La cultura come rete di significati di U. Hannerz Ulf Hannerz (1942), antropologo svedese, è uno dei principali studiosi contemporanei della cultura; ha scritto in particolare due libri dedicati all’analisi dei processi culturali e alla costruzione di una cornice teorica entro cui collocare in modo soddisfacente l’analisi culturale, La complessità culturale (1998), da cui è tratto il brano che segue, e La diversità culturale (2001), oltre a numerosi articoli pubblicati su riviste specializzate. Il brano che segue, appunto, traccia le linee principali della concezione che lo studioso ha della “cultura”, basata sulla metafora del “flusso”. A differenza di altri importanti studiosi della cultura, come per esempio Clifford Geertz (> Testi 3), Hannerz ha una formazione radicata nell’antropologia sociale di matrice britannica, e questo fa sì che la visione della cultura che ci presenta sia fondata sulla ricerca di un nesso forte con la struttura sociale. Non è, quella di Hannerz, un’analisi in cui il concetto di cultura appare considerato in se stesso, o in una prospettiva storica, ma è un’analisi legata a una visione profondamente sociologica dei fatti culturali, per cui la cultura, intesa come rete di significati prodotta dagli esseri umani in quanto produttori di senso per eccellenza, cioè perché non possono farne a meno, è vista come organizzata socialmente. Gli esseri umani producono (e interpretano) cultura dal punto in cui sono nella struttura sociale, e questa produzione di senso (esternazione e/o interpretazione di significati) è spinta nel circolo sociale e assume il carattere di un flusso continuo. L’homo sapiens è la creatura che produce senso. Lo fa attraverso l’esperienza, l’interpretazione, la contemplazione e l’immaginazione, e non può vivere senza queste attività. L’importanza della produzione di senso per la vita umana è riflessa in un campo concettuale affollato: idee, significato, informazione, saggezza, capacità di comprendere, intelligenza, consapevolezza, capacità di apprendere, fantasia, opinione, conoscenza, credenze, mito, tradizione... A questo gruppo di parole ne appartiene ancora un’altra, cara agli antropologi: cultura. In passato il termine è stato inteso in un’accezione più vasta, ma recentemente è inteso soprattutto come una questione di significato. Studiare la cultura significa studiare le idee, le esperienze e i sentimenti, e insieme le forme esteriori che questi aspetti interiori assumono quando diventano pubblici, a portata dei sensi e dunque realmente sociali. Per cultura gli antropologi intendono dunque i significati che le persone creano, e che a loro volta creano le persone come membri di una società. La cultura è in questo senso collettiva. Dal mio punto di vista la cultura ha due tipi di loci, e il processo culturale avviene grazie alle loro continue interrelazioni. Da un lato, essa risiede in una serie di forme significanti pubbliche che solitamente possono essere viste o ascoltate, o meno frequentemente conosciute attraverso il tatto, l’olfatto o il gusto, o attraverso una combinazione di sensi. D’altro canto, queste forme esplicite (overt forms) assumono significato solo in quanto le menti umane contengono gli strumenti per interpretarle. Il flusso culturale consiste dunque nelle esternazioni di significati che gli individui producono attraverso adattamenti di forme generali, e nelle interpretazioni che gli individui forniscono di tali manifestazioni. Forse l’immagine del flusso è un po’ ingannevole, perché suggerisce un semplice trasferimento, piuttosto che gli infiniti e problematici processi di trasformazione che intervengono tra loci interni ed esterni. Nonostante ciò trovo utile la metafora del flusso – se non altro perché coglie uno dei paradossi della cultura. Quando osserviamo un fiume da lontano questo appare come una linea blu che attraversa il paesaggio; qualcosa che possiede una suggestiva immobilità. Ma allo stesso tempo, “non ci si bagna due volte nello stesso fiume”, perché questo scorre in continuazione, e soltanto in tal modo mantiene la sua continuità nel tempo. Così accade per la cultura: anche quando se ne percepisce la struttura, questa è interamente dipendente da un processo continuo. U. Hannerz, La complessità culturale, Il Mulino, Bologna 1998, 5-7