Disturbo di attenzione e iperattività
Mappa unità 11
Disturbo di attenzione
e iperattività
disturbo evolutivo
dell’autocontrollo
triade sintomatologica
(DSM-IV, 1996)
modello tridimensionale
(Fedeli, 2008)
strumenti per la
diagnosi
1.disattenzione
2.iperattività
3.impulsività
interviste cliniche
questionari (rating-scale)
osservazione comportamentale
test cognitivo-neuropsicologici
linee-guida
training comportamentale
e cognitivo-comportamentale
terapia combinata
1. deficit di inibizione cognitiva
2. limitato orientamento e
persistenza nel compito
3. deficit di controllo motorio
intervento
parent training
farmacologico
(metilfenidato)
2
Definizione e classificazione
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività, (DDAI), conosciuto anche con
l’acronimo inglese ADHD (Attention Deficit Hiperactivity Disorder), è un
disturbo evolutivo dell’autocontrollo di origine neurobiologica, che
interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo
svolgimento delle comuni attività quotidiane, come andare a scuola, giocare
con i coetanei, convivere serenamente con i genitori e, in generale, inserirsi
normalmente nella società (Marzocchi, 2003).
È caratterizzato da aspetti diffusi e problematici che riguardano sia l’area dei
comportamenti, sia l’area cognitiva, influendo pesantemente sugli
apprendimenti scolastici.
Esso include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi
e del livello di attività. Questi problemi derivano sostanzialmente
dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione
del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste
dell’ambiente.
3
Disfunzione cerebrale minima?
Si comincia a parlare per la prima volta di DDAI agli inizi del 1900, dopo la
pubblicazione sull’autorevole rivista medica Lancet di alcune osservazioni
compiute da un medico inglese, G.F. Still, su un gruppo di bambini fortemente
disturbati, ipercinetici, irrefrenabili, che egli giudicava affetti da una turba
neuropsichiatrica organica.
Il salto logico che questi studiosi operarono fu che, dal momento che alcuni
tipi di lesione cerebrale potevano causare iperattività, allora tutti i casi di
iperattività dovevano originare da danni cerebrali, anche quando di essi non vi
era traccia. Per spiegare un disturbo per il quale non era possibile risalire ad
un danno al cervello, si ricorse alla definizione di “disfunzione cerebrale
minima”.
Nel 1952 comparve la prima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali (DSM), pubblicato dall’American Psychiatric Association,
all’interno del quale erano previste due sole categorie dei disturbi psichiatrici
infantili: la Schizofrenia e il Disturbo di adattamento.
4
Dal DSM II (1969) al DSM III-R (1987)
Solo nella seconda edizione del DSM, nel 1968, si tentò di descrivere un insieme di
sintomi che, ad una lettura attuale, ricordano quelli del DDAI: l’etichetta
diagnostica per questi sintomi era “reazione ipercinetica” del bambino. La scelta di
questo termine enfatizzava l’importanza dell’aspetto motorio a scapito di quello
cognitivo.
Nell’edizione successiva del manuale, il DSM-III (1980), comparve l’espressione
diagnostica “disturbo da deficit di attenzione”. Tale cambiamento nosografico
presupponeva un mutamento nella lettura della sindrome, di cui si sottolineava la
centralità degli aspetti cognitivi rispetto a quelli motori e comportamentali.
Con la pubblicazione dell’edizione riveduta del DSM III- R (1987), che introdusse
la definizione “disturbo da deficit di attenzione/iperattività”, diventò la sindrome
più studiata al mondo: si stima, infatti, che nel secolo scorso siano stati pubblicati
oltre 6.000 interventi tra articoli scientifici, saggi e manuali.
Parallelamente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità classificò il disturbo prima
come “sindrome ipercinetica” (ICD-9, 1978) e successivamente come “disturbo
ipercinetico” (ICD-10, 1992).
5
DSM-IV-TR (2000) 1
La più recente descrizione nosografia è contenuta nel DSM-IV-TR (2000) che
così sintetizza i sintomi e i criteri diagnostici del Disturbo da deficit di
attenzione/iperattività:
«A. Presenza di:
(1) Sei (o più) dei seguenti sintomi sintomi di disattenzione che persistano per almeno 6
mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di
sviluppo:
a) spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di disattenzione nei
compiti a scuola, sul lavoro, o in altre attività;
b) spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco;
c) spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente;
d) spesso non segue completamente le istruzioni e incontra difficoltà nel terminare i
compiti a scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (e ciò non è dovuto a
comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione);
e) spesso ha difficoltà ad organizzare compiti o attività varie;
f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono
sforzo mentale sostenuto (es. compiti a casa o a scuola);
g) spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti
assegnati, matite, libri, ecc.);
h) spesso è facilmente distratto da stimoli esterni;
6
i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
DSM-IV-TR (2000) 2
(2) Sei (o più) dei seguenti sintomi di iperattività-impulsività che persistono per
almeno 6 mesi ad un grado che sia disadattivo e inappropriato secondo il livello di
sviluppo:
Iperattività
a) spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola;
b) spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga
seduto;
c) spesso corre in giro o si arrampica eccessivamente in situazioni in cui non è
appropriato (in adolescenti o adulti può essere limitato a una sensazione
soggettiva di irrequietezza);
d) spesso ha difficoltà a giocare o a impegnarsi in attività tranquille in modo
quieto;
e) è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse spinto “da un motorino”;
f) spesso parla eccessivamente.
7
DSM-IV-TR (2000) 3
Impulsività
g) spesso spara delle risposte prima che venga completata la domanda;
h) spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno;
i) spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es.
irrompe nei giochi o nelle conversazioni degli altri)
B. I sintomi iperattivi-impulsivi o di disattenzione che causano le difficoltà
devono essere presenti prima dei 7 anni.
C. I problemi causati dai sintomi devono manifestarsi in almeno due contesti
(es. a scuola [o al lavoro] e a casa).
D. Ci deve essere una chiara evidenza clinica di una significativa
menomazione nel funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
E. I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di un disturbo
generalizzato dello sviluppo, schizofrenia o altri disturbi psicotici oppure non
sono meglio giustificati da altri disturbi mentali (es. disturbi dell’umore,
disturbi ansiosi, disturbi dissociativi o disturbi di personalità)» (APA, 2000). 8
Sottotipi della sindrome
La classificazione della sindrome è in continua evoluzione. Attualmente ne
vengono indicate tre principali forme:
combinata, in cui sono presenti in modo consistente sia l’iperattività sia il deficit
attentivo; costituisce il caso più frequente;
con iperattività prevalente, in cui la caratteristica dominante è l’iperattività;
con disattenzione prevalente, in cui è particolarmente accentuata la difficoltà
attentava (Di Pietro et al., 2001).
I tre sottotipi proposti dal DSM-IV descrivono bambini molto eterogenei tra loro.
Alcuni studi hanno dimostrato che quelli con DDAI/sottotipo combinato e sottotipo
iperattivo-impulsivo sono più aggressivi e nel 30% dei casi ricevono una seconda
diagnosi riferita al rifiuto delle regole e all’aggressività (disturbo della condotta,
disturbo oppositivo-provocatorio).
I bambini con disattenzione prevalente vengono invece descritti come timidi,
isolati, “sognatori ad occhi aperti”. Si tratta soprattutto di femmine, che non sono
apertamente iperattive, impulsive o violente, ma che anzi rimangono tranquille e
inosservate, benché oppresse da un importante e disabilitante deficit nella
capacità di concentrazione. È questo il gruppo di bambini per i quali si parla di
DDA (DDAI senza iperattività).
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I sintomi: a) deficit di attenzione e di concentrazione
I difetti attentivi che più colpiscono i bambini con DDAI sono rappresentati sia da
problematiche relative all’attenzione eteroregolata (come accade quando c’è
un’altra persona che ci pone delle richieste e quindi ci guida e regola il
comportamento) e a quella autoregolata (quando tocca a noi gestire e
controllare la nostra attenzione), sia dalla mancanza di concentrazione, cioè
all’incapacità di focalizzarsi su un contenuto e di mantenere l’attenzione su di
esso.
I bambini iperattivi presentano soprattutto difficoltà nel mantenere l’attenzione
nel tempo e nel passarla rapidamente da un compito all’altro; ciò non
dipenderebbe tanto da una carenza di risorse attentive, quanto dall’incapacità di
gestire adeguatamente l’attenzione secondo le richieste dell’ambiente. Le loro
difficoltà si evidenziano soprattutto in quelle attività in cui è necessario prestare
uno sforzo mentale prolungato, un ascolto costante ed una cura anche per i
dettagli (Ianes, 1990).
Questa discrepanza sarebbe la conseguenza di un deficit di autoregolazione che si
riferisce all’incapacità di riuscire ad inibire i comportamenti inopportuni in certe
situazioni sociali e a controllare i propri impulsi. La difficoltà di autoregolazione si
associa ad altri problemi relativi al controllo dell’attività della mente, come
l’incapacità di pianificare, di organizzarsi, di utilizzare strategie.
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I sintomi: b) iperattività
Per iperattività si intende un
eccessivo ed inadeguato livello di
attività motoria che si manifesta
con una continua irrequietezza
(Cornoldi e Vianello, 1997).
I bambini iperattivi muovono
continuamente le mani o i piedi,
non riescono a stare seduti
tranquillamente, o a stare fermi
quando le circostanze ambientali lo
richiedono.
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I sintomi: c) impulsività
L’impulsività viene definita come un’incapacità ad aspettare o ad inibire risposte
o comportamenti che in quel momento risultano inadeguati. Nei bambini con
DDAI l’impulsività si manifesta con un’eccessiva impazienza, con grande difficoltà
a controllare le proprie reazioni, ed una sfrenata “frettolosità” nel rispondere alle
domande dell’insegnante (Vio et al., 1999).
L’impulsività è dunque il contrario della riflessività, ed è dovuta ad un deficit di
inibizione. Secondo la teoria di Joel Nigg (2001), i processi inibitori sarebbero di
tre tipi: 1) esecutivi; 2) motivazionali; 3) Automatici.
L’inibizione esecutiva include una serie di attività psicomotorie che consentono
all’individuo di controllare le informazioni interferenti e le risposte contrastanti e
incompatibili.
L’inibizione motivazionale controlla una serie di comportamenti ed è modulata
da fattori emotivi.
Infine l’inibizione automatica controlla le risposte rapide al fine di ignorare le
stimolazioni ambientali non importanti e selezionare solo quelle che riteniamo
rilevanti rispetto al compito.
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La triade sintomatologica
Disattenzione
Durata
Selettività
Capacità
Shift
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Iperattività
Motoria
Verbale
Impulsività
Comporta-mentale
Cognitiva
Emotiva
Nuovo modello interpretativo 1
Tradizionalmente, i deficit attentivi dell'allievo ADHD sono stati descritti in termini di
ridotta durata e di limitata selettività. In altre parole, le difficoltà principali
sarebbero da ricondurre a tempi di attenzione molto ristretti, talvolta a pochi
minuti: di conseguenza, risulterebbero danneggiate soprattutto le attività
scolastiche più complesse e lunghe.
Inoltre, l'allievo non riuscirebbe ad inibire stimoli, pensieri e comportamenti
irrilevanti per il compito, evidenziando così una significativa compromissione a
livello di controllo inibitorio frontale (Casey, Castellanos, Giedd, Marsh, Hamburger
& Schubert, 1997).
In realtà, ricerche condotte negli ultimi anni hanno dimostrato che l'allievo
iperattivo non presenta un numero di atti di distrazione superiore significativamente
ai controlli, ma impiegherebbe un tempo maggiore per riorientare l'attenzione sullo
stimolo rilevante (ad esempio, la spiegazione dell'insegnante).
In secondo luogo, anche il controllo dell'output motorio risulterebbe compromesso,
dando luogo a numerosi atti impulsivi ed ad una ridotta flessibilità cognitiva
(Pliszka, Liotti & Woldorff, 2000).
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Nuovo modello interpretativo 2
Questo profilo attentivo viene reso ancor più complesso, nel momento in cui
sono state descritte ulteriori difficoltà, come ad esempio nella memoria di
lavoro, nell'impiego del linguaggio interno come guida del proprio
comportamento, ecc. In definitiva, ne deriva un modello complesso di DDAI
(Fedeli, 2007):
1. Deficit di inibizione cognitiva
ridotto linguaggio interno
scarsa tolleranza frustrazione
rigidità cognitiva
2. Limitato orientamento e persistenza nel compito
difficoltà di memoria di lavoro
ridotta pianificazione
alterata percezione del tempo
3. Deficit di controllo motorio
irrequietezza motoria
oppositività
aggressività
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Modello tridimensionale dell’ADHD (Fedeli, 2008)
Deficit di inibizione
cognitiva
- ridotto linguaggio interno
- scarsa tolleranza frustrazione
- rigidità cognitiva
Limitato orientamento e
persistenza nel compito
- difficoltà di working memory
- ridotta pianificazione
- alterata percezione del tempo
Fedeli D. (2008). KIWI. Firenze: OS
Deficit di controllo motorio
- irrequietezza motoria
- oppositività
- aggressività
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Strumenti per la diagnosi
Uno degli aspetti più problematici del Disturbo da deficit di
attenzione/iperattività è costituito proprio dalla corretta diagnosi della
sindrome. Formulare, infatti, una diagnosi di DDAI non è affatto una cosa
semplice, sia perché non esiste ancora un test diagnostico definitivo per la
sindrome in questione, sia perché i sintomi tipici del disturbo variano in
maniera considerevole in base all’età delle persone affette e alle diverse
circostanze (Marzocchi, 2003).
Gli strumenti per la diagnosi possono essere suddivisi in almeno quattro
gruppi o categorie:
•interviste cliniche,
•questionari auto o etero-somministrati (rating scale comportamentali)
•tecniche di osservazione comportamentale,
•test cognitivo-neuropsicologici.
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Interviste
Nel nostro Paese non esistono ancora interviste cliniche in lingua italiana, per
cui ad essere utilizzate sono le traduzioni di alcune versioni originali elaborate
in Inghilterra. Tuttavia, i clinici si servono molto spesso delle interviste
semistrutturate costruite sulla base dei criteri diagnostici del DSM-III-R
(1987).
Le interviste semistrutturate si rivelano molto vantaggiose in quanto,
esplorando l’intera gamma della psicopatologia, consentono di individuare
altre problematiche eventualmente associate, come il disturbo del
comportamento (disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta), i
disturbi dell’umore (depressione e distimia, disturbo bipolare), i disturbi
d’ansia (ansia generalizzata, panico, ecc…), i disturbi dell’apprendimento, un
eventuale tic e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).
18
Questionari 1
Può essere indirizzato esclusivamente alla sintomatologia, oppure può
spaziare sui diversi ambiti della psicopatologia, in modo da mettere a fuoco
possibili disturbi associati (disturbi dell'umore, disturbi d'ansia o disturbi della
condotta). Molti sono i questionari in versione italiana (o perché tradotti o
perché pensati e standardizzati proprio nel nostro paese) .
È opportuno ricordare che le scale di valutazione completate da genitori,
insegnanti e dallo stesso bambino non consentono da sole di formulare una
diagnosi clinica. Pur essendo preziosi strumenti di completamento diagnostico,
non risultano tuttavia sufficienti per una valutazione quantitativa e per
giudicare l’andamento clinico o la risposta ai vari interventi.
Ogni questionario, finalizzato alla valutazione del comportamento dei bambini
affetti da particolari psicopatologie come quella del DDAI, è pensato in due o
tre versioni quasi uguali, dal momento che uno dovrà essere compilato dai
genitori, uno dagli insegnanti e uno dal bambino stesso, in modo da ottenere
una visione completa delle aree maggiormente colpite dal disturbo
(Marzocchi, 2003)
19
Questionari 2
Tra i questionari più utilizzati nell’ambito clinico è
opportuno citare le Scale SDAI (da compilare da
parte degli insegnanti), le Scale SDAG (da
compilare da parte dei genitori) e le Scale SDAB
(da compilare da parte del bambino) messe a
punto dal gruppo di lavoro di Cesare Cornoldi
(1996), composte esclusivamente dai 18 sintomi
tipici del DDAI che sono riportati nei principali
manuali diagnostici (DSM-IV e ICD-10), e
suddivise nelle due subscale Disattenzione e
Iperattività-Impulsività; ciò consente di ottenere
due diverse valutazioni.
Scala IPER – KIWI Kit
Iperattività. (Fedeli D. – Giunti OS
2007).
Fasce d’età valutabili: 4-14 anni
Composizione: 35 item – 20’
circa
Campione normativo: 1595
soggetti
Un altro questionario è la Scala IPER- KIWI Kit
Iperattività (Fedeli, Giunti OS, 2007), che si
differenzia dai precedenti poiché indaga le
seguenti tre dimensioni:
1.Inibizione di risposte comportamentali irrilevanti
rispetto al compito
2.Persistenza ed orientamento al compito
3.Controllo motorio in situazioni di compiti
scolastici
20
Questionari 3
Scale Conners 3rd Edition
(Toronto: MHS - 2007).
Molto utilizzate a livello internazionale
sono le scale Conners (Conners
Rating Scale/CRS, Conners, 1979;
versione italiana Nobile, Alberti e
Zuddas, 2007) che, oltre ad essere
specifiche per la valutazione del
DDAI, possono fornire ulteriori
informazioni su altre categorie di
disturbi di tipo comportamentale ed
emotivo.
Sono prodotte in due versioni: una
per il genitori, composta da 80 item
(Conners’ Parent Rating Scale/CPRS),
e una per gli insegnanti, composta da
59 item (Conners’ Teacher Rating
Scale/CTRS).
CRS-R – Conners’ Rating Scales –
Revised (Conners K. – Giunti OS 2007)
21
Test cognitivo-neuropsicologici
Il terzo gruppo di strumenti messi a punto per la diagnosi del disturbo consiste nei
test cognitivo-neuropsicologici, che il clinico utilizza dopo aver raccolto, grazie a
interviste e questionari, tutte le opportune e necessarie informazioni circa il
comportamento del bambino da parte di insegnanti e genitori; questi test hanno lo
scopo di indagare alcune funzioni neuropsicologiche del bambino al fine di
delineare un profilo funzionale e programmare gli opportuni interventi.
Anche se non esistono test diagnostici specifici per il DDAI, la misurazione della
capacità di attenzione prolungata, di pianificazione, di categorizzazione e di
inibizione delle risposte automatiche (funzioni queste neuropsicologiche localizzate
nei lobi prefrontali) e dei processi di apprendimento consentono una più precisa
caratterizzazione della sindrome ed una maggiore impostazione dei piani di
trattamento.
È sempre opportuno misurare il livello cognitivo del soggetto con strumenti
standardizzati, come le Matrici Progressive di Raven o le Scale Wechler, valutando
al momento stesso le capacità di scrittura, lettura e comprensione del testo
(diagnosi differenziale con i disturbi specifici dell’apprendimento che possono
simulare, ma anche essere associati al disturbo da deficit di attenzione e
iperattività).
22
Osservazione comportamentale
Oltre alla somministrazione delle interviste, dei test e delle scale di valutazione,
anche l’osservazione comportamentale è uno strumento fondamentale a
disposizione del clinico al fine di stabilire un’accurata diagnosi di DDAI.
Il motivo principale per cui il clinico si avvale di questo strumento è quello di
cercare di capire perché il bambino manifesta un determinato comportamento,
quante volte lo ha fatto e soprattutto in quali circostanze (Marzocchi, 2003).
Bisogna chiarire che il tipo di osservazione che viene richiesta è quella che viene
definita sistematica, dove le regole di osservazione sono fissate a priori, al
contrario dell’osservazione informale, che non è frutto di un’attività programmata
e non utilizza strumenti specifici in grado di misurare frequenza, durata e
intensità di un dato comportamento.
«Se diciamo: “Nicola è aggressivo”, è molto probabile che questa conclusione
derivi da un’osservazione casuale. Se invece diciamo: “Oggi, dalle ore 10 alle ore
11, mentre Nicola era in classe con i compagni, e la maestra Nanda stava facendo
con lui esercizi di lettura, Nicola ha gridato sette volte faccia di scimmia al suo
compagno di banco Federico”, abbiamo fatto un’osservazione sistematica. […], il
risultato di un’osservazione casuale è un’etichetta “aggressivo”. Il risultato di
un’osservazione sistematica è spesso un numero: “7 volte”» (Ianes, 2001, p. 23
293)
Filippo
Alberto
Gianna
Filippo
X
Alberto
X
Gianna
X
Maria
X
Totale
scelte
ricevute
1
Maria
1
X
2
X
2
X
1
3
Totale
scelte
effettuate
2
2
Difficoltà di apprendimento del bambino DDAI
La caratteristica fondamentale del DDAI è un funzionamento irregolare dei
meccanismi che governano l’attenzione e l’impegno sostenuto, unito
all’incapacità, o quanto meno alla relativa capacità di inibire movimenti
incontrollati, di dare ordine alle proprie idee, di esprimersi con chiarezza ed
ordine logico, di portare attenzione contemporaneamente a più stimoli, di
produrre relazioni stabili con i familiari, i compagni e gli insegnanti.
Quella del bambino iperattivo è una vivacità abnorme che presuppone problemi a
livello di autoregolazione, automonitoraggio, autocontrollo ed autogestione e che,
inevitabilmente, rende difficoltosi l’adattamento ed il rendimento scolastico.
L’iperattività rende molto difficile il normale immagazzinamento delle
informazioni, che risultano, per così dire, ammassate e disorganiche, e in questo
modo, anche la rievocazione e il recupero del materiale mnemonico da utilizzare
diventa quasi impossibile.
Il disordine nella memorizzazione si traduce in disordine espressivo, in situazioni
di ansie vissute proprio per la percezione che il soggetto ha di tali sue
“incapacità”, di non riuscire cioè ad orientare i propri comportamenti rispetto a
25
quanto richiesto dall’ambiente esterno.
Interventi
Qualunque sia l’intervento che si voglia adottare, è importante che venga
impostato sulle caratteristiche individuali del bambino, non deve avere cioè
solo ed esclusivamente come obiettivo quello di ridurre o di far scomparire i
sintomi in modo definitivo, ma deve promuovere il benessere globale del
bambino, attraverso il potenziamento di una risorsa fondamentale, che è la
relazione con i genitori e gli insegnanti (Marzocchi, 2003); è stato, infatti, più
volte dimostrato che il coinvolgimento diretto delle persone più care al
bambino nel momento dell’intervento, costituisce la base fondamentale ed
indispensabile per contrastare le difficoltà attivate dal disturbo stesso.
Trattamento farmacologico
L’intervento farmacologico, combinato con tecniche educative di tipo
comportamentale, rappresenta il trattamento d’elezione secondo importanti
istituzioni scientifiche internazionali, come ad esempio l’American Academy of
Pediatrics. Vengono utilizzati stimolanti e antidepressivi. In particolare, è
conosciuto il metilfenidato (Ritalin) oppure l’atomoxetina (inibitore della
ricaptazione della noradrenalina).
26
Interventi
Intervento psicologico
Tale terapia può avere diversi formati, dalla consulenza agli insegnanti, alla
formazione dei genitori, fino al training cognitivo e metacognitivo per il
bambino (Kirby e Grimley, 1997).
Terapia combinata
Prevede contemporaneamente l’uso, della terapia farmacologia e di quella
psicologica.
Parent training
Si fonda sulla teoria dell’apprendimento sociale ed è stato sviluppato per i
genitori di bambini oppositivi, non cooperativi ed aggressivi. I parent training
più efficaci utilizzano una combinazione di materiale scritto e di istruzioni
verbali: ai genitori viene insegnato a dare ai figli chiare istruzioni, a rinforzare
positivamente i comportamenti accettabili, ad ignorare alcuni comportamenti
problematici e ad utilizzare in modo efficace le punizioni.
27
Interventi
Training comportamentali
I training comportamentali forniscono agli insegnanti gli strumenti in grado di
regolare il comportamento degli alunni. Tra questi, quello che si è rivelato più
significativo nel migliorare le prestazioni scolastiche degli alunni con DDAI è
l’analisi ABC, che si basa sull’idea che l’espressione della maggior parte dei
comportamenti è influenzata dagli eventi Antecedenti (ciò che succede prima del
comportamento, in inglese Behavior) e dalla Conseguente risposta (ciò che
accade dopo il comportamento). Modificando gli eventi antecedenti e conseguenti
a un comportamento indesiderato, potrebbe cambiare la frequenza con la quale
esso si manifesta (Cathleen Gardill e coll., 1999).
Una profonda modificazione del comportamento può non manifestarsi se non
entrano in gioco forti contingenze educative. Questi bambini per verificare
l’accettabilità dei loro comportamenti richiedono frequenti ed immediati
feedback, fenomeno questo che può essere considerato come una risorsa,
poiché, con tali soggetti, le contingenze risultano essere particolarmente efficaci.
Per rendere più accattivante questo princìpio si può ricorrere alla tecnica dei
gettoni (token economy), in base alla quale ogni comportamento positivo viene
ricompensato con un guadagno di alcuni punti, mentre i comportamenti negativi
28
comportano una perdita di altri (costo della risposta).
Interventi
Interventi cognitivo-comportamentali
Gli interventi cognitivo-comportamentali propongono, oltre alla gestione delle
contingenze (rinforzi e punizioni), prevista anche nei programmi
“behavioristici”, l’insegnamento di svariate tecniche tra cui le autoistruzioni
verbali, il problem-solving e lo stress inoculation training (consapevolezza e
controllo delle emozioni in situazioni stressanti).
L’insegnamento dell’autoregolazione basato sulle autoistruzioni verbali aiuta i
bambini iperattivi ad elaborare ed applicare intenzionalmente strategie
cognitive in situazioni di problem solving scolastico e sociale.
Lo scopo dell’approccio metacognitivo è quello di aumentare nel soggetto la
consapevolezza dei propri processi cognitivi. stimolando anche la sua generale
capacità di mettere in atto strategie funzionali a una corretta risoluzione dei
problemi.
Questo tipo di intervento mira a sviluppare nel soggetto la capacità di
autoregolare il proprio comportamento attraverso un attento monitoraggio
delle proprie azioni e un efficace dialogo interno, grazie soprattutto al
confronto che viene effettuato tra il giudizio del bambino e quello dell’adulto
sul generale andamento della seduta
29
Linee-guida per l’intervento educativo
1.
Sviluppare un approccio positivo verso l’allievo ADHD.
2.
Stabilire obiettivi realistici.
3.
Favorire l’organizzazione di attività e ambiente.
4.
Fornire istruzioni chiare.
5.
Prevedere la strutturazione di alcune routines.
6.
Strutturare adeguatamente gli spazi.
7.
Potenziare la motivazione dell’allievo.
8.
Controllare i momenti di transizione.
30
Linee-guida per l’intervento educativo
1. Sviluppare un approccio positivo verso l’allievo ADHD
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
riconoscere i comportamenti positivi dell’allievo;
evidenziare le abilità e le competenze dell’allievo;
mantenere un tono emotivo controllato;
ignorare i piccoli comportamenti di irrequietezza;
rinforzare positivamente tutti i comportamenti positivi, sebbene di lieve
entità;
limitare il numero di sanzioni.
2. Stabilire obiettivi realistici
I.
II.
III.
IV.
frazionare attività o compiti complessi in parti brevi e
maneggevoli;
aiutare l’allievo a fissare degli intervalli di tempo sufficienti per svolgere le
parti del compito;
fornire all’allievo rinforzi e suggerimenti durante lo svolgimento del
compito;verificare frequentemente con l’allievo i progressi compiuti.
31
Linee-guida per l’intervento educativo
3. Favorire l’organizzazione di attività e ambiente
I.
II.
III.
stabilire alcune regole relative all’ordine del banco e dei materiali;
fissare alcuni momenti della giornata dedicati ad organizzare i
propri materiali (ad esempio, rimettere nello zaino i libri già
utilizzati);
sollecitare l’allievo a verificare frequentemente i materiali presenti
sul banco, togliendo quelli inutili.
4. Fornire istruzioni chiare
I.
II.
III.
IV.
V.
prima di formulare ordini o istruzioni, richiamare l’attenzione
dell’allievo e stabilire contatto oculare;
utilizzare frasi brevi ed espresse in forma affermativa;
impiegare termini presenti nel vocabolario dell’allievo e strutture
sintattiche da lui padroneggiate;
dare un’istruzione alla volta, evitando ordini multipli;
chiedere all’allievo di ripetere le istruzioni ricevute.
32
Linee-guida per l’intervento educativo
5. Prevedere la strutturazione di alcune routines
I.
II.
III.
sviluppare alcune routines per l’inizio ed il termine della giornata a
scuola;
aiutare gli allievi a creare delle routines relative al modo di
segnare i compiti per casa, all’organizzazione dei propri materiali,
ai posti dove poggiare i propri oggetti, ecc.;
stabilire dei momenti e dei luoghi ben definiti per svolgere le
attività scolastiche più complesse.
6. Strutturare adeguatamente gli spazi
I.
II.
III.
IV.
disporre i banchi in modo tale che l’insegnante possa fornire
frequentemente suggerimenti e rinforzi all’allievo iperattivo;
collocare il banco del bambino ADHD vicino alla cattedra, in modo
tale che l’insegnante possa monitorarlo con facilità;
allontanare l’allievo ADHD da fonti di distrazione (la finestra, altri
allievi problematici, ecc.);
conservare i materiali utilizzati per l’attività didattica in luoghi che
minimizzino le distrazioni, ma che al contempo rendano facile
l’accesso da parte dei bambini, quando è necessario.
33
La strutturazione del contesto
Allievo
iperattivo
Allievo
iperattivo
34
Linee-guida per l’intervento educativo
7. Potenziare la motivazione dell’allievo
I.
II.
III.
IV.
V.
adottare un approccio didattico esperenziale, partendo dalle esperienze
degli allievi;
coinvolgere gli allievi tramite modalità di apprendimento attive (compiti
di ricerca, esercizi di problem solving, ecc.);
proporre compiti che attivino le emozioni degli allievi;
utilizzare immagini e colori correlati all’argomento di studio e non
puramente decorative;
modulare la quantità di informazioni, frazionando un capitolo di un libro
in parti facilmente gestibili a livello attentivo e mnestico.
8. Controllare i momenti di transizione
I.
II.
III.
IV.
V.
stabilire delle regole e delle routines relative ai momenti di
transizione;
preannunciare agli allievi il momento di transizione;
supervisionare attentamente gli allievi durante le transizioni;
fornire continui ed immediati feedback agli allievi sull’adeguatezza del
loro comportamento durante le transizioni;
stabilire dei tempi massimi per completare le transizioni (ad esempio,
due minuti per entrare in aula dal suono della campana).
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