a cura di Adriana Novara Silvana Quadrino Marina Sozzi PRENDERSI CURA DEL LUTTO 2 - Prendersi cura del lutto Prendersi cura del lutto - 3 Prendersi cura del lutto Definizione del problema Il lutto è l’esperienza di perdita causata dalla morte di una persona cui si era legati. Esistono altre esperienze di perdita potenzialmente molto dolorose (per esempio una malattia invalidante, la separazione da una persona amata, un trasferimento, la migrazione, la perdita del lavoro, il pensionamento, ecc.) ma, nonostante il lutto sia un accadimento comune e universale, che diventa più frequente con l’avanzare dell’età, la morte di una persona per la quale esisteva un attaccamento rimane tra le più stressanti esperienze di vita, il «dolore per eccellenza». ©2011 - Fondazione Ariodante Fabretti Onlus Via Ettore de Sonnaz 13 - 10121 Torino Tel. 011547005 Fax 011547019 [email protected] www.fondazionefabretti.it ©2011 - Istituto CHANGE Scuola superiore di Counselling Sistemico sede formativa: Via Ormea 22 - 10125 Torino Tel. 0116680706 - Fax 0116695948 [email protected] - www.counselling.it Grafica e stampa: Gaidano & Matta - Chieri Nonostante la sua ‘normalità’, il lutto è oggi associato a un aumentato rischio di morbidità e mortalità:1 numerosi studi hanno documentato una maggiore incidenza di malattie fisiche e mentali e di alterazioni del funzionamento sociale. Circa un terzo delle persone in lutto sviluppa prolungati sintomi depressivi,2 ma gli eventi avversi di maggiore rilevanza, sia psichici sia fisici (l’ideazione suicidaria, l’abuso di alcolici o gli eventi cardiaci),3 si concentrano per lo più all’interno di un gruppo di individui (10-20% secondo gli studi) in cui sono identificabili determinati fattori di rischio.4 Esistono prove di efficacia5 a favore dell’opportunità di riconoscere gli individui 1 2 3 4 5 J. Van Eijk, A. Smits, F. Huygen, H. van den Hoogen, Effects of Bereavement on the Health of the Remaining Family Members, «Family Practice», 5 (1988), pp. 278-82. F. Sheldon, ABC of Palliative Care: Bereavement, «BMJ», 316 (1998), pp. 456-58. H.G. Prigerson et al., Traumatic Grief as a Risk Factor for Mental and Physical Morbidity, «American Journal of Psychiatry», 154 (1997), pp. 616-23. K. Hawton, Complicated Grief after Bereavement, «BMJ», 334 (2007), pp. 962-63. B. Zhang, A. El-Jawahri, H.G. Prigerson, Update on Bereavement Research: Evidence Based Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Complicated Bereavement, «Journal of Palliative Medicine», 9 (2006), pp. 1188-1203. 4 - Prendersi cura del lutto con lutto complicato, per offrir loro l’aiuto necessario a evitare o a minimizzare le conseguenze di un cattivo adattamento alla perdita. Ruolo del medico di medicina generale Secondo i dati ISTAT di mortalità nell’anno 2006 sono decedute in Italia 560.858 persone6 – esclusi i bambini morti prima di compiere un anno di vita – cioè lo 0,88% della popolazione.7 A un medico di famiglia con 1.500 assistiti muoiono ogni anno mediamente 10-15 pazienti, la grande maggioranza dei quali decede per cause naturali dopo i 60 anni di età (186.964 nella fascia 60-79 anni e 263.332 dopo gli 80 anni):8 il medico deve dunque attendersi qualche problema correlato al lutto in uno o più familiari ogni quattro pazienti deceduti circa. Tra le specialità mediche, la medicina di famiglia è per sua natura quella più direttamente coinvolta nelle problematiche legate al lutto, ma non è prevista alcuna formazione a questo riguardo. Il mancato riconoscimento di una condizione di lutto difficile può innescare, come per la depressione mascherata o i disturbi somatici funzionali, percorsi impropri caratterizzati da esami, consulenze specialistiche e cure farmacologiche inutili, e può rinforzare nei pazienti il senso di isolamento e di ineluttabilità della sofferenza. Per questo motivo è necessario: 1) conoscere e riconoscere le manifestazioni del lutto; 2) identificare i fattori di rischio che possono rendere alcuni individui più vulnerabili alle complicanze del lutto; 3) monitorare la possibile comparsa di eventi avversi; 4)assicurare al paziente un ascolto attento e un affiancamento consapevole quando tali eventi si manifestano, limitando ai casi più gravi l’invio ad altri professionisti; 5) saper indirizzare opportunamente i pazienti che necessitano di un aiuto più specializzato. 6 7 8 Cfr.Tabelle di mortalità poste in Appendice, p. 33. Cfr.Tabella 1, ivi. Cfr.Tabella 2, p. 34. Prendersi cura del lutto - 5 Modelli interpretativi Il lutto è la reazione alla perdita di una persona amata (o di un’astrazione che ne ha preso il posto, la patria, per esempio, o la libertà, o un ideale o così via). Nonostante il lutto implichi gravi scostamenti rispetto al modo normale di atteggiarsi di fronte alla vita, non ci passa per la mente di considerarlo uno stato patologico e di affidare il soggetto che ne è afflitto al trattamento del medico. Confidiamo che il lutto verrà superato dopo un certo periodo di tempo e riteniamo inopportuna o addirittura dannosa qualsiasi interferenza. S. Freud, Lutto e melanconia, 1915 A partire dall’opera di Freud la riflessione sul lutto nella nostra società è stata monopolizzata dalla psicoanalisi, a cui si è aggiunta la psicologia in tempi più recenti. Nel corso del Novecento (e fino ai giorni nostri) il lutto si è infatti andato definendo come un problema che riguarda l’individuo sofferente, la sua interiorità, la sua psiche. Altre società (in genere di piccole dimensioni) e altre epoche (quando prevaleva il senso della comunità) hanno invece pensato il lutto come un evento prevalentemente sociale, da superare all’interno di una collettività mettendo in atto strategie rituali capaci di coinvolgere l’intero gruppo sociale. Costoro non «elaborano il lutto», ma compiono riti funebri. Pensare il lutto come un problema psicologico non è dunque scontato, ma rappresenta la cifra che caratterizza la nostra cultura, che ha interiorizzato una dimensione di forte individualismo in un contesto di impoverimento della cultura funeraria.9 Tra i numerosi modelli interpretativi interni alla psicoanalisi e alla psicologia che sono stati proposti nel corso del secolo scorso, tutti basati sulla nozione freudiana di «lavoro» o di «elaborazione» del lutto e sull’idea che superare il lutto significhi interrompere il legame con il defunto, abbiamo scelto quello di John Bowlby10 – sostanzial- 9 M. Sozzi, Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia, Laterza, Roma-Bari 2009. 10 J. Bowlby, Attaccamento e perdita, III. La perdita della madre, Bollati Boringhieri,Torino 1983. 6 - Prendersi cura del lutto mente condiviso da Colin Murray Parkes11 – poiché è molto seguito da chi oggi, in Italia, si occupa di supporto al lutto e di counselling.12 John Bowlby, uno psichiatra che lavorò negli anni cinquanta, condusse, su incarico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una ricerca sulle condizioni psichiche dei bambini costretti a vivere lontani dalla famiglia. Ricerca che lo portò a riflettere sulla perdita e sul lutto.13 Il paradigma di Bowlby si differenzia da quello psicoanalitico, contaminando l’argomentazione clinica di quest’ultimo con altri saperi: l’etologia, la biologia, la teoria dei sistemi e la psicologia cognitiva. Il suo scopo, inoltre, è descrittivo: egli intende rinvenire gli elementi che caratterizzano un processo di lutto che possa definirsi «normale». Partendo dai dati di una ricerca sociale condotta da Colin Murray Parkes, Bowlby individuò quattro fasi psichiche che caratterizzano la risposta a una perdita importante: a) la prima fase è di stordimento, di incredulità di fronte alla notizia della morte. Talvolta sembra che i dolenti possano riprendere la loro vita abituale, ma la tensione e l’ansia possono creare momenti di esplosione di emozioni molto intense; b)a questo primo periodo, a distanza di ore o giorni, segue la fase di ricerca e struggimento per la persona perduta, che si accompagna alla presa d’atto episodica, non ancora definitiva, della realtà della morte. Dolore e pianto caratterizzano questo stadio, insieme a insonnia e preoccupazione. Talvolta, può sembrare di ravvisare le fattezze dell’essere amato per strada, o si può avere l’impressione che il rumore di una porta indichi il suo rientro a casa. Anche la rabbia è una componente spesso presente in questo stadio, talvolta sotto forma di irritabilità, talaltra nella forma di aggressività verso terzi, medici, altri parenti o anche verso lo stesso defunto, colpevole di aver abbandonato il congiunto; 11 C.M. Parkes, A. Markus (edited by), Coping with Loss. Helping Patients and Their Families, BMJ Books, London 1998; C.M. Parkes, R.S.Weiss, Recovery from Bereavement, Basic Books, New York 1983; C.M. Parkes, Il lutto. Studi sul cordoglio negli adulti, Feltrinelli, Milano 1980; C.M. Parkes, P. Laungani, B.Young (edited by), Death and Bereavement Across Cultures, Routledge, London-New York 1997. 12 Cfr. la definizione data dall’istituto Change di Torino [www.counselling.it]. 13 Tale studio diede origine alla sua imponente opera in tre volumi, intitolata Attaccamento e perdita. Prendersi cura del lutto - 7 c) la fase di disorganizzazione e disperazione è quella nella quale si attraversa l’insieme delle emozioni violente e dolorose in parte già ricordate e si comincia a tollerarle, a riconoscere che la perdita è definitiva e che non si può far altro che lasciare alle spalle gli stili precedenti di pensiero e azione per inventarne altri, e riformare e adattare la propria vita alla nuova situazione. Poiché tale compito è arduo, e prima di trovare un nuovo adattamento occorre abbandonare quello passato, non è inconsueto che ci si senta soli, privi di punti di riferimento e che si sprofondi nella depressione; d) infine, se il lutto imbocca la strada giusta, segue la fase della riorganizzazione, nella quale si compiono i cambiamenti che conducono a un nuovo adattamento all’esistenza.14 Le fasi del lutto individuate da Bowlby non si susseguono sempre cronologicamente e non sempre tutte le manifestazioni sono presenti: tuttavia, il loro apparire segnala che il lutto si sta svolgendo in modo normale. Pertanto, egli ritiene che siano in errore coloro che, di fronte ai sintomi da lui individuati, li interpretino come patologici, immaginando che il lutto normale debba essere breve e indolore.15 All’analisi del lutto come evento che riguarda l’individuo, basata sul modello psicodinamico, si affianca, solo più recentemente, una visione del lutto come evento familiare, che va collocato all’interno dei cicli vitali della famiglia come momento inevitabile e necessario dello scambio generazionale.16 L’aspetto centrale di questo modello è la focalizzazione sulle risorse della famiglia,17 risorse che si costruiscono nell’avvicendarsi dei cicli familiari come risposte a quelli che vengono definiti «compiti di sviluppo». Fra i compiti di sviluppo è centrale la capacità di affrontare i momenti cruciali dell’esistenza, che in gran parte hanno a che fare con la differenziazione, la separazione, la perdita, la sofferenza: 14 J. Bowlby, Attaccamento e perdita cit., pp. 89 ss. 15 Ivi, p. 20. 16 E. Scabini, V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 17 M. Andolfi, A. D’Elia (a cura di), Le perdite e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. 8 - Prendersi cura del lutto questa capacità viene insegnata/appresa all’interno di ogni famiglia a partire dalle esperienze, dalle regole, dallo stile familiare. Nel modello sistemico il lutto è pertanto visto come un momento naturale nel ciclo di vita familiare, che richiede l’attivazione di risorse e di modelli di risposta che dobbiamo ipotizzare come presenti nella maggior parte degli individui e dei sistemi. In molti casi le condizioni individuali, familiari o sociali possono ostacolare o ritardare l’attivazione di questi meccanismi di risposta: dovrebbe essere compito del medico facilitarla sia a livello individuale sia familiare (quando siano ancora presenti familiari significativi) o a livello di sistemi allargati (reti, gruppi di riferimento, ecc.), prima di classificare come patologica la reazione al lutto e ricorrere a interventi farmacologici o specialistici. Gli studi sulla resilienza18 forniscono ulteriori strumenti di riflessione ai professionisti per quanto riguarda la possibilità di favorire l’espressione del dolore ed evitare risposte potenzialmente patologizzanti, come la chiusura, la rinuncia a esprimere la sofferenza o la negazione: interventi basati sulla parola e sulla narrazione possono essere gestiti anche da professionisti non psicologi, purché adeguatamente formati, con l’obiettivo di consentire alla persona in lutto di DARE SENSO alla perdita e alla storia che l’ha preceduta, e di ricostruire LEGAMI con la propria storia e con la propria realtà. Il ‘normale’ processo del lutto Semplificando notevolmente, descriviamo brevemente che cosa accade oggi alle persone che si trovano a vivere un lutto doloroso (e che, non dimentichiamolo, con l’aumento dell’aspettativa complessiva di vita sono spesso anziani). Le prime settimane dopo la perdita in genere la persona in lutto deve far fronte a impegni di carattere logistico ed è circondata dall’affetto di amici e familiari. Ma ben presto arriva un momento più difficile, quello del dolore profondo per la separazione e del18 Per resilienza si intende la capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità. Cfr. B. Cyrulnik, E. Malaguti (a cura di), Costruire la resilienza: la riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi, Erickson, Trento 2005. Cfr. anche G.A. Bonanno, The Other Side of Sadness, Basic Books, New York 2009. Prendersi cura del lutto - 9 la solitudine. La morte di un congiunto può essere un’esperienza devastante, che distrugge tutti i punti di riferimento e rimette in questione ogni prospettiva, ogni avvenire, e impone di trovare un nuovo modo per progettare la propria vita. È proprio questo ciò che si definisce il «lavoro» del lutto, un periodo faticoso utile per ritrovare un nuovo equilibrio.Tale lavoro, o elaborazione, è reso più arduo dallo choc che si prova di fronte alla perdita (non è vero che lui/ lei non c’è più!), dall’ossessiva presenza del defunto nella vita dei superstiti (lo vedo dappertutto, gli parlo continuamente, ecc.), dal senso di colpa per non aver fatto tutto quanto si sarebbe potuto per attutire la sofferenza del morente, dal continuo desiderio di piangere e dal pudore di farlo pubblicamente; dal fatto, infine, che chi circonda il dolente tende ad aspettarsi che egli superi rapidamente il suo dolore, lasciandolo così irrimediabilmente solo. I sintomi più comuni nelle prime fasi del lutto sono ansia, sensazione di batticuore, irrequietezza, insonnia, diminuzione della capacità di concentrazione e della memoria a breve termine, perdita dell’appetito, anoressia e calo ponderale, transitorie allucinazioni visive e uditive della persona morta. Peculiari del lutto e osservabili con una certa frequenza in medicina generale sono i sintomi ipocondriaci che mimano nel care giver quelli della malattia che ha determinato la morte del congiunto, per esempio dispnea, un particolare dolore, una presunta tumefazione. Il processo di elaborazione del lutto occupa generalmente un intervallo che varia da pochi mesi a due anni, mentre si sviluppano progressivamente le strategie di adattamento e di resilienza. Nei primi sei mesi dopo la perdita, i segni e i sintomi del lutto cosiddetto «normale» possono essere così intensi da essere indistinguibili da quelli del lutto «complicato» ma, dopo questo primo periodo, il dolore si autolimita e la maggior parte delle persone è in grado di accettare la nuova realtà e sperimentare nuovamente il piacere. Il dolore della perdita può anzi lentamente trasformarsi in un fattore di crescita e di maturità personale. Una raffigurazione del possibile andamento temporale delle varie fasi del lutto, peraltro difficilmente realizzabile, è rappresentata nel seguente grafico estratto dal lavoro di Zhang e colleghi. 10 - Prendersi cura del lutto Quando il lutto diventa malattia Circa un terzo delle persone che hanno subito la perdita di una persona significativa va incontro a una condizione dolorosa che viene per lo più ricondotta nell’ambito dei disturbi depressivi e dei disturbi d’ansia.19 Il richiamo al rischio di depressione dopo un’esperienza di lutto non deve tuttavia far dimenticare che, come scrive Winnicott,20 «la depressione è un sistema di cura» che consente alla persona di assorbire il dolore senza negarlo, e senza sentirsi obbligata a fingere i comportamenti coraggiosi che spesso amici e familiari sembrano richiedere. Affrontare il discorso depressione nello studio del medico di medicina generale significa innanzitutto normalizzare la risposta depressiva. L’indicazione farmacologia dovrà essere attentamente valutata e negoziata con il paziente in modo da evitare di connotarla come rimedio al dolore; l’obiettivo, dichiarato e concordato con il paziente, sarà sempre quello di trovare un posto al dolore nella vita che prosegue. Tuttavia, da alcuni autori già da tempo è stata identificata una sindrome, distinta dai disturbi d’ansia e depressione, che identifica una condizione patologica tipica del lutto in cui lo stato di lutto pare 19 Nelle tabelle 3 e 4 poste in Appendice vengono ricordati i sintomi più comuni presenti nella depressione e nell’ansia. 20 D.W. Winnicott, La posizione depressiva, in Dalla pediatria alla psicoanalisi. Scritti scelti, Martinelli, Firenze 1975. Prendersi cura del lutto - 11 cristallizzarsi e cronicizzare.21 Non vi è in letteratura una terminologia unica per indicare questo disturbo: si parla infatti di «lutto patologico», di «lutto anormale», di «lutto atipico», di «lutto traumatico», di «lutto distorto», di «lutto cronico». Nel già citato lavoro di Zhang e colleghi viene proposta la definizione di lutto complicato, e sono elencati i criteri di diagnosi per il suo eventuale inserimento nella prossima edizione, la quinta, del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). Le persone che ne sono affette appaiono ermeticamente chiuse in un cordoglio inconsolabile e immodificabile, in cui si alternano e si mescolano con particolare intensità i sintomi descritti da Bowlby nelle prime tre fasi del lutto normale. Accanto al persistente struggimento, al dolore terebrante e all’inesausto desiderio per la persona morta, coesistono, in varia combinazione, i seguenti sintomi, di cui almeno quattro devono essere presenti per un periodo superiore a sei mesi con tale intensità da impedire il normale funzionamento sociale: •difficoltà ad accettare la realtà della perdita •mancanza di fiducia negli altri •isolamento nel proprio dolore •sentimenti di rabbia per la morte del congiunto •vuoto interiore e perdita di significato di ogni atto •difficoltà a riprogrammare la propria vita senza la persona deceduta •perdita di ogni progettualità per il futuro •stato cronico di agitazione e irrequietezza Come altre situazioni stressanti, il lutto determina modificazioni fisiche quali la diminuzione della risposta immune e l’aumento dell’attività adrenocorticotropa e della prolattina. È stato dimostrato che il lutto complicato è un fattore di rischio non solo per disturbi psichiatrici (depressione, ansia e attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress, suicidio), ma anche per svariati altri eventi avversi, i più noti dei quali sono: ipertensione arteriosa, abuso di alcol, 21 H.G. Prigerson et al., Complicated Grief as a Disorder Distinct from Bereavement-Related Depression and Anxiety: A Replication Study, «American Journal of Psychiatry», 153 (1996), pp.1484-6. 12 - Prendersi cura del lutto abuso di tabacco, eventi cardiaci (con aumento della mortalità nei maschi rimasti vedovi), modificazione del comportamento alimentare.22 È stato ipotizzato anche un rischio aumentato di malattie neoplastiche. Fattori di rischio per il lutto complicato Possono dividersi in tre gruppi: antecedenti, correlati e seguenti la perdita. Antecedenti il lutto - Relazione ambivalente o dipendente con la persona deceduta: colpa, paura e autopunizione nel primo caso, sensazione di non poter sopravvivere senza la persona venuta a mancare nel secondo. - Storia familiare con tendenza alla negazione e alla copertura delle esperienze dolorose e dei sentimenti a esse correlati. - Lutti multipli precedenti. - Precedente malattia mentale, specialmente depressione. - Bassa autostima. - Ruolo di care giver della persona deceduta per oltre sei mesi: il rischio diminuisce se il care giver riceve un supporto adeguato durante la fase di malattia (per esempio le cure palliative). Correlati alla perdita - Morte improvvisa o inaspettata, soprattutto se dovuta a cause stigmatizzate (per esempio per AIDS, overdose) o violente (suicidio, omicidio, incidente) o in una persona ancora giovane. -Morte prematura: nelle società occidentali è attualmente considerata la perdita più dolorosa e, dopo la morte di un bambino, vi è un elevato rischio di alterazione del rapporto di coppia e di separazione. - Nell’uomo anziano vi è un aumentato rischio di morte e di suicidio nei sei mesi seguenti la morte della moglie. 22 H.G. Prigerson et al., Traumatic Grief as a Risk Factor for Mental and Physical Morbidity cit. Prendersi cura del lutto - 13 - Impossibilità a compiere rituali funerari ritenuti importanti: poiché il vissuto e le manifestazioni del lutto sono culturalmente condizionate, questo può diventare un fattore determinante un lutto complicato, soprattutto in individui appartenenti a minoranze culturali o etniche. Condizioni dopo la perdita - Scarso livello di supporto sociale percepito. -Eccesso di richieste di fronteggiamento/superamento del dolore. -Mancanza di situazioni in cui sia possibile esprimere la sofferenza. -Scarse opportunità per mantenere e sviluppare le attività sociali: è una condizione tipica dell’anziano, per l’isolamento o la presenza di invalidità. - Compresenza di altre fonti di stress. Il lutto infantile È soltanto con l’inizio del XX secolo che l’affermarsi della psicoanalisi infantile ha convogliato l’attenzione sull’esperienza del lutto nei bambini. Attenzione accresciuta dalle conseguenze della Seconda guerra mondiale, che hanno spinto i medici e gli psichiatri a interessarsi a migliaia di bambini traumatizzati dalla morte dei familiari, dal terrore dei bombardamenti, dall’esperienza quotidiana della morte. Si deve soprattutto a Françoise Dolto23 la diffusione di un’immagine del bambino come persona a pieno titolo che ha pensieri, dolori, emozioni esattamente come gli adulti, e che deve pertanto essere autorizzato a esprimerli per poterli affrontare e superare. Sovente per i genitori non è facile porsi nei confronti del bambino in modo corretto. Spesso è al medico, o al pediatra, che i familiari chiedono suggerimenti e consigli sul modo di affrontare il discorso della morte con i bambini. Troppe volte, però, i consigli vengono chiesti quando la morte di un nonno o di un genitore è già avvenuta, e il 23 F. Dolto, Tout est langage, Vertiges du Nord/Carrere, Paris 1987. 14 - Prendersi cura del lutto bambino è già stato coinvolto in comunicazioni reticenti, ambigue o ingannevoli. La mistificazione ha luogo fin dalla fase che viene definita «lutto anticipatorio»:24 la malattia di un familiare adulto, o talvolta di un fratellino, che assorbe le risorse e le energie degli adulti, modifica il ciclo di vita e le regole familiari e agisce quindi con modalità simili a quelle della perdita. Se in questa fase il diritto di fare domande su ciò che sta avvenendo è scoraggiato o negato, il bambino si trova imprigionato in una sorta di doppio legame:25 non deve comportarsi come se non stesse accadendo nulla (gli viene chiesto di essere buono, di non affaticare gli adulti impegnati nella cura, talvolta di farsi carico di compiti e incombenze precedentemente riservati agli adulti), ma non deve neppure segnalare di sapere che sta accadendo qualcosa: le sue domande non ricevono risposta o vengono annullate da generiche rassicurazioni. Quando a un periodo di malattia di un familiare segue la morte, nei giorni immediatamente seguenti il bambino appare spesso sollevato. I genitori possono essere negativamente sorpresi da questa reazione, o al contrario rallegrarsene e convincersi che il bambino «ha reagito bene». Ma saranno solo le risposte che compariranno nei mesi successivi a indicare se e come il bambino sta superando l’esperienza del lutto. Bisogna sempre ricordare che i bambini tendono a compiacere gli adulti, a rispondere con le modalità che vedono accettate e apprezzate. I familiari dovranno quindi essere aiutati a mantenere una comunicazione calda e autentica con il bambino, a non criticare né lodare le sue reazioni: sono sufficienti commenti incoraggianti e accoglienti, che permettano al bambino di restare in contatto con le proprie emozioni senza negarle e senza sentirsi costretto a modificarle. In ogni caso, il medico di medicina generale e il pediatra devono sempre prestare attenzione alla comparsa di sintomi o di modificazioni comportamentali del bambino in coincidenza con una malat24 J.S. Rolland, Helping Families with Anticipatory Loss and Terminal Illness, in F. Walsh, M. Mc Goldrick (edited by), Living Beyond Loss: Death in the Family, W.W. Norton, New York-London 2004. 25 P. Watzlavick et al., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971. Prendersi cura del lutto - 15 tia di uno dei membri della famiglia o in seguito a un lutto: l’ipotesi che il sintomo sia una risposta alla negazione del diritto a esprimere paura e dolore va sempre tenuta presente. I genitori devono essere aiutati a trovare la giusta misura nel modo di parlare della morte (possibile o avvenuta) al bambino, tenendo conto dell’età e soprattutto adeguandosi alle modalità di richiesta di quest’ultimo, alla sua volontà di sapere, di non sapere ancora o di non sapere tutto. Se questo si rivela troppo difficile, perché i genitori stessi non hanno appreso modi di fronteggiare le emozioni legate alla perdita, può essere utile incoraggiarli a cercare sostegno in interventi di tipo psico-educativo o di counselling. Spesso, tuttavia, l’affiancamento di un medico competente si rivela sufficiente per consentire ai genitori di superare la barriera del «non detto» che Murray Bowen26 pone all’origine dell’«onda d’urto emotiva», al «fitto intreccio di contraccolpi […] che possono prodursi nel sistema familiare esteso nei mesi o negli anni che seguono un evento di grave significato emotivo», e i cui effetti si ripercuotono in modo più intenso sul bambino e interferiscono con lo sviluppo delle risorse necessarie per fronteggiare gli eventi emotivamente intensi. Identificare il paziente che necessita di aiuto Sia nella fase che segue immediatamente un lutto sia nei periodi successivi, il medico può essere il solo professionista che entra in un contatto profondo con la persona in lutto. Il suo intervento può essere quindi di estrema importanza già a livello preventivo per ridurre la tendenza del paziente alla chiusura e alla negazione e per favorire la resilienza. Bowen ha descritto i modi con cui, in una coppia o in una famiglia, viene costruita la regola del silenzio e dell’evitamento intorno alla morte, sia come risposta all’ansia che l’argomento suscita, sia per un sentimento di ‘protezione’ nei confronti del familiare che soffre 26 M. Bowen, Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Roma 1979. 16 - Prendersi cura del lutto o nei confronti dei bambini. L’impossibilità/divieto di manifestare i sentimenti dolorosi legati a una perdita può diventare una regola familiare e rendere impossibile l’espressione diretta del dolore del lutto. Il sintomo rischia di essere, in questi casi, l’unico modo consentito per esprimere la sofferenza. Il medico – o il pediatra – deve essere in grado di collegare sintomi che emergono anche a distanza di tempo con l’ipotesi che vi sia stata un’eccessiva chiusura delle comunicazioni nel momento del lutto, e facilitarne così la riapertura. Esiste anche il rischio che il medico, inconsapevolmente, colluda con modalità di questo tipo: se il medico evita, per pudore o per imbarazzo, di parlare con il suo paziente del lutto che sta vivendo, conferma la regola del «non dicibile» che spesso accompagna l’esperienza della perdita e del dolore. A livello preventivo, quindi, nelle fasi che seguono un lutto il medico deve essere in grado di agevolare in ciascuno dei suoi pazienti la narrazione di quell’esperienza in modo guidato e non casuale, utilizzando le competenze della medicina narrativa27 e della conduzione attiva del colloquio medico. A un livello successivo egli deve saper utilizzare modalità di affiancamento basate sull’ascolto e sulla facilitazione della narrazione, pur restando rigorosamente in un ambito medico e non psicoterapeutico: spesso questo intervento è sufficiente a spezzare la cortina di silenzio e di non comunicabilità del dolore che sta alla base dell’evoluzione patologica dell’esperienza luttuosa. La capacità di individuare segnali patologici deve in ogni caso far parte della preparazione del medico, così come la capacità di favorire l’eventuale ricorso a uno specialista con modi di invio attenti e non precipitosi. Come per qualunque altra patologia, il primo compito del medico è individuare l’urgenza. Particolare attenzione va posta al riconoscimento di un possibile episodio di Depressione Maggiore per l’elevato rischio suicidario.28 Esclusa l’urgenza, la diagnosi di lutto complicato si fonda sull’osser27 G. Bert, Medicina narrativa, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2007. 28 Cfr. in Appendice le tabelle 5 e 6. Prendersi cura del lutto - 17 vazione del cronicizzarsi oltre sei mesi dei sintomi di ansia e/o depressione (quest’ultima spesso presente con le caratteristiche della depressione mascherata da sintomi fisici non sostenuti da evidenza clinica) o di una costante iperfocalizzazione del pensiero e delle emozioni sul dolore della perdita, sul desiderio di ricongiungimento con la persona deceduta e sull’impossibilità di riorganizzare la vita in sua assenza. Il persistere di questa condizione interferisce pesantemente con il normale funzionamento sociale, relazionale od occupazionale ed è poco probabile che la risoluzione avvenga spontaneamente. I medici di famiglia sono nella condizione migliore per identificare questi pazienti e possono anche utilizzare le consultazioni richieste per motivi occasionali per monitorare gli individui con noti fattori di fragilità. L’intervento di aiuto Il primo, fondamentale aiuto a una persona in lutto consiste nel saperla ascoltare. Da questo punto di vista il medico di famiglia può fare un primo passo molto importante, come si è detto, evitando errori di comunicazione tipici della cultura nella quale siamo tutti immersi, che tende a negare il dolore e la morte («ma signora, smetta di pensarci e vada un po’ a spasso», o affermazioni simili). A questo scopo, proporremo un esempio di comunicazione per costruire o rinsaldare la consapevolezza del ruolo positivo che può avere il medico, ponendosi in una relazione corretta (vd. p. 20). Al medico di famiglia non è certo possibile chiedere di seguire in prima persona i lutti di tutti i suoi pazienti. A lui spettano tuttavia gli interventi a cui abbiamo accennato nelle pagine precedenti: la capacità di intervenire a livello preventivo, imparando a individuare i segnali di scarsa attivazione delle risorse individuali o familiari nelle situazioni di lutto, e impostando interventi brevi di affiancamento basati essenzialmente su: -segnalazione di interesse: il medico descrive ciò che ha osservato (perdita di peso, rallentamento nella ripresa delle 18 - Prendersi cura del lutto attività abituali, difficoltà di attenzione) ed esprime l’ipotesi di un collegamento con il lutto; -condivisione di obiettivi: il medico propone un obiettivo di graduale ripresa di una condizione psicofisica migliore e cerca di esplorare con il paziente le risorse attivabili per raggiungerlo. Come è già stato detto, il medico è quasi sempre il solo interlocutore per le persone in lutto ed è l’unico a cui la maggioranza delle persone, soprattutto anziane, sente di potersi affidare. Dare risposte anche minime di attenzione e di assunzione del problema può rivelarsi decisivo per evitare lo svilupparsi di reazioni di chiusura e d’involuzione. È comunque importante che il medico sia informato di quali risorse stia mettendo in campo la nostra società per dare una risposta a quel problema sociale che è diventato il lutto. Gli interventi brevi di counselling cominciano a essere disponibili e bene accetti anche in Italia. È importante che il medico dia indicazioni chiare sulla differenza tra il counselling e l’intervento psicologico, che spesso viene rifiutato soprattutto dagli anziani, che lo vedono troppo scollegato dalla propria esperienza e dalle proprie esigenze. Deve essere chiarito che l’intervento si basa su tre-quattro incontri al massimo, e che l’obiettivo è lo stesso che il medico ha già proposto e condiviso con il paziente: ritrovare un miglior benessere dopo un periodo inevitabilmente doloroso e difficile nel modo più adatto alla situazione reale e alle reali esigenze di quella persona. Il counsellor aiuta il paziente a: -narrare le fasi che hanno preceduto e seguito la perdita, dando senso alle sue reazioni e ai suoi ricordi; - manifestare accuse e risentimenti (presunte colpe dei sanitari, scarsa presenza dei familiari, interventi inopportuni, ecc.); -esprimere i timori legati alla perdita (solitudine, problemi economici o logistici, ecc.); - prendere coscienza delle risorse che sta già utilizzando; - ampliare la ricerca di risorse, aiuti, conforto. Prendersi cura del lutto - 19 Anche i gruppi di auto mutuo aiuto, importati dai Paesi anglosassoni, stanno assumendo all’interno della realtà socio-sanitaria – e più in generale nella nostra cultura – un rilievo crescente. Svariate patologie, o stati personali di disagio, o problemi comuni a realtà locali possono essere affrontati dal basso, facendo leva soprattutto sulle motivazioni, l’interesse e le esperienze delle persone direttamente interessate da una difficoltà, piuttosto che sull’esclusiva presa in carico di professionisti e istituzioni. Tali gruppi offrono alle persone la possibilità di rivolgere attenzione ai loro corpi, alle loro menti, ai loro comportamenti, alle loro relazioni, alla loro vita e possono aiutare altri a fare la stessa cosa. Non solo offrono supporto, ma restituiscono alla persona una competenza, un senso di sé, un ruolo, possibilità di nuovi legami. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce i gruppi di self-help, nati negli Stati Uniti dall’esperienza degli alcolisti per la disassuefazione dall’alcol, «strutture di piccolo gruppo [...] di solito costituite da pari che si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare dei bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita, oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali o sociali». Il mutuo aiuto comincia nel momento in cui la persona riconosce l’esistenza di un problema/difficoltà e si attiva in cerca di risposte e risorse. Il mutuo aiuto si realizza quando chi aiuta e chi viene aiutato condividono fatti, vissuti, emozioni relativi a un medesimo problema. Le persone che frequentano un gruppo sono quindi unite da un disagio comune: cercano da se stessi, attivandosi in prima persona, di aiutarsi, di fronteggiare al meglio le situazioni della propria esistenza, di umanizzare l’assistenza sanitaria portandola il più vicino possibile alla realtà dei bisogni, che loro conoscono molto bene vivendoli dall’interno. L’esperienza di condivisione giova sia alla persona che viene aiutata, sia alla persona che in quel momento aiuta (principio dell’helper). Partendo dall’affermazione «aiutando gli altri si aiuta se stessi» si può cogliere come il concetto fondamentale che differenzia l’esperienza di auto mutuo aiuto dalle altre esperienze di aiuto si esplichi in tre parole chiave: attivazione, condivisione, reciprocità. 20 - Prendersi cura del lutto Poiché tutti i membri di un gruppo si attivano contemporaneamente sulla base di tale principio, ciascuno beneficia di questo processo aumentando il senso di autostima e dell’efficacia delle proprie capacità e potenzialità positive. In particolare, i gruppi di auto mutuo aiuto dedicati ai problemi di elaborazione del lutto mirano a: 1) aiutare i partecipanti al gruppo a esprimere i propri sentimenti (dolore, nostalgia, paura, rabbia, senso di colpa, solitudine) senza il timore di essere giudicati; 2)sviluppare la capacità di riflettere sulle proprie modalità di comportamento, soprattutto qualora siano orientate a non superare il dolore della perdita; 3)aumentare le capacità individuali nel far fronte ai problemi (compito fondamentale per coloro che si erano appoggiati, psicologicamente o nell’organizzazione della vita quotidiana, alla persona defunta); 4)incrementare la stima di sé, delle proprie abilità e risorse, lavorando su una maggiore consapevolezza personale; 5)facilitare la nascita di nuove relazioni, combattendo così il senso di solitudine creato dalla perdita e ridando dignità alla sofferenza, che diviene condivisibile; 6) promuovere uno stile di vita a sostegno della salute individuale, familiare e sociale. Prendersi cura del lutto - 21 Esempio di colloquio tra il medico di medicina generale e il paziente in lutto: la signora Maria in ambulatorio Medico di medicina generale – Buongiorno signora, si accomodi. Maria – Buongiorno dott/essa, le ho portato il risultato degli esami che mi ha fatto fare… si ricorda, per quella stanchezza che non vuole passare… MG – Ricordo bene, per questo ho richiesto ancora una volta qualche accertamento… vediamoli insieme: la tiroide è a posto, fegato e reni funzionano bene, la glicemia è normale… i suoi esami sono perfetti, come quelli di due anni fa. M – Allora sarà perché anche con le gocce non riesco a dormire bene… mi alzo al mattino più stanca di quando mi sono messa a letto… MG – Quello che dice è senz’altro vero, ma adesso, per favore, si accomodi sul lettino, voglio controllare bene tutto. MG – Tutto a posto, pancia, cuore, polmoni, pressione… anche il peso è sempre quello, non ci sono segni di malattia. Forse dobbiamo riprendere il discorso che abbiamo già fatto alcune volte in questi anni, perché questo suo star male è iniziato, se dico bene, da quando è morto suo marito… sulla sua cartella non c’è praticamente nulla prima di quattro anni fa. M – Non va, non va… non oso parlarne con nessuno perché dopo quattro anni… mi sento quasi ridicola… sempre così stanca, affannata… neanche avessi tutto io da fare… vado a letto mai prima di mezzanotte e alle quattro del mattino sono già lì, con gli occhi aperti e con nessuna voglia di cominciare la giornata. MG – Ma poi la giornata comincia… che cosa fa? M – Per fortuna lavoro ancora part‑time, se no non mi alzerei neanche… poi al pomeriggio vado a prendere a scuola il mio nipotino e anche questo mi pesa, mi vergogno a dirlo… è un bel bambino vivace… poi preparo qualcosa per cena, poi basta, e il giorno dopo daccapo. 22 - Prendersi cura del lutto MG – È riuscita a riprendere contatto con qualcuno, amici, parenti… esce qualche volta con loro? M – Ci sentiamo per telefono, mi invitano anche ma io non ho proprio voglia di vedere nessuno, non vado da nessuna parte. MG – Questo isolamento è come la stanchezza e l’insonnia… se ci pensa bene sono tutte perdite: perdita di energia, perdita di sonno, perdita dei rapporti con le altre persone. M – È proprio vero, mi sono persa… ma non so cosa fare… MG – I farmaci che le ho prescritto in questi ultimi anni non hanno risolto il problema, gli antidepressivi presi durante tutto l’anno scorso hanno forse un po’ attenuato i sintomi, le gocce per dormire hanno forse regalato qualche ora di sonno in più, ma ancora non ci siamo, è d’accordo? M – Sì, e farmaci non vorrei prenderne più… MG – Perché non prova a considerare la proposta che le avevo già fatto di contattare chi si occupa proprio dei problemi delle persone che hanno avuto un lutto da cui non riescono a riprendersi? Ricorda? Le avevo accennato che esistono anche dei gruppi di persone che si aiutano reciprocamente a venire fuori da situazioni simili alle sue… M – Ma se non esco neppure per comprarmi un paio di scarpe… figurarsi se ho voglia di uscire, magari di sera, per andare a sentire delle persone che magari stanno peggio di me… MG – Le chiedo solo un piccolo sforzo, quello di fare una telefonata e un breve colloquio con una persona esperta che accoglie e spiega; questa persona le dirà per filo e per segno di cosa si tratta e deciderà qual è il modo migliore per aiutarla. Se la cosa non le starà bene è ovviamente padronissima di dire «no grazie arrivederci…». Che vantaggio ha non fare nulla e continuare a trascinare la sua stanchezza da un giorno all’altro? M – Visto che lei insiste e sembra proprio convinto che mi farà bene, ci proverò, mi sforzerò di seguire il suo consiglio… MG – [porgendo il foglio con i numeri di telefono] Mettiamola così: prenda questo foglietto come se fosse una ricetta e segua le istruzioni come ha sempre fatto con le medicine… SULLA PORTA: MG – Mi faccia sapere come è andata… Coraggio, qualche volta è necessario avere fiducia e buttarsi un po’…! Prendersi cura del lutto - 23 Esempio di colloquio di accoglienza allo sportello di supporto al lutto:29 la signora Maria allo sportello Accoglienza – Prego signora, si accomodi. Io sono XY, lei è la signora Maria S., vero? So che ha preso un appuntamento per avere qualche informazione sul nostro lavoro con le persone che hanno perso un familiare. Per cominciare, mi racconta cosa l’ha convinta a venire qui? Maria – Sa, il mio medico me l’ha tanto consigliato… mio marito è morto quattro anni fa, ma ancora non va… sono sempre stanca, non dormo di notte, mi sveglio all’alba, ma soprattutto non ce la faccio proprio a uscire. Da quando lui non c’è più… non me l’aspettavo proprio, che morisse… l’hanno ricoverato per un problema all’intestino, sembrava un virus, niente di drammatico, voglio dire, con quello che si fa oggi in medicina. Non ci siamo preoccupati troppo, e neanche i medici. E invece lui se n’è andato in fretta e furia, io non ero preparata, sono rimasta come impietrita, confusa. A – Sono passati quattro anni, ma lei ancora non riesce a superare quello che è successo; così improvviso, così inatteso. Dice che è rimasta confusa, impietrita… e adesso c’è questa stanchezza, la difficoltà a dormire. Il medico cosa le ha detto, nel mandarla da noi? M – Lui mi ha seguita molto in tutti questi anni, mi ha dato anche delle pastiglie, sa, per dormire… nei mesi dopo la morte di mio marito non facevo che piangere, non dormivo, già allora avevo paura a uscire… sarà perché lui è morto di notte, io ero andata a casa, non c’era nessuno lì con lui. Mi hanno telefonato di andare all’ospedale 29La metodologia descritta è quella proposta dalla Fondazione A. Fabretti di Torino, che si fonda sui gruppi di suto mutuo aiuto, accostando ad essi uno sportello di accoglienza. Cfr. www.fondazionefabretti.it. 24 - Prendersi cura del lutto e sono uscita come un fantasma, senza cappotto. Forse è per quello che poi ho cominciato ad avere paura a uscire. A – È difficile dire se ci sono motivi precisi, le reazioni a una morte, specialmente così brusca, inattesa, possono essere diversissime. Mi fa capire come sono andate poi le cose in questi anni? Si ricorda dei cambiamenti in questo piangere, nella difficoltà a uscire? M – Ma, direi che le cose non sono molto cambiate. Mia figlia insiste – esci, vai con le amiche, non puoi seppellirti in casa così – sa, viviamo insieme, anche col bambino, io lavoro part-time e vado a prendere mio nipote a scuola, alle quattro. Ma oltre a questo mi è proprio impossibile uscire, se non sono costretta a farlo. Oltre al lavoro e alla famiglia, nulla. A – Io credo che però è importante che abbia continuato a parlarne con il suo medico, e anche che abbia accettato di venire qui. Le chiedevo prima se il medico le ha già accennato al tipo di aiuto che possiamo darle… M – Mah, il mio medico mi ha parlato due o tre volte di questi gruppi che fate voi, dice che mi farebbe bene frequentarne uno… ma non so se ho capito bene cosa siano. A – Lei, quando il medico le ha parlato di gruppi, che idea si è fatta? M – Credo che siano persone come me, che hanno perso una persona cara, e ne parlano insieme… A – Beh, l’idea che si è fatta è abbastanza giusta. Ma mi dica ancora una cosa: immaginandosi di partecipare a un gruppo di questo genere, per come è fatta lei, ha l’impressione che potrebbe esserle utile? M – A dire la verità ho un po’ paura che si finisca per piangere tutti insieme, magari che si finisca per stare peggio… Mia figlia mi dice sempre di cercare situazioni allegre, qui invece… A – Non è che sua figlia non abbia ragione. Il fatto è che, per il momento, lei dice che non ha proprio l’energia e la voglia per cercare situazioni allegre: riesce a uscire se è obbligata, per esempio per andare a prendere il nipotino a scuola, ma per altre cose proprio Prendersi cura del lutto - 25 non ce la fa; diciamo che non è ancora pronta… I gruppi possono essere un aiuto proprio in questi casi: ognuno parla della sua storia, e inevitabilmente del suo dolore, ma venire qui per parlare è già un modo per fare qualcosa per sé. Pensi che a volte proprio da questi incontri nascono amicizie, si trovano persone con cui magari si riesce a ricominciare a uscire, a fare qualcosa di piacevole… M – E come funziona? A – Provo a dirle alcune cose, per farle un po’ capire. Una volta la settimana ci s’incontra per un’ora e mezza. Nel gruppo c’è un partecipante che sta già meglio e aiuta gli altri a parlare, a confrontarsi e anche a vedere che è possibile riuscire a stare meglio, come lui. Così si impara anche a vedere che in certi momenti è possibile aiutare qualcun altro a stare meglio, ed è sempre una grande esperienza. Ma naturalmente ognuno utilizza il gruppo a modo suo, per come è fatto lui. Lei, dopo queste prime cose che le ho detto, pensa di riuscire a vedersi in una situazione del genere? M – Devo dire di sì, lo so benissimo che è la solitudine che mi fa male, ma con le persone che ho intorno non so mai cosa dire, sembra sempre che devo fare finta di non essere triste, di stare bene. Però ho anche paura che parlare con persone tristi come me mi faccia stare peggio… non so… A – La cosa migliore da fare è provare: è molto vero quello che dice lei, quando un dolore è ancora vivo come il suo non si trova facilmente il modo e il luogo per parlarne. Il gruppo serve proprio a questo, e a moltissime persone come lei è stato utile. Io le consiglierei di venire a provare per due o tre incontri, poi ci rivedremo e mi dirà come si è trovata, se questa modalità le è utile, se vuole continuare… Lo vedremo insieme, d’accordo? M – Va bene, la ringrazio, mi ha aiutato già molto parlare con lei. A – A presto, allora: gli orari del gruppo sono in quest’opuscolo, può già andare al primo incontro in questa data. A presto… 26 - Prendersi cura del lutto Le competenze di counselling nella relazione del medico di medicina generale con il paziente in lutto Premessa Un paziente che ha subito un lutto è, per il medico di medicina generale, almeno tre persone diverse: •è il suo paziente, una persona che in genere conosce da anni e la cui presenza in ambulatorio è legata a problemi di salute: per quella persona il suo ruolo deve essere e restare quello di chi si occupa dei suoi sintomi, dei suoi dolori, della sua salute; •è una persona che attraversa una fase di vita «di passaggio», dalla destabilizzazione innescata dalla morte di una persona significativa alla ricerca di un sufficiente nuovo equilibrio. Il compito del medico rispetto a quella persona è innanzitutto (e a volte soltanto) quello di vederla, di segnalare che sta vedendo, oltre ai suoi sintomi fisici, anche la sua difficoltà di vita e di relazione; •è una persona che necessita di affiancamento nella ricerca di punti di riferimento che la aiutino a ritrovare un equilibrio sufficiente. Il compito del medico non è quello di sostituirsi alle risorse mancanti, facendo un po’ lo psicologo, un po’ l’assistente sociale, un po’ il volontario: è quello di aiutare il suo paziente a guardare intorno a sé, a cercare chi gli sembra raggiungibile e coinvolgibile in quel momento. Senza forzarlo, senza spingerlo a uscire subito dall’isolamento e dalla chiusura. I passi possono essere molto piccoli, molto lenti. Ma richiedono che qualcuno li incoraggi. Gli atteggiamenti mentali favorevoli Utilizzare competenze relazionali significa innanzitutto, per il medico di medicina generale, assumere o rafforzare alcuni atteggiamenti mentali che favoriscono l’ascolto e consolidano la relazione di cura: Prendersi cura del lutto - 27 •disposizione ad ascoltare; •disposizione a cercare di capire; •disposizione a credere che ciò che il paziente dice abbia senso per lui; •disposizione a ritardare il giudizio; •valorizzazione degli elementi comunicativi condivisibili con il paziente; •interesse (e non rifiuto) per gli elementi comunicativi inattesi o divergenti; •capacità di individuare possibili incomprensioni; •capacità di astenersi da giudizi moralistici o di valore. La signora Maria: un esempio di colloquio tra il medico di medicina generale e il paziente in lutto Fase 1 – Accogliere, ascoltare, legittimare Medico di medicina generale – Buongiorno signora, si accomodi. Maria – Buongiorno dottoressa, le ho portato il risultato degli esami che mi ha fatto fare… si ricorda, per quella stanchezza che non vuole passare… MG – Ricordo bene, per questo ho richiesto ancora una volta qualche accertamento… vediamoli insieme: la tiroide è a posto, fegato e reni funzionano bene, la glicemia è normale… i suoi esami sono perfetti, come quelli di due anni fa. M – Allora sarà perché anche con le gocce non riesco a dormire bene… mi alzo al mattino più stanca di quando mi sono messa a letto… MG – Quello che dice è senz’altro vero, ma adesso, per favore, si accomodi sul lettino, voglio controllare bene tutto. 28 - Prendersi cura del lutto Prendersi cura del lutto - 29 L’obiettivo strettamente clinico per il medico è valutare i risultati degli esami, visitare la paziente e verificarne le condizioni di salute. Sul piano relazionale questo però non è sufficiente: la signora parla di sintomi che perdurano (quella stanchezza che non vuole passare…) e che per lei esistono e condizionano la sua vita, indipendentemente da ciò che dicono analisi ed esami. L’obiettivo relazionale è segnalare alla signora che il medico ascolta ciò che dice, ed è disposto a credere che quello di cui parla ha senso per lei e a tenerne conto, anche se non dovesse trovare riscontri oggettivi che giustifichino la stanchezza di cui si lamenta. La frase che utilizza («quello che dice è senz’altro vero») è sufficiente per legittimare la narrazione della paziente, e riduce il rischio che l’affermazione precedente del medico (i suoi esami sono perfetti) inneschi una contrapposizione implicita tra due posizioni: quella della paziente (sto male, sono stanca) e quella del medico (ma no, sta benissimo, guardi i suoi esami). non fa ipotesi, non fa – ancora – proposte. Permette alla paziente di mantenere il suo filo narrativo, che per il momento è ancora molto centrato su come si sente, e non ancora su cosa potrebbe fare. Fase 2 – Collegare malessere e lutto in modo comprensibile e accettabile La domanda del medico (ma poi la giornata comincia… che cosa fa?) non è una domanda inutile: in apparenza non aggiunge elementi utili per una diagnosi più precisa, ma ha due obiettivi sul piano relazionale: - segnala ascolto e accoglienza - permette alla paziente di dire qualcosa che forse non confessa facilmente neppure a se stessa: badare al nipotino le pesa. MG – Tutto a posto, pancia, cuore, polmoni, pressione… anche il peso è sempre quello, non ci sono segni di malattia. Forse dobbiamo riprendere il discorso che abbiamo già fatto alcune volte in questi anni, perché questo suo star male è iniziato, se dico bene, da quando è morto suo marito… sulla sua cartella non c’è praticamente nulla prima di quattro anni fa. L’intervento del medico parte dalla conoscenza che questi ha della paziente, dal ricordo di precedenti colloqui significativi, di precedenti proposte. Usa la storia della relazione di cura per costruire connessioni (questo suo star male è iniziato, se dico bene, da quando è morto suo marito) e per proporre un nuovo senso per il malessere che la paziente segnala. Nel farlo, il medico si limita a rilevare una possibile connessione: M – Non va, non va… non oso parlarne con nessuno perché dopo quattro anni… mi sento quasi ridicola… sempre così stanca, affannata… neanche avessi tutto io da fare… vado a letto mai prima di mezzanotte e alle quattro del mattino sono già lì, con gli occhi aperti e con nessuna voglia di cominciare la giornata. MG – Ma poi la giornata comincia… che cosa fa? M – Per fortuna lavoro ancora part‑time, se no non mi alzerei neanche… poi al pomeriggio vado a prendere a scuola il mio nipotino e anche questo mi pesa, mi vergogno a dirlo… è un bel bambino vivace… poi preparo qualcosa per cena, poi basta, e il giorno dopo daccapo. Il medico non otterrebbe lo stesso risultato se si limitasse ad ascoltare ciò che la paziente racconta e passasse poi immediatamente a un discorso di: - esclusione di patologie - rassicurazione generica - incoraggiamento a occuparsi di se stessa (es. La cosa importante comunque è che sul piano fisico non ci siano problemi. Lei sta bene, è importante che si convinca che non ha nulla di serio. Se riesce a scuotersi un po’, a fare qualcosa di stimolante… magari portare il nipotino al mare, così cambia aria. Ci provi, trovi qualcosa di piacevole da fare, non stia lì a intristirsi…). 30 - Prendersi cura del lutto Questa modalità crea un’implicita contrapposizione di voci: quella della paziente, che sa come si sente e non smetterà di sentirsi così, e quella del medico che smentisce, rassicura, propone cose troppo lontane da quello che la paziente sente. È una comunicazione basata sulla spontaneità, sicuramente finalizzata a incoraggiare e aiutare la paziente. Ma quasi mai questo tipo d’incoraggiamento dà risultati positivi. Fase 3 – Esplorare il mondo del paziente MG – È riuscita a riprendere contatto con qualcuno, amici, parenti… esce qualche volta con loro? M – Ci sentiamo per telefono, mi invitano anche ma io non ho proprio voglia di vedere nessuno, non vado da nessuna parte. MG – Questo isolamento è come la stanchezza e l’insonnia… se ci pensa bene sono tutte perdite: perdita di energia, perdita di sonno, perdita dei rapporti con le altre persone. M – È proprio vero, mi sono persa… ma non so cosa fare… Il medico può addentrarsi nel mondo del paziente per raccogliere qualche indicazione e qualche informazione in più, ma solo se: - ha in mente un obiettivo concreto, e quindi sa come usare le risposte del suo paziente - sa come riportare il discorso che ha aperto all’ambito medico, evitando il rischio di trasformare lo scambio comunicativo in scambio di chiacchiere, o peggio in una parodia di colloquio psicologico. La domanda sul contesto esterno (amici, attività) ha l’obiettivo in questo caso di condividere con la paziente la descrizione di una situazione di vita (che solo lei conosce, e quindi solo lei può descrivere) che la porta a limitare sempre di più i contatti e le relazioni. La descrizione della paziente (non ho proprio voglia di vedere nessuno, non vado da nessuna parte) viene sottolineata con un commento (se ci pensa bene sono tutte perdite) che la paziente accoglie e condivide. Prendersi cura del lutto - 31 Fase 4 – Dall’esplorazione alla proposta Il medico deve a un certo punto passare dall’esplorazione e raccolta di elementi significativi raccontati dal paziente a una fase di indicazione o proposta di possibili azioni da intraprendere. Le proposte, le indicazioni, le ipotesi di soluzione che il medico propone devono essere: comprensibili, accettabili, concrete, realizzabili.e Per questo il medico deve avere precedentemente esplorato (con domande appropriate) lo spazio conoscitivo del paziente (quello che sa, quello che crede di sapere) e quello comportamentale (quello che il paziente è abituato a fare, sa di poter fare, è disposto a fare, e quello che crede, teme o ha deciso di non fare). Nel fare una proposta il medico dovrebbe: •esplicitare l’obiettivo professionale (come medico, ritengo che potrebbe esserle utile…) •descrivere in modo comprensibile e concreto i comportamenti richiesti •chiedere cosa può renderli difficili •fare domande su paure, difficoltà, timori •riassumere l’obiettivo e i comportamenti richiesti. MG – I farmaci che le ho prescritto in questi ultimi anni non hanno risolto il problema, gli antidepressivi presi durante tutto l’anno scorso hanno forse un po’ attenuato i sintomi, le gocce per dormire hanno forse regalato qualche ora di sonno in più, ma ancora non ci siamo, è d’accordo? M – Sì, e farmaci non vorrei prenderne più… MG – Perché non prova a considerare la proposta che le avevo già fatto di contattare chi si occupa proprio dei problemi delle persone che hanno avuto un lutto da cui non riescono a riprendersi? Ricorda? Le avevo accennato che esistono anche dei gruppi di persone che si aiutano reciprocamente a venire fuori da situazioni simili alle sue… 32 - Prendersi cura del lutto M – Ma se non esco neppure per comprarmi un paio di scarpe… figurarsi se ho voglia di uscire, magari di sera, per andare a sentire delle persone che magari stanno peggio di me… MG – Glielo propongo come medico: vorrei che facesse questo tentativo. So che si tratta di uno sforzo per lei, ma vorrei che ci provasse: cominci a fare una telefonata; le spiegheranno di cosa si tratta e poi deciderà lei se provare ad andare di persona. Se la cosa non le starà bene è ovviamente padronissima di dire «no grazie arrivederci…». Il medico in questo caso, a partire dalla conoscenza che ha della sua paziente, ha optato per un invio a un gruppo di auto mutuo aiuto. Non è ovviamente l’unica possibilità: l’aspetto importante in realtà non è il tipo di proposta ma la qualità della comunicazione che si è creata – in pochissimi minuti – tra il medico e la paziente. È a partire da questa qualità che la paziente percepisce la disponibilità del medico ad affiancarla nella sua difficoltà e nella sua sofferenza. Il dialogo rimane aperto: la paziente sa che il medico è in grado di prendersi cura del suo lutto, anche se non potrà sollevarla dal dolore. La relazione di cura è solida. Prendersi cura del lutto - 33 APPENDICE 34 - Prendersi cura del lutto Prendersi cura del lutto - 35 Tabella 1 – Decessi e tassi standardizzati di mortalità in Italia per sesso e grandi gruppi di cause - Anni 2003, 2006 (a) GRUPPO ICD10(b) C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale CAUSE DI MORTE MASCHI Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause FEMMINE Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause TOTALE Decessi (numero) 2003 2006 96.122 98.339 6.381 6.515 9.250 10.026 25.833 25.978 7.799 8.044 8.137 8.135 105.837 97.344 19.676 18.428 27.344 24.606 22.999 20.497 12.127 11.958 15.546 14.347 20.113 19.577 288.680 278.241 71.011 73.757 4.643 4.369 8.005 8.532 6.431 7.297 11.461 11.480 11.960 11.270 11.199 10.946 135.855 123.643 15.355 14.374 41.571 36.693 17.823 14.929 11.857 11.444 10.097 9.783 28.281 26.846 298.083 282.617 167.133 172.096 11.024 10.884 17.255 18.558 32.264 33.275 11.461 11.480 19.759 19.314 19.336 19.081 241.692 220.987 35.031 32.802 68.915 61.299 40.822 35.427 23.984 23.402 25.643 24.130 48.394 46.423 586.763 560.858 Tassi stand. per 10.000 2003 2006 40,48 38,81 2,72 2,58 3,92 3,99 10,52 9,99 3,49 3,31 3,67 3,38 49,93 42,13 8,53 7,46 13,25 10,85 11,14 9,04 5,21 4,81 6,34 5,63 9,25 8,29 129,51 115,39 20,71 20,27 1,31 1,16 2,29 2,29 1,92 2,07 3,46 3,28 3,23 2,78 3,02 2,71 34,95 28,79 4,12 3,53 10,70 8,54 4,59 3,49 3,25 2,90 2,79 2,49 7,43 6,43 79,97 69,87 28,64 27,76 1,89 1,75 2,95 2,98 5,54 5,42 1,97 1,86 3,38 3,04 3,29 2,99 41,14 34,27 5,98 5,19 11,73 9,47 6,94 5,48 4,10 3,72 4,43 3,93 8,23 7,24 100,15 88,43 (a) Sono esclusi i morti a meno di un anno di vita. Anno 2006: i dati di mortalità Per causa sono stimati per tutta l’Italia, fatta eccezione per le province autonome di Trento e Bolzano-Bozen per le quali sono stati utilizzati i dati reali del 2006. Il totale dei decessi (maschi, femmine, totale) è un dato provvisorio ricavato dai modd. D7. (b) Settori ICD10 - International Classification of Diseases X Rev. 2005. 36 - Prendersi cura del lutto Prendersi cura del lutto - 37 Tabella 2 - Decessi avvenuti in Italia per sesso, classe di età e grandi gruppi di cause.Totale - Anni 2003, 2006 (a) (valori assoluti) GRUPPO ICD10 (b) C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale GRUPPO ICD10 (b) C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale GRUPPO ICD10(b) C00-D48 C16 C18-C21 C33-C34 C50 E10-E14 G00-H95 I00-I99 I21-I22 I60-I69 J00-J99 K00-K93 V01-Y89 Totale CAUSE DI MORTE Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause CAUSE DI MORTE Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause CAUSE DI MORTE Tumori Tumori maligni dello stomaco Tumori maligni del colon, retto e ano Tumori maligni della trachea, bronchi e polmoni Tumori maligni della mammella della donna Diabete mellito Malattie del sistema nervoso Malattie del sistema circolatorio Infarto del miocardio Disturbi circolatori dell’encefalo Malattie del sistema respiratorio Malattie dell’apparato digerente Cause accidentali e violente Altre cause 1-14 anni 2003 2006 255 305 1 1 1 1 94 78 72 46 2 3 19 8 36 15 11 15 256 208 306 262 1.031 930 35-59 anni 2003 2006 22.364 22.320 1.274 1.266 2.015 2.115 4.420 4.526 2.815 2.676 915 874 1.201 1.059 10.320 9.385 3.238 3.096 1.919 1.828 1.096 911 2.909 2.814 5.065 4.872 4.722 4.505 48.592 46.739 80 anni e + 2003 2006 51.411 57.854 4.070 4.057 5.992 6.987 6.581 8.079 3.200 3.531 10.253 10.582 10.400 11.024 156.381 149.193 16.163 16.373 47.601 43.684 26.581 23.869 10.262 10.810 9.541 9.969 28.609 28.456 303.438 301.757 15-34 anni 2003 2006 1.175 1.160 40 31 50 39 41 35 94 96 21 23 281 212 661 553 89 85 119 110 154 137 134 104 4.526 3.672 1.239 1.079 8.191 6.940 60-79 anni 2003 2006 91.928 90.457 5.640 5.530 9.198 9.416 21.221 20.635 5.351 5.177 8.569 7.835 7.360 6.707 74.258 61.810 15.539 13.244 19.257 15.670 12.955 10.495 10.668 9.659 6.255 5.408 13.518 12.121 225.511 204.493 Totale 2003 2006 167.133 172.096 11.024 10.884 17.255 18.558 32.264 33.275 11.461 11.480 19.759 19.314 19.336 19.081 241.692 220.987 35.031 32.802 68.915 61.299 40.822 35.427 23.984 23.402 25.643 24.130 48.394 46.423 586.763 560.858 (a) Sono esclusi i morti a meno di un anno di vita. Anno 2006: i dati di mortalità per causa sono stimati per tutta l’Italia, fatta eccezione per le province autonome di Trento e Bolzano-Bozen per le quali sono stati utilizzati i dati reali del 2006. Il totale dei decessi (maschi, femmine, totale) è un dato provvisorio ricavato dai modd. D7. (b) Settori ICD10 - International Classification of Diseases X Rev. 2005. Tabella n. 3. Sintomi depressivi: - umore depresso per la maggior parte della giornata - diminuzione o perdita di interesse e piacere per tutte o quasi tutte le consuete attività - riduzione o perdita di energia, facile affaticabilità - scarsa capacità di attenzione e di concentrazione, difficoltà nel prendere decisioni - bassa autostima e fiducia nelle proprie capacità - visione pessimistica del futuro - disturbi del sonno con insonnia o più raramente ipersonnia -disturbi dell’appetito con inappetenza o più raramente iperfagia - idee di colpa e inutilità - sentimenti di disperazione e di impossibilità di ricevere aiuto - pensieri ricorrenti di morte, con idee o atti di autoaggressività, propositi o tentativi di suicidio Tabella n. 4. Sintomi d’ansia: Tensione motoria: - tremori, contrazioni muscolari o sensazioni di tremore - tensione, dolori o dolenzia muscolari - irrequietezza - facile affaticabilità Iperattività neurovegetativa: - polipnea o sensazioni di soffocamento - palpitazioni o tachicardia - sudorazione o mani fredde e bagnate - bocca asciutta - vertigini o sensazioni di sbandamento - nausea, diarrea o altri disturbi addominali - vampate di calore o brividi - pollachiuria - disfagia o «nodo alla gola» 38 - Prendersi cura del lutto Vigilanza e attenzione: - sentirsi «nervoso» - risposte esagerate di allarme - difficoltà di concentrazione o sensazione di «testa vuota» - difficoltà nell’addormentamento o nel mantenere il sonno - irritabilità Tabella n. 5. Episodio Depressivo Maggiore, criteri diagnostici (da DSM-IV, modificati): Almeno cinque dei seguenti sintomi sono stati presenti per due settimane e costituiscono un cambiamento rispetto al funzionamento precedente; almeno uno dei sintomi è umore depresso o perdita di interesse o di piacere: 1) umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, riferito dal soggetto od osservato da altri; irritabilità in bambini e adolescenti 2) marcata diminuzione di interesse o di piacere per tutte o quasi tutte le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, riferita dal soggetto od osservata da altri 3) significativa perdita di peso o aumento del peso non dovuto a diete, oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno 4) insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno 5) agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno 6) affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno 7) sentimenti di svalutazione o di colpa eccessivi o immotivati (che possono essere deliranti) quasi ogni giorno (non solo autorimprovero o sentimenti di colpa per il fatto di essere ammalato) 8) diminuita capacità di pensare o di concentrarsi o indecisione, quasi ogni giorno 9) pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrenti propositi suicidi senza un piano specifico, o un tentativo Prendersi cura del lutto - 39 di suicidio, o ideazione di un piano specifico al fine di commettere il suicidio. Tabella n. 6. Fattori di rischio suicidario: Le situazioni a rischio più importanti sono connesse a fattori esistenziali e sociali e alla presenza di patologia psichiatrica o internistica grave: - età avanzata - sesso maschile - morte del coniuge o di una persona amata, divorzio - solitudine, isolamento sociale - perdita del lavoro, gravi difficoltà economiche -alcolismo - presenza di patologia psichiatrica - precedenti tentativi di suicidio anche solo a scopo dimostrativo - suicidio o tentativi di suicidio nei familiari - malattie fisiche gravi con inabilità o dolore cronico 40 - Prendersi cura del lutto Bibliografia - Andolfi M., D’Elia A. (a cura di), Le perdite e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007 - Audoin-Rouzeau S., Becker A., La violenza, la crociata, il lutto. 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