serie di conoscenze metacognitive riguardanti la lettura è importante focalizzare l‘attenzione sui seguenti aspetti: a) Gli scopi del leggere: L‘individuazione da parte del bambino dello scopo principale della lettura (la comprensione) e degli scopi che il lettore si pone nell‘approccio al testo scritto (leggere per svago, per motivi di studio, per ricavare informazioni) rappresenta il punto di partenza per approdare ad una lettura significativa. Molto spesso è posta un‘enfasi eccessiva sugli aspetti di decifrazione/decodifica nella convinzione che una lettura corretta e scorrevole conduca necessariamente alla comprensione. b) Le strategie di lettura da porre in atto al fine di raggiungere una buona comprensione del testo. La consapevolezza dell‘esistenza di molteplici strategie di lettura consente al bambino di adeguare il suo modo di leggere alle finalità che si propone di raggiungere. Tra le principali strategie di lettura si possono prendere in considerazione le seguenti: 159 - la lettura analitica finalizzata ad una comprensione puntuale, precisa e approfondita del testo letto; - la scorsa rapida, utile per riuscire a cogliere le informazioni essenziali ; - la rilettura; - la lettura selettiva mirata a cogliere un numero limitato di informazioni. Strumento 5 Come posso migliorare nella comprensione del testo? Come individuare le parti essenziali di un testo? Le attività che seguono cercano di aiutare gli alunni a selezionare in modo corretto gli aspetti principali di un testo, elemento determinante ai fini della comprensione del contenuto di quanto letto. 1) Proporre la lettura di un testo opportunamente scelto dall‘insegnante. 2) Far riflettere il bambino sull‘importanza di individuare nel testo le parti importanti e fondamentali, chiedendo quali modalità (COME?) egli utilizza per operare la selezione degli elementi principali (per esempio, evidenziare attraverso la sottolineatura oppure indicare a margine del testo i concetti- chiave). In questa fase è utile osservare ed annotare le modalità spontanee che il bambino mette in atto di fronte alla consegna data. 160 3) Chiedere di evidenziare/sottolineare gli aspetti fondamentali individuati durante la prima lettura. 4) Far rileggere il testo più volte e successivamente proporre lo stesso lavoro (enucleare i concetti fondamentali). 5) Far confrontare i due compiti svolti e far emergere le differenze tra la prima e la seconda ricerca. (Che cosa noto nel primo lavoro? Che cosa noto nel secondo lavoro che nel primo non emerge? Che cosa distingue il primo tentativo di selezione dal secondo tentativo?) 6) Elaborare una riflessione condivisa tesa a mettere in luce che la prima lettura ci consente di avere un‘idea generale del contenuto; soltanto dopo aver riletto il brano più volte sarà possibile individuarne le parti più importanti. Da quanto detto mettere in evidenza l‘importanza di non sottolineare il testo in prima battuta (durante la prima lettura) per una più proficua comprensione. 7) Gli aspetti principali da ricercare sono naturalmente differenti da testo a testo. Per esempio, in un testo di tipo narrativo, gli elementi fondamentali da individuare rispondono alle seguenti domande: CHI? I personaggi CHE COSA? Le vicende narrate/La trama DOVE? L‘ambiente/I luoghi QUANDO? Il tempo/Il periodo in cui avviene 161 Strumento 6 Organizzo il mio tempo La tabella seguente può essere utilizzata anche con alunni di scuola primaria e permette al bambino di acquisire un maggior controllo rispetto all'attività di studio e di pianificare meglio le attività anche in base ad un stima del tempo necessario allo svolgimento di un compito. Tempo che bisogna imparare a stimare correttamente anche in base alla percezione di facilità/difficoltà rispetto alle proprie competenze Che cosa devo fare per la prossima volta? L'ho fatto Il giorno..... Dalle ore alle ore In che modo l'ho fatto Quali difficol- Potevo farlo in tà ho incontra- un altro modo? to nel farlo Quale Strumento 7 Organizzare lo studio: comprendere le difficoltà IL PROBLEMA DI STUDIO CHE VORREI RISOLVERE E’: …............................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. COME SI VERIFICA? Con chi/che cosa si verifica? QUANDO SI VERIFICA? 162 DOVE SI VERIFICA? Elementi su cui è impos- Elementi su cui è possi- Piste di intervento sibile o difficile interve- bile intervenire nire Esempio di applicazione della scheda Elementi su cui è impossibile o difficile intervenire Elementi su cui è possi- Piste di intervento bile intervenire Dover studiare per forza Momenti in cui studiare Non studiare subito apnell‘imminenza delle pena tornato a casa verifiche (appena a casa fare altro, per esempio preparare lo Non avere altro luogo in studio: predisporre gli cui studiare che non sia appunti, ecc.) casa propria, ecc. Studio solitario Pensieri estranei 163 Studiare insieme ad amici Pianificare per iscritto gli impegni così da non doverci pensare durante il giorno, ecc. Strumento 8 Le ore della mia giornata....Pianificare al meglio le attività! L'ultima scheda proposta è particolarmente indicata per gli studenti della scuola primaria e se supportati dall'insegnanti può essere molto utile anche con i bambini della scuola dell'infanzia "Colora la striscia sotto riportata con colori diversi secondo quanto di solito fai nelle varie ore della giornata." Ore della tua giornata.... 7 8 9 0 1 1 1 2 1 3 1 4 1 5 1 6 1 7 1 8 Mangio (pranzo, merenda, cena, ecc.) = bianco Sto in casa (a giocare, parlare con gli amici) = marrone Esco di casa (giocare all'aperto, andare in giro) = verde Studio o faccio i compiti = rosso Leggo cose non per la scuola = giallo 164 1 9 1 0 2 1 2 2 2 3 2 Guardo la televisione = nero Mi riposo (dormo, leggo giornaletti, ecc.) = blu Adesso osserva la striscia e insieme all'insegnante e ai tuoi genitori, controlla quanto tempo dedichi alle diverse attività della tua giornata e come potresti fare per organizzarti meglio. 2. 11 Studiare che fatica! Metacognizione e metodo di studio Per analizzare e descrivere le principali difficoltà di studio è indispensabile iniziare con il definire in modo operativo in cosa consista l'attività di studio e delineare sinteticamente quali sono i differenti processi psicologici coinvolti. Sappiamo, infatti che lo studio richiede abilità cognitive complesse. Affrontare con successo l'apprendimento e lo studio è sicuramente un desiderio ed un obiettivo di tutti gli studenti, così come è desiderio di tutti i docenti insegnare ad allievi che studiano, imparano e realizzano pienamente la loro formazione. Purtroppo succede che alcuni studenti manifestino delle difficoltà di studio già alle elementari, che altri partano molto bene e poi si arenino e che altri invece affrontino lo studio con entusiasmo e si dimostrino studenti efficaci e brillanti. Perché succede questo? In cosa differiscono gli studenti di successo rispetto a quelli con difficoltà? 165 Innanzitutto, facendo riferimento alle caratteristiche individuali dello studente, possiamo attribuire la diversità dei risultati scolastici al fatto che gli studenti differiscano per abilità cognitive, conoscenze (in particolare conoscenze strategiche), stili cognitivi, motivazioni ed emozioni collegate all'apprendimento. Sia per insegnare a studiare sia per valutare in modo corretto le abilità di studio da sviluppare o potenziare è indispensabile chiarire cosa si intenda per studio e quali processi cognitivi e non cognitivi siano coinvolti . Anche se spesso parliamo di apprendimento e di studio come fossero sinonimi, in realtà non lo sono. Il concetto di apprendimento è molto più ampio di quello di studio. Si apprendono, infatti, comportamenti, abitudini, conoscenze, reazioni emotive secondo modalità diverse . Studiare, invece, è una particolare forma di apprendimento che ha come scopo l'apprendere dal testo, o da una lezione, in modo intenzionale (Anderson). Studiare un testo significa leggerlo attentamente ed in modo selettivo con lo scopo di comprenderlo, ricavarne informazioni e memorizzarle per eseguire una prova, come può essere una interrogazione o un compito scritto. L'attività di studio in genere è intenzionale e autodiretta dallo studente che decide autonomamente di studiare, scegliendo obiettivi , tempi e strategie. Sostanzialmente nello studio si distinguono tre fasi fondamentali: 1) Fase della prelettura, implica l'organizzazione e la definizione degli obiettivi 2) Fase centrata sulla lettura, comprensione ed elaborazione del testo 166 3) Fase finalizzata alla memorizzazione del materiale ed alla capacità di rievocarlo al momento del bisogno. Per ogni fase è possibile utilizzare delle strategie che possono essere: semplici (ad es. la ripetizione per la fase della memorizzazione), complesse (ad es. la costruzione di schemi grafici per la fase della memorizzazione), organizzate in piani (una sequenza di strategie), fino costituire un metodo, cioè un insieme strutturato di strategie che riguarda tutte e tre le fasi dello studio. Lo studio implica diverse abilità cognitive, come l'attenzione, la lettura, la comprensione e la memoria, che insieme concorrono all‘apprendimento di nuove informazioni. L'abilità di studio è in relazione con le strategie utilizzate per leggere, capire, memorizzare e monitorare l'attenzione. A partire da abilità di partenza simili, si possono affrontare compiti identici con modalità strategiche differenti, che spiegano le diverse prestazioni. Lo studio strategico è in relazione con la metacognizione. Le conoscenze metacognitive relative allo studio riguardano ciò che lo studente sa o crede di sapere relativamente a se stesso come studente, alle sue abilità di studio, allo studio in generale , alle discipline e al compito specifico che deve affrontare in quel momento, alle strategie da utilizzare, agli scopi che si pone. Alcuni esempi di conoscenza metacognitiva possono essere i seguenti: "Leggere un romanzo o leggere un testo di studio non è la stessa cosa“ 167 "Quando leggo per studiare è importante capire il testo utilizzando la lettura silente" "Io in genere sono un buon visualizzatore, perciò…“ "Questa disciplina è troppo difficile per me“ "Questo argomento non mi servirà perciò…" I processi metacognitivi di controllo, che integrano e pianificano le conoscenze precedenti, riguardano attività come il prevedere i risultati dello studio, il pianificare lo studio secondo tempi e modi, monitorarlo in itinere, verificarne i risultati finali (Brown), cioè l'autogestione dell'attività cognitiva. Le affermazioni seguenti evidenziano i processi di controllo attivati durante lo studio: "Per questo argomento è importante visualizzare i concetti principali“ "Questo testo richiede particolare attenzione perché alcuni passaggi sono poco chiari" "Considerati gli impegni pomeridiani mi organizzo il tempo dello studio in questo modo" "Questo capitolo lo studierò dividendolo in …, prevedo queste fasi per raggiungere i seguenti risultati" L'uso ripetuto in più contesti delle strategie non solo migliora la prestazione, ma ha delle ricadute sulla stessa metacognizione. Infatti migliorano le conoscenze metacognitive, la sensibilità metacognitiva e il controllo. Inoltre quando si diventa via via più esperti dello studio, si utilizzano le strategie in modo più 168 automatico e spontaneo, con risparmio di fatica, maggiore soddisfazione personale e senso di autoefficacia. Invece gli studenti principianti non usano le strategie in modo spontaneo, necessitano di aiuti esterni, spendono più risorse cognitive senza trarre evidenti vantaggi (si avvicinano alla tipologia di studente che è stato definito con deficit strategico di produzione) . Anche studenti con buone abilità di base possono essere poco strategici o demotivati ed ottenere risultati inferiori a studenti meno dotati. Pertanto sia a livello diagnostico sia per impostare correttamente un intervento efficace riferito allo studio vanno considerate differenti variabili che interagiscono tra loro: abilità cognitive, strategie, conoscenza e controllo metacognitivo, percezione del sé, senso di autoefficacia, motivazioni ed emozioni. 2.11.1 Difficoltà di studio Considerata la complessità dell'abilità di studio si possono individuare diverse tipologie di studenti con difficoltà differenti. 1)Una prima categoria riguarda studenti con difficoltà di studio legate a disturbi specifici nella lettura strumentale, nella comprensione del testo, nella memoria e nell'attenzione. In questo caso il problema primario riguarda lo specifico processo cognitivo, ma le prestazioni di studio ne vengono ampiamente danneggiate. 169 Si pensi ad uno studente della scuola superiore dislessico che deve affrontare ogni pomeriggio pagine e pagine di lettura e studio di diversi manuali. Questo studente non riesce a tenere il passo dei suoi compagni, ma potrebbe essere facilitato nello studio attraverso una riduzione del materiale da leggere (strumenti dispensativi e compensativi) 2) Una seconda tipologia di studenti presenta difficoltà di tipo strategico. Si possono individuare studenti con deficit di mediazione, nei quali mancano le abilità di base per usare le strategie, e studenti con deficit di produzione, che non usano spontaneamente le strategie, ma che sono in grado di usarle qualora vengano loro insegnate (Flavell). La prima situazione è tipica di studenti con ritardo mentale di una certa gravità, la seconda riguarda sia studenti con ritardo mentale lieve, sia studenti più giovani o comunque inesperti che necessitano di una guida. Alcuni studenti dimostrano una povertà strategica o una rigidità d'uso delle strategie ed una scarsa automatizzazione dovute a poca esperienza in contesti diversi. Anche studenti maturi possono presentare queste difficoltà, magari per alcune discipline, se ad esempio l'insegnamento impartito loro è stato prevalentemente contenutistico. 3) Una terza categoria di studenti presenta difficoltà legate soprattutto alla conoscenza metacognitiva , in particolare ad errate convinzioni, che a loro volta portano a cattive abitudini, come ad esempio pensare che per studiare sia 170 sufficiente leggere e capire , pensare che si possa studiare con la radio o la TV accesa , che chi è dotato impara senza sforzo, ecc.. 4) Una quarta categoria di studenti ha difficoltà legate in particolare ai processi di controllo metacognitivo: non sanno prevedere in anticipo i loro risultati , non sanno pianificare ed organizzare il lavoro personale, non sanno autovalutare la loro prestazione, cogliendo eventuali cadute. 5) Una quinta categoria di studenti sono quelli che hanno marcate difficoltà associate a demotivazione verso lo studio in generale o verso talune discipline (ad esempio la matematica o l'italiano) e attività specifiche (le espressioni, la grammatica), a stili attributivi, percezioni del sé, convinzioni, stati emotivi poco funzionali. Questi studenti non puntano molto sulla scuola, sono convinti che gli scarsi risultati scolastici dipendano da variabili come la fortuna, la difficoltà della materia, le richieste dei professori, la scarsa abilità ed intelligenza. Per alcuni la scuola e lo studio suscitano malessere generale o serie situazioni di ansia che non sanno fronteggiare. 171 III Lezione Competenze, creatività e integrazione: implicazioni psicopedagogiche 3.1 Tante vie per imparare: le competenze trasversali Nei capitoli precedenti abbiamo esplorato diverse concezioni di apprendimento e definito cosa possa significare per ognuno di noi il termine imparare. La riflessione psicopedagogica ci spinge a considerare non solo le variabili cognitive, inevitabilmente interessate, ma anche dimensioni riconducibili alla personalità e alla spinta motivazionale; ne consegue l'esigenza di lavorare, più che sulle analogie, sulle diversità tra gli alunni. Come abbiamo visto nel corso del secondo capitolo gli insuccessi scolastici, potrebbero essere spiegati con solo (e non sempre) con la mancanza di abilità, ma ricorrendo alle modalità preferite di elaborazione delle informazioni (li abbiamo definiti stili cognitivi) che possono essere più o meno efficaci e produttivi nei diversi contesti. Pur ampliando la prospettiva, abbiamo comunque posizionato la nostra lente di ingrandimento sui processi cognitivi. In questo capitolo, invece, sposteremo il focus attentivo su altre competenze, definite trasversali che aprono possibilità di apprendimento diverse e complementari. Le competenze trasversali non sono riconducibili a saperi specifici, ma presenti trasversalmente in tutte le attività. Si tratta di modalità di procedere messe in atto da un soggetto che si attiva per svolgere un compito o affrontare 172 un problema e sa trasformare i suoi saperi in prestazioni efficaci. Possono essere trasferite e utilizzate in diverse situazioni, servono per ampliare e modificare le conoscenze, per adattarsi ai cambiamenti con responsabilità, autonomia, flessibilità. Una definizione efficacie è stata elaborata nel 1998 dall‘ISFOL, articolando l‘apprendimento in tre macrocategorie, le competenze di base, le competenze trasversali, e infine le competenze tecnico professionali. La loro individuazione può essere frutto dell'analisi e della scomposizione dell'attività del soggetto al lavoro posto di fonte al compito. Tale analisi consente di suddividere tre grandi tipi di operazioni, fondate su processi di diversa natura (cognitivi, emotivi, motori) e che sono presenti in tutte le esperienze del soggetto non solo in quelle lavorative, entrano in gioco nelle diverse situazioni e condizionano la possibilità degli individui di esprimere comportamenti professionali abili o esperti, di trasferire competenze da un ambito lavorativo ad un altro e consentono all'individuo di sviluppare la propria competenza in attività differenti. Tali competenze si apprendono per via formale, informale, non formale, possono sempre essere potenziate con appositi percorsi formativi, la prima è la base delle altre due, la terza presuppone le altre due. Le competenze trasversali consistono quindi: 3. nel diagnosticare le caratteristiche dell'ambiente e del compito, analizzare capire rappresentare la situazione, il problema, se stessi (le risorse che possono essere utilizzate o incrementate all'occorrenza) come condizione 173 indispensabile "per la progettazione e la esecuzione di una prestazione efficace" (abilità cognitive); 4. nel mettersi in relazione adeguata con l'ambiente, le persone e le cose di un certo contesto per rispondere alle richieste (abilità interpersonali o sociali: insieme di abilità emozionali, cognitive e stili di comportamento, ma anche abilità comunicative); 5. nel predisporsi ad affrontare l'ambiente e il compito, sia mentalmente che a livello affettivo e motorio, intervenire su un problema con migliori probabilità di risolverlo, costruire e implementare le strategie di azione, finalizzate al raggiungimento degli scopi personali del soggetto e di quelli previsti dal compito. Si tratta di tre macro-competenze trasferibili a compiti e contesti diversi che si possono scomporre in competenze a abilità più semplici. Sono risorse del singolo soggetto che hanno un ruolo fondamentale nel plasmare il comportamento lavorativo e nell'influire in modo significativo sulle sue azioni. "Il grado di padronanza, da parte del soggetto, dell'insieme di queste competenze non solo modulabili, la qualità della sua prestazione attraverso le strategie che è in grado di mettere in atto, ma influisce sulla qualità e sulle possibilità di sviluppo delle sue risorse (conoscenze, cognizioni, rappresentazioni, elementi di identità) attraverso la qualità delle informazioni che è in grado di raccogliere, delle relazioni che sa instaurare, dei feed-back che riesce a ottenere e di come sa utilizzarli per riorganizzare la sua conoscenza. Il modo con cui l'individuo affronta la sua esperienza lavorativa sembra considerato ormai come una qualità decisiva per la riu174 scita della carriera lavorativa e per il suo stesso sviluppo socio-psicologico. Decine di ricerche empiriche internazionali sottolineano che, tra le principali difficoltà incontrate nel lavoro dai giovani, si trovano non tanto quelle legate a scarsa qualità della performance teorica (scarse conoscenze disciplinari, degli strumenti di lavoro ecc.), bensì quelle derivanti dall'incapacità di situarsi nell'ambiente di lavoro con adeguatezza, di decifrarne le caratteristiche essenziali, di delineare strategie di fronteggiamento dei problemi, di coinvolgersi, anche emotivamente, nel contesto concreto, esibendo e utilizzando le cognizioni raccolte ed interiorizzate nel corso dei vari periodi di formazione pre-lavorativa" (Di Francesco, 1998). I documenti elencano moltissime abilità strategiche che fondano il processo d‘apprendimento, ma non le classificano. Risulta invece importante ricondurle entro uno schema interpretativo, dedotto dalla letteratura sull‘apprendimento per valutare quali risorse sono messe a disposizione dalle discipline e dai saperi esperti ed individuare le esperienze necessarie alla loro costruzione e trasferibilità. In altre parole occorre capire come la scuola, che è l‘istituzione preposta all‘apprendimento attraverso le discipline formali, può attrezzarsi, assumendo un ruolo specifico rispetto alla pervasività dei saperi informali e non formali. V è un sostanziale accordo nel considerarne quattro: le abilità comunicative, sono le capacità che consentono di decodificare e produrre informazioni, per padroneggiare i linguaggi quotidiani, i linguaggi specifici delle diverse discipline, i linguaggi logici, i linguaggi delle nuove tecnologie; 175 le abilità cognitive, logiche e metodologiche, sono le capacità pratiche che guidano il lavoro di ricerca: procedure, regole, mezzi, strumenti, fasi operative, in altre parole operazioni cognitive e metodi di lavoro (Bernard, 2005). Apprenderle consente di capire come sono costruiti i saperi formali e di acquisirli, di appropriarsi delle procedure logiche e metodologiche di ciascuna disciplina in modo da usarle e da produrre nuove conoscenze, di usare correttamente ed efficacemente le facoltà mentali per agire in modo appropriato alla situazione e/o al compito e per capire e elaborare pensiero astratto, per acquisire un metodo di lavoro intellettuale; le abilità e le strategie metacognitive, sono le capacità che consentono di conoscere il funzionamento della mente, propria e altrui, e di decentrare il pensiero verso il futuro, prevedere e progettare azioni, e verso il passato, monitorare e autovalutarsi, controllando i percorsi mentali utilizzati per elaborare informazioni, assumere decisioni, svolgere compiti. In altre parole sono la capacità di essere riflessivi, di usare consapevolmente il pensiero in funzione e prima dell‘azione; le abilità e le strategie meta-emozionali, personali e sociali ,sono le capacità che consentono di avere consapevolezza, autocontrollo, motivazione e di saper stare con gli altri in modo empatico costruttivo e collaborativo, padroneggiando le dinamiche della vita sociale. Il senso di autoefficacia: la convinzione di possedere capacità adeguate ad affrontare le situazioni per raggiungere le mete prefissate, quindi con efficacia, che ha il potere di motivare 176 e di portare al successo e consente di essere protagonisti, assumendosi la responsabilità di costruire gli eventi della vita in modo mirato. Nell‘insegnamento tradizionale è stata sempre privilegiata la prima dimensione (fatti, concetti, dati, nozioni da memorizzare), trascurando le altre. La possibilità di spaziare a livello didattico tra tutte le quattro dimensioni considerate permetterebbe un apprendimento molto più ricco in cui si acquisiscono anche procedure e quindi abilità comunicative, cognitive, metacognitive e metaemozionali. I saperi disciplinari, arricchiti da saperi trasferibili ed utilizzabili in diversi contesti, si trasformerebbero più facilmente in capacità di azione. Diventano determinanti la progettazione e le modalità di conduzione del lavoro in classe da parte dell‘insegnante anche come sostegno alla relazione educativa positiva e mirata alla costruzione di autostima e autoefficacia. Il metodo di insegnamento diviene determinante: solo partendo dall‘apprendimento di conoscenze semplici, dichiarative e procedurali, ciascuna insegnabile, misurabile, valutabile ed essendo poi guidati in modo intenzionale ad aggregarle si possono acquisire conoscenze complesse, abilità e competenze. Le abilità trasversali sono, dunque, acquisibili in tutte le discipline a patto di mirare intenzionalmente al loro insegnamento ed apprendimento, usando tutte le risorse disciplinari. Questo è il primo tipo di trasversalità. Se si vuole, però, che le competenze trasversali non servano solo ad eseguire bene determinati compiti (i problemi richiedono creatività) occorre pensare anche ad un altro tipo di trasversalità che coincide con la trasferibilità e spendibilità in campi molto diversi. 177 Poiché molte ricerche hanno evidenziato che non è affatto spontanea e naturale la capacità di usarle in contesti diversi da quelli di apprendimento, è necessario che ci sia una specifica intenzionalità. Occorre anche accompagnare gli alunni, attraverso esperienze ed esercizi mirati, a passare dall‘acquisizione alla consapevolezza e quindi allo sforzo di applicazione in altri campi e contesti. Il soggetto, infatti, solo se prende coscienza delle cose che fa e riesce a istituire similitudini tra le situazioni, riesce intenzionalmente a operare i trasferimenti necessari a compiti diversi: non sono, quindi, le abilità ad essere trasversali, ma è il soggetto che decide di usarle altrove, intenzione e non puro automatismo. Tale capacità migliora con l‘esercizio, si potenzia con l‘attenzione e la riflessione per la situazione concreta, si rafforza con l‘abitudine consolidata a scegliere come procedere: il soggetto competente è un individuo che può avere un‘età qualsiasi e che si è impadronito delle conoscenze e delle abilità di una disciplina o di un ambito conoscitivo e sa applicarle correttamente in situazioni nuove. La prima sequenza operativa è la scomposizione delle competenze in singole conoscenze semplici ed abilità, intese come capacità di applicare conoscenze settoriali e delimitate ad un certo campo per eseguire una parte specifica di un‘attività, e la segmentazione della complessità in tanti spezzoni, semplici da apprendere, singoli ostacoli superabili con l‘accompagnamento di un adulto esperto in modo da permettere a tutti, anche ai più deboli, di capire ciò che sanno e sanno fare ai vari livelli. La seconda sequenza è la predisposizione di esperienze di apprendimento, materiali didattici e attività. Per la costruzione, infatti, di competenze, fatte an178 che di procedure, non basta l‘apprendimento intellettuale, ma è indispensabile l‘esperienza pratica e, anzi, ogni tipologia richiede esperienze specifiche e mirate che ne consentano l‘acquisizione. Occorre costruire, prima, esperienze per l‘apprendimento di ogni singolo segmento e, poi, esperienze di ricapitolazione che sostengano la sintesi in costrutti complessi. È bene che gli alunni siano attivi protagonisti del proprio processo di conoscenza, usino strategie per organizzare e ricordare le conoscenze, formulino ipotesi e ricorrano a teorie (più o meno consapevoli) per rendere coerente la propria esperienza. Così facendo esercitano una pluralità di azioni cognitive che si integrano e si rafforzano con l‘uso di più canali sensoriali (visivo, uditivo, tattile) e di intelligenze diverse, sia quelle tradizionalmente privilegiate nell‘apprendimento scolastico (linguistica e logico-matematica) che altre. In altre parole, se è importante il cosa si apprende, è altrettanto importante il come si apprende e diventa fondamentale il modo in cui il processo di apprendimento è organizzato/progettato preventivamente. Ianes (2008) sottolinea che il padroneggiamento di alcune abilità scolastiche non garantisce per nulla di avere buoni risultati nella scuola e nella vita, in quanto il loro possesso non implica automaticamente la capacità di utilizzarle nelle situazioni difficili o particolari o di svolta per affrontare le quali, con successo, è determinante invece la propria convinzione di efficacia, l‘essere creativi, flessibili e disponibili al cambiamento. 179 Solo in questo modo la scuola diventa un luogo in cui gli studenti si sentono rispettati, seguiti, curati e legati ai compagni, agli insegnanti e alla scuola stessa. 3.1.1 Imparare insieme: la dimensione relazionale dell'apprendimento Schreiber nel 1998 scrive:“Ciò che sembra determinare la riuscita sociale di una persona non è tanto la potenza del suo intelletto, quanto la sua capacità di comunicare con gli altri, di valutare le situazioni sociali ed emozionali, di controllare le proprie emozioni, di non lasciarsi trascinare dalla collera, di inibire la propria aggressività, di emettere i giusti segnali emozionali, di restare sintonizzati con gli altri per navigare in modo armonioso con la flotta di relazioni umane di cui si è circondati. L'insieme di queste capacità è chiamato "quoziente emozionale", in contrapposizione al quoziente intellettivo: il Q.E. al posto del Q.I. E' emerso che il Q.E. determina il successo sociale di una persona molto più del Q.I., che può solo prevedere la prestazione scolastica di una persona, ma non va oltre”. Prima ancora possiamo ritrovare utili indicazioni anche negli studi di Rogers e di Maslow, fautori dell‘approccio umanistico alle problematiche educative e fonti di riferimento di modelli didattici che enfatizzano le relazioni socioaffettive all‘interno della classe. La gratificazione dei bisogni fondamentali teorizzata da Maslow appare ancora oggi importante punto di riferimento anche per 180 affrontare la questione della motivazione, per tale autore ciascun essere umano è una totalità integrata, possiede tendenze e bisogni essenzialmente buoni che si traducono in motivazioni all‘agire e diventano mezzi per raggiungere un fine. Il fine di ogni essere umano diventa la piena realizzazione delle proprie potenzialità, che si raggiunge grazie al soddisfacimento di tali esigenze. Roger (1973), invece, si sofferma sul concetto di libertà di apprendimento, che caratterizza la sua pedagogia ― non direttiva‖, nella quale l‘insegnante dovrebbe fungere da facilitatore dell‘apprendimento, con atteggiamenti di ascolto e di empatia. Secondo Rogers, la capacità di apprendere è connaturata nell‘essere umano, tutta la vita è apprendimento: si impara a camminare, si impara a parlare, si fanno conquiste, a volte si incorre nell‘insuccesso o si incontrano notevoli difficoltà, ma si procede comunque. Il progresso umano è il frutto della capacità di apprendere, innata nell‘uomo. E‘ evidente che l‘apprendimento è facilitato se è ― significativo‖ e se avviene in un ambiente favorevole. Nell‘insegnamento egli considera fondamentale, non tanto il contenuto culturale, destinato a cambiare grazie alle scoperte scientifiche, ma l‘acquisizione delle abilità di ricercare, documentarsi, osservare ecc., di ― imparare ad imparare‖. L‘alunno non può essere considerato un soggetto passivo destinatario dell‘intervento didattico, ma deve essere necessariamente attivo; infatti la costruzione di un concetto, la soluzione di un problema o l‘acquisizione di particolari capacità, come quelle dello scrivere, del leggere, del nuotare ecc., richiedono l‘attività dell‘alunno. Questo significa che egli è il protagonista della propria istruzione (attività di acquisizione delle conoscenze) e della propria formazione (attività di acquisizione di capacità e di 181 atteggiamenti). Quindi la funzione del docente non è quella di ― fare lezione‖, di spiegare determinate argomenti, ma di creare delle situazioni che consentano agli alunni di operare a livello fisico e psichico. Il docente deve essere in grado di creare delle situazioni di apprendimento, cioè dei ― percorsi apprenditivi‖, degli itinerari di apprendimento. In quest‘ottica, il docente deve individuare attraverso quali attività gli studenti possono pervenire all‘acquisizione di conoscenze e delle capacità; pertanto il suo compito non è quello di presentare i concetti, ma quello di creare le situazioni idonee che consentono agli alunni di costruirli. Egli deve anche conoscere quali strategie utilizzano gli alunni (per tentativi ed errori, per associazione ecc.) e il livello di sviluppo individuale, per individuare le attività da proporre a livello operativo concreto, a livello iconico o a livello simbolico. Successivamente può progettare gli itinerari di apprendimento. Gli itinerari di apprendimento rappresentano una traccia, uno schema operativo modificabile in corso d‘opera se è necessario; sono degli orientamenti, delle linee d‘azione che evitano di operare a caso; quindi sono dei percorsi con una meta, un obiettivo da raggiungere, sono degli itinerari formativi. Essi non vengono imposti agli alunni che vanno, invece, motivati e stimolati nell‘interesse e nel bisogno ad apprendere e a costruire concetti. Pertanto, negli itinerari devono essere indicate anche le strategie per motivare gli alunni stessi. I docenti devono sapere quali strumenti sono più adeguati a seconda del livello di sviluppo degli studenti, devono anche scegliere tra strumenti concreti, iconici e simbolici. L‘esperienza concreta deve essere necessariamente il punto di partenza, le operazioni a livello iconico hanno significato solo se si sono già effettuate le esperienze concrete e 182 dalle esperienze concrete ed iconiche occorre pervenire alle rappresentazioni simboliche. Gli itinerari di apprendimento si debbono presentare come delle situazioni problematiche ( problem solving ) che gli alunni affrontano avendo a disposizioni determinati strumenti. Gli itinerari di apprendimento sono le sequenze di attività che gli alunni vengono motivati e guidati a svolgere quando il docente ha il coraggio di non dire, quando il docente riesce a resistere alla tentazione di esporre i concetti prima che gli alunni li abbiano scoperti. In quest‘ottica il cooperative learning risulta un modalità apprenditiva particolarmente idonea. Una classe cooperativa è un insieme di piccoli gruppi di studenti, relativamente permanente e composto in modo eterogeneo, unito per portare a termine un'attività e produrre una serie di progetti o prodotti, che richiedono una responsabilità individuale nell'acquisizione delle competenze utili al raggiungimento dello scopo (Comoglio, 1999). Il cooperative learning può costituire l‘ossatura profonda, il substrato di cui si nutre tutta l‘azione formativa e l‘apprendimento all‘interno del gruppo classe. Il docente non è più l‘attore principale del processo, ma in queste fase diviene ― attento regista‖, all‘interno della classe; il ― luogo del sapere‖ viene modificato, l‘insegnante non è più l‘unico detentore del ― sapere‖ ma in un ruolo di interazione e co-formazione, anche il docente apprende nell‘atto di insegnare. Durante i lavoro nei sottogruppi, l‘insegnante può invitare alcuni alunni a ― modellare‖ i compagni che ottengono performance medio-alte nei diversi ambiti delle competenze (sociale, relazionale, espositiva etc). Il modellamento, tecnica di facile esecuzione e applicabile 183 ovunque, può nel contesto del cooperative learning avvenire anche durante la fase di confronto fra componenti dei diversi gruppi che abbiano lo stesso ruolo ciascuno all‘interno del proprio gruppo di appartenenza. Il docente può cioè inserire come fase operativa di lavoro, un momento specifico a metà del lavoro in cui vi sia un incontro tra ruoli: leaders con leaders, cercatori con cercatori, elaboratori con elaboratori ecc…) Scoprire come il proprio compagno abbia condotto a termine il proprio compito può facilitare l‘estrazione di strategie vincenti che poi, una volta adeguatamente motivati, si possono replicare ed adattare a se stessi ogni qualvolta di ritenga utile farlo. Il docente può trovare nel cooperative learning alcune linee guida che possono risultare utili indicatori di percorso, ma deve però utilizzare la sua competenza professionale per arricchire l‘offerta didattica e costruire il proprio ― metamodello‖ che va al di là della teoria stessa dell‘ apprendimento cooperativo. Tenere presenti, ad esempio, i limiti delle strategie didattiche e riconoscere sempre il valore intrinseco della relazione nei processi di cambiamento, permette di avere una sempre maggiore aderenza alla realtà del gruppo classe e di offrire ai propri allievi ― saper essere‖ trasversale a qualunque contesto (Comoglio, 1996). Le competenze sociali che si attivano in gruppi di apprendimento cooperativo sono: 1) Competenze decisionali 2) Competenze problem solving 3) Competenze per la gestione costruttiva dei conflitti. 184 4) Competenze di leadership (ruoli orientati al compito, e al sostegno socio-emotivo). 5) Competenze comunicative interpersonali: Sapersi "aprire" all'altro. Sapersi "aprire" con l'altro. Saper comunicare contenuti. Saper comunicare le proprie emozioni. Saper comunicare nelle relazioni di aiuto (ad es. ascolto attivo). Il cooperative learning (Sharan, 1998) prevede, quindi, tra le sue caratteristiche l'insegnamento diretto delle competenze sociali che gli alunni devono saper usare per lavorare con successo con i pari. Si intende per competenza sociale un insieme di abilità consolidate e utilizzate spontaneamente e con continuità dallo studente per avviare, sostenere e gestire un'interazione in coppia o in gruppo. 3.1.2 Imparare sempre: la dimensione creativa dell'apprendimento Parlare di creatività nella scuola vuol dire favorire un apprendimento che implica la rielaborazione personale del bambino o dello studente e innesta stimolazioni culturali, partendo dalle istanze soggettive profonde dell'individuo. Si tratta, quindi, di un apprendimento che non rimane "inerte", ma che sa entrare in contatto con la struttura dinamica della mente (Antonietti, 1996). Il primo contributo sul processo creativo è opera di Vygotskij, il quale sottolinea come il 185 processo creativo sia condizionato dall‘ambiente in cui è inserito il soggetto. La creatività dell‘individuo, così, può essere incoraggiata o ostacolata rispetto agli stimoli e alle esperienza alle quali è sottoposto nel contesto in cui vive. Il bambino, infatti, per poter giocare e imparare a vivere creativamente, soprattutto nei primi anni di vita, ha bisogno di un ambiente che faciliti il suo sviluppo psicofisico. In tutto questo l‘adulto, sia in famiglia che a scuola, deve farsi garante del confine incerto, non sistematizzato o frammentario, tra il mondo dell‘immaginazione ed il mondo reale. L‘adulto (genitore, insegnante o terapeuta) deve accompagnare il bambino in questo percorso, deve ascoltarlo, essere attento ai suoi bisogni e alla sua realtà emotiva, apprezzare i suoi sforzi espressivi, valorizzare le sue produzioni simboliche (Accursio e Bucolo, 2006). La scuola svolge, così, un ruolo significativo e rappresenta l‘ambiente all‘interno del quale il bambino esplora se stesso, affronta costruttivamente le varie esperienze che man mano vive e impara a socializzare con figure diverse da quelle genitoriali. È opportuno citare le considerazioni di Winnicott (1973) riguardo il gioco e la dimensione creativa. Il gioco non solo rappresenta lo strumento attraverso il quale esplorare eventi esterni, il che consente di aggiungere nuove percezioni e nuovi significati a quelli già integrati, ma è anche il principale strumento per soddisfare la normale curiosità. Il contesto ludico, inoltre, permette di sviluppare maggiormente le capacità creative, aumentare il senso di auto-efficacia e incentivare l‘autostima, componenti fondamentali per affrontare qualsiasi situazione indipendentemente dal contesto. Il bambino, l‘adolescente o l‘adulto, attraverso un‘ attività di laboratorio o un gioco, attivano le proprie potenzialità, si speri186 mentano e allenano la mente alla creatività. Infatti giocare e giocare con la creatività non appartiene solo ed esclusivamente ai bambini, ma anche all‘adulto capace di utilizzare tutta intera la propria personalità. Qualsiasi forma espressiva (musica, teatro, pittura, giochi di gruppo, danza) insegna entusiasmo, passione, eccitazione, gioia, curiosità, senso del gioco, autonomia e sicurezza: sentimenti ed emozioni che non dovrebbero appartenere solo al mondo dell‘infanzia. Se osserviamo le dinamiche che vengono agite dai bambini all‘interno dei laboratori creativi si denota l‘enorme importanza del ruolo della creatività nelle fasi di crescita del bambino. Attraverso le attività creative i bambini sono maggiormente stimolati a creare e scoprire nuove modalità di relazionarsi e di entrare in contatto con le proprie ed altrui emozioni. Il gioco, la festa e il momento creativo diventavano un vero e proprio mezzo per imparare a gestire i problemi e i cambiamenti. Un elemento significativo che incide sullo sviluppo delle capacità creative è sicuramente dato dall‘interazione tra l‘ambiente ed il bambino; infatti, un ambiente improntato sulla fiducia e fondato su relazioni sicure favorisce nei ― piccoli‖ l‘assunzione del rischio, la capacità di apprendere dagli insuccessi ed imparare ad utilizzare le conoscenze in modo creativo. Secondo alcuni autori risolvere i problemi in modo creativo, utilizzando tutte le risorse che la mente ha a disposizione per l‘adattamento cognitivo e sociale, è obiettivo essenziale di qualunque intervento formativo. Un compito richiesto alla scuola è di dare sempre più spazio a percorsi creativi in grado di aiutare il bambino ad affrontare il mondo senza pregiudizi, automatismi o schemi 187 mentali, che a volte sono appresi nell‘ambito familiare e nella società. Infatti, oggigiorno, la scuola e le sempre più numerose attività extra-scolastiche sottolineano la necessità di una formazione orientata non solo all‘apprendimento logico e razionale ma, soprattutto, allo sviluppo delle capacità creative. La creatività è diventata, così, uno strumento prezioso e utile sia nell‘infanzia che in ogni tappa della vita e in ogni contesto( familiare, lavorativo e sociale) per affrontare le varie esperienze o situazioni problematiche da una nuova prospettiva. Tutto ciò appare ancora più evidente se si fa riferimento ai numerosi cambiamenti avvenuti negli anni rispetto gli stili di vita, le nuove tecnologie e le esigenze del mondo del lavoro che richiedono sempre più capacità creative: di flessibilità e di adattarsi a situazioni diverse. In un ambiente che cambia, essere pronti a risolvere difficoltà sempre nuove e ― saper fare‖, orientandosi al contesto e non solo alle conoscenze teoriche, diventano elementi essenziali per potersi realizzare pienamente. Aprirsi a se stessi, alle nuove esperienze e affrontare i cambiamento con soluzioni diverse da quelle note sono presupposti alla base non solo del processo creativo, ma anche di qualsiasi altro percorso di crescita. Il potenziale ― terapeutico‖ insito nel processo creativo è stato enfatizzato dall‘arteterapia, un intervento di aiuto e di sostegno che si basa sul presupposto per cui il processo creativo messo in atto nel ― fare arte‖ favorisce il recupero e la crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relazionale (Castelli, 2011). L‘espressione della propria creatività, attraverso la musicoterapica, la pittura o la poesia, consente di incentivare le relazioni sociali, esternare vissuti difficilmente esprimibili con le parole e di dare un significato e una for188 ma alle emozioni. Non si nasce creativi, ma ciascuno di noi possiede in grado variabile delle attitudini inerenti alla creatività. La creatività deve rappresentare uno spazio di libertà nel quale riconoscersi come individui attraverso esperienze non condizionate dall'ambiente (Antonietti, Cesa-Bianchi, 2003). La scuola, quindi, nel dare risposta ai diversi bisogni formativi dei bambini, deve offrire occasioni di educazione ai linguaggi, verbali e non verbali, e alla creatività sensibilizzando all‘uso e all‘intreccio dei molteplici linguaggi possibili (gestuale, verbale, musicale, iconico) al fine di migliorare l‘espressività e la comunicazione, rivalutando, inoltre, l‘importanza della percezione emotiva e sensoriale come strumento per l‘attivazione di nuovi canali conoscitivi. Lo sviluppo di una pluralità di linguaggi comunicativi in maniera originale, rappresenta il mezzo più idoneo per accompagnare il bambino nel suo processo di maturazione e prepararlo a prendere contatto con il proprio mondo, a sviluppare creatività ed espressività, favorendo il superamento dell‘eccessiva prevalenza del linguaggio verbale e stimolando la comunicazione simbolica, l‘attenzione e la concentrazione. 3.2 Creatività e resilienza Quale nesso potrebbe esserci tra i termini creatività e resilienza? Innanzi tutto partiamo con il definire meglio i termini in questione. Creatività non è una parola che ricorre spesso nei programmi e nei documenti istituzionali della scuola, ma di fatto oggi concordiamo nel definirla una dimensione che non si manifesta soltanto nelle attività artistiche, ma pervade le manifestazioni del pensiero e 189 del comportamento. In effetti viene sviluppata trasversalmente nei diversi ambiti disciplinari, per cui ogni insegnante all'interno della sua materia ha la possibilità di sviluppare e potenziare questa capacità, proponendo delle attività che, integrandosi con quelle che mirano a far imparare la consequenzialità, la precisione, ecc. sollecitino un modo di pensare diverso, il quale possa generare qualcosa di nuovo che risulti utile o interessante7 Antonietti, compiendo una sintesi tra le diverse teorie proposte al riguardo, individua tre macro-operazioni che sembrano ricorrere nelle dinamiche creative: ampliare la prospettiva, collegare tra loro elementi disparati, riorganizzare il campo cambiando il punto di vista con il quale lo si considera. Veniamo ora la secondo termine in questione probabilmente meno noto, rispetto al primo, ma come vedremo egualmente importante. Nella letteratura psicologica, il sostantivo indica la capacità umana di affrontare, superare e uscire rinforzati da esperienze negative. Le parole di Cyrulnik riportate di seguito, ci aiutano a cogliere meglio il senso di tale costrutto. In altre parole la resilienza indica la capacità di superare i momenti dolorosi dell‘esistenza e di evolvere, nonostante le avversità, cioè ― è l‘arte di navigare sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano in7 Per eventuali approfondimenti si consiglia il recente testo di Antonietti A., La creatività si impara. Metodi e tecniche per lo sviluppo del pensiero divergente a scuola, Giunti Scuola, Firenze-Milano, 2011. 190 cessantemente. A un certo punto, potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un‘istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi. La metafora sull‘arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l‘acquisizione di risorse interne abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e allegria. Tale inclinazione, acquisita in tenera età, gli ha conferito un attaccamento sicuro e comportamenti seduttivi che gli permettono di individuare ogni mano tesa‖. Incominciamo con il considerare gli aspetti concettuali comuni a resilienza e creatività. La resilienza è intesa come possibilità di trasformare una situazione dolorosa o traumatica in un processo di apprendimento e di crescita, come capacità di riorganizzazione positiva della vita (Cyrulnik e Malaguti, 2005, pp. 8-9). La trasformazione e la riorganizzazione che contraddistinguono l'atto creativo, sono dimensioni chiamate in causa anche dalle risposte di tipo resiliente che un individuo più di un altro può mettere in campo. Questi meccanismi, che nel caso della creatività vengono apprezzati perché portano a produrre qualcosa di originale e inaspettato, nel caso della resilienza sono importanti perché inducono a una reinterpretazione della propria condizione che, pur nella sua drammaticità o problematicità, assume un significato che non conduce alla disperazione o chiude allo sviluppo ma apre al cambiamento o all‘integrazione positiva degli eventi critici nella propria storia. Resilienza è anche capacità di trasformare un evento critico e destabilizzante in un‘occasione di ricerca personale (Cyrulnik e Malaguti, 2005, p. 8). Anche l'atto creativo si avvale di una ricerca, in particolare durante la generazione di idee, selezionate in base all'obiettivo che ci si è posti 191 andiamo piano piano a scartare e selezionare in un angolo della mente qualcosa a cui prima non avevamo pensato. Essere resilienti è infine disporre di un insieme di strutture e strategie cognitive e relazionali che permettono di riannodare i rapporti tra passato, presente, futuro cosicché l‘individuo possa nuovamente connettersi ad un ambiente (fisico, sociale, culturale, mentale) che ha dovuto temporaneamente abbandonare (Cyrulnik e Malaguti 2005, p. 9). Riannodare, connettere: secondo parecchie teorie il pensiero creativo opera proprio compiendo collegamenti. Un esito creativo talvolta viene raggiunto stabilendo legami tra concetti disparati, cogliendo somiglianze tra elementi che non hanno nulla in comune. La capacità di compiere "associazioni remote", ossia nel trovare rapporti tra oggetti o concetti che apparentemente non condividono alcuna proprietà, oppure nel collegare due distinte catene di ragionamenti, è per alcuni il meccanismo di base della creatività. Esempi di scoperte o invenzioni avvenute sulla base di associazioni di questo tipo confermerebbero la realtà psicologica di questi processi. Inoltre è facilmente comprensibile come un individuo che si trovi ad affrontare una situazione drammatica che a prima vista non presenta vie di uscita sia di fatto chiamato a mettere in gioco una certa dose di creatività (Antonietti, Pizzingrilli, 2011). Un riferimento diretto al collegamento tra resilienza e creatività viene compiuto dallo stesso Cyrulnik. Egli ricorda che la differenziazione è uno dei possibili meccanismi di base della resilienza. Con la differenziazione si attua una scissione nella mente del soggetto: una parte della sua mente soffre le limitazioni 192 e le conseguenze della situazione negativa che viene vissuta mentre una parte sotterranea continua a vivere e a produrre. Secondo Cyrulnik i soggetti creativi sono quelli che compiono un collegamento tra le due parti, riconoscendo i limiti della situazione reale e trovando il modo per esprimere e orientare in un senso socialmente accettabile e utile le sofferenze che patiscono (Cyrulnik e Malaguti, 2005). Le espressioni più ― esistenziali‖ della creatività mettono in luce come quest'ultima non sia soltanto questione di meccanismi cognitivi. Non è sufficiente saper produrre tante idee, compiere combinazioni insolite, trasporre schemi, cambiare punto di vista. Occorre anche essere inclini o motivati ad attivare questi processi. In altre parole, occorre un assetto mentale complessivo che permetta o inviti a dispiegare le proprie potenzialità creative, a sfruttarle, coltivarle, metterle in atto (Antonietti, Pizzingrilli, 2011). 3.3 Intervento psicopedagogico: racconto di un'esperienza con i bambini dell'Abruzzo Il concetto di resilienza ha fornito i punti di riferimento teorici per pensare ad un progetto finalizzato ad aiutare i bambini dell‘Abruzzo, vittime del terremoto, che si trovavano a dover comprendere ed elaborare l'evento traumatico. L'intervento psicopedagogico era teso a supportare i bambini nel recupero di un percorso di crescita individuale, relazionale e sociale. 193 Il riferimento operativo era costituito da un modello di intervento elaborato dall‘Università Cattolica e già applicato in altri contesti di emergenza come lo Sri Lanka e il Kosovo. Tale intervento, volto a promuovere la resilienza in bambini e adolescenti, è costituito da un itinerario educativo che tiene conto sia dell‘approccio psico-educativo (dare strumenti per risolvere difficoltà e conflitti) sia dell‘approccio ludico-sportivo (aiutare a scaricare la tensione e le frustrazioni). I bambini erano coinvolti in attività tra loro differenziate che toccavano numerosi ambiti esperienziali, spaziando dall‘ambito espressivo e creativo a quello narrativo a quello esplorativo e motorio. A titolo esemplificativo descriveremo brevemente l‘esperienza degli itinerai psico-educativi attivati nei tre Campi di Accoglienza di Monticchio 1, Monticchio 2 e Paganica 5, dal 15 giugno al 21 settembre 2009, compresi nella fase del progetto denominata ― Estate insieme‖8. Nei campi in cui si è operato è stata allestita una grande tenda che funzionava da ludoteca, in cui hanno trovato posto alcuni tavoli e un mobile con materiale di consumo come fogli, pennarelli, colla ecc.. In questo spazio i bambini, sotto la guida di psicologi e pedagogisti, hanno svolto una serie di attività organizzate in Laboratori creativo-espressivi mentre le attività ludico-sportive usufruivano degli spazi aperti intorno ai campi di accoglienza. L‘idea del laboratorio nasce con l‘obiettivo di offrire ai ragazzi uno spazio sicuro e strutturato (Castelli, 2011) che favorisse l‘espressione e la condivisione 8 Il percorso presentato viene qui accennato nelle sue fasi principali. Per ulteriori approfondimenti delle tematica trattata si rimanda al testo di Castelli C. (2011) e in particolare al capitolo 9, ivi contenuto, scritto da Castelli e Mancinelli (2011). 194 di idee, sentimenti e vissuti personali e collettivi legati al terremoto e stimolasse processi di elaborazione ed integrazione dell‘evento traumatico. I laboratori hanno avuto lo scopo di creare un luogo in cui vivere momenti di serenità, ma soprattutto di offrire una concreta possibilità per parlare di sé, per recuperare energie e voglia di vivere e e di fare. Il laboratorio è innanzi tutto un luogo fisico, estremamente importante per i bambini che hanno perso il loro (la loro casa, la cameretta, la scuola, ecc.), luogo che si presenta sicuro e diviene spazio in cui condividere attraverso il fare sogni, pensieri, paure, sfide con se stessi e con le proprie capacità. Questo spazio da fisico diviene mentale poiché consente di andare oltre il fare e recuperare e ― dare spazio‖ all'intuizione, alla creatività, alle sperimentazioni e alle esperienze. Il laboratorio è altresì uno spazio per il confronto e la condivisione dei vissuti personali e la riattivazione di sentimenti di collaborazione e condivisione con gli altri. Nel pianificare le attività gli educatori hanno privilegiato il fare: manipolare, dipingere, rappresentare con il teatro o il canto, narrare, in modo che il prodotto potesse essere visibile, concreto e potesse diventare oggetto di riflessione ed elaborazione. Si è lavorato molto con gli psicologi ed i pedagogisti nella creazione di un clima positivo, di apertura e accoglienza I laboratori sono stati pensati a metà strada tra l‘atelier di un artista e la bottega dell‘artigiano, per cui vengono privilegiate tecniche varie e strumenti, molti dei quali hanno a che fare con l‘arte. Per la realizzazione di questi laboratori sono state usate soprattutto attività espressive come il disegno, la musica, il 195 teatro, la narrazione, tutte attività che da sempre sono state considerate fondamentali per il raggiungimento dell‘equilibrio psichico e per fare emergere le risorse psicologiche necessarie ad affrontare situazioni di difficoltà più o meno gravi. Queste tecniche, infatti, utilizzano ― le potenzialità, che possiede ogni persona, di elaborare creativamente tutte quelle sensazioni che non si riescono a far emergere con le parole e nei contesti quotidiani. Per mezzo dell‘azione creativa l‘immagine interna diventa immagine esterna, visibile e condivisibile e comunica all‘altro il proprio mondo interiore emotivo e cognitivo. Le immagini possono aiutare a ‗vedere‘ quello che non è possibile verbalizzare, essendo libere da vincoli del pensiero logico e del linguaggio sequenziale‖ (Sunderland, 1993, p. 9 ) Alla base di numerosi percorsi educativi vi erano una serie di attività basate sulla manipolazione dei materiali e sulla costruzione di manufatti ed erano rivolte sia alla prima infanzia, quando cioè il fare riesce ad esprimere meglio delle parole ciò che si ha dentro, sia agli adolescenti. Per i ragazzi, il creare oggetti attraverso la pittura, l' argilla o il legno, costituisce una modalità spesso più efficace della comunicazione verbale. Nei laboratori sono stati proposti diversi materiali, da quelli più destrutturati come l‘acqua e la farina, che hanno la qualità di essere duttili e facilmente plasmabili, a quelli più strutturati come la carta, il legno, il cartone, la stoffa utilizzati per creare oggetti e rappresentazioni. Tra questi, un posto particolare è occupato dal collage, una tecnica consistente nella creazione di opere o composizioni riguardanti un determinato tema, realizzate mediante la sovrapposizione di carte, fotografie, oggetti, ritagli di giornali o di riviste incollati su un supporto rigido (cartoncini, tavole di legno, ecc.). 196 Esempi significativi sono la costruzione dell' ― armadio‖ dove conservare i propri ricordi, la creazione di un fiore di carta da donare a un amico o la costruzione di un ― acchiappasogni‖ per sperare ancora nel futuro. Una particolare modalità di esprimere creatività, immaginazione, abilità manuali e impegno lavorativo è quella della riscoperta dei mestieri d‘arte che sono un'espressione del territorio, della cultura e delle tradizioni di un popolo e vanno dalla lavorazione della ceramica a quella del vetro e dell‘oro, dalla confezione di costumi teatrali alla costruzione di strumenti musicali, dalla incisioni su vari materiali al restauro di oggetti antichi. Il recupero di questi lavori è particolarmente importante in un momento come quello delle catastrofi naturali in cui si perde il rapporto con il proprio contesto e con il proprio passato ed è quindi necessario favorire tutte quelle attività che possano facilitare il recupero delle proprie radici storiche e culturali (Castelli, 2011). A questo scopo, la riscoperta dei mestieri d‘arte nei laboratori è stata realizzata sia attraverso il racconto degli anziani riguardo le attività tradizionali, sia dall'attività stessa dei ragazzi che si sono cimentati con tecniche come l‘incisione su rame, il modellamento della creta, la costruzione di strumenti per misurare il tempo (orologio, calendario). E' stato dedicato molto tempo al disegno e alle attività grafiche in generale in quanto rappresentano uno dei linguaggi creativi più diffusi ed efficaci in quanto danno forma all‘esperienza sensoriale (sensazioni visive, acustiche, tatti- 197 li, olfattive, percezione ed organizzazione dello spazio) e l‘arricchiscono di contenuti interni alla persona coinvolgendo emozioni e processi cognitivi. La molteplicità di variabili cognitive ed emotive che entrano in gioco nelle attività grafiche hanno fatto sì che questa modalità espressiva assumesse un ruolo centrale nell‘attività didattica, fosse ampiamente utilizzato in psicologia clinica e nella psicodiagnosi e trovasse largo impiego anche nell‘ambito della psicoterapia, come supporto e integrazione al colloquio, per facilitare l‘espressione di contenuti emotivamente difficili. Il disegno è stato ampiamente utilizzato nei laboratori per esprimere le emozioni rispetto a se stessi, alla propria casa, alla famiglia, all‘evento traumatico, alle speranze e ai sogni per il futuro. Per le loro molteplici potenzialità le fotografie hanno trovato largo impiego nell'ambito delle attività proposte. In educazione, formazione ma anche nell'ambito clinico le fotografie vengono usate come ― oggetti mediatori‖ per aiutare un individuo ad esplorare i vissuti e organizzare la comunicazione di idee, ricordi, sentimenti e associazioni all‘interno di un gruppo ristretto. Si possono anche utilizzare fotografie che ritraggono l‘individuo stesso e, attraverso l‘osservazione di una propria fotografia, si offre la possibilità di rivedersi e ritrovarsi nei ricordi e nei sentimenti evocati dall‘immagine, favorendo così un processo di autoconoscenza e di confronto con se stesso. Si possono infine usate fotografie scattate dallo stesso individuo per fermare un istante, un ricordo, una immagine da poter poi essere rivissuta in tempi successivi. All‘interno dei laboratori, ci si è serviti della fotografia come un metodo per consentire ai ragazzi di fissare il ricordo delle loro esperienze, di integrare i propri vissuti con la propria 198 creatività, ma anche di condividere tutto questo con agli mediante l'allestimento di una mostra fotografica. Altre metodiche utilizzate riguardano l'attività della narrazione e in particolare il raccontare, fare leggere, vedere, riflettere, disegnare e recitare i contenuti di una fiaba. Sappiamo che queste attività possono aiutare i bambini a superare le difficoltà che incontrano in quel determinato momento della loro vita e scoprire le risorse per uscire dalla situazione problematica e inserirsi in una nuova situazione di vita. Nelle attività dei laboratori le fiabe vengono raccontate ai bambini come strumenti per aiutarli a comprendere e superare alcune problematiche legate all‘evento vissuto, ma sono anche raccontate dai bambini attraverso la rappresentazione grafica e teatrale. Infatti una delle espressioni artistiche più antiche e dalle potenzialità molteplici è senza dubbio il teatro, utilizzato sia da psicologi che da educatori ed operatori. Nell‘ambito dei laboratori, mediante l‘azione fisica ed emotiva e attraverso il processo dell‘improvvisazione e dell‘interpretazione di ruoli prestabiliti, bambini e ragazzi hanno avuto la possibilità di mettere in scena fiabe e storie che li hanno aiutati a rielaborare e integrare a livello personale le esperienze e i sentimenti di quel particolare momento della loro vita. Nei laboratori creativi di musica, gli elementi sonori sono stati utilizzati sia per sottolineare stati d‘animo suscitato da particolari suoni (come nel caso del ― bastone della pioggia‖) sia per creare un legame all‘interno del gruppo caratterizzato dalla multietnicità. Attraverso il recupero delle canzoni tradizionali del proprio paese e il confronto di quelle di altri contesti culturali, il ragazzi 199 hanno preso consapevolezza della necessità di confrontarsi con culture ed etnie diverse e imparato a convivere con esse nel rispetto e nella collaborazione reciproca. Le attività sono state organizzate intorno ad alcuni percorsi tematici e raggruppati in tre grandi settori che fanno riferimento rispettivamente al rapporto dei ragazzi con il mondo esterno sia fisico che sociale, al rapporto con se stessi nel presente e al rapporto con la loro vita futura. Il primo tema (il mondo esterno, la natura) aveva lo scopo di favorire una ripresa di contatto e di fiducia con l‘ambiente naturale circostante sconvolto dal terremoto. Attraverso varie attività si è cercato di aiutarli a riscoprire la bellezza del rapporto con la natura, vista di nuovo come ― madre buona‖, fonte di gioia e di vita e non più come strumento di dolore e di distruzione. Gli spazi aperti, i colori, i profumi e gli elementi della natura dell‘Abruzzo, più di ogni altra esperienza, hanno favorire il recupero del contesto ambientale. Il secondo tema (se stessi) ha consentito agli operatori di focalizzare l‘attenzione sul ricco patrimonio di idee, sentimenti, valori e vissuti dei bambini con l'intento di favorire il recupero di se stessi da un punto di vista sia fisico che emotivo e relazionale. A questo scopo le attività sono state incentrate sull‘immagine corporea, sulle emozioni, sul vissuto della casa e sul rapporto con la famiglia, tutti aspetti fondamentali della vita dell‘individuo messi in pericolo dall‘evento del terremoto. Il corpo è il primo elemento che costituisce l‘immagine di sé ma è anche la sede delle pulsioni e dei desideri. Il corpo umano che nell‘esperienza dei bambi200 ni è stato soggetto a deprivazioni, dolore e morte è stato disegnato, modellato con la creta, rappresentato nel teatro, fotografato. Altri aspetti trattati riguardavano la percezione e rappresentazione della casa che da sempre simboleggia il rifugio, il calore familiare, il nucleo originario in cui trovare protezione e conforto. L‘esperienza del terremoto ha distrutto insieme alle case anche la sicurezza di avere un luogo sicuro, stabile a cui tornare e in cui ritrovare i propri oggetti e i propri affetti. Si è lavorato anche sul tema della famiglia che rappresenta, soprattutto per i bambini, la fonte primaria di sopravvivenza. Mediante le tecniche sopra evidenziate gli educatori hanno cercato di aiutare i bambini a ricostruire i rapporti familiari e rafforzare i legami al suo interno. Le emozioni vissute durante il terremoto e anche nel periodo successivo all‘evento traumatico, sono state numerose e di grande intensità: paura, disperazione, rabbia, impotenza, ecc. Il poterle rivivere, anche a livello simbolico e in una situazione di sicurezza, rappresenta un momento fondamentale di superamento del trauma. Se per un verso era importante che i ragazzi riuscissero a focalizzare il proprio interesse su se stessi, sulla loro storia e sulla loro identità personale e culturale, dall‘altro era necessario spingerli ad allargare i propri orizzonti, a guardare oltre il limite della situazione concreta e immediata e ricominciare a pensare e a progettare il futuro. Affinchè questo fosse possibile sono state proposte delle attività che, attraverso il recupero delle esperienze del passato, dei sogni avverati e di quelli non realizzati, degli obiettivi raggiunti e delle difficoltà 201 incontrare, fornissero dei concreti punti di riferimento sui quali costruire il futuro. 3.4 Immigrazione e resilienza Negli ultimi dieci anni, gli ambiti di studio di ricerca si sono estesi arrivando a far confluire all'interno del termine resilienza tutta una serie di processi e competenze che chiamano in causa diversi domini della psicologia: cognizioni, emozioni, relazioni. La letteratura riporta una lunga serie di fattori protettivi: abilità cognitive (QI elevato, abilità attentive, ecc), senso di sicurezza (autoefficacia ed autostima), temperamento positivo), temperamento positivo, personalità prosociale. Altri studi hanno considerato, oltre alla dimensione individuale, l'importanza delle relazioni interpersonali (qualità del caregiving degli adulti, le relazioni amicali, l'integrazione scolastica, la qualità dei servizi alla persona, ecc.). appartiene al mondo delle sfumature più che a quello dei confini, La resilienza ― della creatività e della diversità più che a quello della prescrizione e dell'omogeneità, dell'evoluzione e del cambiamento più che a quello della permanenza e della staticità‖ (Castelli, 2011, p.16). Nel paragrafo precedente abbiamo potuto constatare come le attività espressivo-creative possano promuovere e sostenere la resilienza, cioè la capacità dell'individuo di far fronte alle avversità che incontra nel ciclo di vita. Nell'ultima parte di questo capitolo, proseguiamo nell'analizzare il costrutto di resilienza, mettendolo in relazione con l'esperienza della migrazione ed, in 202 particolare, con le difficoltà che deve affrontare il bambino straniero che si trova sdradicato dal suo contesto e da tutto quello che fino ad un momento prima gli era familiare. La migrazione dei bambini, come vedremo, si traduce in un evento faticoso che segna inevitabilmente la loro storia e la loro identità. L'esperienza della migrazione dal proprio paese per una famiglia rappresenta un evento traumatico che delinea una situazione di crisi, cioè una possibile vulnerabilità. L'abbandono del paese nativo e la difficoltà ad inserirsi nel nuovo contesto rappresentano un cambiamento radicale che si ripercuote sul senso di identità delle persone. L'esperienza di chi emigra è quella di rottura con la propria cornice di riferimento e implica un passaggio ad un diverso sistema di valori, a diverse pratiche e modalità relazionali e richiede uno sforzo interpretativo della nuova cultura, sia la capacità di coniugare i diversi stili culturali onde evitare gli effetti nocivi dello sdradicamento e dell'isolamento. Le ricerche molto spesso evidenziano la relazione positiva tra integrazione e benessere psico-sociale. Proviamo allora a desumere dalla letteratura alcune dimensioni importanti che potrebbero fungere da fattori di protezione per la persona ed aiutarla a mantenere un livello almeno accettabile di benessere. Il primo aspetto che consideriamo riguarda l'identità, ed in particolare, l'identità etnica. Con tale espressione intendiamo secondo Tajfel quella parte dell'immagine che un individuo si fa di se stesso, che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale, unita al valore e al significato emozionale associato a tale appartenenza. Ne consegue che laddove la persona riesce ad attribuire un valore alla propria appartenenza, il senso di identità etnica può costituire una tutela ed es203 sere una dei fattori che contribuiscono a favorire la resilienza della persona immigrata. Un secondo aspetto è riconducibile al progetto migratorio che viene considerato il principale fattore di resilienza, in quanto protegge dalla sofferenza psichica. Un terzo aspetto riguarda il riuscire a sviluppare una doppia appartenenza, questo aspetto è collegato al precedente perchè la forza del sogno e le aspettative tipiche del progetto migratorio spingono la persona ad inserirsi più facilmente nella comunità ospitante. La doppia appartenenza è frutto di un lento e profondo lavoro analitico in cui l'identità viene formata dal continuo confronto tra i due mondi. Tale confronto non comporta soluzioni estreme, ma selezione e adeguamento. In tal modo il soggetto riesce ad avere un'identità formata dall'armonizzazione dei valori delle due differenti culture e, soprattutto, ad avere un duplice sentimento di appartenenza. Il progetto migratorio che sostiene gli adulti nella scelta di lasciare il paese di origine, non è sicuramente un fattore di protezione per i bambini, i quali sono più fragili e spesso inconsapevoli. Alcuni autori li hanno chiamati ― viaggiatori non per scelta‖ poiché si ritrovano catapultati talvolta anche dall'altra parte del mondo senza che vi sia sta alcuna preparazione al distacco. In particolare la seconda generazione, cioè i figli di immigrati che hanno seguito o raggiunto i genitori sono maggiormente esposti ad una situazione di vulnerabilità sociale e psichica dovuta alla precarietà dei progetti migratori dei genitori, alle difficili condizioni materiali ed economiche della famiglia, alle tensioni tra i diversi modelli culturali proposti e sovente, alle discriminazioni più o meno esplicite da parte dei coetanei. L'integrazione e la conoscenza del paese ospitante, il più delle volte 204 vengono gestite in solitudine, senza alcun appoggio adulto. I genitori tendono ad ignorare o sottovalutare il peso della sfida che i minori si trovano a dover fronteggiare, altre volte si trovano loro stessi nella condizione di non poterli aiutare non conoscendo la lingua, le regole implicite, gli spazi educativi della scuola. 3.4.1 Favorire l'integrazione del bambino straniero a scuola L'ingresso nella scuola è un evento critico per il bambino migrante, sia per quanto riguarda l'aspetto della socializzazione, che per l'apprendimento della letto-scrittura nella seconda lingua. Questo momento può essere vissuto come elemento di dolore e discontinuità rispetto alle proprie tradizioni e alla propria lingua di origine: apprendere a leggere e a scrivere (soprattutto per i bambini più piccoli) solo nella lingua del paese di accoglienza significa rompere il legami fondamentali rappresentati dalla lingua materna. I bambini stranieri, inseriti nella scuola sono però molto diversi tra loro per storie e vissuti: molti sono nati in Italia; altri giunti qui al seguito della famiglia oppure attraverso percorsi di ricongiungimento familiare; poi abbiamo i figli delle coppie miste; gli adolescenti non accompagnati; i bambini adottati e i figli di richiedenti asilo, rifugiati o profughi I genitori stranieri in alcuni casi non riescono a garantire in questo momento una base sicura e li caratterizza un generale senso di inadeguatezza. Inoltre, non è raro assistere ad un'inevitabile inversione di ruolo e di competenza nei rapporti intergenerazionali, motivo questo che fa vivere la scuola in maniera 205 ambivalente. Non solo in quanto luogo di potenziale affrancamento sociale, ma anche luogo che espone a rischio i valori tradizionali e la distribuzione dei ruoli all'interno della famiglia. Al di là delle tipologie identificate, i bambini stranieri hanno bisogni comuni di cui la scuola può e deve prendere atto: 1) Il bisogno di costruire un‘identità plurale e un senso di appartenenza ampio 2) Il bisogno di armonizzare nella rappresentazione del loro sé in costruzione le molteplici storie che caratterizzano la loro esperienza 3) Il bisogno di elaborare eventuali vissuti traumatici o le esperienze di discriminazione subite 4) Il bisogno di identificare i punti di riferimento e i valori importanti Cosa può fare l'insegnante? Innanzi tutto coniugare la sfera cognitiva con quella emotivo-affettiva e relazionale. Il che implica mettere al centro l'alunno, evitare stereotipi e pregiudizi, avere voglia di mettersi in gioco come insegnante privilegiando una dimensione di decentramento, di ascolto e comprensione dell'altro. Privilegiare pratiche didattiche come la ricerca-azione, lo scambio tra storie-saperi-riferimenti, interdisciplinarieta‘ e se possibile promuovere e sostenere lo sviluppo di partenariati tra scuole e/o enti pubblici e privati 206 Passaggi pedagogico-formativi l'inserimento del minore passa attraverso una serie di passaggi descritti dalla normativa in possesso di tutti gli istituti scolastici. riprendiamo, insieme gli elementi salienti ai fini del nostro discorso. Innanzi tutto è necessaria una prima fase di orientamento in cui rilevare le abilità e le competenze in ingresso e valutare gli apprendimenti. La rilevazione consente di: definire la classe di assegnazione e predisporre il piano personale. La rilevazione deve riguardare la rilevazione di competenze ed abilità non solo in L2, ma logico-matematiche, artistico- espressive, motorie, manipolative, comportamenti prossemici differenti nelle culture di appartenenza quando è possibile in L1. Successivamente i docenti: - rilevano bisogni specifici di apprendimento in base ai livelli linguistici del Framework europeo9 - elaborano percorsi didattici in L2, anche in collaborazione con soggetti esterni - individuano modalità di semplificazione e facilitazione linguistica in ogni disciplina 9 Nel Framework europeo vengono distinti i seguenti livelli: Livello base A1, A2 Livello autonomo B1 , B2 Livello padronanza C1,C2 Esempio nella produzione scritta: A1 è in grado di scrivere semplici frasi isolate A2 frasi semplici con connettivi semplici (e, ma, perché) B1 su argomenti che conosce bene è in grado di redigere un testo breve e molto semplice B2 testi articolati su argomenti diversi valutando informazioni e argomentazioni tratte da diverse fonti 207 Per quanto riguarda la valutazione, il dirigente scolastico con il collegio Docenti può definire il necessario adattamento dei programmi di insegnamento e i criteri per una programmazione /valutazione individualizzata degli alunni stranieri che riguarda per esempio l'adattamento dei programmi di insegnamento, l'eventuale riduzione dei contenuti curriculari, la sospensione momentanea di valutazione in alcune discipline. E' possibile, per cui, predisporre (in base ovviamente ad un'attenta valutazione dello studente) un piano didattico individualizzato che potrebbe comprendere i seguenti aspetti: - Informazioni generali dello studente (schede, auto interviste) - Rilevazioni competenze linguistiche e disciplinari in ingresso - Obiettivi formativi e didattici trasversali - Definizione degli interventi: dispositivi di supporto, omissioni disciplinari, riduzione, sostituzione e integrazione contenuti e discipline - Individuazione di obiettivi delle singole discipline - Tempi e modi delle verifiche e delle valutazioni Le dimensioni sotto indicate, invece, possono essere utilizzate come Indicatori dell‘integrazione dell'alunno straniero: - Situazione dell‘inserimento scolastico e qualità dei risultati - La competenza della lingua italiana - Qualità delle relazioni in classe 208 - Scambi con ambiti extrascolastici - Lingua materna e legame con la cultura d‘origine - Autostima,accettazione delle sfide. 209 IV Lezione La relazione insegnanti-genitori: dimensioni relazionali nel contesto scolastico 4.1 Le relazioni genitori-insegnanti: modelli interpretativi10 L'ingresso nel sistema scolastico è per la famiglia un momento particolarmente importante, caratterizzato da molte emozioni ambivalenti. Da un lato vi è la felicità e la curiosità di vedere il proprio figlio inserito in un nuovo contesto di crescita e di apprendimento, dall'altro la paura e l'ansia che potrebbe non trovarsi bene. Inoltre il peso della valutazione e la relazione con le insegnanti ancora tutta da costruire non facilitano certo il compito. La situazione non migliora proseguendo nel ciclo dell'istruzione quando il genitore non solo deve fare i conti con le maggiori aspettative e richieste che inevitabilmente la scuola fa, ma sopraggiungono i problemi legati ai compiti di sviluppo propri dell'età adolescenziale. La maturazione del sé, la ricerca dell'identità cominciano ad essere aspetti prevalenti e compiti evolutivi privilegiati per l'adolescente che, in alcuni casi, mal tollera l'interessamento genitoriale o le richieste della scuola (interrogazioni, carico di compiti, ecc.). Si parla ormai da qualche anno dell'importanza di un'alleanza scuola-famiglia, alleanza in cui la collaborazione e la condivisione nel rispetto delle reciproche competenze e dei differenti ruoli ponga al centro il minore e ne 10 Per ulteriori approfondimenti si rimanda il lettore a: Bartolomeo A., Le relazioni genitoriinsegnanti, La Scuola, Brescia 2004. 210 garantisca nel miglior modo possibile la crescita e l'esplicitazione di tutte le sue potenzialità. Alcune volte questa collaborazione funziona in altri casi, invece, abbiamo genitori assenti o sfuggenti e/o insegnanti stanchi e poco desiderosi di porsi davvero in relazione con le figure genitoriali. La letteratura psicopedagogica (soprattutto le ricerche che ci giungono dal Nord America) sottolineano i benefici di una buona relazione tra diverse agenzie educative, che coinvolgono primariamente il benessere e lo sviluppo dell'alunno. La relazione genitori-insegnanti, come abbiamo detto, si confronta con la dimensione evolutiva, caratterizzandosi come spazio di accoglienza dei bisogni emotivi e affettivi del bambino nella scuola dell'infanzia, per connotarsi poi come modello centrato sull'attività didattica nella scuola secondaria di primo grado. La lettura delle caratteristiche evolutive della relazione scuola-famiglia, però, ci offre importanti spunti di riflessione circa l'importanza di focalizzarsi sulle dimensioni di accoglimento dei bisogni emotivi lungo tutto il corso dei differenti cicli scolastici, nella considerazione delle esigenze che emergono con la crescita degli alunni e anche dei loro genitori. La scuola e i servizi educativi rappresentano luoghi di relazione alla cui vita partecipano diversi attori sociali: insegnanti, dirigente scolastico, alunni, personale non docente e genitori, educatori, psicologi, assistenti sociali, ecc. Alcuni modelli psicologici ci permettono di analizzare la dimensione relazionale nel contesto scolastico ed educativo, offrendo chiavi di lettura che ampliano la prospettiva di analisi centrata sull'individuo, fino a comprendere i di211 versi contesti di crescita, intesi come luoghi di scambio relazionale. Presenteremo i principali approcci teorici che a diverso titolo di sono occupati di insegnanti e genitori. Nella prima parte di questo capitolo analizziamo i seguenti modelli: psicodinamico, ecologico e sistemico, la teoria dell‘attaccamento, e il modello cognitivo-comportamentale. In particolare, il contributo psicodinamico aiuta a focalizzare la relazione sui vissuti interiori e fantasmatici degli individui che si giocano nell‘incontro con l‘altro. La teoria generale dei sistemi e la prospettiva ecologica di Bronfenbrenner fondano teoricamente un modello della complessità ambientale nelle relazioni, che va dall‘interazione diadica ai grandi sistemi sociali. La teoria dell‘attaccamento spiega la dimensione affettiva e relazionale, con riferimento alle prime esperienze di relazione primaria e per finire il modello cognitivo comportamentale offre delle indicazioni pratiche su come impostare la relazione scuola-famiglia. Il modello psicoanalitico Solo di recente il contributo psicoanalitico ha iniziato a occuparsi del funzionamento relazionale nel contesto scolastico , offrendo una lettura della relazione educativa sulla base delle conoscenze maturate nel setting terapeutico. Blandino (psicoanalista che si è occupato a fondo di tematiche connesse all‘apprendimento), presenta il modello psicoanalitico come possibilità di assumere un vertice da cui osservare i fenomeni che caratterizzano il campo interpersonale ed educativo. 212 Questo vertice consiste in un atteggiamento mentale relativo alla considerazione del ruolo che giocano i sentimenti e le emozioni, sensibilità che non va confusa con l‘adozione di un atteggiamento interpretativo fine a se stesso, e tanto meno diagnostico, sulle personalità altrui. L‘approccio psicoanalitico definisce il contesto scolastico in termini di alto tasso di relazionalità. L‘insegnante si trova spesso a gestire relazioni, e quindi a svolgere un lavoro psicologico di presa in carico e di elaborazione della dimensione interpersonale. La mente dell‘insegnante è lo strumento psicologico di lavoro, intesa non solo in termini cognitivi, ma anche e soprattutto emotivoaffettivi. All‘interno di una relazione ― …noi possiamo pensare solo quando siamo in contatto con le nostre emozioni.‖ La professionalità relazionale consiste nella possibilità di fornire supporto sia cognitivo che emotivo all‘altro, nella capacità di comprendere, capire e assumere responsabilità all‘interno della relazione, il che rimanda alla presa in carico dell‘altro e alla gestione della sofferenza emotiva (holding). Questa professionalità consiste anche nella capacità di sentire e di essere presenti nella relazione, ricevere, accogliere e contenere, nel saper entrare in contatto con l‘altro, comprenderne le richieste e i bisogni. Si tratta, quindi, della capacità di gestire la complessità interpersonale. Infatti, la professionalità relazionale a scuola si declina nel rapporto tra insegnante e alunno, tra insegnanti e genitori, tra operatori e utenti. In questo mondo relazionale non è presente solo la dimensione consapevole delle persone, data dalla intenzionalità comunicativa, 213 ma emerge anche una dimensione non consapevole , che insegnanti e operatori a scuola devono imparare a conoscere e a tenere in considerazione. Questa dimensione inconsapevole ha spesso a che fare con le ansie più profonde, che inevitabilmente interferiscono con la scelta e l‘ascolto delle parole che si utilizzano nell‘incontro dialogico con l‘altro. Infatti, molte volte al di là delle intenzioni comunicative, attraverso le parole vengono scambiati significati molto differenti che attingono al nostro mondo interiore. L‘approccio psicoanalitico, nella lettura della dimensione relazionale nel contesto scolastico, offre un contributo importante sottolineando il ruolo del mondo interno e dei vissuti emotivi e affettivi che caratterizzano la vita di ciascun individuo. L‘importanza del lavoro psicologico, inteso come quel lavoro che coinvolge il docente sulla dimensione relazionale, comporta, quindi, la necessità di conoscere come il proprio mondo interno si gioca nell‘incontro con l‘altro. La teoria generale dei sistemi La teoria generale dei sistemi fornisce una serie di principi che aiutano a leggere la complessità relazionale nei contesti educativi e scolastici. Pianta, studioso contemporaneo di psicologia dell‘educazione, ha analizzato l‘applicazione della teoria generale dei sistemi alla psicologia dello sviluppo. ― I sistemi sono unità composte di diverse parti interconnesse che agiscono in modo organizzato e interdipendente per promuovere l‘adattamento o la soprav214 vivenza dell‘unità intera. Le classi, le scuole, i gruppi di lettura, le pratiche disciplinari, le relazioni tra bambino e insegnante, il saper leggere e scrivere, le famiglie sono, o possono essere, in vari modi, sistemi‖. La teoria generale dei sistemi permette, quindi, di analizzare il comportamento delle parti in relazione al tutto e di comprendere le proprietà dinamiche del tutto in relazione al contesto. I principi della teoria generale dei sistemi contribuiscono ad analizzare i molteplici fattori che influenzano lo sviluppo dei bambini piccoli, come le famiglie, le comunità, i processi sociali, lo sviluppo cognitivo, le scuole, gli insegnanti e i compagni. I sistemi esercitano sullo sviluppo influenze di portata variabile , che vanno da influenze remote (come quelle esercitate dai governi) a influenze prossimali (come quelle esercitate dalla famiglia). I sistemi si riferiscono alla cultura, al piccolo gruppo sociale, alla diade, al bambino, al sistema comportamentale e al sistema genetico e biologico. I sistemi, inoltre, contengono codici che modellano il contesto più vicino a cui il bambino deve adattarsi e prescrivono azioni di regolazione del sistema nei confronti del bambino stesso. Ad un livello remoto le culture influenzano lo sviluppo con un insieme di codici che definiscono l‘insieme delle aspettative diffuse riguardanti lo sviluppo del bambino, come per esempio il momento in cui imparare a leggere. Al livello più prossimale troviamo i codici dei sistemi delle famiglie e dei piccoli gruppi sociali (coetanei, bande, gruppi parrocchiali, scuole, classi) che si 215 occupano della regolazione del comportamento del singolo bambino al fine di formare individui in grado di svolgere adeguatamente i ruoli assegnati nella struttura sociale allargata. All‘interno dei piccoli gruppi sociali, le relazioni interpersonali svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del comportamento del bambino. Queste relazioni o sistemi diadici sono costituite dall‘interazione tra due persone , che si struttura nel tempo e in diverse situazioni. Questa relazione può assumere un ruolo fondamentale nel modellare i comportamenti degli individui coinvolti e, attraverso innumerevoli interazioni, può regolare o limitare lo sviluppo delle persone (Pianta, 1999). Le relazioni a loro volta sono interconnesse; le relazioni tra coetanei sono influenzate dalla qualità del rapporto tra genitori e figli e dalla qualità della relazione tra bambini e insegnanti, dalla qualità della relazione genitori-insegnanti, ecc. La teoria dei sistemi e il modello ecologico Bronfenbrenner è il principale esponente della teoria ecologica, prospettiva di ricerca che studia le interazioni tra individuo e ambiente, con attenzione alle componenti individuali della personalità e alle variabili contestuali dello sviluppo umano, realizzando un incontro fecondo tra biologia, psicologia e sociologia. In particolare la teoria ecologica si occupa delle influenze che l‘ambiente fisico e sociale hanno sul progressivo adattamento dell‘organismo all‘ambiente. Per molto tempo si è studiato lo sviluppo dell‘individuo tralasciando la conside216 razione del contesto e, successivamente l‘attenzione è stata focalizzata sul contesto tralasciando la dimensione evolutiva. Invece, Brofenbrenner presenta una lettura delle relazioni tra persona e ambiente che tiene conto delle caratteristiche individuali, biologiche e temperamentali coinvolte. Lo studioso rileva un altro limite presente in molte teorie psicologiche, riguardante la mancanza di considerazione della dimensione temporale, da cui emerge una concezione dell‘ambiente come fisso e immutabile. Per cui elabora un modello crono-sistemico, che tiene conto della dimensione temporale sia nell‘individuo, sia nei contesti, con attenzione anche alle più ampie modificazioni storico-sociali ed ai problemi che riguardano il rapporto fra individuo e istituzioni. In tale prospettiva si possono analizzare disfunzioni e potenzialità delle situazioni educative nelle relazioni reciproche con la famiglia , il gruppo dei compagni e i contesti più ampi della socializzazione . Bronfenbrenner ha mostrato come eventuali modificazioni di condizioni ambientali possono avere effetti sul comportamento dei bambini, dei genitori e del personale scolastico, e anche sullo sviluppo del bambino nel tempo. L‘approccio ecologico ha il pregio di aver modificato l‘impostazione lineare causa-effetto che ha caratterizzato la ricerca nella prima metà del secolo scorso, assumendo una prospettiva di studio delle relazioni umane circolare, che sottolinea l‘importanza del contesto da cui non può essere scissa alcuna unità. L‘ambiente ecologico include le interconnessioni tra più situazioni ambientali e le influenze esterne su quelle situazioni. All‘interno dell‘ambiente ecologico Brofenbrenner individua una serie ordinata di strutture concentriche 217 incluse l‘una nell‘altra, definite: microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema . I cambiamenti di ruolo e di situazione ambientale che modificano la posizione dell‘individuo nell‘ambiente ecologico sono definite ― transizione ecologica ‖ (per esempio l‘inizio della frequenza scolastica). Il Microsistema è l‘ambiente immediato in cui vive il bambino in un preciso momento dello sviluppo. E‘ dato dal complesso di attività, ruoli e relazioni interpersonali con cui l‘individuo è in contatto diretto in un particolare contesto, casa, scuola o gruppo dei compagni durante il suo sviluppo. Il Mesosistema e la zona di relazione tra due o più contesti , ai quali il bambino partecipa direttamente. E‘ un sistema di microsistemi e si riferisce a due o più contesti ambientali e alle loro interconnessioni. Un esempio degli effetti delle relazioni fra microsistemi è rappresentato dai rapporti scuola- famiglia. Il tentativo di modificare le relazioni fra scuola e famiglia con il coinvolgimento di genitori e insegnanti in progetti comuni può incidere sull‘atteggiamento dei genitori e sui processi di apprendimento dei bambini in modalità rilevanti ai fini dello sviluppo . L' Esosistema è l'ambito in cui hanno luogo eventi e vengono prese decisioni che influiscono sullo sviluppo del bambino pur non avendo contatto diretto con esso. Riguarda due o più contesti ambientali, fra i quali almeno uno a cui la persona non partecipa direttamente, ma in cui si verificano eventi che influenzano l‘ambiente con cui la persona è in contatto diretto. 218 Il Macrosistema è il contesto ideologico, culturale e organizzativo che governa tutta la rete relazionale e dota di coerenza l‘intero sistema. Rappresenta, quindi, il contesto sovrastrutturale. Tale contesto è legato a culture e organizzazioni sociali più ampie, che hanno i loro sistemi di norme, credenze, rappresentazioni sociali e aspettative, che sono rilevanti ai fini dello sviluppo. Bronfenbrenner analizza così come segue il contesto scolastico secondo il modello ecologico. Nella scuola, la classe e lo spazio di gioco sono microsistemi del bambino; la relazione tra casa e scuola è un mesosistema; gli esosistemi si situano a livello comunitario dove si compiono le scelte educative e di organizzazione del funzionamento scolastico. La teoria dell’attaccamento La qualità delle relazioni può essere compresa più a fondo grazie al contributo della teoria dell‘attaccamento (Bowlby) e ai suoi sviluppi più recenti. Questa teoria evidenzia come la modalità di relazione che si forma tra il bambino e la figura di riferimento, di solito la madre, nel secondo semestre del primo anno di vita concorre alla creazione di un legame che fornisce la base e un modello per l‘esplorazione del mondo fisico e sociale da parte del bambino. La relazione di attaccamento è regolata dalla capacità degli adulti di rispondere ai bisogni del bambino in un equilibrio tale per cui se la vicinanza ottimale tra adulto e bambino viene alterata si attiva un sistema di segnalazione finalizzato a ristabilire l‘equilibrio. 219 Con il contributo di M.Ainsworth viene messa a punto la cosiddetta Strange Situation, cioè una situazione di osservazione di tipo strutturato, che consente di delineare diverse tipologie di attaccamento. Il legame di attaccamento viene per cui classificato in attaccamento di tipo sicuro o di tipo insicuro. Nel primo caso, i bambini definiti ― sicuri‖ mostrano fiducia nell‘altro e sono in grado di tollerare separazioni, evidenziando desiderio di esplorazione. Nel caso dell‘attaccamento insicuro troviamo le seguenti tipologie: I bambini ― ansioso-ambivalenti‖ hanno sperimentato una relazione con la madre caratterizzata da insicurezza e incapacità di accudire ai bisogni del bambino nei momenti di reale bisogno. Questi bambini oscillano tra momenti di affetto e momenti di rabbia e sono bisognosi di attenzione da parte degli adulti. I bambini caratterizzati, invece, da un attaccamento ― insicuro evitante‖ hanno sperimentato nella relazione con la madre una mancanza di responsività , tale per cui si mostrano eccessivamente autonomi. In realtà sono bambini che hanno imparato a gestire la relazione senza contare sull‘altro. Bowlby ipotizza che con i primi scambi con le figure di attaccamento significative, l‘individuo costruisce dei modelli operativi interni, working models , ovvero rappresentazioni interne che indirizzano l‘individuo nell‘interpretazione delle informazioni che provengono dal mondo esterno e guidano il suo comportamento nelle situazioni nuove. Se il bambino ha avuto delle esperienze precoci con una figura allevante pronta a offrire aiuto e conforto, costruirà un modello del Sè come di persona degna di essere confortata e che può aspettarsi di essere amata e una rappresen220 tazione interna degli altri come di persone pronte ad aiutarlo in caso di necessità. Avrà meno bisogno di controllare continuamente la disponibilità della sua figura di attaccamento e sarà più libero e autonomo nell‘esplorazione del mondo circostante. (attaccamento sicuro) Se, invece, la figura di attaccamento, nel periodo sensibile per la formazione del legame di attaccamento, non è stata pronta nel rispondere ai bisogni di sicurezza o è stata rifiutante, il bambino formerà un modello mentale del sè come di un individuo non degno di essere amato e confortato. Perciò sviluppa un modello della figura di attaccamento come di persona tale da dare risposte inaffidabili (attaccamento ambivalente) o da cui non può aspettarsi niente (attaccamento evitante ). Queste aspettative verranno estese a tutte le figure affettive che si incontreranno nel corso della vita e determineranno i comportamenti indirizzati a esse. I modelli operativi interni sono meccanismi cognitivi di interpretazione della realtà; costruiti nella relazione con la figura di riferimento primaria, vengono applicati alle figure con cui il bambini entrano in contatto successivamente. Queste modalità di relazione sono state osservate anche nelle interazioni con gli insegnanti. La relazione genitore-bambino può essere trasferita nella relazione con figure diverse da quelle genitoriali , sulle quali il bambino fa affidamento per ricevere protezione e conforto. A questo proposito si pone la questione relativa al ruolo dell‘insegnante nel contesto scolastico , e alla sua relazione con il bambino in termini di cura e 221 protezione. Per quanto riguarda la rappresentazione del legame di attaccamento tra insegnante e bambino è emersa l‘esistenza di somiglianze tra la relazione genitore-bambino e la relazione insegnante-bambino. Entrambe sono asimmetriche in termini di potere, responsabilità e abilità e presentano dipendenza, bisogni di protezione e di apprendimento nel bambino. Esisterebbe una coerenza tra la qualità della relazione madre-bambino e quella insegnante-alunno, anche se genitori e insegnanti rivestono e assumono ruoli differenti. La qualità dell‘attaccamento tra genitore e bambino si pone come un‘infrastruttura all‘interno della quale si situa e opera la relazione insegnantealunno. La qualità della relazione di attaccamento con l‘insegnante può connotarsi in termini di sicurezza, se questa è già presente nel legame con il genitore o emergere come una nuova e diversa qualità di attaccamento, permettendo al bambino di sperimentare una qualità relazionale differente da quella familiare a cui si collegano nuove potenzialità e risorse cognitive. Diversamente, la qualità di attaccamento insicuro sia con i genitori che con gli insegnanti evidenziata nel contesto scolastico si collega a prestazioni inferiori negli ambiti della motricità e della metacognizione, rispetto a bambini che presentano legami sicuri di attaccamento a livello familiare e scolastico. Ricerche recenti hanno evidenziato che i bambini con una relazione di attaccamento sicuro mostrano di possedere competenze cognitive più precoci ri- 222 spetto ai bambini che rivelano una qualità dell‘attaccamento insicuro (ansiosoambivalente o evitante). La qualità sicura della relazione di attaccamento è correlata con lo sviluppo della funzione metariflessiva , ovvero della capacità di pensare la mente propria e altrui in termini di stati mentali e emozioni. Questi bambini possiedono una maggiore competenza relazionale proprio perché sarebbero più capaci di rappresentarsi l‘altro come soggetto che possiede una vita mentale. Queste ricerche confermano l‘importanza del ruolo dell‘insegnante che si pone come figura educativa che fornisce cura e protezione, offrendo la possibilità di sperimentare una legame di attaccamento sicuro, con effetti importanti per il bambino sia a livello affettivo che a livello cognitivo. Il modello cognitivo-comportamentale L‘approccio comportamentale evidenzia l‘importanza della comunicazione tra scuola e famiglia, soprattutto nella gestione di situazioni problematiche nel comportamento dei bambini. La comunicazione scuola-famiglia orientata da questo approccio è stata introdotta per migliorare il rendimento scolastico degli alunni e per modificare una serie di comportamenti, quali l‘abitudine a conversare durante le lezioni, il tenere comportamenti inadeguati durante la ricreazione, la violazione del regolamento della classe. Il sistema delle comunicazioni scuola-famiglia e i provvedimenti adeguati da parte dei genitori costituiscono l‘aspetto più importante della procedura uti223 lizzata in questi interventi. Ai genitori vengono insegnate le modalità di controllo dei comportamenti problematici attraverso l‘utilizzo di una serie di tecniche di modificazione del comportamento. Una tecnica caratteristica nell‘approccio comportamentale consiste nella gestione delle contingenze di rinforzo. Gli obiettivi di tale tecnica consistono nel rafforzare i comportamenti appropriati in modo da aumentarne la frequenza e di ignorare o punire i comportamenti inadeguati o inaccettabili, al fine di diminuirne la frequenza. Se il comportamento da modificare si manifesta in classe, i genitori devono intervenire sulla base dei feed-back che arrivano dagli insegnanti e per tale motivo è fondamentale che la comunicazione scuola-famiglia sia estremamente chiara. Per esempio i genitori vengono istruiti a lodare i figli per il rendimento soddisfacente, certificato dalla comunicazione scuola-famiglia, e a evitare di punirli per un rendimento scarso. Gli studi che hanno utilizzato questa procedura ne hanno rivelato l‘efficacia, evidenziando come il comportamento adeguato da parte degli alunni aumentasse a seguito dell‘adozione di questa procedura. In altri studi la lode da parte dei genitori viene combinata con ricompense tangibili da assegnare a seguito di un buon comportamento a scuola. Gli interventi di gratificazione realizzati sia a scuola che a casa sono più efficaci rispetto a quelli realizzati solo a scuola. Le tecniche di rinforzo in collaborazione con la famiglia portano a un miglioramento nel comportamento in classe di ragazzini di età molto diverse tra loro. 224 Queste tecniche vengono utilizzate soprattutto nei casi di bambini con disturbo dell‘attenzione. Una tecnica utilizzata, con risultati positivi nelle comunicazioni tra scuola e famiglia, riguarda l‘uso di una scheda, il ― Daily Report Card‖ in cui vengono riportati quotidianamente gli aspetti più importanti del comportamento del bambino, sia quelli positivi che quelli negativi. Genitori e insegnanti devono aggiornare un quadernetto sul quale sono indicate alcune aree di comportamento. Queste aree (non più di 4 o 5) dovrebbero riguardare in ambito scolastico le relazioni interpersonali, la gestione del materiale scolastico, l‘esecuzione di compiti, l‘esecuzione di attività extra-didattiche e, con riferimento al contesto domestico, momenti quali quello che precede l‘andare a scuola, lo stare a tavola, lo svolgere i compiti scolastici e i rapporti con i familiari e con persone al di fuori dalla famiglia. Il comportamento del bambino viene monitorato e durante gli incontri genitori e insegnanti possono creare le basi per gratificare in modo più regolare il bambino nei suoi comportamenti positivi che sono stati rilevati in entrambi i contesti. Il contributo cognitivo-comportamentale non persegue come obiettivo la spiegazione dei processi coinvolti nella relazione, ma si focalizza sulla definizione di programmi di intervento. Questi programmi implicano la definizione delle condizioni che permettono di realizzare una collaborazione efficace tra scuola e famiglia, individuata nell‘attuazione di una comunicazione chiara ed efficace tra insegnanti e genitori e degli strumenti che la rendono possibile. 225 I genitori devono basarsi sulle informazioni che ricevono dall‘insegnante, perché il problema si manifesta nel contesto scolastico e devono essere disponibili a farsi aiutare e a seguire le indicazioni offerte dall‘insegnante su come comportarsi con il figlio anche a casa. L‘applicazione di questo modello evidenzia come l‘efficacia di queste tecniche implichi come condizione l‘esistenza di una dimensione relazionale di fiducia tra scuola e famiglia, base per il successo di ogni intervento educativo. Dopo aver illustrato i principali contributi che derivano principalmente dall'ambito psicologico, nel paragrafo successivo sposteremo la nostra attenzione sulla figura dell'insegnante per evidenziarne le peculiarità e le dimensioni caratterizzanti rifacendoci alle riflessioni di alcuni noti pedagogisti. 4.2 Insegnanti..si diventa Ragionare su chi sia un buon insegnante non è semplice. Esistono molteplici fattori da considerare, dalle radici storiche del ruolo dell‘insegnante, al valore sociale condiviso oggi dalla collettività. Una cosa che sappiamo per certo è che la propensione all'insegnamento esiste fin dall'antichità, forse fin da quando è comparso l'essere umano che in quanto tale ha sentito il bisogno e gustato il piacere di insegnare. 226 Per iniziare leggiamo insieme questo tratto da ― Le qualità di un precettore‖ di Quintiliano per poi passare a considerare aspetti psicopedagogici più recenti. “Assuma prima di tutto verso i suoi discepoli i sentimenti di un genitore e creda di succedere al posto di coloro che gli hanno affidato i figli. Egli stesso non abbia e non permetta vizi. La sua severità non sia rigorosa, la benevolenza eccessiva, in modo che non nasca da quella l’odio, da questa il disprezzo. Parli moltissimo di ciò che è buono e onesto; infatti, quanto più spesso ammonirà, tanto più raramente castigherà. Non sia affatto iroso né trascuri quelle cose che sono da biasimare; sia chiaro nell’insegnare, lavoratore, assiduo piuttosto che eccessivo. Risponda volentieri a quelli che lo interrogano, si rivolga di sua iniziativa a quelli che non lo fanno. Riguardo alle risposte date dagli alunni e che gli sembrano degne di lode non sia avaro né prodigo, poiché l’avarizia (di parole di lode) genera la noia per il lavoro; la prodigalità, presunzione. Nel punire ciò che lo merita, non sia acerbo e offensivo; invero proprio questo allontana molti dal proposito di studiare e cioè che alcuni rimproverano come se odiano (il docente) dica ogni giorno qualcosa, anzi molte cose che poi quelli che lo ascoltano ripetano tra di sé. Infatti, dalla lettura tanti esempi da imitare si possono trarre fuori ma di più nutre la voce e specialmente (la voce) di quel precettore che i discepoli, se sono stati rettamente istruiti, amano e rispettano. A stento si può dire quanto più volentieri imitiamo coloro verso i quali siamo ben disposti.” 227 Partiamo dal contributo di Damiano il quale, a partire dalle radici storiche della questione fino ad arrivare al dibattito internazionale sul tema dell‘educazione scolastica, giunge a definire l‘insegnamento come un‘azione morale: non un sapere neutrale bensì un progetto antropologico sui giovani. Attorno a questo sapere oggi, nella pluralità delle antropologie, si consuma la vera crisi della scuola. Gli insegnanti si trovano a doversi emancipare da uno stato esecutivo e impiegatizio, cercando il loro coronamento nella professionalità. Gli insegnanti non devono più pensare fortemente al riscatto della categoria, bensì devono riorientare i loro compiti secondo un‘etica della responsabilità verso gli alunni, le famiglie e la società in generale. Damiano indaga l‘― etica pratica‖ degli insegnanti, cioè quell‘insieme di strategie comportamentali e di azioni messe in atto tutti i giorni nelle aule scolastiche dagli stessi docenti, a partire da alcuni principi morali fortemente interiorizzati. Smonta l‘idea, oggi piuttosto diffusa, che l‘insegnamento consista nell‘attuazione di una serie di ‗tecniche didattiche‘, intendendo, invece, recuperare il concetto di ‗relazione formativa‘, centrale nella scuola di un tempo e oggi sempre più in crisi a seguito dei vorticosi cambiamenti sociali che hanno interessato anche questa istituzione. La funzione delle scelte centralizzate è cambiata, perché largo spazio è lasciato all‘autonomia, in particolare dei singoli Istituti. Ciò significa che dirigenti scolastici ed insegnanti debbono fare un salto di qualità e inventare un nuovo modo di fare scuola, strettamente legato alla realtà locale e al territorio, per far 228 crescere cittadini consapevoli e responsabili. Gli insegnanti hanno la possibilità di modellare il proprio stile di insegnamento in funzione degli alunni, mettendo in gioco la propria soggettività. L‘insegnamento come azione morale prevede, quindi, il reintegro della soggettività dell‘insegnante: un soggetto responsabile delle proprie scelte è chiamato a rispondere delle stesse. Egli non dovrà trascurare né l‘oggetto culturale né alunno, ponendo contemporaneamente l‘accento sul sapere e sugli aspetti relazionali e emozionali necessari nel processo di apprendimento. Senza interazione non avviene il transfert educativo: senza il caricamento affettivo i contenuti risultano pesanti anche per gli studenti bravi e senza sapere, d‘altra parte, il rapporto educativo non ha senso, non può portare all‘autonomia dello studente, che, perché avvenga il processo di apprendimento, deve passare dal non conoscere qualcosa al conoscere. L‘insegnante in questa prospettiva diventa il mediatore, non il modello del prodotto. L‘ insegnamento si definisce allora come negoziato continuo in cui l‘alunno co-protagonista è artefice di un apprendimento autodiretto, di cui costantemente controlla i propri progressi. Damiano sintetizza così il profilo dell'insegnante etico: Non è perfetto, ma aperto e ricettivo nello sviluppo della sua personale conoscenza etica e si impegna per far avanzare e incrementare la conoscenza etica collettiva della categoria. Non c‘è modello uniforme o generale di Insegnante Etico: ciascuno è tenuto a interpretarlo a suo modo, nella personale unicità e nella particolarità 229 delle situazioni. I principi di riferimento sono i medesimi, primariamente la giustizia, la benevolenza e il rispetto degli altri. E' imparziale anche con gli studenti che sbagliano. Sempre empatico, sa bene che non conta soltanto ciò che dice, ma anche la gestualità e lo sguardo possono incoraggiare comunicando attenzione e rispetto per l‘altro. Protegge i suoi studenti dall‘imbarazzo che possono provare davanti ai loro compagni per difetti fisici o difficoltà scolastiche. Rispetta la privacy, la loro dignità e quella delle loro famiglie. Non tollera meschinità e richiama agli studenti l‘imperativo della cura e del rispetto degli altri, compagni e personale scolastico a tutti i livelli. L‘Insegnante Etico ritiene un segno di rispetto per gli alunni esaminare attentamente, valutare e restituire prontamente le prove di valutazione con i suoi commenti e giudizi. Il lavoro degli studenti va riconosciuto degno di attenzione come il proprio. Esamina, soppesa, prende in carico, coscienziosamente e regolarmente, i bisogni dei singoli studenti e il benessere generale del gruppo-classe. Applica i criteri dell‘uguaglianza e dell‘imparzialità, escludendo qualsiasi forma di privilegio ed assicurandosi che ciascuno sia certo di essere seguito con la stessa attenzione riservata agli altri. Sente il bisogno morale di evitare qualsiasi forma di falsità e inganno, non solo nelle relazioni e negli scambi interpersonali, ma anche nella valutazione degli studenti e nell‘insegnamento delle discipline di studio. La scelta dei contenuti e dei materiali didattici è accurata, anche per quanto concerne la loro 230 valenza morale e il loro potenziale educativo. Si guarda dall‘imporre le proprie opinioni agli studenti in merito a controversie politiche o ideologiche. Evita di coinvolgere gli studenti fuori dalla loro portata, per esempio nel contenzioso che può insorgere per ragioni contrattuali con l‘amministrazione scolastica. L‘insegnante etico tiene fede agli stessi principi, anche nell‘interesse degli studenti, nei rapporti con i colleghi e con tutto lo staff della scuola. Vede la scuola come una comunità che esprime gli stessi valori e non si presta a ignorare e tanto meno a coprire le cattive pratiche dei colleghi nei riguardi degli studenti. Trova la maniera di discutere con i colleghi i dilemmi morali che possono insorgere e di studiare alternative che possano servire a migliorare le intese educative per la conduzione collegiale dell‘istituto scolastico. Scartati definitivamente i modelli del manager e dello stratega, all‘insegnante non resta che ispirarsi a quelli dell‘artigiano, del bricoleur, dell‘esperto pratico-riflessivo. 4.2.1 L'insegnante riflessivo In letteratura si ritrovano spesso due visioni di insegnante. La prima considera questa figura professionale come l'esperto che si limita ad applicare principi e metodi derivati dalla scienza dell‘educazione (tale modello deriva dalla tradizionale scissione tra il riflettere e l‘agire e tra il decidere e l‘attuare; scissione che nel mondo occidentale ha radici sia nella cultura greca che in quella cristia231 na). La seconda visione, invece, descrive il professionista come un artista capace di riflettere e agire in equilibrio tra fedeltà al sapere accademico e pertinenza alla situazione. Questo è il risultato di una analisi continua di stimoli e risposte, che permette di modellare e correggere le azioni durante il loro svolgimento. In una logica positivista, il professionista ricerca la soluzione alle problematiche selezionando il mezzo che meglio si adatta alla situazione tra quelli disponibili e conosciuti. Il problem solving, in questa visione, quindi, si limita ad individuare tra i ― principi generali‖ la ― soluzione particolare‖, senza definire fini e mezzi dell‘operato. Questa modalità, che Schön denomina ― razionalità tecnica‖, spesso è eseguita in modo standardizzato, per mezzo di azioni in cui la conoscenza è tacita ed implicita, tanto che spesso riguardano comportamenti che non si è in grado di verbalizzare e di cui non si sa fornire una giustificazione. Questo approccio è reso possibile dall‘idea che la realtà sia conoscibile in modo oggettivo e univoco, ma se ci si pone dinnanzi a una situazione cogliendone la sua reale complessità e unicità, si evidenzia l‘inadeguatezza della ― conoscenza nell‘azione‖ e delle ― razionalità tecnica‖. Il superamento della scissione tra pensare e agire, secondo Schön, va ricercata nel problem setting e, quindi, nell‘impostazione del problema definendo le decisioni, i fini da raggiungere e i mezzi da scegliere. Durante lo sviluppo di una situazione si possono presentare risultati inattesi, dinanzi ai quali il professionista può reagire ignorando gli elementi perturbatori oppure riflettendo su quanto accaduto. Quest‘ultima eventualità può assumere due diverse modalità: l‘operatore può fermarsi a pensare, separando il momento dell‘azione da quello 232 della riflessione oppure riflettere nel corso dell‘azione. Si tratta della ― riflessione nell‘azione‖ ed è metodo da preferire in quanto può determinando una modifica dell‘azione durante il suo svolgimento. Schön esemplifica questa condotta evocando i musicisti jazz, i quali improvvisano mescolando abilmente strutture acquisite con riflessioni nell‘azione, rispondendo ― in tempo reale‖ alle sorprese lanciate dagli altri musicisti. Il docente verrà incontro a problemi inediti non riconducibili a repertori tecnici o regole definite e per i quali la propria conoscenza pratica ed esperienza risulteranno insufficienti. In queste circostanze il professionista deve analizzare, criticare e rielaborare nuove soluzioni da verificare attraverso esperimenti sul campo. Questo processo trasforma il professionista in un ricercatore operante nel contesto della pratica, ovvero un ― professionista riflessivo‖. L‘attuazione di questa metodologia è reso possibile da quello che viene definita ― intelligenza nell‘azione‖: l‘autonomia del docente dal sapere accademico evitando di ritagliare le situazioni pratiche per renderle adeguate alla conoscenza professionale o forzando la situazione in maniera che si presti all‘uso delle tecniche disponibili, l‘imitando le possibilità di errate interpretazioni delle situazioni. Freire, in ― Pedagogia degli oppressi‖, ci fa riflettere sulla necessità della ricerca continua da parte degli insegnanti, affinché possano destare negli alunni una ingenua curiosità che li porterà verso la conoscenza delle cose. Per insegnare bisogna pensare in modo corretto: questo concetto è legato all'etica, che deve essere alla base di ogni pratica educativa. Pensare in modo corretto significa rischiare, andare al di la del proprio sapere, cioè mettersi in discussione e quindi 233 continuare ad imparare, significa rifiutare ogni discriminazione, rispettare l'identità culturale dell'alunno, le sue esperienze che gli vengono dall'ambiente sociale da cui proviene. Pensare in modo corretto inoltre significa saper ascoltare non è parlando-soprattutto dall'alto in basso- che impariamo ad ascoltare ma è ascoltando che impariamo a parlare con gli altri. Significa rispettare l‘autonomia dell‘essere educando, perché essere consapevoli della nostra incompiutezza ci rende etici ed essendo etici dobbiamo rispettare l'autonomia dell'alunno, cioè il suo linguaggio, la sua inquietudine, la sua legittima ribellione e la sua curiosità, il suo essere insomma. Questo atteggiamento è possibile attraverso un' autentica capacità dialogica quella in cui, cioè, i soggetti coinvolti, quindi anche l'educatore, imparano e crescono nelle diversità. Battistelli nel volume dal titolo Apprendere partecipando cita due ricercatori che hanno sottolineato l‘importanza della riflessività, specificandone però una connotazione differente. I due autori sono Argyris e Schón, i quali partendo dall‘assunto centrale della teoria dell'apprendimento, rilevano uno scarto tra intenzione, progetto e realizzazione. L'apprendimento nasce dalla presa d'atto di una discontinuità. Presupposto di base è l'auto-riflessività dell'individuo e dell'organizzazione, cioè la capacità di costruire riflessioni su se stessi e sulle proprie azioni che rendano confutabili le interpretazioni elaborate. Lo strumento fondamentale per l'auto-riflessione è il linguaggio. L'apprendimento può essere inibito dal fatto che molto spesso individui e organizzazioni tendono a fossilizzarsi su forme di ragionamento e di azione obsolete ma comode in quanto testate nel corso del tempo. Per permettere lo sviluppo della capacità di apprendere Ar234 gyris sviluppa l'Action Science. L‘obiettivo è quello di incrementare l'efficacia professionale degli individui affinché questi superino i limiti del ragionamento difensivo nella risoluzione di problemi. Schón parla del Reflective Practitioner, cioè del professionista riflessivo che deve entrare nel sistema di valori dei clienti per comprenderne i problemi secondo la loro prospettiva; questa è una condizione fondamentale per sostenere una progettazione organizzativa. Il professionista riflessivo è colui che ha la capacità di «riflettere-in-azione», cioè di riflettere sulle proprie azioni mentre queste vengono realizzate, e la capacità di riflettere sul «riflettere-in-azione» e il «conoscere-in-azione», capacità che permettono all'attore di formulare e criticare le strategie d'azione e le proprie concezioni di problemi e ruoli. Come sostiene Fisher ― Insegnare diventa spesso un ‗mestiere impossibile‘, implica agire con urgenza, decidere nell‘incertezza, operare senza avere il tempo di meditare. Tutto ciò senza una preparazione adeguata. Diventa allora chiaro che la conoscenza tacita, acquisita nel tempo, non basta più per affrontare le nuove situazioni, occorre imparare a riflettere sul problema, attingere a conoscenza pratica, fornire risposte‖. Schón afferma: ― Nella prassi delle prestazioni spontanee, intuitive, dell'agire quotidiano, ci dimostriamo intelligenti in modo peculiare. Spesso non riusciamo ad esprimere quello che sappiamo. [...] Il nostro conoscere è normalmente tacito, implicito nei nostri modelli di azione e nella nostra sensibilità per le cose delle quali ci occupiamo. Sembra corretto affermare che il nostro conoscere è nella nostra azione. Analogamente, l'attività lavorativa quotidiana del profes235 sionista si fonda sul tacito conoscere nell'azione. Ogni professionista competente riesce a riconoscere i fenomeni [...] per i quali non è in grado di fornire una descrizione ragionevolmente accurata o completa. Nella pratica quotidiana egli formula innumerevoli giudizi di qualità per i quali non è in grado di definire criteri adeguati e mostra capacità per le quali non è in grado di definire regole e procedure. Persino quando fa un uso consapevole di teorie e tecniche fondate sulla ricerca, dipenda da taciti riconoscimenti, giudizi, e azioni esperte. [...] Messo da parte il modello della Razionalità Tecnica, che ci porta a pensare alla pratica intelligente come a una applicazione della conoscenza a decisioni strumentali, non vi è alcunché di strano nell'idea che un certo tipo di attività cognitiva sia inerente all'azione intelligente. [...] Sebbene talvolta pensiamo prima di agire, è anche vero che in gran parte del comportamento spontaneo proprio della pratica esperta riveliamo un tipo di attività cognitiva che non deriva da una precedente operazione intellettuale‖. (Schòn, 1999, pp.76-77). L'apprendimento si verifica grazie alla riflessione sui successi e sugli insuccessi delle proprie azioni. Schón parla di «riflessione in azione» come processo di esteriorizzazione dei ragionamento. Attraverso il dialogo si possono esteriorizzare ed eventualmente correggere i ragionamenti e le conoscenze sottostanti le azioni. Il dialogo permette di mettere a disposizione di tutti i propri modelli mentali, il proprio modo di leggere e analizzare la realtà, rendendoli oggettivi. La competenza riflessiva è una competenza chiave per l'apprendimento individuale e collettivo. 236 Argyris e Schón introducono il concetto di indagine organizzativa, derivante dall'inquiry, processo di indagine proposto da Dewey; esso consiste in un momento di autoriflessione condotto dal gruppo. Il concetto di inquiry si riferisce a un misto di ragionamento e azione; l'indagatore cerca di risolvere questa situazione problematica rimuovendo il dubbio attraverso l'istituzione di condizioni ambientali almeno in parte inedite, che danno luogo a nuovi problemi. In generale, è la scoperta di un errore, cioè la mancata corrispondenza tra aspettative e risultati, a determinare la consapevolezza di una situazione problematica, dalla quale viene avviata l'indagine. Il successo di un'indagine viene decretato in funzione del valore che l'indagatore attribuisce ai nuovi problemi generati. L'indagine diviene organizzativa quando viene messa in atto da agenti di un'organizzazione in accordo con le regole che governano. Quando l'indagine individuale e quella organizzativa si intersecano, si influenzano a vicenda attraverso un processo circolare. L'apprendimento organizzativo si verifica quando gli attori organizzativi, sperimentata una situazione problematica, la indagano nell'interesse dell'organizzazione. Il risultato finale dell'indagine è la conoscenza organizzativa, come apprendimento che dà luogo a cambiamenti nell'azione e nel pensiero. La conoscenza è conservata da mappa, archivi, oggetti che supportano le operazioni cognitive e attraverso i quali le organizzazioni si rendono comprensibili a sé e agli altri. Argyris e Schón definiscono questa conoscenza sottostante le azioni «teorie dell'azione», le quali comprendono strategie dell'azione, valori che stanno alla base delle scelte dell'azione e gli assunti su cui si fondano. Ogni teoria dell'azio237 ne è definita in funzione della situazione particolare (S), della conseguenza in quella situazione (C) e della strategia d'azione (A) che si pone come obiettivo quello di ottenere C in S. La «teoria dell'azione» può essere una «teoria dichiarata», cioè proposta per spiegare e giustificare uno schema specifico di attività, oppure una «teoria-in-uso», cioè una teoria dell'azione implicita nella messa in atto dello schema stesso. È molto probabile che nelle organizzazioni siano tacite. Osservare la «teoria-in-uso» di un'organizzazione dall'esterno significa osservare i comportamenti governati da regole messi in atto dai membri. Da un punto di vista interno all'organizzazione si ha accesso al know-how che genera e controlla le pratiche adeguate al sistema. La «teoria-in-uso» organizzativa dipenderà dai modi in cui i membri se la rappresentano, quindi l'indagine deve prendere in considerazione i processi attivi dell'organizzazione, cioè l'organizzare, e non entità statiche, cioè le organizzazioni. Poiché c'è divergenza tra le immagini private dell'organizzazione i membri hanno bisogno di riferimenti esterni che guidino le loro revisioni private. Questo ruolo di guida è svolto da mappe, memorie e programmi organizzativi. Le mappe sono i diagrammi di flusso, gli organigrammi, i disegni e le fotografie dei luoghi di lavoro; le memorie comprendono archivi, documenti, database, e tutti gli oggetti fisici che conservano la conoscenza organizzativa; i programmi sono le descrizioni delle routine (ad esempio piani di lavoro, copioni, politiche). Tutti questi strumenti costituiscono descrizioni delle attività organizzative e linee guida per il futuro. Gli attori esperiscono la sorpresa della mancata corrispondenza tra risultati attesi e risultati effettivamente ottenuti e reagiscono attraverso processi di pensiero, cioè attraverso l'indagine organizza238 tiva, che li porta a modificare le immagini dell'organizzazione e a ristrutturare le attività, in modo tale da ottenere una corrispondenza tra attese e risultati, modificando in questo modo la «teoria-in-uso» organizzativa. Perché l'apprendimento sia organizzativo deve radicarsi nella mente di ogni membro e/o negli artefatti cognitivi (memorie, mappe, programmi) presenti nell'organizzazione. Il prodotto dell'apprendimento organizzativo è un qualunque cambiamento nella «teoria-in-uso» organizzativa. Argyris e Schón ritengono che l‘apprendimento possa essere organizzativo quando viene messo in atto dai membri dell'organizzazione all'interno di una comunità di indagine organizzativa. L'indagine organizzativa può sfociare in apprendimento quando si manifestano pensieri o azioni inediti per l'organizzazione. L'apprendimento può essere a circuito singolo (single-loop) e a doppio circuito (double-loop); quest'ultima forma di apprendimento favorisce le trasformazioni verso l'apertura e la flessibilità. La differenza tra i due tipi di apprendimento dipende dalla qualità dell'indagine collettiva. attraverso un apprendimento che permetta di riconoscere i propri modelli e bisogni di apprendimento, si giunge al deutero-learning; in questo caso i membri agiscono consapevolmente come agenti di apprendimento dell'organizzazione. Il deutero-learning è il concetto dell'apprendere ad apprendere elaborato da Bateson, 1972, che ritiene che questo processo sia possibile grazie ai mezzi della cultura, linguaggio, arte, e tecnologia, i quali mediano il flusso degli eventi in cui l'uomo è immerso come soggetto cognitivo. Le condizioni dell'apprendere ad 239 apprendere si hanno quando si manifestano interazioni significative tra mondo comportamentale dell'organizzazione e la sua abilità ad apprendere. ― Il dilemma tra rigore e pertinenza potrà essere rimosso se saremo in grado di sviluppare una pratica che: • collochi la soluzione tecnica dei problemi all'interno di un più ampio contesto di indagine riflessiva; • mostri che la riflessione nel corso dell'azione può essere rigorosa per propri meriti; • leghi l'arte dell'esercizio della pratica in condizioni di incertezza e unicità all'arte della ricerca propria dello scienziato‖. 4.3 Guardiamoci...e partiamo! Gli stili degli insegnanti In letteratura sono presenti numerosi studi e ricerche sulle differenze individuali nell'apprendimento, meno successo ha avuto, invece, la ricerca riguardo gli stili di insegnamento. Questa poca attenzione potrebbe essere parzialmente giustificata dal fatto che tradizionalmente si pone al centro del processo educativo lo studente e si ritiene per cui maggiormente importante analizzarne le difficoltà, i punti di forza e di debolezza senza quasi mai pensare di indagare contestualmente anche potenzialità, competenze relazionali e capacità di insegnare del docente. Ecco allora che è più semplice indagare sugli stili di apprendimento degli studenti ed eventualmente analizzare strategie metacognitive non mature 240 indebitamente utilizzate, piuttosto che riflettere sulle nostre metodologie di insegnamento e modificarle qualora si dimostrassero poco adatte ai contenuti e ai contesti. In considerazione di questi elementi non deve sorprendere il fatto che l'unica teoria degna di nota, in questo settore, risulti essere quella di Henson e Borthwick (1984). In base ad una serie di osservazioni e rilevazioni, gli studiosi identificano 6 stili di insegnamento. Anche in questo caso, potrebbe essere che ci ritroviamo in uno stile oppure che ci riconosciamo tra stili diversi o che ci attribuiamo questo o quel comportamento anche in base alla situazione che dobbiamo gestire. La raccomandazione è la medesima, più volte segnalata: l'importante è conoscere le proprie modalità, sforzarsi di modificarle, evitare la rigidità e soprattutto saper ascoltare prima di tutto gli studenti e in secondo luogo anche i genitori. Approccio orientato al compito:Vengono prescritti compiti ben programmati e associati a materiali appropriati. Questo stile dovrebbe favorire quegli studenti che apprezzano avere delle direzioni da seguire e dei materiali ben strutturati, come accade ad esempio ai convergenti. Approccio di progettazione cooperativa: Insegnanti e studenti progettano insieme l‘apprendimento in modo collaborativo, benchè venga guidato dall‘insegnante (favorisce i campo-dipendenti) Approccio centrato sullo studente: La struttura del compito viene fornita dall‘insegnante e gli studenti scelgono tra le varie opzioni possibili secondo il loro interesse. 241 Approccio centrato sulla disciplina: Il contenuto dell‘insegnamento viene pianificato e strutturato al punto che gli studenti sono pressoché esclusi dal processo. Anche in questo caso bisogna tenere in considerazione la creatività e il bisogno di autonomia di alcuni studenti. Approccio centrato sull’apprendimento: Viene manifestata dall‘insegnante uguale attenzione allo studente e alla disciplina di studio. Approccio emotivamente stimolante: L‘insegnante cerca di vivacizzare il più possibile emotivamente l‘insegnamento. Questi stili non si escludono a vicenda, ma possono essere usati insieme, e anzi sarebbe proprio questo il modo per risultare efficaci ai fini dell‘apprendimento degli studenti. Oltre agli stili di insegnamento, in un'ottica di cura della relazione educativa, con l'obiettivo di favorire un clima di collaborazione e reciproca fiducia tra scuola e famiglia, gli insegnanti, in quanto esperti di educazione e professionisti dell'apprendimento, sono chiamati a curare la comunicazione. Questo non è l'ennesimo fardello che l'insegnante si trova, tra le tante cose, a dover gestire, ma rappresenta una capacità necessaria che dovrebbe rientrare nella ― cassetta degli attrezzi‖ di ogni insegnante. Curare la comunicazione scuola-famiglia fin dalle prime fasi di inserimento dei bambini nei contesti educativi, significa curare e costruire una comunicazione che passa attraverso le parole, i dialoghi, i colloqui, la comunicazione non verbale, l'attenzione e l'ascolto, ma anche tramite l'insieme dei significati che connotano l'incontro relazionale insegnanti-genitori nei vari 242 livelli organizzativi del contesto scolastico. I modelli presentati di seguito rappresentano un tentativo di applicazione di concetti provenienti dalla letteratura psicopedagogica e dalla pratica scolastica e si collegano al modello proposto da Bouchard (1989). Descrivono, quindi, alcune dimensioni relazionali che possono essere osservate nella relazione tra genitore e professionista. La comunicazione direttiva: L‘insegnante sottolinea la sua dimensione istituzionale. Gli strumenti comunicativi privilegiati sono le valutazioni. Il genitore si percepisce incapace di sostenere i compiti educativi e tende ad evitare l‘incontro o a cercare lo scontro. Possibile risultato: allontanamento dello studente dalla struttura. Bouchard (1989) lo definisce razionale: il professionista è l‘esperto che tende ad imporre le decisioni, si verifica una gestione gerarchica e asimmetrica del potere. Non c‘è spazio per l‘espressione delle risorse dei genitori nei quali si generano sentimenti di ansia (e/o inadeguatezza). La comunicazione genitoriale: L‘insegnante si pone come una persona di famiglia, utilizzando una modalità comunicativa di tipo affettivo, quali la comprensione e l‘accudimento dei genitori. Il rischio è quello di alimentare la dipendenza del genitore dalle decisioni dell‘insegnante, con ridotte possibilità di attivare le risorse autonome della famiglia. L‘eccesso di affettività rischia di mascherare una richiesta di sostituzione educativa del genitore da parte dell‘insegnante. La comunicazione competente: L‘insegnante sostiene la relazione con il genitore attraverso la comprensione emotiva e la competenza professionale, 243 aiuta il genitore nella promozione delle potenzialità del figlio, al fine di rendere la relazione educativa il più funzionale possibile al raggiungimento di obiettivi condivisi. Il genitore viene visto come una risorsa e non come un problema. La dimensione è prevalentemente collaborativa, l‘insegnante sa che il genitore può essere di aiuto, ma ne rispetta l‘autonomia genitoriale. Con riferimento a Bouchard questo modello può essere inteso come un incontro relazionale caratterizzato dal saper-fare della famiglia e dall‘attivazione delle sue risorse (ascolto ematico, espressione dei sentimenti). L‘insegnante cerca di comprendere la realtà del genitore, che è invitato ad essere propositivo rispetto alle ipotesi di intervento del docente. L‘insegnante è un partner competente e rispettoso delle conoscenze e del saper-fare dell‘altro. Riesce a valorizzare le risorse genitoriali senza che ciò minacci la sua percezione di capacità professionale 4.4 Genitori a scuola: Aspettative familiari e successo scolastico La famiglia può forzare i figli al successo, e in particolare al successo scolastico? Quale ruolo possono svolgere i genitori nel motivare i figli ad apprendere e a raggiungere risultati soddisfacenti nell‘ambito dell‘apprendimento scolastico? Il compito di motivare all‘apprendimento e al successo scolastico non risiede solo nella scuola e nella funzione svolta dagli insegnanti, come spesso si 244 riscontra nelle opinioni di alcuni genitori, ma riguarda e coinvolge direttamente le famiglie (Bartolomeo, 2012) Gli studiosi Henderson e Mapp (2002) identificano alcuni indicatori del successo scolastico: - Capacità di adattamento degli alunni alla vita scolastica; - Frequenza regolare alle lezioni; - Promozione a fine anno; - Raggiungimento di punteggi più elevati nelle prove di valutazione; - Coinvolgimento degli allievi in progetti didattici più complessi; - Accesso ai livelli superiori della formazione; Mentre altre ricerche si sono focalizzate sull'analisi degli atteggiamenti familiari che potrebbero essere correlati con buoni risultati in ambito scolastico e mostrano, ad esempio, l‘importanza del coinvolgimento della famiglia nella vita scolastica come fattore fondamentale per garantire il successo dei figli a scuola. Il fattore, però, che maggiormente predice il rendimento scolastico consiste nel livello di autostima che lo studente possiede rispetto alle sue abilità scolastiche, livello che risulta influenzare fortemente i voti in tutte le materie (Vermigli, 2001; 2002). L'autostima e la valutazione del sé sono rinforzati dall'approvazione sociale e quindi in prima battuta sono sostenuti dal contesto familiare. Infatti è fondamentale è il ruolo della famiglia nel sostenere un'idea positiva del figlio rispetto alle sue capacità e alle sue potenzialità. Autostima, relazioni familiari e successo scolastico sono, quindi, strettamente connessi, in quanto i genitori incidono sull'autostima dei figli, la quale è a 245 sua volta correlata con la possibilità di sperimentare risultati soddisfacenti a livello di apprendimento a scuola. Osservando le correlazioni tra rendimento a scuola e stile genitoriale, gli studiosi concordano nel ritenere lo stile genitoriale di tipo autorevole il più idoneo a promuovere l'autocontrollo e rinforzare l'autostima. I ragazzi con alta autostima godono dell‘accettazione piena dei loro genitori e di regole precise di comportamento che però non costituiscono forti limitazioni alla loro libertà. Viceversa, i ragazzi con bassa autostima hanno, quasi sempre, genitori o troppo autoritari o estremamente permissivi. In particolare nella fascia di età pre-adolescenziale e adolescenziale la relazione con il padre influenza l‘autostima in alcuni ambiti specifici. La figura paterna sembra avere un ruolo estremamente positivo nell‘incoraggiare l‘autonomia dei figli. Oltre alla figura paterna, ovviamente, il grado di supporto, affetto e cura che la famiglia offre ai figli incide positivamente sull‘autostima anche rispetto al successo scolastico, perchè il ragazzo che si sente amato sa di valere e acquisisce una sicurezza che si traduce in fiducia nelle proprie possibilità (Vermigli, 2002). Altri studi hanno, inoltre, indagato il ruolo dei fattori di promozione del successo scolastico, evidenziando l‘importanza del sostegno familiare. Le famiglie che sostengono i figli nell‘ambito scolastico definiscono regole ben precise per quanto riguarda fare i compiti, studiare, guardare la televisione e leggere. Identificano alcuni indicatori del sostegno familiare al successo scolastico, come ad esempio: con che frequenza i genitori incoraggiano il figlio a leggere libri, a 246 frequentare la biblioteca, a vedere programmi educativi alla televisione. Quanto tempo i genitori dedicano ad aiutare i figli a completare il lavoro scolastico, ad assistere i figli nei compiti o a prepararsi per una interrogazione. Quali regole vengono date con riferimento ai programmi televisivi da guardare, alla programmazione del tempo per la lettura, alla organizzazione del tempo per fare i compiti. Abbiamo poi altri contributi di ricerca che provengono dall'ambito nord americano e che sottolineano il ruolo del coinvolgimento dei genitori a scuola e nelle attività di formazione dei figli. Il coinvolgimento dei genitori si correla con miglioramenti negli apprendimenti, nelle capacità di socializzazione e nel successo scolastico degli alunni. Dobbiamo, però, precisare che il coinvolgimento efficace dei genitori esercita effetti sul rendimento scolastico quando i genitori: 1. dialogano a casa con i figli sull‘esperienza scolastica 2. controllano i compiti a casa 3. partecipano agli eventi della scuola. Come coinvolgere i genitori nella scuola? Sono state identificate tre modalità che più di altre sembrano funzionali: la strutturazione dei compiti da svolgere in famiglia; il mantenimento di un contatto continuo sui progressi dell‘alunno e la realizzazione di incontri con i genitori su come aiutare i figli a casa. In particolare, la realizzazione di incontri nella scuola, per i genitori, sulla gestione dei compiti scolastici a casa sortisce progressi negli alunni, che mostrano punteggi più elevati negli ambiti della lettura e della matematica. Se le interazioni tra insegnanti e genitori sono buone, gli alunni: 247 mostrano un maggiore livello di autostima partecipano attivamente alla vita di classe tendono a impegnarsi di più ottengono risultati più soddisfacenti Quali sono i fattori che sostengono la partecipazione e il coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica e nei compiti di apprendimento dei figli? Il contributo di Hoover-Dempsey e Sandler, 1997 ci aiuta a rispondere al quesito. Vediamo quali sono, secondo questi autori, i fattori che entrano in gioco: 1) La concezione personale del ruolo genitoriale, ovvero ciò che i genitori ritengono faccia parte dell‘educazione dei bambini. La concezione del ruolo genitoriale si costruisce nei contesti socioculturali (gruppi di appartenenza: famiglia, scuola, lavoro) e concorre a definire quali attività sono considerate importanti e necessarie per essere buoni genitori. 2) Senso di auto-efficacia percepito dai genitori rispetto alla possibilità di aiutare i figli nella realizzazione del successo scolastico. Credenze che i genitori hanno nei confronti della loro adeguatezza nel sostenere i figli e delle capacità di apprendimento che attribuiscono ai figli stessi. 3) Richieste effettive di coinvolgimento. Le richieste effettive di coinvolgimento nella realizzazione del successo scolastico, effettuate sia dai figli che dalla scuola ai genitori segnalano la volontà effettiva di far partecipare le famiglie. 248 4) Altri fattori di coinvolgimento: Età e livello di sviluppo del bambino; qualità personali dei padri e delle madri; generale entusiasmo relativo alla possibilità di far parte della vita scolastica dei figli; percezione del tempo e delle energie necessarie per tale compito; esperienza precedente realizzata grazie alle richieste di coinvolgimento da parte dei figli, degli insegnanti e delle scuole 5) Fattori personali relativi all‘esperienza scolastica e sociale dei genitori. Questi fattori sono connessi alla storia personale dei genitori e chiamano in causa in primo luogo le esperienze realizzate nella propria scuola, cioè quanto e come i rispettivi genitori si erano fatti coinvolgere quando loro stessi erano studenti; poi entrano in gioco le credenze sulla partecipazione della famiglia in relazione alle norme culturali e valoriali di riferimento e in ultima battuta il carico delle responsabilità familiari e la disponibilità di tempo. Concludendo possiamo dire che il successo scolastico può essere considerato come l‘effetto di vari fattori, individuali e sociali. Il ruolo delle famiglie nel promuovere l‘autostima dei figli e nella disponibilità a farsi coinvolgere nella vita scolastica sono parte di una visione che considera i genitori, insieme agli insegnanti e alle altre figure educative, attori fondamentali del successo formativo. 249 4.5 Insegnamento e relazione di aiuto a scuola La relazione di aiuto si declina tra le professioni dell‘aiuto di tipo psicologico, psicopedagogico e clinico (psicologi, psicopedagogisti, counselor, psichiatri) e altre professioni che implicano competenze comunicative e relazionali per l‘aiuto come quella dell‘insegnante, dell‘educatore, dell'assistente sociale e che possono avvantaggiarsi di alcune conoscenze psicologiche di base legate alla comunicazione , alla relazione e alla conduzione del colloquio. La relazione di aiuto è un rapporto fra due o più persone, che comporta una condizione di reciprocità, all‘interno della quale ognuna delle parti in causa può subire delle modificazioni proprio grazie al rapporto con l‘altra, con la conseguente creazione di un legame. Con il termine aiuto ci si riferisce ad un‘azione o risposta prestata a qualcuno in difficoltà nei termini di appoggio, collaborazione, assistenza. relazione‖, che esclude la viLa relazione di aiuto è in primo luogo una ― sione di un intervento unidirezionale sull‘altro inteso come oggetto, per accedere ad una dimensione, che riconosce nell‘altro una persona e si articola nell‘ottica dello scambio . Ogni relazione di aiuto deve essere considerata con riferimento al contesto in cui si esplica. La relazione di aiuto realizzata dell‘insegnante nella scuola ha delle caratteristiche, perché si inserisce in un contesto quale quello scolastico caratterizzato dalla esplicazione di una situazione formativa , dove il docente è 250 chiamato non solo a trasmettere conoscenze ma soprattutto a riconoscere e valorizzare le risorse positive dello studente, da promuovere in chiave di autoformazione e motivazione alla crescita personale e disciplinare. Gli insegnanti, attraverso la relazione di aiuto nella scuola, perseguono obiettivi specifici e primari di apprendimento, di problem solving e di socializzazione degli alunni, ma contemporaneamente sono chiamati a realizzare anche obiettivi secondari di tipo psicologico, quali promozione dell‘autostima, della stabilità emotiva, dell‘integrazione sociale, legate anche alla relazione interpersonale docente-alunno. Trasversalmente alle diverse professionalità, nella relazione di aiuto diviene fondamentale la preparazione e la formazione dell‘operatore nell‘acquisizione di competenze comunicative e relazionali, che richiedono consapevolezza di sé, dei propri vissuti emotivi, del proprio quadro valoriale, capacità di decentramento cognitivo, abilità nella costruzione, nel monitoraggio, nell‘evoluzione della relazione. Le competenze comunicative e relazionali e la competenze tecniche di conduzione del colloquio emergono come elementi di base nella gestione della relazione di aiuto che può essere declinata nel contesto scolastico ed extrascolastico con le seguenti modalità: il coaching, l’holding e il counseling . L‘insegnante guida, stimola, esercita gli studenti (coaching ), li contiene e li sostiene affettivamente (holding ), li consiglia e li orienta (counseling ) nell‘affrontare i loro impegni e nel risolvere i loro problemi. 251 Il coaching è un modello attraverso il quale l‘insegnante o l‘educatore allena e aiuta gli studenti ad identificare i punti di forza e di debolezza e cerca, insieme con i colleghi e con gli studenti, soluzioni più creative. Attraverso l‘holding l‘insegnante e/o l‘educatore media e contiene le emozioni e le preoccupazioni degli studenti, infonde fiducia e partecipazione a quanto gli allievi e le loro famiglie sentono come problema o come sfida. Attraverso il counseling responsabilizza gli allievi, li rende consapevoli dei loro livelli di maturazione, li abilita a prendere decisioni personali, e promuove la comunicazione con le loro famiglie attraverso il colloquio. Questi tre modelli di relazione di aiuto indicano pratiche operative consolidate caratterizzate da strategie e tecniche differenti, che evidenziano l‘importanza di focalizzarsi sulle differenti dimensioni dell‘alunno e degli altri attori che partecipano alla vita scolastica. In particolare la relazione di aiuto coinvolge la dimensione cognitiva e la dimensione emotivo-affettiva (che agisce perlopiù a livello inconsapevole) degli attori coinvolti nella relazione educativa. Riprendiamo adesso in maniera più analitica i concetti descritti. 4.5.1 Il Coaching: la funzione di “guida” Il Coaching tipicamente consiste in una forma personalizzata di accompagnamento finalizzata ad aiutare le persone a migliorare le proprie prestazioni e la qualità della vita privata e professionale. Il termine coach deriva dal nome di 252 una particolare carrozza rinascimentale costruita nella città ungherese Kocs, che per il suo successo si diffuse rapidamente in altri paesi. Solo alla fine del XIX secolo, il termine assunse nella lingua inglese un nuovo significato, quello di allenatore sportivo. Sia la carrozza che l‘allenatore assolvono la stessa funzione, quella di accompagnare una persona o uno sportivo o un gruppo/ squadra da un determinato punto di partenza ad una meta stabilita. Il Coaching nasce negli Stati Uniti circa venti anni fa e rappresenta una nuova professione in costante espansione a livello internazionale. Si costituisce come una partnership tra il ― coach‖ e un cliente e si fonda su una serie di incontri e colloqui a scadenze prefissate . Il coach aiuta la persona a trasformare se stessa e a riformulare il proprio modo di pensare, di agire e in taluni casi anche di essere, supportandola a raggiungere livelli più elevati nelle sue prestazioni e a fare emergere il meglio del proprio potenziale attraverso la ristrutturazione di credenze e di convinzioni che possono limitare la persona, valorizzando le sue risorse e attivando la creatività inespressa. Il coaching consiste in una metodologia che prevede interventi personalizzati, volti a mettere a fuoco le possibilità di sviluppo di un individuo. Il coach analizza la situazione di partenza del cliente e condivide con lui ciò che egli è disposto a fare per raggiungere la meta individuata. Questa assunzione di responsabilità è considerata la ragione dell‘efficacia del coaching. Le competenze che il coach deve possedere sono soprattutto di tipo verbale : ascol- 253 to, porre domande, far riflettere per creare il massimo di efficacia in termini di conversazione e di esperienza per l‘individuo. Durante il colloquio la persona sceglie l‘argomento della conversazione , e il coach lo ascolta ponendo osservazioni e domande, al fine di creare maggiore chiarezza ed sostenere la propositività. In particolare gli obiettivi di un colloquio di coaching sono i seguenti: 1. aiutare la persona a focalizzare il suoi reali obiettivi , esplorare nuove opportunità o opzioni, rimuovere eventuali barriere e a creare un piano d‘azione per raggiungere i suoi obiettivi con successo; 2. sollecitare la persona a prendere l‘impegno di fare di più di quanto non avrebbe fatto da solo; 3. chiedere alla persona di lavorare sui suoi punti di forza e aiutarla a sviluppare il suo potenziale al fine di raggiungere risultati più duraturi e appaganti; 4. aiutare la persona a rimanere focalizzato per raggiungere più velocemente quello che veramente desidera. Il tipo di relazione che si instaura tra il coach e la persona è perlopiù di tipo simmetrico, ovvero viene vissuta nei termini di un rapporto fra adulti pari, piuttosto che un rapporto genitoriale di tipo paternalistico e la comunicazione è caratterizzata da un linguaggio propositivo piuttosto che da un linguaggio di tipo direttivo. 254 Il coaching a scuola L‘utilizzo di questo modello nel contesto scolastico con riferimento alla funzione di tutor dell‘insegnante sottolinea il ruolo di guida personalizzata che il docente è chiamato a svolgere con l‘alunno. In tale prospettiva il coaching implica competenze che agiscono sul piano della consapevolezza e della responsabilizzazione. L‘insegnante valuta, guida e orienta l‘alunno, cercando di condividere con lui o lei obiettivi di apprendimento e di realizzazione nell‘ambito scolastico, al fine di promuovere le sue risorse. La capacità di definire e condividere con l‘alunno un percorso di apprendimento permette di responsabilizzare l‘alunno, in una prospettiva di ascolto e di facilitazione rispetto alle sue potenzialità. Operativamente, la funzione di coaching può essere svolta dall‘insegnante attraverso dei colloqui, sia individuali che di gruppo, finalizzati alla definizione di un contratto , dove si definiscono obiettivi e traguardi, attraverso una condivisione del profilo dello studente in termini di punti di forza e punti di debolezza. Attraverso la definizione di un piano l‘alunno può impegnarsi a raggiungere determinati obiettivi di apprendimento, che ha fatto suoi, attraverso una situazione di negoziazione con la figura del docente. Questi incontri possono essere poi ripetuti nel tempo proprio per aiutare l‘alunno a verificare le modalità assunte nel perseguimento dei suoi obiettivi. La possibilità per l‘alunno di porsi all‘interno di una relazione ― quasi simmetrica‖, quale quella del coaching, dovrebbe promuovere un‘assunzione di 255 responsabilità, che agisce sulla sfera della motivazione ad apprendere , sul riconoscimento del proprio impegno come fattore di successo scolastico, sulla possibilità di assumere un approccio metacognivito all‘apprendimento. Il modello del coaching chiama in causa competenze e abilità che possono essere influenzata dall‘età degli alunni, rispetto ai quali l‘insegnante è chiamato ad attuare delle modificazioni che permettano comunque sia ai più piccoli che ai più grandi di assumere una dimensione attiva e propositiva nei processi di apprendimento, finalizzata alla realizzazione di un senso rispetto alla progettualità del sé scolastico. 4.5.2 L'Holding: la funzione del “contenimento affettivo” L‘holding rappresenta un aspetto fondamentale, piuttosto che un modello paradigmatico, della relazione di aiuto che trova il suo fondamento nella prospettiva psicoanalitica e in particolare nella teorizzazione di Winnicott. Tale modalità di esplicitare la relazione di aiuto fa riferimento alla teoria evolutiva di Winnicott, secondo il quale agli inizi della vita ogni essere umano esiste solo in quanto parte di una relazione e le sue possibilità di vivere e di svilupparsi dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e ap- 256 partenenza a un ― Altro‖ (madre o caregiver) che si prende cura di lui e gli dà quel senso di sicurezza e d‘intimità che sono le basi per la crescita. Dalla qualità affettiva di tale relazione primaria, ovvero da quanto la madre o caregiver sarà disponibile, protettiva, affidabile, costante, capace di un contatto caldo e rassicurante, ovvero di un buon holding e di una sintonizzazione empatica, dipenderà l‘attuazione delle sue potenzialità innate e dell‘innata socialità del bambino, cioè dipenderà il lo sviluppo sano del suo Vero Sé. L‘holding consiste nel fornire da parte della madre o caregiver al bambino un ― ambiente di contenimento ‖, ovvero un ‖holding environement‖ tale per cui il bambino sente assicurata la sua ― continuità di essere e di esistere ‖. Winnicott indica come si dovrebbe tenere in braccio (e così nella propria mente) il bambino , rimanendo là dove egli è e dove chiede di essere raggiunto. Il contributo di Winnicott, come quello più in generale della psicoanalisi allo studio delle relazioni, considera le esperienze infantili fondanti per la storia dell‘individuo. L‘esperienza che il bambino vive nella sua relazione primaria con la madre o caregiver si rivela fondamentale per le successive esperienze di relazione, comprese quelle scolastiche. Le prime vicende relazionali determinano le modalità e le possibilità che l‘individuo ha di percepire, conoscere e porsi nei confronti della realtà strutturando e dando forma al mondo interno e agli aspetti affettivo-emozionali della persona. Poiché ogni atto di pensiero e conoscenza mantiene una dimensione relazionale, il processo di crescita cognitiva può essere incrementato nella relazione 257 con una persona attenta a cogliere, pensare elaborare e restituire all‘altro le emozioni implicate nei processi di apprendimento . La funzione del docente evoca quella del genitore proprio di contenimento e di mentalizzazione degli aspetti emotivi legati all‘esperienza di apprendimento . L’holding a scuola Nella relazione insegnante-allievo si struttura un‘area condivisa, ovvero uno spazio che può essere accogliente per le parti profonde di ciascuno dei due, all'interno in un equilibrio libero e flessibile, che può assumere un significato di trasformazione. Questo spazio costituisce "un'area transizionale ", un'area comune del Sé, dove è possibile mettere in gioco e condividere stati emotivi profondi, ma al tempo stesso altri aspetti del Sé permettono di riconoscersi reciprocamente come diversi , con la possibilità di un reciproco arricchimento e di cambiamento emotivo: sentirsi riconosciuti senza negare il riconoscimento dell'altro. L‘holding permette di creare uno spazio potenziale dove insegnanti e alunni (individualmente o nel gruppo-classe) si mettono in gioco, con l'obiettivo di facilitare il ritrovamento del vero sé e di una fiducia di base. Operativamente ciò è possibile organizzando l'ambiente per l‘alunno, provvedendo a ciò che è necessario, inclusi i limiti, nel senso anche di regole, e creando una rete protettiva che viene a coincidere con un ambiente facilitante lo sviluppo . 258 4.5.3 Il Counseling: la funzione di “ascolto” Il counseling è un processo relazionale il cui scopo consiste nel facilitare la persona o cliente a prendere una decisione rispetto a scelte di carattere personale o a problemi o difficoltà che la riguardano direttamente, ad esempio come scegliere un lavoro o un corso di studio. Il counseling si basa su un'originaria intuizione di Carl Rogers secondo la quale se una persona si trova in difficoltà, il miglior modo di venirle in aiuto non è quello di dirle cosa fare, quanto piuttosto quello di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema assumendo da sola e pienamente le responsabilità delle scelte eventuali. Il processo di counseling enfatizza l'importanza dell'autopercezione, dell'autodeterminazione e dell'autocontrollo. Il risultato finale è misurabile attraverso il grado in cui si riesce a rendere una persona capace di azioni razionali e positive, a renderla soddisfatta e in pace con se stessa. Il couseling ha, quindi, a che fare con l'area del conflitto, della confusione, del turbamento in seguito a stress più o meno intensi nei vari ambiti di vita del soggetto (famiglia, scuola, lavoro, ecc.) in persone altrimenti ben adattate e integrate (Mucchielli, 1987). Il counseling orientativo Per quanto riguarda l'ambito dell'orientamento scolastico e professionale, è necessario fare una distinzione rispetto al termine couseling, spesso utilizzato in alternativa a consulenza o supporto orientativo. Questi ultimi si riferiscono ad un 259 intervento teso a migliorare una situazione critica sia mediante un rapporto individuale che di gruppo. Il couseling, invece, è una modalità di aiuto all'individuo per affrontare ed esplorare aspetti che riguardano la persona nel suo insieme, per riattivare energie e potenzialità necessarie a trovare soluzioni positive e favorire un progressivo processo di autonomia e sviluppo personale. Secondo questa prospettiva il couseling di orientamento si profila come una relazione di aiuto per far fronte ai compiti di sviluppo connessi all'esperienza formativa e lavorativa di ogni persona e come strategia di prevenzione nei confronti di esperienze individuali di successo e di disagio. In adolescenza questo tipo di intervento si basa su una serie di colloqui con un consulente da cui il ragazzo si aspetta soprattutto un chiarimento della sua situazione, un diverso punto di vista sul problema che lo preoccupa, un aiuto per superare ostacoli e difficoltà. Le situazioni problematiche affrontate sono diverse e non riguardano solo la sfera scolasticoprofessionale, ma si spazia anche su problemi sentimentali, relazionali, scolastici, personali legati prevalentemente ai compiti di sviluppo tipici dell'età. Tende ad essere un intervento breve che analizza le difficoltà del presente, ma è orientato al raggiungimento di un cambiamento a breve o lungo termine. Il couseling orientativo può essere svolto all'interno della scuola oppure in una realtà esterna (ad esempio un centro psico-pedagogico). Se affrontato a scuola, taluni studiosi sottolineano che sarebbe meglio che non venisse svolto da un insegnante (anche se questi ha una preparazione specifica in materia) proprio perchè il docente è visto come colui che valuta e difficilmente può essere percepito come un alleato, soprattutto quando le problematiche sono di tipo scolasti260 co. Spesso le scuole ricorrono ad una consulenza esterna, anche se non si esclude la possibilità che un insegnante possa svolgere il ruolo di docente in una scuola e quello di counseling in un altro istituto o in una sede distaccata. I ragazzi possono rivolgersi al counseling direttamente o indirettamente perchè segnalati da altri. Secondo Pelanda, essenzialmente presentano quattro tipi di problemi: 1) un primo gruppo è costituito da ragazzi che giungono alla consultazione per difficoltà connesse alla crisi evolutiva; 2) un secondo gruppo arriva su richiesta dei genitori, spesso per difficoltà scolastiche o rischio di abbandono scolastico; 3) un terzo gruppo è rappresentato dai narcisisti che parlano a lungo dei problemi, dei propri pensieri e progetti ma danno poca importanza alla realtà concreta; 4) un quarto gruppo è rappresentato da ragazzi che hanno una patologia grave e che vengono inviati ad una struttura specialistica. Ricordiamoci sempre che il counseling non è una psicoterapia e non ha una scopo né di diagnosi, né di cura e anche se condotto da un esperto come lo psicologo non si rivolge a persone mentalmente disturbate, ma a individui che hanno un problema e vogliono condividerlo con una persona qualificata. Il colloquio nel counseling di orientamento: Il colloquio si svolge in una stanza riservata (costruzione del setting) e non troppo rumorosa. Si struttura in quattro o cinque incontri e la tendenza è quella di non superare mai gli otto-dieci in modo da evitare che il lavoro si trasformi in un lavoro terapeutico prolungato. 261 La durata è di circa 40 minuti, ma può essere anche più breve. Non vi è una cadenza fissa, si seguono i tempi di comprensione del soggetto. Anche se vi sono diverse modalità di conduzione, si può fare una distinzione tra alcune fasi caratterizzanti. a) Fase iniziale: accoglienza e definizione del problema Si distinguono tre momenti: - presentazione e accoglienza - analisi della domanda - approfondimento del problema b) Fase centrale: esplorazione della persona - storia personale - situazione attuale c)Fase finale: sintesi delle informazioni e formulazione di strategie 1. ridefinizione del problema - formulazione degli obiettivi successivi - conclusione del colloquio Il couseling orientativo assume, quindi, in primo luogo una funzione di ― indagine scoperta‖ della personalità dello studente. Il compito del consulente in questo caso è quello di aiutare l'adolescente ad esplicitare alcune conoscenze su se stesso, metterle in relazione con le reali capacità e possibilità ed elaborare un progetto o un percorso scolastico e/o professionale. In secondo luogo assume 262 una funzione di ― indagine e costruzione‖ della personalità nel corso del quale si cerca di facilitare una modificazione di atteggiamenti che possono essere disfunzionali. In questo caso il consulente stimola l'adolescente ad acquisire competenze adeguate utili a risolvere eventuali problematiche evolutive e assumere nuovi atteggiamenti in vista dell'obiettivo che ci si è prefissati. 263 Bibliografia Riferimenti bibliografici I Lezione - Abramson L.Y., Seligman M., Teasdale J.D., ― Learned helplessness in humans: Citique and reformulation‖, in Journal of abnormal psychology, 87,, 1978. - Antonietti A., Psicologia dell'apprendimento. Processi, strategie e ambienti cognitivi, La Scuola, Brescia, 1998. - Antonietti A., Cantoia M., Come si impara. Teorie, costrutti e procedure nella psicologia dell'apprendimento, Mondadori Università, Milano, 2010. - Aronson, Stephan, Sikes, Blaney, Snapp,. 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