COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

001 - ART. 1 - OLIVETTI - 11/04/2006 - SECONDA BOZZA - P. 1/37
OPERA CELOTTO
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
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PRINCIPI FONDAMENTALI
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
Art. 1
[MARCO
OLIVETTI]
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Precedenti costituzionali: art. 2, Statuto albertino; art. 1, Progetto di Costituzione.
Riferimenti comparati: Costituzioni che contengono enunciazioni relative alla natura repubblicana, al principio democratico o alla sovranità popolare: Austria, art. 1; Belgio, art. 33; Cipro, art. 1 (ma solo per la forma
repubblicana; non si precisa la natura democratica, si enuncia solo la forma di governo presidenziale); Estonia, art. 1; Finlandia, artt. 1 e 2; Francia, artt. 1, 2, 5° co., e 3; Germania, art. 20, 1° e 2° co.; Grecia, art. 1;
Irlanda, artt. 1, 5 e 6; Lettonia, artt. 1 e 2; Lituania, artt. 1, 2, 3, 4 e 5, 3° co.; Lussemburgo, art. 1; Malta,
art. 1; Polonia, Preambolo, artt. 2 e 4; Portogallo, artt. 1, 2 e 3; Regno Unito, art. 20, 1° co., Human Rights
Act; Repubblica ceca, art. 1, 2 e 6; Repubblica slovacca, artt. 1 e 2; Slovenia, artt. 1 e 3; Spagna, art. 1; Svezia, Cap. I, art. 1 (e Cap. III, art. 5: natura rappresentativa del Parlamento); Ungheria, artt. 1 e 2; U.S.A., Preambolo (« We the People of the United States […] »); Costituzioni che enunciano il principio monarchico: Danimarca, art. 2; Lussemburgo, art. 3; Olanda, art. 24; Svezia, Cap. I, art. 5; Costituzioni che enunciano la natura
sociale dello Stato: Francia, art. 1; Germania, art. 20; Malta, art. 1; Polonia, art. 2; Slovenia, art. 2; Spagna,
art. 2.
Riferimenti internazionali: Carta ONU: art. 21, 1° co.; Cedu, Preambolo (« civil liberties are best mantained
by an effective political democracy »); art. 8, 2° co., 9, 2° co., 10, 2° co., e 11, 2° co. (« società democratica »);
art. 3 del I Protocollo addizionale; Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 21 « società democratica »);
Trattato Nord Atlantico, Preambolo (« Gli Stati che aderiscono al presente trattato riaffermano […] il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia […] »).
Diritto UE: TCE artt. 17-22; TUE artt. 6 e 7; Carta dei diritti dell’UE (Preambolo, II cpv.; artt. 39, 40 e 44);
Costituzione europea: Preambolo, IV alinea; artt. I-2, I-46, I-47 e I-50.
Legislazione di attuazione costituzionale: l. 276/1993, l. 277/1993, l. 43/1995, l. 81/1993, l. 265/2004 ,
l. 352/1970 (più in generale si v. artt. 48 e 75); norme dei regolamenti parlamentari su petizione e iniziativa
popolare [v. commento all’art. 51]; art. 1, l. 266/1991; l. 549/1993; art. 13, l. 394/1991; art. 6, l. 59/1987; sul
principio lavorista si rinvia alle fonti indicate nei commenti agli artt. 4 e 35 ss.
Giurisprudenza costituzionale: principio democratico: sentenze 87/1966; 16/1978; 106/2002; principio lavorista: sentenze 60/1967; 83/1979; 14/1980; 16/1980; 185/1981
Letteratura: AA.VV., La sovranità popolare nel pensiero di Carlo Esposito, Vezio Crisafulli e Livio Paladin, a cura
di Carlassare, Padova, 2004; ALESSI, L’affermazione costituzionale della sovranità popolare e i suoi riflessi amministrativistici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, I, 49-75; AMATO, La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, in
Riv. trim. dir. pubbl., 1962, I, 74-103; AMATO, Il dilemma del principio maggioritario, in Quaderni cost., 1994, II,
171-185; AMORTH, La Costituzione italiana. Commento sistematico, Milano, 1948; BIN, Art. 1, in Comm. Paladin-Crisafulli, Padova, 1990, 1-8; BOBBIO, Il futuro della democrazia, Torino, 1984; BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, in Quaderni cost., 1985, II, 227-263; CRISAFULLI, La sovranità popolare nella Costituzione italiana (Note preliminari) [1954], in Stato, popolo, governo, Milano, 1985, 89-146; CRISAFULLI, Stato e popolo nella Costituzione italiana, in Studi sulla Costituzione, II, Milano, 1958; CROSA, Il principio della sovranità dello Stato nel diritto italiano, in Arch. giur., 1933, II, 145-171; CROSA, Miti e realtà costituzionali: sovranità del popolo, sovranità dello Stato,
in Studi De Francesco, II, Milano, 1957, 305 ss.; D’ATENA, Il principio democratico nel sistema dei principi costituzionali, in Boll. inf. parl. cost., 1995, 131-143; ELIA, BUSIA, Stato democratico, in Digesto pubbl., XV, Torino, 1999, 5680; ESPOSITO, Commento all’articolo 1 della Costituzione [1948], in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954,
1-15; FERRARA G., Alcune osservazioni su popolo, Stato e sovranità nella Costituzione italiana, in Rass. dir. pubbl.,
1965, 269-294; FROSINI T.E., Sovranità popolare e costituzionalismo, Milano, 1997; GIANNINI A., Il popolo nel regime
repubblicano, in Riv. amm., 1952, I; GROSSI, Principio democratico e giurisdizione, in Scritti Galeotti, I, Milano, 1998,
721-736; HELLER, Democrazia politica e omogeneità sociale [1928], in Quaderni piacentini, 1983, X; ISSACHAROFF, KARLAN, PILDES, The Law of Democracy, New York, 1998; KELSEN, Essenza e valore della democrazia [1929], trad. it., Bologna, 1979; LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 849-875; LAVAGNA, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana [1953], in ID., Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984, 739-824; LEVI A., La repubblica democratica ed il suo fondamento sociale, in Comm. Calamandrei-Levi, I, Firenze, 1950, 1-20; LUCIANI, Il voto e la democrazia, Roma, 1991; LUCIANI, Art.
75, in Comm. Cost. Branca, continuato da Pizzorusso A., Bologna-Roma, 2005; MORTATI, Art. 1, in Comm. Cost. Branca,
continuato da Pizzorusso A., Bologna-Roma, 1975; NOCILLA, Popolo, in Enc. Dir., XXXIV, Milano, 1985, 341-390; ORIGONE, Democrazia diretta e democrazia rappresentativa, in Studi Econ. Giur. Cagliari, 1937, 121-141; ORRÙ, SCIANNELLA (a cura di), Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione, Torino, 2004; PUBUSA, Sovranità popolare e autonomie locali nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1983; RESCIGNO G.U., Democrazia e principio maggioritario, in Quaderni cost., 1994, II, 187-233; ROMBOLI, Problemi interpretativi della nozione giuridica di
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Costituzione della Repubblica Italiana
popolo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1984, I, 159-180; TOSATO, Sovranità del popolo e sovranità dello Stato, in Studi De
Francesco, Milano, 1957, I, 3 ss.
Sommario: 1. Precedenti, origine e linee evolutive. 1.1 Struttura della disposizione. 1.2 Precedenti costituzionali. 1.3 Il regime costituzionale transitorio e l’instaurazione della democrazia in Italia. 1.4 I lavori preparatori dell’art. 1: l’elaborazione della disposizione. 1.5 I nodi del dibattito in Costituente. 2. Commento. 2.1 « L’Italia è una Repubblica democratica ». 2.2 Democrazia e sovranità popolare. 2.2.1 Sovranità del popolo e sovranità dello Stato. 2.2.2 Sovranità popolare e sovranità nazionale. 2.3 Le nozioni di democrazia e sovranità popolare nell’art. 1 Cost. 2.3.1 Alla ricerca di una nozione di democrazia. 2.3.2 Le decisioni suscettibili di essere adottate dal popolo come totalità. 2.3.3 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa. 2.3.4 Il principio
maggioritario. 2.3.5 La temporaneità delle cariche elettive e la reversibilità delle decisioni adottate. 2.4 La concretizzazione del
principio democratico nell’ordinamento costituzionale italiano: le procedure di decisione popolare. 2.4.1 Principio democratico
ed elezioni. 2.4.2 Principio democratico e referendum. 2.5 Il principio democratico oltre la decisione popolare. 2.5.1 Principio
democratico e partiti politici. 2.5.2 Principio democratico e sindacati. 2.5.3 Principio democratico e associazioni. 2.5.4 Principio
democratico e sistema dell’informazione. 2.5.5 Principio democratico e pubblica amministrazione. 2.5.6 Principio democratico e
potere giudiziario. 2.5.7 Principio democratico e giustizia costituzionale. 2.5.8 Il principio democratico nella Repubblica delle autonomie. 2.5.9 Principio democratico e società civile. 2.6 I limiti al principio democratico: gli altri principi costituzionali. 2.7 Il
principio democratico come regola ermeneutica. 2.8 Il principio lavorista. 2.8.1 Significato negativo e positivo della locuzione.
2.8.2 Il concetto di lavoro cui la disposizione si riferisce. 2.8.3 Principio lavorista e principio personalista. 2.8.4 Rapporto fra
principio democratico e principio lavorista. 3. Riferimenti internazionali, sovranazionali e comparati. 3.1 L’art.1 in prospettiva comparata. 3.2 Principio democratico e sovranità popolare. 3.2.1 Il diritto internazionale. 3.2.2 Il diritto europeo. 3.3 Il principio lavorista. 4. La disposizione fra crisi e riforma.
1. Precedenti, origine e linee evolutive
pari misura, le disposizioni immediatamente seguenti,
raccolte sotto la rubrica «principi fondamentali» 1.
La disposizione in commento contiene le seguenti
enunciazioni: a) qualifica come Repubblica lo Stato
italiano; b) precisa che tale Repubblica ha natura democratica; c) ribadisce la democraticità dell’ordinamento specificando che la sovranità appartiene al
popolo; d) dichiara che la sovranità popolare non è
1.1 Struttura della disposizione. – L’art. 1, posto
all’inizio della Costituzione (la quale, a differenza di
altre Carte costituzionali, antiche e recenti, non contiene un preambolo anteposto agli articoli), tratteggia la forma dello Stato italiano nelle sue linee essenziali – compito al quale, peraltro, concorrono, in
1
La individuazione dei principi fondamentali della Cost. italiana può essere condotta con finalità descrittive o prescrittive.
Nella prima prospettiva l’intento è la qualificazione della forma di Stato della Repubblica italiana nelle sue linee essenziali (in dottrina si v. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, 9ª ed., Padova, 1975, 148 ss.; ONIDA, Le Costituzioni. I
principi fondamentali della Costituzione italiana, in AMATO, BARBERA, Manuale di Diritto pubblico, 4ª ed., Bologna,
1997, i quali elencano fra i principi fondamentali quelli personalista, pluralista, lavorista e democratico; MAZZIOTTI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 2ª ed., Milano, 1993, 51 ss., che elenca i principi liberale, democratico, sociale).
Nella seconda, l’individuazione dei principi fondamentali ha conseguenze in chiave interpretativa (in virtù di una particolare valenza ermeneutica da riconoscersi a tali principi, o della loro idoneità ad esprimere regole in essi implicite) o
addirittura di forza formale. Quest’ultimo punto di vista è quello dei c.d. « principi supremi » che sarebbero tali non solo
in quanto caratterizzanti la forma di Stato, ma anche in quanto insuscettibili di deroga da parte dei Patti lateranensi o
del diritto comunitario e sottratti alla revisione costituzionale [cfr. il commento all’art. 138]. L’individuazione dei principi
supremi, però, non è vincolata alla lettera dei primi dodici articoli della Costituzione, potendo essi essere ravvisati anche in altre disposizioni costituzionali o anche nel combinato disposto di più disposizioni (v. il caso del c.d. principio di
laicità). In questo processo, cruciale è il ruolo della giurisprudenza costituzionale (si v. le sentenze in materia concordataria: C. cost. 30/1971, 31/1971, 175/1973, 18/1982; più di recente 1146/1988 e 2/2004).
Dell’efficacia delle disposizioni di principio si è dubitato negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della
Cost., quando ha goduto di un certo credito sia in dottrina, sia in giurisprudenza (cfr. ad es. Cass. pen., S.U, 7.2.1948, in
Foro it., 1948, II, 57), la tesi secondo cui sarebbe stato necessario distinguere le disposizioni costituzionali in precettive
(ad applicazione immediata o differita) e programmatiche: queste ultime non avrebbero avuto efficacia giuridica alcuna,
risolvendosi in un invito al legislatore futuro (cfr. ad es. la ricostruzione di AZZARITI, La nuova Costituzione e le leggi
anteriori, in Foro it., 1948, IV, 81). Questa impostazione è stata poi gradualmente superata, e si è riconosciuto anche
alle disposizioni « programmatiche » – cioè non immediatamente precettive – un certo grado di prescrittività (fondamentale in questo percorso della dottrina è CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952;
si v. poi C. cost. 1/1956). Negli ultimi decenni, la dottrina ha rovesciato il punto di partenza dei primi commentatori della
Carta del 1947, riconoscendo particolare rilievo proprio alle disposizioni costituzionali a portata più generale e a fattispecie meno chiaramente circoscrivibile: e ciò sia nell’ambito della dottrina dell’interpretazione per valori (BALDASSARRE,
Costituzione e teoria dei valori, in Politica del diritto, 1991, 654; ID., Il problema del metodo nel diritto costituzionale, in AA.VV., Il metodo nella scienza del diritto costituzionale, Padova, 1997, 100; cfr. altresì D’ATENA, In tema di
principi e valori costituzionali, in ID., Lezioni tematiche di diritto costituzionale, Roma, 1998, 13 ss.), sia nel quadro
di quelle teoriche le quali, distinguendo tra principi e regole, valorizzano i primi rispetto alle seconde e individuano in
esse il proprium della Costituzione e dell’interpretazione costituzionale (cfr. fra gli altri DWORKIN, I diritti presi sul serio, Bologna, 1982; DOGLIANI, Le interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982; BIN, Diritti e argomenti, Milano, 1992;
ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992).
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Principi fondamentali
amorfa, spontanea o illimitata, ma è esercitata nelle
forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione 2; e) individua nel lavoro il «fondamento» della Repubblica.
Le disposizioni contenute nell’art. 1, pur tutte ascrivibili al genus delle disposizioni di principio, hanno
però carattere diverso fra loro. I principi democratico, repubblicano, di sovranità popolare e del governo limitato, a parte le parziali sovrapposizioni fra
di essi, sono principi di struttura (Strukturprinzipien), ovvero principi fondamentali formali e organizzativi 3 della Costituzione, che determinano le modalità dell’attività statale. Il principio lavorista, invece,
è una disposizione finalistica (Staatszielbestimmung),
ovvero un principio costituzionale materiale 4, che obbliga lo Stato a perseguire un determinato obiettivo 5.
Un’ulteriore differenza sta nel fatto che solo il principio democratico (oltre, ovviamente, a quello repubblicano 6) è sicuramente qualificabile come principio supremo dell’ordinamento costituzionale 7.
Per questa ragione, il presente commento sarà diviso (salvo che per il n. 1) in due parti: la prima dedicata al principio democratico (e ai suoi nessi con
la forma repubblicana, la sovranità popolare e i limiti all’esercizio di quest’ultima); la seconda al principio lavorista.
Solo un approccio superficiale può condurre a ritenere che le questioni affrontate nella disposizione in
commento siano piane e lineari. La dottrina ha in-
vece percepito, sin dalla fase immediatamente successiva all’approvazione della Costituzione, che «nessun altro articolo, forse, dell’intera Costituzione, dà
luogo ad altrettanti dubbi e problemi» 8.
1.2 Precedenti costituzionali. – Mentre non vi sono
nella storia costituzionale italiana precedenti diretti
del principio lavorista, le Costituzioni che hanno preceduto la Carta del 1947 recano tracce del principio
democratico (e della connessa proclamazione della
sovranità popolare 9). Ciò peraltro avvenne in Costituzioni che non divennero base duratura di ordinamenti giuridici statali, neanche su parte del territorio della penisola (le Costituzioni del triennio giacobino e della prima parte del periodo napoleonico,
ma anche le Costituzioni della Restaurazione e quattro delle cinque Carte del 1848-49); oppure ebbe
luogo in maniera parziale, nel contesto di un sistema
costituzionale in cui il principio democratico era sì
accolto, ma come informante solo una componente
dell’ordinamento medesimo (lo Statuto albertino del
4.3.1848).
Gli antecedenti che ci interessano riguardano anzitutto quelle Costituzioni che proclamano la sovranità
dei cittadini (ad es. l’art. 1 della Costituzione di Bologna del 1796, secondo il quale «i Cittadini esercitano la sovranità per mezzo dei loro Rappresentanti» 10), della nazione (ad es. l’art. 2 della Costitu-
2
Secondo MELONI, La sovranità popolare e la nuova Costituzione italiana, in Rass. dir. pubbl., 1949, 163, trova qui
base il principio dello stato di diritto.
3
Sulla sovranità popolare come « principio di organizzazione della comunità statale » v. CHIARELLI, Popolo, in Noviss.
Dig. It., XIII, Torino, 1966, 287.
4
Sul principio democratico come principio materiale v. infra par. 2.5.9. Lo considerava principio di struttura AMORTH,
1948, 32.
5
Per questa distinzione v. SONNERMANN, Art. 20, in VON MANGOLDT, KLEIN, STARCK, Grundgesetz – Kommentar, II, 4ª ed.,
München, 2000 (nella dottrina italiana v. AMORTH, 1948, 32).
6
Si v. il commento all’art. 139.
7
Sembra non si possa dubitare del fatto che il principio della sovranità popolare sia sottratto a revisione costituzionale, sia che si faccia leva sul raccordo fra art. 1 e art. 139, ritenendo che il limite della « Repubblica democratica » sia
implicito nell’unico limite espresso alla revisione costituzionale, sia che si muova dalla dottrina dei principi supremi (cfr.
ad es. PALADIN, Diritto costituzionale, 3ª ed., Padova, 1998, 259 ss.). Con tale affermazione – che meriterebbe un supporto argomentativo cui si deve rinunciare per ragioni di spazio [si rinvia comunque al commento all’art. 139] – il problema non viene però chiuso, ma solo aperto, in quanto si tratta di stabilire quale sia l’essenza del principio della sovranità popolare che è sottratta a revisione, distinguendola dalle varie traduzioni del principio contenute in Costituzione,
ma assoggettabili ad emendamento per la via dell’art. 138. Per la tesi che la sovranità popolare possa essere ampliata,
ma non ristretta, in sede di revisione costituzionale v. PUBUSA, 1983, 128.
Riguardo alla natura di principio supremo del fondamento sul lavoro (sostenuta ad es. da MORTATI, 1975, 1), occorre intendersi: mentre non appare irrivedibile la lettera dell’art. 1, la natura di ordinamento fondato su una economia mista –
a base capitalistica, ma di natura sociale – è oggetto di una scelta fondamentale sulla forma dello Stato (cfr. infra par.
1.5, lett. b) e dovrebbe pertanto essere ritenuta irrivedibile, se si accoglie la dottrina dei principi supremi.
8
BALLADORE PALLIERI, La nuova Costituzione italiana, Milano, 1948, 14.
9
Per un quadro storico si v. GALIZIA, La teoria della sovranità dal Medio Evo alla Rivoluzione francese, Milano, 1951;
CROSA, La sovranità popolare dal Medio Evo alla Rivoluzione francese, Torino, 1915; DAVID, La souveraineté du peuple, Paris, 1996.
10
Secondo D’ADDIO, Nota a Costituzione di Bologna (4 dicembre 1796), in AQUARONE, D’ADDIO, NEGRI, Le Costituzioni
italiane, Milano, 1958, 5, si trattava della « prima Costituzione italiana, nel significato moderno del termine ». Il concetto
veniva meglio formulato nella Cost. della Repubblica cispadana (17.3.1797), il cui art. 2 statuiva che « l’universalità de’
cittadini è il sovrano » e che costituisce la disposizione-madre di una serie di precetti analoghi, contenuti in varie Costituzioni adottate in Italia a cavallo fra settecento e ottocento. L’art. 2 era poi riprodotto pressoché letteralmente dalle
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Costituzione della Repubblica Italiana
zione dei titolari del diritto di voto). La graduale estensione di quest’ultimo 16 condusse certo ad una mutazione sostanziale delle basi sociali dello Stato italiano
nei primi decenni del novecento – parallelamente a
quanto accadeva negli altri Paesi europei – ma non
realizzò mai compiutamente il suffragio universale 17.
Anche la legislazione dell’età giolittiana 18, infatti, recava distinzioni connesse all’alfabetizzazione ed escludeva i cittadini di genere femminile. Per l’introduzione
del suffragio universale nell’ordinamento italiano (sia
pure nella forma, oggi generale nelle democrazie, del
suffragio universale dei cittadini maggiorenni) occorre
attendere il periodo costituzionale transitorio e il
d.lg.lt. 74/1946, recante norme per l’elezione dell’Assemblea Costituente, che fu applicato per la prima
volta nelle elezioni del 2.6.1946.
zione spagnola di Cadice del 1812 – adottata nel 1820
nel Regno di Napoli e nel 1821 in Piemonte – che recitava: «la sovranità risiede essenzialmente nella nazione: e perciò a questa appartiene il diritto esclusivo di stabilir le sue leggi fondamentali» 11) o del popolo (ad es. l’art. iniziale della Costituzione della Repubblica romana del 1849, secondo cui «la sovranità
è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato
romano è costituito in repubblica democratica» 12).
È però un altro antecedente 13 – letteralmente meno
vicino all’art. 1 della Costituzione del 1947 – che più
a lungo ha trovato traduzione costituzionale concreta
nel nostro Paese. Si tratta della proclamazione della
natura rappresentativa dell’ordinamento, ben sintetizzata, per la prima volta, nell’art. 2 della Costituzione del Regno di Napoli emanata da G. Murat il
15.5.1815, che precisava: «la Costituzione è rappresentativa». Sulla stessa lunghezza d’onda si porranno
infatti alcune Carte adottate nel 1848, e, fra esse, lo
Statuto albertino 14.
Questi ultimi documenti, peraltro, pur accogliendo opzioni riconducibili al principio democratico, le affiancavano – secondo la logica delle monarchie costituzionali – il principio di legittimazione opposto:
quello monarchico. Infatti, secondo lo Statuto (il cui
art. 2 ragionava di un «governo monarchico rappresentativo»), il principio rappresentativo (nel quale è
implicita una certa quota di istanza democratica) da
un lato conviveva con quello monarchico, e dall’altro era tradotto operativamente nelle forme del suffragio limitato (che era disciplinato dalle leggi elettorali per la Camera 15 alle quali lo Statuto rinviava
sia la scelta sul sistema di elezione, sia l’individua-
1.3 Il regime costituzionale transitorio e l’instaurazione della democrazia in Italia. – Le premesse della
restaurazione di ordinamenti rappresentativi in Italia furono poste all’indomani della caduta del fascismo, con il d.l. 705/1943, che preannunciava la convocazione di nuove elezioni dopo la conclusione della
guerra. Il governo monarchico rimaneva tuttavia
sprovvisto di ogni legittimazione democratica e quest’ultima, d’altro canto, era debole anche per i partiti politici rifondati nel 1943 e riuniti nel Comitato
di liberazione nazionale. L’istituzione di una Consulta
nazionale, come corpo consultivo del governo, reintrodusse una parvenza di ordinamento rappresentativo, menomato tuttavia dall’assenza di una elezione.
Gli atti normativi del periodo transitorio incorporavano il principio democratico nella misura in cui pre-
Costituzioni della Repubblica Cisalpina del 1797 e del 1798, nonché dall’art. 2 della Costituzione del popolo ligure del
1797 (fra i cui principi ispiratori – che precedevano il testo costituzionale vero e proprio, a mo’ di preambolo – era altresì contenuto un art. 1, che proclamava espressamente: « la sovranità è l’esercizio della volontà generale: risiede essenzialmente nel popolo: è indivisibile, inalienabile, imprescrittibile »), dall’art. 2 della Cost. della Repubblica romana del
1798 e dall’art. 2 della Costituzione della Repubblica napoletana del 1799. Queste formulazioni sono gli antecedenti diretti dell’art. 2 della Costituzione della Repubblica italiana (la prima a portare il nome dello Stato italiano attuale) del
1802, secondo il quale « la sovranità risiede nell’universalità dei cittadini »; esse scompaiono nello Statuto del Regno di
Napoli del 1808 e nei nove statuti costituzionali del Regno d’Italia emanati fra il 1805 ed il 1810, ma riappaiono nell’art.
3 dello Statuto fondamentale del Regno di Sicilia del 1848 (« La sovranità risiede nella universalità dei cittadini siciliani:
niuna classe, niun individuo può attribuirsene l’esercizio. I poteri dello Stato sono delegati e distinti secondo il presente
statuto »).
11 Così la traduzione contenuta nella Costituzione napoletana; quella piemontese era comunque di poco diversa.
12
Su tale testo e sulla sua vicinanza con l’art. 1 Cost. 1947 v. LARICCIA, Il principio democratico nella Costituzione della
Repubblica romana del 1849, in Scritti Pototschnig, II, Milano, 2002, 681.
13
Com’è evidente, fra esso ed i primi antecedenti vi è tutto lo scarto che separa il costituzionalismo di matrice rivoluzionaria da quello monarchico costituzionale della restaurazione.
14
Cfr. art. 1 della Cost. del Regno delle Due Sicilie, art. 1 delle basi di una Cost. per il Ducato di Parma e, ovviamente,
art. 2 dello Statuto albertino (« Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo »). Disposizioni di questo
tipo mancavano invece nelle Costituzioni dello Stato della Chiesa e del Granducato di Toscana del 1848.
15
Cfr. l. 17.3.1848; per il Regno d’Italia l. 20.11.1859, come modificata dal d.lt. 12.11.1860 e dal r.d. 17.12.1860.
16
Cfr. l. 999/1882.
17
Sulla valutazione dal punto di vista democratico dei primi due decenni del novecento è interessante la polemica svoltasi nel 1945 davanti alla Consulta Nazionale fra Ferruccio Parri e Benedetto Croce (ne dà conto SCOPPOLA, La Repubblica dei partiti, 2ª ed., Bologna, 1997, 50 ss.).
18
L. 665/1912.
8
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OPERA CELOTTO
1
Principi fondamentali
vedevano che la redazione delle leggi fondamentali
del Paese e la stessa scelta fra monarchia e repubblica fossero rimessi ad una Assemblea Costituente 19,
da convocarsi a guerra conclusa e, in un secondo
momento, stabilivano che la scelta sulla forma di
Stato fosse operata con referendum popolare 20.
Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi» 26.
I due testi vennero fusi dai due relatori in un testo
comune, che fu approvato nella seguente formulazione: «La sovranità dello Stato si esplica nei limiti
dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi. Tutti
i poteri emanano dal popolo che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti». Il
testo di quello che sarebbe diventato l’art. 1 fu così
riformulato dal comitato di coordinamento: «L’Italia
è una Repubblica democratica. La sua sovranità
emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi. Il lavoro è l’essenziale fondamento dell’organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica italiana».
La Commissione dei 75 modificò l’ordine interno della
disposizione, inserendo il fondamento sul lavoro fra
l’affermazione della democraticità della Repubblica e
la proclamazione della sovranità popolare, con l’argomento – proposto da Fanfani – che si sarebbe in
tal modo meglio sottolineata la novità della Costituzione 27. La formulazione approvata in tale sede divenne poi, con qualche ritocco formale apportato in
sede di coordinamento, l’art. 1 del progetto di Costituzione: «l’Italia è una Repubblica democratica. La
Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la
partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese. La
sovranità emana dal popolo ed è esercitata nelle
forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi».
La discussione in Assemblea ebbe luogo nel contesto dell’esame delle «disposizioni generali», denominazione data nel progetto di Costituzione a quelli
che sarebbero divenuti nel testo definitivo della
Carta i «principi fondamentali». Dopo la discussione
complessiva su tali disposizioni (nelle sedute dal 13
al 20.3.1947), l’art. 1 fu esaminato ed approvato il
22.3.1947, emendando in tre punti il testo elaborato
dalla Commissione dei 75: a) si precisò che la sovranità appartiene al popolo e non emana soltanto
da esso; b) si esclusero le leggi dalle fonti abilitate
a definire forme e limiti di esercizio della sovranità
popolare; c) il riferimento alla partecipazione venne
spostato nell’attuale art. 3, 2° co. La formulazione
definitiva risultò dalla approvazione di un emendamento presentato da Fanfani e Tosato 28.
1.4 I lavori preparatori dell’art. 1: l’elaborazione della
disposizione. – Le opzioni dei founding fathers in
materia di sovranità popolare, democrazia e forma
repubblicana si muovevano nell’alveo indicato dal referendum istituzionale che il 2.6.1946 aveva aperto
la via alla proclamazione della Repubblica. Cionondimeno, la esatta formulazione del principio democratico fu piuttosto travagliata e non è difficile intravedervi i riflessi delle grandi questioni su cui la
Costituente si trovava a decidere per delineare la
forma dello Stato italiano.
Il primo antecedente dell’attuale art. 1 nei lavori preparatori della Costituzione sono i quattro articoli, relativi alla definizione dello Stato italiano, esposti da
Cevolotto nella seduta del 28.11.1946 della I Sottocommissione: «In particolare, nel primo articolo ha
espresso il concetto che lo Stato italiano è una repubblica democratica; mentre nel secondo ha posto
l’altro concetto che tutti i poteri spettano al popolo,
che li esercita o delega secondo la Costituzione e le
leggi» 21. Il primo articolo proposto da Cevolotto fu
approvato all’unanimità 22, dopo la discussione sulla
proposta di Togliatti di integrarlo qualificando l’Italia come una «repubblica democratica di lavoratori» 23; fu approvata l’aggiunta del comitato di coordinamento, secondo cui «essa ha a fondamento il
lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica
del Paese» 24.
Nell’esame del secondo articolo proposto da Cevolotto («tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la Costituzione e le leggi»),
la I Sottocommissione si concentrò sugli emendamenti proposti da Togliatti circa l’irrivedibilità della
forma repubblicana 25 e lo esaminò nella seduta del
3.12.1946, assieme all’art. 2 dello schema Dossetti (relativo al rapporto fra Stato e altri ordinamenti), recante: «La sovranità dello Stato si esplica nei limiti
dell’ordinamento giuridico costituito dalla presente
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
R.d. (decreto-legge) 151/1944. Sulle vicende di questo periodo v. FROSINI, 1997, 109 ss.
Cfr. il d.lg.lt. 98/1946.
Resoconto sommario, seduta del 28 novembre 1946, in A.C., VI, 727.
Ivi, 730.
Ivi, 728.
Ivi, 732-733.
Ivi, 733 ss.
Seduta del 3 dicembre 1946, in A.C., VI, 748.
Ivi, 163-164.
Se ne v. l’illustrazione nella seduta del 22 marzo 1947, in A.C., I, 570 ss.
9
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OPERA CELOTTO
1
Costituzione della Repubblica Italiana
1.5 I nodi del dibattito in Costituente. – I nodi del
Su questo problema furono espresse tre posizioni:
quella dei partiti di sinistra, favorevoli alla formula
sostenuta dal segretario comunista; quella democristiana, di precisare il fondamento della Repubblica
sul lavoro e quella qualunquista e liberale, di omettere entrambe le formulazioni 30. Sia la I Sottocommissione 31, sia la Commissione dei 75 32, sia, infine,
l’Assemblea 33 respinsero l’emendamento che mirava
a qualificare l’Italia come Repubblica democratica dei
lavoratori, ritenendo che esso avesse un significato
classista pur in presenza di una lettura non classista offerta dai presentatori 34. Con il senno di poi, si
può intravedere in queste votazioni una decisione
politica fondamentale sulla forma di Stato in senso
schmittiano, anche alla luce del contesto internazionale che andava delineandosi durante l’elaborazione della Carta.
A questo dibattito erano connesse le discussioni sul
rapporto fra il principio democratico e le disposizioni sui diritti 35 e sull’eguaglianza sostanziale 36, intese come garanzia dell’«effettiva democraticità dello
Stato italiano» 37. In quest’ultima prospettiva, in particolare, si sottolineò da alcuni che la sovranità popolare non veniva configurata in Cost. come principio astratto, poiché il popolo era chiamato ad esercitare la sovranità «partecipando effettivamente all’organizzazione economica, sociale e politica del
Paese» 38.
dibattito in Costituente furono: a) la collocazione
della disposizione; b) la precisazione del tipo di democrazia prevista dalla Cost.; c) la formulazione da
utilizzare per definire la sovranità popolare.
a) Apparentemente minore è il problema della collocazione della disposizione. Nella seduta del
30.7.1946 furono esposte le diverse opinioni di Moro,
che aveva proposto uno schema in cui la forma dello
Stato era definita solo dopo una presa di posizione
sull’uomo e la famiglia, e di Grassi, Basso e Cevolotto, i quali ritenevano che proprio gli articoli dedicati allo Stato dovessero aprire il nuovo documento
costituzionale. Fu quest’ultima opzione a prevalere:
non però in virtù di un voto, ma in sede di coordinamento svolto nella Commissione dei 75. L’incipit
così prescelto avvicina la Cost. del 1947 ai suoi riferimenti storici principali (Austria 1920, Spagna
1931 e Francia 1946), differenziandola invece da un
approccio che sarebbe prevalso nella Legge fondamentale di Bonn, che optò per un esordio umanistico («la dignità umana è inviolabile») comparabile
a quello suggerito da Moro.
b) In Costituente furono esaminate proposte volte a
precisare il tipo di democrazia che si stava per istituire con la Costituzione 29. Fra le altre, particolare
rilievo ebbe la proposta Togliatti di qualificare l’Italia come una «Repubblica democratica di lavoratori».
29
Ad es. di sottolineare la natura parlamentare della Repubblica (si v. gli interventi di Crispo – seduta del 13 marzo
1947, in A.C., I, 362 –, Condorelli – seduta del 15 marzo 1947, in A.C., I, 442 – e M. Rodinò – 20 marzo 1947, in A.C., I,
525 ss. –) su proposta dei gruppi liberale e qualunquista, i quali temevano una concezione di democrazia di massa finalizzata a svuotare il senso delle istituzioni parlamentari. Fu inoltre proposto di escludere il significato classista o di
precisare la dimensione partecipativa (Foggio, seduta del 17 marzo 1947, in A.C., I, 466) o quella antitotalitaria (seduta
del 22 marzo 1947, in A.C., I, 568) della Repubblica. Venne respinto un emendamento La Malfa, che recitava: « l’Italia è
una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro », finalizzato ad esplicitare i « due fondamenti istituzionali ben certi e sicuri » della nuova Carta (seduta del 22 marzo 1947, in A.C., I, 575). Tosato motivò il
voto contrario dei deputati democristiani osservando: « che la democrazia sia fondata sui diritti di libertà e del lavoro è
un fatto acquisito. L’elemento, il fatto nuovo […] da mettere in particolare rilievo nella definizione dello Stato repubblicano democratico italiano è l’elemento del lavoro » (seduta del 22 marzo 1947, in A.C., I, 583). Togliatti ritenne che la
formulazione Fanfani fosse più vicina a quella delle sinistre, che era stata appena respinta dall’Assemblea (seduta del
22 marzo 1947, in A.C., I, 582).
30
Si v. le sedute della Sottocommissione del 28 novembre 1946 (e in particolare gli interventi di Togliatti, Moro, Marchesi, Caristia e Basso: cfr. A.C., VI, 727) del 22 gennaio 1947 della Commissione, in A.C., VI, 139 ss., e del 13, 14, 17 e
20 marzo 1947 dell’Assemblea, in A.C., I, in particolare gli interventi di Amendola (ivi, 508-513) e Moro (ivi, 371-372).
31
In tale sede i voti contrari furono 8 e quelli favorevoli 7: cfr. Resoconto sommario, seduta del 28 novembre 1946, in
A.C., VI, 731.
32
Adunanza plenaria, seduta del 22 gennaio 1947, in A.C., VI, 141.
33
Fu questa l’unica votazione nominale sull’art. 1: v. seduta del 22 marzo 1947, in A.C., I, 580-581: i voti contrari furono
239, quelli favorevoli 227.
34
Si v. l’intervento di Fanfani (ivi, 572) e la dichiarazione di voto di Gronchi (ivi, 580).
35
Sul riconoscimento dei diritti (e in particolare dei diritti che attengono alla natura sociale dell’uomo e della libertà di
associarsi) come via per realizzare la democrazia si v. l’intervento di Foggio (seduta del 15 marzo 1947, in A.C., I, 465),
citando Maritain.
36
Su tale connessione v. ad es. l’intervento di Ravagnan, seduta del 15 marzo 1947, in A.C., I, 439 e 440 (e l’intervento
di Teresa Mattei sul ruolo della donna nel quadro del nuovo sistema democratico, nella seduta del 18 marzo 1947, in
A.C., I, 499 ss.).
37
Così Moro nella seduta del 13 marzo 1947, in A.C., I, 373.
38
Così Mancini, seduta del 17 marzo 1947, in A.C., I, 472, il quale affermò anche: « il quarto stato è niente. Ma sarà tutto
domani con la partecipazione effettiva alla organizzazione politica, sociale ed economica dello Stato ».
10
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
c) Tanto la Commissione dei 75, quanto l’Assemblea
plenaria discussero a lungo sul verbo con cui collegare la sovranità al popolo («emana», «spetta», «risiede», «appartiene»), a partire dall’obiezione di Lucifero secondo cui «la sovranità risiede nel popolo
e in esso sempre rimane. Vi possono essere degli organi delegati che per elezione popolare esercitano
la sovranità in nome del popolo; ma la sovranità è
del popolo e resta del popolo. Dire pertanto che la
sovranità emana […] dal popolo dà la sensazione,
che può essere domani interpretazione giuridica, che
il popolo, con l’atto con cui ha eletto coloro che
eserciteranno la sovranità in suo nome, si spoglia di
questa sovranità, investendone i suoi delegati». In
Commissione prevalse però la tesi di Tosato, secondo
il quale il concetto che la sovranità risiede nel popolo sarebbe stato giustificato solo «qualora tutti gli
atti emanati dagli organi dello Stato dovessero essere sottoposti all’approvazione popolare », e sarebbe stata più esatta, nel concreto assetto previsto
dalla Costituzione, la formula «la sovranità emana
dal popolo». L’emendamento Lucifero fu pertanto respinto 39. In Assemblea fu invece rovesciata l’argomentazione prevalsa in Commissione, in base all’esigenza di stigmatizzare l’eventualità che «della sovranità potesse venir investito un gruppo od un
uomo, che la captasse e la staccasse dal popolo» 40.
Per questo fu ritenuta superflua la precisazione contenuta in un emendamento Cortese, che mirava a
puntualizzare, in analogia alla Cost. francese del 1946,
che «nessuna parte del popolo e nessun individuo
può attribuirsene l’esercizio» 41.
titolazione del documento costituzionale («Costituzione della Repubblica italiana»), né intende segnalare una rottura della continuità con l’ordinamento del precedente Regno d’Italia 42. E neppure
pare potersi desumere da tale disposizione – e in
particolare dalla proclamazione secondo cui «l’Italia» e non «lo Stato italiano» «è una Repubblica»,
da leggere assieme all’art. 5 – un argomento in favore della natura unitaria – e non composta – della
Repubblica italiana 43 (tanto più oggi che, dopo la
riforma del Titolo V, elementi ulteriori al riguardo
dovrebbero essere piuttosto desunti dal nuovo art.
114, 1º co.).
La formula in commento, invece, ha anzitutto il senso
di enunciare la forma dello Stato italiano. Si potrebbe
ipotizzare che quella accolta nell’art. 1 sia una nozione «sostanziale» di Repubblica, intesa come sistema di governo in cui i pubblici poteri derivano
dai governati ed hanno carattere rappresentativo o,
in termini ancor più vaghi, come evocativa di uno
spirito repubblicano, di un necessario orientamento
al bene comune e all’interesse pubblico 44, in cui siano
sintetizzati i valori comuni ai cittadini. Ma il senso
della parola Repubblica nell’art. 1 è più ristretto, e
va definito in contrapposizione alla forma monarchica che aveva retto lo Stato italiano sino al 1946 45.
Per Repubblica si deve pertanto intendere una forma
di Stato in cui il Capo dello Stato non sia ereditario
ma elettivo e abbia un mandato a durata predeterminata e non vitalizia.
Si è in passato ragionato sulla natura dichiarativa o
costitutiva della proclamazione della forma repubblicana dello Stato nell’art. 1 (e, correlativamente,
del limite alla revisione costituzionale nell’art. 139).
La migliore dottrina ha ritenuto che la natura repubblicana dello Stato discendesse dalla votazione
referendaria del 2.6.1946 (e dal d.lg. 98/1946) e che
l’Assemblea Costituente fosse pertanto priva del potere di adottare decisioni sulla forma (monarchica o
2. Commento
2.1 « L’Italia è una Repubblica democratica ». – La
proposizione con la quale si apre l’art. 1 non contiene il nome dello Stato italiano, che risulta dall’in-
39
Ivi, 142. È interessante il rilievo di Fabbri: « quella parte che è favorevole alle dizioni “ risiede ” o “ appartiene ”, è anche la parte la quale desidera che questa Costituzione non venga sottoposta all’approvazione del popolo, ritenendo sufficiente l’elaborazione che se ne fa nell’Assemblea ».
40
Così Ruini, nell’esprimere il parere favorevole della Commissione sulla nuova formulazione dell’art. 1 (seduta del 22
marzo 1947, in A.C., I, 576).
41
Si v. la seduta del 22 marzo 1947, in A.C., I, 569, e il parere di Ruini (ivi, 577). Fu inoltre discusso il significato dell’esercizio della sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione come formula evocativa dello Stato di diritto: così
Condorelli, seduta del 15 marzo 1947, in A.C., I, 445.
42
Al riguardo cfr. ESPOSITO, 1954, 2.
43
MORTATI, 1975, 3. Si ricordi, fra l’altro, che l’Assemblea Costituente discusse, ma non votò, sull’inserimento della formula « una e indivisibile » già nell’art. 1, pur accettando il principio che così si voleva esprimere [si v. il commento all’art. 5].
44
Spunti in questo senso in SONNERMANN, cit., e (in chiave di teoria politica) in SADOUN, République et démocratie, in
Pouvoirs, 2001, 100, 5 ss.
45
Per il rilievo che la proclamazione della natura repubblicana ha anzitutto un significato « negativo », ovvero che « la
République c’est le rejet de la monarchie » v. anche MESTRE, Article 2, in LUCHAIRE, CONAC, La Constitution de la République française, Paris, 1980, 65.
11
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OPERA CELOTTO
1
Costituzione della Repubblica Italiana
repubblicana) dello Stato, con la conseguenza che
all’art. 1 andrebbe riconosciuta, sul punto, natura meramente dichiarativa 46.
forme e nei limiti della Costituzione. In questa seconda chiave la sovranità popolare (vale a dire il
suo esercizio) e il principio democratico finiscono
per coincidere 50.
2.2 Democrazia e sovranità popolare. – Così, re2.2.1 Sovranità del popolo e sovranità dello Stato. –
Ciò posto, occorre accennare alla più spinosa questione teorica posta dall’art. 1 (in cui si riflettono
una serie di problemi di dottrina dello Stato e si intravedono le incertezze semantiche che circondano
termini di grande densità concettuale quali «Stato»,
«sovranità», «popolo»): il rapporto fra sovranità del
popolo e sovranità dello Stato. La Costituzione, infatti, pur proclamando solennemente la sovranità popolare nell’art. 1, sembra riferirsi alla sovranità dello
Stato in due articoli (anch’essi inclusi fra i principi
fondamentali): l’art. 7, 1° co., che sottolinea la sovranità dello Stato (e della Chiesa) «nel proprio ordine», e l’art. 11, il quale, ragionando di «limitazioni
di sovranità», individua come soggetto di quest’ultima lo Stato italiano (rectius: l’Italia). Il problema
è pertanto se la sovranità del popolo abbia prodotto
il superamento del «dogma» della sovranità dello
Stato o se le due sovranità coesistano nel sistema
costituzionale e, in questa seconda ipotesi, in quale
modo. Si tratta di una questione che ha occupato la
migliore dottrina dei due decenni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, ma che appare oggi
piuttosto datata e poco rilevante per l’interpretazione
costituzionale 51. Diverse teorie sono state elaborate
per conciliare tali due assunti.
a) Le dottrine svalutative della sovranità popolare
come principio giuridico. In una prima prospettiva
la sovranità popolare è stata letta come un mero principio politico sul modo di esercizio della sovranità
da parte dello Stato 52: ma questa impostazione, che
ben si saldava con l’idea che le disposizioni di prin-
strittivamente, intesa la forma repubblicana, l’affermazione contenuta nell’art. 1, secondo cui l’Italia è
una «Repubblica democratica», vede spostato il fulcro del suo significato dal sostantivo all’aggettivo.
Nella determinazione del significato del principio democratico, occorre chiedersi se democrazia e sovranità popolare siano espressione di un medesimo
principio 47 o se esse veicolino contenuti normativi
diversi. Quest’ultima tesi è stata ad es. sostenuta da
chi ha affermato che la sovranità popolare definirebbe la spettanza al popolo del potere costituente,
ed individuerebbe pertanto il fondamento ultimo del
potere statale, ma non direbbe nulla sulla concreta
organizzazione dello Stato, che potrebbe essere retto
anche da un principio monarchico o da un sistema
monarchico-rappresentativo sul modello di taluni
Stati europei dell’ottocento. Rispetto a questo dato,
il principio democratico esprimerebbe qualcosa di
più: che non solo la legittimazione del potere statale, ma anche il suo concreto funzionamento deve
trovare una base nel potere popolare 48.
Questa distinzione può essere utile per ragionare sull’art. 1 della Costituzione italiana, ma con alcune precisazioni. Il 2° co. dell’art. 1, laddove distingue fra
la titolarità della sovranità popolare e l’esercizio di
questa, contiene infatti sia l’identificazione del titolare del potere costituente (il popolo 49, cui appartiene la sovranità), sia la precisazione che il soggetto cui spetta il potere costituente è anche il principale dei poteri costituiti, che ad esso compete anche l’esercizio della sovranità e che esso è però tenuto, in questa sua seconda veste, ad operare nelle
46
ESPOSITO, 1954, 6; MORTATI, 1975, 3.
In questo senso ad es. LEVI A., 1950, 9.
BÖCKENFÖRDE, Das demokratische Prinzip, in KIRCHHOF, ISENSEE, Handbuch des Staatsrechts, I, Heidelberg, 1987, 892.
49
Vi è qui un intricato nodo concettuale: da un lato si può parlare di popolo solo se ordinato giuridicamente in uno
Stato (in assenza di ciò esiste semmai una nazione, una popolazione, una massa) e quindi solo come potere costituito;
d’altro lato, la titolarità della sovranità in capo al popolo – intesa anche come spettanza del potere costituente – presuppone che tale soggetto preesista alla Costituzione.
50
Ebbe a dire in A.C. Condorelli: « la sovranità popolare è un sistema di vita statale nel quale la volontà dello Stato
viene formata dal popolo. Noi dunque, con questa espressione, ([…]) affermiamo veramente ed integralmente la democraticità dello Stato » (seduta del 15 marzo 1947, in A.C., I, 443). Nel senso che la sovranità popolare sia intesa nella
Cost. italiana come principio democratico v. anche ESPOSITO, 1954, 10: « E veramente il contenuto della democrazia non
è che il popolo costituisca la parte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere […]. Non già che abbia la nuda
sovranità (che praticamente non è niente) ma l’esercizio della sovranità (che praticamente è tutto) ».
51
Rileva che alcuni aspetti di questo dibattito hanno perso interesse CARTABIA, The Legacy of Sovereignty in the Italian Constitutional Debate, in Sovereignty in Transition, a cura di Wacker, Portland, 2003, 311.
52
Cfr. LEVI A., 1950, 8 e 18. Anche Kelsen, commentando l’art. 1 della Cost. austriaca (« Österreich ist eine demokratische Republik »), ne negava il valore normativo, osservando che esso non aveva « alcun contenuto giuridico rilevante.
Se la Costituzione dà effettivamente vita ad una Repubblica democratica, dipende dalle sue disposizioni organizzative e
materiali » (KELSEN, in KELSEN, FROEHLICH, MERKL, Die Bundesverfassung vom 1.10.1920 [1922], Verlag Österreich, Wien,
2003, 65).
47
48
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Principi fondamentali
cipio avessero efficacia di mero manifesto politico,
non forniva una spiegazione del significato della sovranità popolare, intesa come principio giuridico.
Muovendosi, invece, in quest’ultima prospettiva, si è
osservato che, secondo la Costituzione italiana, sarebbero sovrani sia il popolo, sia lo Stato, ma ciascuno in una propria sfera, delineata dalla Costituzione stessa 53: questa impostazione, però, non si concilia con l’art. 1, secondo cui la sovranità appartiene
al popolo (e non solo in parte ad esso) 54, e contrasta con la stessa nozione tradizionale di sovranità,
intesa come potestà di decisione suprema ed indivisibile. Altri autori hanno tentato di distinguere fra
la titolarità e l’esercizio della sovranità medesima 55,
ritenendo la prima riservata allo Stato e il secondo
al popolo: ma anche qui l’art. 1 non pare collocato
nella giusta prospettiva, atteso che esso riconosce
al popolo sia la titolarità, sia l’esercizio della sovranità. Un ulteriore tentativo di conciliazione sostiene
che sarebbe sovrano lo Stato, tenuto però ad esercitare la sovranità attraverso il suo «organo» popolo 56. Atteso però che un organo suole esercitare
potestà che non gli appartengono, ma che spettano
all’ente di cui esso è, appunto, organo, questa impostazione equivarrebbe ad affermare che la sovranità appartiene allo Stato e che il popolo ne ha il
mero esercizio 57: ma si è visto che altro è il tenore
dell’art. 1, 2º co.
b) Le dottrine che muovono dalla distinzione fra
Stato in senso lato e Stato in senso stretto. A partire dagli anni cinquanta, la dottrina ha letto il rapporto tra sovranità dello Stato e sovranità del popolo muovendo dalla distinzione fra Stato-ordinamento e Stato-persona, e sottolineando che la sovranità spetta allo Stato-ordinamento, se intesa come
originarietà dell’ordinamento giuridico, mentre, intesa
come «suprema potestà di governo», essa va riconosciuta non allo Stato-apparato, ma al popolo. Que-
st’ultimo, d’altro canto, è stato qualificato non come
organo dello Stato, ma come «figura giuridica soggettiva» 58 o come «soggetto giuridico» contrapposto all’apparato statale, che ne sarebbe pertanto divenuto un mero strumento 59.
Questa impostazione, che è rimasta prevalente, è
stata contestata da chi ha ritenuto contraddittorie la
personificazione dell’apparato dello Stato e il riconoscimento della sovranità al popolo, contrapposto
ad esso. Poiché l’attribuzione al popolo della sovranità renderebbe necessario qualificarlo come persona
giuridica, all’interno dell’ordinamento statale vi sarebbero in tal modo due persone giuridiche contrapposte – il popolo e lo Stato-persona – e quest’ultimo, contrariamente alla elaborazione dottrinale
tradizionale, sarebbe privo della sovranità. Secondo
questa dottrina, occorrerebbe spezzare l’identificazione fra Stato-persona e apparato statale: infatti,
mentre il primo non sarebbe altro che la personificazione giuridica del popolo, il secondo – l’organizzazione statale (ovvero i singoli organi dello Stato)
– sarebbe uno strumento del popolo 60; e la sovranità spetterebbe appunto allo Stato-persona, in
quanto personificazione del popolo sovrano. Sovranità dello Stato (inteso quindi come «corporazione»,
di cui il popolo sarebbe l’elemento personale e lo
Stato la personificazione) e del popolo finirebbero,
in questa prospettiva, per coincidere.
Questa dottrina nega che lo Stato-apparato sia investito di personalità giuridica, il che è sembrato ad altri in contrasto con numerose norme costituzionali e
legislative 61, mentre per negare la sovranità dello Statoapparato non è necessario contestarne anche la natura di persona giuridica 62. Secondo quest’ultima impostazione, premessa la sovranità dello Stato-ordinamento (o Stato-comunità, o Stato-società), il problema è capire se, all’interno di quest’ultimo, la sovranità spetti allo Stato-persona (la persona giuridica
53
BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, 2ª ed., Milano, 1950, 77 ss.
CRISAFULLI, 1985, 118, ove si sottolinea che la sovranità del popolo incontra nella Costituzione limiti relativi al suo
esercizio, non alla titolarità di essa.
55
VIRGA, Il partito nell’ordinamento giuridico, Milano, 1948, 149-150; MORTATI, Istituzioni, I, cit., 152-153.
56
OFFIDANI, La capacità elettorale politica, Torino, 1953, 103 ss.; CROSA, 1957, 312-313, i quali riprendono una tesi che
risale a ROMANO S., Nozione e natura degli organi costituzionali [1898], in Scritti minori, Padova, 1950, 13 ss. (tale
autore l’aveva poi abbandonata, come può vedersi in Corso di diritto costituzionale, Padova, 1926, 166 ss., configurando
invece il popolo come titolare di una posizione di autarchia: v. ivi, 60; ma tale figura non è adatta a spiegare la sovranità popolare, in quanto essa individua una situazione di relativa indipendenza, non di sovranità).
57
CRISAFULLI, 1985, 112.
58
LAVAGNA, 1984, 794.
59
La dottrina precisava che tale conclusione riguardava il sistema creato con la Carta del 1947, fermo restando che in
altri sistemi – fra i quali l’ordinamento italiano sotto l’impero dello Statuto albertino – la sovranità sarebbe appartenuta
allo Stato-persona (CRISAFULLI, 1985, 134).
60 TOSATO, 1957, 141 ss. Secondo questo autore (ivi, 47), la teoria degli organi della persona statale dovrebbe essere abbandonata, qualificando le persone che agiscono per conto dello Stato (vale a dire del popolo) come rappresentanti del
popolo.
61
Se ne v. un elenco in LAVAGNA, 1984, 808 ss.; AMATO, 1962, 88-89.
62 AMATO, 1962, 90 ss.
54
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OPERA CELOTTO
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Costituzione della Repubblica Italiana
È invece un dato di diritto positivo l’attribuzione di
tale supremazia (o sovranità, in senso sociologico)
all’interno dell’apparato governante, allo Stato-persona, ovvero alla persona giuridica pubblica Stato,
distinta dalle persone giuridiche pubbliche che sono
gli altri enti territoriali: un dato che oggi è desumibile dalle competenze legislative dello Stato, e in particolare, dall’art. 117, 2° co., lett. d) ed h), come risultanti dalla riforma del Titolo V 68. Agli organi di
tale ente spetta, del resto, anche la competenza della
competenza nei rapporti con gli enti territoriali minori, sia pure nelle forme speciali di cui all’art. 138,
nelle quali, comunque, lo Stato-persona vanta una indubbia posizione di preminenza (facoltà di emendare
la Cost. prescindendo dal consenso sia del corpo elettorale 69, sia degli enti territoriali minori, alla sola condizione di operare con la procedura ivi prevista e
con la maggioranza qualificata appositamente richiesta). Ma dalla spettanza allo Stato-apparato della
Kompetenz-kompetenz, attraverso la procedura dell’art. 138, non si può desumere la facoltà di modificare le norme costituzionali sul riparto di competenze attraverso percorsi procedurali diversi dalla revisione costituzionale.
d) Problematicità e ambivalenza del concetto di
« popolo ». Il popolo 70, cui l’art. 1 attribuisce la sovranità, non viene definito in Costituzione, ove si presuppone che esso consista nella totalità dei cittadini 71; del resto la Costituzione non prevede nemmeno i criteri per l’acquisto e la perdita della cittadinanza, salvo il divieto di privazione di essa per motivi politici [v. il commento dell’art. 22], con la con-
Stato), allo Stato-Governo o Repubblica 63 (il complesso degli apparati governanti, inclusivo, oltre che
dello Stato-persona, anche di altre persone giuridiche
pubbliche, inclusi, in particolare, Regioni, Province e
Comuni) ovvero al popolo e l’art. 1 consentirebbe appunto di concludere nel senso della spettanza della
sovranità a quest’ultimo 64. La sovranità popolare va
però intesa non come governo popolare diretto, ma
come indirizzo e controllo dell’attività dei governanti.
c) La sovranità dello Stato in senso stretto. Riconosciuto, dunque, che sia lo Stato-ordinamento, sia
il popolo, sono – in accezioni diverse – entità sovrane, rimaneva da chiarire se anche lo Stato-apparato (nel senso di Stato-persona) potesse a sua volta
essere ritenuto sovrano e in quale senso. In effetti,
anche lo Stato-apparato è a sua volta sovrano, in
quanto detentore del monopolio legittimo della forza
armata 65; e tale sovranità in senso sociologico non
può essere semplicemente messa da parte a seguito
della affermazione della sovranità popolare 66, in
quanto essa riflette un dato che caratterizza intrinsecamente il fenomeno Stato per come esso si è storicamente dato, e la sua funzione di garanzia dell’ordine sociale. Tale monopolio diventa, nella prospettiva della sovranità popolare, lo strumento per
la realizzazione «ordinata» della supremazia del popolo su ogni altro potere. Piuttosto, la sovranità dello
Stato-apparato ha un senso diverso da quella popolare, come tentano di evidenziare – forse con qualche sofismo – coloro che affermano che lo Stato-apparato, monopolizzatore della forza armata, più che
sovrano, è «supremo» 67.
63
AMATO, 1962, 88-89, ritiene quindi che siano tre i concetti di Stato presupposti dalla Costituzione: lo Stato-ordinamento
o Stato-società, lo Stato-Governo e lo Stato-persona e ritiene che il secondo possa essere denominato anche Repubblica,
intesa come insieme dei soggetti governanti. La personalità giuridica spetterebbe allo Stato-persona, oltre che alle altre
persone giuridiche che insieme compongono lo Stato-Governo (Regioni, Province, Comuni).
64
Secondo AMATO, 1962, 93, il popolo sarebbe non una persona giuridica (tesi di TOSATO, 1957, 22), ma un soggetto giuridico sprovvisto di sovranità.
65
In questo senso v. ad es. RESCIGNO G.U., Corso di diritto pubblico, 9ª ed., Bologna, 2005, 10 ss. Cfr. anche MORETTI,
Sovranità popolare, in Enc. Giur., XXX, Roma, 1993, 3: « lo Stato-persona è il detentore della forza legale »; « la titolarità formale degli atti di sovranità […] non può che spettare allo Stato-persona ».
66
Non pare nemmeno che la sovranità dello Stato-persona, intesa come monopolio legittimo della forza armata, significhi che il popolo non è sovrano (così invece RESCIGNO G.U., Corso, cit., 16), per le ragioni che si vedranno infra par. 2.3.3.
67
LAVAGNA, 1984, 809.
68
Prima di tale riforma, ciò era ovviamente implicito nella competenza generale della legge statale.
69
Com’è noto, ai sensi dell’art. 138 il Parlamento può approvare in via definitiva una legge costituzionale, a maggioranza
dei due terzi, senza che in tal caso sia possibile richiedere un referendum popolare confermativo. Il fatto, invero, che il
consenso del corpo elettorale non sia imprescindibile per le leggi di revisione costituzionale potrebbe essere ritenuto un
ostacolo all’effettività del principio della sovranità popolare se di quest’ultima si accogliesse una nozione che configura
il popolo come ultimo decisore diretto e non come propulsore e controllore dell’attività dei governati (cfr. infra par.
2.3.3).
70
« Uno dei concetti più controversi della dottrina costituzionalistica » (ROMBOLI, 1984, 158).
71
L’affermazione è diffusissima nella manualistica. V. per tutti AMORTH, 1948, 35 e PIZZORUSSO, Istituzioni di diritto pubblico, Napoli, 1997, 128. Secondo altri esso sarebbe invece composto dalla totalità dei cittadini maggiorenni, e coinciderebbe quindi con il corpo elettorale, almeno nella sua variante principale. Si tende ad escludere che ne facciano parte
le persone fisiche ed i gruppi. È controverso se il popolo includa solo la totalità dei cittadini viventi in un dato momento
storico o, più ampiamente, la successione delle generazioni passate, presenti e future (v. GROSSI, I diritti di libertà, Torino, 1991, 151).
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OPERA CELOTTO
1
Principi fondamentali
seguenza che, se da un lato quella di popolo è una
nozione giuridica presupposta (cui segue che la nozione dommatica rinvia in parte a quella teoretica 72),
d’altro canto la precisa determinazione del contenuto
di essa è in buona parte decostituzionalizzata.
Il popolo esercita la sovranità talora mediante il corpo
elettorale (che è una sua parte, ma che è l’unico strumento per l’espressione diretta di una volontà popolare unitaria), talaltra pluralisticamente (o addirittura
atomisticamente), mediante le molteplici forme di partecipazione previste dalla Costituzione repubblicana
e attraverso i vari soggetti autonomi che sono espressione della capacità di autoorganizzazione della società civile (partiti, sindacati, associazioni). La necessità per il popolo di agire mediante entità diverse da
esso (inclusa, come si è visto, quella sua «parte totale» che è il corpo elettorale) ha fatto parlare di inafferrabilità del fenomeno popolo 73, sovrano, eppure costretto ad agire sempre tramite altri organi e soggetti 74.
Quanto alla configurazione giuridica del popolo nell’ordinamento, la dottrina, superate le posizioni che
negavano soggettività al popolo e lo riconducevano
al rango di organo dello Stato ha dibattuto sulla possibilità di configurare il popolo come persona giuridica 75, soggetto giuridico sprovvisto di personalità 76
o figura giuridica soggettiva 77. Rispetto allo Stato-ordinamento è diffusa, anche se non incontestata, la
qualificazione del popolo come elemento costitutivo.
tadini – fra i quali la concezione roussoviana parcellizza la sovranità – la prima indica il corpo politico
nella sua unità ed indivisibilità. Attribuire la sovranità
alla nazione equivaleva quindi a sganciarla non solo
dal monarca, ma anche dal popolo e a consegnarla di
fatto ai rappresentanti. Nella più autorevole ricostruzione di questo sistema 78, pertanto, il «governo rappresentativo», che dà corpo alla sovranità nazionale,
è un sistema nel quale il popolo può volere solo mediante i suoi rappresentanti, mentre questi ultimi non
rappresentano la comunità nazionale concreta, nella
molteplicità degli interessi presenti in essa, ma interpretano liberamente gli interessi generali della nazione
intesa come unità. Mentre la concezione democratica
pura (di tipo roussoviano) intende le istituzioni rappresentative come una necessità tecnica e ritiene che
la sovranità non possa essere loro delegata dal popolo, con la conseguenza che esse possono volere solo
entro un mandato determinato (che è quindi imperativo) e non possono fare leggi senza ratifica popolare,
all’opposto, la concezione della sovranità nazionale ritiene che il popolo non sia in grado di volere da solo,
ma possa volere solo per il tramite della rappresentanza nazionale; il popolo è quindi sprovvisto di poteri di manifestazione diretta della sua volontà.
Questa concezione, peraltro, è stata gradualmente abbandonata man mano che in Francia si sono consolidati il suffragio universale, i partiti politici ed il regime parlamentare. Sulla spinta di queste dinamiche,
già nella III Repubblica si era affermato un modello
di rappresentanza che veniva qualificato «governo semirappresentativo» 79; permaneva, certo, l’ostilità nei
confronti delle procedure di democrazia diretta – anzitutto il referendum, sul quale pesava la memoria dei
plebisciti che avevano seppellito la II Repubblica ed
aperto la strada al II Impero (e caratterizzato quest’ultima esperienza costituzionale) – ma anche tale
2.2.2 Sovranità popolare e sovranità nazionale. – Oltre
che con la sovranità dello Stato, il principio della sovranità popolare deve essere raffrontato con la dottrina della sovranità nazionale, soprattutto nella elaborazione che essa ha conosciuto nel costituzionalismo rivoluzionario francese. Per gli uomini del 1789,
la nazione non è un altro modo di denominare il popolo, ma, mentre quest’ultimo indica la totalità dei cit-
72
Ciò è però vero limitatamente alla nozione base di popolo come universalità dei cittadini, ma non per le complesse
concezioni del popolo elaborate in dottrina: di tipo realistico (secondo le quali il popolo è semplicemente il complesso
dei governati), normativistico (per cui il popolo è semplicemente una pluralità di centri di imputazione di norme giuridiche) o sociologico (le quali hanno identificato il popolo con la nazione, ovvero – per utilizzare il linguaggio di MANZONI, Marzo 1821, (1848) v. 31-32 – come entità « una d’armi, di lingua, d’altari, di memorie, di sangue, di cor ». Per un
quadro di tali concezioni e per la loro critica v. NOCILLA, 1985, 344 ss.; ROMBOLI, Popolo, in Enc. Giur., XXIII, Roma, 1990;
DE SIMONE, Contributo all’analisi giuridica della nozione di popolo, Milano, 1953.
73
AMATO, 1962, 93.
74
Il problema della individuazione degli strumenti del popolo sovrano percorre i saggi di Lavagna, Mortati, Crisafulli ed
Amato citati nelle note precedenti, in cui sembra quasi che il diritto di resistenza (su cui v. 2.3) faccia capolino come unico
modo per dare concretezza alla sovranità del popolo, distinto dal corpo elettorale e dalle sue articolazioni «parziali».
75
Così TOSATO, 1957. All’attribuzione al popolo della personalità giuridica si oppongono però la contraddittorietà del riconoscimento della personalità giuridica sia al popolo, sia allo Stato-apparato, all’interno del medesimo Stato ordinamento (BIN, 1990, 7) e il fatto che il popolo non agisce mai direttamente, ma sempre attraverso altre entità.
76
AMATO, 1962, 91.
77
LAVAGNA, 1984, 794 ss.; CRISAFULLI, 1985, 119 ss.
78
CARRÉ DE MALBERG, Contribution à la théorie générale de l’Etat, II, Paris, 1922, 152 ss. Cfr. su questi problemi BACOT,
Carré de Malberg et l’origine de la distinction entre souveraineté du peuple et souveraineté de l’Etat, Paris, 1985. Nella
dottrina italiana recente si v. i lavori di BERTOLINI, Rappresentanza parlamentare e attività di governo, Napoli, 1997 e
DE FIORES, Nozione e Costituzione, Torino, 2005.
79
ESMEIN, Deux formes de gouvernement, in Rev. dr. public, 1894, 25, ripreso da CARRÉ DE MALBERG, cit., 361 ss. (spec. 381).
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OPERA CELOTTO
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Costituzione della Repubblica Italiana
ostilità è stata ora abbandonata dalla Costituzione della
V Repubblica, che ha invece recuperato le dottrine
della sovranità popolare, pur rifiutandone gli aspetti
incompatibili con le istituzioni rappresentative (e in
particolare il mandato imperativo) ed ha restituito dignità costituzionale all’istituto del referendum 80.
La dottrina della sovranità nazionale di tipo francese
rivoluzionario non è accolta dalla Cost. italiana, la
quale (pur rifiutando anch’essa la versione roussoviana della sovranità popolare) prevede uno strumentario ricco ed articolato volto a consentire al popolo – inteso come «universalità dei cittadini viventi»
– di esprimere il proprio orientamento e di indirizzare l’apparato statale attraverso l’esercizio di tutti i
diritti individuali e collettivi 81.
dalla C. cost. nella sentenza 106/2002: «l’art. 1 della
Costituzione, nello stabilire, con formulazione netta e
definitiva, che la sovranità “appartiene” al popolo, impedisce di ritenere che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si può insediare esaurendovisi». Nella medesima prospettiva,
la stessa Corte aveva in precedenza sottolineato che
nella procedura referendaria ex art. 75 Cost. la sovranità del popolo non può essere ridotta a sovranità dei
promotori 83. Ciò, del resto, vale ancor più per i poteri
privati (singoli o gruppi), come ben affermava l’art. 3,
2º co., della Cost. francese del 1946 (il cui disposto
non fu inserito nell’art. 1 della nostra Carta perché ritenuto implicito): «Aucune section du peuple ni aucun individu ne peut s’en attribuer l’exercice» 84.
In secondo luogo, a parere di alcuni, dalla sovranità
popolare dovrebbe desumersi l’implicito riconoscimento – quale ultimo presidio di essa – del diritto di
resistenza 85. Questo rilievo può essere condiviso, purché si intenda tale diritto come legittimato ad attivarsi solo contro modifiche (o tentativi di modifica)
della Costituzione che, senza il consenso popolare, ne
stravolgano i principi 86. Difficilmente potrebbero trovare copertura nel diritto di resistenza le varie forme
di disobbedienza civile o di «azione diretta» pur diffuse nelle società contemporanee, e che trovano una
loro qualificazione giuridica nei principi relativi alle
libertà individuali e collettive e nei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Tutto ciò, peraltro, non ha conseguenze sull’esercizio della sovranità, in quanto lo stesso art. 1 la circoscrive «nelle forme e nei limiti della Costituzione»: e l’intelligibilità di tale formula non è autoevidente. Certo, può essere ritenuta in buona parte
esatta la tesi secondo cui l’art. 1 è per questo aspetto
una norma di rinvio 87 alle disposizioni costituzionali
che danno corpo alla sovranità popolare. Ma tali disposizioni sono comprensibili solo alla luce di una
2.3 Le nozioni di democrazia e sovranità popolare
nell’art. 1 Cost. – Dal dibattito ora sintetizzato risulta
che diverse sono le nozioni di sovranità cui in esso
si fa riferimento: indipendenza del gruppo-Stato, originarietà dell’ordinamento giuridico, competenza della
competenza, fonte di legittimazione dei poteri pubblici, potere supremo di governo, monopolio legittimo
della forza armata. Qual è allora il contenuto della nozione di sovranità popolare cui fa riferimento l’art. 1?
Al riguardo occorre nuovamente distinguere fra la
titolarità e l’esercizio.
La titolarità della sovranità sta ad indicare che ogni
potere appartiene al popolo, ovvero che il potere
sommo – quello costituente – risiede unicamente in
esso e che tutti i poteri costituiti derivano – non solo
politicamente, ma giuridicamente (nel senso che vi
trovano il titolo di legittimazione) – dal popolo medesimo.
Dalla mera titolarità della sovranità in capo al popolo
sembra si possano ricavare due conseguenze. Emerge
in primo luogo il profilo «negativo» 82 della nozione di
sovranità popolare, che è stato felicemente evidenziato
80
Peraltro, le previsioni costituzionali in materia hanno trovato applicazione soprattutto nel primo decennio successivo
all’entrata in vigore della Costituzione del 1958; in seguito si è assistito ad un ridimensionamento del ruolo del referendum costituzionale e, ancor più, di quello legislativo (il numero complessivo di referendum svoltisi in Francia dal 1958
è appena di 9: cfr. PACTET, MELIN-SOUCRAMANIEN, Droit constitutionnel, 24ª ed., Paris, 2005, 392-400).
81 PALADIN, cit., 271-272.
82
Sul quale cfr. ad es. LAFERRIERE, Manuel de droit constitutionnel, 2ª ed., Paris, 1947, 382; utilizza questa terminologia
anche AMORTH, 1948, 34, ma per significare che la sovranità popolare comporta « il ripudio di tutti quei titoli di appartenenza del potere politico basati sopra una investitura divina o di sangue o di casta o infine di fatto ».
83
C. cost. 16/1978.
84
Ne deriva un legittimo sospetto verso qualunque posizione che – in una concezione strumentale della democrazia –
aspiri ad appropriarsi della volontà popolare, atteso che « tutti coloro i quali santificano il popolo lo fanno per poterlo
usare » (ZAGREBELSKY, Il « crucifige » e la democrazia, Torino, 1995, 99).
85
LAVAGNA, 1984, 796; MORTATI, Note introduttive ad uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, in Studi
Orlando, II, Padova, 1956, 119; AMATO, 1962, 98 ss.
86
CRISAFULLI, 1985, 140.
87
Così ROMBOLI, 1984, 176. Secondo la C. cost., l’art. 1 nel prevedere che la sovranità appartiene al popolo, ne dispone
l’esercizio nelle forme e nei limiti della Costituzione, cosicché da essa nulla può direttamente desumersi « in ordine alla
concreta disciplina delle situazioni giuridiche a favore o a carico dei singoli soggetti » (sentenza 109/1968, di recente richiamata dall’ord. 305/2000).
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
nozione di (esercizio della) sovranità popolare (e
quindi di democrazia) che esse presuppongono e che
trova la sua base proprio nell’art. 1.
Occorre allora tentare di ricostruire le coordinate minime di una nozione giuridica del principio democratico, filtrando i dati ricavabili dalla elaborazione della
teoria costituzionale e dal diritto comparato alla luce
della prospettiva accolta nella Costituzione italiana.
ovvero una piena coincidenza fra governanti e governati 92. Ma un simile assioma è al tempo stesso utopistico e inquietante. Utopistico in quanto esso muove
implicitamente da un’idea di popolo come una gigantesca persona, che occorrerebbe abilitare a decidere mediante appositi accorgimenti procedurali, tralasciando «la ineliminabile contrapposizione logica e
storica tra le manifestazioni unitarie del popolo governante e i singoli, ad esse soggetti» 93. Inquietante
in quanto la potestà decisionale di tale soggetto si dovrebbe estendere ad ogni campo e ad ogni problema,
generale o particolare che sia. Sicché non è mai esistito un ordinamento giuridico dotato di un minimo
di complessità che si sia ispirato a tali formule organizzative e nella stessa πλις ateniese al popolo non
erano riservate le decisioni di carattere esecutivo.
Il principio democratico richiede dunque che tutti i
poteri statali siano fondati sulla sovranità popolare
ma non che tutte le decisioni prodotte nel sistema
democratico siano adottate dal corpo elettorale o dagli organi direttamente legittimati da esso 94. È sufficiente che agli organi rappresentativi sia riservata
l’adozione delle decisioni generali (mediante la forma
della legge), se configurate come giuridicamente prevalenti sulle decisioni individuali e concrete.
L’esigenza che tali ultime decisioni non solo possano,
ma debbano essere sottratte all’ambito di operatività
del principio democratico dipende, poi, dal diverso
principio dello Stato di diritto, il quale richiede che
esse siano riservate ad organi indipendenti e neutrali, o quantomeno imparziali (organi giurisdizionali o amministrativi). In una democrazia costituzionale – in cui lo stesso legislatore è assoggettato
al principio di legalità (costituzionale) – sono poi sottratte all’operatività del principio di maggioranza anche le decisioni che concernono la disciplina generale dei diritti individuali o alcuni principi materiali
costituzionalmente protetti.
2.3.1 Alla ricerca di una nozione di democrazia. – Una
delle più celebri definizioni della democrazia risale
al discorso tenuto a Gettysburg dal Presidente degli
Stati Uniti Abraham Lincoln il 19.11.1863: «government of the people, by the people, for the people» 88.
Essa esprime pienamente l’ideale dell’autogoverno
popolare e sottolinea che un sistema democratico richiede la derivazione – diretta o indiretta – delle decisioni dai membri del gruppo che si qualifica come
democratico (ovvero, in uno Stato, dal popolo 89). Almeno tre ordini di problemi rimangono però aperti
nella ricerca di una definizione più precisa.
Il primo problema è l’individuazione dei componenti
del gruppo popolo e del corpo elettorale 90. Lo standard oggi richiesto, quello del suffragio universale,
ovvero dell’attribuzione del diritto di voto a tutti i
cittadini maggiorenni, attenua all’estremo la differenza fra popolo e corpo elettorale, ma da un lato
continua ad escludere da ogni partecipazione all’esercizio della sovranità popolare alcuni membri del
gruppo popolo (i cittadini minorenni 91), dall’altra ripropone il problema della composizione del popolo
rispetto alla popolazione stabile di un dato territorio: un tema la cui rilevanza è rilanciata dall’elevata
mobilità umana che caratterizza l’epoca attuale.
2.3.2 Le decisioni suscettibili di essere adottate dal popolo come totalità. – Un secondo problema riguarda
la individuazione delle decisioni che devono derivare
dal popolo. In astratto la piena realizzazione del principio democratico sembrerebbe richiedere che tutte
le decisioni attinenti alle vicende collettive siano adottate direttamente dal popolo, realizzando un «sistema
di assoluto e diretto autogoverno della collettività»,
2.3.3 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa. – Un terzo problema riguarda poi le modalità
con le quali la derivazione delle decisioni dal corpo
elettorale è realizzata: il principio democratico, in-
88
Tale definizione è stata ripresa in più sedi (ad es. da MARITAIN, Cristianesimo e democrazia [1942], Milano, 1977 e
nelle Costituzioni francesi del 1946 e del 1958).
89
Esattamente ELIA, BUSIA, 1999, 70, sottolineano che « la prima regola di ogni democrazia è costituita da un principio
di organizzazione in base al quale le decisioni devono essere direttamente o indirettamente riferite a scelte popolari »
90
[…] o « il problema dell’inclusione », per usare il linguaggio di DAHL, La democrazia procedurale, in Riv. it. sc. pol.,
1979, 3.
91
Sul problema della rappresentanza politica dei minori – su cui esiste un ricco dibattito costituzionalistico tedesco e
austriaco (ad es., da ultimo, OEBBECKE, Das Wahlrecht von Geburt an, in Juristenzeitung, 2004, 987 ss.) – si v. CAMPIGLIO, Prima le donne e i bambini, Bologna, 2005, e AA.VV., Democrazia nel postglobal, Roma, 2005.
92
CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, I, Padova, 1970, 85; similmente, fra molti, v. MARTINES, Diritto Costituzionale, 11ª ed., aggiornata da Silvestri, Milano, 2005, 193; RILL, SCHÄFFER, Art. 1, in ID., Bundesverfassungsrecht. Kommentar, 1ª ed., Wien, 2001, 9.
93
CRISAFULLI, Lezioni, cit. 85.
94
ESPOSITO 1954, 9; SORRENTINO, Brevi riflessioni su sovranità popolare e pubblica amministrazione, in AA.VV., 2004, 219.
17
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OPERA CELOTTO
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Costituzione della Repubblica Italiana
fatti, tende a dissolvere la contrapposizione fra governanti e governati in due sensi diversi, uno massimale e l’altro minimale.
A) Nel senso massimale il principio democratico richiede che le decisioni generali siano adottate direttamente dal popolo 95 e che quindi i governanti
non esistano se non come esecutori di tali decisioni.
Si tratta dell’ideale della democrazia diretta, la
quale, nella sua forma pura, richiede che le decisioni siano adottate dal popolo riunito in assemblea
per deliberare 96. L’assemblea popolare fa decidere i
cittadini materialmente compresenti ed abilitati ad
interagire secondo regole procedurali predeterminate (anche se modificabili). L’obiezione principale
a questa forma di decisione democratica consiste
nella sua irrealizzabilità pratica, sia per le dimensioni del popolo di uno Stato (ma anche delle sue
articolazioni territoriali quali la Regione, la Provincia, il Comune o altro), sia per l’esigenza di divisione del lavoro, poiché un sistema in cui tutte le
decisioni generali fossero adottate dal popolo riunito in assemblea richiederebbe una dedizione di
ogni cittadino alla vita pubblica non conciliabile con
il perseguimento dei legittimi scopi di felicità individuale del singolo.
In effetti, sistemi di questo tipo non sono stati mai
realizzati, se non a prezzo di drammatiche semplificazioni e, comunque, in circostanze del tutto eccezionali. I casi della democrazia ateniese del V secolo
a.C., di alcuni Cantoni svizzeri di ridotte dimensioni,
dei Town meetings di talune città della Nuova Inghilterra e, per qualche passaggio, della Comune parigina del 1870-71 97, poggiano infatti o sull’esclusione
dal popolo della stragrande maggioranza della popolazione (le donne, i meteci e gli schiavi nella πλις
ateniese; le donne in tutti gli altri casi ora citati), o
sull’eccezionalità della situazione (la Comune parigina), o, ancora, sulla presenza di un Parlamento con
funzioni di preparazione delle deliberazioni popolari
(è il caso dei Cantoni svizzeri che adottavano o adottano la Landsgemeinde 98). Ciò non esclude che l’Assemblea popolare possa talora essere utilizzata come
tecnica di governo locale 99, ma per gli Stati oggi presenti sul pianeta essa è nel complesso inutilizzabile.
Anche l’ipotesi che nuove forme di democrazia diretta come metodo di governo ordinario delle società complesse possano essere realizzate mediante
le moderne tecniche informatiche in una γορ
telematica 100 appare per ora tutta da verificare.
B) L’ideale democratico ha trovato una sua realizzazione storica negli ultimi due secoli mediante la
formula della democrazia rappresentativa 101. I due
termini che definiscono tale concetto (democrazia
e rappresentanza) sono espressione di logiche in origine fra loro distinte se non contrapposte, poiché
la democrazia evoca il governo popolare diretto e
postula una volontà popolare unitaria, mentre la rappresentanza muove non solo dall’idea della irrealizzabilità pratica di tale sistema di governo, ma anche dalla natura pluralistica del corpo sociale da
rappresentare 102. L’« invenzione » dei Parlamenti moderni nella storia costituzionale inglese e nelle traduzioni che essa ha conosciuto in Europa e nel Nord
America 103 ha però sdrammatizzato questa alternativa. L’abbinamento della rappresentanza all’elezione,
il progressivo affermarsi della tesi secondo cui può
aversi la prima solo ove si ha la seconda, la graduale estensione del diritto di voto a tutti i cittadini
maggiorenni 104 hanno fatto delle elezioni la tecnica
democratica per eccellenza. Per aversi sistema de-
95
Secondo ORIGONE, 1937, 131, questa è « la forma più elementare di democrazia ».
Per la sottolineatura che la democrazia diretta, propriamente intesa, richiede il « popolo adunato », ovvero la compresenza fisica dei cittadini chiamati a deliberare e per la precisazione il referendum non è uno strumento di democrazia diretta (come è usuale affermare: v. per tutti ORIGONE, 1937, 134), ma di democrazia partecipativa v. LUCIANI, Democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, in AA.VV., 2004, 182.
197
Per questi esempi BÖCKENFÖRDE, 1985, 232-233.
198
I Cantoni nei quali tale istituto è oggi conservato sono Glarus (art. 61 ss. Cost. 1988) e Appenzell Innerrhoden (artt.
1 e 19 Cost. 1872). La Landsgemeinde era in passato prevista anche nelle Cost. di Nidwalden, Obwalden, Uri ed Appenzell Ausserrhoden.
199
Cfr. ad es. art. 28, 1° co., IV frase, Legge fondamentale di Bonn.
100
ELIA, BUSIA, 1999, 67. Le potenzialità dei mezzi telematici sono legate non solo alla capillarità della loro diffusione ed
alla conseguente possibilità di partecipazione che esse offrono ai cittadini, ma anche alla natura interattiva di tali mezzi.
Esse appaiono però utilizzabili più sul versante dell’amministrazione che su quello della legislazione.
101
Appare pertanto condivisibile il rilievo – formulato di recente – secondo cui « questo è il tempo della rappresentanza »
(LUCIANI, 2005, 50). Sui problemi della rappresentanza si rinvia al commento all’art. 67.
102
Si v. vari spunti in FRÄNKEL, La componente rappresentativa e plebiscitaria nello Stato costituzionale e democratico [1958], Torino, 1994, 40; BÖCKENFÖRDE, 1985, 227 ss. e LUCIANI, in AA.VV., 2004, 182-183.
103
DREIER, Il principio di democrazia della Costituzione tedesca, in Democrazia, diritti e costituzione, a cura di Gozzi,
Bologna, 1997, 26, parla efficacemente di « ingegnosa “ scoperta ” della representative democracy » da parte degli autori
dei Federalist Papers.
104
Attraverso i passaggi indicati nel testo è stata pertanto superata (ma solo per i cittadini maggiorenni) la tesi – formulata ad es. da Burke – della rappresentanza « virtuale », in virtù della quale il rappresentante sarebbe tale anche rispetto ai membri della comunità privi di diritto di voto.
96
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Principi fondamentali
mocratico devono essere previste elezioni fair and
free quantomeno per selezionare i componenti dell’organo legislativo-rappresentativo 105 (ferma restando la possibilità di utilizzarle, in taluni sistemi
di governo, anche per la selezione dell’organo di vertice del potere esecutivo).
C) Modernamente, la democrazia diretta è stata riproposta mediante tecniche decisionali finalizzate a
riservare al popolo un effettivo diritto di iniziativa e
l’ultima parola sulle deliberazioni di un organo legislativo configurato come meramente preparatorio. Il
tentativo di realizzare il People’s government in contesti nei quali l’esistenza di organi rappresentativi e
di governo era inevitabile ha trovato spazio nel sistema costituzionale elvetico (a livello tanto federale
quanto cantonale) e in alcune Costituzioni degli Stati
membri degli Stati Uniti adottate o modificate nel
primo ventennio del novecento. Lo strumentario giuridico per la traduzione del popular government era
riassunto nella terna initiative, referendum and recall. L’initiative (costituzionale e legislativa) consentiva al corpo elettorale di farsi iniziatore di una
legge (ordinaria o costituzionale, inclusa in quest’ultima la revisione totale della Costituzione) e di ottenere che essa fosse sottomessa all’approvazione del
corpo elettorale qualora non fosse stata approvata
dal Parlamento, o addirittura indipendentemente da
un esame parlamentare. Il referendum aveva la funzione di ridurre il Parlamento ad un ruolo preparatorio: esso – nelle varianti del referendum obbligatorio e di quello facoltativo (il primo riferito anzitutto
alle leggi costituzionali, il secondo alle leggi ordinarie) – avrebbe dovuto garantire al popolo il monopolio del potere legislativo. Il recall – di membri del
potere esecutivo o legislativo e talora degli organi
collegiali di vertice di tali poteri, nonché, in alcuni
casi estremi, degli stessi giudici – avrebbe dovuto affermare nella maniera più estrema la strumentalità
dell’apparato governante rispetto al popolo sovrano.
Al fine di evitare letture ingenue dell’istituto referendario e degli altri meccanismi di decisione popolare diretta, occorre però ricordare alcune delle
obiezioni più fondate al referendum, se inteso come
tecnica che consente di manifestare la «vera» volontà del popolo, dotata, come tale, di un plusvalore
politico rispetto alla volontà manifestata dallo stesso
nelle elezioni e a quella espressa dagli organi rappresentativi. È stata cioè sottolineata la logica binaria (alternativa si/no, impossibilità dell’emendamento,
del compromesso, di decisioni complesse 106) dello
strumento referendario e l’esasperazione della dinamica maggioritaria che ne deriva. Inoltre è noto che
il referendum consiste nella risposta da parte del popolo ad una domanda ad esso rivolta e il corpo elettorale è fisiologicamente privo del potere di formulare la domanda 107. Qualora la confezione del quesito referendario sia monopolio di talune autorità governanti (secondo una logica top-down), il referendum è esposto al rischio della curvatura plebiscitaria; ma anche nei casi in cui – secondo il meccanismo dell’iniziativa popolare, previsto ad es. dagli artt.
75 e 138 Cost. italiana – il potere di predisporre il
quesito sia diffuso nel corpo elettorale (quindi secondo logiche bottom-up) si pone il problema di salvaguardare la libertà di voto dell’elettore da manipolazioni da parte degli stessi promotori 108 (ricordando che la cittadinanza attiva finisce per svolgere
nelle procedure referendarie un ruolo «rappresentativo» che rende mediata la decisione 109).
Questi istituti, non hanno però trovato accoglimento
– almeno nel loro complesso – in quelle Costituzioni
che pure proclamano solennemente la sovranità popolare 110 in uno dei loro primi articoli (fra esse la
Costituzione italiana, che pure riserva ad essi un
ruolo non marginale). Se ne possono desumere due
conclusioni alternative: che tali Costituzioni – inclusa
quella italiana – non accolgano effettivamente il principio della sovranità popolare 111, il quale richiede-
105
Osserva RESCIGNO G.U., Corso, cit., 326: « la esistenza almeno di un organo direttamente rappresentativo (direttamente
eletto dal popolo) è la condizione minima indispensabile affinché si possa parlare di democrazia ». È inoltre necessario
che il vertice del potere esecutivo – se non eletto direttamente dal corpo elettorale – sia espressione della maggioranza
dell’organo rappresentativo.
106
Cfr. ad es. ELIA, BUSIA, 1999, 67.
107
Cfr. BÖCKENFÖRDE, 1985; DI GIOVINE, Democrazia diretta: da chi? [1996], in ID., Democrazia diretta e sistema politico, Padova, 2001, 73 ss.
108
Per utilizzare il linguaggio della sentenza 16/1978, « la sovranità del popolo non comporta la sovranità dei promotori »,
e « il popolo stesso dev’esser garantito, in questa sede, nell’esercizio del suo potere sovrano ».
109
Così DREIER, cit., 28.
110
Fanno eccezione la Costituzione federale svizzera, varie costituzioni cantonali e alcune Costituzioni di Stati membri
degli Stati Uniti.
111
Un’obiezione di questo tipo avrebbe radici autorevoli. Si ricordi, ad es., che la proclamazione dell’art. 1 della Cost.
austriaca secondo cui il diritto emana dal popolo era ritenuta da Kelsen inesatta, poiché nella Repubblica austriaca « il
diritto non emana direttamente dal popolo, ma – a parte alcune eccezioni – è prodotto attraverso deliberazioni del Parlamento » (KELSEN, Österreichisches Staatsrecht, Tübingen, 1923, 164); o l’opposizione di Tosato in Costituente all’uso
del verbo « appartiene » nell’art. 1, in base all’idea che esso non avrebbe rispecchiato l’effettiva configurazione dei poteri del corpo elettorale nel testo costituzionale (cfr. supra par. 1.5).
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rebbe che al popolo fosse consentita l’iniziativa per
l’adozione di decisioni popolari dirette e fosse riservata l’ultima parola sugli atti degli organi rappresentativi; oppure che la nozione di sovranità popolare oggi consolidata negli Stati comunemente ritenuti democratici abbia assunto una configurazione
diversa da quella immaginata dai teorici del popular
government (e da molti altri prima e dopo di loro)
e sia consegnata alle forme della democrazia rappresentativa, nella quale essa serve a riconoscere al
popolo la funzione non di decisore ultimo, ma di
propulsore e controllore dell’attività dei governanti 112.
referendum), sia l’effetto premiante per i gruppi numericamente più consistenti che è prodotto da quasi
tutti i sistemi elettorali (inclusi buona parte dei c.d.
sistemi proporzionali).
Per quanto concerne, in particolare, le assemblee rappresentative, questo è un argomento in più (anche
se certo non l’unico) per la tutela dei diritti delle minoranze politiche 116. Da un lato ciò rende necessaria la previsione di regole di discussione che riservino spazi adeguati alle minoranze; dall’altro «the
minorities must be given a chance to become a majority» 117. Per questo, ci si è spinti a ragionare di un
principio maggioritario-minoritario 118.
Il voto a maggioranza, dunque, è solo il momento
terminale di un processo decisionale complesso, di
cui occorre garantire la genuinità, anzitutto mediante
una serie di garanzie interne al processo decisionale.
Ciò significa che il processo decisionale democratico deve essere formalizzato, trasparente ed aperto.
La formalizzazione della procedura decisionale democratica consiste nella soggezione di essa a regole
predeterminate e non modificabili nel corso della singola decisione. La formalizzazione deve investire
quantomeno il novero dei soggetti abilitati a partecipare al processo decisionale e le facoltà ad esse
riconosciute nel corso di tali processi in termini di
potestà di emendamento e di discussione, modalità
di voto, ecc.
La trasparenza o pubblicità è la seconda caratteristica di un processo decisionale democratico: la democrazia è stata definita «il governo del potere visibile» o «il governo del potere pubblico in pubblico» 119. La pubblicità si articola in due versanti:
uno in entrata (funzionale alla corretta formazione
della decisione 120), che richiede la libertà di manifestazione del pensiero (non a caso definita dalla Corte
2.3.4 Il principio maggioritario. – La derivazione delle
decisioni dal corpo elettorale non risolve di per sé
il problema della modalità di adozione delle stesse
da parte di un’entità composta da una pluralità di
persone. Il principio democratico «risolve» tale problema declinandosi come principio maggioritario 113,
ovvero imputando al popolo (e agli organi da esso
derivati) la volontà della maggioranza dei soggetti
abilitati a partecipare alla decisione o effettivamente
partecipanti ad essa (rispettivamente maggioranza assoluta o semplice) ed esclude, pertanto, tecniche decisionali diverse come l’unanimità, la maggioranza
qualificata o il c.d. consensus.
La centralità, in ogni nozione di democrazia, del principio maggioritario 114 – la cui radice va individuata
nell’eguaglianza dei soggetti chiamati a decidere, a
sua volta fondata sulla eguale dignità – deve essere
accompagnata da alcune cautele. In primo luogo, le
maggioranze politiche negli organi rappresentativi
(vale a dire i gruppi parlamentari che le compongono), e talora anche le maggioranze nei referendum, sono il più delle volte espressione di minoranze del corpo elettorale 115, considerato sia il declinante tasso di partecipazione alle elezioni (ed ai
112
Riprendiamo la formula utilizzata da AMATO, 1962, 93 e 101.
Per le diverse accezioni del principio maggioritario – e in particolare per la differenza fra la sua applicazione a votazioni elettive o deliberative – si v. RESCIGNO, 1994, 187 ss.; FERRARA, 1965, 286 ss.; AMATO, 1994, 171 ss.
114
Tale centralità è antichissima; si ricordi la nota frase di Pericle: « il nostro sistema politico […] si chiama democrazia, poiché nell’amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza » (cfr. TUCIDIDE, Le guerre del Peloponneso, II, 37, tr. it., Bari, 1986, 136: il brano era stato posto all’inizio del Preambolo del Progetto di Costituzione europea elaborato dalla Convenzione sul Futuro dell’Europa nel 2003).
115
Il governo delle minoranze, che RESCIGNO, 1994, 209, intravede dietro i sistemi elettorali maggioritari, è dunque un fenomeno di ampiezza ben maggiore.
116
Nella odierna democrazia dell’alternanza (in assenza della quale si è ragionato, nel recente passato, di democrazia bloccata o incompiuta: i riferimenti principali erano Giappone, Messico e Italia) va poi considerato il ruolo dell’opposizione.
117
FINER, Comparative Government, London, 1970, 66.
118
KELSEN, 1979, 98. In senso analogo AMORTH, 1948, 33. Vi è qui una notevole differenza fra le interpretazioni moderne del
principio maggioritario e quelle diffuse nell’antichità, che non attribuivano rilevanza specifica al fenomeno della minoranza
(lo nota RUFFINI, Il principio maggioritario, Milano, 1976, 22, per il diritto romano, ma ancora in questo senso è il Sieyes).
119
BOBBIO, 1984, 75 e 76.
120
La più antica formulazione di tale connotazione della democrazia può essere ravvisata nel discorso di Pericle in onore
dei caduti nella guerra del Peloponneso, laddove sottolinea che i cittadini ateniesi non temono di discutere prima di agire
(si v. TUCIDIDE, Le guerre del Peloponneso, II, 40 [nell’ed. it., Bari, 1986, 137]: «non pensiamo che il dibattito arrechi danno
all’azione; il pericolo risiede piuttosto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azioni che si impongono»).
113
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costituzionale italiana «la pietra angolare dell’ordine
democratico» 121) e di informazione e la trasparenza
dei processi decisionali; ed uno in uscita (funzionale al controllo dell’opinione pubblica 122), in relazione all’output dei processi decisionali (anche se
nel mondo contemporaneo tale esigenza può confliggere con quella della tutela della privacy).
L’apertura è espressione delle dinamiche inclusive
tipiche della decisione democratica, che richiedono
di oltrepassare la dimensione formale del processo
decisionale democratico, aprendolo alla partecipazione, mediante forme di ascolto e consultazione, dei
soggetti interessati alla decisione, ma formalmente
non abilitati all’adozione di essa, e, ove possibile,
alla cittadinanza organizzata.
D’altro canto, per le procedure democratiche in cui
competono più soggetti, l’apertura richiede che essi
siano posti, ove possibile, su un piano di parità, che
si estenda non solo ai profili formali, ma anche alla
eguaglianza delle opportunità (Chancengleichheit).
Il rilievo dei principi di formalizzazione, trasparenza
ed apertura supera per alcuni aspetti quello del meccanismo maggioritario. Mentre quest’ultimo – in una
democrazia limitata, ovvero in una democrazia costituzionale, nella quale il principio democratico è limitato da altri principi – trova applicazione solo alle
decisioni degli organi del circuito decisionale politico, i primi si applicano, di norma, anche all’interno
del circuito garantistico (nel quale essi costituiscono
– per così dire – irradiazione del principio democratico), ove stanno a sottolineare che anche gli organi imparziali trovano la loro legittimazione ultima
nel popolo e, sia pure in forme peculiari, sono responsabili davanti ad esso.
chiamato a deliberare sui principali affari pubblici o
sulla scelta di coloro che sono chiamati a gestirli.
Ciò comporta in primo luogo che si tengano periodicamente nuove elezioni 123 e che le cariche elettive
abbiano una durata temporanea predeterminata 124,
che può essere abbreviata in base a meccanismi predefiniti dall’ordinamento (sfiducia, revoca, scioglimento, dimissioni, ecc.), ma non prolungata se non
in circostanze eccezionali 125. Altrimenti detto, poiché
è «principio essenziale alla democrazia» l’«alternarsi
del comando e dell’obbedienza, per cui i governanti
di oggi sono in potenza i sudditi di domani e le leggi
che vigono oggi potranno essere abrogate domani»,
risulta esclusa «la democraticità di ogni disposizione
diretta a rendere statico o istituzionale il potere di
un uomo, di un partito o di una classe» 126.
Dalla temporaneità delle cariche elettive e dalla periodicità delle elezioni discende la possibilità di far
valere la responsabilità politica degli eletti nei confronti degli elettori. Questi ultimi, se non sono in
genere titolari di una potestà di revoca in corso di
mandato, sul modello del già citato recall o dell’Abberufungsrecht elvetico, possono comunque
porre in essere quella revoca di fatto che è rappresentata dalla mancata rielezione, e che può colpire,
oltre ai singoli eletti, i partiti politici di cui essi fanno
parte.
In secondo luogo, il principio democratico postula
che le decisioni adottate mediante il processo democratico siano rivedibili e che pertanto il popolo
e gli organi da esso derivanti abbiano il potere di
modificarle, mediante nuove applicazioni del principio di maggioranza. Trarre le estreme conseguenze
di questa impostazione significherebbe non solo evidenziare l’inesauribilità del potere legislativo e la modificabilità delle norme costituzionali, ma ritenere necessaria una periodica revisione della Costituzione
nel suo complesso, in base all’argomento – sostenuto da alcune correnti democratiche radicali – che
in un sistema democratico nessuna generazione potrebbe vincolare le generazioni successive 127.
2.3.5 La temporaneità delle cariche elettive e la reversibilità delle decisioni adottate. – Il principio de-
mocratico richiede non solo che l’origine e il fondamento dell’ordinamento costituzionale e dei poteri
attribuiti all’apparato di governo risiedano nel popolo, ma anche che quest’ultimo sia periodicamente
121
C. cost. 84/1969.
BOBBIO, 1984, 85.
RILL, SCHÄFFER, cit., 15.
124
D’ATENA, 1995, 136. Può invece variare il contenuto preciso della « temporaneità »: il costituzionalismo contemporaneo non ha accolto l’aspirazione dei whigs americani della fine del settecento, i quali connettevano la democrazia alle
annual elections (si v. WOOD, The creation of the American Republic, London-New York, 1969, 166, che cita la massima
dei radicali whigs: « where annual elections end, tyranny begins »), ed ha fissato termini di durata in carica per i Parlamenti e per gli altri organi democraticamente eletti quantomeno biennali (la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti)
o triennali (era il caso del Riksdag svedese sino al 1994 e, oggi, dei Parlamenti messicano, australiano e neozelandese),
ma il più delle volte quadriennali o quinquennali.
125
In genere si tratta dello stato di guerra. Cosa diversa è la modifica in via generale della durata della legislatura: il
caso più celebre è il Septennial Act, adottato nel 1701 dal Parlamento inglese per prolungare da tre a sette anni la durata massima della legislatura in corso e di quelle successive.
126
ESPOSITO, 1954, 7.
127 Questa concezione risale a JEFFERSON, Letter to Samuel Kercheval [12.7.1816], in Writings, The Library of America,
1984, 1395-1403.
122
123
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Tuttavia, a questa visione di una democrazia illimitata va obiettato che almeno uno specifico limite è
logicamente necessario alla stessa sopravvivenza
della democrazia: perché quest’ultima possa restare
tale, al principio di maggioranza deve essere sottratta la decisione sulla regola che sta a suo fondamento 128. Ed uno statuto analogo va riconosciuto
a tutti quegli istituti senza i quali il nudo principio
di maggioranza sarebbe privo di significato. Il costituzionalismo contemporaneo, peraltro, si è spinto
ben oltre, prevedendo non solo la rigidità della Costituzione ma anche limiti assoluti alla revisione costituzionale, come nel caso dell’art. 139 della Cost.
italiana.
Dal primo punto di vista, la questione più delicata è
relativa ai vincoli ricavabili dall’art. 1 a carico dei sistemi elettorali: va cioè posto il problema della legittimità costituzionale di sistemi diversi da quello proporzionale 130, il quale (pur nella varietà dei meccanismi tecnici in cui può trovare corpo, alcuni dei quali
possono produrre effetti nient’affatto proporzionali 131,
come il sistema elettorale spagnolo ben dimostra),
dando corpo all’antico canone di giustizia distributiva «a ciascuno il suo» e, soprattutto, garantendo la
presenza delle principali minoranze negli organi rappresentativi, sicuramente soddisfa le esigenze minimali di democraticità 132. Per quanto attiene al solo
principio democratico sembrano presentare problemi
dal punto di vista della legittimità costituzionale tutti
quei sistemi elettorali i quali non garantiscano la presenza in Parlamento delle principali minoranze politiche 133. È il caso di sistemi elettorali celebri – e praticati in Paesi sicuramente democratici, quali Regno
Unito, Francia e Stati Uniti – imperniati esclusivamente sul collegio uninominale (a turno unico o a
doppio turno) 134. L’esigenza di una rappresentanza
delle principali minoranze sembra invece assicurata
dai sistemi misti, come quelli praticati attualmente in
Italia, sia a livello statale (in cui esistono correttivi
di tipo proporzionale al sistema uninominale 135), sia
a livello regionale 136, provinciale e comunale 137 (ove
opera il meccanismo opposto, del premio di maggioranza innestato su sistemi a base proporzionale) 138.
D’altro canto, il principio democratico è stato invocato nell’ultimo quindicennio in una prospettiva opposta. Muovendo da una distinzione fra democrazie
maggioritarie o competitive e democrazie consensuali
o consociative 139, o da quella fra democrazie mediate
2.4 La concretizzazione del principio democratico
nell’ordinamento costituzionale italiano: le procedure
di decisione popolare. – 2.4.1 Principio democratico
ed elezioni. – Come in ogni sistema democratico, an-
che nell’ordinamento italiano le elezioni delle Camere
del Parlamento nazionale sono la modalità principe
di esercizio della sovranità popolare.
Essenziali, in questo quadro, sono quindi le norme,
costituzionali e legislative, che concretizzano il principio della sovranità popolare. In questa prospettiva
l’art. 1 – unitamente ad altre disposizioni costituzionali, anzitutto l’art. 48 – pone alla legislazione subordinata elevati standards per la regolazione delle
procedure elettorali 129, sia per quanto attiene ai sistemi prescelti dal legislatore per l’elezione delle Camere e degli altri organi rappresentativi, sia per
quanto riguarda lo svolgimento delle campagne elettorali, e, più in generale, i meccanismi che presiedono alla competizione politica.
128
D’ATENA, 1995, 136.
Le leggi elettorali, pur non formalmente costituzionali, « debbono ritenersi tali in senso sostanziale » (LAVAGNA, 1952,
850): esse « sono leggi ordinarie di rilevanza costituzionale, debbono in modo particolarmente rigoroso adeguarsi alla
Costituzione » (ivi, 451)
130
La tesi secondo cui il sistema proporzionale sarebbe non solo di fatto presupposto, ma normativamente imposto dalla
Cost. è stata sostenuta da LAVAGNA, 1952, 848-855. Si v. la confutazione di tesi di questo tipo in SCHUMPETER, Capitalismo, socialismo, democrazia [1942], trad. it., Milano, 1954.
131 L’ambiguità della locuzione « sistema proporzionale » sta nel fatto che esso può riferirsi al metodo utilizzato per trasformare i voti in seggi (ad es. il metodo d’Hondt) o agli effetti di un sistema elettorale.
132
Per una lettura « forte » del nesso tra rappresentanza proporzionale e democrazia si v. MILL, Considerazioni sul governo rappresentativo [1861], trad. it., Milano, 1946, 126 (cap. VII).
133
Osservava LAVAGNA, 1952, 862: « che le minoranze debbano aver posto in Parlamento è […] canone indiscutibile della
Costituzione ».
134
Il sistema uninominale pone inoltre il problema delle dimensioni dei collegi, che devono essere pressoché eguali per
rispettare il principio one man one vote.
135
Si v. le leggi 276/1993 e 277/1993. Problemi potrebbero invece essere posti da sistemi elettorali proporzionali che adottassero clausole di sbarramento eccessivamente elevate: così LUCIANI, 1991, 39-40.
136
Si v. l. 43/1995, l. cost. 1/1999, l. 165/2004 e leggi reg. di dettaglio.
137
Si v. l. 81/1993.
138
Da ultimo, mentre questo Commento era già in bozza, la l. 270/2005 ha introdotto anche per le elezioni del Parlamento nazionale un sistema a base proporzionale con premio di maggioranza.
139 LIJPHART, Le democrazie contemporanee [1984], Bologna, 1988, che contrappone il « modello Westminster » (11 ss.)
alle « democrazie consensuali » (31 ss.). Altri ragiona di democrazia maggioritaria: v. PASQUINO, Mandato popolare e governo, Bologna, 1995, 7 ss.; BARTOLE, Democrazia maggioritaria, in Enc. Dir., Agg. V, Milano, 2001, 346 ss.
129
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ed immediate 140, è stata sostenuta la tesi secondo
cui il principio democratico esigerebbe che i cittadini siano posti in condizione di scegliere non solo
la composizione dell’organo legislativo-rappresentativo, ma anche la maggioranza e/o il governo e il suo
leader. La democrazia si configurerebbe pertanto
come un valore che imporrebbe vincoli performativi
ai sistemi elettorali ed alla forma di governo 141.
Finalità di questa argomentazione era sostenere
riforme costituzionali in senso presidenziale o in favore dell’elezione diretta del Primo Ministro o, più
modestamente, riforme elettorali in senso maggioritario, tanto a livello statale, quanto a livello di enti
territoriali minori. A questa esigenza di legittimazione
democratica degli Esecutivi «in entrata» se ne è poi
affiancata un’altra «in uscita», sostenendosi che: a)
un voto di sfiducia all’organo di vertice del potere
esecutivo dovesse necessariamente comportare (oltre alle dimissioni dell’Esecutivo sfiduciato) lo scioglimento dell’organo rappresentativo e la convocazione di nuove elezioni 142; o addirittura che b) la destituzione dell’organo di vertice del potere esecutivo
eletto direttamente potesse aver luogo solo mediante
decisione popolare e, comunque, non ad opera di un
atto dell’organo rappresentativo 143.
Alcune di queste convinzioni si sono tradotte in leggi
ordinarie e costituzionali e sono quindi entrate a far
parte del diritto positivo italiano. Non sembra però
che i presupposti ideologici ora enunciati siano di
per sé desumibili dal principio democratico o della
sovranità popolare. Infatti, anche se l’impostazione
ora esposta contiene elementi di verità, e incorpora
aspirazioni legittime in termini di qualità della democrazia, essa è troppo appiattita sull’esigenza di evidenziare un continuum tra il voto del corpo eletto-
rale e una maggioranza stabile (e in talune versioni
un rapporto diretto col leader di quest’ultima); essa,
inoltre, ipostatizza la volontà popolare e sopravvaluta la continuità programmatica fra elezioni, maggioranza parlamentare e leader della coalizione di
governo, trascurando la complessità delle dinamiche
politiche e delle mediazioni che sono affidate alla
rappresentanza. Tale concezione, infine, prefigurando
un ruolo eccessivamente forte del capo dell’Esecutivo, al cui servizio la maggioranza parlamentare
viene posta, rischia di farne l’interprete autentico
della volontà popolare e si pone in tensione con l’aspirazione del costituzionalismo a dividere e limitare
il potere, oltre che con il versante negativo della sovranità popolare (v. supra par. 2.3).
D’altro canto, contro siffatte utilizzazioni estensive
della sovranità popolare, intesa come valore costituzionale, deve ricordarsi che essa è canalizzata dalla
Costituzione nelle forme da essa previste: non è pertanto corretto utilizzarla per destrutturare le traduzioni che ne sono offerte dalla normativa costituzionale. Altra cosa, naturalmente, è ragionare in base
alla sovranità popolare come principio per valutare
la conformità ad essa di soluzioni adottate con legge
ordinaria.
2.4.2 Principio democratico e referendum. – Accanto
alle elezioni, il referendum costituisce la modalità
principale di esercizio unitario della sovranità popolare, di cui esso costituisce «tramite» e «genuina
manifestazione» 144.
Le procedure di decisione popolare che la Costituzione italiana ha innestato sul tronco della democrazia rappresentativa (artt. 75, 123, 132, 133, 138
Cost.), dopo un lungo periodo di quiescenza, si sono
DUVERGER, La repubblica tradita, Milano, 1960, 66; ma anche GALEOTTI, Un governo scelto dal popolo: il governo di
legislatura, Milano, 1984, 26, e FROSINI T.E., 1997, 238, che contrappone le forme di governo a legittimazione diretta a
quelle a legittimazione indiretta. Premesse di questa visione della democrazia sono già in SCHUMPETER, cit., 257 ss. ELIA,
BUSIA, 1999, 70, ravvisano oggi una tendenziale prevalenza della democrazia immediata.
141 Si trattava, per riprendere il titolo di un fortunato pamphlet, di « restituire lo scettro al Principe », cioè al popolo (v.
PASQUINO, Restituire lo scettro al principe, Bari, 1985). Si v. anche le motivazioni con cui fu lanciata la raccolta delle
firme per i referendum elettorali al Congresso della FUCI svoltosi a Bari nel 1989. Una prospettiva non dissimile era accolta anche nel Messaggio del Presidente Cossiga alle Camere del 26.6.1991 (cfr. punti 4.0 e 5.0). Per una critica di queste concezioni v. LUCIANI, 1991, 65 ss.
142
Si v. la polemica sui « ribaltoni » apertasi a livello nazionale dopo la crisi del I governo Berlusconi nel gennaio 1995
e a livello locale dopo la crisi di alcune giunte regionali alla fine del 1998 e, più in generale, il dibattito sulla forma di
governo regionale e locale. Si rinvia a OLIVETTI, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, Bologna, 2002, e DI
GIOVINE, Appunto sulla cultura espressa dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, in La revisione costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo, a cura di Ferrari, Parodi, Padova, 2003, 215 ss.
143
Questa tesi è stata sostenuta in due questioni di legittimità giunte nel 2000 all’esame della Corte costituzionale, a proposito della legge regionale siciliana sull’elezione diretta dei sindaci. La Corte ha dichiarato manifestamente infondata
la questione, fra l’altro invocando l’analogia con la l. cost. 1/1999, ove la mozione di sfiducia al Presidente della Giunta
eletto direttamente è espressamente prevista da disposizione di rango costituzionale (art. 126 Cost. e art. 5, l. cost.
1/1999), sia pure con la conseguenza automatica dello scioglimento del Consiglio regionale [cfr. C. cost. (ord.) 305/2000
e 446/2000, sulle quali v. RIDOLFI, Mozione di sfiducia al sindaco e forma di governo comunale in Sicilia, in Giur.
cost., 2001, 1639 ss.].
144
C. cost. 16/1978. In varie sentenze la Corte afferma che i promotori di un referendum attivano la sovranità popolare
(v. C. cost. 69/1978, 118/1995, 226/1995, 1/1979, 2/1979, 161/1995, 9/1997, 195/2003).
140
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Costituzione della Repubblica Italiana
rivelate incisive anche nella prassi, come evidenzia
sia l’elevato numero di votazioni deliberative (60 referendum nazionali dal 1974 al 2005), sia la qualità
delle questioni affrontate, che sono senza termini di
paragone per Stati di dimensione medio-grande.
Nell’ordinamento italiano il referendum – malgrado
il suo ruolo tutt’altro che marginale – non è equiparato alle elezioni come forma ordinaria di pratica
della democrazia 145, come risulta dal fatto che – a
livello nazionale – la Costituzione prevede solo referendum eventuali (non automatici, ma su richiesta), che sono collocati in posizione non pienamente
parificata alle manifestazioni di volontà della rappresentanza (il referendum sulle leggi ordinarie è vincolato alla forma abrogativa; il referendum costituzionale può essere escluso con l’approvazione della
legge cost. a maggioranza dei due terzi 146). E anche
la possibilità di riconoscere alle votazioni referendarie di maggiore rilievo nel nostro ordinamento
(quelle di cui all’art. 75 Cost.) una «forza passiva»
che le sottragga all’operatività di leggi statali successive appare oltremodo problematica: e ciò non
solo nel caso in cui il corpo elettorale si sia espresso
mediante l’astensione o il voto contrario al quesito,
ma anche in quello in cui abbia optato per l’abrogazione.
Più che sul referendum come modo di traduzione
del principio democratico, il giurista positivo deve
soffermarsi sui requisiti che il principio democratico
impone alle procedure referendarie e che sono stati
sinora sviluppati dalla legislazione ordinaria di attuazione degli artt. 75 e 138 e dalla giurisprudenza
costituzionale, la quale, soprattutto a partire dalla
sentenza 16/1978, ha enucleato una serie di vincoli
alla struttura del quesito del referendum abrogativo
che sono stati desunti dall’esigenza di rispettare la
libertà di voto dell’elettore e lo stesso principio democratico 147. Questi problemi saranno trattati nel
commento all’art. 75.
2.5 Il principio democratico oltre la decisione popolare. – La dottrina italiana del secondo dopoguerra
ha sottolineato che il principio democratico non si
esaurisce nelle procedure decisionali della democrazia rappresentativa e partecipativa. Il popolo, infatti, è dotato di strumenti che non lo costringono
ad agire solo per il tramite dello Stato-persona o delle
altre persone giuridiche pubbliche (in particolare degli enti territoriali) e che non si esauriscono nelle
procedure di decisione diretta, ma si articolano in
una complessa panoplia di strumenti partecipativi, i
quali fanno capo per lo più all’esercizio di diritti fondamentali 148.
D’altro canto la natura democratica dello Stato ha
riflessi anche su quegli apparati che sono sottratti
ad una legittimazione democratica diretta in virtù di
istanze garantistiche, espressione della logica dello
Stato di diritto.
2.5.1 Principio democratico e partiti politici. – Un ca-
nale cruciale 149 per l’esercizio della sovranità popolare, è rappresentato dai partiti politici, i quali (rigorosamente al plurale, data la coessenzialità del
principio del pluralismo partitico al carattere democratico dell’ordinamento italiano 150) sono disegnati
dall’art. 49 come modalità con cui i cittadini possono
145
Ci sembra dunque da accogliere, per le ragioni indicate nel testo, quella che BETTINELLI, Referendum abrogativo e riserva di sovranità, in Scritti Mortati, III, Milano, 1977, 140, definisce – criticandola – la tesi della « eccezionalità » del
referendum nel sistema costituzionale italiano. La ragione di tale eccezionalità va ravvisata nel rifiuto – da parte dell’Assemblea Costituente – dell’impianto di fondo delle proposte referendarie presentate da Costantino Mortati in Assemblea costituente, le quali, se accolte nel loro insieme, avrebbero sì configurato la democrazia italiana come « semidiretta ».
146
Secondo la Corte costituzionale « al terzo comma, lo stesso articolo 138 preclude del tutto la possibilità di un intervento popolare quando stabilisce che “ non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti ”, con ciò confermando che la revisione
costituzionale è appunto, in primo luogo, potere delle Camere » (sentenza 496/2000). Infatti, secondo il giudice delle leggi,
« nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se non nelle forme tipiche previste dall’art. 138 della Costituzione » (ibidem).
Nel suo messaggio alle Camere del 26.6.1991, l’allora Presidente della Repubblica Cossiga, sostenne che le riforme della
Costituzione – da lui giudicate necessarie – avrebbero dovuto essere adottate con una procedura che coinvolgesse direttamente il popolo, per rispettare « in concreto la naturale e primigenia preminenza della sovranità popolare ed il carattere originario dell’essere il popolo in democrazia l’unico e vero sovrano reale ».
147
Secondo la Corte, « un voto bloccato su molteplici complessi di questioni, insuscettibili di essere ridotte ad unità,
contraddice il principio democratico, incidendo di fatto sulla libertà del voto stesso (in violazione degli artt. 1 e 48
Cost.) » (sentenza 16/1978).
148
Cfr. per tutti CRISAFULLI, 1985, 127 ss.
149
Ritengono che i partiti siano un fenomeno non solo possibile, ma necessario, della democrazia RILL, SCHÄFFER, cit.,
16. Essi, secondo ESPOSITO, I partiti politici, in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 228, sono « il tratto
d’unione tra il popolo e gli investiti del potere ».
150
Cfr. ad es. C. cost. 19/1962.
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
concorrere a determinare la politica nazionale. Tale
valenza partecipativa dei partiti (cioè la loro natura
di luogo idoneo a consentire una partecipazione non
episodica, ma permanente alla vita pubblica) è stata
a lungo sottolineata in dottrina 151 e nel dibattito politico. Nella fase più recente, invece, il rapporto fra
partiti e democrazia sembra essersi invertito: essi
sono stati più volte qualificati come elemento di
ostruzione alla libera esplicazione della sovranità popolare e non più come canale di partecipazione democratica 152. Il «multipartitismo estremo» 153 generato (o quantomeno non impedito) dal sistema elettorale proporzionale è stato percepito, dalla fine degli anni ottanta in poi, come un ostacolo al potere
di scelta degli elettori 154 e alla possibilità che quest’ultimo potesse investire la coalizione di governo
(v. supra par. 2.4.1). Questa nuova lettura del rapporto partiti-sovranità popolare corrisponde del resto ad una degenerazione del ruolo svolto dai partiti politici nel sistema politico italiano.
Il rapporto partiti-democrazia ha poi un secondo risvolto: il vincolo costituzionale ad essi imposto ad
operare, nel concorso alla determinazione della politica nazionale, «con metodo democratico». La lettura (politica e dottrinale) prevalente di tale indicazione costituzionale – che è stata ridotta all’esigenza
di un confronto pacifico e rispettoso delle regole del
gioco fra i vari partiti politici, escludendosi l’esistenza
di un vincolo costituzionale a carico dei partiti stessi
a dotarsi di una organizzazione interna di tipo democratico 155 – può certo essere spiegata con il timore dell’apparizione anche in Italia di dottrine della
« democrazia protetta » 156, che nel caso italiano
avrebbe avuto conseguenze ben più incisive che nel
caso tedesco, in quanto avrebbe potuto essere invocata per eliminare dal panorama partitico non solo
soggetti marginali (quale il Movimento Sociale Italiano), ma la principale forza di opposizione (il Par-
tito Comunista). Resta il fatto che l’abbandono delle
dinamiche interne ai partiti ad un assetto del tutto
de-regolato 157 ha contribuito alla degenerazione del
loro ruolo or ora ricordata. È inoltre certo che «senza
l’affermazione dei principi democratici anche all’interno dei partiti […] è difficile evitare una democrazia di pura investitura, assai prossima a quella
plebiscitaria» 158.
Nella legislazione più recente, il metodo democratico richiesto dall’art. 49 si è tradotto in una disciplina delle campagne elettorali ispirata al principio
della parità di chances o par condicio fra le diverse
forze politiche (ll. 515/1993 e 28/2000) 159.
Nell’assetto creatosi dopo la riforma elettorale in
senso maggioritario le coalizioni hanno mutato natura, divenendo da accordi fra i partiti, soggetti 160
composti da questi, che svolgono un ruolo essenziale sia in sede di elezione degli organi rappresentativi, sia nella dialettica politica. Tali nuovi soggetti
evidenziano un deficit democratico addirittura superiore a quello che caratterizza i partiti e che in vario modo si tenta di superare (ad es. con il ricorso
ad una variante italiana delle elezioni primarie).
2.5.2 Principio democratico e sindacati. – Anche i sin-
dacati, come i partiti politici e più in generale le associazioni, sono un canale per l’esercizio della sovranità popolare 161 (e, in particolare, essi «sono insopprimibili istituzioni di una democrazia fondata sul
lavoro» 162), ma al tempo stesso presentano il problema della garanzia di una organizzazione interna
a carattere democratico. A differenza di quanto stabilito per partiti e associazioni, la Costituzione non
si è pronunciata sui metodi con cui tali soggetti collettivi sono tenuti ad operare, ma ha previsto l’obbligo di una organizzazione interna a carattere democratico, sia pure configurata solo come condizione
per la registrazione dei sindacati (a sua volta pre-
151
Si ricordi la tesi di MORTATI, Note, cit., 111 ss., secondo cui l’esercizio della sovranità spetterebbe in concreto alla
maggioranza – consistente di parte del corpo elettorale e dei partiti di maggioranza, organi costituzionali occupati da
esponenti di tali partiti – stante l’impossibilità per il popolo di agire in modo unitario.
152
Rilevano la « crisi del mediatore partitico » ELIA, BUSIA, 1999, 70.
153
ELIA, Governo (forme di), in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, 654 ss.
154
Cfr. AMATO, 1994, 182; PITRUZZELLA, Verso una democrazia maggioritaria: ambiguità e limiti dell’ingegneria costituzionale in Italia, in Modelli istituzionali e riforma della Costituzione, a cura di Di Leo, Pitruzzella, Bologna, 1999,
329.
155
Si v. una sintesi critica di tale dibattito in RIDOLA, Partiti politici, in Enc. Dir., XXXII, Milano, 1982, 109 ss.
156
Su tale concetto, oltre ai commenti all’art. 21 della Grundgesetz nei principali commentari, si v. da ultimo PAPIER,
DURNER, Streibare Demokratie, in Archiv des öffentlichen Rechts, 2003, 341 ss.
157
LANCHESTER, La propaganda elettorale e referendaria in Italia tra continuità sregolata e difficile rinnovamento, in
Quaderni cost., 1996, 394.
158
RIDOLA, cit., 85 ss.
159
Al riguardo v. BETTINELLI, Par condicio, Torino, 1995; Par condicio e Costituzione, a cura di Modugno, Milano, 1997.
160
Le coalizioni, per il momento, sono sopravvissuti anche nella competizione elettorale del 2006, pur dopo la riforma
che ha introdotto un sistema proporzionale corretto (l. 270/2005).
161
CRISAFULLI, 1985, 129-131.
162
Così BONIFACIO, Il lavoro fondamento della Repubblica democratica, in Studi XX Costituzione, III, Firenze, 1969, 24.
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Costituzione della Repubblica Italiana
supposto per l’efficacia generale dei contratti collettivi da essi conclusi). Di tale disposizione è nota
la inattuazione 163: si rinvia al commento all’art. 39.
che l’associazione abbia una struttura democratica
interna 166.
La legislazione ordinaria ha imposto il vincolo democratico alla struttura interna di talune associazioni
(ad es. l. 266/1991), ma solo come condizione per
l’utilizzazione delle misure di promozione e sostegno
pubblici, previste nella legislazione più recente 167.
2.5.3 Principio democratico e associazioni. – Che la
ricchezza del tessuto associativo sia una linfa vitale
per ogni sistema democratico e per il radicamento
di esso nella società è affermato da una ricca tradizione che affonda le sue radici nel pensiero di Tocqueville 164 e trova oggi alcune chiavi di lettura nelle
teorie della democrazia associativa 165 e della sussidiarietà orizzontale. Concezioni di questo tipo hanno
influenzato i lavori preparatori della Cost. del 1947,
soprattutto attraverso i costituenti democratico-cristiani (si v. per tutti l’o.d.g. Dossetti). Rinviando al
commento all’art. 2 per i problemi rilevanti in questa prospettiva, occorre brevemente accennare in
questa sede solo al principio democratico come
eventuale vincolo alla struttura interna delle associazioni.
La Costituzione non impone alle libere associazioni
il vincolo della struttura democratica interna, ma si
limita a prevedere un obbligo di pubblicità (ricavabile dal divieto di associazioni segrete) e ad imporre
il rispetto del metodo democratico come forma di
azione nella sfera pubblica (ricavabile fra l’altro dal
divieto di associazioni che perseguono scopi politici
mediante un’organizzazione di carattere militare).
Una struttura democratica interna può tuttavia essere costituzionalmente imposta alle associazioni
coattive, nelle quali la libertà negativa di associazione
può essere compressa in virtù dell’esigenza di garantire altri beni costituzionali, ma solo a condizione
2.5.4 Principio democratico e sistema dell’informazione. – Premesso il rapporto di strumentalità – an-
che se non di funzionalizzazione 168 – fra la libertà di
manifestazione del pensiero e il principio democratico 169, un rapporto ben più stretto e specifico intercorre fra tale principio da un lato e la libertà di
informazione e il sistema dell’informazione dall’altro 170.
Un sistema improntato al principio democratico –
nel quale, quindi, i cittadini siano in vario modo messi
in condizione di partecipare all’adozione di decisioni
rilevanti per la vita collettiva – richiede necessariamente, oltre alla già citata tutela della manifestazione
del pensiero, anche una qualche tutela della libertà
di informazione, sia come diritto di informare, sia
come diritto a cercare e a ricevere informazioni 171:
è in questo senso che la Corte costituzionale qualifica il diritto all’informazione come un «valore cardine del sistema democratico» 172. È peraltro noto
che tali libertà esibiscono anche una dimensione organizzativa, che attiene alla disciplina della stampa
e a quella dei media più moderni: la radio, la televisione, internet. Eventuali assetti di tipo monopolistico in tali sistemi condizionerebbero la formazione
del consenso: «i mass media […] precondizionano
163
La Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare che « l’apprestamento di […] nuove regole – ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato
– è ormai necessario per garantire una più piena attuazione in materia dei principi costituzionali » (sentenza 30/1990, in
fine).
164
TOCQUEVILLE, La democratie en Amerique [1848], parte II, cap. IV e parte III, libro II, cap. V.
165
HIRST, Dallo statalismo al pluralismo. Saggi sulla democrazia associativa, Torino, 2001.
166
È questo il requisito imposto da C. cost. 11/1963 all’ordine dei giornalisti. Il ragionamento della Corte si presta però
alla critica in quanto sostituisce ad una libertà (quella di non associarsi) un diritto di partecipazione (che evidenzia una
carica garantistica meno intensa).
167 Su questi problemi v. RIGANO, La libertà assistita, Padova, 1995, e, più in generale, il commento all’art. 18.
168
ESPOSITO, La libertà di manifestazione nel pensiero nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1957; lo stesso
ESPOSITO, 1954, 7, afferma che « la libertà di riunione, di associazione e di stampa […] non tendono solo a garantire gli
individui dallo Stato, ma anche a dare allo Stato un’organizzazione democratica ».
169
Secondo C. cost. 126/1985 « occorre ribadire la rilevanza centrale […] che la libertà di manifestazione del pensiero,
anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell’attuazione del principio democratico, non solo nel nostro ordinamento, che in relazione a tale principio solennemente si qualifica (art. 1 Cost.), ma nelle più significative espressioni della civiltà giuridico-politica che in esso trova la sua caratterizzazione di fondo » (n. 6). Del resto, già TOCQUEVILLE,
cit., parte II, cap. III, osservava che la sovranità popolare e la libertà di stampa sono due cose che tra loro intimamente
si armonizzano.
170
Per tutti v. CRISAFULLI, Problematica della « libertà di informazione », in Il Politico, 1964, 292, secondo il quale la libertà di informazione realizza « un modo indiretto di partecipazione dei cittadini alla formazione degli indirizzi politici ».
171
Ciò è ad es. riconosciuto dall’art. 12, 2° co., del nuovo Statuto del Piemonte, secondo il quale « la regione garantisce
l’informazione più ampia e plurale sulla propria attività come presupposto per promuovere e favorire la partecipazione
dei cittadini alla vita della comunità regionale ».
172
Così un obiter dictum della sentenza 11/1981.
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
indiscutibilmente l’esercizio dei diritti politici. Quindi
la loro disciplina – o la loro “ non” disciplina – può
avere un effetto determinante sugli esiti delle consultazioni elettorali e referendarie» 173. È in questo
contesto che vanno collocate le decisioni con cui la
C. cost. ha sottolineato in più occasioni la necessità
del pluralismo del sistema radiotelevisivo (pluralismo
esterno) 174 e dell’organizzazione interna delle singole
imprese radiotelevisive (pluralismo interno). Ma per
questi problemi si v. il commento all’art. 21.
In secondo luogo la Costituzione prevede da un lato
la subordinazione dell’amministrazione (e degli atti
amministrativi) alla legge 176 e dall’altro il potere del
Governo (a sua volta politicamente responsabile) di
imprimere all’amministrazione un indirizzo («politico
ed amministrativo») di cui il Presidente del Consiglio deve garantire l’unità ai sensi dell’art. 95 Cost. 177.
Infine, «lo svolgimento delle funzioni […] di pubblici amministratori deve tener conto che i destinatari dei loro atti, sebbene sottoposti al loro potere
giuridico, non sono sudditi ma cittadini, attuali titolari di diritti e potenziali titolari di pubbliche funzioni» 178. Di qui la legislazione ordinaria che ha tentato di dare un respiro democratico al rapporto cittadino/P.A., in particolare mediante le leggi sul procedimento amministrativo (leggi 241/1990 e
15/2005) 179 e sullo statuto del contribuente (l.
212/2000). Per le colorazioni che il principio democratico assume in quel peculiare ramo dell’amministrazione rappresentato dalle Forze armate si rinvia
al commento all’art. 52 180.
2.5.5 Principio democratico e pubblica amministrazione. – La sovranità popolare investe la P.A. con
modalità diverse da quelle riguardanti gli organi rappresentativi. Infatti «negli odierni sistemi liberaldemocratici l’elettività (e quindi la politicità) è la regola per la formazione degli organi legislativi, la professionalità per gli organi dell’attuazione e dell’applicazione delle leggi» 175. Il collegamento dell’amministrazione con la sovranità popolare è in questo caso
realizzato mediante due diversi meccanismi.
In primo luogo occorre considerare le tecniche di
reclutamento dei funzionari pubblici: esse, certo, non
hanno luogo mediante la forma dell’elezione, ma sono
comunque soggette al rispetto dei principi di apertura, pubblicità-trasparenza e formalizzazione, che devono reggere lo svolgimento dei pubblici concorsi.
Stante il diritto di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici, la pubblica amministrazione è parte
della cittadinanza e non un corpo estraneo ad essa
[si rinvia ai commenti agli artt. 51 e 97].
2.5.6 Principio democratico e potere giudiziario. – La
soggezione del potere giudiziario alla sovranità popolare è configurata dalla Costituzionale in termini
simili a quelli delineati per la P.A. La legittimazione
ultima del potere giudiziario risiede nella sovranità
popolare, come risulta dall’art. 101, laddove esso afferma solennemente che «la giustizia è amministrata
in nome del popolo» 181. Come per la P.A., il legame
con il principio democratico è mediato dalla sogge-
173
Così PACE, Sovranità popolare e mass media, in AA.VV., 2004, 90, evidenziando inoltre che « i valori che vengono in
gioco nella disciplina dei mezzi di comunicazione di massa sono anche quelli sottesi all’art. 1 comma 2 Cost. ».
174
V. in generale C. cost. 826/1988, ove si sottolinea il valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico,
348/1990 (che interpreta il pluralismo come condizione preliminare per l’attuazione ad ogni livello della forma propria
dello Stato democratico), 21/1991 (ove si evidenzia il nesso fra informazione pubblica e pluralismo per l’effettività del
principio democratico).
175
SORRENTINO, cit., 219.
176
La tecnica costituzionalmente esplicitata è la riserva di legge relativa dell’art. 97 Cost. in materia di organizzazione
dei pubblici uffici, cui si affianca il principio (costituzionalmente implicito) di legalità.
177
Invero non pare che la Costituzione abbia operato una così netta scelta fra questi due modelli, come quella delineata
da SORRENTINO, cit., 220, in favore del primo. Cfr. comunque questo stesso autore per la diversa modalità di raccordo
con la sovranità popolare prevista per le c.d. amministrazioni indipendenti (responsabilità verso il Parlamento anziché
verso il Governo).
178
SORRENTINO, cit., 221.
179
Sulla valenza democratica della partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo v. CARTABIA, La tutela
dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, 1991, 54 ss. Per una critica della ricostruzione di tali problemi facendo riferimento al principio democratico v. GROSSI, 1998, 721 ss. Sulla connessione tra diritto di accesso agli atti amministrativi e sovranità popolare si v. C. cost. 460/2000. Nel sollevare la questione, il Consiglio di Stato aveva individuato
nella sovranità popolare uno dei fondamenti costituzionali del diritto di accesso. La C. cost. non ha seguito questa prospettiva, ritenendo che la sovranità popolare e l’inviolabilità dei diritti « che permeano di sé ambiti assai vasti dell’ordinamento costituzionale », dovessero in tal caso rimanere sullo sfondo, per lasciare il primo piano ad altri parametri aventi
efficacia qualificatoria più immediata.
180
Si può in generale osservare che la locuzione « spirito democratico » contenuta nell’art. 52 è intesa dalla Corte in
chiave liberale, atteso che essa esprime una « generale tendenza al maggiore possibile avvicinamento dei diritti del cittadino militare a quelli del cittadino che militare non è ». Cfr., ad es., C. cost. 490/1989 e 104/1991. Su questo tema v.
BALDUZZI, Principio di legalità e spirito democratico nell’ordinamento delle forze armate, Milano, 1988.
181
Un cenno in questo senso in C. cost. 216/1986, punto 3 del Cons. in diritto.
27
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OPERA CELOTTO
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Costituzione della Repubblica Italiana
zione alla legge ed il potere giudiziario opera fra
eguali, in quanto la giustizia è amministrata da funzionari reclutati con concorso pubblico ed i destinatari dei suoi atti sono cittadini e non sottoposti.
Nel caso dei giudici, la soggezione alla legge è però
esclusiva ed abbinata alla rigorosa indipendenza del
potere giudiziario da ogni altro potere (art. 104, 1°
co.) e del singolo giudice all’interno dell’ordine giudiziario (art. 107). A ciò dovrebbe corrispondere una
discrezionalità più ristretta di quella residuante in
capo all’amministrazione: ma l’ampiezza (e la creatività) del «potere dei giudici» 182 è il nodo problematico del rapporto fra sovranità popolare e potere
giudiziario, che non può essere svuotato nei due opposti (ma entrambi inadeguati) schemi del giudice
come «potere nullo» 183 e del gouvernement des juges 184. Piuttosto, in una prospettiva democratica, non
può non essere posto il problema del rapporto potere-responsabilità (sia in generale, sia con riferimento specifico ad abusi nell’esercizio della funzione
giurisdizionale 185), così come quello dei meccanismi
di riequilibrio utilizzabili dal potere legislativo (leggi
di interpretazione autentica 186, réferé législatif 187, ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione).
La soggezione del giudice alla legge è inoltre confinata nei limiti della Costituzione: il giudice, infatti,
a differenza del funzionario amministrativo, può mettere in moto il giudizio di legittimità costituzionale,
a seguito del quale egli può essere liberato dalla sog-
gezione alla legge incostituzionale. Siffatta dinamica
propria del giudizio in via incidentale è uno degli
elementi caratterizzanti del modello europeo di giustizia costituzionale (e, in particolare, di quello italiano) in prospettiva storico-comparata.
Il rapporto del potere giudiziario con il cittadino è
configurato lungo linee maggiormente impregnate di
una connotazione autoritativa rispetto al rapporto fra
cittadino e P.A., in ragione del ruolo di custode ultimo del bilanciamento fra libertà e sicurezza che gli
artt. 13 ss. Cost. affidano all’autorità giudiziaria.
Sono comunque connesse al principio democratico
la già ricordata composizione della magistratura di
cittadini reclutati con concorso pubblico, l’universalità dell’accesso ad un giudice, il diritto di difesa 188,
il principio di pubblicità dei dibattimenti, che «è coessenziale ai principi ai quali, in un ordinamento costituzionale fondato sulla sovranità popolare, deve
conformarsi l’amministrazione della giustizia» 189 e
l’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie (e
la conseguente soggezione alla critica 190).
2.5.7 Principio democratico e giustizia costituzionale.
– La giustizia costituzionale è stata a lungo ritenuta
incompatibile con il principio della sovranità popolare (o nazionale) come realizzato, attraverso le
forme della rappresentanza, soprattutto sul continente europeo fino alla metà del novecento. La netta
inversione di tendenza registratasi nell’ultimo mezzo
secolo non cancella i problemi posti in questo campo
182
Riprendiamo il titolo di un efficace saggio di sociologia del potere giudiziario: PIZZORNO, Il potere dei giudici, Bari,
1998. Per una ricca analisi dell’evoluzione della funzione giurisdizionale v. LUCIANI, Giurisdizione e legittimazione nello
Stato costituzionale di diritto, in Studi Elia, I, Milano, 1999, spec. 880 ss.
183
L’immagine risale a MONTESQUIEU, Esprit des lois [1748], XI, 6 (nell’ed. it. a cura di Cotta, Torino, 1965, 278 e 282).
184
Si v. il noto saggio di LAMBERT, Il governo dei giudici e la lotta contro la legislazione sociale negli Stati Uniti [1921],
trad. it., Milano, 1996.
185
Per questi ultimi il nostro ordinamento prevede la responsabilità disciplinare, che può essere fatta valere da parte
del Ministro della Giustizia mediante l’esercizio dell’azione disciplinare davanti al CSM (su ciò v. da ultimo SILVESTRI, Sovranità popolare e magistratura, in AA.VV., 2004, 248 ss., e la l. 150/2005).
186
Sui problemi posti da tali leggi, specie se retroattive, v. SILVESTRI, cit., 243.
187
Tale istituto (su cui v. HUFTEAU, Le référé législatif et le pouvoir du juge dans le silence de la loi, Paris, 1965) non
è previsto nel nostro ordinamento, ma se ne è tornati di recente a discutere (v. PACE, Una proposta: introdurre il réferé légisaltif, in Questione giustizia, 2003, VI).
188
Secondo C. cost. 18/1982, il diritto di difesa è da « ascrivere tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio ».
189
Così C. cost. 16/1981 (e prima già C. cost. 12/1971 e 25/1965). La sentenza 17/1981 precisa che il principio della pubblicità dei dibattimenti può incontrare eccezioni in funzione di altri valori costituzionali (ad es. la tutela dei minori) ma
costituisce la regola (per l’applicazione di questo approccio alla giustizia tributaria v. C. cost. 50/1989; 69/1991; 141/1998).
Nelle decisioni della Corte costituzionale sul principio di pubblicità delle udienze, la sovranità popolare funge da parametro costituzionale autonomo e non meramente sussidiario.
190
Si v. criticamente su questo punto GROSSI, 1998, 733, secondo il quale l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali svolge una funzione garantistica a favore dei soggetti interessati, come risulta dalla collocazione della disposizione che la prevede nell’articolo che disciplina il ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale. Tali critiche, peraltro, non sono del tutto persuasive. La motivazione delle decisioni giurisdizionali è un
istituto polifunzionale: oltre alla funzione di garanzia (evidente al massimo nei casi in cui la decisione è impugnabile)
essa ha anche una funzione di controllo democratico (sia pure in forma diffusa). Quest’ultima è anzi la funzione principale nel caso di provvedimenti giurisdizionali non soggetti all’impugnazione (quali le sentenze della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale).
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OPERA CELOTTO
1
Principi fondamentali
dalla «dialettica di due principi, che, astrattamente,
si contrappongono: il principio democratico e il principio liberale (nel senso specifico e storicamente determinato del garantismo liberale)» 191.
Sul piano del diritto positivo la giustizia costituzionale trova ovviamente, però, un fondamento nelle
disposizioni che la prevedono (artt. 134 ss.), le quali
si radicano a loro volta nell’art. 1, 2° co., laddove
esso prevede che la sovranità sia esercitata dal popolo «nelle forme e nei limiti della Costituzione»:
e dell’ideale del governo limitato la giustizia costituzionale costituisce il coronamento. La legislazione
di attuazione, precisando che «il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un
atto avente valore di legge esclude ogni valutazione
di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento» 192, ha tentato di
incanalare la giustizia costituzionale in un alveo dal
quale essa ha teso sempre più a tracimare (ad es.
con l’uso pervasivo e poco prevedibile del criterio
della ragionevolezza 193), in parallelo a quanto accaduto negli altri ordinamenti in cui operano istituti
analoghi. Il problema della legittimazione e dei confini della giurisdizione costituzionale non è stato per
ora posto nella dottrina italiana in maniera così netta
come in altri ordinamenti (ad es. quello statunitense).
sovranità popolare: «le autonomie locali costituiscono una parte essenziale dell’articolazione democratica dell’ordinamento repubblicano» 195.
La sovranità popolare, dunque, si esprime sia a livello nazionale, sia a livello locale e ne sono espressione tanto il Parlamento quanto le assemblee rappresentative regionali 196.
Il nesso sovranità popolare/autonomia politica opera
in un duplice senso: da un lato si ha sempre la seconda ove si ha la prima, nella forma dell’elezione
popolare di un organo rappresentativo. Su questa
base, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che aveva
istituito un nuovo ente territoriale prevedendo l’elezione a suffragio universale del suo organo rappresentativo 197 e ha motivato proprio in base alla connessione sovranità popolare/autonomia politica ed
alla tipicità degli enti territoriali dotati di autonomia
politica in base al (vecchio) art. 114. D’altro canto,
il nesso in esame si manifesta anche nell’organizzazione degli enti territoriali autonomi. Sembra possa
desumersi dal principio democratico che tali enti –
se costituzionalmente necessari e, soprattutto, se dotati di competenze legislative – debbano essere dotati di organi rappresentativi della comunità dei governati, eletti direttamente da quest’ultima 198, mentre restano impregiudicate le diverse opzioni possibili in termini di forma di governo.
2.5.8 Il principio democratico nella Repubblica delle
autonomie. – L’articolazione degli interessi sul terri-
2.5.9 Principio democratico e società civile. – Il dato
per cui soggetto lessicale della proposizione normativa contenuta nell’art. 1 è l’Italia e non lo Stato –
cui si aggiunge il riferimento dell’aggettivo democratica al sostantivo Repubblica – potrebbe indurre
a pensare che il principio democratico abbia portata
diffusiva non solo con riferimento agli apparati di
governo, ma anche alla società civile. Tale prospettiva di Demokratisierung aller Lebensbereiche 199 –
ovvero una sorta di Drittwirkung del principio de-
torio non impone di per sé l’adozione di una forma
di Stato politicamente decentrata: sarebbe infatti in
teoria possibile soddisfare bisogni differenziati mediante una differenziazione delle politiche «dall’alto»,
ad opera della legge statale 194. È invece l’aspirazione
dei destinatari dei bisogni a scegliere da sé – mediante i loro rappresentanti – la via per essi migliore
per soddisfarli a saldare il principio autonomistico
con quello democratico. In questo senso l’opzione
autonomistica contenuta nell’art. 5 si connette alla
191
Cfr. CRISAFULLI, La Corte costituzionale fra magistratura e parlamento, in Scritti Calamandrei, Padova, 1958, 277.
Così l’art. 28, l. 87/1953, una disposizione che, peraltro, secondo CHELI, Il giudice delle leggi, Bologna, 1996, 45, non
ha mai operato.
193
L’auspicio che la Corte riesca ad « articolare e vertebrare il criterio onnivoro della ragionevolezza » è stato autorevolmente espresso da ELIA, L’esperienza italiana della giustizia costituzionale. Alcuni nodi critici, in La giustizia
costituzionale in Europa, a cura di Olivetti, Groppi, Milano, 2003, 139.
194
Un buon esempio è la tecnica utilizzata nel Regno Unito per il governo della Scozia fino al 1998: essa si basava sia sul
mantenimento di un sistema giuridico parzialmente differenziato (lo Scots Law), sia sull’amministrazione facente capo allo
Scottish office e ad un segretario di Stato per la Scozia (meccanismi analoghi erano stati utilizzati sino al 1947 per l’India).
195
C. cost. 829/1988. Da ciò, secondo la Corte, deriva che alla Regione spetta la rappresentanza generale degli interessi
della collettività regionale.
196
C. cost. 106/2002 e 29/2003.
197
C. cost. 876/1988 (cfr. anche C. cost. 107/1976).
198
Tale vincolo non è espressamente previsto dalla Costituzione, che non prevede formalmente l’elezione a suffragio universale degli organi rappresentativi degli enti locali, pur menzionando – nel testo revisionato nel 1999 e nel 2001 – i relativi sistemi elettorali (art. 117, 2° co., lett. p e art. 122, 1° co.).
199
Cfr. ad es. DREIER, cit., 19 ss., e OBERNDORFER, Art. 1, in KORINEK, HOLOUBEK, Kommentar zur Bundesverfassung, 3ª
ed., Wien, 2000, 12.
192
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Costituzione della Repubblica Italiana
mocratico – era senza dubbio presente negli orizzonti dei Padri costituenti, ma è stata accolta solo
in misura parziale nel sistema costituzionale, come
si può vedere da un lato per l’art. 46 Cost. e dall’altro per l’organizzazione interna di partiti, sindacati
e associazioni (su cui v. supra parr. 2.5.1, 2.5.2 e
2.5.3).
Appare difficile, inoltre, intendere il principio democratico in chiave non solo strutturale – come sin
qui si è fatto – ma anche materiale 200. La prospettiva di una democrazia sostanziale presenta invero
contorni incerti. Se intesa come istanza partecipativa, essa trova nel sistema costituzionale (e nello
stesso principio democratico) un sicuro, anche se
complesso ed articolato, riconoscimento. Se intesa,
invece, come indirizzo ai poteri pubblici a realizzare
equi rapporti sociali, la base testuale di essa va ravvisata, più che nel principio democratico, nel principio lavorista (v. infra par. 2.7) o, ancor meglio, nell’art. 3, 2° co., al cui commento pertanto si rinvia.
zione dell’istanza democratica (sia per una maggiore
corrispondenza fra governanti e governati e fra output del processo politico e aspettative dei cittadini,
sia perché il potere più «vicino» è anche più «visibile» 203). Ma anche in questo caso, la riserva di sfere
di decisione a poteri politici decentrati (specie nelle
forme tipiche degli Stati regionali e federali) si configura come un limite all’espressione in forma unitaria della sovranità popolare. Un ragionamento analogo può essere proposto per il principio pluralista.
Il principio lavorista o dello Stato sociale è a sua
volta diretto a realizzare una democrazia «sostanziale», ma si configura altresì come un indirizzo al
libero esplicarsi della potestà decisionale degli organi costituzionali e del corpo elettorale, e quindi in
qualche modo come un limite – sia pure generico –
alla loro discrezionalità.
La stessa apertura dell’ordinamento giuridico italiano
al diritto internazionale 204 e il ripudio della guerra,
se sono in primo luogo un limite al principio democratico, sono d’altro canto strumentali ad esso per
taluni profili, quali la connessione fra pace e democrazia 205.
Ragionamenti analoghi potrebbero forse essere condotti circa altri principi costituzionali, quali quelli di
ragionevolezza, laicità, legalità, rigidità costituzionale,
nei quali appare prevalente la portata di limiti al libero esplicarsi della sovranità popolare e del principio democratico, ma non è assente una istanza di
garanzia del corretto formarsi della volontà popolare
e del regolare funzionamento dei pubblici poteri ad
essa strumentali.
2.6 I limiti al principio democratico: gli altri principi
costituzionali. – Il principio democratico è connesso
con altri principi costituzionali, ma al tempo stesso
può entrare in tensione con alcuni di essi. Ciò è evidente anzitutto per il principio personalista: questo,
in quanto postulante la eguale dignità di ogni persona, è alla radice della sovranità del popolo (in cui
ciascun cittadino ha eguale valore mediante il
voto 201); ma in quanto esprime non solo un eguale
diritto di partecipazione, bensì anche un’eguale libertà (intesa come pretesa all’astensione da parte
dello Stato), esso è potenzialmente in tensione con
il principio democratico. Ciò non è meno evidente
per alcune specifiche libertà costituzionali, quali
quelle di riunione, associazione e manifestazione del
pensiero, che sono al tempo stesso presupposto indefettibile di ogni sistema democratico e beni individuali e di gruppo non funzionalizzabili ad interessi
pubblici unitari 202.
Il nesso è forte anche con il principio autonomista
in quanto la vicinanza delle decisioni ai cittadini costituisce una premessa per una più piena realizza-
2.7 Il principio democratico come regola ermeneutica. – Non sono mancati in dottrina autorevoli ten-
tativi di attribuire al principio democratico una rilevanza specifica quale sussidio ermeneutico per l’interpretazione delle disposizioni costituzionali. Si è in
particolare osservato che «in un sistema democratico le norme non possono non interpretarsi, nel dubbio, che nel senso più vicino alla volontà popolare,
ed ovviamente alla volontà attuale, che è quella sulla
base della quale tutti i meccanismi politici dovreb-
200
Su questo problema v. ARAGON REYES, Constitución y democracia, Madrid, 1989, e da noi, fra gli altri, ZAMPETTI, L’art.
3 della costituzione e il nuovo concetto di democrazia partecipativa, in Studi XX Costituzione, II, Firenze, 1969, 513 ss.
201
Secondo MAZZIOTTI, Lezioni, cit., 62, il principio democratico « costituisce un’applicazione fondamentale […] del principio liberale ».
202
Cfr. CRISAFULLI, 1985, 127 ss. Osserva incisivamente PACE, in AA.VV., 2004, 79, che « i diritti di libertà e i diritti politici
si pongono di fatto come reciprocamente serventi ». Ma v. anche ESPOSITO, 1954, 10-11 (sulla rilevanza delle libertà di
stampa, riunione e associazione per il processo democratico) e ID., La libertà, cit., 5, per la distinzione fra diritti individuali e funzionali.
203
In questo senso BOBBIO, 1984, 80.
204
Nella sentenza 48/1989 la Corte costituzionale, qualificati la sovranità popolare e la rigidità della Costituzione come
« cardini » del sistema costituzionale, ha escluso, in virtù di essi, che i principi immessi nell’ordinamento ex art. 10 Cost.
possano violare i principi fondamentali della Costituzione.
205
Sulla quale v. le osservazioni di BOBBIO, 1984, 26.
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Principi fondamentali
bero operare. Ciò vale ovviamente anche per le
norme costituzionali, né potrebbe obiettarsi che in
tal modo se ne negherebbe il rango superiore nella
gerarchia delle fonti, poiché qui non si tratta di dare
a quelle norme un senso diverso da quello loro proprio, ma semplicemente di scegliere fra due possibili (entrambi possibili, cioè) significati, dovendo
dare, fra i due, la preferenza a quello più coerente
con i principi fondamentali immanenti all’ordinamento, primo fra tutti il democratico» 206. In questa
prospettiva, peraltro, non è chiaro a chi competa interpretare la Costituzione alla luce della volontà popolare: se al legislatore democraticamente legittimato
o ai poteri di garanzia (i giudici comuni e la Corte
costituzionale anzitutto). Ove dovesse essere accolta
questa seconda interpretazione, si addiverrebbe ad
un esito paradossale: in nome del principio democratico, l’organo individuato in Costituzione come il
più diretto interprete della sovranità popolare 207 vedrebbe ridotta la sua discrezionalità, in nome della
«volontà popolare», ad opera di soggetti non democraticamente legittimati.
L’«apertura al futuro» di cui il principio democratico è espressione 208 dovrebbe invece avere come
conseguenza che, fra più significati di una disposizione costituzionale, tutti logicamente desumibili
dalla disposizione stessa, spetti al legislatore (e alle
altre forme decisionali proprie del circuito democratico, come ad es. il referendum o i Consigli regionali) e non a soggetti sprovvisti di legittimazione
democratica operare una scelta. È solo in questa più
limitata prospettiva che il principio democratico dovrebbe spiegare i propri effetti come guida per l’interpretazione.
La sovranità popolare è stata invocata come chiave
ermeneutica anche da un secondo punto di vista. Secondo alcuni, infatti, essa postulerebbe che solo il
diritto prodotto dagli organi costituzionali attraverso
cui il popolo esercita – direttamente o indirettamente
– la sua sovranità comporrebbe l’ordinamento giuridico italiano, con esclusione, pertanto, di un rinvio
al diritto naturale 209. L’argomento appare in larga misura condivisibile, anche se non è certo solo su di
esso che poggia l’opzione per un approccio positivista all’interpretazione costituzionale 210.
2.8 Il principio lavorista. – L’affermazione per cui la
Repubblica è fondata sul lavoro è eterogenea rispetto
al complesso normativo generato dalle restanti parole dell’articolo e va dunque esaminata separatamente.
A differenza del principio democratico, il principio
lavorista non è un principio di struttura, ma un principio costituzionale materiale, volto ad indirizzare nel
suo contenuto l’azione dei pubblici poteri. È inoltre
più problematica la configurazione del principio lavorista come principio supremo al pari del principio
democratico 211.
La proclamazione del fondamento della Repubblica
sul lavoro ha, secondo alcuni, un valore meramente
riassuntivo delle altre disposizioni costituzionali sul
lavoro 212 mentre, secondo altri, contribuisce a determinare la struttura dello Stato nel suo complesso 213, in modo da attribuire una particolare coloritura politica allo Stato italiano. Questa seconda
ipotesi di lettura della formulazione sembrerebbe a
prima vista preferibile – in ragione, fra l’altro, della
collocazione di essa, quasi ad intitolazione della Cost.
– ma la ricostruzione della sua esatta portata appare
problematica.
2.8.1 Significato negativo e positivo della locuzione.
– Si è visto supra che la formulazione per cui la Repubblica è fondata sul lavoro si deve alla approvazione di un emendamento Fanfani, che fu preferito
ad un emendamento Basso-Amendola, il quale mirava a stabilire che «l’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori» 214. Quest’ultimo avrebbe caratterizzato diversamente la forma di Stato (e sarebbe
stato di conseguenza incoerente con le altre disposizioni della Costituzione) ed avrebbe a rigore richiesto una disciplina dell’organizzazione dei poteri
pubblici che riservasse ai «lavoratori» (intesi in tal
caso in senso restrittivo, vale a dire analogamente
agli «operai e contadini» cui si riferiva la Cost. sovietica del 1936) una posizione privilegiata rispetto
206
Così LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980, 787.
Secondo la Corte costituzionale, il Parlamento, « in quanto espressione immediata della sovranità popolare, è diretto
partecipe di tale sovranità » (così C. cost. 154/1985, che ne desume l’insindacabilità dei regolamenti parlamentari).
208
Cfr. HÄBERLE, Zeit und Verfassung. Prolegomene zu einem « zeit-gerechten » Verfassungsverständnis, ora in Probleme der Verfassungsinterpretation, 293: « die Demokratie ist ein Zukunftsoffenheit spezifisch legitimierendes Verfassungsprinzip », richiamato da LUCIANI, cit., alla nt. 203.
209
In questo senso ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in ID., La Costituzione, cit., 22-23
e GROSSI, I diritti, cit., 106.
210
Come è del resto ben noto a chi lo sostiene.
211
Cfr. nt. 7.
212
ESPOSITO, 1954, 12-15.
213
MORTATI, 1975, 14.
214
Si v. supra par. 1.2.
207
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Costituzione della Repubblica Italiana
agli altri cittadini nell’attribuzione dei diritti civili e
politici 215.
Considerata, quindi, la reiezione dell’emendamento
sopra citato, un primo tentativo di attribuire significato alla locuzione «fondata sul lavoro» può quindi
muovere da ciò che essa tende ad escludere, in un
duplice senso: a) di rifiuto di una visione collettivistica dello Stato e della società; b) di rifiuto di una
visione meramente individualistica, secondo l’eredità
della tradizione liberale classica 216.
Se si muove da questo duplice presupposto, si può
affermare che la disposizione in esame è in armonia
con l’ispirazione più profonda della Costituzione del
1947 (figlia del «secolo del lavoro» 217): dare principio ad un «ordine nuovo», distinto tanto dai totalitarismi di matrice fascista o comunista, quanto dalla
tradizione liberale classica 218.
In positivo, si può quindi avvicinare la disposizione
in esame ad altre contenute in Costituzioni contemporanee o successive alla nostra Carta, che sottolineano la natura sociale dello Stato 219. Una sottolineatura che non è presente nella nostra legge fondamentale e al cui scopo adempie proprio la disposizione che ci occupa, la quale ben può svolgere la
funzione di una clausola di socialità dello Stato 220 –
il che, del resto, è quanto si vuol dire quando si parla,
con riferimento ad essa, di un «principio lavorista» 221.
Tutto ciò vale a configurare la disposizione in esame
come «matrice» non solo delle disposizioni che la
Costituzione dedica al lavoro (artt. 4 e 35-40), ma di
tutte quelle disposizioni costituzionali da cui si può
desumere la legittimazione di una «economia mista»,
la quale accetti i fondamentali presupposti del mercato, ma legittimi altresì uno Stato «interventista»,
volto a correggere gli assetti spontanei del mercato.
Da questo punto di vista essa esibisce anche una parentela forte con il principio di eguaglianza c.d. «sostanziale» di cui all’art. 3, 2° co.
Nella giurisprudenza costituzionale il principio lavorista è stato evocato (soprattutto in decisioni meno
recenti), per escludere l’illegittimità costituzionale di
norme volte a tutelare più intensamente il contraente
debole o a limitare l’iniziativa economica privata 222:
ma la disposizione cui il principio in questione era
ancorato non era quasi mai il solo art. 1, che rimaneva sullo sfondo delle altre disposizioni in materia
di lavoro 223. Va inoltre ricordato che, se la Corte costituzionale è sembrata talora attribuire al fondamento sul lavoro la forza di affermare la preminenza
di ogni attività lavorativa nel sistema dei diritti e dei
doveri del cittadino 224, essa non ha mancato di precisare che l’art. 1 si limita a stabilire un principio
ispiratore della tutela del lavoro, ma non determina
modi e forme di tale tutela 225.
Per la precisazione del contenuto del principio lavorista è dunque necessario rinviare ai commenti agli
artt. 3, 2° co., 4, e 35-40.
2.8.2 Il concetto di lavoro cui la disposizione si riferisce. – Si è discusso in dottrina sul concetto di la-
voro presupposto dall’art. 1: se esso, cioè, sia il medesimo di cui all’art. 4, 2° co. («un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società») o quello, più ristretto, di cui agli
artt. 35 ss., che fanno riferimento essenzialmente al
lavoro dipendente. La seconda soluzione sarebbe più
coerente con l’emendamento Basso-Amendola, respinto dall’Assemblea Costituente (la «Repubblica
democratica dei lavoratori»), mentre è verosimile che
il lavoro su cui è fondata la Repubblica sia comprensivo di ogni attività umana che possa concor-
215
Cfr. ESPOSITO, 1954, 13.
Il rifiuto del liberismo economico risulta più compiutamente dall’insieme delle disposizioni della c.d. « costituzione economica ». Per una rilettura liberista dell’art. 1 Cost. v. invece DI PLINIO, Diritto pubblico dell’economia, Milano, 1998, 132.
217
ACCORNERO, Era il secolo del lavoro, Bologna, 1997.
218
L’aspirazione dei costituenti era quella di costruire un ordine « fondato sul lavoro e non sul capitale », un ordine « dove
l’eguaglianza, la libertà, la proprietà siano per tutti una realtà e non soltanto un nome »: così LA PIRA, Il valore della costituzione italiana, in Cronache sociali, 31.1.1948, ora in ID., La Casa comune. Una Costituzione per l’uomo, a cura
di De Siervo, 2ª ed., Firenze, 1996, 285.
219
Oltre a quelle indicate nella scheda iniziale v. art. 1 Cost. Francia 1946, art. 3 Cost. Baviera 1946, art. 1, 1° co., Cost.
Croazia 1990, art. 1, 3° co., Cost. Romania 1991.
220
Così MORTATI, 1975, 11; BIN, 1990, 6.
221
Cfr. MORTATI, 1975, 11 e 15, e ID., Istituzioni, cit., 156-157, e ONIDA, cit., 106-108.
222
Cfr. una sintesi in BONIFACIO, cit., 9 ss. Più problematico è invece giungere alla conclusione (cfr. BONIFACIO, cit., 16)
che il legislatore sia anche positivamente obbligato a tali scelte.
223
Si v. ad es. C. cost. 3/1966 e 63/1966 (che arricchiscono la protezione della retribuzione del lavoratore, ma nelle quali
è in primo piano l’art. 36), 3/1957 (che mette in evidenza l’obbligo dello Stato « di indirizzare l’attività di tutti i pubblici
poteri, e dello stesso legislatore, alla creazione di condizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano l’impiego
di tutti i cittadini idonei al lavoro », ma si basa soprattutto sull’art. 4) e 13/1977 (che ricollega il trattamento privilegiato
dei crediti da lavoro agli artt. 1, 3, 4, 34 e 36).
224
C. cost. 60/1967 e 105/1985.
225
C. cost. 130/1973, 16/1980 e 158/1985.
216
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Principi fondamentali
rere al progresso morale e materiale della società 226,
quindi del «lavoro di tutti, non solo manuale ma in
ogni sua forma di espressione umana» 227 (in maniera
analoga, quindi, all’art. 1 della Costituzione spagnola
del 1931, che qualificava lo Stato spagnolo una «Republica de los trabajadores de toda clase», ma senza
una analoga coloritura classista), ivi compreso,
quindi, il lavoro autonomo e la stessa attività imprenditoriale. In questo contesto, poi, la Costituzione
si preoccupa di dotare di una protezione più intensa
i soggetti da essa ritenuti socialmente più deboli, vale
a dire «i lavoratori subordinati e, fra questi, i lavoratori manuali» 228, la cui emancipazione ed il cui più
pieno inserimento nella vita sociale e nelle dinamiche istituzionali i costituenti intesero promuovere 229.
seguimento dei mezzi di sussistenza, bensì come tramite necessario per l’affermazione della personalità» 231.
2.8.4 Rapporto fra principio democratico e principio
lavorista. – La duplice qualificazione della Repubblica
italiana come «democratica» e «fondata sul lavoro»
pone il problema del modo di combinarsi del principio democratico e di quello lavorista. Ciò può avere
due significati: a) la democrazia non dovrebbe avere
solo un connotato politico, ma prevedere canali di
espressione della sovranità popolare che si articolino attraverso l’organizzazione del mondo del lavoro;
b) l’articolazione delle istituzioni che traducono organizzativamente il principio lavorista dovrebbe risentire del principio democratico.
La Costituzione, peraltro, nelle sue disposizioni organizzative, non ha tratto le conseguenze di queste
due correlazioni: da un lato, infatti, è risultata recessiva l’idea di una rappresentanza professionale che
potesse trovare corpo in una delle due Camere del
Parlamento nazionale e l’unica traccia rimasta nel
testo costituzionale di una rappresentanza delle professioni è il Consiglio nazionale dell’Economia e del
Lavoro (art. 99: v. il relativo commento). D’altro lato
la disposizione costituzionale che prefigurava una organizzazione interna democratica dei sindacati registrati (art. 39, 3° co.) non ha trovato, in oltre mezzo
secolo, attuazione legislativa.
2.8.3 Principio lavorista e principio personalista. – Il
principio lavorista può del resto essere letto alla luce
del principio personalista.
Da un lato, il fondamento sul lavoro ben si collega
all’affermazione del 1° co. dell’art. 3 Cost., per cui
«i cittadini hanno pari dignità sociale […]»: dove
vuole sottolinearsi, prima ancora, forse, che lo stesso
valore della dignità dell’uomo, la pari dignità appunto
sociale, indipendentemente dalle condizioni personali e sociali, di cui fa parola lo stesso art. 3, 1° co.
Si vuole cioè sottolineare che la dignità sociale non
deriva dal tipo di lavoro svolto, né tantomeno dalla
posizione sociale occupata, ma dal valore della persona che si esprime nella sua attitudine a concorrere – come recita l’art. 4, 2° co. – «al progresso materiale o spirituale della società».
D’altro canto esso si collega alla XII disp. trans. fin.
Cost., il cui 1° co. stabilisce che «i titoli nobiliari non
sono riconosciuti»: tale disposizione è – assieme al
fondamento sul lavoro – il punto di emersione della
convinzione dei costituenti per cui valore deve essere
riconosciuto non al privilegio derivante da posizioni
consolidatesi nel tempo 230, ma al merito acquisito dalle
persone con la loro intelligenza ed operosità e che può
essere fatto valere essenzialmente col lavoro, oltre che
(nella fase della formazione della personalità) con lo
studio, stante il rilievo riconosciuto ai «capaci e ai meritevoli», anche se sprovvisti di mezzi (art. 34, 3° co.).
Il lavoro è dunque considerato nell’art. 1 «non come
fine a se stesso, né come mero strumento per il con-
3. Riferimenti internazionali, sovranazionali e
comparati
3.1 L’art.1 in prospettiva comparata. – Gran parte
delle Costituzioni contemporanee e buona parte di
quelle che le hanno precedute nella storia del costituzionalismo liberaldemocratico contengono disposizioni qualificatorie sintetiche sulla forma di Stato, che
hanno riguardo alla allocazione della sovranità. In particolare, «il principio di sovranità popolare è di regola scolpito nelle disposizioni iniziali di tutte le costituzioni scritte di orientamento liberaldemocratico»,
delle quali «esso rappresenta la Grundnorm» 232.
In prospettiva comparata, gli antecedenti dell’art. 1
sono da ravvisare nelle rivoluzioni inglese, francese,
226
In questo senso ESPOSITO, 1954, 14.
Così la Relazione del Presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini.
228
MAZZIOTTI, Lavoro (dir. cost.), in Enc. Dir., XXIII, Milano, 1973, 339.
229
Si v. in particolare il dibattito nella III Sottocommissione per la Costituzione sui « consigli di gestione », per i quali si
battè in particolare Fanfani (cfr. POMBENI, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana, Bologna,
1979, 262 ss.).
230 In questo senso GIANNINI M.S., Rilevanza costituzionale del lavoro, in Riv. giur. lavoro, 1948, 7, e MORTATI, 1975, 11.
231
MORTATI, Istituzioni, cit., 156-157.
232
MORETTI, cit., 1.
227
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OPERA CELOTTO
1
Costituzione della Repubblica Italiana
americana (e in dichiarazioni politiche o documenti
costituzionali ad esse conseguenti 233) e, più direttamente, in alcuni testi costituzionali europei del primo
dopoguerra (in particolare l’art. 1 della Cost. di Weimar, gli artt. 1 e 2 della Cost. cecoslovacca del 1920
e l’art. 1 della Cost. austriaca) e negli artt. 1 e 3 della
Cost. francese del 1946. Peraltro, mentre alcuni di
questi testi affermano che la sovranità emana dal
popolo, la Cost. italiana del 1947 si ricollega all’art.
1 del Titolo III della Cost. francese del 1791, secondo
la quale essa appartiene al popolo.
Meno frequenti sono invece le proclamazioni assimilabili al fondamento della Repubblica sul lavoro,
almeno se si escludono quelle contenute nelle ormai
abrogate Costituzioni dell’Europa comunista 234 degli
anni 1945-1989 (ma alcune formulazioni di questo tipo
sopravvivono fuori dall’Europa 235). A parte l’art. 1
della Costituzione maltese, il quale riproduce letteralmente la corrispondente disposizione della Costituzione italiana, le formulazioni costituzionali più vicine a quella in commento sembrano essere quelle
che enunciano la connotazione sociale della forma
di Stato.
nale generale (di fonte consuetudinaria o derivante
da trattati sottoscritti dalla generalità degli Stati) non
impone agli Stati il rispetto del principio democratico. Né il rispetto di tale principio è richiesto dalla
Carta delle Nazioni Unite per l’accreditamento di un
governo e il riconoscimento dello status di membro 236.
Tuttavia vari trattati internazionali impongono agli
Stati aderenti obblighi di rispetto del principio democratico, che prendono la forma, più che di vincoli all’organizzazione costituzionale statale (principio democratico), dell’obbligo di garantire taluni diritti dei cittadini, quali il diritto di voto e i diritti di
libertà che si è visto essere prerequisiti necessari di
un ordinamento democratico (associazione, riunione,
informazione, espressione) 237.
Una importanza del tutto peculiare va poi riconosciuta ai trattati internazionali «regionali» europei,
e fra essi in primo luogo alla Cedu 238 e agli atti istitutivi della Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE, già CSCE).
Per quanto concerne specificamente l’Italia, a differenza di altri Stati usciti sconfitti nella II guerra mondiale 239, il Trattato di Pace imposto dalle Potenze alleate nel 1947 non prevede un espresso vincolo ad
adottare una organizzazione statale democratica.
3.2 Principio democratico e sovranità popolare. –
3.2.1 Il diritto internazionale. – Il diritto internazio-
233
Per la rivoluzione inglese si v. la Commons’ Resolutions del 4.1.1649: « Resolved & c. That the Commons of England,
in Parliament assembled, do declare, That the people are, under God, the original of all just power: And do also declare,
That the Commons of England, in Parliament assembled, being chosen by, and representing the people, have the supreme power in this nation: And do also declare, that whatever is enacted, or declared for law, by the Commons, in
Parliament assembled, hath the force of law; and all the people of this nation are concluded thereby, although the consent and concurrence of King, or House of Peers, be not had thereunto » (KENYON, The Stuart Constitution. Documents
and Commentary, Cambridge, 1966, 324). Per la rivoluzione americana si v. la dichiarazione di indipendenza del 4.7.1776
[che, nel secondo capoverso afferma che « To secure these rights (“ Life, Liberty and the pursuit of Happiness ”), Governments are instituted among men, deriving their just powers from the consent of the governed »] e per la rivoluzione
francese l’art. 3 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (« Le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la Nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d’autorité qui n’en émane expressément »).
Quest’ultima disposizione – poi ripresa dall’art. 1, Titolo III, della Costituzione francese del 1791, secondo il quale « La
Souveraineté est une, indivisibile, inaliénable et imprescriptible. Elle appartient a la Nation; aucune section du peuple,
ni aucun individu, ne peut s’en attribuer l’exercice » – è la matrice di varie disposizioni costituzionali del XIX secolo europeo (e latino-americano).
234
II richiamo in chiave classista ai « lavoratori » si può leggere negli artt. 2 e 3 della Cost. sovietica del 1936 e nell’art.
3 della Cost. cecoslovacca del 1948, nel Preambolo della Cost. polacca del 1952 (« La Repubblica popolare polacca è
una Repubblica del popolo lavoratore ») e nel Preambolo della Cost. romena del 1952 (« La Repubblica popolare romena
è uno Stato dei lavoratori delle città e delle campagne »), nell’art. 2, 1° e 2° co., della Cost. ungherese del 1949 e, successivamente, nell’art. 1 della Cost. dell’URSS del 1977.
235
Ad es. art. 2 della Cost. del Vietnam del 1992, art. 1 della Cost. della Repubblica popolare cinese e art. 1 della Cost.
di Cuba.
236
I casi nei quali le Nazioni Unite hanno rifiutato le credenziali al governo di uno Stato non legittimato da elezioni libere sono eccezioni rispetto alla regola generale dell’effettività come presupposto per l’accreditamento: cfr. al riguardo
FRULLI, Il rigetto delle credenziali dei governi non democratici da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, in ORRÙ,
SCIANNELLA, 2004, 68 ss. Più in generale sul principio democratico nella Carta ONU v. LATTANZI, Comunità internazionale
e tutela del processo di democratizzazione, in ORRÙ, SCIANNELLA, 2004, 23 ss.
237
Si v. le disposizioni citate nei commenti agli artt. 17, 18, 21 e 48.
238
Cfr. l’art. 3 del I Protocollo addizionale, che obbliga a tenere elezioni libere. Negli art. 8, 2° co., 9, 2° co., 10, 2° co.,
11, 2° co., la nozione di « società democratica » viene poi in questione come standard di giustificazione delle limitazioni
di taluni diritti. Sull’interpretazione giurisprudenziale di tale nozione v. FAVRE ALBERT, La notion de societé démocratique dans la jurisprudence de la Cour Européenne des droits de l’homme, in Rev. Trim. Dr. Eur., 1998, 465-496.
239
Ad es. il Trattato di Vienna con la Repubblica austriaca (art. 8).
34
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OPERA CELOTTO
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Principi fondamentali
3.2.2 Il diritto europeo. – Il processo di integrazione
pertanto deroghe all’operatività dell’art. 1. Per questo motivo, la Corte costituzionale non ha menzionato il principio democratico fra i c.d. «controlimiti»,
ovvero fra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale che non potrebbero essere intaccati dal
processo di integrazione europea 243. Tuttavia, c’è da
chiedersi se tale impostazione sia ancora soddisfacente in una fase del processo di integrazione in cui
– specie con il trattato costituzionale – esso appare
sempre meno facilmente definibile come limitazione
di sovranità, per cui potrebbero essere messe in questione non solo specifiche esplicitazioni della sovranità popolare, ma la sua stessa essenza. In tal caso
il processo di integrazione europea necessiterebbe
di una legittimazione nel diritto costituzionale interno
dotata di una carica maggiore di quella sinora offerta dall’art. 11.
D’altro lato, il deficit democratico 244 era apparso meno
grave nella fase iniziale della storia delle Comunità europee, quando le competenze trasferite erano più esigue: il deficit consisteva, comunque, nell’assenza in
tali ordinamenti di organi oggetto di una legittimazione
democratica diretta (le Assemblee rappresentative ivi
previste erano – com’è noto – organi di secondo grado).
L’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale aveva certo ovviato a tale lacuna, ma il deficit
era stato ritenuto comunque sussistente, sia per il ruolo
debole riconosciuto al Parlamento europeo nel processo decisionale comunitario (per la funzione di indirizzo politico come per la funzione legislativa), sia
perché l’egemonia degli organi a natura intergovernativa in tale sistema aveva determinato uno spostamento
di poteri dai Parlamenti ai governi nazionali 245. Le
riforme dei Trattati istitutivi realizzate negli anni novanta (dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza)
hanno corretto tale situazione, ma non l’hanno eliminata. Per farvi fronte, la Commissione europea ha cer-
europea pone due diversi problemi all’interpretazione
del principio democratico.
A) Lo spostamento di quote di sovranità (ai sensi
dell’art. 11) a livello comunitario ha sottratto spazi
di influenza alla sovranità popolare. Non solo, infatti,
è qui ben percepibile il trade-off tra system effectivness e participation evidenziato da Robert Dahl
(ovvero il rapporto di proporzionalità inversa sussistente fra il grado di partecipazione possibile in un
dato ordinamento – che è massimo se l’ordinamento
è di ridotte dimensioni ed è più «vicino» al cittadino, ed è minimo se esso è di grandi dimensioni,
come l’UE – e le possibilità di incidere sulla realtà
dell’ordinamento medesimo, che sono maggiori
quanto più «grande» è l’ordinamento) 240, ma il sistema cui molte competenze statali sono state trasferite è notoriamente caratterizzato da un deficit
democratico 241.
Da un lato la partecipazione dello Stato italiano ad
una organizzazione come la Comunità e poi l’UE pone
una serie di problemi proprio dal punto di vista del
rispetto della sovranità del popolo italiano, al cui controllo vengono in vario modo sottratti i poteri trasferiti all’ordinamento comunitario. Ma mentre questo problema è stato attentamente focalizzato in altri ordinamenti (ad es. in Austria, ove in vista dell’adesione all’UE si è ritenuto necessario adottare la
procedura di revisione totale della Costituzione proprio sulla base delle limitazioni al principio democratico che tale adesione avrebbe comportato 242),
esso non ha ottenuto particolare attenzione nella dottrina e nella giurisprudenza costituzionale italiane.
In quanto limite alla sovranità popolare, il processo
di integrazione comunitaria può essere giustificato
quale «limitazione di sovranità» (dello Stato come
del popolo) alla luce dell’art. 11 Cost., che autorizza
240
DAHL, A Democratic Dilemma: System effectiveness versus Citizen Participation, in Political Science Quarterly,
1994, 23 ss. (trad. it., La democrazia alla fine del secolo, a cura di Luciani, Bari, 1995).
241
Fra l’altro lo spostamento di poteri decisionali si è talora verificato a vantaggio di organi, come la Banca Centrale
europea, del tutto sottratti all’operatività di logiche democratiche, anche nella misura monca in cui queste ultime operano nell’ordinamento europeo.
242
OBERNDORFER, cit., 7.
243
Cfr. C. cost. 183/1973 e 170/1984. Su questi problemi si v. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995; DONATI, Diritto comunitario e sindacato di costituzionalità, Milano, 1995.
244
WEILER, HALTERN, MAYER, European Democracy and its Critique, in HAYWARD, The Crisis of Representation in Europe, Londra, 1995, hanno evidenziato le seguenti dimensioni del deficit democratico: « distance issue », « executive dominance issue », « by-passing of democracy issue » (ovvero la c.d. « comitology », dominata dai tecnocrati e dai gruppi di
interesse), « transparency and complexity issue », « substantive imbalance issue » (ovvero lo squilibrio fra capitale e lavoro), « weakening of judicial control issue ». V. però le osservazioni di CRAIG, The Nature of the Community: Integration, Democracy and Legitimacy, in CRAIG, DE BURCA, The Evolution of EU Law, Oxford, 1999, 25-27. Cfr. inoltre WARLEIGH, Democracy in the European Union, London, 2003; NINATTI, Quale democrazia per l’Unione europea, in Diritto
e società, 2003, 521 ss.; MAJONE, Deficit democratico, istituzioni non maggioritarie ed il paradosso dell’integrazione
europea, in Stato e Mercato, 2003, 67, 3 ss.
245
Si può assumere come autorevole punto di riferimento la decisione della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di
Maastricht e l’affermazione ivi contenuta secondo cui la legittimazione democratica dell’ordinamento comunitario ha luogo
attraverso i Parlamenti (e quindi i Governi) nazionali, più che attraverso il Parlamento europeo: BVerfGE, 89, 155 ss. (185).
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Costituzione della Repubblica Italiana
cato di recuperare in chiave partecipativa il deficit di
legittimazione esistente sul versante della democrazia
rappresentativa: punto di riferimento di questa riflessione è divenuto dal 2001 il Libro bianco sulla Governance 246. In questo contesto si è ipotizzato un recupero di legittimazione attraverso prassi istituzionalizzate di partecipazione al processo decisionale comunitario di gruppi di interessi rappresentanti la società
civile (e distinti dalle vere e proprie lobby) 247. Ma questo tipo di partecipazione funzionale, se costituisce un
arricchimento nell’interazione fra istituzioni comunitarie e destinatari delle decisioni da esse adottate e
può pertanto rinforzare la legittimità delle decisioni
adottate, non sembra sufficiente a legittimare democraticamente il processo decisionale comunitario in
quanto tale.
Il Trattato costituzionale 248 firmato a Roma il
29.10.2004 articola il processo democratico europeo
su due circuiti di legittimazione: quello che muove
dalla legittimazione democratica del Parlamento europeo e, indirettamente, della Commissione e quello
che, partendo dai popoli degli Stati membri, investe
i parlamenti nazionali e, attraverso questi, gli esecutivi nazionali e gli organi comunitari a matrice intergovernativa 249. Allo stato, il secondo circuito sembra ancora prevalente sul primo, confermando così
il ruolo cardinale degli Stati membri nell’organizzazione costituzionale comunitaria.
B) L’ordinamento comunitario contiene oggi vincoli di
congruenza strutturale o di omogeneità nei confronti
degli Stati membri, fra i quali l’esigenza di rispetto del
principio democratico 250. Di tali vincoli è stata tentata
nel 2000 una informale e maldestra applicazione all’Austria, a seguito della formazione, in quel Paese, di
un governo di coalizione in cui era incluso un partito
ritenuto xenofobo e legato al passato nazista 251.
I vincoli di omogeneità ora citati hanno anche una
proiezione esterna. La promozione della democrazia
è infatti indicata come criterio-guida per le relazioni
esterne dell’Unione (si v. ad es. la IV Convenzione
di Lomé e la Convenzione di Cotonou 252 e ora l’art.
III-193 del Trattato costituzionale) e come criterio
per l’adesione all’Unione di nuovi Stati. In particolare, in vista del grande allargamento del 2004 (ma
anche delle sue appendici ancora da compiere) il
Consiglio europeo di Copenaghen del 1993 ha fissato vari criteri che i Paesi candidati avrebbero dovuto soddisfare, fra i quali era inclusa la stabilità di
istituzioni idonee a garantire la democrazia, lo Stato
di diritto e i diritti umani. Tale approccio è ora ribadito nell’art. I-57 del Trattato costituzionale, il quale
richiede agli Stati che intendano aderire all’UE il rispetto dei valori dell’Unione previsti dall’art. 2 del
Trattato stesso.
3.3 Il principio lavorista. – Considerato che l’art. 1
svolge la funzione di Sozialstaatsklausel, vale la pena
di accennare al fatto che il processo di integrazione
europea ha imposto taluni vincoli allo Stato sociale
italiano 253. Ciò non è però avvenuto per la diversa
configurazione della libertà di iniziativa economica
nell’ordinamento comunitario rispetto all’ordinamento italiano e neppure per una presunta maggiore
debolezza del diritto comunitario del lavoro rispetto
alle corrispondenti norme di diritto interno, ma a
causa della particolare situazione nella quale l’Italia
si è venuta a trovare negli anni novanta, in ragione
dell’elevato deficit pubblico accumulato durante gli
anni ottanta e delle regole previste dal Trattato di
Maastricht per l’ingresso nella moneta unica europea. Anche attraverso i più stretti vincoli di bilancio
in tal modo imposti all’Italia, le caratteristiche fon-
246
Si v. COM (2001) 428.
SMISMANS, Law Legitimacy and European Governance. Functional Participation in Social Regulation, Oxford, 2004,
spec. 39 ss., il quale illustra gli esempi della politica europea di sicurezza e salute sul lavoro (82 ss.) e del dialogo sociale europeo (315 ss.).
248
Si v. l’art. I-46, il quale, premesso che l’Unione « si fonda sul principio della democrazia rappresentativa », afferma che
« gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai
rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini » (2º co.). Si v. anche il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali. L’art. I-47 istituzionalizza poi « il principio
della democrazia partecipativa » e stabilisce fra l’altro che « le istituzioni dell’Unione mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e con la società civile ».
249
Un cenno a tali due circuiti si può intravedere già in C. cost. 187/1973, punto 8 del Cons. in diritto.
250
Art. 6 TUE e ora artt. I-2 (che menziona la democrazia fra i valori su cui si fonda l’Unione e che sono comuni agli
Stati membri) e I-59 (che prevede le procedure da seguire in caso di lesione da parte degli Stati membri dei valori indicati all’art. 2) del Trattato costituzionale. Cfr. SCHORKOPF, Homogeneität in der Europäischen Union, Berlin, 2000.
251
Cfr. SCHORKOPF, Die Massnahmen der XIV Mitgliedstaaten gegen Österreich, Berlin, 2002.
252
In questi accordi la c.d. clausola democratica ha un contenuto più ampio del principio democratico e coincide con i
valori del costituzionalismo democratico. Al riguardo si v. CORDINI, Accordi di cooperazione e vincoli di democratizzazione nell’Unione europea, in ORRÙ, SCIANNELLA, 2004, 113 ss.
253
Se poi si considera che il diritto comunitario ha ridisegnato la Cost. economica italiana, e se si ricorda che talune
caratteristiche di quest’ultima erano state in passato intese come forme di manifestazione della sovranità popolare (ad
es. CRISAFULLI, 1985, 129-131), si intuisce quale possa essere stata la portata di tale processo.
247
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Principi fondamentali
damentali dello Stato sociale italiano non sono state
però stravolte. Per gli effetti del processo di integrazione europea sul principio lavorista si rinvia al
commento all’art. 35.
nere coinvolto l’art. 1 Cost., anche se la quasi generalità di esse ha riguardato meccanismi rilevantissimi per la concreta conformazione del principio democratico 254.
Fra le proposte provenenti da partiti politici, si segnala il progetto presentato dalla Lega Nord all’assemblea federale di Genova del 6.12.1993, nel quale
si proponeva di sopprimere il fondamento sul lavoro
nell’attuale art. 1, individuando come valori fondanti
della Repubblica il mercato e la solidarietà.
4. La disposizione fra crisi e riforma
Le numerose proposte di riforma costituzionale susseguitesi negli ultimi due decenni non hanno in ge-
254
Su ciò si rinvia ovviamente ai commenti agli articoli della II parte della Carta costituzionale.
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