Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale

Alain Goussot
Epistemologia, tappe costitutive
e metodi della pedagogia speciale
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I edizione: dicembre 2007
Indice
Premessa
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I Alcune storie di vita
– Il caso Helen Keller: la via della dignità
– Il caso Ashley: accompagnare e prendersi cura non è torturare
– Un disabile chiamato Antonio Gramsci: la via della resilienza
– Storia di Mauro
– Storia di Sauro
– Storia di Alessandra
– Storia di Al
– Storia di Irene
– Storia di Pasquale
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II Quadro concettuale: fondamenti epistemologici della
pedagogia speciale
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III Evoluzione semantica e storica: la disabilità ieri e oggi
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IV Agli albori della pedagogia speciale: l’istruzione dei sordomuti
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V L'integrazione scolastica: la situazione oggi in Europa
– Quando si parla d’integrazione e di inclusione
– Pedagogia e “bisogni speciali”
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VI Alle origini della pedagogia speciale
– L’esperienza educativa di J. M. G. Itard
– Memoria del 1801 di J. M. G. Itard
– L'esperienza di Edouard Séguin: “il maestro degli idioti”
– Il caso di Désiré Magloire Bourneville (1840–1909):
l’importanza della socialità
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VII Inizi della pedagogia speciale in Italia
– Sante De Sanctis e gli Asili-scuole per fanciulli con ritardo
mentale
– Maria Montessori e il suo approccio all'educazione degli
alunni disabili
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VIII Metodo globale e centri d’interesse nel lavoro educativo
con i bambini irregolari: l’approccio di Ovide Decroly
– Vediamo chi era Ovide Decroly?
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– Osservazione e educazione dei “bambini irregolari”:
“l’irregolare” ci permette di comprendere meglio il “regolare”
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IX Forme molteplici dell’intelligenza, sviluppo differenziato
e dialogo posturale
– Intelligenza di situazione, emozioni, corpo e sviluppo ambientale:
l'approccio psicopedagogico di Henri Wallon
– Sviluppo differenziato e il corpo come relazione: René Zazzo
e Julian de Ajuriaguerra
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X Lev Vygostky e la pedagogia delle mediazioni
– Un approccio storico e socio-culturale allo sviluppo della personalità
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XI Contributi utili della psicoanalisi alla pedagogia speciale
– Anna Freud: Legami affettivi, figure di attaccamento e apprendimenti
– Il rischio della medicalizzazione della disabilità e il linguaggio
del desiderio nel rapporto con la madre: l’approccio di Maud Mannoni
– Il corpo e il maternage nella strutturazione della personalità
del soggetto disabile
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XII Per essere libero bisogna volerlo: educare la volontà
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XIII Come reintegrare e riabilitare la personalità?
L'approccio di Pierre Janet: un contributo alla comprensione
del mondo della disabilità
– La complessità e la molteplicità dei comportamenti umani
– Le storie di vita: quale diagnosi?
– Le condotte: tendenze e complessità
– Disturbi mentali e procedimenti educativi
– Il modello per tappe di Janet nel trattamento dei disturbi
post–traumatici
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XIV Per un approccio autenticamente affettivo nella relazione
di aiuto: critica delle diverse forme di violenza istituzionale e
dell’eugenetica. Stanislas Tomkiewicz
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XV Sfondo integratore e percorsi d'inclusione scolastica e sociale
– Quale cultura dell'integrazione
– Una pedagogia dell'incontro per una cultura educativa
dell’integrazione
– Sfondo integratore e inclusione sociale
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XVI L’orientamento dell’alunno disabile a scuola:
saper osservare e accompagnare. Una pratica di mediazione
pedagogica per facilitare la transizione
– Considerazioni generali
– L’osservazione per l’orientamento e la transizione dell’alunno
disabile dalle medie alle superiori
– Modelli e modalità dell'osservazione orientativa
– Alcune metodologie di osservazione utili alle pratiche di
orientamento per gli alunni disabili
– L’orientamento come processo che porta alla scelta consapevole
– L’orientamento dell’alunno disabile e il nesso tra
accompagnamento e zone di sviluppo prossimale:
un approccio dinamico (L.Vygotsky)
– L’orientamento come pratica di mediazione pedagogica
per favorire la scelta per la transizione: il piano individualizzato
di transizione e il gruppo di consulenza
– Alcuni strumenti per la transizione
– Come dare sostegno al sostegno?
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Considerazioni finali
247
Glossario
Bibliografia
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Premessa
Questo testo vuol essere uno strumento pratico per gli operatori
dell'educazione che si occupano di disabilità a scuola e nella società; non vuol
essere un manuale con delle ricette pedagogiche da applicare, ma un insieme di
indicazioni metodologiche e di riflessioni su cosa significhi pedagogia speciale.
Il testo si propone di affrontare il quadro epistemologico che fonda la pedagogia
che si occupa degli apprendimenti dei soggetti disabili; in effetti, è importante
precisare alcuni concetti fondamentali e la loro evoluzione nel tempo. Basta
pensare all’uso diversificato di categorie come handicap, disabilità e deficit nelle
diverse lingue: gli inglesi parlano di disability, i francesi continuano a parlare di
handicap.
L’importante è di capire di cosa si sta parlando e qual è la concezione che si ha
dello sviluppo della persona disabile, nonché del suo ruolo nella società.
Per molto tempo in Italia si è parlato di handicap e d’integrazione, oggi si parla
di disabilità e d'inclusione sociale. Vi è stata un’evoluzione nella terminologia,
evoluzione che è anche lo specchio di un’evoluzione nella rappresentazione del
soggetto disabile e delle sue potenzialità.
La nuova «classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e
della salute», denominato ICF, non si concentra più sulla menomazione, ma sulla
salute, le potenzialità della persona e le sue eventuali disabilità in relazione
all’attività e alla partecipazione. L’ICF va nella direzione di un abbandono dei
termini con una connotazione negativa, come menomazione e handicap, a favore
di altri che contengono una prospettiva molto più favorevole come attività e
partecipazione sociale. Tende a porre l’accento sulle potenzialità delle persone
nel loro interagire con le condizioni ambientali di vita; questo approccio va anche
nella direzione di una cultura del rispetto e della valorizzazione delle differenze:
in ogni persona esistono capacità e risorse che devono essere aiutate a svilupparsi
e manifestarsi.
Un altro concetto entrato nel vocabolario dei tecnici del lavoro con i disabili è
quello di “bisogni speciali”; per bisogni speciali si tende a sottolineare la
specificità del tipo di sviluppo della persona disabile, e quindi della specificità
delle risposte che devono favorire gli apprendimenti e facilitare i percorsi
d'inclusione sociale e scolastica. Anche qui il concetto di bisogni speciali
presenta una sua complessità che può provocare, nella pratica, un agire in
contraddizione con l’obiettivo dichiarato di favorire i processi d'inclusione
sociale della persona disabile.
Il rischio è di creare dei luoghi speciali, separati, e di pensare che le risposte
educative, riabilitative e terapeutiche siano collegate, in modo unidimensionale,
alla tipologia del deficit e alla specifica disabilità.
Come vedremo il dibattito rimane aperto e forse si sta andando verso una
concezione meno legata strettamente al deficit e più centrata sulla relazione tra il
soggetto disabile e il contesto di vita sociale e culturale. Si potrebbe dire che non
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solo il non vedente, il sordomuto o il bambino trisomico abbiano dei bisogni
speciali, ma che anche il bambino con disturbi dell'apprendimento oppure
l'adulto con grosse difficoltà sul piano psico–relazionale abbiano bisogno di
mediazioni specifiche e di sostegni particolari per riuscire ad esprimersi al
meglio delle loro potenzialità in mezzo agli altri.
Il compito prioritario della pedagogia speciale è quello di sviluppare una
riflessione che guidi l'operatività, una riflessione in grado di orientarsi nella
complessità dei bisogni e nella molteplicità delle risposte possibili. Complessità e
molteplicità sono due concetti fondamentali per chi si occupa di disabilità o
anche di disturbi degli apprendimenti. Spesso si ha a che fare con disabilità
complesse (oggi si parla spesso di disabilità o di handicap grave), cioè con
processi che investono diverse aree dello sviluppo della persona (il livello
cognitivo, psico–motorio oppure affettivo–relazionale); questo richiede una
pluralità di risposte.
Quando si parla d’integrazione, anche se oggi è meglio usare l’espressione
inclusione che implica la possibilità per la persona di essere se stessa con le sue
caratteristiche specifiche, bisogna sapere che non si tratta solo di una finalità del
progetto di vita, ma anche di un metodo di lavoro che vede il coinvolgimento di
una pluralità di attori nel processo di accompagnamento; genitori, operatori dei
servizi, insegnanti, volontari, operatori della riabilitazione, operatori sanitari.
Il fatto stesso di ragionare in termini di progetto di vita significa che si guarda la
globalità della persona nella sua “traiettoria” e non la si identifica con la sua
disabilità. A forza di porre l’attenzione sulla disabilità si rischia di non vedere più
la persona con il suo potenziale di capacità e risorse cognitive, senso–motorie e
psico–relazionali. L'ottica deve essere ormai multidimensionale e globale, deve
considerare la persona nella sua globalità e nel suo sistema di relazioni; in quello
che il filosofo Jurgen Habermas chiama lebenswelt, cioè mondi vitali: i contesti e
i legami in cui vive la persona.
Questa concezione globale dello sviluppo della persona porta anche ad una
concezione globale, integrata e multidimensionale oltre che multimediale
dell’intervento. Quello che conta è la traiettoria della persona disabile, la sua
storia, le risorse che attiva nel processo di apprendimento e nell’esperienza. Si
tratta di una concezione ecologica ed antropologica del lavoro educativo,
riabilitativo e terapeutico che si integra nella costruzione e la realizzazione di un
progetto di vita in cui il soggetto disabile è attore e partecipe.
Ma come scrive il professore Andrea Canevaro: «Il primo tema della differenza
che la Pedagogia speciale ha il dovere di affrontare oggi è la differenza che
deriva dalla disabilità e dal deficit, a cui si possono aggiungere, ma non
sostituire, altre differenze (differenza di genere, di cultura, di provenienza),
tuttavia irrinunciabile per la Pedagogia speciale è il fare i conti con le differenze
derivate dalla presenza del deficit».
In questa prospettiva la Pedagogia speciale non è una scienza stabilita una volta
per tutte, ma un processo di ricerca permanente che costruisce i suoi saperi
nell’esperienza educativa. Nella pedagogia speciale si deve parlare, come fa
Charles Gardou, di “educazione inclusiva” che rifiuti i determinismi “mettendo
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in discussione il potere della norma” e puntando sulle potenzialità del soggetto
disabile; si tratta di dare impulso alle risorse sia del soggetto che del suo
ambiente di vita.
Per comprendere cos’è la pedagogia speciale con le sue applicazioni operative
nel campo della didattica e in quello educativo nella vita sociale occorre chiarirne
i concetti fondamentali e anche la loro evoluzione nel tempo. Diventa
fondamentale comprendere quali sono state le tappe costitutive di quella che oggi
è chiamata pedagogia speciale; quali sono state le metodologie inventate per
rispondere ai bisogni speciali dei soggetti con deficit di vario tipo e favorire in
questo modo la loro inclusione nella società.
Questa ricostruzione, questa traiettoria è importante per comprendere la pluralità
dei metodi e delle strategie operative che hanno orientato il lavoro degli operatori
dell'educazione verso le risorse e le potenzialità dei soggetti con disabilità. Si
vedrà anche che la mediazione dei contesti è fondamentale nel creare situazioni
positive per lo sviluppo dell’acquisizione di competenze oppure nell’ostacolarlo.
Il libro parte da una riflessione più generale sui concetti di deficit, handicap,
disabilità, patologia, bisogni speciali, anormalità, anomalia ecc…; Riporta il
contributo di medici, educatori, filosofi e anche scrittori sul mondo della
disabilità. Successivamente viene affrontato quello che possiamo considerare
come l’atto di nascita della pedagogia speciale ai primi dell'Ottocento con
l’esperienza straordinaria condotta da J. M. G. Itard con il cosiddetto “ragazzo
selvaggio dell’Aveyron” e successivamente con l'esperienza del suo allievo
Edouard Seguin, chiamato il “maestro degli idioti” (termine utilizzato allora per
definire i fanciulli con ritardo mentale).
In questo percorso di chiarimento metodologico ed epistemologico, ci
soffermeremo anche sul concetto di “bisogno” per proporre una serie di
considerazioni sul concetto di “bisogni speciali”.
Inoltre, ci è sembrato utile ricordare il contributo di alcune figure della
neuropsichiatria e della pedagogia italiana dei primi del Novecento allo sviluppo
di una pedagogia attenta alla specificità dei soggetti disabili; non potevano
mancare i nomi di Sante De Sanctis (L’educazione dei deficienti) e di Maria
Montessori che inizia il suo lavoro di pedagogista con bambini “insufficienti
mentali”. Si vedrà che è proprio leggendo Itard e Seguin che Maria Montessori
rivede la sua concezione educativa dei fanciulli con disabilità.
Come abbiamo detto sopra la pedagogia speciale non è limitata alla sola
didattica, ma si estende alla vita sociale perché riguarda tutti gli apprendimenti
nella prospettiva di un progetto di vita; in questo, l'approccio globale che consiste
nel prendere in considerazione l'insieme della personalità del soggetto disabile e
l'interazione con il contesto sociale di vita deve molto al medico ed educatore
belga Ovide Decroly. Si vedrà che il suo approccio globale ed ecologico lo ha
portato ad impostare un modo del tutto originale per favorire gli apprendimenti
dei sordomuti e dei bambini con ritardo mentale. Sono proprio i “bambini
irregolari” – così li chiamava Decroly – che ci permettono di comprendere
meglio il funzionamento di tutti i bambini nel loro processo di apprendimento.
Chi lavora con bambini con disturbi dell'apprendimento o semplici difficoltà
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scopre che esistono varie modalità d'imparare e di conoscere, che esistono
diverse forme d'intelligenza e delle organizzazioni differenziate delle varie aree
di sviluppo della personalità che richiedono metodi adeguati: è quello che ci
dicono lo psicopedagogista francese Henri Wallon, quando parla d’intelligenza di
situazione, e René Zazzo (il grande esperto dei gemelli) che parla di “sviluppo
eterocronico” per i fanciulli con disabilità, cioè di uno sviluppo differenziato per
area.
Ancora una volta l'operatore dell'educazione e della riabilitazione si ritrova ad
avere a che fare con la pluralità dei tempi e dei ritmi di apprendimento, nonché
con la varietà dei modi d'imparare. Per saper rispondere alla molteplicità ed alla
complessità dello sviluppo del soggetto disabile, e per favorire in lui l'espressione
delle sue potenzialità, occorre creare le condizioni dell’accompagnamento, un
accompagnamento che miri il più possibile all’autocontrollo e al fare da sé.
Su questo punto il libro approfondisce il contributo decisivo dello psicologo e
pedagogo sovietico Lev Vygotsky che, con la sua pedagogia delle mediazioni, ci
spiega quanto sia importante rafforzare le compensazioni prodotte dalla presenza
del deficit e costruire dei “percorsi indiretti” negli apprendimenti attraverso dei
mediatori che favoriscono l'acquisizione di competenze e di conoscenze. Quando
si parla di disabilità non si può ignorare che si ha a che fare con la sofferenza, la
sofferenza della famiglia e la sofferenza della stessa persona disabile; le relazioni
intrafamiliari, i rapporti genitori–figli, madre–bambino, i rapporti tra fratelli,
tutto viene in qualche modo modificato e nascono squilibri e nuove possibilità. Si
vedrà che lo stesso Vygotsky parla di “sviluppo creativo” o anche di “sviluppo
atipico” sottolineandone il potenziale innovativo.
Il mondo delle emozioni, dell’affettività e dei sentimenti viene ovviamente
coinvolto; da questo punto di vista alcune figure della psicoanalisi hanno dato
uno sguardo inedito e nuovo sulla natura delle dinamiche umane lì dove il deficit
porta con sé la sofferenza e talvolta il trauma. Anna Freud nel suo lavoro con i
bambini inglesi traumatizzati dai bombardamenti su Londra, durante la seconda
guerra mondiale, ci ha permesso di comprendere meglio il funzionamento della
sfera psico–affettiva di bambini con grossi disturbi di personalità (casi di
autismo), la psicoanalista francese Maud Mannoni si è soffermata molto sul
rapporto madre–bambino e sul carattere spesso colpevolizzante del potere
psichiatrico, la psicologa francese Françoise Dolto ha lavorato molto
sull'importanza dell'immagine e della rappresentazione del proprio corpo nella
costruzione dell'identità, cosa molto delicata e complessa per chi lavora con
bambini e adolescenti disabili.
In questo lavoro riportiamo anche alcune elaborazioni in campo psicologico,
riabilitativo e educativo per chi lavora appunto con la sofferenza del bambino
disabile o traumatizzato: gli approcci di Viktor Frankl, ricavati dalla sua
esperienza in campo di concentramento (vedi Uno psicologo nel lager), nella
cura della sofferenza psichica con la “logoterapia” e le considerazioni
dell’etologo, neurologo e psichiatra francese Boris Cyrulinik sui processi di
resilienza che permettono ai bambini “feriti nell’anima” di “rimbalzare” e
costruire un proprio cammino nell'esistenza.