I sintomi della demenza

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Gli interventi della ASL di Brindisi a favore della terza età, votati ai principi di valorizzazione e tutela
delle persone anziane, stanno riscontrando risultati significativi in relazione allo sviluppo ed alla
qualificazione della rete dei servizi integrati per l’assistenza sociale e sanitaria.
L’intento è quello di migliorare la qualità della vita dell’anziano mantenendolo quanto più è possibile
nella propria casa, nella consapevolezza che il contesto familiare debba essere il luogo privilegiato di
vita, di cura e di assistenza.
Da questa consapevolezza nasce l’idea di “Voglio vivere. Guida per le famiglie delle persone affette da
demenza ed Alzheimer”, un breve manuale rivolto a chi quotidianamente è impegnato nell’assistenza di
un congiunto che presenti patologie dementigene.
I suggerimenti contenuti in questo volumetto vogliono offrire soluzioni pratiche di aiuto per affrontare i
problemi quotidiani di vita e di assistenza di una persona malata di demenza o Alzheimer, nella
consapevolezza che “prendersi cura” di questi pazienti richiede innanzitutto di prestare cura ed
attenzioni a se stessi.
Il tentativo di fornire un contributo per diffondere il “sapere” ed il “saper fare”, indispensabili per
sviluppare una nuova cultura assistenziale, è declinato non soltanto attraverso una serie di informazioni
generali sulle malattie di demenza ed Alzheimer e sui sintomi che ne denotano l’insorgenza, ma anche
tramite la descrizione delle “best practices” ed i comportamenti da evitare quando si assiste un anziano
con sintomi di demenza, ripercorrendo i momenti più significativi di una giornata tipo.
Nella consapevolezza che questo manuale costituisce soltanto l’inizio di un percorso formativo e di
aiuto, si è certi di avere contribuito, anche se in minima parte, ad un miglioramento del copyng – style
sia dell’anziano che del suo habitat familiare.
Dr. Emanuele Vinci
Direttore sanitario ASL - Brindisi
Introduzione
“… non mi sento nessuna età […].
Se dovessi sentirmi un’età qualunque, questa sarebbe semmai l’infanzia, l’eternità e l’infanzia.”
M. Yourcenar – “Ad occhi aperti”
“Voglio vivere…”. Fu questo che mi ‘disse’ un anziano durante un colloquio clinico per valutare il suo
stato di deterioramento cognitivo.
Più volte questa frase mi è tornata in mente, portando alla mia memoria ricordi sopiti di letture fatte,
conducendomi in riflessioni, forse filosofiche, su atavici preconcetti nei confronti della “vecchiaia”,
portandomi in situazione di conflitto interiore, per i miei vissuti contraddittori di esperienze personali.
Cos’è allora la “vecchiaia”? Una metamorfosi, certamente il raggiungimento di uno “stato”, dopo aver
attraversato luoghi ed esperienze, un’età in cui, spesso, i confini tra memoria ed oblio, malattia e
salute, giorno e notte, non sono più nitidi, chiari e lineari. E’ un’epoca in cui l’uomo può affermare,
nonostante tutto, con le potenzialità e le risorse rimaste in suo possesso, la libertà di essere sé stesso
e la propria dignità di persona.
Il senso dell’esistenza è infatti “un’avventura nel tempo”, nella Storia. E’ una sequenza di occasioni
mancate, attese deluse, sogni non realizzati, obiettivi raggiunti, amicizie dimenticate, emozioni
vissute, sbiadite, ora, dal passare degli anni.
“Ombre” ormai, dove “ricordo” e “ritorno” si sovrappongono in una stessa esperienza, perché alla fine
ogni persona vale per la Storia e per la storia che si porta dentro.
Dott.ssa Patrizia SION
Dirigente psicologo ASL Brindisi
Gruppo aziendale malattie neuro degenerative
Cos’è la demenza
D
4
a un punto di vista strettamente medico-fisiologico, la demenza è una malattia degenerativa
che investe le funzioni intellettive come memoria, linguaggio e comportamento.
Ma non è solo questo. Anche se è una malattia come tutte le altre, paragonabile ad un’influenza o
ad un semplice raffreddore, la demenza tende a trasformarsi in un “mostro” che si insinua nella vita
del paziente, ma anche in quella di chi gli è vicino. Essa varia da persona a persona, ogni paziente la
vive in un modo diverso, ogni disturbo sarà legato alla vita vissuta del soggetto, alla sua storia, alla
sua personalità.
Ne consegue che ogni sintomo non è riducibile
soltanto ad una patologia cerebrale, ma va messo
in relazione con l’intero percorso di vita del
paziente, col suo funzionamento psicologico, con
la sua storia.
Ad esempio, come un qualsiasi evento stressante,
quale la perdita del lavoro, del coniuge,
dell’autonomia, incide sull’intero sistema uomo,
colpendo
organi
bersaglio
(sistema
cardiovascolare, apparato gastroenterico, sistema
immunitario), nello stesso modo lo si può ritenere
corresponsabile della genesi di patologie come la
demenza. Quindi curarla in termini farmacologici
o unicamente di contenimento dei disturbi
diventa inutile, spesso peggiorativo della
Antonio Stanca - “Universum A-61” condizione stessa.
L’approccio alla malattia deve essere di tipo multidimensionale, intendendo in questo un’analisi che
vada al di là dei fattori organici, ma che includa anche la dimensione interpersonale e i suoi effetti
sull’autostima e sul senso di autoefficacia della persona. Kitwood (Psicologo Sociale ideatore del
modello dialettico della demenza), sostiene che “… in un dato momento nel singolo individuo è
sempre presente una corrispondenza tra quello che accade a livello psicologico e relazionale e quello
che accade a livello cerebrale”.
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Per cercare di aiutare la persona affetta da demenza, il primo passo è quindi cercare di capire
realmente da cosa è formata la malattia.
La demenza senile non è causata soltanto da un deterioramento neuronale o da una patologia
cerebrale, ma è anche il prodotto della personalità dell’individuo, del suo vissuto e delle sue
esperienze pregresse, e di tutta quella rete di relazioni sociali che allo stato sta vivendo.
Riuscendo a capire questo, ecco come l’attenzione si sposta dalla malattia in sé verso la persona, che
è ancora lì, spesso talmente offuscata dalla demenza agli occhi degli altri da diventare irriconoscibile
per chi vi è accanto. È difficile guadare quel padre, quel nonno e contenere la rabbia per il senso di
perdita della persona cara che ormai non riconosciamo.
Ma in realtà è ancora lì, che ci sta guardando, magari che in
questo momento non ci riconosce, ma che sente il nostro
amore, prova le stesse sensazioni, ha le stesse passioni di
una volta ed un potenziale tutto suo che può ancora
realizzarsi. Non ci può essere alcun processo di guarigione
che non sia incentrato sulla persona anziché sulla malattia.
Un nuovo tipo di approccio si occupa del trattamento dei
problemi mentali e comportamentali che si osservano nel
processo di reazione e adattamento alla
demenza. Uno degli errori peggiori per chi ha a che fare con
persone affette dalla malattia è considerale annullate dalla
malattia stessa.
Bisogna per quanto possibile cercare di capire i disagi e le
problematiche, interpretare il loro comportamento perché
C.D. Friedrich
“Viandante sul mare di nebbia”
spesso è l’unico modo per chi è affetto da demenza di esprimere la propria opinione e di entrare in
comunicazione con gli altri.
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L’accento maggiore va posto quindi sulla comunicazione, sulla “voce” delle persone con demenza.
Col passare del tempo si è passati da un’ottica riabilitativa delle funzioni cognitive a una che
comprende l’intervento sugli aspetti ambientali e relazionali del contesto di cura. Ciò che circonda
l’anziano è molto importante per il suo benessere e quindi per un percorso di “guarigione”.
Questo non significa solamente cercare di non sradicarlo dal suo ambiente naturale, quello dove è
vissuto e che considera casa, ma inserirlo dove è possibile in un ambiente per lui piacevole e quanto
più possibile lontano dallo scenario ospedaliero.
L’esperienza soggettiva del paziente deve essere messa al centro del processo di cura e deve essere
capita, mai giudicata, ma affrontata nel modo quanto più sereno possibile.
Ecco come siamo arrivati a capire che la demenza è
influenzata dal nostro modo di comportarci verso
l’anziano, che piccole cose che per una persona definita
normale sono ordinarie, per lui diventano delle conquiste
che con l’insorgere della demenza non devono essergli
negate additandolo come incapace di intendere.
Bisogna per questo valorizzare quello che la persona
ancora sa fare ed evitare di sottolineare i suoi deficit,
rafforzando in tal modo sia le sue capacità cognitive che
il suo senso di autostima e di autoefficacia.
La dignità della persona deve rimanere centrale, come il
suo intero essere.
In tal modo possiamo sviluppare un modello comunicativo
Rene Magritte – “Le blanc seing”
che prevenga l’amplificazione degli aspetti negativi della demenza sulla qualità della vita della
persona.
7
I
I sintomi della demenza
sintomi della demenza non sono mai rigidi e uniformi per tutti, ma variano da persona a persona,
come l’esordio e il decorso della malattia stessa. In alcuni tipi di demenze i sintomi, e quindi i
deficit, sono strettamente legati a lesioni dell’encefalo e di conseguenza identificabili con esami
quali TAC, RMN, o emocromo completo.
In altri casi non è sempre così semplice, come ad esempio nella demenza di Alzheimer, e soprattutto
non ci danno un quadro clinico completo delle cause dei fenomeni di demenza.
In generale, i sintomi della demenza possono essere racchiusi in tre categorie:
•
Disturbi della cognitività: si iniziano a verificare alterazioni della memoria, magari prima
sporadiche, poi sempre più sistematiche. Di conseguenza anche il riconoscimento di persone
(anche quelle più familiari) può subire un cambiamento e potrebbero accadere degli episodi in
cui il paziente proprio non riconosce chi ha di fronte.
Se all’inizio della malattia questo avviene solo in
alcuni casi e per brevi momenti, con il passare del
tempo sarà sempre più accentuato. Dei vari tipi di
memoria di cui la mente umana può usufruire, quelle
che restano quasi intatte anche in caso di demenza
sono quelle autobiografica e implicita (tutti quei
pensieri e azioni che abbiamo automatizzato, come ad
esempio andare in auto).Possono insorgere anche
disorientamento, difficoltà nell’esecuzione di atti e nel
ragionamento. Possono essere presenti anche deficit
nella capacità di critica e del pensiero astratto.
• Disturbi comportamentali e psicologici, quali ad esempio:
Peter Brueger
“La costruzione di torre a Babele”
o
Agitazione: il paziente si mostra agitato anche senza nessun motivo apparente;
o
Vagabondaggio: vagare anche per ore senza una meta precisa, senza sapere coscientemente
dove si sta andando, o dirigendosi verso una meta fittizia e immaginaria;
o
Aggressività e disinibizione: due tratti di personalità che non presenti nel carattere della persona,
ma che vengono fuori all’improvviso;
o
Ansia e depressione: bisogna cercare di fare una differenza tra l’ansia e la depressione come
malattie esclusivamente psicologiche e quelle indotte dalla demenza. Solitamente sono generate
all’inizio della malattia quando i primi sintomi dementigeni sono ancora sporadici, ma coscienti.
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Successivamente il paziente demente non sarà più consapevole dei suoi deficit cognitivi. Infatti, un
paziente depresso ad una domanda darà risposte globali del tipo "Non so”, il paziente demente
invece non darà nessun tipo di risposta.
•
Disturbi del funzionamento quotidiano e sociale
Ciò che prima la persona faceva normalmente e che caratterizzava la sua routine tende a modificarsi
senza che ci sia una esplicita necessità di adattamento ad una nuova circostanza.
Tra questi non bisogna certo dimenticare i deliri, che
spesso caratterizzano la demenza e che rappresentano
anche una delle prime avvisaglie della malattia. Un
delirium è un episodio confusionale acuto che, sebbene
possa durare giorni, tende sempre a risolversi. Non
bisogna mai assecondarlo, ma cercare di contenere le
azioni causate dalla realtà confusa finché non passa.
Bisogna sempre ricordare che dietro ad uno strano
comportamento non bisogna sempre riconoscere un
sintomo di demenza.
Giorgio De Chirico – “L’archeologo"
I sintomi descritti caratterizzano le principali forme di demenza, ma per quanto riguarda la malattia
di Alzheimer occorre fare un ulteriore approfondimento.
9
L
Alzheimer: come riconoscerlo
a malattia di Alzheimer si differenzia dal normale processo di decadimento cognitivo collegato
all’invecchiamento. I sintomi di questa patologia, similarmente a quelli delle altre demenze, non
sono semplici errori di memoria: chi ne è affetto ha difficoltà di comunicazione,
apprendimento, pensiero e ragionamento, che possono influenzare il lavoro, la vita sociale e
familiare.
I dieci sintomi più comuni sono:
•
Perdita di memoria che compromette la capacità lavorativa.
È normale, di quando in quando, dimenticare un compito, una scadenza o il nome di un collega,
ma la dimenticanza frequente o un’inspiegabile confusione mentale a casa o sul lavoro può
significare che c’è qualcosa che non va.
•
Difficoltà nelle attività quotidiane.
Una persona molto impegnata può confondersi di tanto in tanto: per esempio dimenticare
qualcosa sui fornelli accesi o non ricordare di servire parte di un pasto. Il malato di Alzheimer
potrebbe preparare un pasto e non solo dimenticare di servirlo, ma anche scordare di averlo
fatto.
•
Problemi di linguaggio.
A tutti può essere capitato di avere una parola
“sulla punta della lingua”, ma il malato di
Alzheimer può dimenticare parole semplici o
sostituirle con parole improprie rendendo quello
che dice difficile da capire.
•
Disorientamento nel tempo e nello spazio.
È normale dimenticare che giorno della settimana
S. Dalì
“Orologio molle al momento della prima esplosione”
è o quello che si deve comprare, ma il malato di Alzheimer può perdere la strada di casa, non
sapere dove è e come ha fatto a trovarsi là.
10
10
•
Diminuzione della capacità di giudizio.
Scegliere di non portare una maglia o una giacca in una serata fredda è un errore comune, ma un
malato di Alzheimer può vestirsi in modo inappropriato, indossando per esempio un accappatoio
per andare a fare la spesa o due giacche in una giornata calda.
•
Difficoltà nel pensiero astratto.
Compilare un libretto degli assegni può essere difficile per molta gente, ma per il malato di
Alzheimer riconoscere i numeri o compiere calcoli può essere impossibile.
•
La cosa giusta al posto sbagliato.
A chiunque può capitare di riporre male un portafoglio o le chiavi di casa. Un malato di
Alzheimer, però, può mettere questi e altri oggetti in luoghi davvero singolari, come un ferro da
stiro nel congelatore o un orologio da polso nel barattolo dello zucchero, e non ricordarsi come
siano finiti là.
•
Cambiamenti di umore o di comportamento.
Tutti quanti siamo soggetti a cambiamenti di umore, ma nel malato di Alzheimer questi sono
particolarmente repentini e senza alcuna ragione apparente.
•
Cambiamenti di personalità.
Invecchiando tutti possiamo cambiare la
personalità, ma un malato di Alzheimer la
può cambiare drammaticamente: da
tranquillo diventa irascibile, sospettoso o
diffidente.
•
Mancanza di iniziativa.
È normale stancarsi per le faccende
domestiche, il lavoro o gli impegni sociali,
ma la maggior parte della gente mantiene
interesse per le proprie attività. Il malato di
V. Kandinsky – “Yellow red blue”
11
Alzheimer lo perde progressivamente: in molte o in tutte le sue solite attività.
S
Alcuni comportamenti da evitare…
pesso si può fare molto per migliorare la qualità della vita dell’anziano anche solo
comportandosi in maniera adeguata in casa. Con questo si intende promuovere dei
comportamenti che favoriscano “l’essere persona” ed eliminare quelli che invece minano la
dignità dell’anziano, rischiando di peggiorare il decorso della malattia.
Kitwood, nel suo modello dialettico, pone tra le cause della demenza anche la Psicologia Sociale
Maligna, che racchiude in sé tutti quei comportamenti e modalità di relazione che non sono solo
inadeguate, ma che peggiorano lo stato dell’anziano demente.
Di seguito riportiamo alcuni esempi di Psicologia Sociale Maligna:
Inganno
Si tende ad ingannare l’anziano e a raccontargli bugie, anche
su questioni che lo interessano in modo diretto,
escludendolo dai relativi processi decisionali.
Esautorazione
All’anziano viene impedito di impegnarsi in alcune attività,
anche se potrebbe ancora svolgerle.
Infantilizzazione
Pur essendo una persona adulta, l’anziano che si dimostra
deteriorato viene trattato come un bambino.
12
Etichettatura
Distanziamento
Una diagnosi di demenza, per una persona anziana,
diventa spesso una pericolosa etichetta, in funzione
della
quale
vengono
reinterpretati
i
suoi
comportamenti e tutto ciò che accade nel rapporto
interpersonale.
Si ha quando chi si rapporta alla persona affetta da
demenza non riesce a tener conto dei ritmi di
funzionamento diversi, spesso più lenti che lo
caratterizzano; si viene così a creare una scarsa
armonia nel rapporto interpersonale, che viene vissuto
sentendo l’altro più distante e ciò accade da ambo le
parti.
Oggettificazione
Chi soffre di demenza, soprattutto nelle fasi avanzate,
viene sempre più considerato e vissuto come un
oggetto, con una progressiva esclusione della
soggettività dal rapporto che si ha con lui.
Esilio
Non riuscendo ad instaurare uno schema di
comunicazione con l’anziano demente, si tende ad
esiliarlo, ritenendolo magari solo un peso e non
comprendendo il suo comportamento.
N.B.: Questi comportamenti non sono messi in atto con intenzione negativa, anzi spesso vengono
attuati pensando di far del bene all’anziano demente.
Uno degli errori che si compie più
comunemente anche nelle strutture socio
sanitarie è quello di credere che, una volta
riscontrata una demenza, l’anziano perda
ogni capacità e quindi anche quella di
nutrirsi autonomamente.
Mangiare, nel senso di prendere una
forchetta o un cucchiaio e portarselo alla
bocca,
è
uno
dei
movimenti
che
automatizziamo e che resta presente anche
quando il deterioramento della memoria è
abbastanza avanzato.
Quindi mai imboccare (anche se può essere
un modo comodo per sbrigarsi ma che di
certo non aiuta l’anziano), ma fornire
all’anziano dei suggerimenti su come
mangiare in totale o parziale autonomia e
cercare di lasciargli una libera scelta su cosa
voglia mangiare e quando.
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… ed altri da incoraggiare
Vediamo ora come aiutare l’anziano con una patologia di demenza ad affrontare i
momenti più importanti di una giornata tipo.
Utilizzare
una
consolidamento
strategia
di
dell’orientamento
spazio-temporale, ad esempio avendo
sempre a portata di mano orologio e
calendario ben chiari e visibili. Cercare di
non trattare l’anziano come un bambino
vestendolo e lavandolo, ma trovare un
modo per rendere agevole la stanza da
Mattina. Risveglio,
vestizione e bagno
bagno
inserendo
ambientali
(ad
degli
esempio
strumenti
porre
una
seggiolina nella doccia) in maniera da
eliminare quanto più è possibile la
resistenza.
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Anche per la vestizione, è preferibile non
aiutare, se non nel caso di una esplicita
richiesta,
ma
fornire
strategie
per
mantenere l’autonomia anche in questo
caso.
Anche per un anziano non affetto da
demenza, andare dal medico può esser
molto frustrante, in quanto spesso non è
egli stesso che parla della propria salute, ma
viene messo in disparte mentre un
famigliare designato parla col medico del
suo stato di salute.
Quando si mangia
Questo è assolutamente da evitare, perché
è l’anziano in prima persona che deve
rendersi conto della sua situazione e non
deve essere messo all’oscuro delle scelte
che si prendono nei suoi confronti, non
essendo un bambino e avendo la facoltà di
decidere sulla propria vita.
15
Quindi l’anziano deve diventare “l’attore
protagonista” del proprio processo di cura:
non deve essere considerato un peso
morto, ma un individuo coinvolto
attivamente nella propria riabilitazione.
Questo
permetterà
una
migliore
accettazione della malattia, allontanando
definitivamente l’idea di “quello che non c’è
più”, riscoprendo “quello che c’è ancora” e
iniziando quindi a stabilire una nuova
relazione.
Le visite dal medico
Bisogna cercare di mantenere le
proprie abitudini e i propri hobby
anche dopo una diagnosi di
demenza.
Man a mano che la malattia avanza,
spesso risulta difficile riuscire a
mantenere alcuni interessi. Bisogna
allora cercare di trovare delle attività
sostitutive, anche molto semplici,
che consentano all’anziano di
sviluppare e conservare le abilità
residue con benefici sia a livello
fisico che sull’autostima e sul
benessere personale.
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Sono d’aiuto anche le attività di
gruppo. Molti pazienti hanno travato
beneficio in tecniche espressive
come la musica e l’arte usati quali
stimoli rieducativi per stabilire una
valida interazione comunicativa o
ancor meglio tecniche quali la
reminescenza attraverso il materiale
fotografico per favorire l’espressione
verbale ed emotiva.
Creare
una
comunicazione
schema
con
un
di
anziano
affetto da demenza può essere
difficile,
ma
assolutamente
non
impossibile.
Bisogna
Nel tempo libero
costruire
un
ponte
di
comunicazione relazionale tra noi e
la nuova realtà che il paziente sta
vivendo.
È di vitale importanza capire i
sentimenti e le emozioni anche se
sono collocati lontano nel tempo. Si
tratta chiaramente di stabilire una
relazione empatica che consenta un
contatto molto profondo tra noi e
17
l’anziano.
Avendo spesso perso infatti la
capacità di comunicare attraverso il
linguaggio,
contatto
per
mantenere
diventano
il
strumenti
Le relazioni sociali.
In famiglia ed
extrafamiliari
18
La sera.
Quando si va a letto
Anche in questo caso non
scompensare le abitudini
dell’anziano,
cercando
quanto più è possibile di
mantenere la sua routine
e la sua indipendenza
(come accennato per il
risveglio).
Bisogna
però prestare
maggiore attenzione per
il malato di Alzheimer,
poiché la malattia può
portare a degli scompensi
nel ciclo di sonno –
veglia.
Questi sono solo consigli, anche molto sommari, perché ogni persona è diversa da un’altra, ogni
famiglia ha dei propri usi ed abitudini e dovreste essere voi con il vostro anziano a decidere cosa sia
meglio per lui, per il suo ed il vostro benessere.
19
Il ricovero nelle strutture residenziali
M
olto spesso può capitare che l’anziano demente non abbia una famiglia che possa dargli
sostegno o anche quando ci fosse, la situazione può essere talmente difficile da dover
ricorrere all’istituzionalizzazione (ricovero in casa di riposo o in altre strutture).
Il ricovero è spesso accompagnato da sensi di colpa da parte della famiglia che sente quasi di
abbandonare il proprio caro, ma spesso questa si rivela una scelta saggia e la migliore anche per
l’anziano. Certo che anche in questo caso si prendano i dovuti accorgimenti, perché al di là di tutto
abbandonare la propria casa è come perdere una parte di sé.
Tipi di strutture presenti nel territorio:

RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali): strutture riabilitative. Ospitano persone non
autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure
mediche di più specialisti e di una articolata assistenza sanitaria. La degenza deve essere solo di
breve periodo. Possono accogliere anche persone non anziane, di solito successivamente ad
un’esperienza di ospedalizzazione.
• RSSA (Residenze Sociosanitarie Assistenziali):
Erogano prevalentemente servizi socio assistenziali
ad anziani con età superiore ai 64 anni e con gravi
deficit psico fisici, che non necessitano di
prestazioni sanitarie complesse, ma richiedono un
alto grado di assistenza alla persona con interventi
di tipo assistenziale, che non sono in grado di
condurre una vita autonoma e le cui patologie, non
in fase acuta, non possono far prevedere che
limitati livelli di recuperabilità dell’autonomia e non
Otto Dix - “Portrait of parents”
possono essere assistite a domicilio.
… e semiresidenziali
N
20
ella situazioni in cui la famiglia o il care giver non possono provvedere nelle ore diurne alla
cura della persona affetta da demenza o Alzheimer, la stessa può essere inserita in strutture
a regime semi residenziale, predisposte ed attrezzate adeguatamente per la presa in carico
dell’utente.
La Regione Puglia ha legiferato l’istituzione di questi centri diurni socio educativi e riabilitativi (art. 60
ter R.R. 7/2010) attualmente in via di realizzazione nel territorio della provincia di Brindisi.
•
CENTRO DIURNO socio educativo e riabilitativo demenze ed Alzheimer
E’ una struttura socio sanitaria finalizzata all’accoglienza di soggetti in condizione di non
autosufficienza, che per il loro declino cognitivo e funzionale esprimono bisogni non sufficientemente
gestibili a domicilio per l’intero arco della giornata.
Il centro pianifica le attività diversificandole in base alle esigenze dell’utenza per un minimo di 3 fino
ad un massimo di 6 giorni settimanali per utente, in base a quanto definito nel PAI.
Le finalità del Centro sono le seguenti:
√ Controllare/contenere
il processo di deterioramento cognitivo ed i disturbi del
comportamento;
√ Mantenere il più a lungo possibile le capacità funzionali e socio relazionali;
√ Consentire il mantenimento dei soggetti a domicilio, ritardandone il ricovero in strutture
residenziali;
√ Aiutare la famiglia a comprendere l’evoluzione cronica delle malattie e supportare il care giver
rispetto alle attività del Centro;
√ Garantire il dialogo e la collaborazione con altri servizi sanitari e sociosanitari della rete.
Il Centro organizza il servizio di accoglienza, le attività di cura ed assistenza alla persona. Nello
specifico, a Brindisi il CD ha carattere sperimentale, soprattutto in base alle attività terapeutiche
erogate: terapia occupazionale, ROT, musicoterapia, memory training, arte terapia, terapia della
reminiscenza e della validazione, pet therapy, psicoterapia di supporto, stimolazione affettivo
emozionale, e terapie sperimentali tese alla riduzione dell’impiego di farmaci nella “cura”.
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Sindrome del primo mese
Intendiamo tutte quelle sindromi o
disturbi che insorgono nell’anziano a
seguito di un ricovero.
Possono risolversi automaticamente in
breve tempo o essere “curate” nelle
strutture.
Bisogna però prestare attenzione perché
se la sindrome persiste, l’anziano è
portato a vivere talmente male la sua
permanenza
da
velocizzare
l’invecchiamento fino anche alla morte.
Sono molto simili a quello che succede
quando elaboriamo un lutto: in questo
caso per l’anziano la perdita è in termini
di casa, famiglia e indipendenza.
Questo tipo di sindromi possono essere
ridotte con un buon processo di
familiarizzazione con la struttura, anche
prima del trasferimento.
Vincent Van Gogh - “Vecchio”
22
Impatto e processo di deterioramento
Lieve
Medio
Alto
23
Lieve, perché l’anziano stesso
si rende conto di aver bisogno
di aiuto.
L’impatto è a livello implicito.
L’impatto del ricovero è
estremamente
alto.
L’istituzionalizzazione è molto
sofferta.
Carta dei diritti del malato di Alzheimer
24
Pierre Auguste Renoire – “Gatto”
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A chi rivolgersi
Gruppo di lavoro aziendale ASL - BR per le malattie neuro degenerative
Referente per i servizi territoriali (Porta Unica d’Accesso)
Dott. Angelo CAMPANA
Referenti clinici
•
Dipartimento di salute mentale
Dott.ssa Patrizia SION
•
Unità operativa di neurologia – presidio ospedaliero A. Perrino
Dr.ssa Cecilia NOZZOLI
•
Unità operativa complessa – servizio pneumologico
Dr. Eugenio SABATO
Referente medico di medicina generale
Dr. Michele LISCO
Referente Distretto socio sanitario
Dr. Angelo GRECO
Referenti aziendali ASL Brindisi
•
Unità operativa – Rischio clinico
Dr. Walter DE NITTO
•
Direzione sanitaria con funzioni di coordinamento
Dr. Emanuele VINCI
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Gustav Klimt – “Abbraccio”
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