Tommaso d`Aquino

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Tommaso d’Aquino:
- Vita:
L’opera di Tommaso segna una tappa decisiva nella Scolastica. Col tomismo infatti, l’aristotelismo diventa flessibile
alle esigenze cristiane, e non per mezzo di adattamenti artificiosi, ma in virtù di una riforma radicale del sistema.
Tommaso nacque presso Cassino nel 1225 e ricevette educazione nel chiostro del famoso monastero. Poi entrò
nell’ordine dei domenicani e fu mandato a Parigi dove fu scolaro di Alberto, che seguì durante i suoi spostamenti.
Quando tornò a Parigi il successo del suo insegnamento si profilò subito. Qui i maestri secolari lottavano contro i frati
mendicanti che in quegli anni erano nati sull’esempio di Francesco d’Assisi, che a volte si facevano precursori d’eresie,
negandogli la libertà d’insegnare. Il papa si mostrò favorevole agli ordini mendicanti. Tommaso fu allora nominato con
Bonaventura, maestro nell’università parigina. In seguito l’aquinate lasciò Parigi e tornò in Italia dove scrisse le sue
opere maggiori. Tornò in Francia dieci anni dopo dove l’occuparono nuove lotte contro i maestri secolari di Parigi e gli
averroisti. Successivamente tornò in Italia per insegnare a Napoli, e vi restò fino a quando fu chiamato per il Concilio di
Lione. Durante il viaggio si ammalò gravemente e morì.
- Opere: ( pag. 604 )
- Ragione e fede:
La speculazione tomistica trova il suo basamento nel rapporto tra ragione e rivelazione (fede). All’uomo infatti, il quale
oltrepassa la comprensione della ragione, non basta la sola ricerca filosofica razionale. Fu dunque necessario che
l’uomo fosse istruito con più certezza dalla rivelazione divina. Essa d'altronde non annulla la ragione, ma la perfeziona.
L’intelletto naturale si subordina alla fede e dunque non può dimostrare le verità raggiungibili attraverso di essa. Se ne
fosse infatti capace la rivelazione perderebbe ogni valore. Nonostante ciò la ragione serve la fede in tre modi:
a. dimostrando le verità necessarie alla fede, poiché per esempio non si può credere a ciò che Dio ha rivelato se
non si sa che Dio c’è, concetto dimostrabile per mezzo della ragione naturale;
b. Chiarendo mediante similitudini le verità della fede;
c. Controbattendo e dimostrando la falsità delle obiezioni che si fanno alla fede.
Dall’altro lato, però, la ragione ha una sua propria verità: i princìpi che le sono intrinseci, che le sono stati infusi da Dio,
derivanti dalla Sapienza divina e parti di essa.
Le due verità, quella di ragione e quella rivelata, non possono mai venire in contrasto, poiché la verità non può
contraddire alla verità. Se appare una sorta di contrasto, ciò significa che si tratta di verità non razionali, di conclusioni
false o per lo meno non necessarie: la fede è la regola del corretto procedere della ragione.
- La metafisica:
- Ente, essenza ed esistenza:
Il pensiero di Tommaso si configura come una filosofia dell’essere che trova il suo centro nell’opuscolo giovanile
“L’ente e l’essenza”. Il filosofo si propone di focalizzare il significato di alcuni termini importanti spesso usati
equivocamente come ad esempio “ente” e “essenza”.
L’ente può essere reale o logico.
a. reale: ciò che è presente nella realtà e che si divide nelle dieci categorie di Aristotele;
b. logico: ciò che è espresso, tramite la copula, in una proposizione affermativa, senza che a questa debba per
forza corrispondere qualcosa di reale.
Solo riguardo l’ente reale ha senso parlare di essenza. Essa è ciò che ogni cosa è, la sua quidditas. L’essenza (o natura
per Tommaso), comprende sia la forma che la materia delle cose. Da ciò si distingue l’actus essendi o esistenza. Infatti,
noi possiamo comprendere che cos’è una cosa e tuttavia non sapere se esiste in natura. Essenza ed esistenza stanno tra
loro in un rapporto di potenza ed atto, in quanto l’esistenza rappresenta l’atto grazie a cui le essenze, che hanno l’essere
solo in potenza, di fatto esistono.
Ora, ogni realtà in cui si distinguano l’essenza e l’esistenza, ossia ogni realtà che ha l’essere, ma non è l’essere, deve
necessariamente aver ricevuto l’essere da altro: un essere che, non derivando da altro, è esso stesso l’Essere, causa
d’ogni essere. Perciò l’aggiunta dell’esistenza all’essenza (il passaggio dalla potenza all’atto) esige l’intervento creativo
di Dio, l’Essere supremo, necessario ed eterno in cui l’essenza è la stessa esistenza.
Secondo Tommaso gli angeli si trovano, per quanto riguarda essenza ed esistenza, nella stessa condizione degli uomini e delle cose del mondo. Infatti,
secondo l’aquinate, quelle sostanze che sono pura forma senza materia (le anime, gli angeli), manca la composizione di materia e forma, ma non
quella d’essenza ed esistenza, per cui anch’esse sono frutto di Dio.
- Tommaso, Aristotele e gli arabi:
Tommaso attraverso la distinzione tra essenza ed esistenza riesce ad accordare l’aristotelismo con la visione cristiana
del mondo. Dalla concezione aristotelica era esclusa la creazione delle cose e l’intervento di Dio nella loro costituzione,
poiché esse erano già, come Dio, necessarie ed eterne (in quanto forme in atto). Dunque, tutto ciò era contrario al
pensiero cristiano. Tommaso, invece, affermando la distinzione tra essenza ed esistenza, fa scaturire l’esigenza della
creazione dalla stessa costituzione delle sostanze finite. Quello dell’aquinate è però un principio già derivante dalla
filosofia araba, anche se presenta proprie peculiarità. Infatti, Tommaso perviene ad esiti più consoni al cristianesimo e si
distingue dalla tesi dell’arabo Avicenna per due motivi: in primo luogo Tommaso sostiene che l’esistenza non
rappresenta un “accidente” accessorio all’esistenza, ma una perfezione che è costitutiva dell’ente accanto all’essenza; in
secondo luogo, mentre in Avicenna il principio della distinzione ribadisce rigorosamente la necessità dell’essere e
l’emanazione causale e necessaria delle cose da Dio, in Tommaso esso ha la funzione di motivare il concetto di
creazione. Infatti, egli sostiene che l’emanazione, implicando un rapporto necessario tra Dio e il mondo, renderebbe Dio
dipendente dal mondo. Un Dio dipendente da qualcosa non sarebbe però più Dio, causa prima di tutte le cose.
- Partecipazione e analogia:
Dire che gli esseri sono stati creati da Dio è come dire, secondo il pensiero tomistico, che essi hanno la loro esistenza
per partecipazione, cioè l’atto con cui le creature “prendono parte” all’essere. Questa dottrina implica una differenza di
significato tra l’essere riferito alle creature e quello riferito al creatore. Tommaso distingue l’essere creato, delle
creature separabili dall’essenza, da quello necessario di Dio, identico con l’essenza. Questi due significati dell’essere
sono analoghi (simili), né univoci (totalmente simili), né equivoci (totalmente differenti). Questo principio di
analogicità dell’essere permette a Tommaso di preservare la trascendenza di Dio rispetto al mondo, rifiutando ogni
forma di panteismo che voglia identificare l’essere dell’artefice con quello del mondo
- L’essere come perfezione e i trascendentali:
L’ontologia tomistica indica un esplicito primato dell’esistenza rispetto all’essenza: prima di avere l’essere l’essenza è
un puro nulla, mentre l’esistenza o l’essere appare a Tommaso come perfezione massima.
L’aquinate tenta di evidenziare la sua concezione dell’essere tramite dei superlativi ottenuti con dei sostantivi. Ciò è
alla base della dottrina dei trascendentali, cioè di quei caratteri che, trascendendo le categorie stesse, qualificano
l’essere. I trascendentali sono cinque, ma si riducono a tre: uno, vero, buono. Dire che ogni ente è uno significa che è
distinto da qualsiasi altro. Dire che ogni ente è vero esprime che esso corrisponde all’Intelletto divino che lo ha creato,
risultando razionale e intelligibile, cioè in grado di configurarsi come fondamento dell’adeguatezza del pensiero.
Affermare che ogni ente è buono indica che esso corrisponde ad una precisa volontà divina e costituisce dunque, una
perfezione appetibile dall’uomo. I concetti di verità e bontà di un ente risultano proporzionali al grado di essere che esso
possiede (fino a giungere a Dio) e inoltre, nonostante siano inseparabili dall’essere, contengono in più rispetto alla
nozione di essere la relazione all’intelletto e alla volontà.
- Gli attributi di Dio e il metodo analogico:
La ragione può arrivare a scoprire alcuni attributi di Dio, sia per via negativa che per via positiva. La prima consiste nel
negare di Dio tutte le imperfezioni delle creature, giungendo all’idea di perfezione. La seconda consiste nel conoscere
Dio dalle perfezioni che comunica alle creature, le quali si ritrovano in Dio in grado eccelso. La via positiva si articola
nella “causalitatis” e in quella “eminentiae”.
La prima consiste nel derivare dall’effetto (il mondo) qualche informazione circa la causa che lo ha prodotto (per es.
l’intelligenza di Dio).
La seconda consiste nel pensare un attributo limitato nelle creature al superlativo, compatibile con Dio.
Poiché tali attributi sono affermati da Dio in modo eminente, essi non sono predicati del creatore e delle creature in
modo univoco. D’altra parte non lo sono neppure in modo equivoco. Imboccando una terza strada tra l’univocità
assoluta (che trascurando ogni distanza tra divino e non porterebbe al panteismo) e l’equivocità pura (che trascurando
ogni affinità porterebbe all’agnosticismo e negherebbe ogni presupposto del discorso teologico), Tommaso sostiene che
fra gli attributi del Creatore e delle creature esiste analogia, parziale somiglianza e dissomiglianza.
La teoria di Tommaso cerca quindi di dar ragione sia alla conoscibilità di Dio, sia al carattere approssimativo di tale
conoscenza.
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