Diapositive Il modello cognitivo-comportamentale dei

La terapia cognitivo comportamentale
per I DA: Dal modello classico a
modelli avanzati focalizzati su ansia e
controllo
Sandra Sassaroli,
Walter Sapuppo, Gabriele Caselli, Marcantonio Spada,
Giovanni Maria Ruggiero
CBT: il paradigma standard
• Nel paradigma standard della CBT i disturbi
emotivi dipendono da interpretazioni errate
catastrofiche che portano a una
• sovrastima della minaccia, e da una
• sottovalutazione delle proprie capacità di fare i
conti con i pericoli del mondo.
• I pazienti mettono in atto comportamenti di
evitamento che impediscono di testare queste
interpretazioni equivoche, e così le
mantengono nel tempo. (Beck, 1976;
Salkovskis, 2015)
CBT: il paradigma standard
• Le credenze catastrofiche nel tempo
tendono a trasformarsi in credenze
nucleari su di sé e sul mondo che
rendono la lettura del mondo cronica e
negativa.
CBT: l’intervento standard
• CBT sfida le misinterpretazioni e i belief
nucleari e incoraggia il paziente a provare il
senso, la veridicità dei suoi pensieri
negativi.
• La domanda cruciale: Mi dia le prove di ciò
che lei mi sta dicendo!
CBT: la filosofia
• La visione della cbt è ottimistica: Il mondo,
gli altri e noi stessi siamo meglio di ciò che
assumiamo quando usiamo le credenze e gli
assunti della paura.
• Lo sfidare gli assunti e le credenze negative
produrrà un pensiero maggiormente
realistico che automaticamente sarà più
positivo.
CBT standard per i DA
• Nel modello standard CBT dei disturbi
alimentari condivide una psicopatologia
comune:
• la sopravvalutazione dell’ importanza del
peso e della forma corporea.
I costrutti centrali del sé nei DA
• La perdita di controllo sull’alimentazione
sul peso e sulla forma corporea porta il
paziente a valutarsi come inadeguata o
inefficace. Gia Hilde Bruch nel 1973 lo
chiamava “eating disordered self” (Bruch,
1973; )
La restrizione dietetica come
comportamento di protezione
• La paura di perdere il controllo sulla dieta
porta a restrizioni alimentari di diverso tipo.
• E a preoccupazione, rimuginio sulla propria
forma, sul peso e sull’alimentarsi. (Fairburn,
2008)
CBT standard per DA
• Da queste premesse è nato il protocollo considerato il
trattamento d’elezione per la Bulimia.
• Si chiama CBT-BN ed è stato descritto da Christopher
Fairburn (Fairburn 1981, 1985; Fairburn, Cooper, &
Cooper, 1986). (National Institute for Health and Clinical
Excellence, 2004; Wilson, Grilo, & Vitousek, 2007; Shapiro
et al., 2007).
• Provata efficacia: (Thompson-Brenner,
2002; Hoffman et al., 2012).
CBT standard per ED
• Generalmente stiamo parlando di 20 sedute e 4 fasi:
– La prima, intensiva, è di 2 sedute a settimana con fini
psicoeducativi.
– La seconda, di transizione, è dove si rivede il lavoro
fatto, si affrontano gli ostacoli e si prepara la terza fase.
– La terza fase ha a che fare con i CV di mantenimento del
disturbo.
– La quarta fase si focalizza sulla progettazione del futuro,
sul mantenimento dei risultati raggiunti e sulla
riduzione delle ricadute. (Murphy et al., 2010).
• Le sedute raddoppiano se si hanno pazienti con BMI
tra 15 e 17.5
Risultati della CBT-BN
• Il 50% delle pazienti dimostra un miglioramento.
• Tra il 30 e il 50% delle pz, cessano di fare abbuffate e
prendere purganti, una parte del campione
dimostra qualche miglioramento, mentre altre pz. o
lasciano il trattamento o non rispondono. (Wilson e
Fairburn, 2007)
• Inoltre solo la Bulimia sembra rispondere al
trattamento, mentre altri tipi di DA non rispondono.
• Sembra che questo modello non spieghi in modo
completo l’intero processo psicopatologico.
CBT standard per i DA: Limiti
• Il primo protocollo di Fairburn non si
focalizzava su costrutti centrali dei DA
• Si rivolgeva a pensieri automatici sulla dieta
e sulle abbuffate molto vicini al sintomo.
Perfezionismo e autostima
• Un gran numero di studiosi ha esplorato gli
antecedenti cognitivi dei DA non direttamente
relati al sintomo, come il perfezionismo e la
bassa autostima. (Bastiani, Rao, Weltzin, &
Kaye, 1995; Button, Sonuga-Barke, Davies, &
Thompson, 1996; Davis, 1997; Fairburn &
Harrison, 2003; Fairburn, Cooper, Doll, &
Welch, 1999; Halmi et al., 2000; Hewitt, Flett, &
Ediger, 1995; McLaren, Gauvin, and White,
2001; Sassaroli & Ruggiero, 2005; Vitousek &
Hollon, 1990;).
Enhanced CBT
• Fairburn ha esteso poi il suo modello a tutti I DA,
chiamandolo terapia cognitivo comportamentale
“enhanced”(aumentata, migliorata) (CBT-E)
Murphy et al., 2010; Fairburn, 2008; Fairburn,
Cooper, & Shafran, 2003)
• Nella nuova versione trovano spazio 4 processi
psicopatologici che erano esclusi:
–
–
–
–
perfezionismo clinico
intolleranza emotiva
bassa autostima nucleare
difficoltà interpersonali
Enhanced CBT
• Questo trattamento si è provato più efficace,
fino al 65.5% di remissioni al posttrattamento e 69.4 % sul follow-up (20, 40
and 60 weeks post-treatment) (Fairburn et
al., 2015)
Enhanced CBT: limiti
• La CBT enhanced è caduta nella crisi del
modello beckiano fondato interamente sui
contenuti delle cognizioni.
• La disseminazione si è presentata difficile
• Occorre esplorare nuove direzioni anche
all’esterno del modello beckiano.
Sviluppi futuri: pensiero negativo ripetitivo
(RNT) e processi metacognitivi
• Esplorare il ruolo dei processi metacognitivi
è una via promettente che andrebbe
percorsa per incrementare la comprensione
clinica dei DA e aumentare l’efficacia
dell’intervento clinico..
• Il modello metacognitivo si occupa degli
effetti patologici dei processi e degli stili di
pensiero (Fisher and Wells, 2009)
Il pensiero ripetitivo negativo (RNT)
• Il rimuginio, la ruminazione e altri tipi di
pensiero negativo ripetitivo (RNT)
rappresentano un processo transdiagnostico
che si può trovare nei problemi
psicopatologici più diversi, come i disturbi
affettivi, i disturbi ansiosi, le psicosi e le
dipendenze (Harvey & Colleagues, 2004)
The key features of worry and
rumination
• I pensieri ripetitivi negativi appartengono a
persone che pensano troppo agli effetti negativi
degli eventi che temono. (Borkovec, 1993; Vasey
& Borkovec, 1992).
• La ruminazione è una variante dei pensieri
ripetitivi negativi che troviamo nella
depressione e in altri disturbi dell’umore.
(Nolen-Hoeksema, 2000).
• La ruminazione si riferisce a eventi passati
negativi, rimuginio si riferisce a preoccupazioni
per eventi negativi del futuro.
RNT
• I RNT sono mantenuti e rinforzati da
processi metacognitivi che si riferiscono sia
alla utilità che alla incontrollabilità e
pericolo.
• “Mi è utile”
• “Non riesco a controllarli”
• (Mathews and Wells, 1994; Wells, 2004)
Worry, belief metacognitivi e processi
nell’ansia
• Nel Gad il disturbo viene mantenuto da
metacognizioni sull’utilità e
l’incontrollabilità e pericolo del pensiero
rimuginativo (Behar, DiMarco, Hekler,
Mohlman, & Staples, 2009; Wells, 2004).
Worry, belief metacognitivi e processi
nell’ansia
• Le metacognizioni patologiche (è “utile
rimuginare” e “rimuginare è impossibile da
controllare ed è pericoloso”) portano al
mantenimento di livelli esagerati di
rimuginio causando tentativi inutili di
smettere e così nella realtà esagerando il
problema.
• E questo ovviamente aumenta i livelli di
ansia e GAD.
Worry come processo
transdiagnostico: non solo ansia.
• Il worry è legato strettamente all’ansia, ma
oggi si pensa che sia presente in diversi
disturbi (Ehring & Watkins, 2008) tra cui i
DA (Sassaroli, Ruggiero et al., 2005).
Worry nei DA
• Cosa si sa del rimuginio e delle metacognizioni
nei DA?
• Wadden, Brown, Foster, and Linowitz (1991)
hanno analizzato diversi tipi di rimuginio negli
adolescenti e hanno trovato che le ragazze
avevano più alti livelli di rimuginio su peso e
cibo de maschi.
• Kerkhof et al. (2000) hanno misurato il worry
con il Penn State Worry Questionnaire a
pazienti e controlli e hanno trovato livelli più
alti di worry nei pazienti.
Worry nei DA
– Scattolon e Nicky (1995) hanno trovato che il
consumo di cibo in un campione non clinico di
soggetti in dieta era stimolato dal rimuginio
sulla scuola, sulla valutazione degli altri e su
eventi sociali..
– Sassaroli and Ruggiero (2005) hanno trovato
che nelle situazioni di stress il rimuginio
correlava con le sottoscale dell’EDI in soggetti
non clinici.
La ruminazione nel DA
• La Ruminazione puà contribuire all’ l’eziologia dei DA.
– L’esordio della bulimia è associato con la ruminazione in
risposta a eventi di vita. (Troop & Treasure, 1997).
– Hart e Chiovari (1998) dimostrano che I soggetti in
dieta hanno più ruminazione in modo significativo sul
cibo e sull’alimentarsi che I soggetti non in dieta.
– Nolen-Hoeksema et al. (2007) hanno dimostrato che la
ruminazionepredice l’aumento di sintomi bulimici così
come l’esordio di un disturbo binge.
Belief metacognitivi e processi nei DA
• In sintesi sembra proprio che il pensiero
ripetitivo negativo sia più alto nei soggetti
con DA che nei controlli ed è associato in
modo chiaro con la sintomatologia.
• Ma quale è il legame clinico tra I RNT e I DA?
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione?
• Un belief chiave di tipo metacognitivo è
l’incontrollabilità e il pericolo del pensiero
negativo
• Non è quindi un caso che si parli dei DA come
una psicopatologia dovuta alla percezione di
mancanza di controllo (Bruch, 1973; Button,
1985, 2005; Katzman & Lee, 1997).
• Potrebbe essere il controllo questo legame
tra DA e metacognizione?
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• Sassaroli, Gallucci e Ruggiero (2008) hanno
dimostrato che le credenze di mancanza di
controllo non solo sul cibo, peso e aspetti
corporali, ma anche sugli stati mentali e
sulla presa sulla realtà sono presenti nei DA.
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• Altri studi (Cooper et al., 2007; Woolrich et
al., 2008) hanno trovato differenze nei belief
metacognitivi in pazienti con AN verso i
controlli. : livelli più alti di credenze di
incontrollabilità e pericolo, livelli più bassi
di fiducia cognitiva, e livelli più alti di
pensieri di bisogno di controllo e
autoconsapevolezza del se..
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• Pazienti con An hanno meno successo nel
modificare una definizione di un pensiero
(posso vederlo anche in altro modo) e
usavano le strategie metaco--gnitive per
sentirsi peggio. (Woolrich et al., 2008).
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• McDermott & Rushford (2011) pazienti An
avevano livelli più alti di disfunzioni
metacognitive,
• un più alto automonitoraggio del pensiero,
più alto controllo del pensiero e credenze
negative sul worry.
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• Olstad et al. (2015) ha sottolineato che
pazienti con DA hanno credenze
metacognitive disfunzionali in misura
maggiore dei gruppi di controllo,
specialmente le credenze negative
sull’incontrollabilità e bisogno di controllare i
pensieri..
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• In sintesi molti studi oggi suggeriscono che i
belief metacongnitivi sul worry,
sull’incontrollabilità e sul monitoraggio del
pensiero e sul controllo siano presenti nei
DA e siano coinvolti nel processo
psicopatologico del disturbo e nei sintomi.
Il controllo è un link tra DA e
metacognizione
• Osiamo una concettualizzazione metacognitiva:
c’è un trigger cognitivo basato sulla bassa
autostima, e un rimuginio perfezionistico sul
controllo del peso basato su una credenza
metacognitiva: (e.g. “E’ importante che io pensi
al cibo, al mangiare e al peso per recuperare il
controllo sul mio progetto esistenziale e la mia
autostima”)
• questo può portare a coinvolgersi in diete e
comportamenti compensativi che non sono
altro che strategie di controllo illusorio.
modello MCT: i trigger
• I pensieri negativi (non valgo nulla) vengono
considerati solo trigger e non sono i
responsabili primi della sofferenza emotiva.
• I belief metacognitivi sono i veri responsabili dei
disturbi emotivi perché portano il paziente a
dare troppa attenzione ai trigger e a
rimuginarci su. (non riesco a non pensarci
continuamente, occorre che io ci pensi, che stia
attento)
modello MCT: i belief metacognitivi:
• Eccoli:
– E’ utile rimuginare sui pensieri negativi
– Rimuginare sui pensieri negativi è più forte di
me.
Interventi MCT
• sfidare i belief metacognitivi di
incontrollabilità e di utilità del rimuginio
• training attentivo
• Detached mindfulness
Application to ED
• Triggers: eating, weight and body shape
threatening thoughts
• Metacognitions: worrying about eating, weight
and body shape is
– useful in order to gain control of them
– stronger than me
• Behaviours: dieting, purging, bingeing
• “Core” (actually derived) beliefs:
ineffectiveness, inadequacy, perfectionism
• Emotions: anxiety, sadness
Application to ED: problems
• Evidence in favour of given mechanisms:
worry, control
• Not yet evidence about the general model
• Not yet developed a detailed protocol
• Not yet evidence about efficacy
Dimenticare i contenuti?
• Da alcuni anni nelle terapie cognitive è in
corso la svolta processualista
(popolarmente nota come “terza ondata”)
• I nuovi modelli di terza ondata sembrano
richiedere una concettualizzazione del caso
in termini puramente processuali senza
prestare attenzione ai contenuti cognitivi.
Non dimenticare i contenuti
• Questa impostazione, comprensibile in
termini di purezza teorica e di supporto
empirico (almeno nel caso della MCT di
Wells) si scontra con il bisogno pratico di
definire il paziente in termini non solo
metacognitivi, ma anche di storia di vita e
di credenze cognitive.
• Perché soddisfare questo bisogno pratico?
Non solo processi
• Perché soddisfare questo bisogno pratico?
– Per rispondere al bisogno di comunicazione tra
clinici
– Per documentare il caso
– Perché molti interventi di tipo processuale
consistono nella riformulazione in termini
metacognitivi di contenuti cognitivi ed evolutivi,
che quindi il clinico deve conoscere e saper
padroneggiare
– Per potere narrare il caso nella didattica in modo
uniforme
Non solo processi
• Il valore euristico dei modelli psicopatologici
centrati sui contenuti di pensiero rimane
significativo per la comprensione del
paziente.
• La quotidiana esperienza clinica ci dice che il
clinico e il terapista medio trovano più intuitivo
ragionare in termini di credenze distorte da
ristrutturare, sebbene il meccanismo
terapeutico possa essere più complesso.
Non solo processi
• Gli uomini (e i pazienti) hanno bisogno di
comprensione e spesso comprendono se stessi
e il mondo con narrazioni (Soldz 2006, Lieblich
2004)
• la LIBET può essere considerata anche come la
costruzione di una narrazione sulla propria
storia condivisa tra paziente e terapista che
mira ad essere scientificamente fondata. (Ryle
e i diagrammi di flusso)
Non solo processi: come fare?
• Se è vero che il lavoro clinico sul contenuto
ha ancora un senso, non ci sembra
consigliabile limitarsi a un mero eclettismo,
ma tentare un’integrazione teorica e clinica
che consenta di avere degli indicatori
sugli interventi cognitivi, metacognitivi
ed esperienziali consigliabili per
determinati stati mentali e fasi del
trattamento.
Non solo processi: come fare?
• Un modello di questo tipo è utile a
concettualizzare il caso, il piano terapeutico,
la supervisione e la formazione personale
dei terapeuti, rendendola più mirata alla
crescita professionale e meno allo sviluppo
puramente personale.
• Importante anche costruire una uniformità
linguistica (se si parla di temi, sono temi,
non scopi, non preferenze)
Ci piace? LIBET!
• Il modello LIBET (Life themes and plans
Implications of biased Beliefs: Elicitation and
Treatment) tenta di adattare l’attenzione
per i contenuti cognitivi dei modelli
costruttivisti e cognitivi (CBT e REBT) con la
nuova attenzione per i processi attentivi,
metacognitivi e per gli aspetti evolutivi della
cosiddetta terza ondata.
LIBET: il telaio dei temi e dei piani
• Nel modello LIBET i contenuti distorti non sono
concettualizzati come errori logici inferenziali (come
in Beck) ma frutto di processi di:
– iperfocalizzazione attentiva di tipo rimuginativo
depressivo, ansioso o rabbioso (Borkovec et al., 1994)
sulla minaccia appresa evolutivamente (Lorenzini e
Sassaroli, 1995; Farina, Liotti, 2011) chiamati nella
LIBET temi;
– inferenze metacognitive che giustificano
erroneamente il rimuginio ed eventuali
comportamenti connessi come atteggiamenti utili
(Borkovec et al., 1994) oppure come reazioni
incontrollabili (Wells, 2008), li rendono oggetto di nuovi
rimuginii e sono chiamati nella LIBET: piani;
Temi: base evolutiva e
iperfocalizzazione attentiva
• I trigger minacciosi sono frutto di processi
pre-attentivi di ipersensibilizzazione a
determinati scenari e pattern relazionali
emotivamente carichi (Mathews e Wells,
1994), che in quanto tali catturano risorse
attentive per il loro semplice presentarsi e
perchè apprese come dolorose in base ad
analogie con situazioni passate a loro volta
emotivamente significative (Liotti et al,
1990, Lorenzini e Sassaroli, 1995).
Temi: base evolutiva e
iperfocalizzazione attentiva
• Essi sono vissuti come un “tema doloroso”
apprese come emotivamente intollerabili in
esperienze personali per lo più relazionali del
corso della storia di vita personale (Bögels,
Brechman-Toussaint, 2006; Farina, Liotti,
2011; Fyer, 1993; Frost, Heimberg, Holt, Mattia,
Neubauer, 1993; Hadwin, Garner, Perez-Olivas,
2006; Kiernan, Huerta, 2008; Maheu et al.,
2010; Woodruff-Borden, Morrow, Bourland,
Cambron, 2002).
Piani: gestione dei temi
• Questi stessi rimuginii, iperfocalizzazioni attentive e
i loro esiti comportamentali di attacco e/o fuga e/o
controllo diventano piani (semi-)disfunzionali
attivati in base a credenze metacognitive
soggettivamente ritenute ragionevoli dall’individuo
(Borkovec et al., 1994; Wells, 2008)
• Si tratta di credenze che definiamo di controllo in
senso lato (condotte metacontrollanti) della
minaccia stessa (Sassaroli, Ruggiero, 2008) e che –in
realtà- si risolvono in un evitamento cognitivo del
carico emotivo che non porta a un vero impegno
a risolvere il problema e nel far questo lo
cronicizza
Piani: gestione semi-funzionale dei
temi
• Queste condotte meta-controllanti non sono “difese”
strutturalmente disfunzionali
• Esse possono essere effettivamente funzionali per
periodi di tempo anche significativamente lunghi
della vita del soggetto
• Entro certi limiti queste condotte possono essere
utilizzate in maniera non del tutto rigida e univoca,
ed è possibile che, nelle circostanze opportune,
queste condotte non si cristallizzino in procedure
rigide e inflessibili che generano costi emotivi e
comportamentali intollerabili.
Piani: gestione disfunzionale dei
temi
• Tuttavia, in situazioni invalidanti di crisi (Kelly,
1955) in cui è necessario utilizzare condotte
alternative il soggetto può rivelare la sua
adesione univoca a queste condotte, che
diventano veri e propri “piani disfunzionali”, ovvero
condotte che generano costi emotivi intollerabili e
conseguenze comportamentali dannose.
• Insomma, sintomi.
• Il paziente però percepisce la disfunzionalità solo
dei sintomi, continuando a giudicare funzionali i
processi rimuginativi retrostanti.
LIBET: cos’è?
• Il modello LIBET è quindi attenzionale
(Mathews, Wells, 1994), metacognitivo
(Borkovec et al., 1994) ed evolutivo
(Lorenzini e Sassaroli, 1995) in quanto
ritiene che i problemi emotivi siano
polarizzazioni attentive su stati mentali
evolutivamente appresi (temi) e irrigidite a
livello metacognitivo (piani).
LIBET: non solo processi
• A differenza di altri modelli, tuttavia, la
definizione di “temi” e “piani” consente una
maggiore attenzione ai contenuti cognitivi
che sono oggetto degli stati mentali e dei
processi disfunzionali
• Questi contenuti hanno una importanza
euristica per l’operatore clinico, importanza
che a volte rischia di essere sottovalutata
nei modelli processuali più recenti
Tema 1 : Minaccia terrifica
• In cui l’individuo ha esperito una minaccia al
bisogno basico di un luogo protetto in cui la
sicurezza personale sia garantita e in cui siano
presenti figure significative affidabili, nutrimento e
accudimento.
• La minaccia a questo bisogno può portare
esperienze emotive di pericolo estremo e
insostenibile di fronte alla quale l’individuo è
impotente (Herman 1992b; Krystal 1988; van der
Kolk 1996) ed esperisce stati terrificanti di minaccia,
panico e paura paralizzante, cosiddetti di freezing
(Ogden et al., 2006; Solomon, 2011).
Tema 2: Disamore
• In cui l’ambiente accuditivo è presente e non
è contrastato il bisogno esplorativo del
soggetto, ma il tutto è fornito in
un’atmosfera di deprivazione emotiva e
affettiva distanziante e non calorosa, in cui i
contatti corporei sono rari e impacciati
(Kiernan, Huerta, 2008; Maheu et al., 2010)
Tema 3: Inadeguatezza
• Questo tema è collegato a stati di ansia meno catastrofici
del precedente in cui l’individuo percepisce un ambiente
personale sufficientemente caldo, accogliente e
rassicurante, ma anche di un ambiente esterno
pericoloso, che l’individuo non ha risorse sufficienti per
fronteggiare.
• È vero che studi familiari hanno trovato una
sovrapposizione tra disturbi d’ansia e ambiente
familiare, ma i risultati non sono conclusivi (WoodruffBorden, Morrow, Bourland, Cambron, 2002).
• Alcuni studi di Atkinson e Goldberg (2004) – sulla base
di una ricerca protrattasi per sedici anni – dimostrano
che gli stili di attaccamento ansioso predicono disturbi
ansiosi nel lungo periodo.
Tema 4: Indegnità
•
•
•
In cui l’ambiente accuditivo è presente, la funzioni esplorative non sono
contrastante ed è anche presente un certo calore affettivo, ma è anche presente
uno stile relazionale gravemente criticante, controllante e oppressivo in cui i valori
regolativi sono vissuti e trasmessi in maniera oppressiva, colpevolizzante e
punitiva. e criticista.
(Hirshfeld, Biederman, Brody, Faraone, Rosenbaum, 1997), al pensiero catastrofico
nelle sequenze interattive con i figli (Whaley, Pinto, Sigman, 1999) e allo
scoraggiamento dell’autonomia del bambino (Brewin, Firth-Cozens, Furnham, &
McManus, 1992; Vieth & Trull, 1999; Kawamura, Frost, & Harmatz, 2001; Huprich,
2003; Irons, Gilbert, Baldwin, Baccus, & Palmer, 2006).
Esperienza di genitori critici e frustranti (genitori direttamente criticisti) oppure
indirettamente attraverso l’obbligo a regole rigide di prestazione o morali.
Gli stati d'animo più frequenti:
1.
il senso di incompetenza, inferiorità, stupidità, umiliazione
2.
indegnità morale, colpa e disgusto
Il piano prudenziale
(monitora la minaccia e se ne tiene lontano)
• In cui il soggetto tenta di non pensare al
proprio tema doloroso evitandolo attraverso
strategie comportamentali e mentali che gli
impediscano di avere a che fare con esso
• La ricerca empirica ha dimostrato che
l’evitamento comportamentale (Blalock e
Joiner, 2000) o cognitivo (Beevers, Wenzlaff, e
Hayes, 1999; Rassin, Merckelbach, & Muris,
2000) sono in relazione a stati depressivi o
ansiosi.
Il piano prescrittivo
(monitora la minaccia e si sforza per
prevenirla)
• In cui il soggetto ritiene invece che il tema
possa essere escluso attraverso rigide ed
efficienti strategie di ipercontrollo che
prevengano la possibilità che gli aspetti più
traumatici del tema doloroso si avverino o
almeno si presentino al centro dell’attenzione
individuale (Barlow, 2002; Hoyer, Becker, and
Roth, 2001; Mineka and Zinbarg, 1996; Rapee,
Craske, Brown, and Barlow, 1996; Shapiro and
Astin, 1998, pp. 23).
Il piano immunizzante
(ignora la minaccia e si forza a tenere uno stato desiderato)
• Il piano immunizzante, in cui il soggetto gestisce i
temi dolorosi cercando esperienze e stati emotivi
intensi e travolgenti che ipercompensino per
contrasto positivo gli stati depressivi, ansiosi e
rimuginativi tipici dei temi dolorosi, quasi tentando
di espellerli allo spazio attentivo. Il soggetto cerca
un’alternativa estrema agli stati negativi associati ai
temi dolorosi, ma in questo modo conferma anche
l’impossibilità di gestirli.
• In termini cognitivi, si preferisce concettualizzare
questi stati impulsivi come legati a stati intenzionali
di desiderio (Caselli , Spada, Green et al., 2000;
Kavanagh, et al., 2009; Tiffany and Drobes, 1990).
Rottura dei piani: esaurimento e
invalidazione
• Per esaurimento
– Fatica e costi di mantenere il piano attivo
• Per invalidazione: Rottura del piano inflessibile a causa
di eventi di vita: fallimento, abbandono, e così via…
– PIANO PRUDENZIALE: invalidato quando la realtà pone
delle imposizioni inevitabili che impediscono ritiro o fuga;
– PIANO PRESCRITTIVO: invalidato dalla frustrazione del
piano ideale imposta dalla realtà (sicurezza, controllo
assoluto, assenza di colpa, approvazione totale);
– PIANO IMMUNIZZANTE: viene invalidato attraverso
l’insight (incremento di consapevolezza);
Osservazioni cliniche
• I temi presenti nei nostri DA sui quali stiamo
iniziando la ricerca qualitativa sono
maggiormente: Inadeguatezza e Indegnità
• il piano più presente nell’anoressia: il piano
prescrittivo
• i piani maggiormente presenti nei binge e nella
bulimia: prescrittivo e immunizzante
• Rottura dei piani più frequenti: eventi sociali o
personali invalidanti riguardanti il controllo
Accertamento
• Accertamento Libet Booklet
• Condividere l’accertamento e la
concettualizzazione del caso con le pazienti
in ingresso:
• La rottura dei piani, e i sintomi,
sottolineando gli aspetti ruminativi e
rimuginativi che ostacolano spesso il
funzionamento adeguato nello studio o con
gli altri
L’intervento
• Iniziare con un intervento CBT-enhanced
• Intervenire su rimuginio e rumination
utilizzando le tecniche di MCT
• Rottura dei piani e sintomi: individuare le
analogie tra sintomi e piani prescrittivi in
generale
L’intervento
• Una parte centrale del lavoro è la
flessibilizzazione die piani di controllo e la
ricerca di nuove modalità di affrontare il
mondo e gli altri.
• La rinuncia ai piani è una fase dolorosa
della terapia, i piani hanno avuto una
importanza nella vita delle pazienti,
rinunciarvi è doloroso e difficile.
L’intervento
• Una volta che la ragazza sia più capace di
sbagliare, e sia capace di esplorare nuove
modalità esistenziali, più aperte e più
innovative, si giunge ad affrontare i temi
dolorosi di inadeguatezza e si può affrontare
il clima familiare, le relazioni, la
trasmissione emotiva e il criticismo di
queste famiglie.
L’intervento
• Questa fase è più facile se le famiglie
acconsentono a qualche incontro per
comprendere e modificare le modalità
criticiste che venivano messe in atto, le
disfunzionalità emotive, le freddezze, le
esigenze prestazionali che a volte pesavano
sulle pazienti
Le vulnerabilità che rimangono
• Le ragazze che escono dalla fase acuta del
disturbo presentano e continuano ad avere
nel tempo delle vulnerabilità
• Sia nell’area del perfezionismo
• Che nell’area dell’evitamento e controllo
sociale
• Che nell’area della ruminazione
La conclusione della terapia
• Ho imparato a non concludere mai la terapia
con queste pazienti. Lascio ogni anno 4, 3, 2
sedute, per incontrarci, fare il punto,
analizzare gli eventi stressanti, le tentazioni
di ritorno al sintomo.
• L’assistenza e la presenza dei clinici di
riferimento per queste pazienti, anche da
lontano, anche se avviene di rado, è una
sentinella importante per eventual ricadute