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Ottica geometrica
L'ottica studia la propagazione della luce.
Non si occupa quindi della natura della luce né di come essa è prodotta ed assorbita. In prima
approssimazione
si osserva sperimentalmente che la luce si propaga, in mezzi omogenei, per raggi che non sono altro
che linee
rette.
Lo studio della propagazione della luce tramite raggi è l'oggetto dell'ottica geometrica.
In realtà le cose sono molto più complicate e la luce si può immaginare sia costituita da raggi solo
in alcune
ben precise situazioni ed entro certi limiti.
La storia delle ipotesi scientifiche sulla luce inizia con Newton nella seconda metà del ' 600. Egli
ipotizzò
che la luce fosse costituita da corpuscoli colorati in moto rettilineo. Newton fu quindi il padre
dell'ipotesi
corpuscolare della luce. Tramite quella ipotesi, egli riuscì a spiegare tutti i fenomeni luminosi noti
compresa
la dispersione della luce bianca nei vari colori (arcobaleno).
Nello stesso periodo, Huygens ipotizzò invece che la luce fosse costituita da onde. Questa è la
cosiddetta
ipotesi ondulatoria che però per lungo tempo non ottenne grandi successi e ad essa fu preferita
quella
corpuscolare.
Solo nell' '800 l'ipotesi ondulatoria divenne preminente e tutti fenomeni luminosi allora conosciuti
furono spiegati
in termini di onde elettromagnetiche (la luce è infatti un tipo di onda elettromagnetica). L'ipotesi
corpuscolare
fu allora abbandonata.
Ma nel ' 900 nuovi fenomeni prima sconosciuti, quali per esempio l'effetto fotoelettrico, per essere
spiegati,
richiesero l'ipotesi che la luce fosse costituita da fotoni, corpuscoli di luce (Planck, Einstein). Si
ipotizzò
allora che la luce avesse una duplice natura, corpuscolare ed ondulatoria, e che, a seconda dei casi,
si
poteva manifestare l'una o l'altra.
01 - Ottica geometrica.
I fenomeni tipici dell'ottica geometrica (con la quale essi si spiegano con grande approssimazione)
sono :
-
la riflessione :
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è il fenomeno con cui un raggio di luce viene riflesso da una superficie speculare (uno
specchio) :
-
la diffusione :
è il fenomeno per cui i raggi di luce vengono riflessi in ogni direzione da una superficie
non speculare
(un corpo ruvido, per esempio). I raggi inizialmente paralleli vengono riflessi in ogni
direzione dalla
non uniformità microscopica (vi sono varie microsuperficie riflettenti secondo angoli
diversi) della
superficie riflettente :
-
la rifrazione :
è il fenomeno per cui un raggio di luce, passando da un mezzo trasparente in un altro, di
diversa
densità, devia il proprio percorso :
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Si noti che una parte del raggio incidente viene riflessa. Si noti anche che, il raggio di luce
uscente
dal vetro all'aria, alla fine, se le superficie del vetro sono parallele, sarà parallelo al raggio
incidente.
Se le superficie del vetro non sono parallele, il raggio uscente non è più parallelo al raggio
entrante :
-
la dispersione :
è il fenomeno per cui la luce bianca, passando attraverso un prisma, si scompone nei vari
colori
che la compongono che vanno dal rosso al violetto, i cosiddetti sette colori dell'arcobaleno
:
Il fenomeno si spiega a causa del fatto che i vari colori subiscono rifrazioni diverse nel
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passare
dall'aria al vetro ed ancora nell'aria. Il rosso è il meno deviato, il violetto il più deviato.
Passiamo ora in rassegna i vari fenomeni più dettagliatamente.
02 - Riflessione.
Consideriamo un raggio che viene riflesso da uno specchio e determiniamo esattamente le
caratteristiche del
fenomeno. Innanzi tutto, nel punto in cui il raggio incidente tocca lo specchio, si deve costruire la
normale ,
ovvero la retta perpendicolare al piano in quel punto. Detto questo occorre precisare che il raggio
incidente
si indica con , il raggio riflesso con , l'angolo di incidenza, che è l'angolo fra il raggio
incidente e la
normale, con
sintesi :
e l'angolo di riflessione, l'angolo cioè fra il raggio riflesso e la normale, con
Precisata la "nomenclatura" del fenomeno della riflessione, affermiamo che valgono le seguenti
leggi :
-1-
il raggio incidente, la normale ed il raggio riflesso sono posti su uno stesso piano
-2-
l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione, cioè
Queste sono le leggi della riflessione e le possiamo considerare desunte dall'esperienza anche se
. In
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possono
essere spiegate sia tramite il modello corpuscolare che quello ondulatorio. Con il modello
corpuscolare la
spiegazione è più semplice ed intuitiva. Basta considerare la riflessione della luce alla stessa stregua
dell'urto
di biglie contro la sponda di un biliardo.
03 - Riflessione su specchi curvi.
Fra i vari tipi di specchi rivestono un particolare interesse ed importanza gli specchi curvi concavi e
convessi.
Tralasciamo perciò l'approfondimento dello studio degli specchi piani rivolgendoci subito a quelli
curvi.
Prendiamo in rassegna gli specchi concavi sferici, concavi parabolici, convessi sferici.
-1-
Specchio concavo sferico.
Si tratta di una calotta sferica con la parte interna riflettente. Un tale specchio si dice concavo :
ed è ottenuto sezionando una sfera con un piano. La calotta così ottenuta è fondamentale (come
vedremo più
avanti) che sia piccola rispetto al raggio della sfera.
Si ha la seguente nomenclatura :
(il centro C è il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio).
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Consideriamo ora un raggio luminoso parallelo all'asse ottico (principale) che dall'esterno colpisce
lo specchio.
Supponiamo che tale raggio sia vicino all'asse medesimo. Il raggio sarà riflesso e a causa delle leggi
della
riflessione si avrà :
essendo l'angolo di incidenza uguale all'angolo di riflessione (
). Si noti che, essendo lo
specchio curvo, per
ottenere la riflessione abbiamo tracciato la retta tangente allo specchio. Si noti anche che la normale
alla suddetta
tangente è un raggio della sfera (da cui è stato ricavato lo specchio), cioè passa per C .
Il punto in cui il raggio riflesso interseca l'asse ottico è stato indicato con F .
Considerando altri raggi paralleli all'asse ottico (ad esso vicini) si ottiene :
da cui si vede chiaramente che tutti i raggi riflessi passano per il punto F che per questo è detto
fuoco dello
specchio. Il fuoco F si trova a metà del segmento VC e la distanza VF si chiama distanza
focale. Abbiamo
cioè :
VF = FC .
La condizione per cui i raggi riflessi passino tutti per F è che i raggi incidenti, paralleli all'asse
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ottico, siano
vicini al medesimo. Se ciò non avviene, la convergenza del raggio riflesso non si verifica più in F :
e si ha perciò il fenomeno dell'aberrazione.
-2-
Specchio concavo parabolico.
Se invece di sezionare una sfera, sezioniamo un paraboloide, otteniamo uno specchio concavo a
sezione
parabolica che ha la proprietà per cui la convergenza nel fuoco si ha indipendentemente dalla
distanza dall'asse
ottico del raggio incidente (ad esso parallelo). Questo dipende da una nota proprietà della parabola.
Si hanno così gli specchi concavi parabolici che sono quindi più "precisi" di quelli sferici ed in
essi non si ha
l'aberrazione descritta precedentemente. Gli specchi parabolici, però, sono più costosi per cui, per
applicazioni
in cui la precisione non è necessaria, si utilizzano specchi sferici (più semplici da costruire e quindi
più economici).
Quando lo specchio ha un'apertura piccola, parabola e sfera coincidono. Una sfera ed un
paraboloide tangenti
praticamente coincidono nelle vicinanze del vertice comune V :
Per questo motivo, quando nelle applicazioni pratiche si è sicuri che i raggi paralleli all'asse ottico
sono ad essi vicini,
è sufficiente utilizzare uno specchio concavo sferico.
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In uno specchio concavo parabolico in definitiva non importa a che distanza sono i raggi incidenti
paralleli all'asse
ottico : essi vengono riflessi e tutti convergono nel fuoco.
Molte sono le applicazioni degli specchi concavi fin dall'antichità. Si narra che Archimede
incendiasse le navi
romane con specchi a lunga focale (gli specchi ustori). Nella vita di tutti i giorni usiamo torce
elettriche,
fari automobilistici ecc. ecc.
In questi casi abbiamo la sorgente luminosa nel fuoco per cui si ha il fenomeno inverso a quelli
descritti sopra.
I raggi escono parallelamente dallo specchio per illuminare ecc.
Il caso dei fari anabbaglianti è interessante. Per questi si pone una sorgente luminosa ad una
distanza maggiore
della focale e si scherma la parte inferiore della sorgente luminosa. Si ha allora che i raggi
fuoriescono con una
inclinazione in modo da illuminare verso il basso :
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-3-
Specchi convessi.
Consideriamo uno specchio ottenuto con una calotta sferica specchiata all'esterno. In questi tipi di
specchi,
i cosiddetti specchi convessi, la riflessione avviene nel seguente modo :
Se i raggi incidenti paralleli all'asse ottico sono sufficientemente vicini al medesimo, essi vengono
riflessi in modo
che è come se uscissero tutti dal fuoco F che è dall'altra parte dello specchio. L'intersezione di tutti
i raggi riflessi
cade in F (anche se i raggi, fisicamente, non passano per F ).
Tali specchi sono usati per costruire gli specchietti retrovisori e gli specchi stradali. Questo
perché, con tali
specchi è possibile "vedere" oggetti sotto un grande angolo :
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04 - Immagine ottenuta con uno specchio concavo.
Se poniamo un oggetto luminoso davanti ad uno specchio concavo (per esempio sferico) si ottiene
una immagine
via via diversa in dipendenza da dove si colloca l'oggetto luminoso.
Immaginiamo di porre l'oggetto luminoso, che rappresenteremo graficamente con una freccia, posta
rispetto allo
specchio come nella figura seguente. Secondo l'ottica geometrica dall'oggetto luminoso dipartono
raggi luminosi
in tutte le direzioni. Quelli che colpiranno lo specchio verranno da esso riflessi secondo le leggi
della riflessione.
Studiamo il fenomeno elencando vari casi.
-1distanza
oggetto luminoso posto ad una distanza dallo specchio superiore al doppio della
focale :
Consideriamo due raggi incidenti uscenti da A per i quali sia facile costruire i rispettivi raggi
riflessi.
Il raggio che parte da A e si propaga parallelamente all'asse ottico incontra lo specchio e si riflette
in modo che
l'angolo di incidenza sia uguale all'angolo di riflessione (
). Sappiamo che tale raggio riflesso
passa per il fuoco
F . Il raggio che partendo da A incontra lo specchio nel vertice V si riflette alla stessa maniera (
). I due
raggi riflessi si incontrano allora in A' .
Se si esegue la costruzione geometrica di tutti i raggi riflessi relativi ai raggi incidenti uscenti da A
, si trova che tutti
si intersecano on A' . Allora, secondo l'ottica geometrica, in A' si forma l'immagine del punto A .
Eseguendo lo
stesso procedimento per tutti gli altri raggi partenti dall'oggetto ed incidenti nello specchio, si
otterrà allora una
immagine reale, capovolta, rimpicciolita e vicina al fuoco. Graficamente :
Essa è reale perché l'immagine che si ottiene potrebbe essere raccolta su uno schermo o
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impressionare una lastra
fotografica posta dove essa si forma.
Essa è capovolta rispetto all'oggetto luminoso.
Essa è rimpicciolita perché più corta dell'oggetto luminoso.
Se avviciniamo l'oggetto luminoso al fuoco, otteniamo che l'immagine si ingrandisce e si allontana
dal fuoco verso
l'oggetto :
Naturalmente, occorre che lo specchio sia piccolo rispetto al raggio di curvatura affinché non si
abbia
l'aberrazione tipica degli specchi sferici (dovuta al fatto che solo i raggi paralleli all'asse ottico e ad
esso
vicini si riflettono passando per il fuoco, aberrazione inesistente per gli specchi parabolici).
Se l'oggetto luminoso è posto all'infinito, situazione tipica delle osservazioni astronomiche,
l'immagine diventa
puntiforme e posta sul fuoco F . Questo lo si comprende perché nello specchio arrivano solo raggi
paralleli (o
quasi) all'asse ottico ed essi vengono convogliati tutti nel fuoco F :
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-2-
oggetto luminoso posto sul centro C dello specchio :
Quando l'oggetto si trova sul centro C dello specchio (il centro della sfera da cui è stato ricavato lo
specchio) si
ottiene un'immagine ancora nel centro C ma capovolta con le stesse dimensioni dell'oggetto :
-3-
oggetto luminoso posto fra il fuoco F ed il centro C dello specchio :
Quando l'oggetto è fra in fuoco F ed il centro C dello specchio, si ottiene un'immagine
rovesciata, ingrandita
oltre il centro C :
-4-
oggetto luminoso posto sul fuoco F dello specchio :
Se l'oggetto luminoso è posto sul fuoco F dello specchio, non si ha formazione di alcuna
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immagine :
-5-
oggetto luminoso posto fra il vertice V ed il fuoco F dello specchio :
In questo caso, non si ha formazione di una immagine reale perché i raggi riflessi divergono. Se si
considerano i
prolungamenti "immaginari" dei raggi dietro lo specchio, si ottiene una immagine virtuale, diritta
e ingrandita.
Tale immagine è detta virtuale proprio perché non esiste fisicamente. I raggi non possono
oltrepassare lo specchio
per cui, se mettiamo uno schermo o una lastra fotografica dove si forma virtualmente l'immagine,
non si raccoglie
ovviamente alcun raggio luminoso. Se però un osservatore guarda nella direzione da cui
provengono i raggi riflessi,
egli vede una immagine perché i raggi provocano l'illusione ottica di provenire da dietro lo
specchio :
05 - Immagine ottenuta con uno specchio convesso.
L'immagine prodotta da uno schermo convesso è sempre virtuale, diritta e rimpicciolita :
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06 - Rifrazione.
Quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro di differente densità ottica (distinta dalla
densità come
rapporto massa/volume, ma che tiene conto del "modo" di propagarsi della luce nel mezzo), esso
cambia la propria
direzione. Questo è il fenomeno della rifrazione. Per esempio, passando da aria, che indichiamo
come mezzo 1 ,
ad acqua, che indichiamo come mezzo 2 :
Si noti con attenzione la "nomenclatura" relativa al fenomeno. Si noti anche che vi è sempre un
raggio riflesso
(l'abbiamo indicato tratteggiato), cioè una parte del raggio incidente viene riflessa dalla superficie
del mezzo 2
secondo le leggi della riflessione. Si noti infine che abbiamo usato la lettera r per indicare il raggio
rifratto e
l'angolo di rifrazione e questo non deve generare confusione con il fenomeno della riflessione dove
si usa la
stessa lettera r .
Bisogna subito osservare che se si aumenta la densità del mezzo 2 , senza variare la densità del
mezzo 1 , si ha
un minore angolo di rifrazione. Il fenomeno, quindi, si accentua all'aumentare della differenza di
densità fra i mezzi.
A questo punto sorge spontanea la domanda : esiste una relazione matematica fra angolo di
incidenza ed angolo
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di rifrazione per una data scelta di mezzi, per esempio aria ed acqua ? Se variamo (a parità di mezzi)
l'angolo
di incidenza
, come varia di conseguenza l'angolo di rifrazione
In generale osserviamo che se aumentiamo l'angolo
non in maniera
, l'angolo
?
aumenta di conseguenza, ma
proporzionale. Se, per esempio, raddoppiamo , l'angolo
non raddoppia di conseguenza.
Questo significa
che la legge matematica del fenomeno della rifrazione non è una semplice legge di
proporzionalità.
Qualunque sia questa legge matematica, osserviamo però che raggio incidente, normale e raggio
rifratto,
analogamente a quello che succede per la riflessione, stanno sullo stesso piano.
La legge che descrive il fenomeno della riflessione, come sappiamo, è banale : angolo di incidenza
= angolo di
riflessione (
). La legge del fenomeno della rifrazione, invece, è più complicata e la dobbiamo
allo scienziato
olandese W. Snell (1621). Essa necessita della conoscenza della funzione trigonometrica seno.
Il seno di un angolo è definito a partire da un triangolo rettangolo :
(l'angolo retto è in B ) nel seguente modo :
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ed analogamente :
.
Il simbolo per indicare il seno è sin oppure sen .
Il seno di un angolo è quindi il rapporto fra la lunghezza di due segmenti; esattamente il rapporto fra
la lunghezza
del cateto opposto all'angolo in questione e l'ipotenusa.
Ritornando al fenomeno della rifrazione, Snell scoprì che il rapporto fra il seno dell'angolo
incidente e quello
dell'angolo di rifrazione è costante e dipende dalle densità dei due mezzi. Più precisamente :
dove
si chiama indice di rifrazione fra il mezzo 1 ed il mezzo 2 .
Il "comportamento" della luce nell'aria è pressoché uguale al "comportamento" della luce nel vuoto.
Per questo
motivo, se il mezzo 1 è l'aria, si suole dire che si fa riferimento al vuoto. In questo caso si scrive :
ed n rappresenta l'indice di rifrazione del mezzo 2 relativamente al vuoto.
Osservando la formula, a parità di angolo di incidenza , se si prende un n maggiore (prendendo
un mezzo
otticamente più denso), l'angolo di rifrazione
diminuisce di conseguenza, come affermato in
precedenza.
Uno studio più approfondito del significato fisico dell'indice di rifrazione, svela una importante
proprietà. L'indice
di rifrazione
fra il mezzo 1 ed il mezzo 2 è uguale al rapporto della velocità della luce nel
mezzo 1 rispetto
alla velocità della luce nel mezzo 2 . Esattamente :
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dove
è la velocità della luce nel mezzo 1 e
è la velocità della luc nel mezzo 2 .
E' doveroso sottolineare che la velocità della luce è diversa nei vari mezzi. Quando si dice che la
luce viaggia alla
velocità :
c = 300.000 km/s circa,
si intende nel vuoto !! Nella materia, invece, la velocità della luce può essere anche molto minore.
Ecco allora che il concetto di densità ottica di un mezzo acquista un significato fisico preciso. Essa
è legata alla
velocità della luce nel mezzo.
07 - Angolo limite.
Il fenomeno della rifrazione presenta un interessante aspetto. Immaginiamo che un raggio di luce
passi da aria ad
acqua come indicato in figura :
Naturalmente l'angolo di rifrazione
sarà minore dell'angolo di incidenza
.
Se, viceversa, mandiamo un raggio dall'acqua all'aria esattamente all'inverso rispetto al caso
precedente :
otterremo che i raggi di luce formano gli stessi angoli. Si noti che anche qui abbiamo una riflessione
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parziale del raggio
incidente, che però non prenderemo in considerazione :
Proviamo ora ad aumentare gradatamente l'angolo in acqua. Otterremo le seguenti situazioni :
Come si vede dal grafico, si raggiunge un angolo limite secondo il quale il raggio uscente
dall'acqua forma un angolo
retto rispetto alla superficie di separazione fra i mezzi. Per l'acqua rispetto l'aria (o il vuoto)
quest'angolo limite è circa
49° .
Cosa avviene se si supera l'angolo limite ? Il raggio non passa più dall'acqua all'aria ma si riflette
totalmente
nell'acqua secondo le leggi della riflessione :
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08 - Esempi di applicazione del fenomeno dell'angolo limite.
Il fenomeno dell'angolo limite nella rifrazione, è sfruttato per costruire utili strumenti.
-1-
Prismi per binocoli, periscopi.
Consideriamo un prima di vetro con sezione a triangolo isoscele rettangolo :
Mandiamo un raggio di luce incidente perpendicolarmente al lato AB . Esso entrerà nel
vetro senza
cambiare direzione e colpirà il lato AC con un angolo di incidenza di 45° rispetto alla
normale n :
Siccome l'angolo di 45° è superiore all'angolo limite fra vetro ed aria, il raggio di luce
non può uscire
dal vetro ma può solo subire una riflessione totale anch'essa di 45° (rispetto alla
normale n ). Si ha
perciò la fuoriuscita del raggio luminoso dal lato BC come indicato in figura :
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In questo modo abbiamo ottenuto una deviazione ad angolo retto di un raggio luminoso
con un semplice
prisma di vetro. Questo fenomeno è utilizzato nella costruzione dei binocoli, nella
tecnica dei periscopi
ecc.
-3-
Fibre ottiche.
La tecnica delle fibre ottiche sta entrando prepotentemente nella tecnologia moderna.
Sistemi di
telecomunicazione, internet ecc. ne fanno largo uso. Il principio di "funzionamento"
delle fibre
ottiche è basato sullo sfruttamento dell'angolo limite per la rifrazione fra vetro ed aria.
Prendiamo un filo abbastanza sottile di vetro o sostanza affine che possa essere piegato.
La luce, al suo
interno, incidendo con angoli superiori all'angolo limite fra vetro ed aria, non ne può
uscire. Si ha così la
propagazione del segnale luminoso lungo una fibra ottica :
09 - Lenti.
Le lenti sono "oggetti" costituiti da materiale trasparente vetroso o similare opportunamente
sagomati con i quali
è possibile fare deviare i raggi di luce in modo da convergerli o divergerli a nostro piacimento.
Le lenti sfruttano il fenomeno ottico della rifrazione.
Una tipica lente convergente è così schematizzabile :
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Il fuoco è il punto in cui convergono i raggi che provengono paralleli all'asse ottico (ovviamente i
fuochi sono due) :
Maggiore è lo "spessore" della lente, minore è la distanza focale :
Una tipica lente divergente è la seguente :
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Come si può ben vedere, l'effetto di deviazione dei raggi di luce che si ottiene con una lente è
analogo a quello che
si ottiene con gli specchi concavi e convessi.
Il "perché" ed il "come" i raggi di luce vengono deviati da una lente verranno mostrati più avanti.
A questo proposito occorre notare che, nei precedenti grafici, abbiamo fatto deviare i raggi luminosi
in modo
improvviso (circa a metà della lente). Questa rappresentazione non è fisicamente corretta (vedi più
avanti) ma è
convenzionalmente adottata per semplificare la grafica.
Le lenti, quindi, sono essenzialmente di due tipi : lenti convergenti e lenti divergenti. All'interno
delle due categorie
vi è una ulteriore classificazione. Schematicamente :
lenti convergenti
Si tratta di lenti più "spesse" nel centro.
lenti divergenti
Si tratta di lenti "sottili" al centro.
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Vediamo ora brevemente come fisicamente i raggi di luce sono deviati nel caso della lente
biconvessa. Nel caso
della lente biconcava abbiamo una situazione ovviamente opposta.
Abbiamo sopra affermato che tale deviazione dipende dal fenomeno della rifrazione. Infatti, nel
caso della lente
biconvessa, si ha :
(abbiamo "ingrandito" localmente la lente per un migliore riscontro grafico).
Il raggio di luce, passando dall'aria al vetro, subisce una prima rifrazione in cui si ha
(angolo di incidenza 1 >
angolo di rifrazione 1). Successivamente, il medesimo raggio subisce una seconda rifrazione
passando dal vetro all'aria
(
è la normale alla superficie di separazione fra aria e vetro per la prima rifrazione ed
normale per la seconda
rifrazione ).
è la
In questo caso si ha
(angolo di incidenza 2 minore di angolo di rifrazione 2 ). E' evidente
che, dopo queste
due rifrazioni, il raggio di luce risulta "piegato" rispetto alla direzione originale.
Lasciamo al lettore volenteroso la costruzione delle rifrazioni per un lente biconcava.
Le lenti hanno un enorme campo di applicazioni (fotografia, telescopi ecc. ecc.) ed anche l'occhio
ne possiede una, il
cristallino. Si tratta di una lente biconvessa molto "sofisticata", addirittura a focale variabile che
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permette la formazione
dell'immagine sulla retina.
Siamo ora in grado di vedere come si ottengono immagini di oggetti luminosi con l'uso delle lenti.
Per fare questo procediamo come per gli specchi. Prendiamo un oggetto luminoso, rappresentato da
una freccia
luminosa, e consideriamo, fra tutti, due raggi di luce che, partendo dal vertice (punta della freccia),
abbiano un
comportamento facilmente caratterizzabile.
Consideriamo allora un raggio che, partendo dal vertice dell'oggetto, corre parallelamente all'asse
ottico ed un raggio
che, anch'esso partendo dal vertice dell'oggetto, attraversa la lente nel suo centro.
Io primo raggio attraversa la lente e converge nel fuoco mentre il secondo raggio, attraversando la
lente, praticamente
non viene deviato perché, nel suo centro, una lente ha facce parallele e la rifrazione è quindi
praticamente nulla.
Immagini con lenti biconvesse.
L'oggetto è lontanissimo dalla lente (si dice all'infinito). I raggi corrono tutti quasi paralleli all'asse
ottico e convergono
presso il fuoco. Si forma una immagine reale quasi puntiforme praticamente nel fuoco :
L'oggetto ha una distanza maggiore di 2F (doppio della distanza focale). Si forma una immagine
reale rovesciata
rimpicciolita fra F e 2F :
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Avvicinando l'oggetto (sempre a distanza maggiore di 2F ), l'immagine si allontana da F (sempre
fra F e 2F ) e
si ingrandisce :
L'oggetto è su 2F . Si forma una immagine reale rovesciata uguale in 2F :
L'oggetto è fra 2F ed F . Si forma una immagine reale rovesciata ingrandita oltre 2F :
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L'oggetto è sul fuoco F . Non si forma alcuna immagine. Tutti i raggi procedono parallelamente.
L'oggetto è fra F e la lente. Si forma una immagine virtuale diritta ingrandita dalla stessa
parte dell'oggetto.
Tale immagine non esiste fisicamente. Si tratta di una illusione ottica che un osservatore percepisce
come reale in
quanto i raggi gli sembrano provenire da punti ben definiti :
Immagini con lenti biconcave.
Si ha un solo caso a qualunque distanza dalla lente si ponga l'oggetto luminoso.
Si forma una immagine virtuale diritta rimpicciolita dalla stessa parte dell'oggetto fra F e la
lente :
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10 - Macchina fotografica.
Un'importante applicazione delle lenti è la macchina fotografica.
Si tratta essenzialmente di una lente convergente, detta obiettivo (in verità si tratta di solito di un
sistema di lenti),
inserita in un corpo chiuso, isolato otticamente dall'esterno (la luce entra nella macchina
fotografica solo dall'obiettivo),
ed avente una distanza regolabile dal fondo del corpo. In fondo al corpo è posizionata una
pellicola fotosensibile
che è in grado di essere impressionata dalla luce che la colpisce. Le pellicole in bianco e nero sono
composte da uno
strato di bromuro d'argento. La pellicola impressionata viene poi successivamente sviluppata,
ovvero le immagini in
essa impresse vengono fissate stabilmente attraverso opportuni processi chimici (non prendiamo
qui in considerazioni
le moderne tecniche digitali).
Una macchina fotografica possiede anche un diaframma ed un otturatore. Con il diaframma, che è
una struttura
apribile e chiudibile a piacimento posta davanti alla lente, si dosa a piacere la quantità di luce che si
fa passare dalla
lente. Con l'otturatore, che è essenzialmente un orologio, si stabilisce il tempo in cui la luce può
entrare nel corpo
della macchina fotografica e così impressionare la pellicola.
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Le "variabili" che l'operatore può manovrare sono allora essenzialmente :
- distanza della lente dalla pellicola
- diaframma
- otturatore.
Vi è una ulteriore variabile in gioco, la sensibilità della pellicola. In commercio vi sono pellicole di
differente
sensibilità che si misura in ASA. Una pellicola per esigenze "normali" (paesaggi, ritratti in presenza
di buona luce
ecc.) potrebbe essere di 100 ASA. Se la quantità di luce è minore, si possono utilizzare pellicole a
maggiore
sensibilità (200, 400 ASA ecc.). Noi consideriamo qui la sensibilità della pellicola fissata a priori.
L'obiettivo possiede inoltre una certa luminosità che è legata al diametro del suddetto.
Consideriamo qui un
obiettivo di luminosità data.
Passiamo ora in rassegna alle variabili sopra elencate.
Variando la distanza della lente dalla pellicola si mette a fuoco l'immagine che si forma sulla
pellicola.
L'obiettivo di una macchina fotografica è dotato di una distanza focale fissa espressa in millimetri
(vi sono
obiettivi a focale variabile, detti zoom, che qui non prenderemo in considerazione). In questo modo,
l'immagine,
reale rovesciata e rimpicciolita, di un oggetto posto ad una certa distanza dall'obiettivo si forma,
come già
sappiamo, in un punto fra F e 2F ( F è il fuoco e 2F è il punto corrispondente al doppio della
distanza focale).
Se la distanza dell'oggetto da fotografare cambia, l'immagine si forma in un altro punto fra F e 2F
:
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Avvicinando l'oggetto, l'immagine si avvicina a 2F e cresce di dimensione. Siccome la pellicola
deve essere posta
esattamente dove si forma l'immagine (altrimenti la foto risulterebbe sfocata) o si sposta ogni volta
la pellicola o si
sposta la lente rispetto alla pellicola. Ovviamente la soluzione effettivamente attuata nelle macchine
fotografiche è la
seconda per cui gli obiettivi sono manovrabili tramite movimenti rotatori in modo da fare
focalizzare l'immagine
sempre sulla pellicola posta sul fondo del corpo della macchina fotografica.
Nella problematica della messa fuoco rientra il concetto di profondità di campo. In effetti, gli
oggetti posti a fuoco
si trovano entro certi limiti di distanza dall'obiettivo. Tale limiti dipendono dal diaframma, ovvero
dallo "spessore"
del fascio di luce che entra nella macchina fotografica. Più si stringe il diaframma, maggiore è la
profondità di
campo.
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Circa il diaframma possiamo affermare che esso è manovrabile dall'utente tramite una ghiera posta
sull'obiettivo.
Sono disponibili selezioni fisse di valori di apertura di diaframma rappresentate da sequenze di
numeri del tipo :
22 16 11 8 5,6 4 2,8 2 .
Questi numeri rappresentano il rapporto fra la distanza focale f ed il diametro del diaframma D .
Quindi :
diaframma = f / D .
Per esempio :
f = 16 cm , D = 4 cm ==> f / D = 4
f = 16 cm , D = 2 cm ==> f / D = 8
f = 16 cm , D = 1 cm ==> f / D = 16 .
E' importante notare che passando per esempio da diaframma 8 a diaframma 16 , il diametro è
dimezzato.
Siccome l'area del cerchio (che rappresenta il diaframma) è
(pi greco per raggio al
quadrato), se si
dimezza il diametro, l'area del diaframma diventa un quarto. Ciò significa che passando da 8 a 16
, nell'obiettivo
entra un quarto della quantità di luce precedente. La stessa cosa passando da 4 a 8 ecc.
Se si passa da 2 a 2,8 entra (circa) metà luce, così come da 2,8 a 4 , da 4 a 5,6 ecc. ecc. cioè
passando
da un valore di diaframma all'altro contiguo si fa entrare una quantità metà o doppia di luce
(aumentando il
diaframma entra meno luce). Lasciamo al lettore volonteroso la verifica matematica si questo
importante fatto.
Per quanto riguarda l'otturatore, il dispositivo con il quale è possibile stabilire il tempo di
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esposizione, ovvero
per quanto tempo la luce può entrare nella macchina fotografica ed impressionale la pellicola,
occorre dire che
si hanno di solito alcuni tempi predefiniti. I valori di solito disponibili sono (espressi in secondi) :
1 1/5 1/4 1/8 1/16 1/25 1/50 1/100 1/125 1/250 1/500 1/1000 .
Si ha anche la posa B con la quale l'otturatore rimane aperto fino a che non si decide di chiuderlo.
La considerazione che occorre fare circa il tempo di esposizione è che se, per esempio, lo si
dimezza entra metà
luce. Se però nello stesso tempo si allarga il diaframma di una tacca, facendo così entrare il doppio
di luce, si ottiene
lo stesso effetto.
Per esempio passando da 1/8 ad 1/16 di secondo e da 22 a 16 di diaframma si ottiene
esattamente la stessa
esposizione. Cosa cambia allora ? Cosa ci fa scegliere per l'una posizione o l'altra ? Per esempio la
profondità di
campo e la velocità dell'oggetto rispetto alla macchina fotografica. Se desidero una grande
profondità di campo
devo chiudere il diaframma ed aumentare il tempo di esposizione di conseguenza. Ma se l'oggetto è
in moto allora,
se il tempo di esposizione è troppo lungo, rischio di ottenere una foto mossa. Questa è solo una
delle tante
problematiche che caratterizzano la scienza del fotografare che, proprio per le molte possibilità di
scelta dei
parametri in gioco, diventa perciò ... un'arte.
Concludiamo con un accenno sui teleobiettivi ed i grandangoli.
Aumentando la distanza focale si ottiene una immagine più grande. Diminuendola, invece,
l'immagine è rimpicciolita
per cui, nel singolo fotogramma, vi possono essere le immagini di più oggetti. Obiettivi a grande
focale si chiamano
teleobiettivi, a piccola focale, grandangoli. Schematicamente :
11 - Telescopio.
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Una fondamentale applicazione delle leggi dell'ottica geometrica si ha nella costruzioni di telescopi,
cannocchiali
e binocoli, tutti strumenti utili ad ingrandire oggetti lontani.
Esaminiamo alcuni tipi di telescopio.
-1-
telescopio galileiano
Galileo, negli anni 1609 e 1610, costruì ed utilizzò, prima per uso terrestre-militare e poi
astronomico, il telescopio
(o cannocchiale) che porta il suo nome utilizzando la tecnologia delle lenti che stava nascendo in
quegli anni in Olanda.
Galileo non fu l'inventore del telescopio, ma è riconosciuto essere stato il primo che lo utilizzò per
osservare il cielo.
Il telescopio galileiano utilizza una lente convergente come obiettivo ed una lente divergente
come oculare.
Affermando che con un tale telescopio si ottengono immagini virtuali, diritte ed ingrandite,
lasciamo al lettore
immaginare come è costruito e come "funziona" un telescopi galileiano.
-2-
telescopio kepleriano
Il telescopio kepleriano ha un principio di funzionamento più facile del galileiano e fornisce
maggiori ingrandimenti.
Con questo strumento, formato da una lente convergente a focale lunga come obiettivo ed una
lente convergente
a focale corta come oculare, si ottengono immagini virtuali, rovesciate ed ingrandite.
Lo schema del telescopio kepleriano è il seguente :
Proviamo a descrivere l'ottica di questo telescopio.
La prima immagine A dell'oggetto luminoso prodotta dall'obiettivo, reale, capovolta e
rimpicciolita, si forma, come
ben sappiamo, oltre del fuoco F dell'obiettivo. L'oculare ha il proprio fuoco F' posto in modo che
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la prima immagine
A sia posizionata fra F' stesso e l'oculare. Si forma perciò una seconda immagine A' virtuale,
diritta (rispetto ad A )
ed ingrandita. L'osservatore vede perciò una immagine (virtuale, rovesciata ed ingrandita)
dell'oggetto.
L'ingrandimento è dato dal rapporto fra la focale dell'obiettivo e la focale dell'oculare. Cioè :
dove I indica l'ingrandimento, F indica la distanza focale dell'obiettivo e f la distanza focale
dell'oculare.
Per esempio, se F = 1000 mm (millimetri) e f = 10 mm , l'ingrandimento sarà I = 1000 / 10 = 100
.
E' chiaro che se diminuiamo, a parità di focale dell'obiettivo, la focale dell'oculare, otteniamo
ingrandimenti via via
maggiori. Potremmo, in teoria, ottenere quindi immagini ingrandite quanto si vuole.
Le cose, purtroppo, non stanno così, ed aumentando l'ingrandimento oltre certi limiti, si ottengono
immagini sempre
peggiori. Questo dipende essenzialmente da due fenomeni. La diminuzione della luminosità e
l'aberrazione
cromatica.
Aumentando l'ingrandimento, ovviamente la luminosità dell'immagine ottenuta diminuisce, e
questo a scapito della
qualità dell'immagine.
Il fenomeno dell'aberrazione cromatica è dovuto al fatto che la luce bianca è composta di
radiazioni elettromagnetiche
di varie frequenze che si manifestano agli occhi con vari colori. Orbene, il fenomeno della
rifrazione è diverso per
radiazioni di colori diversi. La luce rossa viene deviata da una lente meno della luce violetta. Il
risultato di questo
fenomeno è che si hanno in realtà più fuochi, uno per ogni colore :
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e quindi l'immagine risulta aberrata (nel grafico il fenomeno è stato enfatizzato).
Per aumentare l'ingrandimento, a parità di obiettivo, si devono prendere oculari di focale minore,
ma focale minore
significa lente di spessore maggiore e quindi maggiore aberrazione cromatica.
Ecco perché non è possibile spingere l'ingrandimento oltre certi valori.
I telescopi galileiani e kepleriani sono detti rifrattori perché, essendo formati da lenti, sfruttano il
fenomeno della
rifrazione.
-3-
telescopio newtoniano
Newton conosceva bene i fenomeni di dispersione della luce (scomposizione nei vari colori) per
cui pensò bene
di utilizzare uno specchio concavo per fare convergere i raggi di luce. In questo modo, non usando
più il fenomeno
della rifrazione, si ottiene una prima immagine presso il fuoco dello specchio non soggetta ad
aberrazione cromatica.
Con una lente convergente, usata come oculare, si ottiene poi l'immagine finale ingrandita a
piacimento (ingrandimento
però soggetto alle limitazioni dei fenomeni di diminuzione della luminosità e dell'aberrazione
cromatica causata
dall'oculare).
Lo schema del telescopio newtoniano è il seguente :
I raggi riflessi dallo specchio concavo (specchio primario) del telescopio (di solito parabolico o
sferico di piccola
apertura) vengono deviati lateralmente da uno specchio piano (specchio secondario) ed inviati
all'oculare per
l'ingrandimento dell'immagine. Per questo motivo, una parte centrale dello specchio non viene
utilizzata per
l'osservazione (lo specchio secondario copre la parte centrale dello specchio primario).
Il telescopio newtoniano, quindi, funziona, dal punto di vista ottico, allo stesso modo di un
rifrattore ma utilizza
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per la convergenza dei raggi di luce uno specchio invece di una lente così da evitare l'aberrazione
cromatica.
Il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a specchio. Successivamente vennero fatte
molte modifiche
migliorative al telescopio newtoniano originario che portarono alla creazione di diverse tipologie di
telescopi a riflessione
che rimangono però del tutto analoghi.
12 - Microscopio.
Si tratta di un dispositivo atto ad ingrandire oggetti piccoli e vicini. Essenzialmente funziona come
un telescopio
kepleriano ma con focale corta.
Lo schema ottico è il seguente :
(le dimensioni delle lenti sono casuali)
L'oggetto è posto fra il fuoco dell'obiettivo F ed il punto 2F (posto a distanza focale doppia) . Per
questo motivo
si forma una prima immagine reale, ingrandita, rovesciata oltre 2F (dalla parte opposta
dell'oggetto).
Questa prima immagine viene fatta formare fra l'oculare ed il suo fuoco F' . Si ottiene perciò una
seconda immagine
virtuale, ingrandita, diritta. Tale immagine è ciò che vede l'osservatore.
13 - Dispersione della luce, aberrazione cromatica delle lenti.
La luce, passando da un mezzo ad un altro (per esempio da aria a vetro) con angolo di incidenza
diverso da zero, subisce
una deviazione nella sua propagazione che va sotto il nome di rifrazione. L'ammontare della
deviazione dipende dalla
frequenza (colore) della luce. La luce rossa viene deviata di meno, la luce violetta viene deviata
di più. Siccome la
luce bianca è composta da frequenze diverse (colori dal rosso al violetto), essa, passando da un
mezzo ad un altro, subisce
diverse rifrazioni in dipendenza dalla frequenza in modo che si ottiene la dispersione della luce
bianca nei vari colori
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(convenzionalmente questi colori si dice che siano 7 ) :
In una lente convergente si ha sempre dispersione, per cui in effetti si vengono a formare vari
fuochi, uno per ogni
colore :
Questo fenomeno si chiama aberrazione cromatica e costituisce un grave limite all'utilizzo delle
lenti perché le
immagini che si ottengono risultano scomposte nei vari colori in modo tale da renderle alquanto
"disturbate" (aberrate,
appunto).
Mostriamo nel seguente grafico una descrizione più precisa del fenomeno :
(angoli di rifrazione indicativi)
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E' possibile però, almeno in parte, ovviare a questo inconveniente. Il primo dispositivo atto a ridurre
l'aberrazione
cromatica compare in Inghilterra nel 1733 ed è chiamato doppietto acromatico.
Il doppietto acromatico è costituito da una lente biconvessa unita ad una lente piano-concava
costituita da materiale
con indice di rifrazione maggiore (cioè, a parità di distanza focale, capace di deviare
maggiormente i raggi di luce)
della prima lente. L'aggiunta di questa seconda lente all'obiettivo ha l'effetto di riunire i fuochi rosso
e violetto in un
unico fuoco.
La lente biconvessa è costituita da vetro crown, mentre quella piano-concava da vetro flint. Il flint
è un vetro otticamente
più denso del crown. Solo in questo modo i due fuochi estremi (rosso e violetto) vengono portati a
sovrapporsi. Per gli
altri colori intermedi, purtroppo, la focalizzazione non avviene nel nuovo fuoco F per cui
l'aberrazione non è corretta
completamente. Per una maggiore correzione dell'aberrazione cromatica si ricorre a sistemi di tre
lenti, i cosiddetti
sistemi apocromatici che qui non prenderemo in considerazione.
L'entità della correzione dell'aberrazione cromatica ottenibile dal doppietto acromatico è descritta
dal seguente grafico :
Dal grafico si vede bene che per l'obiettivo singolo il fuoco del rosso è molto distante dal fuoco del
violetto. Per il
doppietto acromatico, invece, i fuochi dei due colori estremi sono molto vicini e coincidono
pressoché con il punto
F mentre i fuochi dei colori intermedi si allontanano un po'.