POLIBIO (Megalopoli, ca. 206-200 a.C. - Grecia 124 a.C.) All'epoca di Polibio Megalopoli, la sua città natale, capitale dell'Arcadia, era il centro più importante della Lega Achea, costituitasi in funzione antimacedone (come la rivale Lega Etolica) nel 280 a.C. Egli era per tradizione familiare fra i più eminenti esponenti di tale organismo, essendo figlio di Licorta, stratega (cioè comandante in capo) della Lega; Polibio svolse il ruolo di ipparco, ovvero capo della cavalleria, secondo in grado delle forze armate. La sua carriera politica in Grecia fu stroncata dalle conseguenze della battaglia di Pidna (168 a.C.) con la quale il console Lucio Emilio Paolo cancellò la Macedonia di Perseo dal novero delle potenze dell'epoca. Non è semplice comprendere il motivo per cui i sospetti dei Romani caddero su di lui: la Lega, infatti, si era profondamente divisa al suo interno al momento dello scontro dei Romani contro i Macedoni, ed il partito di maggioranza aveva finito per schierarsi al fianco dell'antico nemico macedone per far fronte comune contro lo strapotere dei Romani; tuttavia questo atteggiamento non era stato fatto proprio da Licorta e da Polibio, per cui può sorprendere che egli sia stato incluso nella lista dei mille nobili achei che nel 166 a.C. furono inviati quali ostaggi a Roma. Di tutto questo si è occupato il grande storico Fustel de Coulanges nella sua monumentale tesi di laurea del 1858 (Polibio ovvero la Grecia conquistata dai Romani): dai suoi studi Polibio risulta essere, come suo padre, dirigente di quello che potremmo definire "partito della neutralità", ed è facile concluderne che proprio questo atteggiamento ambiguo durante la guerra abbia attirato i sospetti dei Romani. A Roma Polibio rimase per diciassette anni, ma ben presto fu scarcerato in ragione della sua vasta cultura ed ammesso nei più rinomati salotti, in particolare in quello di Emilio Paolo, amico e "rivale" degli Scipioni, che gli affidò l'educazione dei figli, il minore dei quali fu poi adottato da Scipione e cambiò nome in Scipione Emiliano (detto Africano Minore). Il timidissimo ragazzo, nel quale la famiglia riponeva ben poche aspettative, rivelò ben presto una personalità molto decisa, pretendendo le attenzioni del maestro, al quale, come ci racconta lo stesso Polibio, rinfacciò "diventando tutto rosso" di occuparsi quasi solo del fratello maggiore. Ne nacque un'amicizia destinata a durare per tutta la breve vita dell'Emiliano (che morirà nel 129 a.C. a soli trentasei anni), rispetto al quale l'antico maestro si improvviserà "giornalista al seguito", seguendolo sui campi di battaglia e registrandone le imprese. L'amicizia degli Scipioni permise a Polibio frequenti viaggi in Italia, Gallia, Spagna. Fu anche in Spagna (Plinio, Naturalis historia, V, 9) al seguito di Scipione nel 134 a.C. nella guerra di Numanzia. Per intercessione di Scipione, nel 150 a.C. Polibio ottenne di ritornare in Grecia, ma già l'anno successivo era in Africa a fianco del suo amico e nel 146 a.C. assistette alla caduta di Cartagine, che in seguito descrisse. Nello stesso anno Corinto fu distrutta dal console Lucio Mummio: Polibio fu profondamente colpito da questo che si può considerare il primo vero e proprio atto di imperialismo romano, non essendo giustificato da alcuna necessità difensiva; ritornò quindi in Grecia e usò le sue conoscenze a Roma per rendere meno gravose le condizioni della Grecia sottomessa. Gli fu anche affidato il compito di riorganizzare le città greche sotto la nuova forma di governo e per quest'opera di legislatore ed interprete delle leggi si guadagnò le più alte considerazioni, tanto che gli furono erette statue. Questo suo generoso sforzo di mediazione lo portò talora ad eccedere con le richieste in favore dei Greci, tanto che Catone il Censore ebbe a dire di lui, con ironia, che egli si comportava come Ulisse che, salvatosi dalla grotta del Ciclope, torna indietro per recuperare la cintura e il berretto (Plutarco, Cato Maior 9, 2-3). Gli anni successivi li trascorse a Roma, impegnato nel completamento del suo lavoro storico, affrontando lunghi viaggi nelle terre bagnate dal Mediterraneo che interessavano le sue Storie, soprattutto con l'obiettivo di ottenere informazioni di prima mano. Alla morte del suo grande amico Scipione ritornò in Grecia. La sua indomita energia lo portò a morire, all'età di 82 anni, per una caduta da cavallo. Le "Storie" di Polibio Sul piano originario dell'opera esistono due ipotesi: l) Antianalitica o unitaria (Erbse): Polibio avrebbe concepito fin dal primo momento (e cioé non prima del 144 a.C.) il piano delle "Storie" così com'è, dal 264 al 144 a.C., scrivendo la sua opera tutta in una volta; 2) Analitica (Canfora ed altri): Polibio avrebbe avuto come programma originario né più né meno quello che dichiara all'inizio delle "Storie" (proemio), e cioè il periodo 220-168 a.C. (i cinquantatré anni che cambiarono il mondo); solo in seguito avrebbe ampliato il piano. Dunque la data di composizione non può essere indicata con certezza, poiché la stesura dell'opera si articolò attraverso diverse fasi. Di sicuro si può dire soltanto che la prima di queste fasi è posteriore al 168 a.C. I 40 libri delle "Storie" contenevano la seguente materia (che conosciamo mediante estratti, a parte i primi 5 libri, che ci sono giunti per intero): (1) Libri 1-2: proemio contenente l'esposizione dei princìpi del metodo storiografico polibiano; fatti dal 264 (scoppio della prima guerra punica) al 220 (prodromi della seconda), esposti in maniera sintetica. Libri 3-5: fatti fino al 216 (battaglia di Canne), esposti molto dettagliatamente (tre libri per quattro anni). Libro 6: excursus sulla teoria delle costituzioni. Libri 7-11: fatti successivi a Canne. Di qui in poi Polibio adotta una specie di metodo annalistico, dedicando un libro a un'Olimpiade (lasso di tempo di quattro anni) o a mezza Olimpiade (lasso di tempo di due anni). Libro 12: excursus polemico sugli storici precedenti e in particolare su Timeo di Tauromenio. Libri 13-39: fatti storici fino al 144, esposti sempre con lo stesso metodo, ma con maggiore spazio riservato ai fatti più recenti (libri 30-39). Il libro 34 conteneva un excursus geografico. Libro 40: rassegna cronologica. Si noti che, in un certo senso, l'opera non finiva qui: Cicerone ci informa di una monografia polibiana sulla guerra di Numanzia che portava il racconto fino al 133 a.C. (1) Gli estratti che leggiamo sono i seguenti: libri 1-16 e l8, contenuti nel codice Vaticanus Urbinas; libri 18-39, negli "Excerpta historica" curati dall'imperatore Costantino VII Porfirogenito (X d.C.). Il metodo storiografico polibiano La storiografia per Polibio (cfr. proemio) dev'essere: 1) Pragmatica, ossia riguardante esclusivamente praégmata, fatti politico-militari (non miti, favole, aneddoti o simili); egli definisce infatti la sua opera storiografica pragmateòa. 2) Utile e non dilettevole: il fine è la w\feéleia, non la teéryiv; la storia è maestra di vita (purché si sappia risalire alle cause degli avvenimenti). 3) Universale (o$lh - kajoélou), e dunque non monografica. 4) Organica (swmatoeidhév), cioè fornita di un centro unificatore al quale si possano ricondurre tutti gli eventi narrati. 5) Attendibile e documentata: basata se possibile sull'au\toyòa, nutrita di esperienza politica diretta, o quanto meno fondata su un vaglio accurato delle fonti scritte. Polibio rivendica puntigliosamente la propria originalità; in realtà è debitore dei suoi predecessori quasi in tutto: 1) Deriva la terminologia storiografica da Tucidide, che si picca di correggere, perché a suo parere è impreciso. Tuttavia spesso banalizza il precedente. 2) Deriva l'impostazione cronologica per Olimpiadi da Timeo, al quale pure non risparmia aspre critiche. 3) Deriva la teoria dei tre tipi di costituzione e della mikthè politeòa (libro 6°) da Aristotele, che a sua volta la eredita da Erodoto, Tucidide e Platone. Autenticamente polibiana pare essere soltanto la teoria della a\nakuéklwsiv, che però qualche critico fa risalire a fonti pitagoriche. 4) Il suo metodo storiografico, basato sui princìpi sopra sintetizzati, non è affatto originale come egli pretende: a. la storiografia universale era già stata tentata da Eforo e, in parte, da Teopompo; b. la necessità di rendere organica l'opera storiografica era già stata avvertita da Eforo, che aveva tentato di risolvere il problema a modo suo. In ogni caso tale problema non viene affatto risolto da Polibio; infatti egli: - ripete l'errore da più parti contestato a Tucidide, ossia quello di spezzettare i fatti per seguirne lo sviluppo sincronico nelle diverse aree geografiche; - crede che l'organicità risieda nei fatti, anziché nella interpretazione di questi. Probabilmente il problema veniva risolto dal geniale Posidonio, il filosofo della Stoà di Mezzo, che vedeva nella storia la realizzazione del progetto di fratellanza universale del Logos (e creava così una “filosofia della storia”). c. la concezione della storia come maestra di vita non è sua, ma di Tucidide, che tuttavia la intendeva in modo molto meno rigido e meccanico; a Polibio sfugge totalmente la complessità del discorso tucidideo sui moventi universalmente umani, che costituiscono per Tucidide l'elemento ripetibile, e quindi scientificamente studiabile, della storia. Rivelatrice di questa incomprensione è la critica polibiana all'uso del discorso diretto non vero, bensì verosimile, di cui Tucidide si serve proprio per mettere in luce i moventi umani profondi dei fatti storici: secondo Polibio i discorsi diretti devono invece essere rigorosamente aderenti alle parole effettivamente pronunciate. E' interessante notare, comunque, che per gli sviluppi posteriori della storiografia Polibio risulta essere ben più importante di Tucidide, tanto da costituire un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli storiografi successivi. I punti su cui Polibio entra direttamente in polemica con i suoi predecessori sono i seguenti: 1) Questioni terminologiche: polemizza in particolare con Tucidide, che a suo parere confonde ai\tòa e proéfasiv, usando i due termini indifferentemente. Polibio invece adotta una terminologia rigorosa: proéfasiv = causa occasionale; ai\tòa = causa profonda; a\rché = occasione materiale che dà inizio ad un evento storico. 2) Questioni di ripartizione cronologica: polemizza di nuovo con Tucidide e il suo metodo annalistico, che spezzetta i fatti. Finisce tuttavia per adottare il sistema per Olimpiadi, pressoché analogo, del tanto criticato Timeo. 3) Questioni di metodo storiografico: in particolare: a. Poiché la storia dev'essere pragmatica ed utile, non dilettevole, Polibio entra in aperta polemica con tutti coloro che tentano di rendere "divertente" o appassionante la storia, ed in particolare con l'indirizzo storiografico "tragico" (Duride e Filarco); b. Poiché la storia dev'essere attendibile, Polibio polemizza con Tucidide, "colpevole" di falsificazione storica con i suoi discorsi diretti inventati; polemizza altresì con Timeo (nel 12° libro), di nuovo sull'uso del discorso diretto, ed inoltre perché lo considera incompetente e in malafede; c. Poiché la storia dev'essere universale, è evidente che va rigettata a priori la forma monografica; Polibio polemizza dunque con tutti quelli che l'hanno adottata, a cominciare da Tucidide che ne è l'inventore (libro 29°); stronca per lo stesso motivo Teopompo (8° libro), che era stato autore anche di monografie; critica anche Eforo, che pure stima: egli infatti ha scritto, sì, una "storia universale", ma sbilanciata verso i fatti contemporanei, sì da costituire in realtà una monografia. (Si noti a tale proposito che l'impostazione originaria data da Polibio alle sue "Storie", trattando di soli 53 anni, è in sé monografica e di stampo pienamente tucidideo; senza contare che Polibio scrisse una monografia sulla guerra di Numanzia); d. Poiché la storia dev'essere organica e unitaria, Polibio polemizza con: Tucidide e il suo metodo annalistico, che frantuma gli eventi per seguirne la simultaneità in diversi luoghi, rendendone poco intellegibile lo sviluppo organico (la critica è condivisa da Dionigi di Alicarnasso); Teopompo, che si è illuso di aver trovato un centro unificatore in Filippo di Macedonia, ma facendo ciò è ricaduto nella monografia; Eforo, che crede di aver risolto il problema ripartendo i fatti per "temi", ma che, così facendo, ha costruito semplicemente un "collage" di monografie senza un centro unificatore. Il suo errore, secondo Polibio, sta nel non aver capito che non tutti i periodi storici si prestano ad essere raccontati organicamente. Abbiamo qui a che fare con una delle più sorprendenti convinzioni storiografiche polibiane: quella della organicità in rebus ipsis. Secondo tale concezione, la storia può essere raccontata organicamente solo se è in sé organica: in altre parole, se e solo se il caso (Tuéch) fa sì che gli eventi si intreccino fra di loro in nessi di reciproca interdipendenza e tendano ad un unico scopo: il che, secondo Polibio, si è realizzato finora solo nel periodo della grande espansione romana nel Mediterraneo. Solo chi, come Polibio, si sia trovato ad assistere a questo fenomeno può farsene interprete tramite l’opera storiografica. L’organicità del racconto non dipende perciò solo dallo storico, ma anche e soprattutto da come si articolano i fatti stessi. Ed è ingenuo credere di risolvere il problema adottando la forma monografica: il difficile sta proprio nel conciliare universalità della prospettiva e organicità del racconto storico. In questo Polibio ritiene consista l’eccezionalità della propria opera.