L`adolescente con disagio psico-sociale: quale presa in

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CONTRIBUTI
L’ADOLESCENTE CON DISAGIO PSICO-SOCIALE:
QUALE PRESA IN CARICO?
{
A colloquio con Angelo Luongo, da circa cinque anni infermiere
coordinatore in un Servizio di degenza per adolescenti con problemi
di disagio psico-sociale, nei pressi di Verona
> Si parla spesso di soggetti fragili riferendosi ad anziani e bambini. Lei propone di inserire anche
gli adolescenti in questo gruppo?
È proprio vero, l’adolescente è un soggetto fragile, poiché ancora oggi l’adolescenza continua a essere quel momento di
passaggio fondamentale dalla fanciullezza all’età adulta, che
coincide con il delicato processo di individualizzazione e di
differenziazione che porterà alla definizione del sé come persona adulta. È un periodo di crisi, di cambiamento e rimaneggiamento degli equilibri, anche uno dei momenti più problematici della vita. Come si può ben capire, se questo processo è già difficoltoso per gli adolescenti sani, figurarsi per
quegli adolescenti che vivono condizioni disagiate o in situazioni familiari e sociali ai limiti della normalità, se non del tutto all’interno della devianza.
Io e i colleghi entriamo in contatto con adolescenti in realtà
non molto aiutati dall’attuale organizzazione sanitaria. Prendiamo ad esempio la divisione fra neuropsichiatria infantile
e psichiatria: ad oggi, giunto al 18° anno l’adolescente deve
separarsi da quello che per lui è stato un punto di riferimento in percorsi e momenti difficili, lo psicoterapeuta che l’ha
seguito per anni, solo perché questo è il limite formale per
passare ai servizi per gli adulti. Siamo così certi che le pro-
Angelo Luongo
Infermiere Coordinatore presso Villa Santa Giuliana di Verona
[email protected]
L’INFERMIERE 3/2009
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CONTRIBUTI
Figura 1 - FONTI DI SEGNALAZIONE
PER L’ADOLESCENTE DIFFICILE
3%
17%
Famiglia
Sert
9%
Altro
blematiche connesse all’adolescenza si risolvano con il compimento dei 18 anni, cioè con il passaggio anagrafico, e solo
anagrafico, all’età adulta?
Chi sono i vostri utenti?
Si tratta principalmente di ragazzi tra i 12 anni e i 23, con un
picco nella fascia 18-20 anni. Provengono da famiglie assenti,
oppure difficili. Hanno alle spalle abusi, uso di sostanze tossiche, gesti auto lesivi, tentati suicidi. Non si può identificare tuttavia uno o più fattori predittivi del disagio dell’adolescente:
per esempio in alcuni casi sono figli di genitori separati, oppure orfani, in buona parte dei casi invece di coniugi sposati.
Possiamo dire che più verosimilmente si tratta di concause che
danno luogo a storie per certi versi simili, ma in cui riconosciamo sempre un adolescente unico nelle sue difficoltà.
Come giungono gli adolescenti al vostro servizio?
Possono essere inviati dalla Neuropsichiatria Infantile, dal Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc), dal Sert, dai servizi sociali; in altri casi è una comunità, uno specialista privato, talvolta la famiglia stessa. È importante conoscere la persona di riferimento, il cosiddetto referente del caso, poiché
costituisce per noi e per l’adolescente stesso un interlocutore privilegiato; non dimentichiamo, tra l’altro, che gli adolescenti sono spesso minorenni. L’unica modalità di accesso
prevista è il ricovero programmato. Al momento dell’ingresso si sottoscrive una sorta di contratto fra i curanti, l’adolescente, il referente del caso o un genitore: questo serve a dare chiarezza e forza al percorso di cura. Il primo contatto che
l’utente ha con la struttura è molto significativo per il suo percorso.
Il lavoro più importante nei primi colloqui è la valutazione
dell’adolescente: conoscerlo, ascoltarlo, cercare di capire il
suo punto di vista e stabilire con lui un’alleanza. Le regole
devono essere chiare, esplicite, motivate, realistiche, coerenti, mai strumenti di potere o di coercizione, né sfide, ma
tutela per una relazione non caotica, all’interno della quale l’adolescente può ricercare le sue distanze e le sue differenze.
Le regole istituzionali devono essere trasmesse con autorevolezza e spiegate in modo chiaro e preciso; in sintesi dobbiamo stabilire una sorta di contratto con l’adolescente, agire col suo consenso, adottando un linguaggio comprensibile
e privo di lacune e sottintesi. Il medico impegnato nei primi
colloqui non solo deve accertare la richiesta e le risorse familiari e ambientali su cui può contare l’adolescente, ma anche valutare la ‘capienza emotiva’, cioè la tolleranza del servizio a farsi carico di un nuovo paziente. Questa capienza emotiva è condizionata da molti fattori, fra i quali il clima del-
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14%
Specialista
47%
Servizio
territoriale
l’istituzione, la presenza di altri casi problematici, il livello di
esperienza e di formazione raggiunto dal gruppo curante.
Il percorso che offrite ai vostri adolescenti ha qualche particolarità?
Al Centro Diurno si devono proporre attività di gruppo e individuali attraverso progetti mirati e concordati con il medico di
riferimento; le tre grandi aree di investimento dovrebbero essere quella motoria, quella espressiva, anche la rappresentabilità di sé e del proprio mondo relazionale e di confronto proiettivo e/o identificativo con gli altri partecipanti. Una buona
presa in carico e un buon inserimento nel gruppo dei pari dipende molto dall’accertamento medico-infermieristico e socioculturale: questo ci sarà di grande aiuto, per esempio, nel decidere sia il posto a tavola che il posto letto, oppure le attività di
gruppo o individuali verso cui indirizzare il ragazzo/a. Le abilità e le attitudini dovranno essere tenute in considerazione e indagate con il fine di svilupparle, mantenerle o ripristinarle.
Per un periodo relativamente lungo (il tetto massimo fissato
dai Drg è di 90 gg) noi saremo la sua nuova famiglia, ma non
asfissiante: non dobbiamo far sentire il peso di una persona
in più che entra a fare parte del nostro nucleo, dobbiamo invece trasmettere che ogni nuovo arrivato diventa portatore di
novità, stimoli e risorse ulteriori. Il nuovo ospite è anche fonte di curiosità, ma nel contempo accresce il senso di angoscia
e il timore dei ragazzi già presenti nella struttura.
Quali sono le difficoltà più comuni che incontrano gli adolescenti ?
Beh, mancano gli affetti più cari, gli oggetti più familiari, gli
abiti più usati, i rumori e i suoni di sempre... La funzione assistenziale e di aiuto diventa importantissima: l’operatore si troverà a dover rispondere a un crescendo di ansie, angosce, se-
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parazioni e dovrà mettere tutto il suo impegno per rendere la
giornata dell’ospite vivibile. Una delle possibilità che abbiamo
è quella di renderlo protagonista attivo della sua degenza, aiutarlo a trasformarsi da paziente in agente, attraverso attività di
animazione, riabilitazione, ergoterapia e quant’altro sia possibile per stimolare, riattivare e potenziare la sua parte sana.
Il ricovero è una fase significativa per l’adolescente, un’esperienza di separazione dalla famiglia e dal contesto sociale di appartenenza; si propone come contenitore di atteggiamenti e
comportamenti distruttivi, mediatore nella costruzione dei limiti, sostegno emotivo rispetto alle angosce primitive, riorganizzatore della dimensione spazio-temporale. Il ricovero può
quindi diventare promotore di nuove esperienze relazionali attraverso la condivisione della quotidianità; mediatore tra l’adolescente e la propria famiglia; filtro tra l’istituzione e la famiglia. Il reparto è un luogo terzo, un momento di tregua lontano dai conflitti e dalle dipendenze tossiche; secondo le necessità individuali può diventare un posto neutrale, un ambito dove è possibile riattivare i pensieri, uno spazio dove confrontarsi con una posizione più attiva o più limitata, un contesto in cui
sperimentare abilità nuove o dimenticate o più concrete.
In un contesto come il suo, il lavoro in équipe, la discussione
dei casi sembra fondamentale più che altrove...
In effetti sì. La presa in carico, per essere efficace, deve
nascere da un lavoro di equipe consolidato e multidisciplinare, che permetta una visione multifocale del ragazzo,
insomma ciascuno, nel suo differente ruolo, deve impegnarsi a conoscerlo e a interagire con lui da quando entra a quando esce. Ogni operatore ha una sua visuale, un
punto di vista osservativo, condizionato dal ruolo, dalla
formazione culturale e dal contesto in cui si muove. I differenti punti di vista sono descritti, confrontati, discussi
in équipe: si cercano immagini e rappresentazioni comuni sull’adolescente.
Ogni intervento deve essere pensato prima che agito, la riflessione diventa un momento importantissimo in un’istituzione in cui l’aspetto relazionale è alla base dell’assistenza
stessa. I comportamenti agiti e non pensati portano sovente ad un inasprirsi della relazione e ad un aumento della
conflittualità. Se pensare a come dare la risposta è di fondamentale importanza, è altrettanto fondamentale identificare momenti in cui le diverse professionalità si incontrino
per un confronto delle proprie idee, creando così un circolo virtuoso all’interno del quale i pensieri si concretizzino
in risposte coerenti e unidirezionali. Le energie, i pensieri,
le riflessioni, la fantasia e le abilità di tutte le persone che
lavorano in ambito psichiatrico devono interagire, potenziandosi vicendevolmente per dare una risposta al disagio
OGNI OPERATORE HA UNA SUA VISUALE, UN
PUNTO DI VISTA OSSERVATIVO, CONDIZIONATO
DAL RUOLO, DALLA FORMAZIONE CULTURALE E
DAL CONTESTO IN CUI SI MUOVE. I DIFFERENTI
PUNTI DI VISTA SONO DESCRITTI, CONFRONTATI,
DISCUSSI IN ÉQUIPE: SI CERCANO IMMAGINI E
RAPPRESENTAZIONI COMUNI
SULL’ADOLESCENTE
psichico e sociale delle persone con cui giornalmente lavoriamo e con le quali abbiamo scelto di lavorare. Sottolineo
scelto perché lavorare in ambito psichiatrico richiede una
sorta di propensione personale: quando si lavora con il disagio ci si mette in gioco, si deve lavorare con empatia pur
sapendo misurare la distanza relazionale, si deve affrontare
l’abbandono e l’eccesso di legame, si devono superare paure e stereotipi che la società ci ha da sempre trasmesso, in
sostanza considerare l’adolescente una persona che necessita di aiuto.
Dopo il percorso nel vostro servizio, come organizzate la dimissione dell’adolescente?
La presa in carico si completa con due aspetti che molto
spesso vengono sottovalutati: la dimissione e il post-ricovero. La dimissione deve essere programmata e progettata con
l’inviante/referente: è importantissimo, in questo momento il ruolo di coordinamento dell’assistente sociale interno.
L’adolescente dimesso deve trovare un’istituzione (ente/persona inviante o famiglia) accogliente, in grado di proseguire il lavoro intrapreso durante il ricovero. È quindi indispensabile accompagnare l’ospite con una documentazione accurata, che non può considerarsi completa con la
sola lettera di dimissione: infatti forniamo anche una relazione infermieristica (su richiesta dell’inviante). L’istituzione che ri-accoglierà l’adolescente deve proseguire un percorso, non avviarne un altro. Si deve curare anche il mantenimento di un contatto con l’adolescente, informandoci
sull’andamento del progetto, coltivando una rete con l’inviante/referente, anche attraverso la frequenza alle attività
di gruppo o individuali presso il nostro centro diurno, con
visite di controllo prefissate, con incontri di osservazione familiare a scadenza definita, con la programmazione di brevi ricoveri di verifica e controllo.
a cura della redazione
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