Disfagia psicogena: un caso clinico trattato con psicoterapia strategica Psychogenic dysphagia: a clinical case with strategic psychotherapy Lorena Calandi1 Riassunto In questo lavoro è trattato un caso clinico di Disfagia psicogena con l’approccio strategico breve. Dopo una breve introduzione, che descrive la disfagia come un’alterazione qualitativa e quantitativa della deglutizione, esso prosegue con la definizione dei disturbi psicosomatici e la descrizione del percorso terapeutico effettuato. Il trattamento realizza importanti cambiamenti già con la riflessione intorno ai vantaggi secondari del comportamento sintomatico. Parole chiave Approccio strategico breve, disfagia, deglutizione, disfagia psicogena, disturbi psicosomatici Abstract In this work has treated a clinical case of psychogenic dysphagia with the strategic approach short. After a brief introduction, which describes dysphagia as a qualitative and quantitative swallowing, it continues with the definition of psychosomatic disorders and description of the course of treatment carried out. The treatment produces important changes already with reflection around the secondary benefits of symptomatic behavior. Keywords Strategic approach short, psychosomatic disorders dysphagia, swallowing, psychogenic dysphagia, Introduzione Per deglutizione s’intende l’abilità dell’individuo di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco (Logemann,1995). Il termine disfagia, invece, indica un’alterazione qualitativa e quantitativa della deglutizione e quindi non configura una malattia con eziologia, patogenesi ed evoluzioni proprie, ma è un segno o sintomo di una patologia. 21 La deglutizione è un atto fisiologico articolato che consente la normale progressione del cibo dal cavo orale allo stomaco e con il termine disfagia si definisce rappresenta l’alterazione di questo processo. La disfagia di conseguenza è una disfunzione anatomo-funzionale dell'apparato digerente, consistente nella difficoltà a deglutire, ed al corretto transito del bolo nelle vie digestive superiori. Esistono diverse tipologie nosografiche delle disfagie, a seconda dell'eziologia, della localizzazione ed alla funzione svolta in questo processo. Nel transito del bolo dall’esterno allo stomaco, le alterazioni possibili possono essere divise in due grandi categorie: disfagie oro-faringee che riguardano le prime tre fasi del processo di deglutizione; disfagie esofagee che riguardano l’ultima fase e sono correlate a patologie esofagee e gastriche. Si parla, invece, di disfagia psicogena, quando essa accade in assenza di ostacoli obbiettivamente rilevabili al transito del bolo e non si riconoscono cause organiche, anatomiche, e fisiopatologiche, ma è ricondotta a disturbi del comportamento alimentare o altre psicopatologie. La disfagia può riguardare cibi solidi, liquidi, semiliquidi, semisolidi, gassosi e può essere persistente o saltuaria. La disfagia ha una prevalenza nella popolazione generale riportata intorno al 3-5% (Lindgren e Janzon, 1991). Tale numero aumenta fino al 16% nei soggetti oltre gli 85 anni (Bloem et al, 1990). Un aspetto a cui è necessario prestare maggiore attenzione è quello legato alle restrizioni sociali del paziente disfagico e alla conseguente compromissione della qualità di vita (Gustafsson et al, 1992). Di conseguenza, si tratta di un vero e proprio handicap: in quanto è sempre più chiara la relazione tra disfagia e riduzione di attività psicologiche e sociali e il conseguente peggioramento della qualità della vita come espressione di riduzione di autostima, sicurezza, capacità lavorativa e svago (Ekberg et al, 2002). Oltre a rappresentare un problema debilitante e costoso dal punto di vista sociale per pazienti e familiari, la disfagia è causa di numerosi ricoveri ospedalieri, anche ripetuti nel tempo (Martin-Harris, 1999). La gestione della disfagia orofaringea è complessa e costosa, e richiede sia nella fase diagnostica sia in quella terapeutica un’ampia rete di esperti, costituita da medici specialisti e da altro personale sanitario. Strutture anatomiche coinvolte e fasi La deglutizione, come altre funzioni fisiologiche, dipende da una rete neuronale che coinvolge molte strutture cerebrali: corteccia, aree sottocorticali, tronco cerebrale e nervi cranici (V trigemino, VII facciale, IX glosso-faringeo, X vago, XI accessorio e XII ipoglosso). La deglutizione riflessa e volontaria è attivata dal giro precentrale e postcentrale, insula e giro cingolato anteriore. La funzione deglutitoria viene suddivisa in quattro fasi cronologicamente successive e distinte, con riferimento alle regioni anatomiche via via interessate dal transito del bolo alimentare (Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari, 2013). Prima della deglutizione l’osso ioide, come postura preparatoria si sposta in posizione di moderata elevazione; contemporaneamente si verifica l’arresto della “manipolazione” intraorale e l’inibizione della respirazione, che si rendono indispensabili per 22 l’incrociamento tra via aerea e digestiva, in modo da alternare funzione deglutitoria e respiratoria. La prime due fasi, dette preparatoria orale ed orale,durante le quali si verifica una contrazione rapida dei muscoli che danno inizio ai movimenti della deglutizione, che sono sotto il controllo della muscolatura volontaria. Nella successiva fase faringea entrano in azione i muscoli faringei, la cui contrazione è di tipo involontario. L’ultima fase, anch’essa involontaria, si conclude a livello esofageo. 1. Fase preparatoria orale. Nella fase preparatoria, sotto il controllo della volontà, il cibo e la saliva sono masticate insieme per formare il bolo e la lingua lo comprime contro il palato duro. 2. Fase orale. Nella fase orale la lingua opera un movimento verso l’alto ed indietro, in un’azione sequenziale di compressione e srotolamento verso il palato, spingendo così il bolo in faringe. A questo punto la deglutizione avverrà autonomamente in modo coordinato con il riflesso peristaltico. Normalmente l’atto deglutitorio si svolge al di fuori del controllo corticale ma la fase orale si differenzia dalle altre perché consapevole e volontaria, ciò è di fondamentale importanza ai fini terapeutici poiché consente nei casi di presenza di deglutizione atipica, di correggere la prassia infantile in quella di tipo adulto, con esercizi volontari di rieducazione neuromuscolare. Nel trattare casi di deglutizione atipica l’attenzione è focalizzata sulle prime due fasi che nella deglutizione adulta o matura sono caratterizzate da precisi e rigorosi schemi motori che vedono coinvolti lingua, mandibola, labbra e guance. 3. Fase faringea. La fase faringea ha una durata di circa 1, 2 sec. ed è caratterizzata da una serie di eventi complessi che proteggono le vie aeree: quando il bolo si muove verso la faringe, il respiro cessa momentaneamente e si innesca una rapida sequenza di eventi biomeccanici . 4. Fase esofagea. Quando il bolo passa in faringe, la stimolazione di questa per via riflessa, porta al rilasciamento dello sfintere esofageo superiore che permette al bolo di entrare in esofago dando inizio allo stadio esofageo. Si ha poi la contrazione di tale sfintere che si richiude impedendo il reflusso alimentare esofago-faringeo. Il movimento verso l’interno, con progressive contrazioni ad onda, delle pareti faringee, mantiene una pressione continua, necessaria per spingere il bolo nello sfintere esofageo superiore (SES) e permette al bolo di entrare in esofago. Il passaggio del bolo determina la chiusura del SES, che blocca il suo riflusso in laringe, e l’attivazione delle onde pressorie dell’esofago che lo incanalano verso lo stomaco. Mentre le strutture faringee ed il respiro riprendono la configurazione “normale” il bolo, spinto dalle peristalsi esofagee, oltrepassa lo sfintere esofageo inferiore (LES) e giunge nello stomaco. Insieme, SES e LES, funzionano come protezione per prevenire sia che l’esofago si riempia d’aria durante altre attività come il parlare, sia che venga invaso da materiale di reflusso dallo stomaco. In ogni emisfero cerebrale è presente un centro della deglutizione, capace di attivare l’atto deglutitorio; tali centri sono interconnessi sia tra loro che con i centri cerebrali responsabili del vomito, del respiro e della masticazione (ibidem). 23 Trattamento Il trattamento è eziologico, vale a dire volto a trattare la causa della sintomatologia. In caso di restringimenti dell'esofago per anomalie della muscolatura intrinseca (acalasia), il trattamento farmacologico sarà volto a favorire il rilassamento della muscolatura tramite farmaci miorilassanti come i calcio-antagonisti, il trattamento chirurgico sarà volto alla dilatazione dell'area coinvolta (generalmente lo sfintere esofageo inferiore) tramite dilatazione pneumatica o miotomia. In caso di tumori comprimenti o infiltranti l'esofago il trattamento si avvarrà di rimozione chirurgica del tumore con eventualmente chemioterapia adiuvante. L'intervento sarà palliativo o curativo a seconda della tipologia e dello stadio del tumore in questione. In corso di sindrome di PlummerVinson sarà effettuata terapia marziale eventualmente supportata da chirurgia dilatativa. Per disordini psicogeni il trattamento è psicologico o psichiatrico (Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari, 2013). Disfagia psicogena Se consideriamo l’organismo come un’unità integrata di ordine biopsicosociale, ogni variazione introdotta in un livello va a modificare tutti gli altri livelli. In questa ottica la malattia diventa l’espressione di un disagio, di un rifiuto, di un’incapacità che non è solo del corpo ma di tutta la persona, un messaggio da decodificare, uno dei molteplici modi con cui il nostro corpo può comunicare. Con le osservazioni di Freud (1892-1895) sulle manifestazioni somatiche dell’isteria e della nevrosi di angoscia e i successivi contributi di autori come Stekel e Groddek comincia a emergere una medicina psicosomatica sebbene il termine sia stato introdotto già nel 1818 da Heinroth, la nascita della disciplina può essere fatta coincidere con la pubblicazione delle opere di H.F. Dunbar (1947) e F. G. Alexander (1950). E’ necessaria una distinzione tra reazioni e disturbi psicosomatici. La prima è episodica, momentanea, e scaturisce da un evento stimolo: per esempio nella tachicardia da spavento c'è una evidente alterazione del battito cardiaco, che è solo momentanea e che scompare non appena cessa la reazione emotiva. Nei disturbi psicosomatici esiste, invece, un'alterazione duratura, funzionale oppure organica. Nel primo caso l'organo non è leso, ma si comporta come se lo fosse. Nella malattia organica esiste, invece, una lesione dell'organo in questione: per esempio l'ulcera gastro-duodenale, che oltre ai sintomi comporta un reperto anatomo-patologico ben preciso ed individuabile. Un’emozione o un affetto possono incidere sul soma fino a procurarne un disturbo funzionale o una lesione. Lipowski (1987) definisce la somatizzazione come la tendenza a provare e comunicare il malessere psicologico sotto forma di sintomi fisici e a richiedere consulenza medica per questi. Kellner (1994), osservando le caratteristiche cliniche di pazienti affetti da disturbi medici funzionali come la dispepsia non ulcerosa e la sindrome dell’intestino irritabile, ha proposto di definire un individuo che somatizza come una persona in cui sono raggruppati diversi sintomi psicofisiologici come quelli funzionali somatici e di attivazione del sistema nervoso autonomo. Si è resa ben presto necessaria la creazione di sistemi di classificazione che, pur presentando numerosi limiti, rappresentano il tentativo di ordinare dati e fenomeni per facilitarne la comunicazione fra diversi professionisti. 24 Con il termine di “malattie psicosomatiche” si intende infatti quell’ampia fascia di patologie che si situano tra lo psichico ed il corporeo, con produzione di una sintomatologia di tipo funzionale ed organico in cui è possibile ravvisare una origine psicologica (Berti Ceroni,Grava 2005). . Con i ritmi di vita sempre più veloci ed il moltiplicarsi dei fattori di stress cui ognuno di noi è sottoposto, le malattie psicosomatiche sono in netto aumento e rappresentano le risposte estreme dell’organismo, inteso nella sua interezza di corpo-mente, di fronte a problematiche di natura affettiva ed emotiva e sotto le pressioni di tipo socioambientale. Il meccanismo della “somatizzazione” può intendersi, come il meccanismo trasformativo che, a partire da specifici contenuti psichici, opera un cambiamento a livello somatico, attraverso il coinvolgimento dei sistemi endocrino ed immunitario. Alcuni autori hanno poi ipotizzato in questo tipo di disturbi la presenza di una iperattività dei sistemi nervosi parasimpatico e simpatico, iperstimolati e condotti ad un disfunzione cronicizzata, unitamente ad alcuni altri fattori predisponenti tra i quali la specifica personalità del soggetto, una particolare “vulnerabilità d’organo” (cioè il fatto che ogni individuo può presentare un organo “bersaglio” sul quale vengono canalizzate di preferenza le tensioni interne), ed un certo tipo di ambiente esterno. Ad esempio, una aggressività intrapsichica eccessivamente inibita viene canalizzata, in base a precedenti modalità di gestione di simili vissuti emotivi, attraverso un meccanismo di somatizzazione producendo un sintomo organico (p.es. a livello di apparato gastroenterico). Ecco dunque che il corpo si incarica di comunicare la presenza di contenuti “disturbanti” per la coscienza, attraverso il ricorso al sintomo fisico. In questo senso specifico, la somatizzazione costituirebbe una sorta di “codificazione” di contenuti affettivi ed emotivi non mentalizzabili (Albarella ,Racalbuto,2004). La classificazione secondo il DSM IV-TR ed il DSM-5 La categoria dei “disturbi somatoformi” è entrata nella nosografiapsichiatrica nel 1980, con la terza edizione del DSM (DSM-III, 1980) e comprende, nella versione del DSMIV-TR, 2000: il Disturbo da Somatizzazione il Disturbo Somatoforme Indifferenziato il Disturbo di Conversione il Disturbo Algico l’Ipocondria il Disturbo di Dismorfismo Corporeo il Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato Nella realtà, così come è possibile osservare nella pratica clinica quotidiana, i pazienti si presentano con problematiche diverse e quadri più complessi, non omogenei fra loro. Inoltre, il DSM, ponendosi come strumento diagnostico ateoretico e categoriale basato sull’osservazione dei sintomi, esclude ogni ricerca sulle cause e introduce una visione discontinua dei disturbi mentali. Secondo la definizione del manuale, “la caratteristica comune dei Disturbi Somatoformi è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica 25 generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale (per es. il Disturbo di Panico). I sintomi devono causare significativo disagio o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree. A differenza dai Disturbi Fittizi e dalla Simulazione, i sintomi fisici non sono intenzionali (cioè sotto il controllo della volontà)” (DSM IVTR,2001). Nel manuale è prevista inoltre, come categoria a se stante, quella denominata “ Fattori Psicologici che influenzano una condizione medica”. Questi fattori psicologici o comportamentali “includono disturbi in asse I,disturbi in asse II, sintomi psicologici o tratti di personalità che non soddisfano appieno i criteri per un disturbo mentale specifico, comportamenti dannosi alla salute, o reazioni fisiologiche a fattori stressanti ambientali o sociali”. Questa categoria, di grande interesse per il medico,racchiude in parte le malattie psicosomatiche nella cui genesi ed evoluzione sono implicati fattori psichici diversi (esperienze ed emozioni stressanti, fattori di personalità predisponenti, condizioni conflittuali) che agiscono con vari meccanismi. Il termine disturbi somatoformi del Dsm-IV-Tr creava confusione ed è stato sostituito da disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati nel Dsm-5.Nel Dsm-IV esisteva un'ampia sovrapposizione delle diverse categorie e non vi era mancanza di chiarezza sui reali confini diagnostici. L'attuale classificazione del Dsm-5 di conseguenza riduce il numero totale dei disturbi e delle sottocategorie. precedenti criteri attribuivano un'eccessiva importanza ai sintomi dal punto di vista medico (in Dsm-5, 2014). La nuova classificazione definisce la diagnosi principale,disturbo da sintomi somatici,sulla base di sintomi oggettivi (sintomi somatici che procurano disagio accompagnati da pensieri,sentimenti e comportamenti anomali, e comportamenti adottati in risposta a tali sintomi) (ibidem).Questa sezione del Dsm-5 comprende: Il Disturbo da sintomi somatici Il Disturbo da ansia di malattia Il Disturbo di conversione (Disturbo da sintomi neurologici funzionali) Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche Disturbo fittizio Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione Caratteristiche del Disturbo Il Disturbo di Conversione si caratterizza per le manifestazioni sintomatiche (sintomi “pseudo-neurologici”) inerenti le funzioni motorie volontarie o sensitive senza la presenza di una compromissione anatomica o organica che ne giustifichi la presenza: I sintomi motori includono alterazioni della coordinazione e dell'equilibrio, paralisi localizzate, perdita della voce (afonia), difficoltà di deglutire o sensazione di nodo alla gola, ed infine ritenzione urinaria; I sintomi sensitivi comprendono invece perdita della sensibilità tattile o del dolore, cecità, sordità, allucinazioni, attacchi pseudo-epilettci o convulsioni. L’assenza di una qualche compromissione organica lascia presagire che il quadro sintomatico trae origine da una qualche ragione psicologica come un conflitto o una condizione di stress; tale supposizione deve essere incoraggiata dalla correlazione temporale tra le manifestazioni sintomatiche o il loro aggravamento e i fattori 26 psicologici responsabili. In altre parole, le manifestazioni sintomatiche rappresenterebbero la simbolizzazione di un conflitto interno. Freud aveva già messo in evidenza tale meccanismo, soprattutto nei suoi studi sull’isteria, a proposito del quale parlava di “vantaggi primari e secondari della malattia” intendendo con “vantaggio primario” la risoluzione del conflitto psichico, e quindi dell’angoscia, attraverso la sua simbolizzazione nella malattia mentre, per “vantaggio secondario”, intendeva i vantaggi concreti che la condizione dell’esser malato può garantire (deresponsabilizzazione, cura, affetto ecc.) (Bollas,2001). Le manifestazioni sintomatiche di conversione sarebbero dunque una sorta di compromesso tra lo psichico e il somatico. Gli individui affetti dal disturbo appaiono particolarmente suggestionabili (non ha caso una delle prime cure sperimentate da Charcot e da Freud per curare l’Isteria fu l’ipnosi) tanto che le manifestazioni sintomatiche possono variare o dipendere da condizioni esterne come l’attenzione degli altri. Un’altra caratteristica che può accompagnare il disturbo è la belle indifference”, ovvero un atteggiamento distaccato, quasi indifferente, che accompagna le manifestazioni sintomatiche (paralisi, cecità, afonia, sordità ecc.) dell’individuo (Ferro, Riefolo2006). Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato (come nei Disturbi Fittizi o nella Simulazione). Il Dsm-IV-Tr (2001) sostiene che al Disturbo di Conversione si possono accompagnare Disturbi Dissociativi, il Disturbo Depressivo Maggiore e il Disturbo Istrionico, Antisociale, Borderline e Dipendente di Personalità. A seconda del tipo di sintomo o deficit, si può specificare: Con Sintomi o Deficit Motori Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni Con Sintomi o Deficit Sensitivi Con Sintomatologia Mista Il Dsm-5 (2014), invece, specifica i seguenti sintomi: Con debolezza o paralisi Con movimento anomalo (es. tremore, movimenti distonici, mioclono, disturbi della deambulazione); Con sintomi riguardanti la deglutizione Con sintomi riguardanti l'eloquio (es. disfonia,biascicamento); Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni Con anestesia o perdita di sensibilità Con sintomi sensoriali specifici (problemi visivi,olfattivi o uditivi) con sintomi misti Inoltre si tende a specificare se si tratta di episodio acuto (i sintomi sono presenti per meno di 6 mesi) o persistente (i sintomi si presentano per 6 mesi o più) e se vi è o meno un fattore psicologico stressante. In fase diagnostica si utilizzano alternativamente le definizioni di "funzionale" (riferendosi al funzionamento anomalo del sistema nervoso centrale) o "psicogeno"(riferendosi ad un'eziologia presunta tale) (ibidem). 27 Caso clinico: Il nodo alla gola Viviana, 34 anni, vive in provincia di Enna ed è impiegata. E’ sposata con Giuseppe da 7 anni dopo un lungo fidanzamento, ed è mamma di un bambino di quasi 3 anni. Viviana è una bella ragazza, esile con gli occhi azzurri. Si presenta allo studio accompagnata dal marito. La paziente esordisce raccontando come è venuta a conoscenza dell’approccio strategico che ritiene adeguato per la risoluzione del suo problema. Dopo diversi tentativi di risoluzione intrapresi, farmacologici e psicoterapici risultati fallimentari,riferisce che attualmente il disturbo si è accentuato "…il mio medico….lo scorso anno è stato…mi indirizzò da uno psicoterapeuta…sicuramente un ragazzo bravissimo…e tutto quanto….però poi….alla fine…non ho….non ho continuato questa psicoterapia…ci dovevo andare diverse volte la settimana…naturalmente…dovevo fare una cura….doveva capire le mie…problematiche ,naturalmente….non….e niente….poi un pochettino mi….niente non lo so….non sono stata neanche incoraggiata…non lo so manco io…come….cosa è….l’ho presa così…niente poi….finì così….non l’ho fatto….ora praticamente poi ultimamente ho questo mio disturbo…accentuato". Il terapeuta tenta di indagare e fare una definizione del problema di Viviana "..io ho un problema….che non so a cosa è dovuto….non riesco ad ingoiare….ero già sposata….mi ero sposata…ed ho avuto questo disturbo che non capivo cosa fosse…ed un po’ mi sono spaventata...perchè mi veniva di non respirare…ho fatto una visita otorino-laringoiatra ….e…niente….questa visita fatta un po’ così…perché…non sono riuscita a farmi fare la gastroscopia…sempre dovuto a questa mia ansia…un esame dal naso…un tubicino che mise nel naso ed andò un poco nella gola una cura che dovevo prendere una bustina anti-acidodopo che pranzavo…che rilassano …delle goccine per rilassare i muscoli…. Mi diede 5 goccine di Lexotan la mattina e 5 il pomeriggio…ed io l’ho fatto… queste 5 goccine di Lexotan e poi altre 5….poi quando io ci sono andata nuovamente da lui…sono ritornata e dico….dottore…io non mi sento bene…dico….io penso di essere tranquilla con la testa…penso….non ne ho depressione…io non mi sento che c’ho la depressione". Secondo l’approccio strategico il terapeuta, sin dal primo incontro con il paziente non si sofferma sul suo passato ma valuta e prende in considerazione alcuni aspetti fondamentali (Nardone,Watzlawick,1997): cosa avviene nelle relazioni che il soggetto crea con se stesso, con il mondo e con gli altri; come il problema che viene presentato sia “funzionale” all’interno di queste interazioni; le tentate soluzioni che il soggetto ha cercato ed azionato per risolvere la sua difficoltà e che, spesso, risultano essere il “vero” problema; come è possibile cambiare questa situazione di disagio nel modo più facile e veloce possibile. Si tratta di enunciare il problema nei termini più concreti possibili, identificando quale sia il sistema interattivo disfunzionale (i 3 sistemi interattivi: l’individuo in relazione con sé stesso, con gli altri, con il mondo) che lo mantiene. Una chiara definizione del problema, inoltre, permette di evitare di lavorare su pseudoproblemi (Haley,1976); Il terapeuta mira a definire il problema della paziente cercando di contestualizzarlo ("non riuscivo ad ingoiare…eh…..praticamente….allora non ce l’ho avuto 28 fortissimo….ci sono stati periodi in cui sono stata tranquilla…voglio dire…da un po’ di tempo…l’estate….l’estate del….non questa estate che …..l’estate scorsa diciamo...Giulietto era più piccolino….poteva avere un annetto …il primo anno che siamo andati a mare…e mi ricordo che eravamo a cena…stavamo mangiando del pesce ed ho avuto la sensazione come se mi fossi ingoiata una lisca....Giulio stava dormendo…noi stavamo cenando…ed io ho avuto questa cosa…ho detto…mamma mia Giuseppe…mi sono ingoiata una lisca…ed ho avuto la sensazione che…e lui mi ha risposto….è la tua impressione… stiamo mangiando….tu ti sei presa....ed ho avuto la sensazione che ho ingoiato….il gambero non ha quelle…non mi viene come si chiamano…quelle antennine…non lische…mi sono impressionata che no…stavo morendo….mi dicevo ora muoio così…come faccio…e…e sono andata in ospedale… gli dissi….senta mi deve controllare…io ho questa sensazione che ho questo corpo estraneo…mi fece aprire la gola e mi disse…signora non ha niente…prenda queste goccine…. io mi tranquillizzai…e ce ne siamo tornati da questo villaggio che eravamo e piano piano mi sono tranquillizzata ed è passato...da allora….praticamente…io mi spaventavo a….tutte le cose…tutto….e dicevo mamma…e se incontro…tipo mentre mangio…qualcosa…io muoio….gli dissi…dottore…io ultimamente penso che ho qualcosa…qualcosa che comunque dico…non lo so….cosa potrebbe essere…chi sacciu chi posso avere….io non riesco più a mangiare…mangio tipo gli omogeneizzati…mangio la pastina…non riesco a fare una vita normale…perché comunque…avendo un lavoro…io parto la mattina prestissimo…cioè….sono….non sono costretta…mmm…comunque la mia giornata si svolge anche fuori…ed io dico….con questa cosa che ho…che mi spavento a mangiare…dico….devo tornare a casa a mangiare per evitare…prima solitamente mi capitava che il pranzo lo facevo pure con i colleghi …il panino…la qualsiasi cosa…ora tipo io evito di fare questa cosa…perché dico…se mi viene di soffocarmi dico…mamma mia che brutta figura che dovrò fare con gli altri….ed allora evito….ed arrivo a queste conclusioni….allora il dottore mi disse…una volta che tu mi stai dicendo tutte queste cose…è un pochino più pesantuccia come cosa…se tu devi mangiare pastina…non posso ingoiare la carne…mangiare l’omogenizzato….mi grattugio la mela…questa situazione…un pochettino dobbiamo essere …..con un lavoretto un po’ più fortino…sai che rilassa….poi un po’ di tempo fa….lui mi indirizzo…questo mio medico….lo scorso anno è stato…mi indirizzò da uno psicoterapeuta...forte…più…come mio marito….che mi dice…ma che dici…ma che hai….non hai niente……non mi crede……tipo….non che non mi crede….non glielo so spiegare dottore…ad esempio lui non mi capisce"). Il terapeuta indaga il sistema reattivo-percettivo della paziente, individuando una paura dei cambiamenti e delle novità determinandole notevole ansia. Il principio è che ogni persona ha un proprio sistema di percezione della realtà e, di conseguenza, un proprio modo di reagire ad essa. L'individuazione del sistema percettivo-reattivo del paziente è uno dei primi passi che viene compiuto in terapia. Il sistema utilizzato dalla paziente è di tipo cenestesico. Il nostro sistema percettivo reattivo funziona come un filtro che seleziona i significati da dare alle cose, come una cornice che inquadra un fenomeno interpretandolo in un senso o nell’altro, secondo i propri criteri (emotivi, motivazionali, logici, valoriali e secondo gli stati della mente). Il sistema percettivo-reattivo individuale è frutto dell’interazione con l’ambiente. Noi siamo in contatto col resto del mondo per mezzo dei nostri cinque sensi, connessi con la nostra sensorialità interiore.. ("ora invece hanno un pochettino rimodulato tutte le cose…..io sono stata spostata in un altro ufficio… dopo quell’evento che ho diciamo avuto un pò di anni fà… dovuto anche ad una situazione di stress che vivevo…..perchè…che ne so…per me i cambiamenti …le cose nuove anziché essere presi in modo positivo…io…li prendo sempre in modo negativo…allora io…questa 29 cosa che mi sono sposata…che me ne dovevo andare a vivere in un altro paesino…che non era quello in cui abitavo…in un paesino vicinissimo….però…questa cosa del cambiamento mi ha un po’…un attimino…scosso…non ero molto….e ho avuto questo evento…che poi però è finito…si…mmm….quando mi sono sposata…io penso di essere tranquilla con la testa…penso….non ne ho depressione…io non mi sento che c’ho la depressione….io ce l’ho davvero sto fastidio se mi mangio una cosa…mi resta qua…mi resta qua….un corpo estraneo….ogni cosa che mi mangio…mamma mia…dico….mi devo riprendere io stessa…mi sto facendo una cura..dico..per la depressione…tipo che io mi volevo fare forza … dico…io devo mangiare…se no dico muoio se non mangio…queste cose mi venivano per la testa…dico….la devo finire….che cosa sto facendo dico…niente...un periodo….perchè poi ho avuto Giulio ….magari ero…..60 Kg ci pesavo…sicuro….si anche di più di 60 Kg…ero bella in carne…si…ad esempio quest’estate …siamo andati al mare…siamo tornati naturalmente a mare…e tipo io….già iniziavo ad essere…avere dei disturbi più forti…tipo che ne so….io mi ricordo che mio marito comprava il pane…le baguette…ed io tipo…non ne cercavo pane…o cerco il pane quello morbido…o comunque mi mangio la mollica"). Il terapeuta rende concreto il problema evitando generalizzazioni,preconcetti ed autoinganni ed analizza le “tentate soluzioni” che la paziente mette in atto nell’assunzione di cibo,indagando nella sua storia personale l’eventuale presenza di disordini alimentari pregressi. Si tenta di indagare i gusti alimentari di Viviana sia prima che dopo l'insorgenza del problema (" tutto vorrei mangiare…no no…allora….mi piacerebbe mangiarmi tutte cose…e non me le posso mangiare….e mi dispero…si…si…ora mangio cose che non hanno gusto secondo me…che ne so….ad esempio…quando stavo bene…non mi veniva di mangiare tipo le fave…bollite e fatte a purè…non me le mangiavo per dire…a volte capitava che mia mamma faceva ste cose così….e gli dicevo mamma che è….e lei…dai mangiatele…lo sai che sono sostanziose…io ad esempio tipo mangio…non mangio più la carne perché non la posso ingoiare e mi mangio gli omogeneizzati oppure ad esempio tipo…ste fave così…per essere più sostanziose…perché poi penso posso morire…e mi mangio sti passati a purè …parmiggiano ed olio…a volte la saltavo prima….o una cosa qualsiasi…tipo cornetti…mangiavo tutto….io sono un tipo che mi piace mangiare…ora prima che vado a lavoro…mangio a casa…perché dico poi non posso mangiare fuori…allora la mattina mi alterno…mi mangio a volte il latte …però siccome ho il sospetto di reflusso ed il latte può fare male…sto latte o forse mi accentua comunque sta patologia…anche questo…può essere una forma di reflusso…e quindi a volte mi mangio il latte con i biscotti..plasmon…perché si sciolgono subito e non mi possono dare fastidio…e quindi mi sto mangiando i biscotti a casa col latte…e a volte lo alterno con l’orzo…alcolici niente…tipo domenica…ho avuto invitati a casa mia…ed ho fatto con tanto piacere….le lasagne…per dire…no…le ho mangiate…ma mi sono sentita male…stavo soffocando…stavo morendo…sono dovuta andare nell’altra stanza…senza fare capire niente perché poi mi vergogno...no….no…dicevo mamma sto morendo….dove se n’è andato qua di traverso…si…io sento che mi resta qua…e a volte….quando lo ingoio….io mi rendo conto che devo mangiare…se io non mangio dico muoio"). Il terapeuta analizza le abitudini alimentari familiari ed emerge che anche il fratello della paziente ha il suo stesso problema,anche se lei stessa dice che non è grave come il suo problema "allora mio fratello praticamente…ultimamente…ha questa patologia come la mia…l’anno scorso gli venne per la prima volta…e non capì cos’era…mmm….lui mi dice che ci brucia tutta la gola…mi dice che non riesce….però….mi dice che non riesce a deglutire….dice che non riesce a….però rispetto a me io lo vedo un pochettino meglio". 30 Viviana racconta che nella sua storia familiare non ci sono storie di disordini alimentari,sebbene tutti in famiglia avessero una corporatura esile. Ultima di tre fratelli, Viviana ha conosciuto il marito Giuseppe, di 14 anni più grande, all’età di 19 anni mentre studiava. Descrive la sua vita sentimentale per certi versi appagante, insoddisfacente per altri. Oggi la sua vita appare improntata inevitabilmente al ruolo di madre e moglie. Dopo la maternità ha ripreso a lavorare in un paese a circa 2 ore e mezza da casa propria che l’ha costretta a portare il bambino in un asilo nido comunale, in quanto il marito è ingegnere nei cantieri. Inoltre, la difficoltà nella gestione dei ritmi familiari l’hanno costretta per un breve periodo a tornare a vivere nella casa paterna col marito ed il figlio. Il terapeuta cerca di far notare a Viviana un punto di vista diverso della sua vita quotidiana attraverso la tecnica strategica della ristrutturazione. ("ma tu non hai una vita normale…questo è un buon motivo per non affrontare il vero problema che è avere una vita normale per Viviana… vita no stop…questa è .tragica…eh….dovremmo lavorare su questo anche noi……dovremmo trovare il modo di dare a Viviana tanti stop…cioè se uno sta in una situazione difficile …come la sua adesso…dovremmo intervenire anche sulla situazione…perché se io mi sento bella…forte…ed in grado di affrontare…situazioni difficili ….perchè questa vita no stop….ho come l’impressione che sia una vita senza prospettive…o sbaglio? uno dice…mi faccio un periodo con mia mamma….un super periodo finchè mio figlio diventa più grandicello…va all’asilo e poi mi metto a vivere per conto mio...lo so….. eh….ce lo possiamo tenere anche per un’altra volta…perché non credo sia l’ultima volta che ci incontreremo…anche se…lei è abituata ad andare dallo psicoterapeuta una volta…e poi non ci va più…uhm…questa è la vita di Viviana eh……solo la vita di Giulio…la vita di Giuseppe…la vita di mamma…la vita di….ma di Viviana…solo parlando della gola di Viviana….ma Viviana c’ha i capelli…gli occhi…il naso…la bocca…le spalle…fino ai piedi….staremo un quarto d’ora per dire che Viviana non è solo la gola di Viviana…ma cosa fa lei per tutto….oltre alla gola….benissimo lei c’ha male qui…e mi occupo della gola….ma chi si occupa di Viviana..no….ma cosa fa per Viviana mi chiedo…a 34 anni ….cioè mi chiedo….vita no stop….ottima mamma…moglie abbastanza ….voglio dire senza nessun problema…figlia….eh…..ma Viviana dove sta….lei non si è nemmeno permessa….voglio dire prima di 19 anni era una ragazzetta…una ragazzina…non ha mai avuto una vita per Viviana ….quanti viaggi da sola fa?ma quando lei mi parla di vita no stop…ho la sensazione che lei non c’ha un futuro…un’immagine…un futuro….questa vita no stop non finirà tra un mese…due mesi…questa vita no stop….Viviana…non se l’immagina nemmeno…come potrebbe finire …cambiare….a meno che….per grandi rivoluzioni….non lavoro… amiche ce ne ha?quale sarebbe una vita normale per Viviana? Che farebbe Viviana se non avrebbe questo problema? Cosa cambierebbe nella vita di Viviana quando non avrà più questo problema?......non riesci nemmeno ad immaginartela tu una vita normale…o si? Te lo riesci ad immaginare? eh…cosa ci dobbiamo fare con questa vita…Viviana non è Giuseppe…può essere un po’ Giulio…sicuramente….ma….tutta questa vita di Viviana deve essere indirizzata verso una gratificazione…un miglioramento della qualità della vita di Viviana….io non so se le persone che ti stanno vicino giocano a favore di questo o giocano contro..non lo so…ma non è questa….la troveremo la soluzione…ma sarà una soluzione anche non facile da….raggiungere…perché sa questi sintomi sembrano cose molto…..molto come dire circoscritti…eh si…è vero….ho come l’impressione che sei una…compressa….non so dirti come…e poi chiaramente viene fuori la rabbia…viene fuori il mal di gola….viene fuori così….viene fuori"). Il punto centrale di questa tecnica è che se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa, allora può essere ridotto, eliminato dato che la sua esistenza è 31 intimamente associata con la prospettiva di coloro i quali sono coinvolti. L’effettiva ristrutturazione della situazione non dipende unicamente dalla reale possibilità di alterare la stessa. Infatti, in alcuni casi, la situazione non potrebbe neanche essere alterata ma, finché essa è percepita diversamente, anche le sue conseguenze potranno essere diverse (Gulotta, Petruccelli, 2005). La ristrutturazione è un aiuto alla persona per riorganizzare il suo modo di capire una situazione. Nel ristrutturare un’idea o concezione, non si mette in discussione l’idea o la concezione ma si propongono diversi percorsi logici e diverse prospettive di approccio a tali idee e concezioni. Non si cambia il contenuto del quadro ma solo la cornice. Nel corso della seduta il terapeuta utilizza una serie di interventi che mirano a proporre diverse alternative alla paziente attraverso l’uso dei paradossi. Viviana viene messa di fronte al cambiamento avvenuto nella sua vita. La psicoterapia breve strategica considera la “realtà” il prodotto di una costruzione personale (Erickson,1982). La pratica clinica mira a sostituire una “realtà”sgradita e limitante, ossia problematica, con una più soddisfacente. Ciò comunque nella consapevolezza che la nuova “realtà” non può essere ritenuta più vera di quella precedente. Nelle parole di Watzlawick et al (1967), “la psicoterapia si occupa della ristrutturazione della visione del mondo del paziente. Nell'analisi della costruzione del problema, particolare attenzione viene rivolta al sistema percettivo-reattivo del paziente: le specifiche modalità di attribuzione di senso agli eventi e le relative strategie comportamentali messe abitualmente in atto dalle persone costituiscono una solida impalcatura a mantenimento del disagio psichico. Il terapeuta, pertanto, interviene con la finalità di perturbare, in modo strategico, il sistema percettivo-reattivo del paziente”. Un intervento mirato alla ristrutturazione che consiste nell’indurre il paziente ad una ricodificazione d’immagini e percezioni della realtà, mediante lo spostamento del punto di osservazione. Se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa, allora forse può essere affrontato e gestito in maniera efficace. L’utilizzo della persuasione in psicoterapia strategica comporta un atto che comporta sempre una scelta, un esercizio di libera volontà del paziente, significa, cioè, indurre un cambiamento dell'opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di puri contenuti mentali. Una comunicazione strategica è caratterizzata dal suo essere sempre orientata in direzione di un obiettivo da raggiungere. L’interlocutore, lascia intravedere la possibilità che per un’altra via, attuando un altro comportamento, si potranno raggiungere gli stessi obbiettivi o gli stessi benefici, salvaguardando i propri valori. Il solo fatto che si possa ammettere l’esistenza di altre possibilità distoglie la persona dalla sua rigidità ed apre nuove prospettive. L’obiettivo generale che Viviana si pone è riuscire a non avvertire più la sensazione di morire e soffocare ogni qualvolta mangia qualcosa e riprendere la sua vita normalmente "ma posso guarire da sta cosa…o no?poi penso porca puttana ma proprio a me mi doveva venire….meglio un’altra cosa…ma non questo….che non mi permette di stare serena….non mi permette di condurre una vita normale…io voglio iniziare…seriamente". Il terapeuta a questo punto spiega alla paziente che il suo ruolo sarà direttivo e che lei dovrà fare ciò che lui le dirà. Le prescrizioni di comportamento,utilizzate nel modello strategico,permettono al paziente di fargli sperimentare azioni concrete di vita che rompono il meccanismo di azioni,retroazioni e tentate soluzioni che mantengono il problema. Il terapeuta, quindi, assegna a Viviana due prescrizioni comportamentali dirette: 32 Non parlare del suo problema con la madre ed il marito e di conseguenza non condividere i pasti con loro (Congiura del silenzio); Fare una lista delle sue paure; Si parte dalla convinzione che il cambiamento passi attraverso esperienze concrete, e la prescrizione di sequenze comportamentali, da eseguire tra una seduta e l’altra, ha il fine di far vivere quelle esperienze individuate come portatrici di cambiamento (Verrastro, V., 2004). Le prescrizioni dirette sono quel tipo di indicazioni chiare di azioni da eseguire tese alla risoluzione del problema presentato, o al raggiungimento di uno dei progressivi obiettivi del cambiamento. E’ utile nei casi di persone molto collaborative e che hanno una scarsa resistenza al cambiamento, alle quali è sufficiente dare la chiave di risoluzione del problema, prescrivendo loro come comportarsi di fronte alla situazione problematica in maniera da disinnescare i meccanismi che la mantengono operante. Si sposta così l’attenzione dal singolo individuo al sistema, dall’intrapsichico al relazionale. Particolare interesse è rivolto al modo in cui ognuno comunica e si relaziona non solo con se stesso, ma anche con gli altri e con il mondo. Se è vero che per migliorare bisogna cambiare, questo è possibile solo “agendo”. Quello che diventa prioritario è come fare, quali mosse attuare, quale strada percorrere per arrivare all’obiettivo stabilito, piuttosto che soffermarsi semplicemente sulle cause di un problema o sul perché della soluzione. Quindi, niente analisi del profondo ma analisi delle attuali relazioni che il paziente instaura e immediata modificazione del comportamento disfunzionale. Da qui deriva l’importanza dello studio e della conoscenza di quanto riguarda la vita quotidiana del paziente. Secondo il modello strategico non è necessario che il paziente raggiunga l’insight (cioè la consapevolezza delle cause che in passato hanno determinato un disturbo presente), in quanto i problemi possono essere risolti mediante tattiche mirate a rompere il sistema disfunzionale in cui è caduto (Petruccelli,Verrastro 2012). Al secondo incontro,Viviana appare più rilassata. Racconta che nel periodo trascorso tra una seduta e l’altra, è cambiato il suo modo di approcciarsi al cibo. Un giorno, infatti, ha deciso di provare a mangiare un panino croccante, dopo che per molto tempo non lo assaggiava ho visto in questo periodo che…allora c’è stato un periodo che non sono riuscita a mangiare quasi nulla…mentre ultimamente…sono riuscita a mangiare tipo…mezzo….mi sono detta…un po’ di giorni fa…non sono riuscita a trovare un panino morbido…ed allora mi sono detta…perché non provare quello giusto…che sempre questo coso morbido…che poi ultimamente…questo coso morbido…mi dava ancora più fastidio…tipo che quella mollica diventava una poltiglia…mi dava fastidio…e quindi mi sono detta…quel giorno non c’era…ora mi prendo quello giusto croccante che a me piaceva questo prima…e l’ho…prova...comprato…poi sono arrivata a casa e mamma mia come me lo mangio questo panino…e se poi mi sento male…pensavo..come devo fare non lo so…posso morire? Soffoco….Non respiro…come faccio…quindi mi sono detta…mamma mia…chi se ne importa…ma se gli altri non si soffocano…io non mi devo soffocare neanche se non ho niente….e quindi mi sono mangiata il panino…mi sono messa l’acqua vicino…e mi sono detta…ma….se mi soffoco…soffoco….me lo devo mangiare sto panino….e piano piano….l’ho masticato tantissimo…e poi l’ho deglutito…c'ho impiegato un po’ di tempo…perché l’ho fatto a pezzettini piccolini…perché era bello croccante…mi veniva di addentarlo un po’ di più…c’ho messo il prosciutto dentro…il toast…l’altro giorno mi sono mangiata il toast con la sottiletta e prosciutto…l’ho tostato non tantissimo…e mi sono resa conto che ultimamente…se sono troppo morbidi…mi danno fastidio…tipo che questa mollica diventa….un tappo"). 33 Il terapeuta cerca di far sì che la paziente possa prospettarsi in una vita senza il sintomo che possa rappresentare allo stesso tempo la definizione di obiettivi specifici concreti da raggiungere per stare bene attraverso l’uso della tecnica del Miracolo ("ogni giorno è un giorno nuovo…se tu dovessi immaginarti… una vita… tra virgolette…felice….senza tutte queste….cose che ti danno fastidio…come te la immagineresti?che cosa faresti di diverso da quello che fai?"). La miracle question ha lo scopo di supportare il paziente nella definizione di un obiettivo terapeutico chiaro e realistico, e di individuare quali risorse egli può utilizzare per raggiungerlo (Verrastro,V.2004). La domanda del miracolo crea un clima di fiducia, stimola la persona a rappresentarsi possibili soluzioni ancora intentate e rileva il suo atteggiamento verso un possibile cambiamento (ibidem). Il terapeuta indaga sulla vita matrimoniale di Viviana e sul suo livello di soddisfazione "ma quando ti….deprimi….ti scoraggi….è solo per il cibo?o ti vengono in mente altre cose che secondo te non c’entrano nulla…la tua vita…è una vita felice indipendentemente da questo….o vorresti essere più felice…io vorrei capire se la tua vita…quanto ti soddisfa…quando dici non felicissima…quali sono i pensieri…che strillano…le cose che non vanno…le cose pesanti". Viviana affronta le difficoltà insite nel suo rapporto coniugale dopo il matrimonio. Si descrive diversa caratterialmente dal marito. Dice di esprimere le sue emozioni con parole ed abbracci a differenza di lui. Il terapeuta cerca di fargli capire come sia inevitabile con la nascita di Giulio perdere di vista la relazione di coppia, ma cerca di farle notare come sia necessario trovare del tempo da condividere assieme per il benessere del proprio figlio. Il terapeuta ristruttura il suo sistema percettivo-rappresentativo cercando far capire alla paziente i vari scenari possibili di un rapporto di coppia attraverso l’offerta di alternative peggiori. Questa tecnica è utilizzata per far eseguire al soggetto i suggerimenti del terapeuta lasciandogli un margine di autonomia nel prendere decisioni e nel trovare nuovi modelli di comportamento (Haley,1976). Il terapeuta utilizza la tecnica della concretizzazione. Dinnanzi a problematiche formulate in maniera generica, lo scopo della tecnica risulta nell'accumulazione di un numero sufficiente di esempi concreti che permettono di incominciare a scorgere i contorni del problema, la maniera in cui il paziente lo percepisce, i ruoli assunti, le diagnosi inespresse ("ma se voi non avete nessuna intimità…cioè non vi fate mai….una passeggiata insieme voi due…non vi fate mai un week end insieme voi due…non vi fate mai…una cenetta romantica…voi due….non fate niente…scusami…voi due…..come coppia…voi c’avete la famiglia e vi siete incaprettati…in questa famiglia…che per altro è un famiglia un po’ allargata…con i suoceri…i genitori…che lo fanno solo per piacere…naturalmente…però…voi due vi siete persi….non so se siete mai stati voi due…forse quando eravate fidanzatini…ne sono convinto….ma secondo te…c’ anche il problema che tu non sai che fare in una storia così?...scusa la volgarità…se tuo marito non ti cerca…o ti cerca…tre o quattro volte dopo che è nato tuo figlio…sono cambiate le cose così quando ti sei sposata o quando è nato tuo figlio…quand’è che hai notato un calo...anche perché se vi perdete voi…e questo è il modo migliore di perdersi…facciamo il solito figlio quando uno non vuole separarsi…ma secondo te…lui c’ha altri modi di avere…una vita sessuale…non lo so…c’ha altre persone…non t’incuriosisce saperlo?non lo so…ci sono donne che quando vedono che il proprio marito non le cerca più…vanno in paranoia…cominciano a controllare i telefonini…non lo so…le peggio cose…ma non è che si sistema perché tu dici così…si sistema se cominci a rendertene conto se ci sta qualcosa che non va…da questo punto di vista…e che forse molto del tuo malessere è legato a quello…tu ti aspettavi un 34 matrimonio così….no…non ti aspettavi un matrimonio così…a parte proprio l’atto sessuale…questo non ti stringe la mano…non ti fa una carezza…e quando queste fantasie diventeranno più forti…a quel punto che cosa farà una signora che si sente che il marito….lasciamo perdere…..cominci a stare male…e secondo me…hai iniziato a starci male….e cercherà aiuto…e tu già lo stai facendo…naturalmente per un problema diverso….ma chi lo sa se poi i problemi sono esattamente così staccati dentro di noi…che poi uno sta male ed un po’ quello..un po’ questo…un po’…un’altra cosa che si punta sul mangiare e poi non mangia più"). Viviana inizia a scorgere nella sua vita degli aspetti che prima non aveva mai notato "non lo so…certo è un accumulo di tante cose la mia…al punto che….da capire ha anche un’intensità la vita….comunque viaggio…devo svolgere un lavoro….un impegno della casa….pulizie della casa...un po’ di distacco tra noi due c’è". Se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa ("si…ma il Buco affettivo…c’è…poi c’abbiamo pure il problema col cibo…di ingoiare…lo stress lavorativo….mia madre sempre in mezzo….per dire…però ci sta…"), allora può essere ridotto o eliminato, dal momento che la sua esistenza è intimamente associata con la prospettiva di chi è coinvolto. Il terapeuta rimanda a Viviana i cambiamenti ottenuti fino a quel momento in vista del raggiungimento dell’obiettivo prefissato "vabbene…signora…io sono molto contento dei tuoi progressi!". Inoltre, cerca di distogliere l’attenzione della paziente dal sintomo, su cui era incentrata tutta la sua vita, attraverso la tecnica del Seminare concetti, che permette a Viviana di prendere consapevolezza del nucleo conflittuale che si cela dietro al sintomo organico, mentalizzando le emozioni nascoste ed attribuendogli un significato. Bibliografia Albarella C., Racalbuto A. (a cura di) (2004). Isteria. Roma:Borla. Alexander, F.G., (1950). Psychosomatic Medicine. New York: Norton, trad. It. Medicina psicosomatica.(1951). Firenze: Giunti-Barbera. American Psychiatric Association. (2001). DSM-IV-TR- Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: TextRevisionMasson. American Psychiatric Association, (2014). “DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”. Milano: Raffaello Cortina Editore. Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari, Regione Piemonte. (2013). “Percorso diagnostico terapeutico Assistenziale della disfagia”. Torino. Berti Ceroni G., Grava G. 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