28 CULTURA Eduardo tra i sofistici catanesi Sofistici siamo i napoletani, e sofistici sono i siciliani”: così Eduardo De Filippo a chi gli chiedeva di Pirandello, ch’egli interpretava da par suo (memorabile il Ciampa sornione e amaro de “Il berretto a sonagli”) e col quale aveva collaborato adattando in forma drammatica la novella “L’abito nuovo”. Quella sentenziosa ‘moralità’ mi tornava in mente, al teatro Verga, per “L’arte della commedia” allestita da Luca De Filippo, dopo che in questi anni Carlo Giuffrè ci aveva donato le sue reinterpretazioni di testi-chiave come “Natale in casa Cupiello” e “Non ti pago”. Due scuole di parola scenica, di dialettalità senza tempo: Di Giacomo, Scarpetta, Viviani, da una parte; Lanza (di cui lo Stabile propone ora “Il vendicatore”), Martoglio, Pirandello agrigentino, dall’altra. La scena del grande attore: di Totò, Nino Taranto, i fratelli De Filippo; di Giovanni Grasso, Angelo Musco, Turi Ferro. Nel 1965, con “L’arte della commedia”, Eduardo onorava definitivamente il suo debito con Pirandello, per un verso rivendicando l’urgenza di un teatro più ‘attuale’ nell’angolazione psicologica e nella contestualizzazione sociale; per l’altro costruendo le combinatorie più vistosamente pirandelliane di tutta la sua drammaturgia. Nel primo tempo della commedia il prefetto De Caro, infastidito dalle argomentazioni, deduzioni e controdeduzioni del capocomico Campese (definito “un sofistico, cavilloso, fanatico”) sulla presunta crisi del teatro, replica alla minaccia di fargli sfilare davanti gli attori della compagnia travestiti da medici, parroci, maestre: DE CARO Li mandi pure questi “Personaggi in cerca di autore”, troveranno buona accoglienza... CAMPESE No, Eccellenza. Pirandello non c’entra niente: noi non abbiamo trattato il problema dell’ “essere e del parere”. Se mi deciderò a mandare i miei attori qua sopra, lo farò allo scopo di stabilire se il teatro svolge una funzione utile al proprio paese o no. Non saranno personaggi in “cerca di autore” ma attori in cerca di autorità. E nel secondo tempo, come in un’improvvisata Commedia dell’Arte, si avvicenderà dinanzi al sospettoso, sarcastico, esterrefatto Prefetto, spalleggiato da un untuoso e vanesio capo di gabinetto, una pletora di personaggi tra i “ Il grande Eduardo ritratto da Francesco Paolo Ardizzone “Dai sofismi ‘borghesi’ de Il giuoco delle parti ai disperati misticismi di Lazzaro, Pirandello resta dinanzi a noi, monitoriamente, come un autore in cerca di attori...” quali sarà impossibile distinguere chi ‘finge’ da chi dice la ‘verità’, dentro un gioco di prestidigitazione dialettica che, mentre ‘dichiara’ Pirandello, inventa un “piccolo teatro del mondo” tutto costruito sui drammi quotidiani dell’esistenza, che l’inerzia burocratica del Potere non sa riconoscere perché irrimediabilmente lontana dalla Vita. E quando qualcuno potrebbe chiarire il mistero, De FilippoCampese ricorre all’estremo colpo di ‘teatro nel teatro’: CAMPESE No, Eccellenza. Volevo soltanto farle sapere che tra il vestiario di una compagnia teatrale non è difficile trovare una divisa da Maresciallo dei Carabinieri. (Rivolto alla porta) Avanti! Per chiudere in coerenza la commedia, Eduardo faceva dunque ricorso alla suprema ambiguità pirandelliana di “Così è (se vi pare)”, nella cui scena conclusiva la donna velata, chiamata a dire chi tra il signor Ponza e la signora Frola nasconda l’inganno della follia, non ‘svela’ alcunché, proteggendo col suo pietoso silenzio i diritti dell’anima minacciati dalla pettegola crudeltà sociale. Un figlio d’arte come Luca De Filippo, regista e interprete, celebra così nel modo più degno il secolo di Eduardo (nato nel 1900) e di quel Teatro Eliseo di Roma che coproduce lo spettacolo. Il suo è un Campese lievemente ironico e stranito, sempre un po’ ‘distante’: Luca sa che la maschera del padre è irripetibile, sicché la memorizza e la ‘cita’ con un procedimento capace di contaminare i diritti della tradizione con uno straniamento espressivo che, nell’apparente semplicità del suo apparato retorico, non appare immune da una, magari implicita, fascinazione brechtiana. Ma forse il vero protagonista è quel mellifluo e borioso prefetto che fu già di Ferruccio De Ceresa e oggi è di un Umberto Orsini stilizzato e quasi marionettistico, caricaturale ma strepitosamente ‘autentico’ nella sua burocratica albagìa: una grandezza che rifulge in un insieme d’attori, senza meno, eccellente. Con Eduardo De Filippo abbiamo infine ritrovato un po’ di Pirandello: un auspicio felicissimo perché lo Stabile di Catania riattinga alla lezione del nostro maggior drammaturgo. Fernando Gioviale