Eduardo tra i sofistici catanesi

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CULTURA
Eduardo
tra i sofistici catanesi
Sofistici siamo i napoletani, e sofistici sono i siciliani”: così Eduardo
De Filippo a chi gli chiedeva di
Pirandello, ch’egli interpretava da
par suo (memorabile il Ciampa
sornione e amaro de “Il berretto a sonagli”) e col
quale aveva collaborato adattando in forma drammatica la novella “L’abito nuovo”. Quella sentenziosa ‘moralità’ mi tornava in mente, al teatro
Verga, per “L’arte della commedia” allestita da
Luca De Filippo, dopo che in questi anni Carlo
Giuffrè ci aveva donato le sue reinterpretazioni di
testi-chiave come “Natale in casa Cupiello” e
“Non ti pago”. Due scuole di parola scenica, di
dialettalità senza tempo: Di Giacomo, Scarpetta,
Viviani, da una parte; Lanza (di cui lo Stabile propone ora “Il vendicatore”), Martoglio, Pirandello
agrigentino, dall’altra. La scena del grande attore:
di Totò, Nino Taranto, i fratelli De Filippo; di
Giovanni Grasso, Angelo Musco, Turi Ferro.
Nel 1965, con “L’arte della commedia”,
Eduardo onorava definitivamente il suo debito con
Pirandello, per un verso rivendicando l’urgenza di
un teatro più ‘attuale’ nell’angolazione psicologica
e nella contestualizzazione sociale; per l’altro
costruendo le combinatorie più vistosamente
pirandelliane di tutta la sua drammaturgia. Nel
primo tempo della commedia il prefetto De Caro,
infastidito dalle argomentazioni, deduzioni e controdeduzioni del capocomico Campese (definito
“un sofistico, cavilloso, fanatico”) sulla presunta
crisi del teatro, replica alla minaccia di fargli sfilare
davanti gli attori della compagnia travestiti da
medici, parroci, maestre:
DE CARO Li mandi pure questi “Personaggi
in cerca di autore”, troveranno buona accoglienza...
CAMPESE No, Eccellenza. Pirandello non
c’entra niente: noi non abbiamo trattato il problema dell’ “essere e del parere”. Se mi deciderò a
mandare i miei attori qua sopra, lo farò allo scopo
di stabilire se il teatro svolge una funzione utile al
proprio paese o no. Non saranno personaggi in
“cerca di autore” ma attori in cerca di autorità.
E nel secondo tempo, come in un’improvvisata Commedia dell’Arte, si avvicenderà
dinanzi al sospettoso, sarcastico, esterrefatto
Prefetto, spalleggiato da un untuoso e vanesio
capo di gabinetto, una pletora di personaggi tra i
“
Il grande Eduardo
ritratto da
Francesco Paolo
Ardizzone
“Dai sofismi
‘borghesi’ de Il
giuoco delle parti
ai disperati
misticismi
di Lazzaro,
Pirandello resta
dinanzi a noi,
monitoriamente,
come un
autore in cerca
di attori...”
quali sarà impossibile distinguere chi ‘finge’ da chi
dice la ‘verità’, dentro un gioco di prestidigitazione
dialettica che, mentre ‘dichiara’ Pirandello, inventa
un “piccolo teatro del mondo” tutto costruito sui
drammi quotidiani dell’esistenza, che l’inerzia
burocratica del Potere non sa riconoscere perché
irrimediabilmente lontana dalla Vita. E quando
qualcuno potrebbe chiarire il mistero, De FilippoCampese ricorre all’estremo colpo di ‘teatro nel
teatro’:
CAMPESE No, Eccellenza. Volevo soltanto
farle sapere che tra il vestiario di una compagnia
teatrale non è difficile trovare una divisa da
Maresciallo dei Carabinieri. (Rivolto alla porta)
Avanti!
Per chiudere in coerenza la commedia,
Eduardo faceva dunque ricorso alla suprema ambiguità pirandelliana di “Così è (se vi pare)”, nella
cui scena conclusiva la donna velata, chiamata a
dire chi tra il signor Ponza e la signora Frola
nasconda l’inganno della follia, non ‘svela’ alcunché, proteggendo col suo pietoso silenzio i diritti
dell’anima minacciati dalla pettegola crudeltà
sociale. Un figlio d’arte come Luca De Filippo,
regista e interprete, celebra così nel modo più
degno il secolo di Eduardo (nato nel 1900) e di
quel Teatro Eliseo di Roma che coproduce lo spettacolo. Il suo è un Campese lievemente ironico e
stranito, sempre un po’ ‘distante’: Luca sa che la
maschera del padre è irripetibile, sicché la memorizza e la ‘cita’ con un procedimento capace di
contaminare i diritti della tradizione con uno straniamento espressivo che, nell’apparente semplicità del suo apparato retorico, non appare immune
da una, magari implicita, fascinazione brechtiana.
Ma forse il vero protagonista è quel mellifluo e
borioso prefetto che fu già di Ferruccio De Ceresa
e oggi è di un Umberto Orsini stilizzato e quasi
marionettistico, caricaturale ma strepitosamente
‘autentico’ nella sua burocratica albagìa: una grandezza che rifulge in un insieme d’attori, senza
meno, eccellente. Con Eduardo De Filippo abbiamo infine ritrovato un po’ di Pirandello: un auspicio felicissimo perché lo Stabile di Catania riattinga
alla lezione del nostro maggior drammaturgo.
Fernando Gioviale
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