Disturbo di attenzione e iperattività Mappa unità 11 Disturbo di attenzione e iperattività disturbo evolutivo dell’autocontrollo triade sintomatologica (DSM-IV, 1996) modello tridimensionale (Fedeli, 2008) strumenti per la diagnosi 1.disattenzione 2.iperattività 3.impulsività interviste cliniche questionari (rating-scale) osservazione comportamentale test cognitivo-neuropsicologici linee-guida training comportamentale e cognitivo-comportamentale terapia combinata 1. deficit di inibizione cognitiva 2. limitato orientamento e persistenza nel compito 3. deficit di controllo motorio intervento parent training farmacologico (metilfenidato) 2 Definizione e classificazione Il Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività, (DDAI), conosciuto anche con l’acronimo inglese ADHD (Attention Deficit Hiperactivity Disorder), è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo di origine neurobiologica, che interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo svolgimento delle comuni attività quotidiane, come andare a scuola, giocare con i coetanei, convivere serenamente con i genitori e, in generale, inserirsi normalmente nella società (Marzocchi, 2003). È caratterizzato da aspetti diffusi e problematici che riguardano sia l’area dei comportamenti, sia l’area cognitiva, influendo pesantemente sugli apprendimenti scolastici. Esso include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Questi problemi derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. 3 Disfunzione cerebrale minima? Si comincia a parlare per la prima volta di DDAI agli inizi del 1900, dopo la pubblicazione sull’autorevole rivista medica Lancet di alcune osservazioni compiute da un medico inglese, G.F. Still, su un gruppo di bambini fortemente disturbati, ipercinetici, irrefrenabili, che egli giudicava affetti da una turba neuropsichiatrica organica. Il salto logico che questi studiosi operarono fu che, dal momento che alcuni tipi di lesione cerebrale potevano causare iperattività, allora tutti i casi di iperattività dovevano originare da danni cerebrali, anche quando di essi non vi era traccia. Per spiegare un disturbo per il quale non era possibile risalire ad un danno al cervello, si ricorse alla definizione di “disfunzione cerebrale minima”. Nel 1952 comparve la prima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), pubblicato dall’American Psychiatric Association, all’interno del quale erano previste due sole categorie dei disturbi psichiatrici infantili: la Schizofrenia e il Disturbo di adattamento. 4 Dal DSM II (1969) al DSM III-R (1987) Solo nella seconda edizione del DSM, nel 1968, si tentò di descrivere un insieme di sintomi che, ad una lettura attuale, ricordano quelli del DDAI: l’etichetta diagnostica per questi sintomi era “reazione ipercinetica” del bambino. La scelta di questo termine enfatizzava l’importanza dell’aspetto motorio a scapito di quello cognitivo. Nell’edizione successiva del manuale, il DSM-III (1980), comparve l’espressione diagnostica “disturbo da deficit di attenzione”. Tale cambiamento nosografico presupponeva un mutamento nella lettura della sindrome, di cui si sottolineava la centralità degli aspetti cognitivi rispetto a quelli motori e comportamentali. Con la pubblicazione dell’edizione riveduta del DSM III- R (1987), che introdusse la definizione “disturbo da deficit di attenzione/iperattività”, diventò la sindrome più studiata al mondo: si stima, infatti, che nel secolo scorso siano stati pubblicati oltre 6.000 interventi tra articoli scientifici, saggi e manuali. Parallelamente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità classificò il disturbo prima come “sindrome ipercinetica” (ICD-9, 1978) e successivamente come “disturbo ipercinetico” (ICD-10, 1992). 5 DSM-IV-TR (2000) 1 La più recente descrizione nosografia è contenuta nel DSM-IV-TR (2000) che così sintetizza i sintomi e i criteri diagnostici del Disturbo da deficit di attenzione/iperattività: «A. Presenza di: (1) Sei (o più) dei seguenti sintomi sintomi di disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo: a) spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di disattenzione nei compiti a scuola, sul lavoro, o in altre attività; b) spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco; c) spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente; d) spesso non segue completamente le istruzioni e incontra difficoltà nel terminare i compiti a scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (e ciò non è dovuto a comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione); e) spesso ha difficoltà ad organizzare compiti o attività varie; f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale sostenuto (es. compiti a casa o a scuola); g) spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti assegnati, matite, libri, ecc.); h) spesso è facilmente distratto da stimoli esterni; 6 i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane. DSM-IV-TR (2000) 2 (2) Sei (o più) dei seguenti sintomi di iperattività-impulsività che persistono per almeno 6 mesi ad un grado che sia disadattivo e inappropriato secondo il livello di sviluppo: Iperattività a) spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola; b) spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto; c) spesso corre in giro o si arrampica eccessivamente in situazioni in cui non è appropriato (in adolescenti o adulti può essere limitato a una sensazione soggettiva di irrequietezza); d) spesso ha difficoltà a giocare o a impegnarsi in attività tranquille in modo quieto; e) è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse spinto “da un motorino”; f) spesso parla eccessivamente. 7 DSM-IV-TR (2000) 3 Impulsività g) spesso spara delle risposte prima che venga completata la domanda; h) spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno; i) spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o nelle conversazioni degli altri) B. I sintomi iperattivi-impulsivi o di disattenzione che causano le difficoltà devono essere presenti prima dei 7 anni. C. I problemi causati dai sintomi devono manifestarsi in almeno due contesti (es. a scuola [o al lavoro] e a casa). D. Ci deve essere una chiara evidenza clinica di una significativa menomazione nel funzionamento sociale, scolastico o lavorativo. E. I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di un disturbo generalizzato dello sviluppo, schizofrenia o altri disturbi psicotici oppure non sono meglio giustificati da altri disturbi mentali (es. disturbi dell’umore, disturbi ansiosi, disturbi dissociativi o disturbi di personalità)» (APA, 2000). 8 Sottotipi della sindrome La classificazione della sindrome è in continua evoluzione. Attualmente ne vengono indicate tre principali forme: combinata, in cui sono presenti in modo consistente sia l’iperattività sia il deficit attentivo; costituisce il caso più frequente; con iperattività prevalente, in cui la caratteristica dominante è l’iperattività; con disattenzione prevalente, in cui è particolarmente accentuata la difficoltà attentava (Di Pietro et al., 2001). I tre sottotipi proposti dal DSM-IV descrivono bambini molto eterogenei tra loro. Alcuni studi hanno dimostrato che quelli con DDAI/sottotipo combinato e sottotipo iperattivo-impulsivo sono più aggressivi e nel 30% dei casi ricevono una seconda diagnosi riferita al rifiuto delle regole e all’aggressività (disturbo della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio). I bambini con disattenzione prevalente vengono invece descritti come timidi, isolati, “sognatori ad occhi aperti”. Si tratta soprattutto di femmine, che non sono apertamente iperattive, impulsive o violente, ma che anzi rimangono tranquille e inosservate, benché oppresse da un importante e disabilitante deficit nella capacità di concentrazione. È questo il gruppo di bambini per i quali si parla di DDA (DDAI senza iperattività). 9 I sintomi: a) deficit di attenzione e di concentrazione I difetti attentivi che più colpiscono i bambini con DDAI sono rappresentati sia da problematiche relative all’attenzione eteroregolata (come accade quando c’è un’altra persona che ci pone delle richieste e quindi ci guida e regola il comportamento) e a quella autoregolata (quando tocca a noi gestire e controllare la nostra attenzione), sia dalla mancanza di concentrazione, cioè all’incapacità di focalizzarsi su un contenuto e di mantenere l’attenzione su di esso. I bambini iperattivi presentano soprattutto difficoltà nel mantenere l’attenzione nel tempo e nel passarla rapidamente da un compito all’altro; ciò non dipenderebbe tanto da una carenza di risorse attentive, quanto dall’incapacità di gestire adeguatamente l’attenzione secondo le richieste dell’ambiente. Le loro difficoltà si evidenziano soprattutto in quelle attività in cui è necessario prestare uno sforzo mentale prolungato, un ascolto costante ed una cura anche per i dettagli (Ianes, 1990). Questa discrepanza sarebbe la conseguenza di un deficit di autoregolazione che si riferisce all’incapacità di riuscire ad inibire i comportamenti inopportuni in certe situazioni sociali e a controllare i propri impulsi. La difficoltà di autoregolazione si associa ad altri problemi relativi al controllo dell’attività della mente, come l’incapacità di pianificare, di organizzarsi, di utilizzare strategie. 10 I sintomi: b) iperattività Per iperattività si intende un eccessivo ed inadeguato livello di attività motoria che si manifesta con una continua irrequietezza (Cornoldi e Vianello, 1997). I bambini iperattivi muovono continuamente le mani o i piedi, non riescono a stare seduti tranquillamente, o a stare fermi quando le circostanze ambientali lo richiedono. 11 I sintomi: c) impulsività L’impulsività viene definita come un’incapacità ad aspettare o ad inibire risposte o comportamenti che in quel momento risultano inadeguati. Nei bambini con DDAI l’impulsività si manifesta con un’eccessiva impazienza, con grande difficoltà a controllare le proprie reazioni, ed una sfrenata “frettolosità” nel rispondere alle domande dell’insegnante (Vio et al., 1999). L’impulsività è dunque il contrario della riflessività, ed è dovuta ad un deficit di inibizione. Secondo la teoria di Joel Nigg (2001), i processi inibitori sarebbero di tre tipi: 1) esecutivi; 2) motivazionali; 3) Automatici. L’inibizione esecutiva include una serie di attività psicomotorie che consentono all’individuo di controllare le informazioni interferenti e le risposte contrastanti e incompatibili. L’inibizione motivazionale controlla una serie di comportamenti ed è modulata da fattori emotivi. Infine l’inibizione automatica controlla le risposte rapide al fine di ignorare le stimolazioni ambientali non importanti e selezionare solo quelle che riteniamo rilevanti rispetto al compito. 12 La triade sintomatologica Disattenzione Durata Selettività Capacità Shift 13 Iperattività Motoria Verbale Impulsività Comporta-mentale Cognitiva Emotiva Nuovo modello interpretativo 1 Tradizionalmente, i deficit attentivi dell'allievo ADHD sono stati descritti in termini di ridotta durata e di limitata selettività. In altre parole, le difficoltà principali sarebbero da ricondurre a tempi di attenzione molto ristretti, talvolta a pochi minuti: di conseguenza, risulterebbero danneggiate soprattutto le attività scolastiche più complesse e lunghe. Inoltre, l'allievo non riuscirebbe ad inibire stimoli, pensieri e comportamenti irrilevanti per il compito, evidenziando così una significativa compromissione a livello di controllo inibitorio frontale (Casey, Castellanos, Giedd, Marsh, Hamburger & Schubert, 1997). In realtà, ricerche condotte negli ultimi anni hanno dimostrato che l'allievo iperattivo non presenta un numero di atti di distrazione superiore significativamente ai controlli, ma impiegherebbe un tempo maggiore per riorientare l'attenzione sullo stimolo rilevante (ad esempio, la spiegazione dell'insegnante). In secondo luogo, anche il controllo dell'output motorio risulterebbe compromesso, dando luogo a numerosi atti impulsivi ed ad una ridotta flessibilità cognitiva (Pliszka, Liotti & Woldorff, 2000). 14 Nuovo modello interpretativo 2 Questo profilo attentivo viene reso ancor più complesso, nel momento in cui sono state descritte ulteriori difficoltà, come ad esempio nella memoria di lavoro, nell'impiego del linguaggio interno come guida del proprio comportamento, ecc. In definitiva, ne deriva un modello complesso di DDAI (Fedeli, 2007): 1. Deficit di inibizione cognitiva ridotto linguaggio interno scarsa tolleranza frustrazione rigidità cognitiva 2. Limitato orientamento e persistenza nel compito difficoltà di memoria di lavoro ridotta pianificazione alterata percezione del tempo 3. Deficit di controllo motorio irrequietezza motoria oppositività aggressività 15 Modello tridimensionale dell’ADHD (Fedeli, 2008) Deficit di inibizione cognitiva - ridotto linguaggio interno - scarsa tolleranza frustrazione - rigidità cognitiva Limitato orientamento e persistenza nel compito - difficoltà di working memory - ridotta pianificazione - alterata percezione del tempo Fedeli D. (2008). KIWI. Firenze: OS Deficit di controllo motorio - irrequietezza motoria - oppositività - aggressività 16 Strumenti per la diagnosi Uno degli aspetti più problematici del Disturbo da deficit di attenzione/iperattività è costituito proprio dalla corretta diagnosi della sindrome. Formulare, infatti, una diagnosi di DDAI non è affatto una cosa semplice, sia perché non esiste ancora un test diagnostico definitivo per la sindrome in questione, sia perché i sintomi tipici del disturbo variano in maniera considerevole in base all’età delle persone affette e alle diverse circostanze (Marzocchi, 2003). Gli strumenti per la diagnosi possono essere suddivisi in almeno quattro gruppi o categorie: •interviste cliniche, •questionari auto o etero-somministrati (rating scale comportamentali) •tecniche di osservazione comportamentale, •test cognitivo-neuropsicologici. 17 Interviste Nel nostro Paese non esistono ancora interviste cliniche in lingua italiana, per cui ad essere utilizzate sono le traduzioni di alcune versioni originali elaborate in Inghilterra. Tuttavia, i clinici si servono molto spesso delle interviste semistrutturate costruite sulla base dei criteri diagnostici del DSM-III-R (1987). Le interviste semistrutturate si rivelano molto vantaggiose in quanto, esplorando l’intera gamma della psicopatologia, consentono di individuare altre problematiche eventualmente associate, come il disturbo del comportamento (disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta), i disturbi dell’umore (depressione e distimia, disturbo bipolare), i disturbi d’ansia (ansia generalizzata, panico, ecc…), i disturbi dell’apprendimento, un eventuale tic e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). 18 Questionari 1 Può essere indirizzato esclusivamente alla sintomatologia, oppure può spaziare sui diversi ambiti della psicopatologia, in modo da mettere a fuoco possibili disturbi associati (disturbi dell'umore, disturbi d'ansia o disturbi della condotta). Molti sono i questionari in versione italiana (o perché tradotti o perché pensati e standardizzati proprio nel nostro paese) . È opportuno ricordare che le scale di valutazione completate da genitori, insegnanti e dallo stesso bambino non consentono da sole di formulare una diagnosi clinica. Pur essendo preziosi strumenti di completamento diagnostico, non risultano tuttavia sufficienti per una valutazione quantitativa e per giudicare l’andamento clinico o la risposta ai vari interventi. Ogni questionario, finalizzato alla valutazione del comportamento dei bambini affetti da particolari psicopatologie come quella del DDAI, è pensato in due o tre versioni quasi uguali, dal momento che uno dovrà essere compilato dai genitori, uno dagli insegnanti e uno dal bambino stesso, in modo da ottenere una visione completa delle aree maggiormente colpite dal disturbo (Marzocchi, 2003) 19 Questionari 2 Tra i questionari più utilizzati nell’ambito clinico è opportuno citare le Scale SDAI (da compilare da parte degli insegnanti), le Scale SDAG (da compilare da parte dei genitori) e le Scale SDAB (da compilare da parte del bambino) messe a punto dal gruppo di lavoro di Cesare Cornoldi (1996), composte esclusivamente dai 18 sintomi tipici del DDAI che sono riportati nei principali manuali diagnostici (DSM-IV e ICD-10), e suddivise nelle due subscale Disattenzione e Iperattività-Impulsività; ciò consente di ottenere due diverse valutazioni. Scala IPER – KIWI Kit Iperattività. (Fedeli D. – Giunti OS 2007). Fasce d’età valutabili: 4-14 anni Composizione: 35 item – 20’ circa Campione normativo: 1595 soggetti Un altro questionario è la Scala IPER- KIWI Kit Iperattività (Fedeli, Giunti OS, 2007), che si differenzia dai precedenti poiché indaga le seguenti tre dimensioni: 1.Inibizione di risposte comportamentali irrilevanti rispetto al compito 2.Persistenza ed orientamento al compito 3.Controllo motorio in situazioni di compiti scolastici 20 Questionari 3 Scale Conners 3rd Edition (Toronto: MHS - 2007). Molto utilizzate a livello internazionale sono le scale Conners (Conners Rating Scale/CRS, Conners, 1979; versione italiana Nobile, Alberti e Zuddas, 2007) che, oltre ad essere specifiche per la valutazione del DDAI, possono fornire ulteriori informazioni su altre categorie di disturbi di tipo comportamentale ed emotivo. Sono prodotte in due versioni: una per il genitori, composta da 80 item (Conners’ Parent Rating Scale/CPRS), e una per gli insegnanti, composta da 59 item (Conners’ Teacher Rating Scale/CTRS). CRS-R – Conners’ Rating Scales – Revised (Conners K. – Giunti OS 2007) 21 Test cognitivo-neuropsicologici Il terzo gruppo di strumenti messi a punto per la diagnosi del disturbo consiste nei test cognitivo-neuropsicologici, che il clinico utilizza dopo aver raccolto, grazie a interviste e questionari, tutte le opportune e necessarie informazioni circa il comportamento del bambino da parte di insegnanti e genitori; questi test hanno lo scopo di indagare alcune funzioni neuropsicologiche del bambino al fine di delineare un profilo funzionale e programmare gli opportuni interventi. Anche se non esistono test diagnostici specifici per il DDAI, la misurazione della capacità di attenzione prolungata, di pianificazione, di categorizzazione e di inibizione delle risposte automatiche (funzioni queste neuropsicologiche localizzate nei lobi prefrontali) e dei processi di apprendimento consentono una più precisa caratterizzazione della sindrome ed una maggiore impostazione dei piani di trattamento. È sempre opportuno misurare il livello cognitivo del soggetto con strumenti standardizzati, come le Matrici Progressive di Raven o le Scale Wechler, valutando al momento stesso le capacità di scrittura, lettura e comprensione del testo (diagnosi differenziale con i disturbi specifici dell’apprendimento che possono simulare, ma anche essere associati al disturbo da deficit di attenzione e iperattività). 22 Osservazione comportamentale Oltre alla somministrazione delle interviste, dei test e delle scale di valutazione, anche l’osservazione comportamentale è uno strumento fondamentale a disposizione del clinico al fine di stabilire un’accurata diagnosi di DDAI. Il motivo principale per cui il clinico si avvale di questo strumento è quello di cercare di capire perché il bambino manifesta un determinato comportamento, quante volte lo ha fatto e soprattutto in quali circostanze (Marzocchi, 2003). Bisogna chiarire che il tipo di osservazione che viene richiesta è quella che viene definita sistematica, dove le regole di osservazione sono fissate a priori, al contrario dell’osservazione informale, che non è frutto di un’attività programmata e non utilizza strumenti specifici in grado di misurare frequenza, durata e intensità di un dato comportamento. «Se diciamo: “Nicola è aggressivo”, è molto probabile che questa conclusione derivi da un’osservazione casuale. Se invece diciamo: “Oggi, dalle ore 10 alle ore 11, mentre Nicola era in classe con i compagni, e la maestra Nanda stava facendo con lui esercizi di lettura, Nicola ha gridato sette volte faccia di scimmia al suo compagno di banco Federico”, abbiamo fatto un’osservazione sistematica. […], il risultato di un’osservazione casuale è un’etichetta “aggressivo”. Il risultato di un’osservazione sistematica è spesso un numero: “7 volte”» (Ianes, 2001, p. 23 293) Filippo Alberto Gianna Filippo X Alberto X Gianna X Maria X Totale scelte ricevute 1 Maria 1 X 2 X 2 X 1 3 Totale scelte effettuate 2 2 Difficoltà di apprendimento del bambino DDAI La caratteristica fondamentale del DDAI è un funzionamento irregolare dei meccanismi che governano l’attenzione e l’impegno sostenuto, unito all’incapacità, o quanto meno alla relativa capacità di inibire movimenti incontrollati, di dare ordine alle proprie idee, di esprimersi con chiarezza ed ordine logico, di portare attenzione contemporaneamente a più stimoli, di produrre relazioni stabili con i familiari, i compagni e gli insegnanti. Quella del bambino iperattivo è una vivacità abnorme che presuppone problemi a livello di autoregolazione, automonitoraggio, autocontrollo ed autogestione e che, inevitabilmente, rende difficoltosi l’adattamento ed il rendimento scolastico. L’iperattività rende molto difficile il normale immagazzinamento delle informazioni, che risultano, per così dire, ammassate e disorganiche, e in questo modo, anche la rievocazione e il recupero del materiale mnemonico da utilizzare diventa quasi impossibile. Il disordine nella memorizzazione si traduce in disordine espressivo, in situazioni di ansie vissute proprio per la percezione che il soggetto ha di tali sue “incapacità”, di non riuscire cioè ad orientare i propri comportamenti rispetto a 25 quanto richiesto dall’ambiente esterno. Interventi Qualunque sia l’intervento che si voglia adottare, è importante che venga impostato sulle caratteristiche individuali del bambino, non deve avere cioè solo ed esclusivamente come obiettivo quello di ridurre o di far scomparire i sintomi in modo definitivo, ma deve promuovere il benessere globale del bambino, attraverso il potenziamento di una risorsa fondamentale, che è la relazione con i genitori e gli insegnanti (Marzocchi, 2003); è stato, infatti, più volte dimostrato che il coinvolgimento diretto delle persone più care al bambino nel momento dell’intervento, costituisce la base fondamentale ed indispensabile per contrastare le difficoltà attivate dal disturbo stesso. Trattamento farmacologico L’intervento farmacologico, combinato con tecniche educative di tipo comportamentale, rappresenta il trattamento d’elezione secondo importanti istituzioni scientifiche internazionali, come ad esempio l’American Academy of Pediatrics. Vengono utilizzati stimolanti e antidepressivi. In particolare, è conosciuto il metilfenidato (Ritalin) oppure l’atomoxetina (inibitore della ricaptazione della noradrenalina). 26 Interventi Intervento psicologico Tale terapia può avere diversi formati, dalla consulenza agli insegnanti, alla formazione dei genitori, fino al training cognitivo e metacognitivo per il bambino (Kirby e Grimley, 1997). Terapia combinata Prevede contemporaneamente l’uso, della terapia farmacologia e di quella psicologica. Parent training Si fonda sulla teoria dell’apprendimento sociale ed è stato sviluppato per i genitori di bambini oppositivi, non cooperativi ed aggressivi. I parent training più efficaci utilizzano una combinazione di materiale scritto e di istruzioni verbali: ai genitori viene insegnato a dare ai figli chiare istruzioni, a rinforzare positivamente i comportamenti accettabili, ad ignorare alcuni comportamenti problematici e ad utilizzare in modo efficace le punizioni. 27 Interventi Training comportamentali I training comportamentali forniscono agli insegnanti gli strumenti in grado di regolare il comportamento degli alunni. Tra questi, quello che si è rivelato più significativo nel migliorare le prestazioni scolastiche degli alunni con DDAI è l’analisi ABC, che si basa sull’idea che l’espressione della maggior parte dei comportamenti è influenzata dagli eventi Antecedenti (ciò che succede prima del comportamento, in inglese Behavior) e dalla Conseguente risposta (ciò che accade dopo il comportamento). Modificando gli eventi antecedenti e conseguenti a un comportamento indesiderato, potrebbe cambiare la frequenza con la quale esso si manifesta (Cathleen Gardill e coll., 1999). Una profonda modificazione del comportamento può non manifestarsi se non entrano in gioco forti contingenze educative. Questi bambini per verificare l’accettabilità dei loro comportamenti richiedono frequenti ed immediati feedback, fenomeno questo che può essere considerato come una risorsa, poiché, con tali soggetti, le contingenze risultano essere particolarmente efficaci. Per rendere più accattivante questo princìpio si può ricorrere alla tecnica dei gettoni (token economy), in base alla quale ogni comportamento positivo viene ricompensato con un guadagno di alcuni punti, mentre i comportamenti negativi 28 comportano una perdita di altri (costo della risposta). Interventi Interventi cognitivo-comportamentali Gli interventi cognitivo-comportamentali propongono, oltre alla gestione delle contingenze (rinforzi e punizioni), prevista anche nei programmi “behavioristici”, l’insegnamento di svariate tecniche tra cui le autoistruzioni verbali, il problem-solving e lo stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle emozioni in situazioni stressanti). L’insegnamento dell’autoregolazione basato sulle autoistruzioni verbali aiuta i bambini iperattivi ad elaborare ed applicare intenzionalmente strategie cognitive in situazioni di problem solving scolastico e sociale. Lo scopo dell’approccio metacognitivo è quello di aumentare nel soggetto la consapevolezza dei propri processi cognitivi. stimolando anche la sua generale capacità di mettere in atto strategie funzionali a una corretta risoluzione dei problemi. Questo tipo di intervento mira a sviluppare nel soggetto la capacità di autoregolare il proprio comportamento attraverso un attento monitoraggio delle proprie azioni e un efficace dialogo interno, grazie soprattutto al confronto che viene effettuato tra il giudizio del bambino e quello dell’adulto sul generale andamento della seduta 29 Linee-guida per l’intervento educativo 1. Sviluppare un approccio positivo verso l’allievo ADHD. 2. Stabilire obiettivi realistici. 3. Favorire l’organizzazione di attività e ambiente. 4. Fornire istruzioni chiare. 5. Prevedere la strutturazione di alcune routines. 6. Strutturare adeguatamente gli spazi. 7. Potenziare la motivazione dell’allievo. 8. Controllare i momenti di transizione. 30 Linee-guida per l’intervento educativo 1. Sviluppare un approccio positivo verso l’allievo ADHD I. II. III. IV. V. VI. riconoscere i comportamenti positivi dell’allievo; evidenziare le abilità e le competenze dell’allievo; mantenere un tono emotivo controllato; ignorare i piccoli comportamenti di irrequietezza; rinforzare positivamente tutti i comportamenti positivi, sebbene di lieve entità; limitare il numero di sanzioni. 2. Stabilire obiettivi realistici I. II. III. IV. frazionare attività o compiti complessi in parti brevi e maneggevoli; aiutare l’allievo a fissare degli intervalli di tempo sufficienti per svolgere le parti del compito; fornire all’allievo rinforzi e suggerimenti durante lo svolgimento del compito;verificare frequentemente con l’allievo i progressi compiuti. 31 Linee-guida per l’intervento educativo 3. Favorire l’organizzazione di attività e ambiente I. II. III. stabilire alcune regole relative all’ordine del banco e dei materiali; fissare alcuni momenti della giornata dedicati ad organizzare i propri materiali (ad esempio, rimettere nello zaino i libri già utilizzati); sollecitare l’allievo a verificare frequentemente i materiali presenti sul banco, togliendo quelli inutili. 4. Fornire istruzioni chiare I. II. III. IV. V. prima di formulare ordini o istruzioni, richiamare l’attenzione dell’allievo e stabilire contatto oculare; utilizzare frasi brevi ed espresse in forma affermativa; impiegare termini presenti nel vocabolario dell’allievo e strutture sintattiche da lui padroneggiate; dare un’istruzione alla volta, evitando ordini multipli; chiedere all’allievo di ripetere le istruzioni ricevute. 32 Linee-guida per l’intervento educativo 5. Prevedere la strutturazione di alcune routines I. II. III. sviluppare alcune routines per l’inizio ed il termine della giornata a scuola; aiutare gli allievi a creare delle routines relative al modo di segnare i compiti per casa, all’organizzazione dei propri materiali, ai posti dove poggiare i propri oggetti, ecc.; stabilire dei momenti e dei luoghi ben definiti per svolgere le attività scolastiche più complesse. 6. Strutturare adeguatamente gli spazi I. II. III. IV. disporre i banchi in modo tale che l’insegnante possa fornire frequentemente suggerimenti e rinforzi all’allievo iperattivo; collocare il banco del bambino ADHD vicino alla cattedra, in modo tale che l’insegnante possa monitorarlo con facilità; allontanare l’allievo ADHD da fonti di distrazione (la finestra, altri allievi problematici, ecc.); conservare i materiali utilizzati per l’attività didattica in luoghi che minimizzino le distrazioni, ma che al contempo rendano facile l’accesso da parte dei bambini, quando è necessario. 33 La strutturazione del contesto Allievo iperattivo Allievo iperattivo 34 Linee-guida per l’intervento educativo 7. Potenziare la motivazione dell’allievo I. II. III. IV. V. adottare un approccio didattico esperenziale, partendo dalle esperienze degli allievi; coinvolgere gli allievi tramite modalità di apprendimento attive (compiti di ricerca, esercizi di problem solving, ecc.); proporre compiti che attivino le emozioni degli allievi; utilizzare immagini e colori correlati all’argomento di studio e non puramente decorative; modulare la quantità di informazioni, frazionando un capitolo di un libro in parti facilmente gestibili a livello attentivo e mnestico. 8. Controllare i momenti di transizione I. II. III. IV. V. stabilire delle regole e delle routines relative ai momenti di transizione; preannunciare agli allievi il momento di transizione; supervisionare attentamente gli allievi durante le transizioni; fornire continui ed immediati feedback agli allievi sull’adeguatezza del loro comportamento durante le transizioni; stabilire dei tempi massimi per completare le transizioni (ad esempio, due minuti per entrare in aula dal suono della campana). 35