Logografia - Liceo Statale G. Carducci – Viareggio

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Logografia
storia/indagine
Compare nel panorama delle forme letterarie intorno all’inizio del V sec.a.C. e vede le sue prime
manifestazioni nella Ionia. Essa è, nelle sue prime fasi, logografia. I logografi scrivono in prosacomunque per una divulgazione ancora in massima parte destinata a pubbliche conferenze -con
contenuti nuovi e più ampi rispetto alla tradizione epica e lirica- rappresentati da storia, raccolte di
tradizioni mitiche e locali, etnografia, racconti di viaggi, geografia-, pur mantenendo la medesima
finalità dell’epica: conservare nella memoria collettiva il . A questo principio si ricollega
Erodoto iniziando la sua opera: “affinché gli avvenimenti umani con il tempo non si dissolvano
nella dimenticanza e le imprese grandi e meravigliose, compiute tanto dai Greci che dai barbari,
non rimangano senza gloria”.
Ecateo di Mileto 550-480 a.C.
Ecateo di Mileto dice così: “scrivo queste cose come mi sembrano vere, perché i discorsi dei Greci
mi sembrano molti e ridicoli”.
Polemica con la tradizione precedente (Omero, Esiodo)
Dalla logografia alla storia
Logografia e storia nascono da un’attitudine mentale nuova, sia per la diversa natura degli strumenti
comunicativi (prosa anziché poesia), che, soprattutto per l’atteggiamento critico-razionalista con il
quale si analizza la complessità del reale. In questa ottica anche il mito (Ecateo e Erodoto) viene
rivisitato in chiave razionalistica e comunque, con il passare del tempo, occuperà una posizione via
via meno rilevante. Il lento distaccarsi dalla tradizione poetica orale spiega la natura polimorfa del
logografo che è
storico, etnografo, geografo, narratore non sistematico. L’orizzonte delle
greche si amplia, la Grecia non è più la periferia dell’Oriente, nasce la consapevolezza della
centralità del che si oppone al 
Confronto con le antiche civiltà della scrittura: mentre il mondo orientale (cfr. civiltà egizia e
babilonese) tesaurizza la memoria storica con la finalità di glorificare il sovrano, la storiografia
greca è laica, nasce dalla libera osservazione degli eventi, non è portavoce di un potere costituito, è
fiduciosa nella possibilità di analizzare il reale, pur nella consapevolezza del punto di vista relativo
(cfr. Sofistica)
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Erodoto
Alicarnasso (Caria/Asia Minore)484 a.C.-Turi (Magna Grecia) post 430 a.C.
La famiglia di Erodoto fu esiliata per motivi politici durante le guerre persiane.
I viaggi di Erodoto (Egitto, Mesopotamia, Mar Nero, Mar Mediterraneo).
Alicarnasso entra nel 454 a.C. nella Lega ateniese.
Erodoto ha stretti rapporti con la città di Atene, è amico di Pericle e Sofocle e partecipa alla
fondazione della colonia di Turi (di cui si definisce cittadino nel prologo della sua opera), dove,
secondo la tradizione antica, morì e nella cui fu sepolto.
Storie
 : denominate in questo modo dai filologi alessandrini che le divisero in 9 libri, ciascuno
intitolato al nome di una Musa (Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia,
Urania, Calliope).
Libri I-V: ragioni dell’inimicizia tra Asia e Europa; progressiva espansione persiana (Lidia, Egitto,
Palestina, Scizia, Tracia, Colonie dell’Asia Minore.
Libri VI-IX: guerre persiane. Il racconto si conclude con la presa di Sesto sull’Ellesponto (478 a.C.)
da parte degli Ateniesi.
L’opera è destinata alla pubblica recitazione: chiari punti di sutura testimoniano la sua progressiva
formazione.
Il testo circolava anche attraverso la scrittura, ma si ignora se l’autore l’abbia mai pubblicata
integralmente.
L’unità di base delle storie erodotee è il , cioè una sezione omogenea, più o meno ampia,
riservata alla trattazione di un personaggio importante o alla descrizione di un popolo straniero. E’
probabilmente ad Atene che Erodoto comincia a ripensare i  alla luce di un progetto unitario
più ampio, che faceva convergere la precedente storia ellenica e del vicino Oriente, Egitto
compreso, verso il momento cruciale rappresentato dallo scontro decisivo tra Greci e Persiani, nel
quale gli Ateniesi si erano particolarmente distinti. Si assiste quindi ad una sorta di “conversione”
del lavoro, in cui gli interessi etnologici predominanti nella fase iniziale vengono man mano
sostituiti da un’analisi più propriamente storiografica.
Caratteri della storiografia erodotea
Erodoto : storiografo e antropologo
Il racconto di fatti e vicende è associato alla etnografia e alla geografia secondo uno schema
ricorrente che tratta la regione (confini, misure, fiumi etc.) e gli uomini (numero, archeologia come
storia del passato, consuetudini, etc.). L’excursus, spesso rappresentato da novelle, è una
caratteristica dell’opera di Erodoto. Gli storici successivi, a partire da Tucidide, eliminano questi
elementi, ritenendo degna d’indagine la sola storia politica. Per Erodoto  è “indagine” di
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tutto ciò che è degno di memoria e osservazione: in questo sta la ragione del suo procedere, oltre
che per “verticale”, anche per “orizzontale”. Benché erede del razionalismo ionico, egli non crede
che la storia sia determinata solo dai rapporti di forza tra stati (come sarà per Tucidide), ma è
convinto dell’esistenza di possenti e invisibili energie che si muovono dietro le cose umane (lui
stesso scrive che il dio è una forza sospettosa e sconvolgente,: si
potrebbe dire che siamo di fronte ad una sorta di “razionalismo religioso”. La divinità, espressa con
il neutro (cfr. Inno a Zeus dell’Agamennone), è parte integrante della storia umana, come
nell’epica, ma non e provvidenziale. Erodoto ricorre a idee della morale tradizionale come e
(cfr. Sofocle, suo amico). Accanto allo storico dalle idee tradizionali sta il curioso
indagatore per i fatti puramente umani: uno degli aspetti più interessanti (cfr.sofistica) è l’interesse
per il  e la concezione fortemente relativistica delle leggi e dei costumi, come prodotto
dell’evoluzione di società differenti.
“se noi chiedessimo a ciascun popolo quali sono i costumi () migliori, ciascuno direbbe,
dopo aver ben meditato, che sono i suoi”
Proemio
“

”.
“questa è l’esposizione che fa delle sue ricerche Erodoto di Turi, affinché gli avvenimenti umani
con il tempo non si dissolvano nella dimenticanza e le imprese grandi e meravigliose, compiute
tanto dai Greci che dai barbari, non rimangano senza gloria; tra l’altro, egli ricerca la ragione per
cui essi vennero in guerra tra loro”.
Erodoto propone una visione policentrica della storia, senza rigidità o dogmatismi, ma anche senza
rinunciare alla consapevolezza di appartenere all’ambiente culturale greco, di cui percepisce con
fierezza i valori e l’originalità.
Metodo
Il “metodo”, dichiarato dall’autore nell’opera, si articola in: 1) ()2) 3)
Tale “metodo” mostra evidenti limiti, come emerge peraltro dal linguaggio usato, che
spesso non è tecnico.
Lingua
Ionico letterario con forme omeriche e attiche queste ultime legate al pubblico ateniese. La lingua di
Erodoto è l’esempio più antico di prosa d’arte. La ricorrente composizione ad anello “tradisce” la
fruzione orale dell’opera, pur presupponendo essa una base scritta.
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Tucidide
Atene 460 a.C. ca
post 403 a.C.
Famiglia aristocratica. Nei primi anni della guerra è impegnato nell’attività politica e viene posto a
capo di una spedizione di soccorso in Tracia, dove la famiglia ha possedimenti e miniere. Il
contingente guidato da Tucidide arriva tardi ad Anfipoli , che cade (424 a.C); sebbene condannato
all’esilio, egli rimane ad Atene, escluso, però, dalla vita politica. Da questo momento si dedica alla
stesura della storia che narra gli eventi della guerra.
Le Storie o Guerra del Peloponneso
Tucidide scrive un resoconto storico della guerra del Peloponneso che ci è pervenuto in 8 libri; esso
inizia con un’ampia retrospettiva sulle cause remote e profonde del conflitto, ma non giunge fino
alla conclusione della guerra, interrompendosi al 411a.C. l’ultimo libro mostra significativi indizi di
una composizione non rielaborata: evidentemente l’opera è interrotta in seguito alla morte
dell’autore.
Libro I Proemio-“Archeologia”(storia greca fino alle guerre persiane)-excursus dal 478 a.C. (Sesto)
al 431 a.C.-delibera di guerra - demegoria di Pericle (esposizione della propria strategia in vista del
conflitto.
Libri II-III-IV-V (prima metà) 431 a.C.- 421 a.C. (Pace di Nicia).
Libro V (seconda metà) Dialogo dei Meli e degli Ateniesi- Eventi dal 421 a.C. al 415 a.C.
Libri VI VII Eventi dal 415 a.C. al 413 a.C. (Spedizione in Sicilia)
Libro VIII Colpo di stato oligarchico e ritorno di Alcibiade (Eventi del 412 a.C. - 411 a.C.)
L’opera si interrompe con la vittoria ateniese nello stretto tra Sesto e Abido
Alla conclusione del racconto tucidideo si riallaccia l’inizio delle Elleniche di Senofonte ed è una
suggestiva ipotesi moderna che la parte finale delle Storie, da Tucidide appena abbozzata, sia stata
pubblicata per iniziativa di Senofonte e poi aggregata dalla tradizione alle sue Elleniche.
La storia di Tucidide rappresenta la prima opera storiografica nel senso moderno del termine, cioè
narrazione critica di un evento circoscritto nel tempo e nello spazio (la guerra del Peloponneso), in
cui l’autore si propone di illuminare in modo razionale i moventi, le cause, gli sviluppi, dopo aver
vagliato tutte le testimonianze atte a sostenere la sua interpretazione. Erodoto aveva affermato che
lo scopo della sua ricerca (era di trasmettere le imprese grandi e meravigliose; in Tucidide
il “meraviglioso” cade al di fuori degli interessi storiografici. Ora la storia è uno un
possesso per l’eternità, cioè un testo destinato “coloro che vogliono indagare la verità delle cose
passate e di quelle che si verificheranno in futuro in modo simile, secondo le norme dell’agire
umano I,22”. Tale dichiarazione è in aperta polemica con la storiografia come quella di Erodoto,
destinata a pubbliche esecuzioni e rivolta a un generico e composito uditorio. L’opera di Tucidide è
destinata alla lettura, costituisce un libro scritto per un pubblico specializzato di persone colte e
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illuminate, legate a quell’ambiente di aristocratici moderati, esperti di politica e interessati a
riflettere sull’evento che Tucidide considerava fondamentale per la storia contemporanea: lo scontro
tra la democrazia imperialistica ateniese e il tradizionale sistema oligarchico spartano. Tucidide
analizza con precisione scientifica la democrazia della di Atene e descrive una guerra, cioè il
momento in cui l’uomo mostra la sua faccia peggiore. Consapevole del fatto che la guerra ha
sovvertito ogni costume e non illudendosi certo sulla naturale bontà del genere umano, riesce a
cogliere le linee guida della storia greca, in particolare il carattere destabilizzante della democrazia
ateniese, per la quale non esiste possibilità di compromesso: o abbattere gli avversari e imporsi su di
loro come potenza egemone, oppure finire travolta (peccato e ragion d’essere del regime
democratico) (cfr. Favola dello sparviero e dell’usignolo). Per quanto, come ogni storico, pretenda
di essere imparziale, Tucidide è necessariamente orientato secondo l’ottica del pubblico cui si
rivolge: la prospettiva dell’ateniese moderato, contrario allo strapotere del con il quale
tuttavia è costretto a venire a patti.
Dal “razionalismo religioso” di Erodoto al laicismo di Tucidide
Storie I,76 è sempre stata una norma che il più debole sia assoggettato al più forte. Tale regola è
innata nella natura umana, che giustifica i più profondi impulsi dell’azione (cfr. Sofistica, cfr.
Euripide) La storia tucididea è antropocentrica, studia scientificamente i procedimenti che
inducono un gruppo umano a operare allo scopo di prevalere con ogni mezzo, e al di là di ogni
considerazione etica, sugli avversari (vedi Dialogo dei Meli e degli Ateniesi). L’insegnamento
sofistico è presente in modo massiccio nell’opera di Tucidide: l’uomo e le sue azioni al centro della
storia, l’attenzione rivolta a decifrare le leggi profonde della natura umana, l’importanza attribuita
alle arti politiche. Tucidide bandisce la concezione ciclica del tempo e accoglie l’antropologia dei
filosofi e dei sofisti contemporanei: l’essenza della storia è il progresso da un’età debole, selvaggia,
incivile, sino al presente in cui le risorse accumulate dai Greci hanno prodotto una tale
concentrazione di forze da fare di questa guerra un evento di importanza mondiale. L’eredità
dell’insegnamento sofistico è evidente anche nella grande fiducia nella capacità di persuadere con la
parola, fiducia che si esprime nel tipico schema tucidideo del “discorso”. I discorsi, in genere
inseriti in forma antitetica, ricorrono in tutta l’opera (tranne nell’incompleto ultimo libro). Lo
storico afferma che essi corrispondono all’incirca a quelli realmente tenuti dai personaggi, solo
modificati sulla base del “verosimile” (); in questo elemento si apre lo spazio per far filtrare
nell’oggettività della vicenda la soggettività dell’autore. Si tratta di discorsi solo in un certo senso
fittizi, poiché trasmettono in modo plausibile i termini del dibattito politico o militare, in forma
“teatrale”, secondo la tradizione tecnica dell’agone di parole. L’opera di Tucidide rivela la
familiarità dell’autore con i più vitali movimenti della cultura e delle scienze contemporanee;
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l’accurata descrizione dell’epidemia di peste in Atene dimostra una perfetta conoscenza degli studi
e della letteratura medica della sua epoca.
La storia di Tucidide non si risolve in una mera vicenda di più o meno stabili equilibri di potere,
poiché a determinare il corso degli eventi intervengono altri elementi sui quali l’indagine dello
storico si sofferma proprio con lo spirito del medico che si accinge a stilare una diagnosi: primo fra
essi è la (l’imponderabile)(cfr. in Erodoto) che interviene a sovvertire anche i
progetti meglio concepiti, poi le energie elementari (bramosia di potere e ricchezza, paura, odio
etc.) che impediscono agli uomini di individuare la migliore linea di condotta. Tucidide è il “primo
grande psicolgo di massa”. (cfr. Euripide, Menandro, Ellenismo).
Stile
Linguaggio complesso, ipotattico, denso, talvolta artificioso (tipico prodotto di una destinazione
scritta a cui risulta estranea la facile vana della composizione orale), capace di analizzare e
descrivere con penetrante lucidità ogni tipo di evento.
Tucidide risultò immediatamente un punto di riferimento ineludibile per gli storici delle generazioni
successive, anche se l’impostazione rigorosamente selettiva del modello tucidideo, concentrato
sugli aspetti politici e militari, si rivela problematica per i tempi nuovi.
La storiografia ellenistica
Con l’epoca di Alessandro la storiografia inizia una nuova fase. Gli orizzonti geografici e mentali
degli scrittori si ampliano, tra il III ed il II se.a.C. comincia la rapida ascesa di un’altra potenza
imperialistica dopo la Macedonia, Roma. Dal microcosmo della polis a imperi di dimensioni
continentali, dalla supremazia greca a quella di un popolo “barbaro”: in tale quadro ambientale la
storiografia greca elabora nuove tendenze, tenendo però sempre presenti i grandi modelli del
passato. La figura gigantesca di Alessandro diventa oggetto di narrazione per gli storici a lui
contemporanei, che connotano la sua persona con tratti leggendari; d’altra parte già in Senofonte
compaiono personaggi carismatici, ritratti come veri e propri leaders (Ciro della Ciropedia o
l’Agesilao), che costituiscono proprio la transizione verso le nuove forme del genere. Dopo la crisi
definitiva della polis, la vita politica risulta accentrata nelle mani dei sovrani ellenistici: la nuova
storiografia nasce nell’ambiente di corte e, come tale, è soggetta alle sue regole ed è contrassegnata
da rapporti di amicizia che sussistono tra il re ed il suo seguito. E’ quindi una storiografia
fondamentalmente tendenziosa, che manifesta un chiaro interesse per il meraviglioso (ritroviamo
l’approccio etnografico che era già stato di Erodono, concretizzato in numerosi excursus narrativi.
Quest’epoca -e gli storici di Alessandro nello specifico- rivela una maggiore propensione ad
ammettere l’elemento romanzesco nel racconto storico, con un più ampio respiro rispetto a
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Senofonte. Nella prima età ellenistica troviamo traccia di un modo di scrivere la storia che è stato
definito “tragico”, per la tendenza a creare scene vivide, patetiche, in grado di suscitare pietà e
paura, paragonabili a chi assiste ad una rappresentazione drammatica. Tale tecnica è presente anche
in Erodono e Tucidide, ma ora è portata alle estreme conseguenze. Non sappiamo se questo
indirizzo, che trapianta sulla storia finalità e mezzi espressivi propri della poesia, vada interpretato
nei termini di una consapevole opposizione rispetto alla prassi storiografica, oppure come una
semplice tendenza stilistica da ricollegare al gusto per il romanzesco che andava affermandosi nelle
opere dei primi storici di Alessandro.
Polibio
Nasce a Megalopoli in Arcadia intorno al 200 a.C., figlio di Licorta, personaggio di primo piano
della Lega achea, grande alleanza politica del III a.C. Dotato di una buona formazione culturale non
solo letteraria ma soprattutto tecnica (tattica militare, geografia, matematica), indispensabile per la
carriera politica, comincia giovanissimo a partecipare alla vita politica della Lega. Nel 169 a.C.
viene eletto ipparco, la carica più importante insieme a quella di stratego. Il 168 a.C. costituisce
l’anno decisivo della sua biografia: in seguito alla vittoria a Pidna del console Lucio Emilio Paolo
contro il re Perseo di Macedonia, nelle città della Lega prese il sopravvento la fazione filoromana e
mille esponenti politici di rilievo, tra cui Polibio, vennero condotti a Roma per giustificarsi di fronte
al senato della loro posizione avversa a Roma. Il processo non si celebrò mai e Polibio ottenne la
protezione della cerchia politicamente più influente e culturalmente più avanzata dell’aristocrazia
romana che faceva capo alla famiglia degli Scipioni. Ebbe un trattamento riservato e da quel
momento l’amicizia e la collaborazione politica tra Scipione Emiliano e Polibio divennero sempre
più strette, tanto che lo storico seguì il suo protettore nelle missioni più importanti. Per qualche
tempo, dopo la distruzione di Corinto nel 146 a.C., Polibio tornò in patria, dove si impegnò per una
mediazione tesa a far accettare la presenza dei dominatori romani e a ottenere migliori condizioni
per i Greci vinti. Nel contempo maturò il progetto delle Storie, la grande opera storiografica che lo
impegnò per tutta la vita e che passò attraversopiù fasi di elaborazione e successivi ampliamenti.
Morì in tarda età, intorno al 120 a.C.
Le Storie
Polibio concepì inizialmente il progetto di narrare in 29 libri il cinquantennio compreso tra l’inizio
della seconda guerra punica e la terza guerra macedonia (220-168 a.C.) il primo e il secondo libro
sono una sorta di introduzione: dopo il proemio e l’annuncio del tema, sono esposti in forma di
riassunto gli eventi dal 264 a.C., l’anno dell’inizio della prima guerra punica (Polibio si ricollegava
così alla conclusione delle Storie di Timeo di Tauromenio), al 220 a.C. I libri 3,4 e 5 descrivono
gli avvenimenti dall’inizio della II guerra punica al 216 a.C. (battaglia di Canne). Il libro 6 è
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occupato dall’analisi della costituzione romana. Con il libro 7 inizia una trattazione di tipo
annalistico, che riporta gli eventi in occidente e in Oriente ordinati cronologicamente per Olimpiadi.
Polibio si propone di illustrare le ragioni che hanno portato Roma a dominare il mondo e compie
un’analisi teorica sulle cause profonde di questo processo
e sul suo carattere inevitabile.
Limportanza degli eventi successivi indusse Polibio ad ampliare il progetto originale, proseguendo
la narrazione fino al 144 a.C. (libri 30-40), includendola distruzione di Cartagine e quella di
Numanzia. Delle Storie conserviamo i primi 5 libri per intero, ampi estratti dai libri 6-18 e
frammento degli altri; perduta la monografia su Numanzia. In età giovanile Lo storico compone un
trattato di tattica citato nell’opera maggiore.
Polibio definisce la propria opera intendendo con questo termine una storia
di carattere politico-militare, rivolta ad analizzare la realtà contemporanea e non le vicende di un
remoto passato, e basata sull’esperienza diretta di chi scrive, in aperta contrapposizione agli storici
che trattavano prevalentemente argomenti genealogici, antiquari ed etnografici. La storia
pragmatica, per Polibio, comprende tre parti: lo studio accurato dei documenti e delle memorie,
l’osservazione diretta dei luoghi e degli eventi e l’esperienza della politica. L’utilità della storia è
definita da Polibio come un insegnamento di politica e arte militare. Forte anche l’impronta
geoetnografica, dovuta al grande teatro nel quale si svolgono i fatti, il bacino del Mediterraneo.
Polibio si propone come tecnico e si rivolge ad un pubblico esperto ed interessato.
Polibio è il più teorico tra gli storici greci, polemizza spesso con i suoi predecessori (Teopompo,
Filarco e Timeo), tuttavia dal punto di vista della teoria storiografica non è originale. L’impianto è
tucidideo: distinzione tra cause prossime e remote, storia non per diletto ma per insegnamento,
interesse la storia politico-militare. La storia è insegnamento e il lettore implicito è colui che è
desideroso di apprendere. Non manca uno spazio per l’elemento irrazionale, la sorte che a volte si
insinua in una storia per il resto esclusivamente umana, divinità cieca ed onnipotente che sembra
dominare la religiosità ellenistica.
Storie I,4 “Il carattere peculiare della nostra opera dipende da quello che è il fatto più straordinario
dei nostri tempi: poichè la Sorte rivolse in un’unica direzionele vicende di quasi tutta la terra
abitata, e tutte le costrinse a piegare a un solo e unico fine, bisogna che lo storico raccolga per i
lettori in una unitaria visione d’insieme il vario operato con cui la sorte portò a compimento le cose
del mondo”. Quindi si comprende bene che è la natura specifica degli avvenimenti del
cinquantennio tra la seconda guerra punica e la fine dll’autonomia politica in Grecia, e non un
nuovo “metodo”, a rendere organico e complessivamente unitario il discorso storico.
Il libri VI, la più importante tra le digressioni polibiane, illustra le istituzioni politiche di Roma in
rapporto a una più generale teoria delle costituzioni. polibio distingue tre forme di governo primarie
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(regno, aristocrazia e democrazia), e le rispettive degenerazioni (tirannide, oligarchia, oclocrazia):
la costituazione “mista”, che riunisce le caratteristiche migliori di ciascuna forma di governo,
rappresenta un momento di ideale perfezione e di immobilismo costituzionale, poiché l’evoluzione
politica è vista come portatrice di confusione e disordine. Polibio delinea quindi il “ciclo”
(nel quale le forme di governo principali, e le relative degenerazioni, sono destinate
a succedersi l’una all’altra secondo un processo naturale () e inevitabile; questo ciclo
riproduce il ritmo biologico degli uomini, cioè nascita, maturità (, declino. alla luce di questo
modello generale il governo di Roma appare come un esempio riuscito di costituzione mista, in
grado di sopportare i rovesci della sorte. Polibio, senza essere pensatore autonomo, da uomo
politico e d’azione fornisce alla sua storia un supporto teorico rispettoso della tradizione del
pensiero filosofico e politico, tipico delle classi elevate. esporre le basi del potere romano e le
ragioni del suo successo implica il tentativo di renderlo accettabile al mondo greco, mostrando che è
inevitabile e legittimo (in quanto si appoggia a una costituzione superiore), addirittura auspicabile.
All’insegnamento di politica e di strategia che lo storico pragmatico fornisce ai suoi lettori esperti si
sovrappone un concreto messaggio da inviare ai propri connazionali. Polibio comprende che Roma
è il fulcro della storia futura, e che essa è destinata a conservare a lungo il potere sul mondo
mediterraneo, consapevole che per i Greci la salvezza consiste ormai nell’aderire all’ideologia dei
nuovi dominatori. Polibio è il primo intellettuale greco che si pone organicamente al servizio di
Roma, non con rassegnata accettazione, ma con attivo collaborazionismo a fianco dei dominatori,
inaugurando quella stretta alleanza tra ceto dominante romano e classe intellettuale greca destinata a
costituire la base della civiltà per tutta l’epoca antica. Polibio è il primo storico greco che pone
sistematicamente al centro della sua riflessione un mondo estraneo al proprio, un mondo di
“barbari”, quello romani, non dei barbari da civilizzare, ma uno stato organizzato in modo nuovo,
un fenomeno politico unico nella storia dell’uomo, di cui egli comprende la portata
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