La terapia cognitivo comportamentale per I DA: Dal modello classico a modelli avanzati focalizzati su ansia e controllo Sandra Sassaroli, Walter Sapuppo, Gabriele Caselli, Marcantonio Spada, Giovanni Maria Ruggiero CBT: il paradigma standard • Nel paradigma standard della CBT i disturbi emotivi dipendono da interpretazioni errate catastrofiche che portano a una • sovrastima della minaccia, e da una • sottovalutazione delle proprie capacità di fare i conti con i pericoli del mondo. • I pazienti mettono in atto comportamenti di evitamento che impediscono di testare queste interpretazioni equivoche, e così le mantengono nel tempo. (Beck, 1976; Salkovskis, 2015) CBT: il paradigma standard • Le credenze catastrofiche nel tempo tendono a trasformarsi in credenze nucleari su di sé e sul mondo che rendono la lettura del mondo cronica e negativa. CBT: l’intervento standard • CBT sfida le misinterpretazioni e i belief nucleari e incoraggia il paziente a provare il senso, la veridicità dei suoi pensieri negativi. • La domanda cruciale: Mi dia le prove di ciò che lei mi sta dicendo! CBT: la filosofia • La visione della cbt è ottimistica: Il mondo, gli altri e noi stessi siamo meglio di ciò che assumiamo quando usiamo le credenze e gli assunti della paura. • Lo sfidare gli assunti e le credenze negative produrrà un pensiero maggiormente realistico che automaticamente sarà più positivo. CBT standard per i DA • Nel modello standard CBT dei disturbi alimentari condivide una psicopatologia comune: • la sopravvalutazione dell’ importanza del peso e della forma corporea. I costrutti centrali del sé nei DA • La perdita di controllo sull’alimentazione sul peso e sulla forma corporea porta il paziente a valutarsi come inadeguata o inefficace. Gia Hilde Bruch nel 1973 lo chiamava “eating disordered self” (Bruch, 1973; ) La restrizione dietetica come comportamento di protezione • La paura di perdere il controllo sulla dieta porta a restrizioni alimentari di diverso tipo. • E a preoccupazione, rimuginio sulla propria forma, sul peso e sull’alimentarsi. (Fairburn, 2008) CBT standard per DA • Da queste premesse è nato il protocollo considerato il trattamento d’elezione per la Bulimia. • Si chiama CBT-BN ed è stato descritto da Christopher Fairburn (Fairburn 1981, 1985; Fairburn, Cooper, & Cooper, 1986). (National Institute for Health and Clinical Excellence, 2004; Wilson, Grilo, & Vitousek, 2007; Shapiro et al., 2007). • Provata efficacia: (Thompson-Brenner, 2002; Hoffman et al., 2012). CBT standard per ED • Generalmente stiamo parlando di 20 sedute e 4 fasi: – La prima, intensiva, è di 2 sedute a settimana con fini psicoeducativi. – La seconda, di transizione, è dove si rivede il lavoro fatto, si affrontano gli ostacoli e si prepara la terza fase. – La terza fase ha a che fare con i CV di mantenimento del disturbo. – La quarta fase si focalizza sulla progettazione del futuro, sul mantenimento dei risultati raggiunti e sulla riduzione delle ricadute. (Murphy et al., 2010). • Le sedute raddoppiano se si hanno pazienti con BMI tra 15 e 17.5 Risultati della CBT-BN • Il 50% delle pazienti dimostra un miglioramento. • Tra il 30 e il 50% delle pz, cessano di fare abbuffate e prendere purganti, una parte del campione dimostra qualche miglioramento, mentre altre pz. o lasciano il trattamento o non rispondono. (Wilson e Fairburn, 2007) • Inoltre solo la Bulimia sembra rispondere al trattamento, mentre altri tipi di DA non rispondono. • Sembra che questo modello non spieghi in modo completo l’intero processo psicopatologico. CBT standard per i DA: Limiti • Il primo protocollo di Fairburn non si focalizzava su costrutti centrali dei DA • Si rivolgeva a pensieri automatici sulla dieta e sulle abbuffate molto vicini al sintomo. Perfezionismo e autostima • Un gran numero di studiosi ha esplorato gli antecedenti cognitivi dei DA non direttamente relati al sintomo, come il perfezionismo e la bassa autostima. (Bastiani, Rao, Weltzin, & Kaye, 1995; Button, Sonuga-Barke, Davies, & Thompson, 1996; Davis, 1997; Fairburn & Harrison, 2003; Fairburn, Cooper, Doll, & Welch, 1999; Halmi et al., 2000; Hewitt, Flett, & Ediger, 1995; McLaren, Gauvin, and White, 2001; Sassaroli & Ruggiero, 2005; Vitousek & Hollon, 1990;). Enhanced CBT • Fairburn ha esteso poi il suo modello a tutti I DA, chiamandolo terapia cognitivo comportamentale “enhanced”(aumentata, migliorata) (CBT-E) Murphy et al., 2010; Fairburn, 2008; Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003) • Nella nuova versione trovano spazio 4 processi psicopatologici che erano esclusi: – – – – perfezionismo clinico intolleranza emotiva bassa autostima nucleare difficoltà interpersonali Enhanced CBT • Questo trattamento si è provato più efficace, fino al 65.5% di remissioni al posttrattamento e 69.4 % sul follow-up (20, 40 and 60 weeks post-treatment) (Fairburn et al., 2015) Enhanced CBT: limiti • La CBT enhanced è caduta nella crisi del modello beckiano fondato interamente sui contenuti delle cognizioni. • La disseminazione si è presentata difficile • Occorre esplorare nuove direzioni anche all’esterno del modello beckiano. Sviluppi futuri: pensiero negativo ripetitivo (RNT) e processi metacognitivi • Esplorare il ruolo dei processi metacognitivi è una via promettente che andrebbe percorsa per incrementare la comprensione clinica dei DA e aumentare l’efficacia dell’intervento clinico.. • Il modello metacognitivo si occupa degli effetti patologici dei processi e degli stili di pensiero (Fisher and Wells, 2009) Il pensiero ripetitivo negativo (RNT) • Il rimuginio, la ruminazione e altri tipi di pensiero negativo ripetitivo (RNT) rappresentano un processo transdiagnostico che si può trovare nei problemi psicopatologici più diversi, come i disturbi affettivi, i disturbi ansiosi, le psicosi e le dipendenze (Harvey & Colleagues, 2004) The key features of worry and rumination • I pensieri ripetitivi negativi appartengono a persone che pensano troppo agli effetti negativi degli eventi che temono. (Borkovec, 1993; Vasey & Borkovec, 1992). • La ruminazione è una variante dei pensieri ripetitivi negativi che troviamo nella depressione e in altri disturbi dell’umore. (Nolen-Hoeksema, 2000). • La ruminazione si riferisce a eventi passati negativi, rimuginio si riferisce a preoccupazioni per eventi negativi del futuro. RNT • I RNT sono mantenuti e rinforzati da processi metacognitivi che si riferiscono sia alla utilità che alla incontrollabilità e pericolo. • “Mi è utile” • “Non riesco a controllarli” • (Mathews and Wells, 1994; Wells, 2004) Worry, belief metacognitivi e processi nell’ansia • Nel Gad il disturbo viene mantenuto da metacognizioni sull’utilità e l’incontrollabilità e pericolo del pensiero rimuginativo (Behar, DiMarco, Hekler, Mohlman, & Staples, 2009; Wells, 2004). Worry, belief metacognitivi e processi nell’ansia • Le metacognizioni patologiche (è “utile rimuginare” e “rimuginare è impossibile da controllare ed è pericoloso”) portano al mantenimento di livelli esagerati di rimuginio causando tentativi inutili di smettere e così nella realtà esagerando il problema. • E questo ovviamente aumenta i livelli di ansia e GAD. Worry come processo transdiagnostico: non solo ansia. • Il worry è legato strettamente all’ansia, ma oggi si pensa che sia presente in diversi disturbi (Ehring & Watkins, 2008) tra cui i DA (Sassaroli, Ruggiero et al., 2005). Worry nei DA • Cosa si sa del rimuginio e delle metacognizioni nei DA? • Wadden, Brown, Foster, and Linowitz (1991) hanno analizzato diversi tipi di rimuginio negli adolescenti e hanno trovato che le ragazze avevano più alti livelli di rimuginio su peso e cibo de maschi. • Kerkhof et al. (2000) hanno misurato il worry con il Penn State Worry Questionnaire a pazienti e controlli e hanno trovato livelli più alti di worry nei pazienti. Worry nei DA – Scattolon e Nicky (1995) hanno trovato che il consumo di cibo in un campione non clinico di soggetti in dieta era stimolato dal rimuginio sulla scuola, sulla valutazione degli altri e su eventi sociali.. – Sassaroli and Ruggiero (2005) hanno trovato che nelle situazioni di stress il rimuginio correlava con le sottoscale dell’EDI in soggetti non clinici. La ruminazione nel DA • La Ruminazione puà contribuire all’ l’eziologia dei DA. – L’esordio della bulimia è associato con la ruminazione in risposta a eventi di vita. (Troop & Treasure, 1997). – Hart e Chiovari (1998) dimostrano che I soggetti in dieta hanno più ruminazione in modo significativo sul cibo e sull’alimentarsi che I soggetti non in dieta. – Nolen-Hoeksema et al. (2007) hanno dimostrato che la ruminazionepredice l’aumento di sintomi bulimici così come l’esordio di un disturbo binge. Belief metacognitivi e processi nei DA • In sintesi sembra proprio che il pensiero ripetitivo negativo sia più alto nei soggetti con DA che nei controlli ed è associato in modo chiaro con la sintomatologia. • Ma quale è il legame clinico tra I RNT e I DA? Il controllo è un link tra DA e metacognizione? • Un belief chiave di tipo metacognitivo è l’incontrollabilità e il pericolo del pensiero negativo • Non è quindi un caso che si parli dei DA come una psicopatologia dovuta alla percezione di mancanza di controllo (Bruch, 1973; Button, 1985, 2005; Katzman & Lee, 1997). • Potrebbe essere il controllo questo legame tra DA e metacognizione? Il controllo è un link tra DA e metacognizione • Sassaroli, Gallucci e Ruggiero (2008) hanno dimostrato che le credenze di mancanza di controllo non solo sul cibo, peso e aspetti corporali, ma anche sugli stati mentali e sulla presa sulla realtà sono presenti nei DA. Il controllo è un link tra DA e metacognizione • Altri studi (Cooper et al., 2007; Woolrich et al., 2008) hanno trovato differenze nei belief metacognitivi in pazienti con AN verso i controlli. : livelli più alti di credenze di incontrollabilità e pericolo, livelli più bassi di fiducia cognitiva, e livelli più alti di pensieri di bisogno di controllo e autoconsapevolezza del se.. Il controllo è un link tra DA e metacognizione • Pazienti con An hanno meno successo nel modificare una definizione di un pensiero (posso vederlo anche in altro modo) e usavano le strategie metaco--gnitive per sentirsi peggio. (Woolrich et al., 2008). Il controllo è un link tra DA e metacognizione • McDermott & Rushford (2011) pazienti An avevano livelli più alti di disfunzioni metacognitive, • un più alto automonitoraggio del pensiero, più alto controllo del pensiero e credenze negative sul worry. Il controllo è un link tra DA e metacognizione • Olstad et al. (2015) ha sottolineato che pazienti con DA hanno credenze metacognitive disfunzionali in misura maggiore dei gruppi di controllo, specialmente le credenze negative sull’incontrollabilità e bisogno di controllare i pensieri.. Il controllo è un link tra DA e metacognizione • In sintesi molti studi oggi suggeriscono che i belief metacongnitivi sul worry, sull’incontrollabilità e sul monitoraggio del pensiero e sul controllo siano presenti nei DA e siano coinvolti nel processo psicopatologico del disturbo e nei sintomi. Il controllo è un link tra DA e metacognizione • Osiamo una concettualizzazione metacognitiva: c’è un trigger cognitivo basato sulla bassa autostima, e un rimuginio perfezionistico sul controllo del peso basato su una credenza metacognitiva: (e.g. “E’ importante che io pensi al cibo, al mangiare e al peso per recuperare il controllo sul mio progetto esistenziale e la mia autostima”) • questo può portare a coinvolgersi in diete e comportamenti compensativi che non sono altro che strategie di controllo illusorio. modello MCT: i trigger • I pensieri negativi (non valgo nulla) vengono considerati solo trigger e non sono i responsabili primi della sofferenza emotiva. • I belief metacognitivi sono i veri responsabili dei disturbi emotivi perché portano il paziente a dare troppa attenzione ai trigger e a rimuginarci su. (non riesco a non pensarci continuamente, occorre che io ci pensi, che stia attento) modello MCT: i belief metacognitivi: • Eccoli: – E’ utile rimuginare sui pensieri negativi – Rimuginare sui pensieri negativi è più forte di me. Interventi MCT • sfidare i belief metacognitivi di incontrollabilità e di utilità del rimuginio • training attentivo • Detached mindfulness Application to ED • Triggers: eating, weight and body shape threatening thoughts • Metacognitions: worrying about eating, weight and body shape is – useful in order to gain control of them – stronger than me • Behaviours: dieting, purging, bingeing • “Core” (actually derived) beliefs: ineffectiveness, inadequacy, perfectionism • Emotions: anxiety, sadness Application to ED: problems • Evidence in favour of given mechanisms: worry, control • Not yet evidence about the general model • Not yet developed a detailed protocol • Not yet evidence about efficacy Dimenticare i contenuti? • Da alcuni anni nelle terapie cognitive è in corso la svolta processualista (popolarmente nota come “terza ondata”) • I nuovi modelli di terza ondata sembrano richiedere una concettualizzazione del caso in termini puramente processuali senza prestare attenzione ai contenuti cognitivi. Non dimenticare i contenuti • Questa impostazione, comprensibile in termini di purezza teorica e di supporto empirico (almeno nel caso della MCT di Wells) si scontra con il bisogno pratico di definire il paziente in termini non solo metacognitivi, ma anche di storia di vita e di credenze cognitive. • Perché soddisfare questo bisogno pratico? Non solo processi • Perché soddisfare questo bisogno pratico? – Per rispondere al bisogno di comunicazione tra clinici – Per documentare il caso – Perché molti interventi di tipo processuale consistono nella riformulazione in termini metacognitivi di contenuti cognitivi ed evolutivi, che quindi il clinico deve conoscere e saper padroneggiare – Per potere narrare il caso nella didattica in modo uniforme Non solo processi • Il valore euristico dei modelli psicopatologici centrati sui contenuti di pensiero rimane significativo per la comprensione del paziente. • La quotidiana esperienza clinica ci dice che il clinico e il terapista medio trovano più intuitivo ragionare in termini di credenze distorte da ristrutturare, sebbene il meccanismo terapeutico possa essere più complesso. Non solo processi • Gli uomini (e i pazienti) hanno bisogno di comprensione e spesso comprendono se stessi e il mondo con narrazioni (Soldz 2006, Lieblich 2004) • la LIBET può essere considerata anche come la costruzione di una narrazione sulla propria storia condivisa tra paziente e terapista che mira ad essere scientificamente fondata. (Ryle e i diagrammi di flusso) Non solo processi: come fare? • Se è vero che il lavoro clinico sul contenuto ha ancora un senso, non ci sembra consigliabile limitarsi a un mero eclettismo, ma tentare un’integrazione teorica e clinica che consenta di avere degli indicatori sugli interventi cognitivi, metacognitivi ed esperienziali consigliabili per determinati stati mentali e fasi del trattamento. Non solo processi: come fare? • Un modello di questo tipo è utile a concettualizzare il caso, il piano terapeutico, la supervisione e la formazione personale dei terapeuti, rendendola più mirata alla crescita professionale e meno allo sviluppo puramente personale. • Importante anche costruire una uniformità linguistica (se si parla di temi, sono temi, non scopi, non preferenze) Ci piace? LIBET! • Il modello LIBET (Life themes and plans Implications of biased Beliefs: Elicitation and Treatment) tenta di adattare l’attenzione per i contenuti cognitivi dei modelli costruttivisti e cognitivi (CBT e REBT) con la nuova attenzione per i processi attentivi, metacognitivi e per gli aspetti evolutivi della cosiddetta terza ondata. LIBET: il telaio dei temi e dei piani • Nel modello LIBET i contenuti distorti non sono concettualizzati come errori logici inferenziali (come in Beck) ma frutto di processi di: – iperfocalizzazione attentiva di tipo rimuginativo depressivo, ansioso o rabbioso (Borkovec et al., 1994) sulla minaccia appresa evolutivamente (Lorenzini e Sassaroli, 1995; Farina, Liotti, 2011) chiamati nella LIBET temi; – inferenze metacognitive che giustificano erroneamente il rimuginio ed eventuali comportamenti connessi come atteggiamenti utili (Borkovec et al., 1994) oppure come reazioni incontrollabili (Wells, 2008), li rendono oggetto di nuovi rimuginii e sono chiamati nella LIBET: piani; Temi: base evolutiva e iperfocalizzazione attentiva • I trigger minacciosi sono frutto di processi pre-attentivi di ipersensibilizzazione a determinati scenari e pattern relazionali emotivamente carichi (Mathews e Wells, 1994), che in quanto tali catturano risorse attentive per il loro semplice presentarsi e perchè apprese come dolorose in base ad analogie con situazioni passate a loro volta emotivamente significative (Liotti et al, 1990, Lorenzini e Sassaroli, 1995). Temi: base evolutiva e iperfocalizzazione attentiva • Essi sono vissuti come un “tema doloroso” apprese come emotivamente intollerabili in esperienze personali per lo più relazionali del corso della storia di vita personale (Bögels, Brechman-Toussaint, 2006; Farina, Liotti, 2011; Fyer, 1993; Frost, Heimberg, Holt, Mattia, Neubauer, 1993; Hadwin, Garner, Perez-Olivas, 2006; Kiernan, Huerta, 2008; Maheu et al., 2010; Woodruff-Borden, Morrow, Bourland, Cambron, 2002). Piani: gestione dei temi • Questi stessi rimuginii, iperfocalizzazioni attentive e i loro esiti comportamentali di attacco e/o fuga e/o controllo diventano piani (semi-)disfunzionali attivati in base a credenze metacognitive soggettivamente ritenute ragionevoli dall’individuo (Borkovec et al., 1994; Wells, 2008) • Si tratta di credenze che definiamo di controllo in senso lato (condotte metacontrollanti) della minaccia stessa (Sassaroli, Ruggiero, 2008) e che –in realtà- si risolvono in un evitamento cognitivo del carico emotivo che non porta a un vero impegno a risolvere il problema e nel far questo lo cronicizza Piani: gestione semi-funzionale dei temi • Queste condotte meta-controllanti non sono “difese” strutturalmente disfunzionali • Esse possono essere effettivamente funzionali per periodi di tempo anche significativamente lunghi della vita del soggetto • Entro certi limiti queste condotte possono essere utilizzate in maniera non del tutto rigida e univoca, ed è possibile che, nelle circostanze opportune, queste condotte non si cristallizzino in procedure rigide e inflessibili che generano costi emotivi e comportamentali intollerabili. Piani: gestione disfunzionale dei temi • Tuttavia, in situazioni invalidanti di crisi (Kelly, 1955) in cui è necessario utilizzare condotte alternative il soggetto può rivelare la sua adesione univoca a queste condotte, che diventano veri e propri “piani disfunzionali”, ovvero condotte che generano costi emotivi intollerabili e conseguenze comportamentali dannose. • Insomma, sintomi. • Il paziente però percepisce la disfunzionalità solo dei sintomi, continuando a giudicare funzionali i processi rimuginativi retrostanti. LIBET: cos’è? • Il modello LIBET è quindi attenzionale (Mathews, Wells, 1994), metacognitivo (Borkovec et al., 1994) ed evolutivo (Lorenzini e Sassaroli, 1995) in quanto ritiene che i problemi emotivi siano polarizzazioni attentive su stati mentali evolutivamente appresi (temi) e irrigidite a livello metacognitivo (piani). LIBET: non solo processi • A differenza di altri modelli, tuttavia, la definizione di “temi” e “piani” consente una maggiore attenzione ai contenuti cognitivi che sono oggetto degli stati mentali e dei processi disfunzionali • Questi contenuti hanno una importanza euristica per l’operatore clinico, importanza che a volte rischia di essere sottovalutata nei modelli processuali più recenti Tema 1 : Minaccia terrifica • In cui l’individuo ha esperito una minaccia al bisogno basico di un luogo protetto in cui la sicurezza personale sia garantita e in cui siano presenti figure significative affidabili, nutrimento e accudimento. • La minaccia a questo bisogno può portare esperienze emotive di pericolo estremo e insostenibile di fronte alla quale l’individuo è impotente (Herman 1992b; Krystal 1988; van der Kolk 1996) ed esperisce stati terrificanti di minaccia, panico e paura paralizzante, cosiddetti di freezing (Ogden et al., 2006; Solomon, 2011). Tema 2: Disamore • In cui l’ambiente accuditivo è presente e non è contrastato il bisogno esplorativo del soggetto, ma il tutto è fornito in un’atmosfera di deprivazione emotiva e affettiva distanziante e non calorosa, in cui i contatti corporei sono rari e impacciati (Kiernan, Huerta, 2008; Maheu et al., 2010) Tema 3: Inadeguatezza • Questo tema è collegato a stati di ansia meno catastrofici del precedente in cui l’individuo percepisce un ambiente personale sufficientemente caldo, accogliente e rassicurante, ma anche di un ambiente esterno pericoloso, che l’individuo non ha risorse sufficienti per fronteggiare. • È vero che studi familiari hanno trovato una sovrapposizione tra disturbi d’ansia e ambiente familiare, ma i risultati non sono conclusivi (WoodruffBorden, Morrow, Bourland, Cambron, 2002). • Alcuni studi di Atkinson e Goldberg (2004) – sulla base di una ricerca protrattasi per sedici anni – dimostrano che gli stili di attaccamento ansioso predicono disturbi ansiosi nel lungo periodo. Tema 4: Indegnità • • • In cui l’ambiente accuditivo è presente, la funzioni esplorative non sono contrastante ed è anche presente un certo calore affettivo, ma è anche presente uno stile relazionale gravemente criticante, controllante e oppressivo in cui i valori regolativi sono vissuti e trasmessi in maniera oppressiva, colpevolizzante e punitiva. e criticista. (Hirshfeld, Biederman, Brody, Faraone, Rosenbaum, 1997), al pensiero catastrofico nelle sequenze interattive con i figli (Whaley, Pinto, Sigman, 1999) e allo scoraggiamento dell’autonomia del bambino (Brewin, Firth-Cozens, Furnham, & McManus, 1992; Vieth & Trull, 1999; Kawamura, Frost, & Harmatz, 2001; Huprich, 2003; Irons, Gilbert, Baldwin, Baccus, & Palmer, 2006). Esperienza di genitori critici e frustranti (genitori direttamente criticisti) oppure indirettamente attraverso l’obbligo a regole rigide di prestazione o morali. Gli stati d'animo più frequenti: 1. il senso di incompetenza, inferiorità, stupidità, umiliazione 2. indegnità morale, colpa e disgusto Il piano prudenziale (monitora la minaccia e se ne tiene lontano) • In cui il soggetto tenta di non pensare al proprio tema doloroso evitandolo attraverso strategie comportamentali e mentali che gli impediscano di avere a che fare con esso • La ricerca empirica ha dimostrato che l’evitamento comportamentale (Blalock e Joiner, 2000) o cognitivo (Beevers, Wenzlaff, e Hayes, 1999; Rassin, Merckelbach, & Muris, 2000) sono in relazione a stati depressivi o ansiosi. Il piano prescrittivo (monitora la minaccia e si sforza per prevenirla) • In cui il soggetto ritiene invece che il tema possa essere escluso attraverso rigide ed efficienti strategie di ipercontrollo che prevengano la possibilità che gli aspetti più traumatici del tema doloroso si avverino o almeno si presentino al centro dell’attenzione individuale (Barlow, 2002; Hoyer, Becker, and Roth, 2001; Mineka and Zinbarg, 1996; Rapee, Craske, Brown, and Barlow, 1996; Shapiro and Astin, 1998, pp. 23). Il piano immunizzante (ignora la minaccia e si forza a tenere uno stato desiderato) • Il piano immunizzante, in cui il soggetto gestisce i temi dolorosi cercando esperienze e stati emotivi intensi e travolgenti che ipercompensino per contrasto positivo gli stati depressivi, ansiosi e rimuginativi tipici dei temi dolorosi, quasi tentando di espellerli allo spazio attentivo. Il soggetto cerca un’alternativa estrema agli stati negativi associati ai temi dolorosi, ma in questo modo conferma anche l’impossibilità di gestirli. • In termini cognitivi, si preferisce concettualizzare questi stati impulsivi come legati a stati intenzionali di desiderio (Caselli , Spada, Green et al., 2000; Kavanagh, et al., 2009; Tiffany and Drobes, 1990). Rottura dei piani: esaurimento e invalidazione • Per esaurimento – Fatica e costi di mantenere il piano attivo • Per invalidazione: Rottura del piano inflessibile a causa di eventi di vita: fallimento, abbandono, e così via… – PIANO PRUDENZIALE: invalidato quando la realtà pone delle imposizioni inevitabili che impediscono ritiro o fuga; – PIANO PRESCRITTIVO: invalidato dalla frustrazione del piano ideale imposta dalla realtà (sicurezza, controllo assoluto, assenza di colpa, approvazione totale); – PIANO IMMUNIZZANTE: viene invalidato attraverso l’insight (incremento di consapevolezza); Osservazioni cliniche • I temi presenti nei nostri DA sui quali stiamo iniziando la ricerca qualitativa sono maggiormente: Inadeguatezza e Indegnità • il piano più presente nell’anoressia: il piano prescrittivo • i piani maggiormente presenti nei binge e nella bulimia: prescrittivo e immunizzante • Rottura dei piani più frequenti: eventi sociali o personali invalidanti riguardanti il controllo Accertamento • Accertamento Libet Booklet • Condividere l’accertamento e la concettualizzazione del caso con le pazienti in ingresso: • La rottura dei piani, e i sintomi, sottolineando gli aspetti ruminativi e rimuginativi che ostacolano spesso il funzionamento adeguato nello studio o con gli altri L’intervento • Iniziare con un intervento CBT-enhanced • Intervenire su rimuginio e rumination utilizzando le tecniche di MCT • Rottura dei piani e sintomi: individuare le analogie tra sintomi e piani prescrittivi in generale L’intervento • Una parte centrale del lavoro è la flessibilizzazione die piani di controllo e la ricerca di nuove modalità di affrontare il mondo e gli altri. • La rinuncia ai piani è una fase dolorosa della terapia, i piani hanno avuto una importanza nella vita delle pazienti, rinunciarvi è doloroso e difficile. L’intervento • Una volta che la ragazza sia più capace di sbagliare, e sia capace di esplorare nuove modalità esistenziali, più aperte e più innovative, si giunge ad affrontare i temi dolorosi di inadeguatezza e si può affrontare il clima familiare, le relazioni, la trasmissione emotiva e il criticismo di queste famiglie. L’intervento • Questa fase è più facile se le famiglie acconsentono a qualche incontro per comprendere e modificare le modalità criticiste che venivano messe in atto, le disfunzionalità emotive, le freddezze, le esigenze prestazionali che a volte pesavano sulle pazienti Le vulnerabilità che rimangono • Le ragazze che escono dalla fase acuta del disturbo presentano e continuano ad avere nel tempo delle vulnerabilità • Sia nell’area del perfezionismo • Che nell’area dell’evitamento e controllo sociale • Che nell’area della ruminazione La conclusione della terapia • Ho imparato a non concludere mai la terapia con queste pazienti. Lascio ogni anno 4, 3, 2 sedute, per incontrarci, fare il punto, analizzare gli eventi stressanti, le tentazioni di ritorno al sintomo. • L’assistenza e la presenza dei clinici di riferimento per queste pazienti, anche da lontano, anche se avviene di rado, è una sentinella importante per eventual ricadute