FILOSOFIE N. 234 Collana diretta da Pierre Dalla Vigna (Università “Insubria”, Varese) e Luca Taddio (Università degli Studi di Udine) COMITATO SCIENTIFICO Paolo Bellini (Università “Insubria”, Varese) Claudio Bonvecchio (Università “Insubria”, Varese) Mauro Carbone (Université Jean-Moulin, Lyon 3) Morris L. Ghezzi (Università degli Studi di Milano) Antonio Panaino (Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna) Paolo Perticari (Università degli Studi di Bergamo) Susan Petrilli (Università degli Studi di Bari) Augusto Ponzio (Università degli Studi di Bari) I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer-review EMILIO MAZZA LA PESTE IN FONDO AL POZZO L’anatomia astrusa di David Hume Appendice di Matteo G. Brega MIMESIS Filosofie © 2012 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) Collana Filosofie n. 234 Isbn: 9788857514949 www.mimesisedizioni. it / www.mimesisbookshop.com Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono +39 0224861657 / 0224416383 Fax: +39 02 89403935 E-mail: [email protected] INDICE PREFAZIONE 11 AVVERTENZA 17 PARTE I VITA. «GREZZA MISCELA TERRESTRE» FILOSOFIA ASTRUSA, VITA COMUNE 25 «DEBOLE DI MENTE» 29 «AMORE DELLA FAMA» 35 LA «MANIERA DI TRATTARE»: I MIEI SCRITTI (SENZA SUCCESSO) 39 «NATO MORTO DAL TORCHIO»: TRA AVVERTENZA E AUTOBIOGRAFIA 41 DIGRESSIONE STRABICA: «MANIERA» E «MATERIA» IN WILLIAM LEECHMAN 53 SCOZZESISMI «DATEMI QUELLA LISTA» 63 TRADUZIONI E PREMONIZIONI 75 «NON RISPONDERE MAI A NESSUNO» 83 NON INADATTO AGLI AFFARI: «PER L’ESERCITO È TROPPO TARDI» 89 LA MIA FORTUNA 107 STERNE CANCELLATO: LA MODA A PARIGI 109 A TAVOLA CON IL FILOSOFO: «IO NON CREDO AGLI ATEI» 113 SILENZIOSE PROPOSIZIONI OBLIQUE 119 LUCIANO E GLI SCITI D’IRLANDA 127 HUME E SMITH: DIALOGO DEI VIVI (DI MEZZA ESTATE) 131 PIANTATO NEL PANTANO (PESCIVENDOLE PER TEOLOGI) 143 PARTE II FILOSOFIA. «SOLIDITÀ NELL’ARIA» 1. IL TEMPO DEL TREATISE: CAVANDO LA PESTE DAL POZZO L’«inconveniente»: David Hume e i ragionamenti astrusi Filosofia inconfutabile senza troppa convinzione: la tradizione Ridurre al silenzio: Zenone e Bayle, Berkeley e Hume Il significato: usi e abusi di «astruso» Teoria generale dell’astruso: inconveniente e rimedi Il lavorìo dell’astruso (fantasmi dello studio) Verità astruse, filosofia humiana Argomenti e argomentazioni astruse Cause certe, rimedi incerti: brevità, morale e ripetizione Effettivamente astruso: fare di difficoltà una prova Apparentemente astruso: variare l’espressione Scoperta e paradosso: digressione sulla filosofia moderna Anatomisti e pittori «Nella speranza che alla fine prevalga la verità» 153 161 167 175 185 191 203 207 215 229 233 237 243 251 2. DOPO IL TREATISE: «GEOGRAFIA» E «DELINEAZIONE» Saggio filosofico sull’astruso: nessuna presunzione di falsità Dialoghi sull’astruso religioso e scientifico: sospetto e vita comune Discorso sull’astruso politico: la regione appropriata Spunti astrusi («in a cool hour») Criterio a prima vista facile (ma per niente ovvio) 3. L’ENQUIRY MORALE: LA FINE DELL’«ANATOMIA» E L’AVVENTO DELLA «DELINEAZIONE» Astrusità e morale Ricezione fredda, silenzio eterno Il paradosso di Hume Astrusità nelle opere «migliori» «Noncuranza e disattenzione» Conclusione Parte I: dall’«anatomia» alla «delineazione» Conclusione parte II: l’«ardore della gioventù» 257 265 269 273 277 285 287 293 303 311 325 337 APPENDICE. «ATTUALITÀ DI UNA GENEALOGIA» di M.G. Brega 339 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI INDICE DEI NOMI 359 361 339 MATTEO G. BREGA Appendice ATTUALITÀ DI UNA GENEALOGIA 1. Storia come luogo sperimentale di due “psicologi” Se volessimo considerare Friedrich Nietzsche essenzialmente come un indagatore della natura umana, ed uno psicologo, nel senso da egli stesso indicato, di analista e genealogista delle idee umane, non potremmo non considerare chi, prima del filosofo di Röcken, dimostrò se non una disposizione analoga, almeno lo stesso interesse. È ormai consolidata una lettura dell’opera di David Hume tendente a ritenere primaria la linea che vede privilegiare le considerazioni tratte dall’analisi del comportamento umano in quanto tale, a scapito di un’impostazione sistematica, più funzionale alla lettura che alla genesi dell’opera di Hume. In questo senso si intende privilegiare lo Hume che, pur non rinunciando al principio della ricerca della verità, ha come fine lo stabilire un insieme di considerazioni “che funzionino”, piuttosto che raccogliere un elenco di definizioni in grado di giustificare a posteriori principi precedentemente posti a fondamento di una visione filosofica complessiva.31 Indagando un elemento instabile, fallace e ingannevole quale la natura umana, necessariamente i dati tratti da tale analisi non potranno che risentire della materia nella quale si trovano. Ma se l’elemento primario di tale analisi è la natura umana, come esplicitamente dichiarato da Hume nell’introduzione del Trattato sulla natura umana, il luogo dove poter mettere alla prova le congetture derivate dalle analisi primarie sarà la storia, intesa come luogo di esperimenti, esattamente dello stesso tipo di quelli biologici o botanici.32 In questo senso possiamo notare un primo punto di raffronto tra Hume e Nietzsche, in special modo per quanto concerne un concetto di storia. 31 32 Si veda: Annette Baier, A Progress of Sentiments: Reflections on Hume’s Treatise, Harvard University Press, 1991, pp. 9-48. Si veda: David Hume, A Treatise of Human Nature, Clarendon Press, 1978, p. XIX; ed inoltre: David Hume, Enquiries concerning Human Understanding and concerning the Principles of Morals, Clarendon Press, 1975, pp. 83-4. 340 La peste in fondo al pozzo La Considerazione Inattuale dal titolo Sull’utilità e il danno della storia per la vita viene pubblicata da Nietzsche nel 1874, la sua impostazione “sperimentale” ne costituisce uno dei tratti caratteristici, sebbene temperata da una “facoltà superiore”, necessaria alla comprensione ed allo sguardo d’insieme, che non trova lo stesso ruolo in Hume. Troviamo in Nietzsche: L’uomo superiore e di vasta esperienza scrive la storia. Chi non ha vissuto qualcosa di più grande e di più alto di tutti non saprà neanche interpretare nulla di grande e di alto del passato. La sentenza del passato è sempre una sentenza da oracolo: la comprenderete soltanto come architetti del futuro, come sapienti del presente. Si spiega oggi l’estesa ed eccezionalmente profonda influenza di Delfi.33 Se di comune “sguardo sperimentale” in Nietzsche e Hume si possa parlare, lo si deve fare considerando la diversità di approccio che può intercorrere tra un filosofo della natura umana del Settecento, ed un postschopenhaueriano tedesco di fine Ottocento: per il primo lo sguardo sperimentale viene messo alla prova dalle conferme o dalle smentite che il laboratorio storico evidenzierà, per il secondo i grandi protagonisti della storia, siano essi i grandi uomini o le civiltà, sono considerati dei veri e propri organismi, e la storia più che un “laboratorio” prende le sembianze di un campo di battaglia, dove le forze, e le rispettive volontà, si confrontano e danno luogo alle conseguenti reazioni energetiche. Inoltre non bisogna mai dimenticare non soltanto l’intento, ma la sincera impostazione antistoricista che Nietzsche sottolinea ogni qualvolta intenda negare una diretta discendenza che, partendo dall’analisi della natura umana, passi poi per la storia in quanto suo campo di battaglia e, da qui, concluda a favore di immutabili leggi interpretative che trascendano i presupposti costitutivi di cui la storia accidentalmente si compone. In altri termini, per Nietzsche la storia non è mai magistra vitae, se non pensando alla stessa in quanto Eterno ritorno. A tale riguardo sarà opportuno notare che, sul versante opposto, nel momento in cui lo stesso Wilhelm Dilthey riconobbe un’oggettiva impossibilità di ricondurre la storia alla natura e viceversa – mantenendosi però al di qua delle considerazioni che lo avrebbero portato a riconoscere alle due realtà connotati di diversità metafisica, indicando anzi nei concetti di “spiegazione naturale” e “comprensione storica” i reali termini del problema34 – Nietzsche pone a confronto due categorie che sono emerse come cruciali anche 33 34 Friedrich Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it. S. Giametta, Adelphi, 1986, p. 64. Si veda: Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, a cura di G. A. De Toni, La Nuova Italia, 1974, pp. 52-66. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 341 nello stesso Hume: e cioè quelle di uomo e natura. Le asperità interpretative connesse a tali elementi sono sottolineate da Nietzsche nei termini di una problematicità intrinseca tra cultura, in quanto espressione più tipica dell’umano, e natura: Così l’animale vive in modo non-storico: perché esso nel presente è come un numero, senza che ne resti una strana frazione, non sa fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento esattamente come ciò che è. […] l’uomo, invece, si oppone al peso sempre più grande del passato: questo lo opprime e lo piega da parte, rende più greve il suo cammino come un fardello invisibile e oscuro che egli può apparentemente rinnegare.35 Nel momento in cui Nietzsche si rivolge a una visione della storia non finalizzata a una semplice conoscenza pratica ma indica, nella forma della “suprema guida” una finalità che prenderà in seguito le sembianze dell’Eterno ritorno o del destinale, possiamo scorgere i passaggi, tra i più interessanti per ciò che attiene l’evoluzione del concetto di storia, all’interno della visione del Tedesco.36 L’incedere della storia ha come finalità unica il tendere alla realizzazione di sé, al di là e al di fuori di ogni attribuzione di valori immanenti intesi in senso morale. Gli stessi attacchi portati da Nietzsche agli esiti democratici o socialisti cui la civiltà europea è indirizzata, possono verosimilmente essere letti come attacchi allo storicismo. L’affermazione della “morale del gregge”, deprecata, con decisione assieme ad ogni esito tendente a sminuire la funzione e il ruolo dell’individuo nella storia, trova una linea di continuità nelle constatazioni di Oswald Spengler sulla sovversione che la democrazia e il socialismo provocherebbero nei confronti dell’organicità naturale dei poteri. In questi termini fu proprio Spengler a raccogliere con maggior convinzione l’eredità antistoricistica di Nietzsche.37 La pretesa, che Nietzsche identifica come uno dei principali errori dell’Idealismo, dell’interpretazione della storia post hoc ha in realtà la finalità di ricomprendere il concetto di contraddizione nelle forme della concordanza col reale: la contraddizione, all’interno del processo storico dialettico, costituirebbe una ricchezza nella misura in cui essa sarebbe fun35 36 37 Friedrich Nietzsche, Op.cit., p. 11. «Ogni persona e ogni popolo ha necessità di una certa conoscenza del passato […] ma non è il bisogno di uno stuolo di puri pensatori, rivolti solo a guardare la vita, oppure di individui bramosi di conoscere, appagabili solo con la conoscenza, il cui unico scopo sia l’accrescimento della conoscenza, bensì un bisogno che ha come scopo la vita e sta quindi anche sotto l’egemonia e la suprema guida di questa finalità», Friedrich Nietzsche, Op. cit., p. 54. Si veda in particolare Oswald Spengler, Il tramonto dell’occidente: lineamenti di una morfologia della storia mondiale, Guanda, 1991, pp. 87-90. 342 La peste in fondo al pozzo zionale all’elaborazione di una dottrina dello sviluppo storico del pensiero. In altri termini essa farebbe delle proprie contraddizioni il proprio presupposto. Per Nietzsche, al contrario, il segno distintivo di ogni pensiero nato sull’impulso di una sovrabbondanza, al contrario cioè di ogni posizione nata dall’impoverimento, è sempre contrassegnato dall’accettazione delle istanze della modernità, e dalla conseguente accettazione “sino in fondo” delle strade che la modernità ha aperto, come unico tentativo effettivo di confrontarsi con essa. In forza di tale impostazione, è netta la diffidenza di Nietzsche nei confronti delle formulazioni astratte della morale, vale a dire della definizione assoluta ed aprioristica di “virtù applicabili all’umano”. Potremo dunque definire generalmente come inclinazione allo psicologico quella tendenza – che accomuna Nietzsche a Hume – a considerare l’osservazione dell’umano come la base per la definizione teorica dei suoi comportamenti. In ogni caso sarà bene ricordare come i riferimenti del Tedesco a Hume siano limitati a meri accenni e, comunque, come non vogliano mai spingersi nella direzione di una verifica di una possibile affinità. 2. Hume in Nietzsche Nietzsche cita Hume per la prima volta in Sull’utilità e il danno della storia per la vita e lo fa, occorre dire, fornendo due precisi segnali: all’interno dell’inquadramento dell’argomento dei rischi di intendere la storia come giudizio definitivo sull’uomo, cioè mettendo in guardia sul dogmatismo tipico dello storicismo, Nietzsche fa l’esempio dell’uomo al quale viene chiesto se accetterebbe di rivivere gli ultimi venti anni della propria vita, e contraddistingue coloro che risponderebbero negativamente come «dotati di senso sovrastorico».38 Per coloro che dovessero dare la giustificazione della propria scelta, con ingenua malinconia, con l’argomento che forse i venti successivi potrebbero essere migliori, Nietzsche ricorre all’unica citazione circoscritta e compiuta di Hume: Alcuni forse consolandosi: “Ma i prossimi venti saranno migliori”; di questi David Hume afferma sarcasticamente: And from the drags of life hope receive, what the first sprightly running could not give [in inglese nel testo, ndr].39 38 39 Friedrich Nietzsche, Opere 1870-1881, trad. it. Mirella Ulivieri, Newton Compton, 2008, p. 342. F. Nietzsche, Op. cit., p. 342. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 343 Il primo segnale è l’acquisizione di Hume,40 da parte di Nietzsche, nella schiera di coloro che non sopravvalutano la funzione della storia, ciò in linea con l’affermazione dello Scozzese di considerarla alla stregua di una messa alla prova dei comportamenti umani;41 il secondo e più interessante segnale consiste nell’implicita assegnazione a Hume della qualifica di “psicologo”, cioè di colui che legge nelle risposte umane le debolezze di coloro che non raggiungono una piena consapevolezza delle proprie scelte. La seconda e la terza citazione di Hume in Nietzsche si trovano ne La gaia scienza ed entrambe relegano Hume a un ruolo marginale. Nel primo caso l’argomento è se i filosofi tedeschi siano da considerarsi realmente tedeschi o non, piuttosto, delle eccezioni dello spirito tedesco. Vengono citati ad esempio Leibniz, Kant, Hegel e Schopenhauer: i primi tre effettivamente “tedeschi” nel proprio affermare la superiorità del divenire nei confronti dell’essere – il cui contrario contraddistinguerebbe, invece, un tratto tipicamente “latino” – mentre soltanto il quarto, con il suo dichiarato e rigoroso ateismo, si troverebbe ad essere l’unico vero filosofo “europeo”. Hume viene qui semplicemente accostato a Kant e con una connotazione leggermente secondaria: Ricordiamo, in secondo luogo, l’enorme segno interrogativo che Kant scrisse accanto al concetto di “causalità”; non che, come Hume, ne avesse messo in dubbio i diritti, ma cominciò comunque a delimitare il regno all’interno del quale questo concetto può avere senso (e a tutt’oggi non si è ancora finito di tracciare questo confine).42 40 41 42 Cfr. D. Hume, Dialoghi sulla religione naturale, a cura di E. Mazza, Il Melangolo, 1996, p. 126. Si noti come l’affermazione, contenuta nei Dialoghi e riportata da Nietzsche, non sia di Philo, identificato con il punto di vista dello stesso Hume, bensì del personaggio di Demea, che incarna lo spirito religioso, chiesastico e tradizionale. Personaggio che non può in nessun caso rappresentare il punto di vista di Hume. Oltre a ciò, esiste un’ulteriore questione inerente la reale fonte della sentenza la cui paternità è da attribuire a John Dryden, Aurenge-Zebe or The Great-Mogul (1676), atto IV, scena I, vv. 41-2. Infine, a proposito della questione posta da Nietzsche attraverso la citazione di Hume, possiamo notare come Hume, nello scritto In My Own Life (1776), riaffronti la questione nei seguenti termini: «nonostante il grande declino della mia persona, non ho mai sofferto un momento di abbattimento degli spiriti, tanto che, se dovessi indicare un periodo della mia vita che preferirei rivivere più degli altri, sarei tentato di indicare quest’ultimo periodo. Posseggo lo stesso ardore nello studio di sempre e la stessa gaiezza in compagnia» (Cfr. D. Hume, Opere filosofiche, Vol. 4, Laterza, 1987, p. 321). David Hume, Enquiries concerning Human Understanding and concerning the Principles of Morals, Clarendon Press, 1975, p. 84. Friedrich Nietzsche, Opere 1882-1895, trad. it. Francesca Ricci, Newton Compton, 2008, p. 185 344 La peste in fondo al pozzo Nella più ampia considerazione che Nietzsche attribuisce a Kant, Hume ne emerge come una sorta di “precursore meno sottile”. L’altro passo de La gaia scienza è il paragrafo 370 dal titolo “Che cos’è il romanticismo?” dove Hume viene ulteriormente accostato a Kant, e questa volta anche a Condillac, e ancora una volta considerato come figura che ha intuito in nuce degli sviluppi positivi che si rifletteranno sui secoli a venire: il pessimismo filosofico del Diciannovesimo secolo era il sintomo di una più elevata energia intellettuale, di una prodezza più audace, di una pienezza più vittoriosa di vita, rispetto a quello del Diciottesimo secolo, l’età di Hume, Kant, Condillac e dei sensualisti: cosicché la conoscenza tragica mi pareva il vero lusso della nostra cultura, costituendone la dissipazione più preziosa, nobile, pericolosa ma pur sempre, sulla base della sua sovrabbondanza, il suo lusso consentito.43 Passando ad Al di là del bene e del male, Hume viene ancora accostato a Kant, ma, questa volta, con una connotazione negativa, invero più estemporanea che argomentata: è il noto paragrafo dove Nietzsche attacca lo spirito inglese in quanto rozzo, contadino, privo di spiritualità, obbligatoriamente cristiano ed antimusicale: Non sono una razza filosofica, questi Inglesi: Bacon significa un attacco allo spirito filosofico in generale, Hobbes, Hume e Locke una degradazione e un deprezzamento del concetto di “filosofico” per più di un secolo. Contro Hume si levò e si leva Kant.44 L’ultima citazione di Hume è nel Nietzsche contra Wagner ed è una rielaborazione del paragrafo 370 de La gaia scienza dove, questa volta, oltre che a Kant, Hume viene accostato ad Hegel per definirne l’appartenenza ad una tradizione “solo” filosofica e non già in grado di accedere alla conoscenza di tipo tragico: Forse si ricorderà, almeno tra i miei amici, che all’inizio mi sono lanciato su questo mondo moderno non senza alcuni errori e sopravvalutazioni, e comunque come uno che spera. Intendevo – sulla base di chissà quali esperienze personali – il pessimismo filosofico del Diciannovesimo secolo come un sintomo di una superiore forza del pensiero, di una pienezza di vita più vittoriosa di quella che aveva trovato espressione nella filosofia di Hume, Kant, Hegel; consideravo la conoscenza tragica come il più bel lusso della nostra civiltà, come la sua più preziosa, più aristocratica, più pericolosa maniera di dissipa- 43 44 F. Nietzsche, Op. cit., p. 196. Friedrich Nietzsche, Opere 1882-1895, trad. it. Silvia Bartoli Cappelletto, Newton Compton, 2008, p. 535. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 345 zione, ma pur sempre, sulla base della sua sovrabbondanza, come un lusso che essa potesse concedersi.45 Presi in esame tutti i passi, possiamo concludere che il più interessante, ai fini del presente discorso, è senza dubbio quello contenuto in Sull’utilità e il danno della storia per la vita, passo che, oltre ad evidenziare i due elementi già sopra esposti, si pone in premessa concettuale alla Seconda parte di Umano troppo umano, intitolata “Per la storia dei sentimenti morali”, concettualmente affine alle considerazioni dello Hume del Trattato sulla natura umana. Ad un’analisi d’insieme delle cinque citazioni, occorre notare – al di là delle apparenti contraddizioni tipiche dello stile nietzscheano, prospettivistico e quindi acontraddittorio – che soltanto la prima considera Hume un interlocutore, mentre nel caso delle altre ci si trova di fronte ad un uso simbolico della figura dello Scozzese, ora assimilato a Kant, ora ai Sensualisti, ora agli Illuministi del Settecento, ma mai dotato di voce propria, se non, appunto, nel passo della Seconda Inattuale. In questo passaggio Nietzsche cita Hume a sostegno dell’idea di base di Sull’utilità e il danno della storia per la vita, e cioè dell’idea secondo la quale i comportamenti umani sarebbero da considerarsi virtualmente immutabili46 e, come tali, individuabili secondo una linea interpretativa che sia in grado di evidenziarne una linea guida. Quest’idea di base, che costituirà uno dei presupposti del futuro concetto di Volontà di potenza, gode di una stratificazione maggiore in Nietzsche, il quale si spingerà ad analizzarne le caratteristiche psicologiche – appunto, caratteristiche considerate come delle vere e proprie “stratificazioni” – a differenza di Hume, che si limita a considerare il dato empirico del comportamento umano nella sua immutabilità, seppure considerato sotto le spoglie complesse della storia.47 Ma esiste un ambito speculativo dove i due si trovano essenzialmente d’accordo, ed è rappresentato dall’idea humeiana di precedenza del sentimento sulla ragione.48 Per Nietzsche il presupposto stesso che può condurre 45 46 47 48 Friedrich Nietzsche, Opere 1882-1895, trad. it. Mirella Ulivieri, Newton Compton, 2008, p. 908. Mutabili a rigore pensando a un uomo di «ottantamila anni», un uomo cioè in grado di vivere, nel corso dei secoli, tante vite di tanti individui diversi. In: Friedrich Nietzsche, Opere 1870-1881, trad. it. Mirella Ulivieri, Newton Compton, 2008, p. 541. A tal proposito si veda: Ivan Broisson, Ressentiment und ‘Wille zur Macht’: Nietzsche und Hume über Moral und Religionskritik, in Gerhardt Volker (a cura di), Friedrich Nietzsche: Zwischen Musik, Philosophie und Ressentiment. Nietzscheforschung, Band 13: Jahrbuch der Nietzsche-Gesellschaft, Akademie Verlag Berlin, 2006, pp. 117-28. Si veda a tal proposito David Hume, A Treatise of Human Nature, Clarendon Press, 1978, pp. 413-8; Inoltre si trovano rimandi di tale impostazione nel III 346 La peste in fondo al pozzo ad uno “studio genealogico della morale” riposa nel fatto che l’intervento della ragione sul sentimento etico non soltanto non è decisivo, ma è un mascheramento, uno strumento,49 dell’impressione primaria che il sentimento imprime sui comportamenti umani. 3. Genealogia dei sentimenti morali: utilità e piacere La parte seconda di Umano troppo umano è intitolata “Per la storia dei sentimenti morali” ed in essa si possono cogliere numerosi elementi di analogia tra le modalità di trattazione dell’argomento utilizzate a suo tempo da Hume, ed approccio psicologico al problema secondo lo schema nietzscheano. In primo luogo, nel paragrafo 35, vi è una dichiarazione di intenti di tipo “esistenziale” che appare già in grado, in incipit, di accostare le sensibilità dei due filosofi: la riflessione sull’umano, la sua osservazione psicologica, rappresenta un eccellente mezzo grazie al quale «ci si può alleviare il peso della vita; l’esercizio di quest’arte conferisce presenza di spirito in situazioni difficili e offre distrazione in mezzo a gente noiosa».50 Emerge qui un primo elemento di particolare interesse ai fini del presente studio: la mancanza di psicologia rappresenta, in filosofia, un errore. Nella fattispecie nella filosofia tedesca, ma europea in generale, mentre si constata come lo spirito di analisi psicologica sia sopravvissuto nel romanzo, e come la circostanza dove più colpevolmente esso appare mancante siano le relazioni sociali, nelle quali si indugia a parlare di individui senza mai raggiungere l’auspicabile profondità, tipica invece degli antichi, che induce a parlare dell’uomo in sé e non del casuale personaggio. I grandi maestri di tale arte sono gli scrittori, gli aforisti, gli artisti in genere, e a poco serve l’insegnamento che essi possono ispirare al popolo, giacché quest’ultimo si trova ormai nella condizione di non saper più riconoscere la profondità del motto arguto nei suoi connotati essenziali e nelle opportunità che esso mette a disposizione. I rischi della comprensione psicologica potrebbero prefigurare, se estesi oltre gli angusti confini dei pochi conoscitori, un danno per l’umanità, in quanto a quest’ultima appare più utile confidare nella benevolenza senza indugiare nel capire i motivi alla base della stessa, piuttosto che 49 50 Libro del Treatise, soprattutto nella sezione «Le distinzioni morali non derivano dalla ragione» (Op. cit. pp. 455-70); oltre che nella Enquiry morale, nella I Sezione, «I principi generali della morale» (Op. cit., pp. 169-75) e nell’Appendice «Il sentimento morale» (Op. cit., pp. 285-94). F. Nietzsche, Op. cit., pp. 489-92. F. Nietzsche, Op. cit., p. 538. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 347 cogliere il centro di un bersaglio che lascerebbe sapienti ma tristi. Tuttavia – e qui Nietzsche mostra un’assonanza con l’aforisma di Wilde secondo il quale “L’unico peccato è il non capire” – se l’uomo ritiene comunque utile progredire nella “conoscenza sociologica”, non potrà sottrarsi «all’orrido spettacolo di un tavolo di dissezione psicologica»51 e, con ciò, risalire genealogicamente alle radici dei cosiddetti sentimenti morali.52 La filosofia stessa è obbligata a sottoporsi a questo procedimento di smascheramento, in quanto il fraintendimento di un’azione morale o religiosa porta con sé tali e tante conseguenze da risultare inaccettabile per tutta l’umanità capace di giudizio. Inoltre la comprensione del sé, intesa come lettura dei popoli e degli individui, assume il valore di farmaco, di naturale contrappunto per tutti coloro che, “o troppo caldi o troppo freddi”, si discostano dalla conoscenza. In Nietzsche, in maniera analoga che a Mandeville,53 è possibile tracciare una vera propria storia dei sentimenti morali, una retrospettiva che, sulla base del passato che delinea, aspira a trovare conferma nell’analisi del presente. All’interno di questa ipotetica storia sarà possibile individuare delle specifiche fasi: nella prima fase le azioni si definiscono buone o cattive in base alla bontà o al danno degli effetti che producono. Successivamente, però, si decade da tale età dell’oro, si dimentica l’arbitrarietà dei connotati etici, ed invece che limitarsi alla constatazione degli effetti, si attribuisce il connotato di “buono” o “cattivo” all’azione in sé, indipendentemente dalle conseguenze che provoca. Un successivo passaggio consiste nel far risalire le connotazioni delle azioni da queste a chi le compie. All’interno dello stesso movimento ascendente, poi, si estende l’intenzione inerente la singola azione al carattere generale dell’uomo, di modo tale che l’individuo non sarà più colui che soltanto compie un’azione negativa, ma la compirà perché esso stesso malvagio. Nasce così il concetto etico di responsabilità che coinvolge non soltanto le azioni, ma anche le motivazioni e l’intima natura dell’uomo. L’ultimo passaggio consiste nello smascheramento finale derivante dalla constatazione dell’inesistenza della libertà umana, constatazione che rende manifesta l’inconsistenza dell’idea stessa di agire morale in tale modo inteso. Nietzsche ipotizza una sorta di fenomenologia della morale nei termini evolutivi di un sentimento che, nel corso della storia, spinge l’uomo a civilizzarsi, modificandone il carattere, in nome di un 51 52 53 F. Nietzsche, Op. cit., p. 539. Per le affinità metodologiche tra tale approccio e l’impostazione humeiana si veda anche: David Hoy, Nietzsche, Hume and the Genealogical Method in Y. Yovel (a cura di), Nietzsche as Affermative Thinker, Nijhoff, 1986, pp. 20-38. Cfr. Bernard Mandeville, Enquiry into the Origin of Honour, and The Usefulness of Christianity in War, Kessinger Publishing, 2010. 348 La peste in fondo al pozzo τέλος autoconservativo di specie. All’interno di tale visione sarà l’impulso, il sentimento, la volontà a risultare sottostante e primaria a fronte di una giustificazione morale che interviene, in seconda battuta, come ordinamento comune e norma per l’utilità e l’accettabilità dello stato di cose vigente nel dato momento evolutivo. L’atto malvagio in sé e per sé non è altro che la testimonianza di una stratificazione antica che non è riuscita ad evolversi all’interno della corteccia cerebrale del malvagio, un legame con l’ancestralità che ci pone di fronte ad uno specchio difficile da accettare ma, allo stesso tempo, profondamente umano. Esiste, inoltre, una preistoria dei sentimenti morali durante la quale la norma generale era rappresentata dal contraccambio: la sovrabbondanza energetica induceva a contraccambiare bene con bene e male con male, in senso stretto essere “buono” significava essere dotato dell’energia della bontà, dall’altra parte, invece, i “cattivi” erano coloro che, non riconoscendosi appartenenti a nessuna comunità o non essendo dotati di sufficiente spinta energetica, vivevano nell’indifferenza, cioè al di fuori dello scambio reciproco omogeneo. È in tale premessa che Nietzsche situa l’origine della società fondata su di un’aristocrazia guerriera e su una speculare e necessaria massa di schiavi: i primi in grado di “ricambiare”, i secondi non in condizione di “rivalersi”. All’interno di un tale contesto culturale si opera la divisione tra “malvagio” e “spregevole”, dove il primo è colui che legittimamente opera secondo i dettami delle divinità della vendetta e dell’onore, mentre il secondo è colui che sfugge alla legge del contraccambio per codardia o per debolezza, sempre e comunque per inadeguatezza. Ed è all’interno di una tale visione che si può comprendere il mistero, per noi cristiani e moderni incomprensibile, dell’ereditarietà dei meriti e delle colpe. Essendo che, nell’antichità, nobiltà, forza, schiavitù, sottomissione si trasmettevano per via ereditaria, stessa sorte toccava alle conseguenze accessorie che da tali virtù essenziali scaturivano. A proposito della fondamentale considerazione che Nietzsche elabora nei confronti del concetto di compassione – considerazione che potremmo verosimilmente ritenere uno dei valori centrale all’interno dell’argomentazione inerente la morale – il Tedesco si rifà a colui che, seppur mai in maniera esplicita, viene spesso considerato, all’interno di Umano troppo umano, una sorta di punto di riferimento, di padre della psicologia: François de La Rochefoucauld. Per costui la comprensione deriva direttamente dalle passioni e mai del raziocinio, ed in forza di tale origine essa otterrebbe il deleterio effetto di «indebolire l’anima».54 Nietzsche utilizza tale constata54 F. Nietzsche, Op. cit., p. 544. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 349 zione di base per individuare la vera fonte sia dei sentimenti in quanto tali, sia delle passioni, sia del “principio malvagio” che starebbe alla base di tale ingannevole disposizione d’animo. La compassione non sarebbe altro che la manifestazione di una superiorità, seppure rovesciata, che il debole e infelice riesce a imporre al mondo, salvaguardando ancora una volta il proprio io e fornendo a se stesso la prova di poter ancora, seppur nell’infermità è nell’infelicità, essere in grado di mettere in atto una funzione energetica difensiva, cioè, letteralmente, di “fare del male”. Seppur nei diversi esiti, possiamo notare la conferma di ciò che precedentemente avevamo ipotizzato: sia per lo Scozzese che per Nietzsche alla base del comportamento morale – soprattutto di quello che apparentemente potrebbe contare sul sostegno del principio di ragione, di utilità, di una presupposta “bontà d’animo” – sempre risiede la passione, la pulsione, il sentimento. Nietzsche aggiunge a tale constatazione quella secondo la quale l’intervento della passione cela sempre e comunque il male, seppur, per coerenza, un male in certo qual modo “neutro”, strumento semplicemente al servizio dell’accrescimento della volontà dell’io. Una seconda considerazione che avvicina in maniera indiscutibile Nietzsche a Hume, presente sempre sullo sfondo di “Per la storia dei sentimenti morali”, è rappresentata dalla potenza che il Tedesco accorda all’abitudine – concetto centrale nell’epistemologia humeana, insieme all’associazione delle idee, e nell’etica, insieme alla simpatia e alla duplice associazione di impressioni e idee – seppure nelle forme descritte da Nietzsche nei termini di “perseveranza del sembrare”.55 L’habitus del dolore, del piacere, del padre affranto così come dell’artista consumato, provengono sempre da una constatazione di ciò che è il mondo esterno, per giungere, attraverso l’esercizio, al risultato prefissato: Colui che indossa sempre la maschera di espressioni amichevoli, deve alla fine acquisire un potere sulle disposizioni benevole, senza le quali non ci si può costringere ad esprimere cordialità, e alla fine saranno queste a dominarlo, egli sarà benevolo.56 Allo stesso modo l’abitudine agisce su se stessi trasformando l’inganno in onestà. È grazie alla fede in se stessi che tutti coloro che devono convincere, dai venditori ai truffatori, dagli statisti ai fondatori di religione, non possono, non debbono uscire da quello stato di autosuggestione, nemmeno manifestando quei rari momenti di lucidità propri di chi dubita, momenti invero di debolezza che non si può fare a meno di avere. In questo caso l’abitudine assume gli effetti dell’inganno su se stessi, inganno subordinato 55 56 F. Nietzsche, Op. cit., p. 545. F. Nietzsche, Op. cit., p. 545. 350 La peste in fondo al pozzo all’ottenimento dell’effetto, effetto del resto estremamente efficace giacché «Gli uomini credono alla verità di tutto quanto venga chiaramente creduto con forza».57 La forza della credenza è talmente ingente da spingersi retrospettivamente a giustificare gli atti passati che hanno portato al sacrificio della felicità e, una volta trovati, tali atti non vengono ritenuti malvagi o fallaci, bensì dotati di un grado di verità inferiore, non ancora completo, non ancora giunto a quel processo di manifestazione che la verità in quanto tale garantisce, o quantomeno garantirà, nei suoi esiti finali e nei suoi sviluppi futuri. Nel paragrafo 53 Nietzsche avanza un’ipotesi fondativa in relazione al concetto di abitudine che si discosta dalla visione humeiana, in particolare per ciò che attiene l’abitudine applicata ai sentimenti morali. Secondo tale ipotesi la persistenza delle credenze, e quindi la sua abitudine, si giustifica sulla base di una sorta di “debolezza”, di incapacità, per il fedele, nel sostenere l’idea che non vi sia alcuna giustizia eterna, sebbene la ragione dimostri il contrario. L’uomo preferisce la fede all’iniquità di una battaglia combattuta unicamente sulla base di un errore e, così facendo, pone le basi di una struttura morale che si autogiustifica. Una seconda motivazione che starebbe alla base dell’abitudine viene individuata da Nietzsche nel principio di economia: in linea di massima lo sforzo inventivo richiesto dalla menzogna viene sacrificato in nome della linearità del principio di adeguamento al reale. Ma coloro che, a causa di determinate condizioni culturali, sviluppano nel corso della propria vita una tendenza ed una capacità alla menzogna che rasenta la naturalità, interiorizzeranno tale attitudine, ed essa diverrà per loro un habitus, sostituendo così, anche nella scala dei valori morali, la verità alla menzogna e viceversa. Esiste poi un terzo, iniziatico livello che consiste nel riconoscimento dell’abitudine per giungere al suo superamento. La condizione dell’abitudine è la naturale condizione dell’uomo, sebbene essa possa sorgere per motivi diversi nei diversi individui; la conoscenza del potere dell’abitudine rappresenta il momento della vera e propria consapevolezza, dell’individuazione del proprio ruolo all’interno della società e, non ultimo, in chiave psicologica, del corretto posizionamento di sé all’interno del proprio contesto culturale e sociale. Ma vi è un ulteriore ed ultimo passaggio, da quest’ultimo direttamente derivante, che consiste nel prendere le distanze dall’abitudine stessa, al fine di ottenere, allo stesso tempo, una condizione che consentirà al singolo di «addolcire quanto c’è di selvaggio nella sua costituzione»58 e di giungere così alla conoscenza ultima dell’equivalenza di bene e male 57 58 F. Nietzsche, Op. cit., p. 546. F. Nietzsche, Op. cit., p. 547. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 351 in ottica prospettivistica. Appare chiaro come la distanza tra Hume e Nietzsche si consumi in quelle che abbiamo individuato, all’interno di “Per la storia dei sentimenti morali”, come la seconda e la terza fase dell’abitudine, mentre sussistono analogie tra quella che Nietzsche definisce la prima fase dell’abitudine con l’approccio empirista del filosofo scozzese, così come quanto enunciato nel paragrafo 74: «ci si sbaglierà raramente, attribuendo le azioni estreme alla vanità, quelle mediocri all’abitudine e quelle meschine alla paura».59 L’idea di abitudine che emerge in “Per la storia dei sentimenti morali” può essere definita allo stesso tempo sia individuale che contestualizzata. Più che un principio generale, l’abitudine è la forma che assume la volontà nei singoli individui in conseguenza alle varie condizioni, storiche, psicologiche e culturali, che hanno contribuito a costruire le condizioni all’interno delle quali costoro si sono venuti a trovare. Ecco dunque spiegata la variabilità dei comportamenti, la relatività dei valori morali all’interno sia delle differenti condizioni culturali che dei diversi periodi storici, finanche la variabilità di risposta che un singolo individuo, la cui abitudine si sia venuta a creare in condizioni ritenute “estreme”, evidenzi nei confronti di un individuo del tutto simile al primo ma che abbia attraversato condizioni di tutt’altra natura, tanto da ipotizzare l’esistenza di «due virtuosi che non si capiscano l’un l’altro».60 Ciò porterebbe a concludere a favore di un concetto di abitudine immutabile nel suo nucleo di rapporto con il mondo, ma di estrema variabilità per ciò che riguarda gli esiti stessi che tale abitudine può generare nelle infinite possibilità combinatorie. Potremmo dunque parlare, nel caso di Nietzsche, di “abitudine attenuata”, di un fattore del carattere umano, quindi, che mostra la stessa fenomenologia isolata da Hume, ma che affonda le proprie radici in fattori psicologici estremamente stratificati. Del resto è Hume stesso a rifiutare l’accesso a quello che ai suoi occhi poteva parere un circolo vizioso, che avrebbe condotto sin troppo lontano e, soprattutto, su strade sconnesse e, in linea di principio, da evitare.61 Specularmente, come abbiamo già potuto notare attraverso il frammento contenuto in Al di là del bene e del male, l’intenzione di Nietzsche è proprio quella di oltrepassare l’ambito psicologico dell’Illuminismo sette- 59 60 61 F. Nietzsche, Op. cit., p. 551. F. Nietzsche, Op. cit., p. 551. Craig Beam, Hume and Nietzsche: Naturalists, Ethicists, Anti-Christians, in «Hume Studies», Vol. XXII, n. 2, Novembre 1996, pp. 317-318; dello stesso autore si segnala anche Craig Beam, Ethical Affinities: Nietzsche in the Tradition of Hume, in «International Studies in Philosophy», Anno XXXIII, n° 3, pp. 87-98. 352 La peste in fondo al pozzo centesco alla ricerca di quei motivi ultimi che gli derivano principalmente dalla lettura schopenhaueriana di Kant. Per ciò che riguarda il concetto di moralità in quanto giustizia, Nietzsche propone un’interpretazione di tipo genealogico che affonda le proprie radici nella democrazia ateniese e nel concetto antico di “parità delle forze”. L’͗έϑος della giustizia consisterebbe nello scambio e nel principio di utilità in base al quale la reciprocità di alcuni beni o di determinate condizioni sono in grado di ricreare di per sé l’equilibrio, rotto dall’atto ingiusto primario. In tali condizioni la compensazione ristabilisce quella condizione di parità leggermente intaccata e riveste l’istituto della vendetta con la funzione del giusto scambio. Ciò vale, specularmente, per la gratitudine intesa come forma di giustizia finalizzata al ristabilimento dell’equilibrio primario, dettato sia dalle norme di ragione che da quelle di utilità. In questo caso l’abitudine, nel corso della storia, viene ad assumere, all’interno di una analisi nietzscheana che può contenere echi humeiani, il connotato negativo di sostrato di sedimentazione storica che impedisce la corretta lettura delle motivazioni che hanno originato il comportamento nella sua autenticità. È l’abitudine, infatti, a contribuire all’oblio della funzione riequilibrante tra forze equivalenti, facendo sorgere negli uomini, nel corso della storia, l’illusione che «un’azione giusta sia un’azione altruistica»62 trasferendo così dall’utilità all’altruismo l’essenza del valore morale. Secondo lo stesso schema sarà possibile comprendere l’accettazione, da parte di una città, del dominio di una signoria esterna: in tal modo, e cioè ponendo nei beni di disponibilità della signoria dominate la propria città, allo stesso tempo si otterrà il risultato di privare la signoria dominante del diritto di distruzione della città subordinata, dal cui annientamento risulterebbe una diminuzione della propria potenza; non solo ma si porrebbe la signoria dominante nella condizione di dover temere come una perdita propria l’autoannientamento della città stessa, nel caso in cui quest’ultima dovesse minacciarlo come rappresaglia. Allo stesso modo si potrà evincere l’origine del rapporto di giustizia – e quindi della condizione di intrinseca moralità – tra padrone e schiavo: nel momento in cui quest’ultimo si rende “prezioso” per il primo, ecco che acquisisce potere di reciprocità, ovvero “diritti”, i quali rappresentano la base per i sentimenti morali senza dover ricorrere a giustificazioni allogene quali “l’altruismo” e le sue derivazioni. Ed una volta che l’altruismo entri a far parte delle motivazioni principali del sentimento morale, ecco che anche stima, sacrificio, zelo si porranno minacciosamente a guardia della “dignità umana”. Ancora una volta, però, 62 F. Nietzsche, Op. cit., p. 555. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 353 Nietzsche sottolinea come l’altra faccia dell’abitudine, e cioè la dimenticanza, abbia svolto, nel corso della storia di sentimenti morali, un ruolo di continuo ottundimento della verità, un conseguente ed inesorabile velamento della stessa, la costante e sempre più approfondita creazione dell’equivoco in base al quale il valore morale non trae le proprie origini dalla ragione dell’uomo, il più delle volte sotto la forma del principio di utilità, bensì dall’esistenza di ipostasi superiori che, platonicamente, attribuiscono un senso metafisico, cioè “dall’alto verso il basso”. Il criterio generale che testimonia l’evoluzione dell’uomo dallo stato ferino è il perseguimento dell’utile ed il conseguente utilizzo della ragione in maniera subordinata a tale perseguimento. Il sentimento morale ha la stessa origine e, nella sua evoluzione, prima diviene “onore”, cioè si astrae e si fa puro concetto razionale, per giungere poi all’ultimo e definitivo stadio all’interno del quale il concetto di moralità si slega da ogni altro principio per ritornare all’origine, cioè al «massimamente utile».63 Nei paragrafi 96 e 97, Nietzsche utilizza il termine “costume” in maniera analoga all’uso che Hume fa di “abitudine”. Essere costumati, “buoni”, significa sostanzialmente, all’interno di una tradizione culturale radicata e divenuta quindi abitudinaria, essere “buoni a” qualcosa. È assolutamente irrilevante che questo “qualcosa” sia la vendetta, come per i popoli antichi, o il perdono, come per i cristiani. L’essenza del sentimento morale consiste nell’uniformarsi al costume, mentre l’immoralità consiste nell’essere “scostumati”, cioè – direbbe Palamedes, guardando a Mandeville, nel Dialogue di Hume – il porsi deliberatamente al di fuori delle convenzioni. Nietzsche fa notare come, all’interno di tale sistema etico, i motivi metafisici, per i quali ai concetti di bene e male vengono associati dei valori universali, risultano assolutamente irrilevanti in quanto, ad essere decisivi, sono le tradizioni nate all’interno delle comunità. A questa stregua, superstizione e metafisica equivalgono, e il castigo divino diventa un concetto necessario per rafforzare la tenuta di norme la cui origine non ha un fondamento razionale sempre dimostrabile. La tradizione diviene così sacra e la morale diventa pietà religiosa. È nel paragrafo 97 che Nietzsche fornisce la spiegazione genealogica del concetto di abitudine collegandolo al concetto di piacere,64 concetto che rappresenta l’argomento conclusivo del presente 63 64 F. Nietzsche, Op. cit., p. 556. Hume tratta la funzione del piacere in termini di sostanziale rispecchiamento del sé e di rinforzo della propria consapevolezza morale: «being agreeable in themselves, necessarily produce a sentiment of pleasure in every one, that either considers or surveys them», in David Hume, A Treatise of Human Nature, Clarendon Press, 1978, p. 358. Oppure, negando come Nietzsche l’esistenza di valori intrinseca- 354 La peste in fondo al pozzo studio. Quanto più un comportamento è abituale, tanto più è piacevole da farsi, sia perché ciò consente una sorta di “tranquillità” data dalla consapevolezza di trovarsi all’interno di una tradizione consolidata, sia perché da tale piacere ne scaturisce un secondo, provocato dalla convinzione di fare qualcosa di utile e salutare perché già messo alla prova in varie circostanze. Il costume abitudinario viene dunque definito «l’unione del piacevole e dell’utile, che per giunta non esige riflessione».65 Il grado massimo di piacere si raggiunge quando l’abitudine si consolida e si fa costume, e, allo stesso tempo, quando il costume allenta la rigidità, rimanendo se stesso ma contemplando gli altri costumi in un misto di curiosità e tolleranza. Tuttavia la funzione del piacere non si limita al consolidamento dell’abitudine; essa si estende dal piacere di sé al piacere del singolo nei suoi rapporti con gli altri. È nel piacere che ci si aspetta dagli altri che la convivenza umana pone le proprie radici: la tolleranza e finanche l’ottimismo, nel proprio rappresentarsi come antidoti per la diffidenza e l’invidia, svolgono la funzione di arginare altri sentimenti che diminuiscono il piacere nei rapporti tra individui. La simpatia in genere è basata sull’aspettativa di piacere, così come l’uguaglianza ne è rafforzata, sino a giungere al massimo grado di messa in comune del piacere che rappresenta il presupposto indispensabile per la nascita dell’istinto sociale. Al contrario, alla base di ogni azione malvagia vi sarà sempre la stessa giustificazione che l’uomo sistematicamente adotta nei confronti della natura, degli animali e dei fenomeni atmosferici: necessità e mancanza di libero arbitrio. Il concetto di “uomo malvagio” è diretta conseguenza dell’errata idea del libero arbitrio, mentre nessun uomo è libero nella misura in cui agisce spinto dalle necessità che le circostanze gli oppongono. È il principio di conservazione che si erge al di sopra sia della ragione umana, sia della supposta libertà, ed attraverso la necessità afferma la propria impellenza. In questo senso l’eudaimonismo socratico appare incontestabile in quanto bene e utile coincidono. La norma di base che deve regolare il piacere è rappresentata dalla considerazione delle conseguenze degli atti piacevoli, ed in ciò non si discosta dai principi di “algebra morale” cui la Scuola Cirenaica allude.66 Mentre, per ciò che attiene quella che Schopenhauer chiama “compassione”, non si potrà non constatare che 65 66 mente validi al di là dell’esperienza, constata come determinate caratteristiche assumano la definizione di “virtù” in quanto, in realtà, svolgano il ruolo di rafforzare l’istinto di sopravvivenza: si veda a tale proposito D. Hume, Op. cit., pp. 590-1. F. Nietzsche, Op. cit., p. 557. Si veda Matteo G. Brega, Fruizione, criterio, piacere: la persistenza dei temi cirenaici nell’estetica postmoderna, in Matteo G. Brega (a cura di), I Cirenaici. La filosofia del piacere, Mimesis, 2010, pp. XXI-XXVIII. M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 355 maggiore è la vicinanza di colui che sarà oggetto della nostra compassione, maggiore sarà il nostro sollievo dato dall’identificazione che tale vicinanza ci suscita. Senza piacere non c’è vita; la lotta per il piacere è la lotta per la vita. Se il singolo combatte questa lotta in modo che gli uomini lo dicano buono, o la combatte in modo che lo dicano cattivo, questo lo decide la misura della qualità del suo intelletto.67 È sulla base di tale sentenza posta alla fine del paragrafo 104 che possiamo delineare la linea guida della storia dei sentimenti morali secondo Nietzsche, ed è in tale senso che possiamo riflettere circa le analogie e le differenze che il Tedesco evidenzia, ben conscio di trovarsi all’interno di una tradizione dall’impianto illuministico – ci troviamo infatti nella fase 1878-1886, nella quale Umano, troppo umano contraddistingue la produzione del Nietzsche “distruttore” – ma che dispiega i propri orizzonti speculativi nel nascente Novecento. 4. Morale, verità, arte: un movimento dal basso all’alto Se, come sostiene Craig Beam,68 i punti di contatto tra lo Hume pensatore moralista e psicologo ed il Nietzsche psicologo e genealogista della morale sono numerosi e, spesso, trascurati, è senza dubbio nella pars destruens che possiamo individuare il maggior numero di analogie ed affinità. Sappiamo come Hume si limiti ad analizzare ed organizzare alcuni elementi comuni della morale umana, per come essa si presenta dall’antichità ai suoi tempi, ostentando spesso il consapevole rispetto del limite che un qualsivoglia “sistema etico” suggerirebbe di superare. Il rapporto di Nietzsche con la morale è, invece, improntato ad uno smascheramento che concepisce la propria finalità nei termini di superamento della morale stessa. All’interno del paragrafo 4 della prefazione di Aurora, il Tedesco definisce apertamente la strategia di superamento della morale come basata esclusivamente sulla coerenza a quei principi che la morale stessa impone. Per giungere dunque all’«autosoppressione della morale»69 sarà necessario non soltanto ricostruire la genealogia e la storia dei sentimenti morali, ma occorrerà superare sia la religione, intesa come morale istituzionalizzata, sia 67 68 69 F. Nietzsche, Op. cit., p. 561. C. Beam, Op. cit., pp. 299-303 e infra. Friedrich Nietzsche, Opere 1870-1881, trad. it. Fabrizio Desideri, Newton Compton, 2008, pp. 901-2. 356 La peste in fondo al pozzo tutte le forme di filosofia, in primis l’Hegelismo, che pretendono di sostituire i propri meccanismi a quelli storicamente basati sui fraintendimenti che per secoli hanno costituito il terreno di coltura della pianta etica. Per comprendere appieno il disegno filosofico sotteso a tutta la produzione del filosofo di Röcken, potrà rivelarsi estremamente utile ritornare al primo momento di concettualizzazione dove le polarità di bene e male potevano essere considerate ininfluenti in quanto non ancora rese operanti dalla mentalità socratico-scientifica: La nascita della tragedia. In tale scritto lo spirito dionisiaco della tragedia garantisce ancora l’unione panica tra soggetto e oggetto, ricomprendente in sé ogni dualismo ed ogni scissione. Il progetto nietzscheano, così come esposto nel testo del 1872 e come perseguito nel corso di tutta la vita del filosofo seppure in forme mutate, consiste nella riappropriazione del dionisiaco in quanto stato primordiale di armonia degli opposti. Armonia che, una volta perduta, non potrà essere riacquistata se non attraverso un processo di svelamento basato sul superamento del sé. All’interno di tale visione la morale rappresenta un momento di deviazione del fine ultimo di ricomposizione, una fase discendente che la Volontà di potenza attraversa all’interno del proprio cammino di liberazione. In questo senso, se la morale può rappresentare uno dei momenti tipici del nichilismo europeo, ciò che ad essa si contrappone in quanto reale tentativo di conferimento di senso all’esistenza è rappresentato dall’arte. La funzione ontologica dell’arte si risolve, in Nietzsche, attraverso la potenza trasfigurante della forma nei confronti delle tre grandi “questioni del non senso”: morte, male, brutto. La Volontà di potenza, nella sua aspirazione al superamento del non senso, non accetta, in quanto massima estrinsecazione della sovrabbondanza energetica, la discesa a patti che offre la dialettica, la razionalità o la rassegnazione stoica; essa nega il non senso attraverso un movimento che punta all’al di là del senso stesso, punta al trascendimento formale in quanto momento dell’Eterno ritorno. L’etica, in quanto uno degli aspetti della verità, non può sottrarsi al prospettivismo e come tale non può ottemperare al compito di trascendere la vita, rimanendo ben ancorata in essa. La giustificazione del mondo come fenomeno estetico teorizzata ne La nascita della tragedia rappresenta essa stessa un superamento della morale nella misura in cui individua nell’opera d’arte una nuova fonte valoriale ed un movimento di superamento dei valori etici. Ma l’orizzonte all’interno del quale collocare il senso ultimo che l’estrinsecazione della Volontà di potenza assume nel caso specifico del superamento dell’etica e dei sentimenti morali, non può essere collocato al di fuori del più vasto discorso sulla religione e sul divino in particolare. L’intollerabile peso che il caos impone all’uomo ed al suo tentativo di comprensione della M.G. Brega - «Attualità di una genealogia» 357 realtà, obbliga la Volontà di potenza a organizzare razionalmente non soltanto l’esistenza fenomenica attraverso l’opera d’arte, apice della formalizzazione, ma si spinge sino a toccare le intuizioni metafisiche che soltanto l’elaborazione di divinità “umane” possono per un tratto acquietare. Tra le due polarità esemplificate da Dioniso da una parte, e da il Crocifisso dall’altra – simboli rispettivamente dei due fattori della sovrabbondanza e dell’impoverimento – si inscrive non soltanto la storia della religione ma anche quella della morale umana, intesa come momento di realizzazione della Volontà di potenza verso l’autocomprensione ed il dissolvimento di sé nell’Eterno ritorno dell’uguale. In generale, uno dei concetti chiave che permarranno nel corso di tutto il pensiero nietzscheano, da La nascita della tragedia in poi, consiste in una sorta di gerarchizzazione delle modalità che la Volontà di potenza mette in atto per cercare di governare il caos e di rendere accettabile all’uomo l’inaccettabilità della vita. Al vertice di questa gerarchia sta l’arte – nello specifico la musica – ed in fondo sta la fede nelle sue duplici declinazioni di utilità sociale, sottoforma di morale, e di divinità, sottoforma di religione. La morale rappresenta dunque un passaggio intermedio, necessario all’interno della storia, ed a maggior ragione della storia cristiana, di avvicinamento alla consapevolezza finale, propria dell’Oltreuomo, della verità ultima rappresentata dall’Eterno ritorno dell’uguale. Non si può in ogni caso omettere – e qui la differenza tra Hume e Nietzsche è sostanziale – che l’utilità momentanea, messa alla prova dalla storia, che prende il nome di “morale”, non può di per sé aspirare alla ricomposizione della totalità, in quanto fine ultimo governato non da leggi dialettiche, razionali o etiche, bensì estetiche. In altri termini la funzione di formalizzazione cui assurge “l’arte di grande stile” non solo non può essere raggiunta da un’organizzazione dell’esistente che neghi il dionisiaco, quale appunto la ragion pratica, ma ogni qualvolta un tentativo siffatto si dovesse arrogare la pretesa di universalità, o anche solo di coerenza, si dimostrerebbe non soltanto “troppo umano” per essere credibile ma evidenzierebbe, grazie ad una lettura genealogica cui venisse sottoposto, le proprie radici impoverite e “risentite”, tanto da non poter far altro che cadere al rango di mero strumento storico, utilizzato dall’istituzione per perpetrare il proprio status quo di dominio o per imporre ingannevolmente un’innaturale superiorità di forze malate nei confronti di forze ascendenti e solari. Da ultimo, rimane il richiamo dello Zarathustra a diffidare della morale nella misura in cui questa definisca come malvagi gli istinti naturali, quando in realtà dietro all’accusa di malvagità si cela sempre la volontà del debole di limitare la straripante forza del potente. In questo senso sarà possibile leggere l’invito al mantenersi fedeli alla pri- 358 La peste in fondo al pozzo mordialità, invito che ha attraversato l’opera nietzscheana sotto varie forme nel corso della sua produzione, spesso sottoforma di indicazione di una meta – raggiungibile soltanto dall’Oltreuomo – rappresentata da un doppio movimento: di liberazione genealogica, e quindi di smascheramento, per tutto ciò che i sentimenti morali hanno rappresentato nel corso della storia sottoforma di fraintendimento del reale; e di creazione di quella che viene indicata come una «seconda natura»70 in grado di riappropriarsi degli istinti primordiali senza con ciò farsi travolgere dagli stessi. Ancora una volta alla civile e razionale morale, pur nella sua innegabile utilità storica e sociale, viene contrapposta la risolutiva e tragica irrazionalità di Dioniso e della sua musica trasfigurante. Tra Hume e Nietzsche, in fondo, si consuma con chiarezza la scissione tra spirito dell’Illuminismo nella sua versione originaria e superamento della razionalità e delle sue forme culturali, superamento le cui radici non possono che essere individuate in quegli antichi tentativi di riportare la ragione alla sua corretta dimensione ed i cui esiti saranno, con Nietzsche, sanciti nei termini della propria trasvalutazione. Volendo, invece – come si suggerisce nel saggio che accompagna questo intervento – considerare Hume collocandolo – in quanto figura dalla vita “non allineata”, complessa, ricca di sfaccettature e per molti versi non rispondente alla classica figura del “filosofo” a tutto tondo – al di fuori della dialettica della teoria che precede e indirizza la prassi, volendo, insomma, appellarsi al cosiddetto rapporto tra vita e filosofia ancor prima che a quello tra teoria e prassi, ridimensionando così tutto il cascame accademico e i passaggi obbligati che più volte e in molte occasioni lo Scozzese ha inteso egli stesso evitare, occorrerà forse attendere ancora qualche anno ed un pensatore immerso nel Novecento quanto Nietzsche ma, più di quest’ultimo, con lo sguardo costantemente rivolto ai modi che la vita, intesa come organismo, come massa e, soprattutto, come “società”, mette in pratica per verificare o vanificare le ipotesi della filosofia: Georg Simmel. 70 Oltre al riferimento ne La gaia scienza, questo tema viene esposto con chiarezza nella lettera del dicembre 1882 ad Hans Von Bulow dove si legge: «il mio mutato modo di pensare e di sentire, che da sei anni a questa parte io ho espresso anche nei miei scritti, mi ha conservato in vita e quasi fatto sano. Che mi importa, se i miei amici affermano che la mia attuale “libertà di spirito” é una decisione eccentrica, tenuta ferma coi denti e strappata e imposta alle mie inclinazioni? Sia pure, questa sarà una “seconda natura”: ma io dimostrerò che solo attraverso questa seconda natura sono entrato in possesso della mia prima natura». Si veda: Epistolario di Friedrich Nietzsche, a cura di Giuliano Campioni, trad. di Maria Ludovica Pampaloni Fama e Mario Carpitella, Vol. II (1880-84), Adelphi, 1995, p. 339. 359 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI VITA A.C. Baier, The Pursuits of Philosophy. An Introduction to the Life and Thought of David Hume, London, Harvard University Press, 2011 J.H. Burton, Life and Correspondence of David Hume, 2 voll., Edinburgh, W. Tait, 1846 R. Graham, The Great Infidel: A Life of David Hume, East Linton, Tuckwell, 2004 J.Y.T. Greig, David Hume, New York, Oxford, University Press, 1931 E.C. Mossner, The Forgotten Hume. 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Le Ronde d’ 31, 78, 177 n.30, 139 Arcesilaso 322-3, 331 e n.42 Aristotele 90 n.14, 169, 181, 193, 243 n.34, 280 Aridice 322 Aristone 162 Arnauld, A. 178, 298 e n.32, 322 e n.69, 323 Ascanius 131 e n.1 Ayer, A.J. 31 e n.14 Bacon, F. 114 e n.5, 116, 163 e n.14, 179, 180 e n.21, 192, 193 e n.14, 275 e n.12, 344 Baier, A.C. 17, 31 n.13, 41 n.3, 42 n.12, 339 n.31, 359 Bailey, A. 362 Bailey, M. 68 Bailey, A. 361 Baldi, M.L. 163 n.12, 180 n.22 Baretti, G. 63-4 e nn.7-8 Barnes, J. 266 e n.7 Baroncelli, F. 359 Baumstark, M. 139 n.42 Bayle, P. 60, 92, 96, 121, 157, 163 n.15, 167-8, 169 nn.5-11, 170 nn.12,157, 172 nn.23-9, 173 nn.31-3, 178 e n.16, 298 e n.32, 300 n.43, 320 e n.52, 322 e n.65, 323, 331 n.42 Balfour, J.87 e n.20, 300 e n.44, 329 e nn.26-7, 332 n.47 Beam, C. 351 e n.61, 355 e n.68 Beattie, J. 36 e n.11, 46, 71, 72 n.49, 84, 205 e n.14, 278 e n.6, 280 n.16, 290 n.16, 293 e nn.2, 4, 294 e nn.6-7 Beauchamp, T.L. 124 n.29 Beckett, S. 244 Blacklock, T. 63, 65, 107, 181 e n.26 Blair, H. 64 e n.10, 72, 87 e nn.21-2, 114 e nn.12-4, 116 e n.21, 117, 140 e n.72, 208 n.14, 209 n.19 Boufflers, M.-C.-H. de Campet de Saujon, Comtesse de 30 n.6, 39, 40 n.8, 92 n.21, 93 n.26, 97 e n.56, 100, 103 e n.97, 104 nn.98-9, 109, 301 n.50 Berkeley, G. 27 e n.12, 114 e n.5, 157, 158 e nn.20-2, 164 e nn.21-3, 165, 167, 168, 171, 172 e n. 22, 173, 178, 194 n.21, 195, 203 e n.2, 233, 234 n.6, 235 e n.15, 241 n.28, 289 e nn.10, 11, 13, 323 Boileau-Despréaux, N. 75 e n.2 Bolingbroke, H. St John, Viscount 54, 69, 138 Borghero, C. 359 Box, M.A. 359 Brega, M.G 14, 17, 339, 354 n.66 Broisson, I. 345 n.47 Brown, T. 50-1 n.73 Brown, J. 85 n.10 Brydone, P. 111 Burnet, T. 75 e n.1 Burton, J.H. 29 n.1, 30 n.12, 93 n.33, 113 n.2, 138 n.48, 145 n.12, 359 Butler, J. 48, 162 e n.8, 176 e n.6, 177 e n.8, 179, 206, 218, 219 e n.10, 220, 239 e n.20, 250 n.31, 285 e nn. 1-2, 326, 329 n.28, 335 e n.14, Calderwood, H. 31 n.13 Cameron, W. 181 e n.29 Campbell, G. 198 n.34 Campioni, G. 358 n.70 Carabelli, G. 359 Carlyle, A. 30 n.10, 113 n.2 Chambers, E. 175 e n.1, 293 e n.1, 301 Charlemont, J. Caulfeild, Earl of 70, 71 n.46, 72 e n.50, 98 e nn.59, 61-3, 99 e n.83, 102 e n.87, 109 e n.5, 293 e nn.2-3 Chepmel, W. 105 Chesterfield, P. Dormer Stanhope, Lord 39 n.1 Cheyne, G. 154 n.5, 321 Cicerone 86-7, 117, 125, 128, 151 e n.3, 161 e nn.1-4, 165, 168, 181, 188 e n.22, 205 e n.13, 241-2 e n.30, 280, 287, 314, 320 e n.52, 322 n.66, 330 e n.36, 331 n.42 Clephane, J. 33 e n.21, 50 n.72, 55, 56 nn.13-4, 83 n.1, 85 n.9, 92 n.23, 95 n.45, 97 e n.55, 117 n.27, 144 n.6, 301 nn.46-8 Clero, P. 361 Clarke, S. 157, 158 e n.19, 175-6 e nn.3-5, 177, 206, 299, 329 Collier, A. 172-3 e n.30, 298 e n. 32 Collins, A. 114 n. 7 Colombo, C. 275 Comines, P. de 103 e n.92 Conway, H. Seymour 103-4, 108 Condillac, E. Bonnot de 344 Cospito, G. 17 Coventry, A. 17, 360 Croce, B. 18 Cudworth, R. 162-3 e n.11, 197 e n.30 Cullen, W. 134 n.23, 137 n.43 D’Avenant, C. 103 e n.92 Dalrymple, J. 48 n.59 Deleule, D. 360 Del Prete, A. 17 Denina, C. 63-4 Dennis, J. 75 e n.1 Descartes, R. 161 e n.5, 162 e n.9, 163, 178 e n.16, 180, 191 e n.2, 192 n.9, 214 e n.45, 215 e n.2, 216 n.3, 243 n.34, 244 e n.6, 280, 290 n.15, 328 n.24 Des Maizeaux, P. 41 e n.5, 53 e n.1, 187 e n.12, 210 n.21, 225 n.41 Democrito 13, 205, 242 n.34, 251 Diderot, D. 71,104, 105 e n. 104, 113 e nn.1-2, 114 e n.4, 115 e nn.9, 11, 118 e n.36 Dilthey, W. 340 e n.34 Diogene Laerzio 163 n.11, 172 e n.23, 322 e n.63 Diogene il Cinico 172-3, 322 Dryden, J. 343 n.40 Duvernan, Contessa 98-100 Elliot, G. 44, 140, 144, 290 n.17 Emerson, R. 25 n.2, 360 Erskine, H. 89 n.5, 96, 99, 101 Fénelon, F. de Salignac de la Mothe 244 e nn.8, 11 Fogelin, R.J. 360 Forbes, A. 94 Forbes, J. 99-100 e nn., 101 Fontenelle, B. le Bovier de 151 e n.3, 164 e n.18, 306 e n.19 Franklin, B. 63 n.3, 80 e n.30, 138 n.46 Frasca-Spada, M. 17, 25 n.2, 126 n.40, 180 n.25, 360-1 Galeno 266 e n.7 Garrett, D. 360 Gaudio, V.M. 105 e n.107 Gibbon, E. 79 e nn.26-7, 80 e n.29, 1156 e n.17 Ginsberg, R. 361 Giraldi 105-6 e nn.109-10 Graham, R. 359 Greco, L. 360-1 Greyg, J.Y.T. 359 Mossner, E.C. 86 n.14, 94 n.37, 110 n.9, 124 n.29, 126 n.40, 359 Grant, J. 99, 101 Halyburton, T. 198 e n.34 Harris, J. 360 Hegel, G.W.F. 33, 343, 344, 356 Helvétius, C.-A. 77 e n.14, 115, 117 n.30 Hertford, F. Seymour Conway, Lord 54-5, 103, 108, 110, 128 Hobbes, T. 195 e nn.22-2, 218 e n.9, 241 e n.27, 250, 288 e n.7, 289 e n.12, 290 n.16, 291, 299, 308-9 e n.35, 326 e n.11, 329-30 e n.30, 344 Holbach, P.H. Thiry, Baron d’ 30, 71, 113 e n.1, 114 e n.4, 115, Home, H. 64 e nn.11-2, 69, 182-3 e nn.31-3, 209, 220 e n.16, 247 n.18, 307 e n.26 Home of Kilduff, J. 54-5, 87 n.20, 1812 e n.30 Horne, G. 139-40 e n.64 Hoy, D. 346 n.52 Huet, P.D. 191 e n.3, 294 n.8, 321 e n.60, 323 Hume, K. 29 e nn.1-2 Hume, J. 29 e n.3, 72, 92-3, 133, 137, 253 Hutcheson, F. 41 n.7, 42 nn.10, 14-5, 47 e nn.53-4, 60 e n.34, 61, 62 n.46, 94, 126 n.39, 134 n.28, 138 n.47, 141, 162 e n.7, 163 n.12, 179 e n.19, 187 e nn.13-4, 203 n.1, 207 e n.2, 209 e n.16, 210 n.23, 218, 219 e n.12, 221 e n.20, 225 n.41, 237 e nn.4, 7-8, 238 e nn.9, 18, 239 e n.19, 240 n.24, 244 n.5, 245 e n.15, 246 e n.17, 247 e nn.18-20, 248 e n.23, 249 e n.27, 250 e n.37, 273 e n.2, 285 e n.3, 294 n.10, 296 n.20, 300 n.41, 305 e n.16, 307 e n.25, 325, 326, 329, 330 e n.31, 334 n.9, 335 e n.13, 336 e n.24 Jardine, J. 100-1 e n.78 Jessop, T.E. 27 n.12, 158 n.20 Johnson, J. 68 Johnson, S. 64, 67, 71, 72 e n. 52, 78 e n.24, 175 e n.1, 301 e n.51 Jonhson, B. 138 Jones, P. 360-1 Kant, I. 90 e n.11, 325 e n.5, 343-5, 352 Kail, P.J. 25 n.2, 360-1 Keith, G. 104 e n.103, 117 n.30 King, W. 162 e n.8 Klein, L.E. 27 n.11, 164 n.19 Laird, J. 360 Latimer, J. 53 n.2, 69 n.38 La Bruyère, J. de 90-1 e n.15, 181, 245 e n.13, 269 e n.2, 280 Le Blanc, J.B. Abbé 75 e n.4, 76 e n.8 Lecaldano, E. 360 Leechman, W. 26, 53, 57 e n.20, 58 e nn.21, 25, 59 e n. 27, 60, 61 e n.45, 62, 94, 95 e n.39 Le Jallé, É. 360 Leibniz, G.W. von 178, 274, 306, n.19, 343 Leland, J. 17 e nn. 46, 48 Locke, J. 115 n.9, 156 n.12, 159 n.23, 161 e n.5, 163 e n.15, 168, 173, 175 e n.1, 178-9, 181, 192 e n.11, 215, 239 n.15, 240 n.24, 241 e n.28, 243 n.34, 244 e n.9, 280, 288 e n.9, 291 e n.19, 328 e n.20, 344 Loeb, L.E. 360 Luce, A.A. 27 n.12, 158 n.20 Luciano 26, 56, 89, 93 e n.32, 120, 1279, 131, 134, 136, 138-40 Macdonald, J. 116 e n.20 Machiavelli, N. 121 e n.15, 156 n.15, 247-8, 248 n.22 MacLaurin, J. 101 e n.79, 144 e n.8 MacLaurin, C. 156 e n.13 Magri, T. 360 Malebranche, N. 143 n.2, 144 e n.3, 161, 162 n.6, 163, 164 e nn.16-7, 168 e n.4, 170, 177 e n.11, 178, 181, 186 e n.10, 187 e n.15, 191 e nn.4-6, 192 e n.6, 10, 194, 195 e n.22, 199, 200 e n.40, 42, 211 e n.29, 240 n.24, 241 e n.28, 243 n.34, 280 e n.15, 296 n.16, 298 e n.32 Mallet, D. 64, 67, 69, 70 e n.43, 64, 67, 69, 70 e n.43, 71, 118 e n.31 Mandeville, B. 99 e n.68, 100 e n.74, 114 e n.6, 154 n.5, 162 e n.6, 177 e nn.9, 10, 12, 178 e nn.14-5, 179, 199 e n.38, 203, 204 e n.3, 248 e n.24, 249, 296 e n.17, 299, 300 e nn.41, 43, 309 n.35, 321, 325, 329, 331 e nn.43, 44, 334 e n.9, 335 e n.12, 347 e n.53, 353 Marchmont, Lord 98 Marco Aurelio 288 Marx, K. 131 n.2 Medico anonimo (G. Cheyne o J. Arbuthnot) 30 n.9, 36 n.10, 39 n.5, 47 n.48, 90 n.7, 92 n.17, 153, 154 e n.5, 185, 203 e n.1, 243 e n.3, 252 n.4, 311, 312, 313 nn.6, 13, 314 nn.16-7, 315 e n.21, 329 e n.29, 336 n.21 Millar, A. 69-70, 118 n.31 Millican, P. 361 Milton, J. 35 e n.4, 46, 69, 149, 175 e n.2, 251, 337 e n.29 Mogni, S. 17 Montaigne, M. de 59 n.26, 138, 151 e n.4, 188-9 e n.23, 195 e n.22, 244 e n.7, 255, 288 e n.7, 321 e n.62, 322 e nn.67-8, 323, 331 e n.39 Montesquieu, C.-L. de Secondat, Baron de 76 e n.7, 102 e n.88 Morellet, A. 113-4 e n.3, 118 e n.37, 127 e n.1, 128 Morgan, T. 126 e n.40 Mori, G. 360 Morrisroe, M. 178 n.16 Muratori, L.A. 13 Mure, W. 57 e nn.17-9, 60-2 e nn., 72 e n.51, 145 e n. 12, 252 e n.10 Murphy, E. 128-9 e n.14 Naigeon, J.-A. 116-7 e nn.22, 25 Nicole, P. 178, 298 e n.32, 322 e n.69, 323 Nietzsche, F. 14, 329 e n.25, 339-58 Norris, J. 204 n.5, 205 e n.11, 243 n.1 Norton, D.F. 31 n.13, 39 n.1, 58 n.22, 153 n.3, 182 n.30, 206 n.16, 244 n.5, 305 n.10, 321 n.61, 360-1 Norton, M.J. 39 n.1, 58 n.22, 153 n.3, 206 n.16, 244 n.5, 305 n.10, 321 n.61, 360 Norvell, G. 101 e n.81 O’Brien, D. 361 Orazio 79, 247 n.18, 278 Owen, D. 153-4 n.3, 186 n.6, 215 n.1, 360 Paganini, G. 360 Parks, T. 17 Pascal, B. 72, 162 e n.10, 197-8 e n.32, 322 e n.64, 323 e n.70, 333 e n.1, Passmore, J. 360 Peach, J. 69 Piccoli, E. 17, 96 n.53 Pirrone 181, 322-3 Platone 60, 163 e n.13, 195, 280, 309 n.35 Plutarco 75-6, 120, 169 e n.7, 314 Polibio 96, 120, 244 Pope, A. 12, 35 e n.5, 36 e n.7, 48 e n.59, 54, 249 e n. 28, 320 e n.56, 325, 326 e nn.6-7, 328, 334 Potkay, A. 360 Pratt, S. 29 n.3 Priestley, J. 36 e n.12 Prior, M. 192 n.7 Puglisi, G. 17 Queneau, R. 33 e n.27 Quintiliano 57, 58, 59 e n.29, 60 n.31, 95 Radcliffe, E. 153 n.3, 308 n.30, 361 Ramsay, M. 42 n.13, 47 n.14, 94 e n.36, 129 n.16, 162 n.9, 168, 169 n.5, 178 e n.16, 180 n.24, 285 n.5, 313 e n.12 Ramsay, A. 64 e n.9 Ramsay, A.M., Chevalier 154 n.5, 163 e n.12, 180 e n.22 Rapin-Thoyras, P. de 103 e n.92 Recensori delle opere di Hume 36, 41 e n.6, 46 e n.42, 126 e n.40, 163 e n.12, 165 n.26, 179-80 e n.20, 187 n.18, 204 n.5, 210 e nn.20, 24, 211 nn.27-8, 212 n.32, 234-5 n.10, 249 e n.30, 250 e nn.31, 33, 289 n.14, 291 nn.22-4, 292 nn.25-6, 28-9, 293 n.5, 294-5 e nn.8-11, 14, 305 e n.11, 330 n.34 Reid, T. 46, 67 e nn.25-7 69, 84, 87 n.22, 208 e n.14, 209 e nn.15, 19, 238-9 n.15, 241 e nn.28-9, 242-3 e nn.32-4, 295 n.14, 331 e n.44 Ribeiro, B. 262 n.33, 336 n.19 Richetti, J. 360 Rivers, I. 154 n.3, 212 n.33, 247 n.18 Robertson, W. 29 n.5, 64, 65, 66 e nn. 22-4, 67 n.28, 69, 76 n.6, 77 n.13, 78 e n.23, 89 n.3, 92 n.21, 110 n.8, 115 n.15 Robertson, J. 25 n.2 Rochford, Earl of 91 Rochefoucauld, F. de La 14, 30 e n.7, 244 e n.10, 245, 248 e n.25, 325 e n.1, 328-9, 348 Ronchetti, E. 17, 239 n.19, 360-1 Rousseau, J.-J. 29, 30, 78, 86, 92, 109, 139, 156 n.12, 301, 335 n.12 Rousseau, J.-B. 135 e n.32 Rouet, W. 126 e n.38 Russell, B. 333 Russell, P. 360 Rymer, T. 54 Saint-Réal, V. Vichard, Abbé de 321 e n.61, 322, 323, 325 e n.1 Saltel, P. 361 Schopenhauer, A. 340, 343, 352 Seneca 50 n.73, 58, 59 n.26, 314 Senofonte 76, 127 Sesto Empirico 163 n.13, 169 n.10, 172-3 Shaftesbury, A. Ashley Cooper, Third Earl of 27 e n.11, 56, 58-9 e n.26, 164 e n.19, 173, 177 n.7, 179, 181, 192 e nn.11-3, 193 e nn.15-7, 219 e n.11, 245-6 e n.16, 247 n.18, 248 e n.26, 299 e n.37, 300 nn.41, 43, 328 e n.24 Shelbourne, Lord 105-6 Shenstone, W. 321 e n.59 Siebert, D.T. 296 n.18, 361 Simonazzi, M. 361 Skinner, Q. 309 n.35 Smith, A. 26, 32 n.17, 39 n.6, 49 e n.67, 77 nn.11, 14, 84 nn.5, 92 e nn.18, 21, 117 n.23, 124 nn.28, 32, 131-41 e nn., 156 n.12, 290 n.15, 308 e n.33, 335 n.12, 337 n.26 Spengler, O. 341 e n.37 Spinoza, B. 86 e n.17, 121 e n.16, 169 e n.5, 175, 178 n.16, St Clair, J. 54, 55, 93, 95, 96, 99 e n.70, 100 e nn.71, 73, 102, 103, 107 Stephen, L. 25 n.2, 143 e n.1 Sterne, L. 26, 55 e n.11, 71 e n.46, 109, 110 e nn.11-2, 111 e nn. 14, 17, 18, 112, 153 e n.2, 165 n.24, 167 e n.1 Steuart, D. 94 Stewart, M.A. 25 n.1, 32 n.16, 41 n.2, 154 n.3, 203 n.1, 244 n.5, 249 n.29, 253 n.11, 361 Stewart, J. 42 n.11, 44 e n.30, 50 n.71, 67 n.28, 68 n.29, 140 n.67, 235 n.11, 295 n.13, 336 n.24, 337 n.28 Stuart (o Stewart), A. 67-8 e nn.28-30, 71, 137 Strahan, W. 49, 54, 67, 70-1, 132-41, 157 Strabone 143 Strachey, G.L. 143 e n.1 Streminger, G. 359 Stroud, B. 305 n.10, 361 Suard, J.-B. 75 e n.3 Svetonio 95 Swift, J. 66, 90 e n.12, 110-1, 129, 219 e n.13, 287 e n.3 Tacito 86 e n.17, 121 Talete 90, 143 Taylor, J. 153 n.3, 305 n.10, 307 n.28, 308 n.30 Terenzio 280 Tillotson, J. 164 Traiger, S. 361 Trail, J. 128 e n.10 Trenchard, J. 121 n.15 Turco, L. 32 n.16, 154 n.5, 199 n.37, 208 n.10, 221 n.19, 239 n.19, 285 n.5, 305 n.10, 361 Turnbull, G. 245-6 n.16, 248-9 e n.26 Vaccari, A. 361 Vaugelas, C. Favre de 55, 56, 57, 58 e nn.22, 24, 60 e n.32 Vauvenargues, L. de Clapiers, Marquis de 245 e n.14 Voiture, V. de 95, 320 n.56 Virgilio 280 Volland, S.71, 105 n.104, 113 nn.1-2, 155 n.9, 11 Voltaire, F.-M. Arouet 93, 244 e n.9 Wallace, R. 64-5 e nn.13-4, 76 e n.7 Walpole, H. 31 e n.15, 77 e n.10, 78 n.21, 90 n.9, 109 e n.6, 110, 114 e n.8 Warburton, W. 64, 83-4, 85, 124, 125 e nn. 34, 36, 37, 126 e n.40, 249 n.28, 326 e n.7, 328 Watts, I. 205-6 e n.15 Wedderburn, A. 132, 136, 137 Whiston, W. 157-8 e n.19 Wicliffe, J. 267 n.14 Wilkes, J. 69 Wishart, W. 121, 291 Wollaston, W. 122 e n.18, 329 e n.26 Wood, P. 87 n.22, 208 n.14, 240 n.24, 241 nn.28-9, 243 n.34 Woolf, V. 143 e n.1 Wright, J.P. 32 n.16, 154 n.5, 361 Zenone di Elea 167, 169-73 e nn., 298 n.32 FILOSOFIE Collana diretta da Pierre Dalla Vigna e Luca Taddio 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 Deborah Ardilli, Prima della virtù. Esperienza, conoscenza e innocenza nella filosofia di Stuart Hampshire Francesco Borgia, L’uomo senza immagine. La filosofia della natura di Hans Jonas Antonino Trusso, L’uomo allo specchio Fulvio Carmagnola, Il desiderio non è una cosa semplice. Figure di agalma Giovanni Chimirri, Filosofia e teologia della storia. L’esistenza umana in divenire Pietro D’Oriano, Draga Rocchi (a cura di), Il male e l’essere. Atti del convegno internazionale di studi Girolamo Fracastoro, Della Torre ovvero l’Intellezione Giovanni Invitto, Fra Sartre e Wojtyla. Saggi su fenomenologie ed esistenze Mauro La Forgia, Morfogenesi dell’identità Giovanni Leghissa, Incorporare l’antico. Filologia classica e invenzione Giovanni Carlo Leone, Marx dopo Heidegger. La rivoluzione senza soggetto, Stefano Mancini (a cura di), Sguardi sulla scienza del giardino dei pensieri Julia Ponzio, Filippo Silvestri, Itinerari nel pensiero filosofico di Giuseppe Semerari Giovanni Rossetti, Le radici estetiche dell’etica in Gregory Bateson Stefania Tarantino, La libertà in formazione. Studio su Jeanne Hersch e Maria Zambrano Bruno Accarino (a cura di), Espressività e stile. La filosofia dei sensi e dell’espressione in Helmuth Plessner Angela Ales Bello, Patrizia Manganaro (a cura di), Le religioni del Mediterraneo. Filosofia, Religione, Cultura Roberto Armigliati, Responsabilità illimitata. “Per una nuova era di responsabilità” Mimmo Pesare, Abitare ed esistenza. Paideia dello spazio antropologico Francesco Borgia, Appartenenza e alterità. Il concetto di storicità nella filosofia di Martin Heidegger Adriano Bugliani, Contro di sé. Potere e misconoscimento Damiano Cantone, Cinema, tempo e soggetto. Il Sublime kantiano secondo Deleuze Silvia Capodivacca, Danzare in catene. Saggio su Nietzsche Giovanni Chimirri, L’arte spiegata a tutti. Il senso spirituale della bellezza in dieci lezioni Maria Lucia Colì, La natura e l’ontologia in alcuni inediti dell’ultimo MerleauPonty Vincenzo Cuomo, Figure della singolarità. Adorno, Kracauer, Lacan, Artaud, Bene Daniela De Leo, La relazione percettiva. Merleau-Ponty e la musica Gaia De Pascale, Qui non si canta al modo delle rane. La città nelle poetiche futuriste 29 Giovanni Di Benedetto, L’ecologia della mente nell’etica di Spinoza. Amore della natura e coscienza globale sulla via della complessità 30 Josef Dietzgen, L’essenza del lavoro mentale umano e altri scritti 31 Roberto Fai, Genealogie della globalizzazione. L’Europa a venire 32 Fabio Farrotti, Il concetto dionisiaco della vita. Uno studio sul nichilismo 33 Sergio Franzese, Darwinismo e pragmatismo e altri studi su William James 34 Giacomo Fronzi, Etica ed estetica della relazione 35 Giuliano Glauco, L’immagine del tempo in Henry Corbin. Verso un’idiochronia angelomorfica 36 Cristina Guarnieri, Il linguaggio allo specchio. Walter Benjamin e il primo romanticismo tedesco 37 Federico Italiano, Tra miele e pietra. Aspetti di geopoetica in Montale e Celan 38 Michael Konrad, Amore e amicizia: un percorso attraverso la storia dell’etica 39 Vanna Gessa Kurotschka, Chiara De Luzenberger (a cura di), Immaginazione etica interculturalità 40 Riccardo Lazzari, Massimo Mezzanzanica, Erasmo Silvio Storace (a cura di), Vita, concettualizzazione, libertà. Studi in onore di Alfredo Marini 41 Stefano Marino, Ermeneutica filosofica e crisi della modernità. Un itinerario nel pensiero di Hans-Georg Gadamer 42 Markus Ophälders, Filosofia arte estetica. Incontri e conflitti 43 Riccardo Pozzo, Marco Sgarbi (a cura di), I filosofi e l’Europa 44 Vincenzo Rosito, Espressione e normatività. Soggettività e intersoggettività in Theodor W. Adorno 45 Barbara Scapolo, Esercizi di de-fascinazione. Saggio su E. M. Cioran 46 Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, Sui miti. Le saghe storiche e i filosofemi del mondo antichissimo 47 Renato Troncon, Estetica e antropologia filosofica 48 Francesco Valagussa, Individuo e stato. Itinerari kantiani ed hegeliani, 49 Roberta Cavicchioli, Breve storia di un’ingratitudine. Victor Cousin nell’album di famiglia della scuola repubblicana 50 Leonardo Tomasetta, Destra e sinistra. I due corni del dilemma borghese 51 Dario Sacchi (a cura di), Passioni e ragione fra etica ed estetica 52 Mario Alcaro (a cura di), L’oblio del corpo e del mondo nella filosofia contemporanea 53 Luciano Arcella, L’innocenza di Zarathustra. Considerazioni sul I libro di Così parlò Zarathustra di F. Nietzsche 54 Tiziana Carena, La pneumatologia teologico-estetica di Vincenzo Gioberti, 55 Susi Pietri, L’opera inaugurale. Gli scrittori-lettori della Comédie Humaine I 56 Antonio Rainone, Il doppio mondo dell’occhio e dell’orecchio 57 Francesco Giacomantonio, Introduzione al pensiero politico di Habermas. Il dialogo della ragione dilagante 58 Emanuele Profumi, L’autonomia possibile. Introduzione a Castoriadis 59 Fabio Vander, Essere e non-essere. La Scienza della logica e i suoi critici 60 Gianluca Verrucci, Ragion pratica e normatività. Il costruttivismo kantiano di Rawls, Korsgaard e O’Neill 61 Emanuele Mariani, Kierkegaard e Nietzsche. Il Cristo e l’Anticristo 62 Viviana Meschesi, Sistema e trasgressione. Logica e analogia in F. Rosenzweig, W. Benjamin ed E. Levinas 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91. 92. 93. 94. 95. Giorgio Brianese, L’arco e il destino. Interpretazione di Michelstaedter Mario Cingoli, Marxismo, empirismo, materialismo Nicola Magliulo, Cacciari e Severino. Quaestiones disputatae René Scheu, Il soggetto debole. Sul pensiero di Aldo Rovatti Andrea Amato, Agli esordi dell’esserci. Ancor privi del senso del bene e del male Franco Manti (a cura di), Res publica Luca Marchetti, Oltre l’immagine Giuseppe Di Giacomo (a cura di), Ripensare le immagini Rossella Bonito Oliva, Labirinti e costellazioni. Un percorso ai margini di Hegel Luca Gasparri, Filosofia dell’illusione. Lineamenti di glottologia e di critica concettuale Julia Ponzio, Giuseppe Mininni, Augusto Ponzio, Maria Solimini, Susan Petrilli, Luciano Ponzio, Roland Barthes. La visione ottusa Ornella Crotti, La bellezza del bene. Il debito di Hannah Arendt nei confronti di Immanuel Kant Stefano Zampieri, Introduzione alla vita filosofica. Consulenza filosofica e vita quotidiana Vincenzo Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di Carlo Sini Felice Accame, Mario Valentino Bramè, La strana copia. Carteggio fra due avversari su natura e funzione della filosofia con documentazione a sostegno di entrambi Carlo Burelli, E fu lo stato. Hobbes e il dilemma che imprigiona Antonio Di Chiro, La notte del mondo. Luoghi del senso, luoghi del divino Claudio Lucchini, Il bene come possibile processo concreto. Natura e ontologia sociale Manuel Cruz, La memoria si dice in molti modi. La priorità della politica sulla storia Giovanni Invitto, Marleau-Ponty par lui-même. Una pratica filosofica della narrazione di sé Valentina Tirloni, L’enigma del colore. Un approccio fenomenologico e simbolico Giacomo Fronzi, Contaminazioni. Esperienze estetiche nella contemporaneità Alessia Cervini, La ricerca del metodo. Antropologia e storia delle forme in S. M. Ejzenštejn Luciano Ponzio, L’iconauta e l’artesto. Configurazioni della scrittura iconica Chimirri Giovanni, Siamo tutti filosofi (basta volerlo) Bordoni Giorgia, I nomi di Dio. Religione e teologia in Jacques Derrida German A. Duarte, La scomparsa dell’orologio universale. Peter Watkins e i mass media audiovisivi Filippo Silvestri, Segni significati intuizioni. Sul problema del linguaggio nella fenomenologia di Husserl Romeo Bufalo, Giuseppe Cantarano, Pio Colonnello (a cura di), Natura storia società. Studi in onore di Mario Alcaro Stefano Bracaletti, Individualismo metodologico, riduzionismo, microfondazione. Problematiche e sviluppi del paradigma individualista nelle scienze sociali Giovanni Invitto, La lanterna di Diogene e la lampada di Aladino Andrea Camparsi, Irene Angela Bianchi, L’autocoscienza e la prospettiva sul mondo Veronica Santini, Il filosofo e il mare. Immagini marine e nautiche nella Repubblica di Platone 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127. 128. Jean-Pierre Vernant, L’immagine e il suo doppio. Dall’era dell’idolo all’alba dell’arte Barbara Chitussi, Immagine e mito. Un carteggio tra Benjamin e Adorno Marco Jacobsson, Heidegger e Dilthey. Vita, morte e storia Lorenzo Bernini, Mauro Farnesi Camellone, Nicola Marcucci, La sovranità scomposta. Sull’attualità del Leviatano Francesco Barba, Il persecutore di Dio. San Paolo nella filosofia di Nietzsche Augusto Mazzone, Il gioco delle forme sonore. Studi su Kant, Hanslick, Nietzsche e Stravinskij Aldo Trucchio (a cura di), Cartografie di guerra. Le ragioni della convivenza a partire da Kant Victorino Pérez Prieto, Oltre la frammentazione del sapere e la vita: Raimon Panikkar Fabio Martelli, Un libertino nel “Plenilunio delle monarchie” Angelica Polverini, L’inganno dei sensi. La percezione sinestetica tra vista e tatto dall’antichità all’arte del Cinquecento Federica Negri, Ti temo vicina ti amo lontana. Nietzsche, il femminile e le donne Maieron Mario Augusto, Alla ricerca dell’isola che non c’è. Ragionamenti sulla mente Casini Leonardo, Corporeità. La corporeità nelle Ergänzungen al Die Welt di Schopenhauer e altri scritti Giuseppe Campesi, Soggetto, disciplina, governo. Michel Foucault e le tecnologie politiche moderne Bertolini Mara Meletti (a cura di), Ragion pratica e immaginazione. Percorsi etici tra logica, psicologia ed estetica Cattaneo Francesco, Domandare con Gadamer Pantano Alessandra, Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva di Jan Patočka Luisetti Federico, Una vita. Pensiero selvaggio e filosofia dell’intensità Fichte Johann Gottlieb, Lezioni sulla destinazione del dotto (1811). La Dottrina della Scienza, esposta nel suo profilo generale (1810) Marcello Ghilardi, Il visibile differente. Sguardo e relazione in Derrida Farotti Fabio, Ex Deo-ex nihilo. Sull’impossibilità di creare/annientare Paolo Aldo Rossi, Paolo Vignola (a cura di), Il clamore della filosofia. Sulla filosofia francese contemporanea Vallori Rasini (a cura di), Aggressività. Un’indagine polifonica Francesco Paparella, Imago e verbum. Filosofia dellʼimmagine nellʼalto Medioevo Gaspare Polizzi, Giacomo Leopardi: la concezione dell’umano tra utopia e disincanto F. Mazzocchio, Le vie del logos argomentativo. Intersoggettività e fondazione in K.-O. Apel Soardo Andrea, Accade l’accadere Antonio Martone, Le radici della disuguaglianza. La potenza dei moderni Pierre Macherey, Jules Verne o il racconto in difetto Elena Irrera, Il bello come causalità in Aristotele Alessandro Amato, L’etica oltre lo Stato. Filosofia e politica in Giovanni Gentile Carlo Chiurco, Etica e sacro. Il Bene e l’Autentico oltre l’Occidente Auguro Ponzio, In altre parole 129. Grigenti Fabio, Giacomini Bruna, Sanò Laura (a cura di), La passione del pensare. In dialogo con Umberto Curi 130. Scoto Eriugena Giovanni, Il cammino di ritorno a Dio. Il Periphyseon, a cura di Vittorio Chietti 131. Di Bernardo Mirko, I sentieri evolutivi della complessità biologica nell’opera di S. A. Kauffman 132. Marrone Pierpaolo, Etica, utilità, contratto 133. Marsili Marco, Libertà di pensiero. Genesi ed evoluzione della libertà di manifestazione del pensiero negli ordinamenti politici dal V sec. A.C. 134. Cortella Lucio, Mora Francesco, Testa Italo (a cura di), La socialità della ragione. Scritti in onore di Luigi Ruggiu 135. Cavarra Berenice e Rasini Vallori (a cura di), Passaggi. Pianta, animale, uomo, in preparazione 136. Elio Matassi, Il giovane Lukács. Saggio e sistema 137. Giacomo Fronzi, Theodor W. Adorno, Pensiero critico e musica 138. Emma Palese, Ex Corpore. Antologia Filosofica sul Corpo 139. Andrea Campucci, Nietzsche: la fine della ragion pura 140. Umberto Lodovici, Religione e politica. Il contributo di Jacques Maritain 141. Tonino Infranca, Lavoro, Individuo, Storia 142 Matteo G. Brega, L’estetizzazione del quotidiano. Dall’Arts and Crafts all’Art Design 143. Romolo Capuano (a cura di), Bizzarre illusioni. Lo strano mondo della Pereidolia e dei suoi segreti 144. Bruno Accarino, Ostilità. Il mosaico del conflitto 145. Nicoletta Cusano, Capire Severino. La risoluzione dell’aporetica del nulla 146. Marianna Esposito, Oikonomia. Una genealogia della comunità. Tönnies, Durkheim, Mauss 147. Georgia Zeami Francesca Presti, Daimonicità del lógos. Socrate nel Protagora e nel Gorgia 148 Marcello Barison, Sulla soglia del nulla. Mark Rothko: l’immagine oltre lo spazio, 2011 149. Fabio Vander, Relatività e Fondamento. Filosofia di Aristotele 150. Giorgio Cesarale, Hegel nella filosofia pratico-politica anglosassone dal secondo dopoguerra ai giorni nostri 151. Francesco Valagussa (a cura di), Immanuel Kant. Prima introduzione alla Critica della capacità di giudizio 152. Marcello Ghilardi, Arte e pensiero in Giappone. Corpo, immagine, gesto 153. Pietro Piro, La peste emozionale, l’uomo-massa e l’orizzonte totalitario della tecnica. Un Seminario, alcuni saggi e materiali per uno schizo-umanesimo 154. Rosa Marafioti, Il ritorno a Kant di Heidegger. La questione dell’essere e dell’uomo 155. Giancarlo Lacchi, Ludwin Klages Coscienza e immagine. Studio di storia dell’estetica 156. Maurizio Guerri, Necessità dell’estetica e potenza dell’arte 157. Susan Petrillo, Augusto Ponzio, Luciano Ponzio, Interferenze 158. Anna Castelli, Lo sguardo di Kafka. Dispositivi di visione e immagine nello spazio della letteratura 159. Silvia Capodivacca, Sul tragico. Tra Nietzsche e Freud 160. Maurizio Guerri, La mobilitazione globale. Tecnica, violenza, libertà in Ernst Jünger 161. Natascia Mattucci e Gianluca Vagnarelli (a cura di), Medicalizzazione, sorveglianza e biopolitica. A partire da Michel Foucault 162. Alfio Fantinel, Tracce di assoluto. Agonia dell’infinito in Giordano Bruno 163. Lisa De Luigi, Animalia. Teoria e fatti della macchina antropogenica 164. Massimo Canepa, Friedrich Nietzsche. L’arte della trasfigurazione 165. Ginette Michaud, Veglianti. Verso tre immagini di Jacques Derrida 166. Paulo Barone, Utopia del presente 167. Giuseppe Bonvegna, Politica, religione, Risorgimento. L’eredità di Antonio Rosmini in Svizzera 168. Luca Caddeo, L’Operaio di Ernst Jünger. Una visione metafisica della tecnica, 2012 169. Simona Bertolini, Eugen Fink e il problema del mondo: tra ontologia, idealismo e fenomenologia 170. Enrico Mastropierro, Il corpo e l’evento. Sullo Spinoza di Deleuze 171. Giuseppe Di Giacomo (a cura di), Volti della memoria 172. Domenica Bruni, Politici sfigurati. La comunicazione politica e la scienza cognitiva 173. Emanuele Mariani, Risonanze impolitiche. Riflessioni filosofiche tra ragioni e fedi 174. Giovanni Chimirri, Teologia del nichilismo. I vuoti dell’uomo e la fondazione metafisica dei valori 175. Angelo Bruno, L’ermeneutica della testimonianza in Paul Ricoeur 176. Maria Grazia Turri, Biologicamente sociali, culturalmente individualisti 177. Leonardo Caffo, La possibilità di cambiare. Azioni umane e libertà mora 178. Francesco Vitale, Mitografie. Jacques Derrida e la scrittura dello spazio 179. Andrea Velardi, La barba di Platone. Quale ontologia per gli oggetti materiali? 180. Davide Gianluca Bianchi, Dare un volto al potere. Gianfranco Miglio fra scienza e politica. In Appendice il carteggio Schmitt-Miglio 181. Riccardo Corsi, Incroci simbolici 182. Francesco Valagussa, L’arte del genio. Note sulla terza critica 183. Vinicio Busacchi, Tra ragione e fede. Interventi buddisti 184. Giuseppe Di Giacomo, Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento 185. Daniela De Leo, Una convergenza armonica. Beethoven nei manoscritti di Michelstaedter e Merleau-Ponty 186. Stefano Bracaletti, Microfondazione. Problematiche della spiegazione individualista nelle scienze sociali 187. Giorgio Palumbo, Finitezza e crisi del senso. La nostra insecuritas e il richiamo dell’assenza 188. Mario Augusto Maieron, C’era una volta un re...! Intorno alla mente (Περί ψυχῆς) tra neuroscienze, filosofia, arte e letteratura 189. Tiziano Boaretti, La via mistica. Itinerario filosofico in quindici stazioni. 190. Massimo Frana, Il segreto dei fratelli del libero spirito 191. Enzo Cocco, La melanconia nell’età dei lumi 192. José Ortega y Gasset, Appunti per un commento al Convivio di Platone, a cura di Pietro Piro 193. Antonio Coratti, Karl Löwith e il discorso del cristianesimo 194. Sarah F. Maclaren, Magnificenza e mondo classico 195. Jean Soldini, A testa in giù. Per un’ontologia della vita in comune 196. Matteo G. Brega, Multimedialità digitale e fruizione parcellizzata. Estetica e forme d’arte del Novecento 197. Francesca Marelli, Fisica dell’anima. Estetica e antropologia in J.G. Herder 198. Mario Cingoli, Hegel. Lezioni preliminari 199. Tommaso Ariemma, Estetica dell’evento. Saggio su Alain Badiou 200. Gianfranco Mormino, Spazio, Corpo e moto nella Filosofia naturale del Seicento 201. Maria Teresa Costa, Filosofie della traduzione 202. Giuseppe Zuccarino, Il farsi della scrittura 203. S. Fontana, E. Mignosi (a cura di), Segnare, parlare, intendersi: modalità e forme 204. Giovanni Invitto, La misura di sé, tra virtù e malafede. Lessici e materiali per un discorso in frammenti 205. Enrica Lisciani Petrini, Charis. Saggio su Jankélévitch 206. Anthony Molino, Soggetti al bivio. Incroci tra psicoanalisi e antropologia 207. Franco Rella, Susan Mati, Thomas Mann, mito e pensiero 208. J. D. Caputo e M. J. Scanlon, Dio, il dono e il postmoderno. Fenomenologia e religione 209. Friedrich W.J. Schelling, Esposizione del Processo della Natura 210. Stefano Poggi (a cura di), Il realismo della ragione. Kant dai Lumi alla filosofia contemporanea 211. Ruggero D’Alessandro, Le messaggere epistolari femminili attraverso il ‘900. Virginia Woolf, Hannah Arendt, Sylvia Plath 212. Giovanni Invitto, Il diario e l’amica. L’esistenza come autonarrazione 213. Luca Mori, Tra la materia e la mente 214. Alberto Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno 215. Paulo Butti, Un’archeologia della politica. Letture della Repubblica platonica 216. Erasmo Storace, Ergografie. Studi sulla struttura dell’essere 217. Francesco Maria Tedesco, Eccedenza sovrana 218. Marco Vanzulli (a cura di), Razionalità e modernità in Vico 219. Marcello Barison, Estetica della produzione. Saggi da Heidegger 220. Elio Matassi (a cura di), Percorsi della conoscenza 221. Mirko di Bernardo, Danilo Saccoccioni, Caos, ordine e incertezza in epistemologia e nelle scienze naturali 222. Liliana Nobile, Democrazie senza futuro 223. Giacomo Fronzi (a cura di), John Cage. Una rivoluzione lunga cent’anni, con unʼintervista inedita 224. Paolo Taroni, Filosofie del tempo. Il concetto di tempo nella storia del pensiero occidentale 225. Roberto Diodato, L’invisibile sensibile. Itinerari di ontologia estetica 226. Bruno Moroncini, Il lavoro del lutto, Materialismo, politica e rivoluzione in Walter Benjamin 227. Antonio Valentini (a cura di), Il silenzio delle sirene: mito e letteratura in Franz Kafka 228. Giuseppe Maccaroni, Sociologia Stato Democrazia 229. Damiano Cantone (a cura di), Estetica e realtà, Arte Segno e Immagine 230. Marino Centrone, Rocco Corriero, Stefano Daprile, Antonio Florio, Marco Sergio (a cura di), Percorsi nellʼepistemologia e nella logica del Novecento 231 Pierdaniele Giaretta (a cura di), Le classificazioni nelle scienze 232 Luca Grion, Persi nel labirinto. Etica e antropologia alla prova del naturalismo 233 Marco Piazza, Il fantasma dell’interiorità. Breve storia di un concetto controverso