Rete regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare ai sensi del d.m. 18 maggio 2001, n. 279 Percorso Diagnostico, Terapeutico e Assistenziale (PDTA) relativo a: ACONDROPLASIA (malattia afferente al gruppo delle condrodistrofie congenite) Codice esenzione RNG050 Definizione L’acondroplasia è la displasia scheletrica più frequente con un’incidenza stimata, a seconda degli autori, fra 1:10.000 ed 1:37.000 nati, senza differenze di etnia o sesso. In Italia la prevalenza è stimata fra 1:26.0001:27.000. In circa il 20% dei casi la condizione è ereditata da un genitore, anch’esso affetto. Nel restante 80% dei casi, i soggetti affetti sono gli unici del loro nucleo familiare (casi sporadici). Popolazione a cui rivolgersi (criteri d'ingresso) 1) Neonato/bambino ( = 16 anni): a. Neonato con nanismo (prevalentemente rizomelico), macrocefalia, dismorfismi facciali (fronte prominente, radice nasale depressa, naso a sella) b. Neonato con diagnosi prenatale positiva di sospetto di displasia scheletrica o acondroplasia c. Neonato o bambino figlio di coppia, con genitore acondoplasico d. Neonato o bambino figlio di coppia con genitore acondroplasico e con diagnosi prenatale positiva 2) Adulto: pazienti con nanismo di causa non già precisata. Criteri diagnostici Criteri di diagnosi che si ritiene debbano essere soddisfatti per effettuare un'esenzione per malattia rara ELEMENTI CLINICI La diagnosi è inizialmente basata sulla presenza di segni clinici e radiologici peculiari della patologia. Il quadro clinico è riconoscibile sin dalla nascita o dai primi mesi di vita ed è caratterizzato da lunghezza media alla nascita intorno a 47 cm, sproporzione tronco-arti con tronco stretto di lunghezza quasi normale, arti corti (micromelia) con prevalente interessamento della parte rizomelica (prossimale), macrocrania con fronte prominente ed evidenti bozze frontali, radice del naso molto ampia e depressa, ipoplasia del mascellare con relativo prognatismo, colonna vertebrale con gibbo toracolombare nei primi mesi e successiva iperlordosi lombare a deambulazione raggiunta, limitata estensione del gomito con riduzione dei movimenti di pronazione e supinazione, mani con dita corte e tozze e distanza aumentata tra dito medio ed anulare ("mano a tridente"), arti inferiori corti e curvi, piedi corti larghi e piatti. L’esame radiologico dello scheletro è patognomonico a tutte l’età, come indicato nella sezione "Elementi strumentali". Pagina 1 di 12 La diagnosi clinica e radiologica viene confermata mediante l’analisi molecolare del gene FGFR3, attraverso la ricerca della mutazione più frequente (mutazione G380R) e delle più rare G375C e G346E. DATI LABORATORISTICI Non applicabile ELEMENTI STRUMENTALI L’esame radiologico dello scheletro è patognomonico a tutte l’età soprattutto per le specifiche alterazioni della colonna del bacino e del femore: Cranio: voluminoso con ossa frontali, parietali e occipitali prominenti; base cranica e foramen magnum ridotti; ossa della faccia piccole con ipoplasia mascellare e relativo prognatismo mandibolare, vie nasali strette; Rachide: ipoplasia del processo odontoide, con possibile dislocazione atlo-assiale, nelle ultime vertebre lombari progressiva diminuzione verso il basso dello spazio interpeduncolare; in proiezione latero-laterale corpi vertebrali piccoli, a cubo, con concavità pronunciata del margine posteriore; canale vertebrale ristretto; Bacino: cintura pelvica stretta, ali iliache corte e quadrate, incisura ischiatica ristretta; Arti: ossa tubulari corte e tozze, prevalentemente a livello prossimale, con diafisi corte, tozze ed incurvate, epifisi schiacciate, metafisi allargate; nel neonato e nella prima infanzia aspetto ovoide traslucido della porzione prossimale dell’omero, ma soprattutto del femore dovuto ad una diminuzione del diametro anteroposteriore di queste regioni; nell’adulto collo femorale corto, irregolarità metafisarie ben evidenti nella parte distale del femore e in quella prossimale della tibia. ELEMENTI GENETICI/BIOLOGIA MOLECOLARE Analisi molecolare del gene FGFR3 attraverso la ricerca della mutazione più frequente (mutazione G380R) e delle più rare G375C e G346E. Infatti la acondroplasia è causata da mutazioni a carico del gene FGFR3 (Recettore tipo 3 del fattore di crescita dei fibroblasti), localizzato sul braccio corto del cromosoma 4, in posizione 16.3. Il gene codifica per il recettore 3 del fattore di crescita dei fibroblasti, proteina espressa soprattutto a livello del tessuto nervoso centrale e nella cartilagine delle ossa lunghe coinvolta nei processi di ossificazione encondrale. In oltre il 95% dei casi si dimostra la presenza di una stessa mutazione (G380R) che causa la sostituzione dell’aminoacido glicina con l’arginina in posizione 380 della proteina. Questa sostituzione causa un guadagno di funzione del gene che rimane attivo in maniera costitutiva provocando una costante inibizione della proliferazione dei condrociti e favorendone una maturazione prematura a livello delle cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe, con conseguente riduzione in lunghezza. Sono state identificate in pazienti affetti da acondroplasia anche altre due mutazioni del gene FGFR3 più rare, G375C e G346E, dove sempre una glicina è sostituita rispettivamente da una cisteina o un acido glutammico. Consulenza genetica L’acondroplasia è una condizione clinica che riconosce una trasmissione di tipo autosomico-dominante. Nel 20% dei casi l’individuo riceve la mutazione da uno dei genitori, a sua volta affetto. In questi casi la coppia formata da un partner con acondroplasia ed un partner di statura normale presenta il 50% di probabilità ad ogni concepimento di trasmettere l’allele mutato e il 50% di probabilità di trasmettere l’allele non mutato, indipendentemente dal sesso del nascituro. In circa l’ 80% dei casi i genitori non sono portatori della condizione. In questi casi la mutazione si verifica occasionalmente a livello delle cellule germinali di uno dei due genitori e la condizione si definisce ad insorgenza "de novo". L’età paterna avanzata (definita come > 35 anni) è considerata un fattore di rischio per questa condizione, suggerendo che la mutazione si verifica preferenzialmente durante la Pagina 2 di 12 spermatogenesi. Il rischio di ricorrenza in coppie di genitori sani in successive gravidanze è leggermente superiore a quello della popolazione generale e pari all’1% circa ed è dovuto a possibili condizioni di mosaicismo germinale presente in uno dei genitori. Più raramente coppie formate da entrambi i partner con acondroplasia presentano il 50% di probabilità ad ogni concepimento di avere un figlio affetto "eterozigote" come i genitori, 25% di probabilità di trasmettere i due alleli non mutati e quindi di avere un figlio sano, ed infine il 25% di probabilità di trasmettere i due alleli mutati e concepire un embrione con la forma letale di acondroplasia. E’ indicato che i soggetti affetti o a rischio della condizione eseguano una consulenza genetica in epoca preconcezionale, dove possono essere chiarite le caratteristiche genetiche della condizione, valutata l’indicazione al test genetico, verificando la valenza diagnostica e riproduttiva del test genetico. In epoca post-natale la diagnosi di acondroplasia si effettua sulla base delle caratteristiche cliniche e radiografiche nella maggior parte dei pazienti; nei soggetti eventualmente troppo giovani per effettuare una diagnosi clinica di certezza o nei soggetti con caratteristiche atipiche, il test genetico molecolare può essere utilizzato per individuare la mutazione in FGFR3. Questo test evidenzia mutazioni nel 99% degli individui affetti ed è effettuabile presso i laboratori clinici a livello diagnostico. La diagnosi prenatale si effettua mediante la ricerca della mutazione specifica del gene FGFR3 con analisi del DNA estratto da villi coriali prelevati mediante villocentesi (eseguibile tra la 11^ e 12^settimana gestazionale) e/o amniociti mediante amniocentesi (eseguibile dalla 15^ alla 18^ settimana gestazionale). Entrambe le procedure presentano un rischio di complicanze ostetriche che sono rispettivamente dell’ 1-2% e dello 0.5-1%. Essa può essere proposta nelle seguenti situazioni: - coppie a rischio elevato in cui vi sia almeno un componente della coppia affetto da acondroplasia (in questo caso la mutazione responsabile deve essere messa in evidenza nel/nei genitore/i affetti prima dell’effettuazione della diagnosi prenatale). - coppie a rischio contenuto, ad esempio coppie normali che abbiano avuto un figlio affetto da acondroplasia e siano esposte alla probabilità di ricorrenza del mosaicismo gonadico di circa l’1%. - coppie a basso rischio, diagnosi ecografica inaspettata di sospetta displasia scheletrica nell’ambito di un esame ecografico di routine. Va ricordato che molto raramente i dati ecografici sono assolutamente indicativi di una specifica diagnosi (ad esempio acondroplasia). L’esecuzione del test genetico fa quindi parte di un più ampio e complesso iter diagnostico riferito al vasto capitolo delle anomalie costituzionali dello scheletro. NOTA Per gli aspetti comuni a tutte le malattie rare di origine genetica consulta il documento: ''L'attività di genetica medica e la diagnosi di malattia rara''. ULTERIORI ELEMENTI (NON ESSENZIALI PER LA DIAGNOSI) Non applicabile CONDIZIONI CLINICHE CORRELATE CON LA PATOLOGIA IN OGGETTO DA NON CERTIFICARE Non applicabile Pagina 3 di 12 Criteri terapeutici TERAPIE MEDICHE Mentre esistono cure mediche che contribuiscono a correggere alcune forme di nanismo armonico disendocrino, non si conosce ancora una terapia medica o fisica che raggiunga questo scopo nel nanismo da acondroplasia. Oggi possiamo in parte prevenire e curare il nanismo allungando chirurgicamente gli arti inferiori. INTERVENTI CHIRURGICI Strategia dell’allungamento degli arti nell’acondroplasia L'acondroplasia e l'ipocondroplasia, come tutte le lesioni da patologie congenite delle cartilagini di accrescimento, sono forme di nanismo disarmonico, con lunghezza degli arti notevolmente ridotta rispetto alla lunghezza del busto. Il nano acondroplasico ha caratteristiche che lo contraddistinguono per la brevità degli arti e soprattutto per l'alterato rapporto tra la lunghezza degli arti inferiori e del busto; mentre nell'individuo normale questo è di 1/0,95, nell'acondroplasico è di 1/0,5 - 1/0,6 . Oltre a questo difetto di proporzioni, l’acondroplasico può presentare una patologia complessa, che coinvolge la colonna vertebrale e le grosse e piccole articolazioni. Spiccano, fra tutti, i difetti di orientamento assiale e rotatorio degli arti superiori ed inferiori e le limitazioni funzionali di alcune grosse articolazioni, come quelle dell’anca e del gomito. Mentre esistono cure mediche che contribuiscono a correggere alcune forme di nanismo armonico disendocrino, non si conosce ancora una terapia medica o fisica che raggiunga questo scopo nel nanismo da acondroplasia. Oggi possiamo in parte prevenire e curare il nanismo allungando chirurgicamente gli arti inferiori. L’allungamento degli arti con i fissatori esterni è un metodo chirurgico utilizzato da oltre 40 anni, ben sperimentato ed è quindi divenuto un sistema che offre ai pazienti delle ottime garanzie di riuscita e di tollerabilità. Questo trattamento chirurgico migliorando gli aspetti funzionali ed estetici della patologia, determina di conseguenza anche un miglioramento dell’autostima e quindi del quadro psicologico ed emotivo. I soggetti diventano indipendenti nella vita di tutti i giorni (possono guidare il motorino, l’automobile, possono vestire abiti normali ecc.) e quindi sono meglio inseriti nel contesto sociale. Inoltre questa tecnica chirurgica permette di correggere le deviazioni assiali che sono sempre presenti in questi soggetti (varismo tibiale), condizionanti nel tempo il sicuro sviluppo di patologie artrosiche. La strategia dell’allungamento - Fase pre-operatoria La prima fase prevede la descrizione al paziente ed ai genitori della metodica di trattamento, del risultato funzionale ed estetico raggiungibile, delle possibili complicanze e dell’impegno in termini di ospedalizzazione, assistenza domiciliare, controlli ambulatoriali. Allo stesso tempo vengono valutate clinicamente e radiograficamente tutte le deformità osteo-articolari ed il quadro neurologico. L’altezza del paziente al termine della crescita biologica viene calcolata seguendo tabelle di previsione dell’altezza (height multiplier for achondroplastic boys and girls). Le deformità più comuni interessano le anche con flessione delle stesse associata a iperlordosi lombare compensatoria, l’ipertrofia del grande trocantere e la brevità del collo femorale con coxa vara, il maggiore sviluppo del perone rispetto alla tibia condizionante varismo articolare della tibia prossimale e distale, e la lassità del legamento collaterale laterale con conseguente instabilità del ginocchio. Importante è la valutazione di piede e caviglia: un valgismo calcaneare di compenso al varo tibiale distale può ad esempio favorire la sublussazione pronatoria della sottoastragalica in corso di allungamento. Nell’arto superiore è comune la flessione del gomito per ipertrofia dell’olecrano in deformità ulnare con Pagina 4 di 12 curvatura posteriore per maggiore crescita radiale. In alcuni casi si ha la lussazione del capitello radiale. Si prosegue con la valutazione del quadro neurologico in particolare con attenzione ad eventuali segni clinici di lesioni midollari, conseguenza di una compressione midollare da canale stretto. Un fattore di rischio a riguardo è la cifosi dorso-lombare. Non è necessaria una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica nucleare (RMN) in quanto la situazione anatomica è ben conosciuta. Una valutazione neurologica è opportuna. La necessità di accertamenti strumentali è necessaria ed urgente in caso di comparsa della sintomatologia clinica di neuropatia o quando è prescritta dal neurologo (stenosi del forame magno). Di estrema importanza per l’intervento di allungamento con fissatori esterni, è il mantenimento di un peso ottimale da parte di questi pazienti. Il sovrappeso è di ostacolo alla mobilizzazione e costringe all’utilizzo di apparati ingombranti e quindi di ulteriore impaccio alla deambulazione. - Valutazione psicologica del paziente e della famiglia L’intervento di allungamento chirurgico degli arti richiede una particolare preparazione psicologica del paziente e dei familiari, visto che rappresenta una scelta che comporta da un lato sofferenza, periodi di ospedalizzazione e dall’altro alimenta aspettative in termini di risultati estetici e funzionali che devono essere ricondotte alle possibilità effettive di riuscita (Molinari Sartorio). In caso di rifiuto all’allungamento esiste la possibilità di intervenire nella correzione delle sole deformità sempre con la stessa metodica di fissazione esterna ma con tempi di guarigione più rapidi. - Età a cui sottoporre il paziente all’intervento di allungamento Il procedimento per l’allungamento degli arti è molto lungo e faticoso per il paziente e per i suoi familiari ed espone a numerosi rischi di complicazioni intra- e post-operatorie. Le strategie chirurgiche sono svariate ed anche nel Gruppo di lavoro Lombardo ci sono alcune varianti tra coloro che seguono le indicazioni di Catagni e collaboratori (Protocollo 1) e coloro che seguono le indicazioni di Peretti e collaboratori (Protocollo 2), pur con alcuni aspetti comuni, particolarmente per quanto riguarda la fase pre-operatoria e la rieducazione. Protocollo 1 L’allungamento degli arti è preferibile eseguirlo prima dell’età adulta sia per motivi sociali (maggiore aiuto da parte dei familiari, assenza di problemi di tipo lavorativo), che biologici (più rapida rigenerazione ossea) e maggiore motivazione (l’adulto spesso si adatta alla sua condizione di bassa statura). Se l’obiettivo del trattamento è un allungamento di 15-18 cm, questo può essere effettuato con il solo allungamento delle due gambe contemporaneamente. Quando l’obiettivo è un allungamento di oltre 20 cm, è necessario l’allungamento sia delle gambe che dei femori. In questo caso la strategia è l’allungamento delle gambe seguito dall’allungamento degli omeri e poi dei femori. L’allungamento simultaneo delle gambe ha il vantaggio di non creare una discrepanza di lunghezza negli arti. L’allungamento simultaneo dei femori è possibile sia con apparati monolaterali che circolari pur con un maggiore ingombro in caso di fissatori circolari che garantiscono tuttavia una maggiore stabilità e quindi una maggiore tolleranza al carico. L’allungamento degli omeri si rende necessario dopo l’allungamento delle gambe in quanto il paziente inizia ad avere difficoltà a raggiungere con le mani i piedi, oltre alla disarmonia che si è venuta a creare tra arti inferiori e superiori ("effetto pinguino"). Secondo questa strategia, il trattamento inizia all’età di 10-11 anni, età in cui incomincia a manifestarsi maggiormente la sproporzione di sviluppo degli arti ed i soggetti, avendo acquisito un buon sviluppo razionale, sono motivati a sottoporsi al trattamento e a sopportarne i sacrifici. Protocollo 2 Si avvale di precedenti esperienze che avevano dimostrato che i bambini sopportano l’allungamento degli Pagina 5 di 12 arti molto meglio degli adulti, hanno tempi di rigenerazione dell’osso e di consolidazione molto più rapidi e minor numero di complicazioni; lavori precedenti avevano anche dimostrato che le complicazioni da allungamento sono tanto più frequenti e gravi quanto maggiore è l’allungamento ed era stato constatato che queste sono rare e di minore entità per allungamenti fino ad 1/3 della lunghezza iniziale del segmento osseo. Questo protocollo prevede di eseguire l’allungamento durante l’età del maggior sviluppo scheletrico, di limitare, per ogni intervento, l’entità dell’allungamento a 1/3 della lunghezza iniziale del segmento osseo su cui si opera, e di frazionare l’allungamento in quattro tempi. Eseguendo questo tipo di allungamento due volte sui femori e due volte sulle tibie, a determinate età dello sviluppo, si raddoppia la lunghezza definitiva degli arti e quindi si restituisce armonia di dimensioni tra il tronco e gli arti inferiori. Un ultimo motivo che porta a fare questa scelta è di carattere psicologico; l’acondroplasico che viene allungato fin dai primi anni della scuola elementare, non si sente mai un nano in quanto cresce insieme ai propri compagni. Il programma terapeutico, impostato fin dal 1982 e solo parzialmente modificato nel corso degli anni, prevede: - 1° intervento a 6 anni, per le tibie: poiché a 6 anni la tibia dell’acondroplasico è lunga cm 15 circa, eseguiamo un allungamento di cm 5-6; - 2°intervento a 7 anni, per i femori: poiché a 7 anni la lunghezza dei femori dell’acondroplasico è circa cm 18, eseguiamo un allungamento di cm 6-7 dei femori; - 3°intervento a 11-12 anni, per le tibie: poiché le tibie dell’acondroplasico che hanno già subito un allungamento, a questa età sono lunghe cm 25 circa, eseguiamo un allungamento delle tibie di cm 8-10; - 4°intervento a 12-14 anni, per i femori: poiché i femori dell’acondroplasico che hanno già subito un allungamento, a questa età sono lunghi cm 28 circa, eseguiamo un allungamento dei femori di cm 9-12; - 5°intervento a 16 anni, per gli omeri: a questa età, nell'acondroplasico ormai adulto, gli omeri sono lunghi da cm 12 a cm 20; eseguiamo un allungamento di cm 8-12, superando il limite di 1/3 perché il braccio tollera meglio. Con questo procedimento otteniamo un complessivo allungamento degli arti inferiori da 28 a 35 cm, con rare eccezioni in difetto o in eccesso, e giungiamo anche a raddoppiare quasi la lunghezza degli omeri rendendoli più utili per la loro funzione. In tutti i pazienti, nei due protocolli, la tecnica chirurgica adottata per l'allungamento degli arti nell’acondroplasico consiste nella osteotomia dei segmenti ossei da allungare e nella successiva diastasi dei monconi. L’intervento viene sempre eseguito in parallelo, che significa allungamento contemporaneo dei due femori, o delle due tibie, o dei due omeri. L’entità quotidiana di allungamento è di mm 1 al giorno, ad iniziare dalla 2^ - 5^ giornata postoperatoria, in rapporto all’età del paziente ed al sistema di sintesi allungabile utilizzato. Gli strumentari utilizzati sono il fissatore esterno circolare e il fissatore esterno assiale, talvolta utilizzato in composizioni miste (Protocollo 1); nel Protocollo 1 il fissatore circolare viene utilizzato per le gambe (tibia e perone) ed il fissatore assiale per i femori e per gli omeri. L'allungamento dei tendini d'Achille viene eseguito solo se necessario e solitamente questo avviene dopo 810 cm di allungamento. L'entità totale dell'allungamento varia, secondo la tolleranza dei pazienti, da 15 sino a 20 cm, con tempo medio del trattamento da 8 a 12 mesi. Comunque l’allungamento è di circa un terzo della lunghezza del singolo segmento scheletrico. Complicazioni Le complicazioni intraoperatorie sono rare ma possibili; sono invece frequenti quelle post-operatorie. La maggior parte di queste sono correggibili durante lo stesso allungamento; altre sono correggibili soltanto mediante interventi successivi; per fortuna rare sono le complicazioni che lasciano postumi invalidanti o Pagina 6 di 12 estetici definitivi. Le complicazioni intraoperatorie consistono in lesioni vascolari o nervose, per trauma diretto durante l'inserimento dei fili metallici o delle fiches o durante l’osteotomia; tutte queste sono inversamente proporzionali alla esperienza del chirurgo, ma possono essere anche conseguenza di particolari situazioni anatomiche locali. Dopo l'intervento e durante l'allungamento si possono verificare le rotture dei fili di Kirschner o delle fiches, gli spostamenti delle fiches di fissazione ed anche le rotture degli apparecchi di stabilizzazione, sia esterna che interna, a causa di difetti meccanici; altre complicazioni durante l'allungamento sono rappresentate dalle infezioni, specie della cute o del sottocute, dalle retrazioni tendinee e muscolari, che determinano atteggiamenti articolari rigidi e coatti, fino alla sublussazione di alcune articolazioni (femore, rotula, ginocchio) in particolari situazioni anatomiche. Per rimediare a queste lesioni si può sospendere temporaneamente l'allungamento, somministrare idonea terapia medica antibiotica generale e locale, praticare intensa fisiochinesiterapia e, nei limiti del possibile, correggere le deviazioni assiali. Altra complicazione frequente durante l’allungamento dei femori dell’acondroplasico è l’accentuazione della lordosi lombare, se non viene eseguita una adeguata terapia fisica per la distensione dei tendini pelvi femorali. In alcuni casi la correzione si ottiene soltanto dopo la rimozione del fissatore e talvolta richiede la tenotomia dei tendini che si inseriscono sulla SIAS (spina iliaca antero superiore). I ritardi di consolidazione sono poco frequenti e solo raramente è necessario intervenire con manovre di ginnastica del fissatore e talvolta addirittura fratturando l’osso in allungamento per ottenere un aumento del volume del rigenerato ed una sua più rapida consolidazione. La persistenza di deviazioni assiali, se non viene corretta durante l’allungamento, deve essere corretta ricorrendo ad altri interventi chirurgici; talvolta la correzione può essere affidata al secondo allungamento. L'esperienza ci ha insegnato che per ottenere un buon risultato clinico, estetico e funzionale, è necessaria la collaborazione tra medico, paziente e genitori di quest’ultimo; è necessaria una adeguata preparazione del paziente e dei familiari da parte di un gruppo di pediatri e di psicologi esperti del problema chirurgico ed è necessaria una adeguata preparazione fisioterapica, che deve continuare per tutto il periodo dell’allungamento, con grande intensità ed al termine di questo, fino alla rimozione dei fissatori esterni. In questi casi i risultati saranno buoni e pieni di soddisfazione per il paziente, per i suoi genitori e per tutta l’equipe di pediatri, psicologi, fisioterapisti e chirurghi che ha seguito il paziente. PIANO RIABILITATIVO Il piano fisioterapico al paziente che si approccia ad un intervento di allungamento degli arti dovrebbe seguire un preciso programma riabilitativo e rieducativo. Esso può essere diviso in due fasi: fase preoperatoria e post-operatoria. 1) fase pre-operatoria: serve per predisporre al meglio lo stato articolare e muscolare, agendo sul tonotrofismo e preparando gli elementi dell’apparato locomotore che sono direttamente interessati dal trattamento stesso. Ulteriore scopo della riabilitazione negli allungamenti è di migliorare eventuali atteggiamenti viziati originati dalle differenti tensioni muscolari. In questa prima fase si insisterà particolarmente sullo stretching muscolare, tecnica che permette di preparare i muscoli alle modificazioni anatomiche conseguenti all’allungamento degli arti. Nella fase pre-operatoria bisognerà valutare la postura del paziente, pianificare un adeguato protocollo riabilitativo individuale anche in relazione alla conformazione dell’apparato locomotore del bambino e in rapporto a quelle che saranno le modificazioni che esso subirà in corso di allungamento. In questa fase si ricerca inoltre il rinforzo muscolare isocinetico, ovvero la contrazione a velocità costante per tutto l’arco del movimento così da avere una contrazione massimale per tutta l’escursione articolare. Importante è anche ricercare l’autonomia del paziente, effettuando il rinforzo degli arti superiori e della muscolatura addominale per opporsi alla ricorrente iperlordosi lombare. Si consigliano inoltre esercizi favorenti la destrezza e l’equilibrio propriocettivo. Pagina 7 di 12 2) fase post-operatoria immediata: la ginnastica circolatoria, favorente sia il circolo ematico che quello linfatico, deve essere particolarmente accurata per prevenire eventuali flebotrombosi; sono inoltre indicati una postura sollevata degli arti operati nei periodi di riposo a letto e i massaggi di svuotamento che aiutano la detumefazione completa. I piedi obbligatoriamente vengono mantenuti a 90° con bende elastiche e scarpe con elastici in gomma. Se le condizioni lo permettono si eseguono anche esercizi di stretching, di minore intensità rispetto alla fase pre-operatoria, che favoriscono lo scorrimento dei piani articolari e degli elementi aponeurotici e tendinei. Per permettere un corretto ed efficace allungamento dei tessuti molli nei primi giorni post-intervento è necessario controllare il dolore attraverso una adeguata terapia farmacologica analgesica da assumere prima della seduta di fisioterapia. Ciò assicura una adeguata mobilizzazione del paziente e diminuisce il rischio di contratture e posture antalgiche scorrette. Il movimento deve riprendere con schemi fisiologici normali senza compensi o atteggiamenti viziati che, se non corretti, potrebbero permanere anche in seguito; si deve mantenere e conservare sia l’immagine ideomotoria che il senso cinestesico del movimento. Le metodiche di allungamento hanno il pregio di permettere la stazione eretta e la deambulazione dopo pochi giorni dall’intervento con l’ausilio di parallele, girello deambulatorio e bastoni canadesi. Gli esercizi preparatori alla deambulazione sono la fase più critica soprattutto per i bambini; è necessario infatti capire la capacità di sopportazione del dolore e il grado di fiducia in sé stessi. Dopo aver acquisito una certa sicurezza nei movimenti e un’assimilazione somatognosica dell’apparecchio, si passa agli esercizi deambulatori: parallele, canadesi, un solo bastone e infine andatura libera. La debolezza muscolare potrà essere causa di variazioni del cammino più o meno evidenti che, se non corrette, porteranno nel tempo ad uno schema motorio alterato. Il carico, dapprima parziale e successivamente totale, ha un effetto certamente positivo sulla capacità delle parti molli di adeguarsi all’osso in allungamento, oltre ad incentivare l’osteogenesi e la circolazione venosa e linfatica. Vengono così diminuiti gli edemi e le complicanze a carico del circolo, le ipotrofie muscolari e l'algodistrofia di Sudeck. Durante la fase di distrazione e, a maggior ragione dopo la rimozione dei fissatori, prescriviamo di eseguire costantemente e in modo progressivo esercizi di stretching. Devono essere sempre ottenuti l’estensione dell’anca e del ginocchio, così come il corretto appoggio plantigrado del piede. Può essere utile l’interruzione temporanea della distrazione per permettere al bambino di eseguire con minor dolore gli esercizi, evitando in tal modo contratture antalgiche, atteggiamenti articolari viziati, impossibilità a deambulare correttamente. Durante l’allungamento dei femori si assiste spesso ad una accentuazione della iperlordosi, più grave se il bambino preferisce restare seduto a lungo. Come conseguenza sia dell’allungamento dei femori che delle tibie, spesso si assiste alla contrattura in flessione del ginocchio o all’equinismo dell'articolazione tibiotarsica. Quest’ultima può essere evitata usando delle fionde elastiche tese tra scarpa/piede e cerchio prossimale del fissatore. Queste fionde devono essere mantenute anche di notte ovvero esser sostituite con una scatola dove il bambino appoggerà la pianta del piede. 3) alla rimozione del fissatore: una volta rimosso il fissatore è necessario valutare eventuali limitazioni articolari residue e ricercare il ripristino totale dell’articolarità e, per quanto possibile, del tono-trofismo muscolare. A completamento del trattamento, ci si occuperà inoltre della riarmonizzazione morfologica, con esercizi di correzione posturale e degli atteggiamenti di compenso. Il perfezionamento del passo avverrà attraverso il ricorso a tecniche di stretching muscolare e di allungamento della catena cinetica posteriore. Successivamente si cercherà di promuovere il totale inserimento alle normali attività della vita quotidiana, incluse le attività sportive non agonistiche consone all’età. Brevemente, potremmo inoltre riassumere in questo modo l’approccio post-operatorio al paziente sottoposto ad allungamento chirurgico degli arti: Pagina 8 di 12 - 1° e 2° giornata: riposo, terapia antalgica. Permessa posizione seduta a letto o in poltrona. - 3°- 7° giornata: inizia la distrazione dei segmenti operati mediante apposito strumentario. Inizio mobilizzazione letto-poltrona progressiva e con i tecnici della riabilitazione si imposta un protocollo riabilitativo teso al recupero della stazione eretta e della deambulazione. Si posizionano fionde ai piedi per evitare l’atteggiamento coatto dei piedi in equino. - Dall'8° giornata: si procede con la distrazione 1 mm al giorno. Il paziente deve aver assunto la posizione eretta, deambulare con stampelle, evitare posture scorrette ovvero la posizione prolungata seduta, così da scongiurare contratture e rigidità articolare. Particolare attenzione deve essere posta ad alcuni muscoli, come il tensore della fascia lata, gli ischio-crurali, il tricipite surale, l’ileopsoas. - Fine della fase di distrazione: il paziente continua il trattamento fisiokinesiterapico fino alla rimozione dei fissatori. Il paziente si sottoporrà a visite mediche periodiche e controlli radiografici fino a comprovata consolidazione del focolaio di ostetomia sede di allungamento. - Consolidazione e rimozione dei fissatori: dopo la rimozione dei fissatori, il paziente deve continuare a svolgere esercizi di stretching e di rinforzo muscolare. Non avendo più ingombri meccanici alla deambulazione, può praticare sport. Aspetti assistenziali NOTA Per gli aspetti comuni a tutte le malattie rare consulta il documento: ''Tutele sociali per i pazienti affetti da malattia rara''. Monitoraggio ELENCO DEGLI ESAMI/VISITE DA PROPORRE AL PAZIENTE DURANTE IL FOLLOW-UP CLINICO Il follow-up in età adulta oltre al monitoraggio di problematiche mediche preesistenti sin dall’età pediatrica (per esempio ortopediche, respiratorie ed otorinolaringoiatriche), deve essere mirata alle seguenti complicanze specifiche. Nel 20-30% dei casi sono presenti disturbi neurologici tipo parestesie, paresi o vere e proprie paralisi degli arti inferiori causati da una stenosi spinale lombosacrale con compressione del midollo spinale o delle sue radici nervose. Nel 10% dei casi si rende necessario un trattamento chirurgico di tipo decompressivo, soprattutto se la complicanza neurologica viene diagnosticata in uno stadio iniziale. Interventi non adeguati a questi livello possono causare l’insorgenza di cifosi di origine iatrogena, possibile esito di estese laminectomie. Nel 60% dei soggetti sono presenti problemi nutrizionali rappresentati dalla obesità che potrebbe portare ad un peggioramento dei disturbi neurologici e di deambulazione. La cifosi toraco-lombare, già presente nell’età pediatrica, può, in rari casi non adeguatamente trattati, non regredire; si instaura di conseguenza una deformità vertebrale che peggiora nell’età adulta. Questo tipo di cifosi può essere gravemente evolutiva e provoca uno stiramento delle strutture interne al canale vertebrale che, associate alle altre alterazioni presenti a livello del rachide lombare (diminuzione in senso cranio-caudale della distanza interpeduncolare ed ispessimento con riduzione in altezza dei peduncoli), oppure da sola, può provocare, solitamente dopo la seconda o terza decade di vita, i problemi neurologici sopra indicati. Si segnala inoltre che i risultati della correzione chirurgica nelle stenosi lombari sintomatiche sono peggiori nei casi in cui è presente anche una cifosi toraco-lombare. Sono segnalate problematiche ortodontiche quali malocclusione dentaria per la presenza di sproporzione tra mascellare ipoplasico e mandibola relativamente più grande. Nel caso di donne con acondroplasia, nel corso di una gravidanza è indicata una valutazione clinica per Pagina 9 di 12 definire i possibili problemi di salute materna ed una valutazione ginecologica per identificare eventuali complicazioni ostetriche correlate alla struttura del bacino e dello scavo pelvico e le specificità dell’assistenza al parto. E’ opportuno predisporre il parto mediante taglio cesareo a causa delle anomalie scheletriche della pelvi. Questa procedura chirurgica va effettuata in anestesia generale a causa della probabile stenosi spinale e dei conseguenti rischi associati ad un’anestesia spinale epidurale. Problematiche psicologiche: sono abbastanza frequenti e correlate sia alle difficoltà oggettive che scaturiscono dal dover vivere in un mondo di persone con statura normale, sia alla "diversità" dal normale vissuta talora con gravi conflitti. Nella tabella seguente sono riassunte le raccomandazioni generali per il follow-up del giovane adulto affetto da acondroplasia. Gli accertamenti che vengono indicati devono essere valutati anche sulla base degli accertamenti eseguiti in passato dal paziente. Il follow-up deve poi essere personalizzato nel singolo soggetto, sulla base della clinica e della presenza di complicanze specifiche. Esame/Procedura Valutazione nutrizionale Indagini neurofisiologiche RMN cerebrale e midollare Consulenza genetica Indicazioni Annuale In base ai sintomi In base ai sintomi Preconcezionale/prenatale ELENCO DEGLI SPECIALISTI DA COINVOLGERE Visita specialistica Psicologo Neurologo Otorinolaringoiatra (con esame audiometrico) Odontoiatrica Ortopedico Indicazioni Al bisogno In base ai sintomi/complicanze Annuale/biennale Pagina 10 di 12 Bibliografia essenziale Gollust SE. Living with achondroplasia: attitudes toward population screening and correlation with quality of life. Prenat diagn 2003; 23/12:1003-8. Subcommittee on Obstructive Sleep Apnea Syndrome. American Academy of Pediatrics. Clinical Practice guideline: diagnosis and management of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Pediatrics 2002; 109(4):704-12. Gooding HC, Boehm K, Thompson RE, Hadley D, Francomano C, Biesecker B. Issues surrounding prenatal genetic testing for achondroplasia. Prenat Diagn 2002; 22:933-940. 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