Origini della Scolastica

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Filosofia e Cristianesimo
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Nel mondo tardo antico il peso della religione nella vita dell’uomo aumenta
sensibilmente, assumendo connotazioni di carattere etico-salvifico. Nel mondo
antico la religione aveva avuto un ruolo importante ma collegabile (mondo
greco) alla produzione di un repertorio capace di ispirare il mondo della
poesia e della paideia, oppure al progetto di coesione sempre più forte sul
piano politico-culturale (mondo romano) Un altro elemento che risulta degno
di nota è il fatto che la religione dei Greci e dei Romani sopravvive per secoli
senza avere una teologia o un’organizzazione ecclesiastica.e in un distacco
permanente dalla critica razionale della filosofia
La vittoria del Cristianesimo è vittoria di una religiosità monoteista. Questo
spostamento al monoteismo è però collegabile ad un’evoluzione interna alla
metafisica antica: la filosofia stessa, infatti, come pensiero teso a cercare una
spiegazione razionale di tutto il reale tende per questo all’unità più forte e
decisa. Stiamo parlando soprattutto del neoplatonismo che costituisce il
terreno più fecondo dell’incontro tra Cristianesimo e Filosofia
Temi centrali della riflessione cristiana:
1. La concezione dell’uomo come essere il cui destino non si risolve nel
mondo terreno
2. La centralità della fede nell’esperienza esistenziale
3. La forza della trascendenza come elemento di apertura dell’universo di
riferimento
4. La nuova concezione del tempo ( tempo circolare
tempo
lineare)
5. Il peso dell’esperienza religiosa come elemento unificante del mondo
storico.
La Patristica - i Padri della Chiesa, intellettuali e nello stesso tempo uomini di fede,
si misurano con una serie di questioni che segnano il passaggio del Cristianesimo da
movimento ad istituzione. Tra queste ricordiamo: la relazione tre fede e ragione; il
rapporto tra cultura pagana e cultura cristiana; la questione della salvezza; la
questione del male ; la natura di Cristo; la natura della Trinità…Il lavoro prodotto da
questi intellettuali finisce per costituire l’elemento fondante della Chiesa Cristiana,
grazie alla costruzione di un nuovo universo di valori e certezze.
Sant’Agostino
1. La sua riflessione filosofica consiste in un itinerario di ricerca della verità. Si
tratta di un percorso che comprende in sé l’esperienza della fede e l’esercizio
della ragione: fides quaerit, intellectus invenit. L’uomo cerca la verità mettendo
in gioco la totalità del suo essere. Solo in questo modo il suo viaggio diventa una
vera e propria conversione.
2. Il piano di conquista della verità nasce da una critica nei confronti della cultura
del tempo, segnata da un orientamento estetico, dal gusto dell’erudizione e della
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pura e semplice curiosità. Da questo punto di vista è facilmente individuabile il
legame con la tradizione platonica: anche Agostino sente l’urgenza di produrre un
sapere che, senza cadere nel vuoto della retorica, sappia essere per l’uomo vera
e propria emendazione. Altri elementi indicano una continuità tra Agostino e
Platone:
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La valorizzazione dell’interiorità come luogo di ricerca della verità
La tesi dell’esistenza delle idee intese platonicamente come ciò a cui
tende la dialettica ascendente al Bene
La critica allo scetticismo che produce una paralisi
3. Proprio dalla critica allo scetticismo parte la ricerca della verità: si tratta infatti
di restituire all’uomo una prospettiva di apertura al vero che gli scettici tendono
invece a negare. Gli Scettici si contraddicono quando affermano di essere sapienti
e non sapere nulla. Inoltre si nota che nel momento in cui si ammette di dubitare
bisogna ammettere anche che per potersi ingannare bisogna esistere (si
fallor,sum). Per questo motivo non è accettabile la convinzione scettica secondo
la quale nessuna verità è possibile.
4. La verità è accessibile all’uomo grazie all’uso della ragione, però la stessa non ha
la sua origine nella ragione stessa. E’ vero che la ricerca della verità va condotta
nell’interiorità dell’uomo, ma va anche detto che l’uomo interiore, distinto da
quello esteriore, ha come propria attività quella del pensiero che per la sua
natura è adatto alla conoscenza e contemplazione delle verità eterne. Di qui la
distinzione tra scienza e sapienza: la prima , legata ai sensi, si occupa delle realtà
temporali inaccessibili senza l’applicazione dei sensi; la seconda è la
contemplazione, appunto ,delle verità eterne
5. La conoscenza umana vede l’intervento di Dio attraverso l’illuminazione: Dio crea
le idee , che sono le essenze eterne delle cose, e , con l’illuminazione, consente
alla Ragione di contemplarle.
6. Dio dunque è garante di verità e per l’uomo è un sostegno non solo ontologico ma
anche gnoseologico. La presenza di Dio è richiamata della presenza di verità
eterne che la mente dell’uomo non può aver ricavato dell’esperienza del mondo
sensibile.. Le verità sono indipendenti dal pensiero umano e trascendenti. Da
questo punto di vista la loro presenza non trova altra spiegazione se non
nell’esistenza di un essere che è necessario, immutabile ed eterno.
7. Tema del tempo: il tempo è distensio animae. Dio crea il mondo non nel tempo
ma con il tempo. Dio vive nell’eternità, in un presente immutabile, mentre
l’anima dell’uomo si definisce attraverso il tempo (memoria del passatoattenzione al presente-attesa del futuro)
8. Tema del male: Agostino prende le distanze dalle posizioni dualistiche dei
manichei. Il male si presenta sotto tre modalità : il male metafisico, il male fisico
ed il male morale. Solo il terzo costituisce un vero problema: esso è frutto della
volontà (libera) dell’uomo che commette peccato nel momento in cui sceglie beni
inferiori, dimostrando così di non rispettare la gerarchia dei valori che Dio ci
presenta.
9. Tema della salvezza e polemica antipelagiana. Mentre Pelagio ritiene che l’uomo
possa con le sue sole forze giungere alla salvezza, attraverso il rispetto della
legge morale, Agostino ritiene che dopo il Peccato Originale l’uomo non possa
salvarsi senza l’aiuto di Dio che concede la Grazia. La Grazia non viola il principio
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del libero arbitrio; essa restituisce all’uomo la capacità di volere il bene. ( le tesi
sulla salvezza diventeranno motivo di ispirazione per i promotori della Riforma
Protestante nel secolo XVI)
10. La filosofia della storia:la Città di Dio. Dopo la caduta di Roma per mano dei
Visigoti nel 410, Agostino sente la necessità di fare una riflessione in proposito.
Due città vengono poste a confronto: la Città terrena (civitas diaboli) e la Città
Celeste (civitas Dei). Sono mescolate e vicine sulla Terra ma il destino della
seconda è ben diverso da quello dell’altra: la città di Dio trova la sua
realizzazione nella dimensione ultraterrena.
Origini della Scolastica
Lavorare con la parola e con la mente : il ruolo dell’intellettuale
Il termine “intellettuale” come lo intendiamo noi entra nell’uso comune in un’epoca successiva
a quella medievale. L’intellettuale per eccellenza nel Medioevo è il magister o il doctor, cioè
colui che lavorando con la parola e con la mente valorizza la parte migliore di sé come uomo e
dispone la mente ad essere “fecondata” dalle verità che provengono da Dio. La sua ricerca
,pertanto, non va assolutamente confusa con la “vana curiositas” che allontana l’uomo dalla
retta via , sottraendolo al benefico influsso della auctoritas.
Il termine “auctoritas” , nel mondo latino, presenta molteplici significati ; etimologicamente la
parola deriva dal termine “auctor” (autore) che a sua volta deriva da “augeo” (accrescerepromuovere-arricchire). La cultura medievale poggia su numerose “auctoritates” nel senso
positivo del termine, in quanto la vera autorità non umilia la mente, anzi la promuove nella
ricerca della verità. L’autorità per eccellenza è data dalle Sacre Scritture che vanno custodite,
trasmesse e difese.
Il rapporto tra ragione e autorità pertanto non si pone in termini conflittuali: l’esercizio della
ragione è finalizzato a meglio illuminare e comprendere le questioni che sorgono dalla
molteplicità sempre più evidente degli auctores: si crea una specie di “circolo virtuoso”, che
vede l’autorità promuovere la ricerca razionale (attraverso la lettura e il commento delle opere
degli autori) e la ragione vagliare l’autorità con una esame critico che consente una più chiara
comprensione.
Strutture educative del Medioevo
Possiamo trovare una riorganizzazione, seppur parziale degli studi, quando si vengono a creare
le condizioni di stabilità istituzionale dell’età carolingia.
Alcuino di York è l’artefice
dell’elaborazione di un piano di studi su cui si fonda la Scuola Palatina: a)istruzione elementare
in cui l’allievo impara a leggere e scrivere ed entra in contatto con le fondamentali verità della
fede. b)insegnamento delle arti del Trivio e del Quadrivio. c) insegnamento della medicina, del
diritto e della teologia.
La cultura delle scuole medievali vede nella rivelazione attraverso le Sacre Scritture l’unica
forma di Verità : la ragione al servizio della conoscenza di Dio.
Contesto storico culturale
Caduta dell’Impero Romano e fine dell’unità del Mediterraneo
La Chiesa rappresenta la continuità e promuove una ricostruzione culturale e religiosa che, su di
un piano politico, culmina nella fondazione del Sacro Romano Impero
Caratteri particolari del nuovo mondo storico- Universalismo politico e religioso
Società tripartita (cfr. Adalberone di Laon)
Ripresa dello sviluppo economico e sociale a partire dal sec.XI – Apogeo della civiltà medievaleUrbanizzazione ed affermazione di nuovi ceti sociali- Crisi del mondo feudale.
Declino del Medioevo tra XIII e XIV secolo- Nascita e sviluppo degli stati nazionali.
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Dalla Respublica Christiana all’Europa delle nazioni.
Scoto Eriugena (810-870 c.)
E’ una figura rappresentativa della cultura filosofica dell’Alto Medio Evo.
Il suo pensiero è fedele ad una delle convinzioni più forti della mentalità medievale: quella della
coincidenza tra il mondo e l’ordine divino, in quanto la ratio divina avrebbe posto nelle cose una
trama ordinata che la ragione umana può rintracciare attraverso le varie discipline che
compongono il sapere umano.
Esiste un accordo di fondo tra fede ed intelletto (nel senso che la funzione della ragione è quella
di chiarire i contenuti di verità presenti nel testo sacro)
Attraverso un percorso di tipo logico Scoto Eriugena, nella sua opera “De divisione naturae”
riflette sulla creazione divina che viene interpretata alla luce del processo di divisione, per cui
dall’unità di Dio deriva il mondo, via via, attraverso uno svolgimento in quattro scansioni
particolari:
la natura che crea e non è creata
Dio
la natura che è creata e che crea
le idee che sono anchetipi delle cose
la natura che è creata e che non crea
il mondo naturale
la natura che non è creata e che non crea
il ritorno a Dio
La questione del rapporto tra fede e ragione è centrale nell’intero sviluppo della Scolastica, al
punto che in base ad essa è possibile indicare tre fasi:
1) Fiducia nell’accordo pieno tra fede e ragione (sec.IX.XII)
2) Accordo parziale, che comunque non implica contrasti insanabili (sec.XIII)
3) Contrasto aperto e dichiarato (sec.XIV).
Polemica tra Dialettici e Antidialettici
Per i Dialettici, come Berengario di Tours, la ragione è uno strumento utilizzabile per
comprendere le verità della fede. Pertanto è possibile trovare agevolmente un accordo tra i due
piani di verità.
Per gli Antidialettici, come San Pier Damiani, la ragione è antitetica alla fede. Pertanto
l’accordo risulta insanabile, mentre le esigenze della ragione vanno sacrificate a quelle della
fede.
L’opera di Sant’Anselmo d’Aosta
E’ attivo nel corso dell’XI secolo. La sua opera mira a produrre una ricomposizione della
polemica tra dialettici ed antidialettici.
Il tema del rapporto tra fede e ragione viene trattato in due scritti: il Monologion e il Proslogion.
Nel primo scritto egli sembra incline a sostenere una condizione di autonomia della capacità
razionale dell’uomo, mentre nel secondo sembra affidare alla ragione il compito di tradurre in
una certezza razionale il contenuto extra-razionale della fede.
Entra nella polemica intorno alla questione della relazione tra ragione e fede, riflettendo sulle
espressioni : “Credo ut Intelligam” e “Intelligo ut Credam”.
Valore della prova ontologica dell’esistenza di Dio : la prova non è utile per credere (infatti chi
crede crede per fede), ma semplicemente per dimostrare la coerenza della verità cristiana con
le verità logiche.
Dio è definito da credenti e non credenti come ciò di cui nulla può dirsi più grande ( “ aliquid
quo nihil maius cogitari potest”); a questo punto i credenti credono nella sua esistenza, al
contrario dei non credenti. Sant’Anselmo fa notare che i non credenti , nel far questo, cadono in
contraddizione con la loro stessa definizione di Dio (infatti il Dio perfetto , che però non esiste ,
è “meno perfetto” del Dio perfetto che esiste).
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Polemica sugli Universali ( quale relazione corre tra le idee-universali- e le cose sensibili
corrispondenti?)
Tre soluzioni:
Universalia ante rem (realismo)
Universalia in re
(formalismo)
Universalia post rem (nominalismo)
La crisi della Scolastica
Sul finire del Medio Evo emerge un nuovo spirito laico segnato da un sempre più forte interesse
verso saprei di carattere tecnico-pratici. Grazie alla riflessione di pensatori quali Lullo, Duns
Scoto, Ockham... entra in crisi l’universo della fede tradizionale entro il quale avevano trovato
collocazione e legittimazione i vari aspetti della realtà.
I segni più evidenti della laicizzazione in corso sono riscontrabili
- nella riscoperta di interesse per lo studio intorno alla natura
- nella affermazione di autonomia della politica
- nella rivendicazione dell’indipendenza della filosofia rispetto alla teologia
- nella ricerca intorno a nuove forme di misticismo religioso
- nella trasformazione dell’uso del termine “laico”, che precedentemente
corrispondeva di fatto a “illitteratus”, dal momento che la formazione culturale avveniva in
ambiente ecclesiastico.
- Nello sviluppo di centri di produzione intellettuale non legati al mondo dei religiosi (come le
corti di Federico II, di Roberto d’Angiò, di Carlo V di Francia).
IL PROGRAMMA TEORICO DI TOMMASO
1.1. Fede e ragione
Il rapporto tra fede e ragione è chiarito da Tommaso anzitutto nella definizione della loro
distinzione (in esplicita opposizione alla tradizione agostiniana).
La ragione ha come ambito il mondo naturale, per indagare il quale, secondo Tommaso, bastano
le sue forze, senza che debba ricorrere alla rivelazione. In tale ambito egli riconosce come
autorità suprema Aristotele, le cui ricerche erano state svolte senza alcun rapporto con le verità
della fede, giungendo a conclusioni che gli sembravano, nel loro complesso, ineccepibili.
La fede ha invece come proprio ambito il mondo soprannaturale, la cui conoscenza è possibile
(nei limiti concessi all’uomo) solo in base alla rivelazione. In questo ambito la dottrina di
Aristotele non possiede infatti alcuna autorità, poiché le verità rivelate non sono raggiungibili
con la ragione naturale. La distinzione così fissata non comportava per Tommaso la separazione
dei due ambiti (come per gli averroisti), bensì una sostanziale convergenza e un finale accordo
tra di loro. La conclusione fondamentale della filosofia, cioè l’esistenza di Dio, è infatti
considerata il punto di partenza della teologia rivelata. Esse rimangono tuttavia distinte per il
modo in cui affermano la conoscenza di Dio (la filosofia con la ragione, la teologia rivelata con la
fede). D’altra parte, la rivelazione da un lato e la ragione dall’altro (e quindi la teologia e la
filosofia) vengono all’uomo entrambe da Dio, e ciò costituiva per Tommaso la garanzia del loro
accordo. Le teologia (rivelata) va certo oltre le conclusioni della filosofia, in quanto riguarda
caratteri di Dio che la ragione non può né dimostrare né concepire; ma le verità cui essa
perviene non possono—data la loro comune origine—entrare in conflitto con quelle della
filosofia.
Su questa base, Tommaso stabilì con precisione i compiti rispettivi della filosofia e della
teologia:
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"Possiamo nella sacra dottrina usare la filosofia per tre fini: 1) per dimostrare i preamboli della
fede, che sono necessari alla conoscenza per fede; quali sono le cose che si dimostrano intorno a
Dio con la ragione naturale: che Dio esiste, che Dio è uno, e altre simili verità di Dio e delle
creature che in filosofia vengono dimostrate e dalla fede sono presupposte; 2) per chiarire,
mediante similitudini, cose che sono di pertinenza della fede; così Sant’Agostino nel De Trinitate
si serve di molte similitudini tratte da dottrine filosofiche per chiarire la Trinità; 3) per
confutare le obiezioni che si muovono alla fede mostrando che sono false o non sono necessarie"
(In Boetium De Trinitate, q. 2, a. 3).
Con questi compiti, la filosofia sembra ricondotta al ruolo tradizionale di ancilla theologiae,
tanto più se si considera la soluzione che Tommaso dava al problema di un eventuale contrasto
con la teologia. In linea di principio tale contrasto era per Tommaso impossibile; poteva tuttavia
verificarsi in linea di fatto. La rivelazione, secondo Tommaso, venendo all’uomo direttamente
da Dio, non può essere erronea, e perciò dev’essere ritenuta superiore alla ragione, la quale,
pur essendo un dono di Dio, può invece errare se male usata dall’uomo. In caso di contrasto con
la teologia, la filosofia deve dunque rivedere le proprie conclusioni, sino a quando esse si
accordino con le verità della fede. Quest’ultima, quindi, costituisce la "regola" della ragione
stessa.Alla filosofia sembra così negata quell’autonomia che Tommaso afferma di riconoscerle,
in quanto le sue conclusioni risultano di fatto predeterminate. Così tuttavia non era —almeno dal
punto di vista di Tommaso (e della cultura religiosa del tempo)— proprio perché la conclusione
necessaria della filosofia era l’esistenza di Dio e la determinazione dei suoi attributi
fondamentali. Su di essi le verità della fede si innestavano come un’integrazione ulteriore non
necessaria, cioè non obbligata, per la filosofia. Questo era per Tommaso "rationabile
obsequium", cioè l’assenso fondato sulla ragione, che per attuarsi richiede uno specifico atto di
volontà; atto che costituisce l’aspetto essenziale della fede.Alla filosofia rimaneva dunque un
margine limitato, ma reale di autonomia (superiore comunque a quello fino allora riconosciutole
dalla cultura cristiana). Ad essa corrispondeva una concezione complessa ma equilibrata
dell’uomo, le cui diverse facoltà (ragione e volontà) si muovono in reciproca distinzione, talché
la conclusione religiosa, pur doverosa in quanto fondata sulla ragione, rimane, comunque,
sempre affidata alla libera scelta. Non solo. Gli stessi contenuti della teologia erano
sostanzialmente fondati da Tommaso non su affermazioni dogmatiche, ma sulla natura stessa
della ragione.Da questo punto di vista, la concezione tomistica dei rapporti tra fede e ragione
può vedersi riassunta nella formula gratia naturam non tollit, sed perficit ("la grazia non annulla
la natura, ma la porta al suo compimento") .
1.2. Le "vie" per dimostrare l’esistenza di Dio
Conformemente all’impostazione sopra chiarita —e alla teoria della conoscenza — per la
dimostrazione dell’esistenza di Dio, Tommaso non accettò l’argomento a priori di Anselmo
d’Aosta, la cui validità — come Anselmo stesso aveva ammesso nella polemica con Gaunilone —
era, in ultima istanza, condizionata dalla fede. Anche sul piano puramente razionale tale
argomento non è, secondo Tommaso, valido, poiché per acquisire una nozione chiara di Dio
occorreva, prima, averne dimostrato l’esistenza.Gli argomenti di cui Tommaso si serve per
dimostrare l’esistenza di Dio procedono, di conseguenza, a posteriori: partono cioè
dall’esistenza del mondo (e, più precisamente, da certe caratteristiche delle cose esistenti) per
giungere, in virtù di certi principi (soprattutto quello che non ammette si possa risalire
all’infinito nella ricerca delle condizioni), all’esistenza di Dio quale condizione necessaria
dell’esistenza del mondo e delle sue caratteristiche. Tali argomenti sono cinque (le cosiddette
cinque vie tomistiche) e nel loro insieme costituiscono una sintesi di tutte le prove tradizionali
dell’esistenza di Dio e quasi un compendio della filosofia scolastica sull’argomento.
Esse sono:
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la via ex motu, che dall’esistenza effettiva del moto (inteso come passaggio dalla
potenza all’atto) risale a quella di un primo motore immobile.
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
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
La via ex causa, che dall’esistenza della causalità tra i fenomeni risale a quella di una
causa prima incausata.
La via ex contingentia, che dalla natura contingente delle cose giunge a quella di un
essere assolutamente necessario.
La via ex gradibus, che dall’esistenza di esseri forniti di qualità (potenza, bellezza,
intelligenza ecc.) in gradi diversi ricava quella di un essere che le possiede in grado
sommo.
La via ex fine, che, dall’esistenza di un ordine generale nelle cose, perviene all’esistenza
di un essere sommamente potente e intelligente loro ordinatore.
Come è evidente, le "vie" di Tommaso si ispiravano essenzialmente alla dottrina metafisica di
Aristotele, ma non esclusivamente ad essa. È derivata da Aristotele la prima e, indirettamente,
la seconda (Aristotele non considerava Dio causa efficiente del mondo, ma solo sua causa
finale). La terza si rifà alla concezione di Avicenna relativa all’essere possibile e all’essere
necessario; la quarta riprende un’argomentazione di origine platonica; la quinta, infine,
ripropone una considerazione risalente ai primordi della filosofia, addirittura al pensiero
prefilosofico.In un certo senso, la prova più significativa, specie per la concezione di Tommaso
sui rapporti tra Dio e il mondo, è la terza (ex contingentia). Essa evidenzia il fatto che la natura
del mondo non comporta, secondo Tommaso, la sua esistenza, e che solo Dio può essere
considerato l’essere la cui essenza implica l’esistenza. Dio, in altri termini, è l’essere sussistente
per sé (ossia, in virtù della sua stessa natura), mentre il mondo è l’essere sussistente per altro
(ossia, in virtù della creazione divina), esiste quindi solo per partecipazione all’essere
divino.Tale dottrina porta alla massima chiarezza ciò che Tommaso aveva fissato fin
dall’opuscolo De ente et essentia, distinguendo l’essenza o natura di una cosa (ciò che essa è, o
quidditas) dal fatto che essa esista.
DIFFERENZE TRA LA METAFISICA DI ARISTOTELE E QUELLA DI TOMMASO
Metafisica Aristotele riferisce l’espressione "ente" a cose diverse con significati
diversi (si dice ente sia della sostanza che dell’accidente, sia della materia che della forma, sia
dell’atto che della potenza).Se l’ente non è univoco diventa un problema definire "scienza"
quella disciplina che studia "l’ente in quanto ente" (ossia la metafisica) (
, 1003a 2031).Aristotele sostiene che l’ente non ha significato univoco ma neppure equivoco (ovvero non si
dice per pura omonimia), perché i significati i diversi significati hanno una loro unità che deriva
dal fatto che tutti i significati di "ente" hanno nella sostanza il loro riferimento unitario."Ente" si
dice in primo luogo della sostanza; degli accidenti per riferimento alla sostanza, perché la
sostanza esiste in sé, mentre l’accidente esiste solo nella sostanza; si dice, inoltre, della
materia e della forma, perché principi della sostanza; dell’atto e della potenza come "stati della
sostanza". È dunque possibile una scienza dell’ente in quanto ente. (Meth., , 1003a 32-10003b
18).
L’ente secondo Tommaso
Già Aristotele aveva distinto l’ente reale dall’ente logico (Meth, V)
1) l’ente si divide nelle 10 categorie (che sono i supremi generi dell’ente reale).
2) l’ente indica soltanto la verità di una proposizione (l’accordo o il disaccordo dei termini che
costituiscono una proposizione) (Ente logico).
Sub 1.) Può dirsi ente solo qualcosa di reale.
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Sub 2.) Può dirsi ente tutto ciò su cui può essere formata una proposizione affermativa, anche se
questa non pone alcunché nella realtà. Diciamo ente anche le privazioni e le negazioni (di
essere).
L’essenza, l’ente e l’esistenza
L’essenza è qualcosa che è comune a tutte le nature, secondo le quali i diversi enti vengono
classificati nei diversi generi e specie (es. l’umanità (humanitas) è l’essenza dell’uomo così
come l’animalitas è l’essenza dell’animale).Ciò che costituisce una realtà nel proprio genere
viene indicato con il termine quidditas (quiddità, dal pronome interrogativo Quid nella frase
Quid est hoc?; Quod quid erat esse).Avicenna usa il termine forma (=ciò che de-termina una
realtà).BOEZIO usa il termine natura (si dice natura tutto ciò che può essere conosciuto dal
pensiero). Una realtà è intellegibile solo mediante la sua definizione ed essenza.ARISTOTELE nel
V libro della Metafisica dice che ogni sostanza è natura.
Per TOMMASO l’essenza è ciò in cui e con cui un ente ha l’essere.Aristotele aveva sostenuto che
ciò da cui dipende l’esistenza di un ente è l’essenza.Per Tommaso, ciò che fa di una sostanza
qualcosa di esistente non è l’essenza ma l’actus essendi (l’atto di essere, di esistere). L’essenza
è la potenza dell’atto di essere.
Essenza= materia + forma (essenza possibile, mentale).
Atto di essere o esistenza (essere reale)
Dio=essenza + esistenza (Dio è increato, causa sui).
L’atto di essere è di per sé illimitato, ma è limitato solo dall’essenza.Mentre l’essenza esiste
mediante l’atto di essere, l’atto di essere non ha bisogno dell’essenza avendo in se stesso la
ragione del proprio esistere. È l’atto puro di esistere, è Dio che si distingue dagli altri enti
perché Atto puro.Da ciò Tommaso fa derivare la suddivisione dell’ente che non riguarderà più la
sostanza e le affezioni della sostanza, ma il rapporto tra atto e potenza, tra atto (d’essere) ed
essenza. L’unità dei significati dell’essere, contrariamente a quanto sosteneva Aristotele, è
determinata dal fatto che tutti gli enti sono atto d’essere. Tuttavia, mentre in Dio questo atto
d’essere sussiste in sé, illimitato, negli enti è limitato dall’essenza.Gli enti, dunque, hanno in
comune l’actus essendi, ciascuno secondo la misura della propria essenza. Essi sono disposti in
modo ordinato dal meno al più.Quest’ordine rinvia a Dio in quanto atto puro d’essere (le cinque
vie seguono lo stesso schema). Quest’ultimo è causa dell’atto d’essere di tutti gli enti in quanto
ciascun ente riceve il proprio limitato atto d’essere in proporzione alla propria essenza. Tale
dottrina viene detta da Tommaso analogia entis (analogia=proporzione) che coincide con la
dottrina della partecipazione proporzionale di tutti gli enti all’atto puro d’essere.
I TRASCENDENTALI
Tra le definizioni della Metafisica, che sostanzialmente ricalcano quelle aristoteliche, in
Tommaso troviamo quella secondo cui essa è la scienza dei predicati che competono a ogni ente
in quanto ente (Uno, Vero, Buono).Questi predicati si dicono trascendentali perché le divisioni
per genere, differenza, specie ed hanno la stessa estensione della nozione di ente, cioè si dicono
di tutti gli enti.
UNO: Ogni ente è uno, cioè è indiviso in se stesso e diviso da ogni altro ente. Un
ente è tale se e perché è ciò che è e non può essere simultaneamente altro da ciò
che è (identità e non contraddizione).
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VERO: Ogni ente è vero, non nel senso della verità logica, ma ontologicamente.
Principio di essere e principio di intellegibilità coincidono. Ogni ente è conoscibile
intellettivamente e ogni conoscibile intellettivamente è "ente" (reale).
BUONO: Ogni ente tende a realizzare il proprio fine, che è il bene e la perfezione.
Ogni ente tende a conservare il proprio essere.
CONSEGUENZE DELLA METAFISICA TOMISTICAAristotele, in effetti, non aveva considerato la
distinzione tra l’essenza o natura delle cose e la loro esistenza, anzi aveva ritenuto il mondo, nel
suo complesso, eterno, attribuendo a Dio non la sua esistenza (e quindi la sua creazione), ma
solo l’origine del suo movimento. A rigore, quindi, il modo di essere delle cose e di Dio non era
per lui qualitativamente diverso. In altri termini: il mondo aveva per Aristotele, in rapporto a
Dio, una dipendenza parziale; per Tommaso, al contrario, ha una dipendenza totale. Da ciò,
peraltro, risultava modificata anche la nozione di materia, la quale acquistò in Tommaso una
positività maggiore di quanto non avesse in Aristotele: egli infatti la concepì non come pura
potenza, ma come effettiva realtà, creata da Dio.Riguardo al mondo naturale, tuttavia,
Tommaso non introdusse particolari innovazioni rispetto alle dottrine aristoteliche:
diversamente da Alberto Magno, infatti, egli non mostrò alcun interesse speciale per le ricerche
naturalistiche. Da Aristotele egli riprese le dottrine astronomiche, integrandole con quelle
derivate da Dionigi Areopagita, e cioè riconducendo il movimento dei cieli a Dio attraverso la
mediazione delle intelligenze angeliche (concezione che si ritroverà poi anche in Dante). Il
punto più rilevante sul quale Tommaso si discosta da Aristotele riguarda il fatto che il mondo è
considerato creato e non è eterno. Quest’ultima dottrina non era però fondata da Tommaso su
argomenti razionali, ma sui dati della fede.
1.3. La teologia
La dottrina dell’essere del mondo come partecipazione all’essere divino costituiva il fondamento
della scienza teologica, di cui Tommaso sosteneva la possibilità, in polemica con gli averroisti da
un lato, e con i francescani dall’altro.Le cinque "vie" dimostravano, in effetti, non solo che Dio
esiste, ma anche quale è la sua natura: esse indicavano infatti, rispettivamente, che Dio è atto
puro, causa prima, essere necessario, perfettissimo, sommamente intelligente e potente. A
questi attributi Tommaso riteneva possibile aggiungerne altri, su base puramente razionale: e
cioè che Dio è uno, semplice, buono e quindi provvidente, ecc.II fondamento su cui Tommaso
riteneva si potessero stabilire tali attributi è quello testé accennato della partecipazione, per
cui le cose ricevono il loro essere da Dio. Ciò appunto implica che si possono estendere al
creatore gli attributi positivi che si riscontrano in esse; con questa differenza, tuttavia: che
nelle cose create tali attributi sono finiti (limitati), mentre in Dio essi sono infiniti. Ciò non
significa che essi sono in Lui solo accresciuti di grado, poiché il grado, all’infinito, muta la loro
natura stessa. Così, non si dovrà dire che Dio è buono, ma che è la Bontà, non che è uno, ma che
è l’Unità, non che è vero, ma che è la Verità (ovvero i tre principali attributi di ogni essere,
detti perciò trascendentali), e così via. Inoltre tali attributi in Dio non si assommano (perché in
tal caso la sua natura non sarebbe più semplice), ma si identificano.II principio secondo cui in
Dio sussistono i medesimi attributi delle cose, portati però all’infinito, è detto, come abbiamo
visto, analogia entis, e costituì la base della dottrina teologica di Tommaso.In base a tale
principio egli sostenne la possibilità della teologia come scienza, in opposizione sia agli
averroisti (per cui predicare l’essere delle cose, conformemente alla concezione aristotelica,
aveva lo stesso significato che predicarlo di Dio) sia ai francescani (per i quali la trascendenza di
Dio rispetto alle cose ne rendeva impossibile altra conoscenza che quella mistica). Come questi
ultimi, in effetti, Tommaso ammetteva che la teologia fosse anche sapere pratico (cioè
essenziale alla pratica della fede), ma precisando che poteva essere tale solo in quanto era
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anzitutto conoscenza.È chiaro in ogni caso che il Dio raggiunto attraverso gli argomenti razionali
non era l’essere personale di cui parla la religione, caratterizzato dalla trinità, dall’incarnazione
ecc. Il pericolo maggiore della teologia di Tommaso, in ragione della sua ispirazione aristotelica,
era anzi proprio quello di presentare un Dio che avesse prevalentemente la funzione di spiegare
la realtà naturale.Per evitare ciò Tommaso fa intervenire la fede, la quale, completando la
ragione con la rivelazione, riesce a fornirle tutti gli attributi caratteristici del Dio cristiano. Non
propone, tuttavia, tale completamento come qualcosa di arbitrario, ma come qualcosa che la
ragione, pur non potendo dimostrarlo (poiché riguarda misteri soprannaturali), può tuttavia
chiarire e illustrare come non incompatibile con le conclusioni della filosofia. Su queste basi
poggiò la teologia rivelata, coronamento della teologia naturale.Nell’ambito della teologia
rivelata, Tommaso chiarì ed illustrò i dogmi fondamentali del cristianesimo, ed in particolare la
trinità e l’incarnazione, riprendendo e perfezionando le formulazioni dei Padri della Chiesa, in
base essenzialmente alle due nozioni di sostanza e di persona. Dio è uno quanto a sostanza, trino
quanto a persone; queste poi sono spiegate da Tommaso (sviluppando il principio già affermato
da Agostino) in base alle loro reciproche relazioni, che in Dio sono, come tutti i suoi attributi,
identiche con la sua sostanza: il Padre è tale per la relazione col Figlio, il Figlio per la relazione
col Padre (generazione), lo Spirito per la relazione d’amore presente tra Padre e Figlio.
Analogamente, Cristo è uno come persona, ma costituito da due nature; la sua volontà è una
(quella divina), ma egli ha sofferto come uomo e come Dio.In questa parte della sua
speculazione Tommaso indubbiamente raggiunse il culmine del rigore e della chiarezza,
portando la teologia cristiana ad una perfezione che lo ha condotto, dopo le battaglie e le
incertezze dei contemporanei, ad essere alla fine riconosciuto come il Dottore della Chiesa per
eccellenza.
1.4. La conoscenza umana
L’intero edificio della teologia era fondato sul modo di operare delle facoltà conoscitive, che
Tommaso presentava in sostanziale conformità alla dottrina aristotelica, interpretata in una
prospettiva diversa da quella degli averroisti, specialmente riguardo all’intelletto attivo.Ogni
conoscenza, secondo Tommaso, ha inizio dai sensi: nihil est in intellectu quod prius non fuerit
in sensu (perciò appunto le cinque "vie" sono tutte a posteriori). Da questo punto di vista,
Tommaso rifiuta la distinzione agostiniana tra una ratio inferior, limitata alle cose sensibili, e
una ratio superior, capace di cogliere le realtà soprasensibili, Dio, e le concezioni platoniche in
genere. Scrive infatti nel De veritate (q. x, a. 6):"Questa tesi (che le anime abbiano in sé
nozione di tutte le cose) non pare ragionevole. Perché, se l’unione dell’anima col corpo è
naturale, non può darsi che per essa venga totalmente impedita la scienza naturale; e
d’altronde, se fosse vera, non saremmo del tutto ignoranti su ciò per cui non abbiamo il senso
rispettivo...".Operando sulla conoscenza sensibile, d’altronde, la mente umana, a differenza di
quella degli animali, può giungere ad una conoscenza superiore, che oltrepassa i dati dei sensi.
Tale operazione si compie in virtù dell’intelletto, che Tommaso distingue, come tutti gli
aristotelici, in intelletto agente (attivo) e in intelletto possibile (passivo). II primo ha la funzione
di astrarre l’universale dai dati sensibili particolari, il secondo di affermare il frutto di tale
astrazione."In altra maniera, il pensiero sta alle cose come la potenza all’atto, in quanto le
forme determinate delle cose, che fuori dell’anima sono in atto, esistono soltanto in potenza
nella nostra mente. Per questo si ammette nell’anima l’intelletto possibile, il cui compito è di
ricevere le forme astratte dai sensibili, rese intelligibili in atto dal lume dell’intelletto agente"
(ivi).L’astrazione dell’universale dai dati sensibili è possibile, secondo Tommaso, in quanto gli
oggetti percepiti dai sensi contengono effettivamente qualcosa di universale: ossia, secondo la
dottrina di Aristotele, l’essenza o le qualità comuni a tutti gli oggetti dello stesso tipo. A questo
proposito, Tommaso riprese la teoria di Avicenna, ammettendo che l’universale esiste anzitutto
in Dio come modello della creazione (ante rem), poi entro le stesse cose particolari (in re), e
infine nella mente umana, che da esse le astrae (post rem). Su questa base l’astrazione risultava
dunque non un’alterazione del particolare, una sua falsificazione, bensì un’operazione volta ad
individuare nel particolare l’impronta che gli derivava dall’universale ante rem esistente in
Dio.In altri termini: l’universale che l’uomo ricava mediante l’astrazione è veramente qualcosa
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di suo, è un concetto, ma un concetto non arbitrario, bensì fondato sul corrispondente
universale in re e, in ultimo, su quello ante rem, che sta in Dio. Ciò garantisce la verità della
conoscenza, verità che consiste, per Tommaso, nell’adeguazione dell’intelletto alla cosa
(all’essere: adaequatio intellectus et rei). L’essere infatti era per Tommaso la base del
conoscere e non viceversa. La stessa conoscenza matematica trova un fondamento nell’essere:
essa è sì, frutto di un’astrazione, ma un frutto cui corrisponde qualcosa di reale; ai concetti di
circolo o triangolo corrisponde cioè un’effettiva forma circolare o triangolare dei corpi.Ma la
dottrina dell’adaequatio significava soprattutto che il conoscere non è una produzione
(invenzione) della mente, bensì un suo adeguamento a ciò che è, un prenderne atto.Tommaso
presenta la capacità astrattiva dell’intelletto come lume naturale della ragione,
contrapponendola esplicitamente alla teoria agostiniana dell’illuminazione la quale implicava
l’intervento di Dio per ogni verità conosciuta dall’uomo. Tale intervento, secondo Tommaso, può
essere necessario per la conoscenza delle verità soprannaturali; non lo è invece per le verità
naturali, per la conoscenza delle quali l’uomo è stato dotato da Dio stesso dello strumento
naturale della ragione. Tra l’altro, egli rilevava che gli agostiniani, arrivando subito alle cause
prime attraverso illuminazione, si esoneravano dalla fatica della ricerca delle cause
seconde.Tommaso ribadì la sua opposizione alla teoria agostiniana in particolare a proposito
dell’educazione nella Quaestio disputata de veritate che porta il titolo De magistro e in un
articolo della Summa theologiae. II problema posto è: come può un uomo educarne un altro? La
soluzione è indicata nella dottrina aristotelica della potenza e dell’atto, non nell’intervento di
Dio come mediatore tra educatore ed educando.II processo attraverso il quale un uomo ne
ammaestra un altro consiste nel mutare in atto il sapere che in colui che impara si trova in
potenza. Ora, secondo il principio aristotelico, ciò che è in potenza passa all’atto in virtù di
qualcosa che è già in atto. Questa capacità di tradurre in atto gli universali potenzialmente
presenti nell’intelletto passivo e nelle cose sensibili è una prerogativa dell’intelletto attivo.
Quale sarà dunque la funzione del maestro umano?Indubbiamente, l’azione dell’intelletto attivo
è diversa da quella del maestro umano. Quest’ultimo non può produrre né l’intelligibilità nelle
cose né la capacità intellettiva nel discente; l’una e l’altra derivano da Dio e trovano la loro
unità nell’atto del conoscere. II maestro umano nemmeno può trasfondere il proprio sapere nella
mente dell’alunno. La sua funzione è guidare il discente nel delicato lavoro attraverso il quale,
applicando ad esperienze particolari quei principi universali che costituiscono il lume della
ragione, giunge ad acquisire scientiam eorum quae nesciebat: ex notis ad ignota procedens.
Mentre per Agostino il maestro si limitava ad ammonire, per Tommaso assume la dignità di vera
e propria causa nel processo conoscitivo del discepolo.In conclusione, Tommaso considera il
processo del conoscere come un processo squisitamente umano, inscindibile dalla realtà
individuale dell’uomo: realtà di corpo e di anima, di esperienza e di pensiero. Ne risulta che non
era possibile, per la concezione tomistica, separare l’intelletto dall’uomo. In tal modo egli si
opponeva, oltre e più che all’agostinismo, alla dottrina averroistica, che, come abbiamo visto,
riteneva l’intelletto attivo e quello passivo "separati" e unici per tutti gli uomini.Tale
separazione era il punto dell’aristotelismo averroista più contrastante con il dogma cristiano; da
essa derivava infatti la teoria che solo l’intelletto universale è immortale e non l’individuo
umano. Tommaso seguì Aristotele nel sostenere che l’intelletto attivo è immortale in quanto il
suo oggetto (l’universale) è distinto dalla corporeità in generale, e perciò opera
indipendentemente dai sensi (può quindi sussistere separato dal corpo); ma attribuisce tale
sussistenza ad ogni intelletto umano, in quanto protagonista della conoscenza.Ogni pretesa di
separare non solo l’intelletto attivo, ma anche quello passivo, dall’uomo costituiva per Tommaso
una vera e propria assurdità; avrebbe significato cioè che l’intelligenza e la conoscenza,
sperimentate dall’uomo direttamente e concretamente in sé, invece sarebbero prodotte fuori di
lui, al punto che egli non potrebbe esserne non solo protagonista, ma nemmeno spettatore. Per
Tommaso, al contrario, né l’intelletto attivo né, a maggior ragione, quello passivo posseggono
un’esistenza loro propria, al di fuori dell’individuo reale. Entro la complessa operazione
conoscitiva, l’intelletto agente rappresenta, secondo Tommaso, il momento attivo dell’astrarre,
cioè dell’elevarsi al di sopra dei dati particolari della percezione. Si tratta però di un’attività
inserita nella vita concreta dell’individuo, non dell’intervento di una potenza superiore alla sua
natura.L’importanza conferita da Tommaso all’individualità delle operazioni umane risulta
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anche dalla soluzione data al problema dell’individuazione, cioè della distinzione tra gli individui
appartenenti alla medesima specie. Abbiamo già segnalato la positività che egli attribuì alla
materia in quanto realtà creata da Dio; ebbene, proprio nella materia egli individua la
condizione che concretamente differenzia un individuo da un altro.Già Aristotele aveva fatto
dipendere l’individualità delle cose della stessa specie dalla materia; Tommaso, tuttavia,
precisa ulteriormente che quest’ultima non può essere la materia comune, bensì la materia
quantitate signata, cioè "la materia considerata sotto determinate dimensioni", e quindi nella
particolare complessione (fisica) che caratterizza ogni essere umano. Così, l’individuo Socrate si
distingue dall’individuo Platone, pur appartenendo alla medesima specie, poiché la materia che
si è unita alla forma (cioè all’umanità) in Socrate ha dato luogo a un corpo spazialmente e
temporalmente distinto da quello di Platone (in questo senso anche due gemelli sono diversi per
la materia, ad esempio per il fatto che i loro corpi occupano spazi diversi).
Anche per Tommaso come per Aristotele l’anima è la forma del corpo, una forma unica che
nell’uomo svolge le diverse funzioni (vegetativa, sensitiva, razionale), distinte negli altri esseri
viventi (non è cioè una sintesi di diverse forme, come sostenevano i francescani). Ma appunto
per questo l’essere concreto dell’uomo non è—per Tommaso—né il solo corpo né la sola anima,
bensì l’unione sostanziale tra i due. La stessa interpretazione del dogma della resurrezione dei
corpi, in Tommaso conferma questa concezione: "Dopo la separazione dal corpo—egli afferma—
l’anima si troverà in uno stato quasi innaturale, finché non si riunirà nuovamente al corpo con la
resurrezione di esso".Il contributo di Tommaso alla comprensione dell’essere umano non si
esauriva, quindi, nei limiti storicamente determinati del suo programma di conciliazione tra
cristianesimo e filosofia aristotelica. Era qualcosa di più, ovvero un apporto essenziale alla
grande battaglia che in ogni tempo —nei termini apparentemente più diversi— il vero filosofo si
trova a combattere contro l’astrattezza, a difesa della viva e concreta esperienza umana.
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