Il peso delle pressioni culturali all`identità di genere e il loro rapporto

Prevenzione dei disturbi alimentari psicogeni nell’infanzia. Studio e ipotesi di
intervento
Carmen Molinari Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo -comportamentale - U.O.NMPIA AUSL Piacenza
Rosanna Zanotti Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo-comportamentale
Sommario
I dati di questo lavoro si riferiscono ad uno dei primi studi italiani sugli indicatori dei disturbi alimentari nei
bambini. La ricerca, presentata ad un convegno tenuto nel 2006 a Rovereto (Tn)1, conclude che è possibile
ritrovare nei bambini l’organizzazione psichica tipica dei disturbi alimentari negli adulti, suggerendo quindi
l’opportunità di attivare progetti di prevenzione adeguati.
Ci proponiamo in questo senso di analizzare le caratteristiche comportamentali e cognitive che risultano tipiche
dei bambini più a rischio e di individuare modalità e obiettivi di un programma di prevenzione che lavori su tali
caratteristiche, presentando in questo senso una sintesi dell’intervento svolto a Piacenza.
Alla luce dei fattori di mantenimento del DCA presentiamo un’ipotesi di integrazione dell’intervento che tenga
conto della necessità di attuare una sensibilizzazione anche sulle determinanti socioculturali del disturbo.
La letteratura (soprattutto internazionale) relativa agli ultimi studi sui disturbi alimentari evidenzia come questi
ultimi non caratterizzino solamente l’età adolescenziale ma comincino a diffondersi anche in età infantile 2 .
Pur non potendo parlare di patologia vera e propria, si verifica come alcune tematiche comincino ad emergere
all’inizio dell’età dell’obbligo scolastico; in particolare si parla della dispercezione corporea, di eccessivo
controllo dell’alimentazione e/o della disregolazione alimentare e dell’insoddisfazione per il proprio corpo3.
I dati su cui attiveremo la nostra riflessione fanno parte degli studi italiani sulla popolazione infantile e,
considerando lo scarso sviluppo che hanno avuto nel nostro Paese, restano,in questo senso, sostanzialmente
ancora validi. La ricerca a cui facciamo riferimento è stata svolta nel 2004 in quattro scuole di Piacenza e ha
individuato una corrispondenza tra gli organizzatori del disturbo in età infantile e in età adulta relativi all’
immagine del corpo, di sé e alla paura di ingrassare.
Il campione ha coinvolto 181 soggetti di classe terza e quarta elementare con una età media di otto anni e dieci
mesi; le femmine (92) sono pari alla percentuale del 42,2 e i maschi (97) sono pari al 50,8% della popolazione
presa in esame. Nel campione abbiamo 147 bambini italiani (81,22%) e 34 stranieri (18,78%). È stato utilizzato
il Children Eating Inventory (CHEI, Strepparava 4 et al. 2003) una versione sperimentale per l’infanzia ispirato
all’Eating Disorder Inventory (EDI, Garner 1991). Si differenzia dall’ EDI–C (EDI–C, B. Thurfjell et all. 20045).
La ricerca è volta a stabilire l’incidenza della preoccupazione per il proprio corpo e della paura di ingrassare
all’interno di una segmentazione che divide i bambini in normopeso, sovrappeso e obesi seguendo i criteri di
criteri di Cole6.
L’ipotesi generale suppone che i bambini che presentano pensieri e preoccupazioni negative legate al peso o
all’alimentazione abbiano caratteristiche individuali diverse dagli altri bambini. Queste caratteristiche sono
coerenti e compatibili con il funzionamento di adulti con un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA).
Dal corpo all’identità. Uno studio sperimentale sulle differenze individuali, M.G. Strepparava, L.Ravanelli, C.Molinari e A.Comi
C.G. Fairburn, K.D. Brownell, Eating disorders and obesity: a comprehensive handbook, N.Y. Guilford 1995; S.Sassaroli, G.M.Ruggero, I
disturbi alimentari, Laterza 2010; R. Bryant-Waugh, B.Lask, Disturbi alimentari, Erickson 2002
3
Shapiro et. al (1997), Thomas et al. (2000)
4
Maria Grazia Strepparava, Università Milano Bicocca – Dipartimento di Psicologia
5
Il CHEI si compone di una parte dedicata alla raccolta anagrafica e a notizie sul contesto familiare e di un questionario autocompilato
composto da 83 domande su scala Likert a 6 punti: 1 mai, 6 sempre.
6
Si è scelto di utilizzare la Classificazione di Cole in quanto recente e di portata internazionale, i valori cut – off proposti da Cole
discriminano fra 3 condizioni: condizione normopeso (A) se il BMI è <25, condizione soprappeso (B) se il BMI è >=25, condizione di
obesità (C) se il BMI è >=30
1
2
1
Secondo l’approccio cognitivo la sintomatologia con cui si manifesta un DCA 7 è l’espressione esteriore di una
modalità di funzionamento che caratterizza un’unica sottostante Organizzazione di Significato Personale, che
viene definita Organizzazione da Disturbo Alimentare Psicogeno (DAPs) 8. Le Organizzazioni di Personalità
sono modalità di costruire il punto di vista “dall’interno” assolutamente unico ed esclusivamente soggettivo pur
vivendo in una realtà sociale “oggettivamente condivisibile”9, cioè modi di percepire se stessi e il mondo,
organizzando e attribuendo significato agli accadimenti della vita. Queste modalità prendono forma lungo lo
sviluppo individuale e si strutturano attorno ai nuclei tematici che rivestono un ruolo importante nella storia
evolutiva del singolo.
L’organizzazione di personalità da Disturbo Alimentare Psicogeno è caratterizzata da modalità specifiche di
lettura esterna di sé, di attaccamento e di accudimento del genitore 10.
La modalità di funzionamento del DAPs presenta alcuni nuclei tematici sostanziali, tra questi è presente la
difficoltà del soggetto a riconoscere i propri stati interni, a riconoscere e definire le proprie ed altrui emozioni. Il
cibo e il corpo in tal senso vengono utilizzati come mezzo per gestire le oscillazioni emozionali e gli stati
disforici dell’umore. Nel gestire il “senso di vuoto” si evidenzia la tendenza all’attivazione emozionale con
livelli alti di arousal.
Un ulteriore nucleo tematico è rappresentato dalla vulnerabilità al giudizio, nella quale il soggetto tende a
leggere in termini valutativi la gran parte delle situazioni relazionali. Ricorrente appare anche la tendenza al
perfezionismo: il soggetto ambisce al raggiungimento della perfezione nelle prestazioni, mettendo in atto una
forte autocritica sui propri livelli di riuscita. In tal senso il soggetto attribuisce elevata importanza al
riconoscimento sociale e all’immagine esterna del proprio corpo.
La prima parte dell’analisi è basata su una selezione degli item del CHEI collegati ai fattori predisponenti e di
mantenimento di un futuro sviluppo di DCA. Sono stati analizzati anche item collegati a espressioni tipiche del
disturbo, come la bassa autostima e la mancanza di assertività, non necessariamente specifici del solo disturbo
DCA anche se ne costituiscono espressioni tipiche.
La seconda parte dell’analisi offrirà invece una lettura dei dati tenendo conto della segmentazione di Cole
relativa al peso dei soggetti.
Parte prima: Fattori predisponenti e di mantenimento del DCA
Le risposte selezionate rispondono alle frequenze sempre o mai e corrispondono a circa il 3% del campione.
Nello specifico all’item n. 2 Quando mangio tanto mi sento triste/in colpa perché penso che ho mangiato tanto
(3,3% sempre) Il rischio che questa fascia di bambine possa sviluppare un DCA in futuro è molto alto, perché
denota che il pensiero e l’emozione sono rivolti sistematicamente all’area “cibo”.
La riposta all’item n. 71 Mi nascondo quando mangio ( 3,3% sempre) fa emergere il tema della vergogna legata
al cibo e al corpo, intesa come sentimento di inadeguatezza e di debolezza per aver ceduto all’impulso verso il
cibo.
7
Il DCA si può esprimere attraverso Obesità, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Binge Eating Disorder
V.F. Guidano, Il sé nel suo divenire: verso una terapia cognitiva post razionalista, Bollati Boringhieri 1992
9
V.F. Guidano, La complessità del sé, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pag. 111
10
Per quanto riguarda il sé vi è la ricerca all’esterno di una figura che funga da “guida”, in merito all ’attaccamento siamo tendenzialmente in
presenza di un attaccamento insicuro con tipologia evitante e/o prevalentemente resistente, infine, perciò che concerne l’accudimento del
genitore le caratteristiche individuano: anticipazione dei bisogni, uno stile relazionale confuso e indefinito (inadeguatezza della madre
nell’interpretare i segnali del bambino), limitazione dell’esplorazione delle proprie sensazioni corporee.
8
2
Scheda di riferimento n.1
Martha C. Nussbaum (“Intelligenza delle emozioni”, Il Mulino 2009) distingue in questo senso diverse forme di
vergogna e individua anzittutto una vergogna primaria e universale strettamente associata al narcisismo e
all’onnipotenza infantile che nascerebbe dall’esigenza di perfezione e dall’incapacità di tollerare qualsiasi
mancanza di controllo o imperfezione. Molte forme di vergogna invece nascerebbero da fonti di variazione sociale
e individuale della vergogna primaria, tuttavia oltre al ruolo dei genitori ( viene citato un esempio clinico in cui la
vergogna era legata la perfezionismo della madre) vengono segnalati altri elementi che possono contribuire ad
aumentare a dismisura il senso di vergogna, di cui uno è l’handicap fisico; in generale , si dice, tutti i corpi umani
sono limitati e quindi danno origine ad un senso di vergogna, ma un corpo che è relativamente più limitato degli
altri dà origine ad una vergogna più sproporzionata. Anche il fatto che i coetanei prendano in giro le persone
grasse o on sovrappeso aggrava il problema, così anche in questo caso il biologico e il socialmente costruito
interagiscono in modo complesso.
Altamente significativa in tal senso è la percentuale di risposta all’item 76 Gli altri stanno più volentieri con me
se sono magro/a ( 3,3% sempre) indicativo delle bambine che attribuiscono estrema rilevanza al giudizio degli
altri e identificando il valore del proprio corpo con il valore attribuito a sé stessi 11.
Parte seconda: Fattori di disagio generale non espressamente indicatori di futuro DCA
I fattori di rischio indicativi di un disagio generale riguardano la paura di ingrassare, la preoccupazione per parti
del proprio corpo, la paura del giudizio e la mancanza di assertività , ma com’è possibile vedere dall’analisi che
segue, la frequenza elevata relativa alla risposta sempre ci sembra proprio per la sua diffusione più correlata a
fattori generici di disagio, presumibilmente sollecitati da aspetti socioculturali.
L’item n. 15 Quando sono triste cerco qualcosa da mangiare (6,5% sempre) indica un utilizzo del cibo che può
andare da strumento patologico per gestire il “senso di vuoto” e le oscillazioni emozionali ad una funzione
consolatoria fisiologica con larga diffusione nella popolazione.
L’item n.
La mia pancia o il mio sedere sono troppo grasse ( 10,9% sempre) indica la presenza di un segmento
femminile che concentra attenzione eccessiva sulla propria immagine e che potrebbe sviluppare
scarsa
autostima e dipendenza dal giudizio degli altri.
Tale attenzione risulta confermata dalle risposte all’item n. 43 Quando vedo che ingrasso mi preoccupo perché
penso che continuerò ad ingrassare ancora (20% sempre). Il 13% sostiene inoltre che rinuncia sempre a mangiare
certe cose perché pensa che facciano ingrassare (item n.18) indicando quindi come ad una convinzione negativa
sul corpo faccia seguito anche la messa in atto di un comportamento precocemente restrittivo. Una dipendenza
eccessiva dal giudizio degli altri emerge dal 20.7% delle bambine che all’item n. 81 E’ importante quello che gli
altri pensano di te risponde sempre. Il 5,4% risponde sempre all’item n. 22 Gli altri mi prendono in giro per il
mio corpo (sensibilità al giudizio sull’aspetto fisico). L’area dell’assertività viene analizzata dagli item n. 41 Mi
è facile chiedere le cose (16,3% mai ) e n. 30 Se non ho voglia di fare una cosa lo dico (17.4% ma)i. Il livello di
autostima si evidenzia nell’item n. 56 Penso di non essere abbastanza bravo/a e intelligente (9,8% sempre) e
nell’item n.36 Quando faccio qualcosa ho paura di essere meno bravo degli altri (
13.6% sempre).12 Nota : Rispetto a questi item meno direttamente correlati al disturbo il confronto con il
campione maschile non individua differenze importanti (item n. 56 M 10,3% F 9,8% item n. 36 M 11,3% F
11
Campione che presenta tratti di controdipendenza. Per controdipendenza intendiamo la relazione che si sviluppa con un padre assente e
cioè un comportamento da figlia oppositiva-negativa, distante ostile e scontrosa, una relazione irrigidita nel conflitto in cui la figlia si illude
di costruire la sua indipendenza che è falsa perché poggia invece sul terreno della controdipendenza cioè “una reazione al dolore che
proviamo, non nasce da un autentico amore per la libertà e non porta ad una reale autonomia (autonomos = che si governa con le proprie
leggi), ma semplicemente dall’autosufficienza (dal latino autosufficiere = che si sostiene da solo)”.
12
Rispetto a questi item meno direttamente correlati al disturbo il confronto con il campione maschile non individua differenze importanti
(item n. 56 M 10,3% F 9,8% item n. 36 M 11,3% F 13,6%) è perciò possibile immaginare che le influenze degli stereotipi aumentino con il
progredire dell’età e lo stabilizzarsi dell’identità oppure che queste difficoltà emotive si esprimeranno in altri disagi per i maschietti
3
13,6%) è perciò possibile immaginare che le influenze degli stereotipi aumentino con il progredire dell’età e lo
stabilizzarsi dell’identità oppure che queste difficoltà emotive si esprimeranno in altri disagi per i maschietti 13.
La mancanza di assertività e la bassa autostima, spesso associati al disturbo alimentare, sia come fattori di
rischio, sia di mantenimento, non sono, d’altra parte, strettamente inerenti l’organizzazione di personalità del
disturbo e risultano di fatto trasversali e comuni ad una ampia fascia di patologie (ansia, depressione ecc), oltre
ad avere incidenza anche nella popolazione generale normale.
La difficoltà a riconoscere le emozioni notoriamente è competenza oggi deficitaria nella popolazione infantile in
un contesto culturale che sviluppa molto l’area cognitiva e non risulta perciò non discriminante ma piuttosto
associato al DCA. In questa logica sono da considerare le risposte all’ item n.6 Mi arrabbio se le cose non sono
come voglio io ( sempre il 15.2%) e all’item n. 20 Provo sentimenti che non riesco a riconoscere il 7,7%.
L’item n.27 Sono contento solo se sono il più bravo, ( 14,1% risponde sempre ) e l’item n.42 Sono molto triste
se non prendo il voto più alto di tutti in una verifica (14,1% risponde sempre )
indicano tendenze
perfezionistiche anch’esse diffuse nella popolazione ma trasversali sia a tratti di personalità sia a disturbi diversi
dal DCA.
Dall’analisi del questionario svolta secondo la segmentazione del fattore peso,( che abbiamo estrapolato dal
poster presentato a Rovereto) emergono le seguenti considerazioni: il fattore peso consente di evidenziare
alcune caratteristiche individuali dei bambini, che riguardano gli aspetti più superficiali legati all’insoddisfazione
corporea e alla regolazione del cibo.
Nei bambini normopeso una variabile più determinante per fare emergere le differenze individuali è il vissuto
emozionale della paura di ingrassare paura (A) (vedi scheda di riferimento n.2) La preoccupazione per il proprio corpo
e un marcato controllo e regolazione del cibo si evidenziano nonostante l’adeguatezza ponderale. Emerge anche
una scarsa consapevolezza delle sensazioni fisiche; difficoltà nella relazione con i pari e vissuto di esclusione; un
basso livello di autostima e una forte tendenza al perfezionismo e a ottenere prestazioni ottimali. Emerge inoltre
l’immagine di una mamma che esercita un controllo sulla regolazione del cibo.
All’interno del gruppo dei bambini obesi (C) accanto alla difficoltà a relazionarsi con i pari e al vissuto di
esclusione, emergono anche la paura di diventare grande e la tendenza a rifugiarsi nel mondo della fantasia. Si
tratta di aspetti che rimandano alle tematiche riportate comunemente dai pazienti adolescenti/adulti con un
disturbo del comportamento alimentare e potrebbero essere plausibilmente considerati loro precursori.In questo
senso è utile approfondirne lo studio per mettere a punto programmi di prevenzione adeguati 14.
Scheda di riferimento n.2
La classificazione di Cole
questa classificazione utilizza percentili per i valori di 25 (sovrappeso) e 30 obesità a 18 anni, riportandoli
ad ogni età pediatrica e di individuano a quale valore di BMI corrisponde quel percentile ad ogni età. in
pratica il bambino o adolescente il cui BMI ad una certa età sia al di sopra dei valori di cut-off considerati
critici, ha elevate probabilità nell’età adulta, di trovarsi nelle condizioni di sovrappeso o obesità. Ci sono
diversi metodi per stabilire se un bambino è in sovrappeso: le tabelle di Tanner (1975), Rolland – Cachera
(1982), Cacciari (2002) e Cole (2000). Si è scelto di utilizzare la classificazione di Cole perché, oltre ad
essere tra le più recenti, risulta essere anche di portata internazionale.
I valori cut – off proposti da Cole discriminano tra tre condizioni:



condizione Normopeso (A) se il BMI <25
condizione Sovrappeso (B) se il BMI >=25
condizione di Obesità (C) se il BMI >=30
13
14
Dal poster presentato al convegno di Rovereto (cfr. nota n.1)
4
Tabella 1
Organizzazione
caratteristica dei DAPs
ITEM CHEI
Obiettivi intervento
- Quando mangio tanto mi sento triste/in colpa perché
Preoccupazione-vergogna penso che ho mangiato tanto
rispetto a peso, forma e - Mi nascondo quando mangio
- Quando vedo che ingrasso mi preoccupo perché penso
immagine del corpo
Accettazione del proprio corpo e
buon rapporto con il cibo
che continuerò ad ingrassare ancora
- Gli altri mi prendono in giro per il mio corpo
Indipendenza dal giudizio/
Vulnerabilità al giudizio
Lettura esterna di sé
- Gli altri stanno più volentieri con me se sono magro/a
Gli altri mi prendono in giro per il mio corpo
--E’ importante quello che gli altri pensano di te-------------------------------------------------
Difficoltà a riconoscere le - Mi arrabbio se le cose non sono come voglio io
- Provo sentimenti che non riesco a riconoscere
emozioni e
- Quando sono triste cerco qualcosa da mangiare
gli stati interni
Autonomia
Stile di attribuzione interno
Alfabetizzazione emotiva
- Sono contento solo se sono il più bravo
Perfezionismo (pensiero) - Sono molto triste se non prendo il voto più alto di tutti
Accettazione di sé e dell’altro
forte autocritica
in una verifica
comportamento)
- Quando faccio qualcosa di nuovo ho paura di essere
Percezione di sé
meno bravo degli altri
(autostima- inadeguatezza) - Penso di non essere abbastanza bravo/a e intelligente
Autostima/Autoefficacia
- Mi è facile chiedere le cose
Difficoltà di comunicazione - Se non ho voglia di fare una cosa lo dico
interpersonale
Assertività
Dalla ricerca all’intervento
Nella Tabella 1 abbiamo provato ad individuare una serie di possibili obiettivi per un ‘attività preventiva a
partire dai quali è stato messo a punto un intervento biennale (svolto nelle scuole primarie di primo grado del
Comune di Piacenza) selezionando quegli aspetti che a nostro parere si prestavano al lavoro con gruppi classe e
all’utilizzo delle tecniche cognitivo-comportamentali applicabili con i bambini.
Sintesi del progetto di intervento sulla prevenzione dei disturbi alimentari nell’infanzia
Tra le caratteristiche tipiche dei DAPs in elenco (tabella 1) l’intervento ha selezionato, come aree di lavoro,
quelle relative all’analfabetismo emotivo, alla anassertività,
alla bassa autostima e alla inadeguatezza
individuando di conseguenza quegli obiettivi che si proponevano di lavorare sul riconoscimento e la gestione
delle emozioni negative, sulle competenze comunicative assertive, sul miglioramento dell’autostima e
dell’autoaccettazione . La finalità era di potenziare l’apprendimento dei bambini aiutandoli a modulare le
reazioni emotive elaborando risposte comportamentali adattive funzionali al contesto.
Si andati quindi a lavorare sulla riduzione dei fattori di vulnerabilità cercando di rinforzare i fattori protettivi e
di salute.
Il lavoro nelle classi si è basato su due approcci: tecniche di educazione razionale- emotiva (RET) e training
sulle abilità sociali. L’obiettivo era di insegnare ai bambini a fronteggiare le difficoltà o i momenti difficili della
vita di ogni giorno sia all’esterno sia all’interno della scuola partendo dal
riconoscimento delle proprie
emozioni per imparare ad ascoltarle, a comprenderle ed infine ad utilizzarle come indicatori interni della
relazione con gli altri, soprattutto nei momenti critici
L’attività si è svolta con cadenza settimanale, attraverso interventi singoli di circa un’ora e mezza ciascuno.
Durante il primo anno il lavoro si è articolato intorno a quattro finalità principali:
5
-
consapevolezza delle proprie reazioni emotive ed ampliamento delle espressioni (verbali e non), adatte
a descriverle, con particolare riferimento a quelle riguardanti il rapporto con il cibo e le situazioni ad
esso collegate
-
consapevolezza della relazione esistente tra i propri pensieri, stati d’animo e comportamenti,
sperimentando la possibilità di modificare il proprio dialogo interno per essere meno vulnerabili
emotivamente e quindi meno a rischio di condotte disfunzionali
-
apprendimento di un repertorio di atteggiamenti e di formulazioni verbali per migliorare la
comunicazione (capacità assertive) e il proprio modo di relazionarsi (abilità sociali).
Le attività del secondo anno hanno avuto l’obiettivo di riprendere il lavoro conoscitivo sulle emozioni dando
particolare rilevanza alle strategie di fronteggiamento delle emozioni negative con specifici riferimenti ai vissuti
legati all’autostima, soprattutto in relazione alle situazioni di fallimento. Si è dato risalto ai contenuti
disfunzionali del dialogo interno (pensieri catastrofici, di intolleranza/insopportabilità, di svalutazione e
perfezionismo) in rapporto a diversi contesti che inducono reazioni emotive esagerate.
Parallelamente si è cercato di offrire ai bambini strumenti per facilitare il riconoscimento dei punti di forza e di
debolezza della loro comunicazione (capacità assertive) e del loro modo di relazionarsi (abilità sociali) in modo
da potenziarne le coping skills, il senso di competenza e di autoefficacia.
Il riscontro finale del progetto (tramite questionari strutturati svolti al termine di ogni ciclo di incontri) ha
individuato elevata partecipazione e gradimento dei bambini. Soddisfacente anche la verifia dei contenuti appresi
che hanno riguardato riconoscimento, denominazione e comunicazione agli altri delle proprie emozioni e abilità
assertive.
Al termine dei due anni abbiamo rilevato, nella quasi totalità del campione, la capacità di compilare una tabella
ABC (riconoscimento delle proprie emozioni, del dialogo interno e del conseguente risultato comportamentale)
svolta a partire da una situazione-tipo di vita quotidiana. In alcune occasioni si è evidenziata una discrepanza
fra certe credenze/convinzioni dei bambini su sé stessi e le loro capacità, infatti a fronte per es. della dichiarata
sfiducia verso la loro capacità di fare e ricevere complimenti si verificava poi nel gioco un’ottima competenza.
Questa analisi è stata ovviamente utilizzata per rinforzare i bambini e per far loro toccare con mano
l’infondatezza di quelle convinzioni negative che prendono la forma di pregiudizi su sé stessi.
Verifiche scritte e confronti diretti con insegnanti e genitori, hanno individuato miglioramenti nelle abilità
emotivo-relazionali dei bambini di fronte a situazioni problematiche. Critica ovviamente resta invece la
generalizzazione di tali abilità a nuovi contesti, come è lecito aspettarsi per due ragioni: la prima relativa ad un
numero di ore di lavoro che risulta poco incidente rispetto a tutti gli stimoli che il bambino ha nella propria vita
quotidiana; la seconda, e più importante, relativa al fatto che genitori e insegnanti, ovvero i principali “attivatori
di emozioni” (insieme ai compagni) nella maggior parte delle situazioni da fronteggiare, non hanno svolto
un’analoga attività formativa. E possibile pensare che il giudizio fosse legato ad un’attribuzione esterna piuttosto
che ad una propria valutazione realistica: questo elemento conferma che un lavoro sistematico nella direzione di
un aumento
della consapevolezza delle proprie capacità contribuisce ad aumentare il senso di autostima e
autoefficacia.
6
STRUMENTI
Le tecniche della RET si basano sui seguenti nuclei:
1.
le persone creano il Belief (credenze), radicati profondamente, in relazione a se stesse, gli
altri, e il mondo circostante
2.
3.
questi belief influenzano le emozioni e i comportamenti in modo significativo
4.
è possibile individuare e modificare quei belief che contribuiscono a creare emozioni e
comportamenti disadattavi
5.
la modificazione di questi pensieri (nuovo dialogo interno) può aiutare la persona ad essere
meno vulnerabile ai disturbi emozionali ed ai comportamenti disadattavi
alcuni belief sono funzionali all’obiettivo da raggiungere e originano emozioni e comportamenti
orientati a tale fine; altri producono emozioni e comportamenti disfunzionali
Il training di abilità sociali e capacità assertive è stato realizzato sulla base delle tecniche cognitivocomportamentali, il modello psicoeducativo adottato prevede le seguenti procedure:
-il modeling (osservazione di un modello che emette un comportamento adeguato). vengono indicati
in modo chiaro ai bambini i passi comportamentali da compiere per manifestare una certa
abilità
-il role playing (simulazione). I bambini imparano ad esercitarsi in tale abilità e in quale situazione
applicarla
-il feedback (informazione retroattiva sul comportamento emesso). I bambini imparano a valutare se
-
il loro comportamento era adeguato e se sono stati rispettati i passi comportamentali
la generalizzazione degli apprendimenti. I bambini attraverso una serie di esercizi da fare a casa
o in classe con le insegnanti imparano ad estendere il campo di applicazione nella vita
concreta di ogni giorno dell’abilità sociale appresa.
L’influsso dei media sulla formazione dell’identità di genere come terreno culturale favorevole allo sviluppo del
profilo DAPs
La pratica clinica e l’indagine svolta mettono in evidenza come il futuro disturbo alimentare abbia i suoi
precursori in una precoce preoccupazione delle bambine per il proprio corpo. Parallelamente gli attuali modelli
socio-culturali riguardanti il rapporto con l’alimentazione da una parte e una precoce sessualizzazione
dell’infanzia dall’altra fa riflettere su come cultura e predisposizioni psicofisiche individuali possono sommarsi
nel determinare la precoce età di insorgenza degli indicatori e del disturbo stesso. Pur riconoscendo come clinici
il determinismo di fattori bio- psico -sociali nel disturbo, ci è sembrato non casuale la relazione tra l’espressività
degli indicatori precoci del disturbo e le espressività ( mediatiche e culturali) della pressione sociale che
orientano molto presto il corpo delle bambine verso un immaginario adulto sessualizzato. I modelli mediatici
riguardanti la modalità con cui bambine sempre più piccole vengono “addestrate” ad un ruolo femminile
compiacente sono stati indagati a fondo nella pubblicazione di Loredana Lipperini “Ancora dalla parte delle
bambine” (Feltrinelli, Milano, ottobre 2007).
Il libro, spiega Elena Gianini Belotti nella prefazione, è una “accurata indagine sulla persistenza e addirittura
sul rafforzamento dei condizionamenti culturali al ruolo di genere delle bambine” e aggiunge “Agli strumenti in
uso trent’anni fa per modellare la mente delle bambine, tutti sopravvissuti - letteratura per l’infanzia, libri
scolastici, giornali, fumetti pubblicità e televisione - l’autrice aggiunge l’analisi minuziosa della rete Internet, a
quel tempo non ancora apparsa all’orizzonte, ma oggi diventata di uso comune fin dall’infanzia: i blog, i forum,
le chat, i siti, i diari on line, i videogiochi, i personaggi virtuali: i quali tutti senza eccezioni spingono le bambine
e le preadolescenti a concentrare la loro attenzione in maniera ossessiva unicamente sul proprio aspetto fisico,
sulla bellezza e sul corpo”.
Il disagio che caratterizza la civiltà attuale trova i suoi sintomi espressivi nel bisogno dell’individuo di ubbidire
alla logica del consumo immediato dell’oggetto di godimento, della sua sostituzione immediata con un nuovo
oggetto; in questo senso i disturbi del comportamento alimentare risultano sintomi particolarmente emblematici
dell’attuale disagio della civiltà. Da un lato l’obesità e la bulimia rispecchiano la dimensione patologica del
mercato nei suoi aspetti di compulsione ad ingoiare tutto senza essere né pieni né soddisfatti, dall’altro
l’anoressia esalta il grande mito dell’immagine utilizzando il corpo magro come un’icona idealizzata e l’unica
7
garanzia per essere qualcuno nella dimensione dell’apparire. Come scrive Michaëla Liuccio 15 - Essere “à la
page”, nella nostra società, vuol dire essere “sessualmente attraenti”, e per le donne questo è diventato
soprattutto “essere magre” e “in forma”. È per questo motivo che la “questione della dieta” oggi è intimamente
legata al problema dell’identità personale, laddove una buona immagine del corpo è fondamentale per una buona
immagine del “Sé”- .
Come spiega Anna Maria Testa16 il fine della pubblicità è di sviluppare proposte di vendita dentro le quali lo
stereotipo è funzionale proprio perché non rimanda
ad individui ma a categorie. I ruoli femminili nella
pubblicità rimandano alla cura e alla seduzione, non si registra quindi nessuna svolta nei contenuti rispetto agli
anni cinquanta, ma piuttosto un’evoluzione lentissima nelle forme che possono essere trasgressive per colpire e
farsi ricordare.
Oggi gli strumenti mediatico – pubblicitari congiunti alla rete, sembrano aver trovato il modo di rendere questa
pressione ancora più pervasiva, sistematica e potente, ponendo in questo modo le basi culturali di una delle
dinamiche del disturbo: la bambina non si innamora mai di sé stessa, di una passione che le appartiene e che
porrebbe le basi per il futuro interesse ad avere successo nel mondo esterno, ma si attiva per piacere, ponendo
così le basi del meccanismo della dipendenza dal giudizio altrui contrapposto ad una indipendenza del giudizio.
L’esigenza di modellarsi rispetto al corpo, ad un certo tipo di corpo, è al di sopra dell’esigenza di modellarsi
come individuo completo.
L’iniziale pressione culturale è palesemente solo un fattore scatenante e/o di mantenimento che non
acquisterebbe il peso che ha se il sintomo alimentare non consentisse alla ragazza di regolare i conti in sospeso
con la figura di attaccamento e non fosse sostenuta da una biologica tendenza ad ingrassare. La cultura, in questo
senso, fornirebbe dunque precocemente i codici più adeguati all’espressione del disturbo. Nell’analisi della
Lipperini l’ultimo capitolo è dedicato alla voce “anoressia”. Nel 1997, ci viene detto, la stima delle adolescenti
colpite dal disturbo si attesta attorno ai 400.000 casi. La preoccupazione del presidente della commissione
ministeriale riguarda soprattutto l’abbassarsi dell’età: le bambine cominciano ad ammalarsi attorno ai 10 anni.
Un anno dopo la cifra risulta salita a1.300.000 bulimiche e 700.000 anoressiche di cui 500 sono destinate a
morire ogni anno.. Nel 2006 il ministro Giovanna Melandri 17 lancia un appello al mondo della moda perché
smetta di far sfilare corpi magrissimi e lavori per proporre un modello diverso di corpo femminile pur nella
consapevolezza
che le cause del fenomeno sono complesse e distribuite in più fasi dell’educazione alla
femminilità.
Sulle bambine pesa “un atteggiamento di giudizio che automaticamente lega il corpo al valore della persona: le
ragazze belle sono quelle che hanno successo”18. Alle adolescenti si presenta un modello triplice: le donne
efebiche della moda, quelle formose e pornografiche della televisione e la spinta, in famiglia e a scuola, a
conciliare le esigenze generative con il successo sociale.
Successo che poggia peraltro sui tradizionali valori di condiscendenza e remissività, sulle aspettative di dolcezza,
tenerezza e comprensione che coincidono con la posizione passiva-ricettiva tradizionalmente attribuita al genere
femminile.
Perfezionismo e bisogno di identità si fondono nel diventare anoressiche, essere anoressica è il primo no dopo
anni di si. Le bambine obbedienti più facilmente sviluppano un disturbo alimentare, ma il fine ultimo non è la
bellezza, ma piuttosto la distruzione della corporeità.
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M.Liuccio, Alla ricerca del corpo perduto, Gangemi, Roma 2003, pag. 13
L. Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano, 2007.
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G.Melandri, Come un chiodo, Donzelli Collana Saggine, 2007
18
cfr.nota 15
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Questioni aperte…
L’attività di prevenzione che abbiamo brevemente presentato è focalizzata sugli aspetti emozionali, sulle abilità
comunicative/assertive e si propone di promuovere l’ aumento del senso di autoefficacia.
A nostro parere, pensando ad un lavoro su tre annualità, la prima potrebbe essere dedicata ad attività didattiche
centrate sull’analisi degli stereotipi di genere utilizzando libri di testo, narrativa, programmi televisivi, materiale
pubblicitario ed eventualmente materiale internet. L’analisi dovrebbe essere svolta dai bambini con un metodo
induttivo capace di far individuare da loro stessi le credenze, le convinzioni e i pensieri più conformistici e rigidi
relativamente ai ruoli maschile e femminile. In questo senso abbiamo voluto fare una breve rassegna degli
stereotipi più diffusi (limitatamente al sesso femminile) volta a segnalare possibili piste di lavoro ai docenti
motivati ad intraprendere tale percorso.
Lo specifico del lavoro preventivo riguarda la costruzione di un pensiero critico sugli stereotipi sessuali
maschili e femminili, da intendersi come il primo modello di pensiero acritico che bambini e bambine assorbono
nella propria esistenza. E’ palese che una simile analisi non può incidere sugli aspetti nucleari del disturbo, ma
può agire sui fattori di mantenimento.
Anche per quanto riguarda l’analisi degli stereotipi maschili, che ci porterebbero lontano dall’oggetto di questo
lavoro, ci limitiamo a sottolineare che come ogni stereotipo, anche i miti relativi all’obbligo del successo , a uno
scarso contatto con le proprie ed altrui emozioni ( empatia) alla prestanza-forza fisica rischiano nei maschi di
trasformarsi inizialmente in trappole emotive emozionale e successivamente possono condurre a disagi e
disturbi suscettibili di esprimersi culturalmente in forme di bullismo o nell’uso e abuso di sostanze.
Bibliografia
C.G. Fairburn, K.D. Brownell, Eating disorders and obesity: a comprehensive handbook, N.Y. Guilford 1995
G.Melandri, Come un chiodo, Donzelli Collana Saggine, 2007
L. Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano, 2007
M.G. Strepparava, L.Ravanelli, C.Molinari e A.Comi, Dal corpo all’identità. Uno studio sperimentale sulle
differenze individuali, Poster Convegno di Rovereto (Tn) 2006
M.Liuccio, Alla ricerca del corpo perduto, Gangemi, Roma 2003
R. Bryant-Waugh, B.Lask, Disturbi alimentari, Erickson 2002
Shapiro et. al (1997), Thomas et al. (2000)
S.Sassaroli, G.M.Ruggero, I disturbi alimentari, Laterza 2010
V.F. Guidano, La complessità del sé, Bollati Boringhieri, Torino 1988
V.F. Guidano, Il sé nel suo divenire: verso una terapia cognitiva post razionalista, Bollati Boringhieri 1992
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