Maurizio Rossi Dottore di ricerca in diritto costituzionale

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 RIVISTA N°: 3/2011
DATA PUBBLICAZIONE: 14/09/2011
AUTORE: Maurizio Rossi
Dottore di ricerca in diritto costituzionale e diritto pubblico generale
Università di Roma ‘La Sapienza’
LE NUOVE FORME DI ACCORDI TRA SINDACATI E IMPRESA: UNA CRONACA A PARTIRE DAL
CASO FIAT
Sommario: 1. Premessa; 2. Il contenuto dell’accordo di Pomigliano d’Arco; 3. Il problema della
rappresentanza nei luoghi di lavoro; 4. Gli ultimi sviluppi in tema di relazioni industriali; 4.1. L’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011; 4.2. L’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138.
1. Premessa
Le vicende che in questi ultimi due anni hanno visto coinvolti la ‘Società Fiat’ ed i sindacati di categoria
hanno inciso profondamente il sistema delle relazioni industriali, tanto che, a proposito di queste ultime, si è
1
parlato di uno shock subìto dal diritto del lavoro a seguito del nuovo modello di contrattazione sindacale e di
2
un ‘Prima’ e un ‘Dopo’, come se fosse avvenuta una cesura tra due tempi storici . E’ necessario, allora,
3
ricostruire il ‘caso Fiat’ , in quanto è proprio avendo chiara l’evoluzione delle modalità di contrattazione e del
contenuto degli accordi conclusi che si può meglio comprendere il punto in cui sono giunte le relazioni
industriali ed i problemi che queste impongono di affrontare.
In sintesi, un primo accordo aziendale veniva sottoscritto, in data 15 giugno 2010, dalla Fiat Group
Automobiles S.p.A., assistita dall’Unione industriali di Torino e di Napoli, e dai sindacati Fim, Uilm, Fismic
nazionali e di Napoli in relazione allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. Tale contratto
veniva sottoposto a referendum tra i lavoratori dello Stabilimento ed otteneva un’approvazione con il 63% dei
sì.
Il 19 luglio 2010 veniva effettuata la registrazione di una nuova società denominata Fabbrica Italia
Pomigliano, controllata interamente da Fiat Partecipazioni. Appare chiaro, dunque, che la riorganizzazione
dell’azienda passa attraverso l’acquisizione, da parte di nuove imprese costituite ad hoc (new company o
newco), degli stabilimenti di produzione di Pomigliano e Mirafiori. Infatti, il 26 novembre 2010 la Fiat Group,
attraverso il suo amministratore delegato Sergio Marchionne, annunciava che il rilancio dello stabilimento di
Mirafiori sarebbe stato realizzato attraverso la costituzione di una Joint venture tra Fiat e Chrysler.
Di conseguenza, in data 23 dicembre 2010 è stato sottoscritto un accordo relativo allo stabilimento di
Mirafiori tra Fiat Group Automobiles, assisitita dall’Unione industriali, e le segreterie nazionali e provinciali di
1
La rivista Argomenti di diritto del lavoro ha pubblicato le relazioni tenute al Seminario di Bertinoro organizzato da insigni studiosi della
materia e tenutosi a Bologna il 15/16 ottobre 2010 sotto il titolo ‘Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro, il sistema collettivo e il
rapporto individuale’, in ADL 2010, p. 1059.
2
Cfr. M. Miscione, Le relazioni sindacali dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, in Il lavoro nella giurisprudenza n. 4/2011, p. 337; Id.,
Il contratto collettivo dopo l’accordo di Pomigliano d’Arco del giugno 2010, in Il lavoro nella giurisprudenza n. 9/2010; G.P. Cella, Dopo
Pomigliano, in Il Mulino n. 5/2010; G. Ferraro, Le relazioni industriali dopo Mirafiori, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, n.
1/2011, pp. 119 ss.
3
A tal proposito, si veda il sito web della Camera dei Deputati, il quale, nella sezione documentazione della rassegna stampa, dedica
diverse raccolte di articoli di giornale indicandole come ‘caso Fiat’.
Fim, Uilm, Fismic, UGL e Associazione Capi e Quadri Fiat. Ebbene, tale accordo, che recepisce il contenuto
di quello di Pomigliano del 15 giugno 2010, delinea quello che sarà il modello aziendale, precisando che la
Joint venture “non aderirà al sistema confindustriale” e che “applicherà un contratto collettivo specifico di
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primo livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa” .
L’accordo di Mirafiori prevede altresì che esso diventerà operativo con l’approvazione da parte della
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maggioranza dei lavoratori e che, per quel che riguarda il sistema della partecipazione e i diritti sindacali, si
debba far riferimento all’allegato 1, il quale a sua volta prevede il ritorno all’art. 19 dello Statuto dei lavoratori
così come modificato dal referendum del 1995 (le rappresentanze sindacali aziendali possono essere
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costituite solo dalle associazioni sindacali firmatarie dell’accordo, con esclusione delle altre) . Proprio su
questo punto si verifica il salto di qualità: il ritorno al sistema statutario delle RSA e l’abbandono del sistema
delle RSU previsto dal Protocollo del 1993, con la conseguente esclusione dei sindacati non firmatari del
contratto.
La strategia della Fiat si compone di un ulteriore passaggio con l’accordo sottoscritto in data 29
dicembre 2010, sempre relativo allo stabilimento di Pomigliano d’Arco, tra Fiat Group Automobiles S.p.A. (si
noti che, diversamente dai precedenti accordi di Pomigliano e Mirafiori la Società non è assistita dall’Unione
industriali, quasi a voler dimostrare una discontinuità nel sistema di relazioni industriali) e le segreterie
nazionali e provinciali di Fim, Uilm, Fismic, UGL e Associazione Capi e Quadri Fiat, il quale non fa altro che
ricalcare il primo accordo di Pomigliano con le novità, invero di non poco conto, introdotte da quello di
Mirafiori (che è bene ricordare: a) Fabbrica Italia non aderisce al sistema confindustriale, dunque, l’accordo è
da considerarsi quale contratto di categoria di I livello; b) si torna al sistema di rappresentanza sindacale
previsto dall’art. 19 Statuto Lav.).
Ciò premesso, è noto che la caratteristica di tali intese è quella di essere state concluse senza la
sottoscrizione della parte più rappresentativa del sindacato, rompendo così quel sistema di concertazione
instauratosi con il Protocollo del 23 luglio 1993 improntato su un modello tendenzialmente unanimistico, non
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incline ad alcuna concessione maggioritaria nella contrattazione sindacale . Il ritorno, poi al sistema delle
Rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19 Stat. Lav. escluderebbe questo sindacato dalle attività
all’interno degli stabilimenti in questione.
Tuttavia, da un primo punto di vista, occorre dire che la novità degli accordi in questione non consiste
affatto nella loro conclusione separata, come dimostra la circostanza che negli ultimi anni intese separate
8
sono state sottoscritte in diversi settori industriali ed a diversi livelli . Inoltre, quanto al loro contenuto che più
avanti verrà analizzato, non vi è dubbio tra gli specialisti del diritto del lavoro che gli accordi di Pomigliano e
4
V. Accordo di Mirafiori del 23 dicembre 2010, Premessa. Il testo di tale accordo e di tutti gli altri relativi alla vicenda Fiat citati nel
presente scritto sono facilmente reperibili sul sito internet http://www.fiomaprilia.it/Speciale%20vertenza%20Fiat/index.asp, che vi
dedica una sezione speciale.
5
Il referendum si è tenuto il 15 gennaio 2011; i risultati hanno visto la vittoria dei sì con una percentuale del 54%.
6
Un altro aspetto, che non può essere qui trattato, ma che deve comunque essere accennato, riguarda gli organici della Joint venture
(punto 10 dell’Accordo). Ebbene, si prevede che la Joint venture, per il fabbisogno degli organici, provvederà ad assumere i lavoratori
dello Stabilimento di Mirafiori e successivamente delle altre aziende del Gruppo Fiat dell’area torinese. Ciò che lascia perplessi è la
modalità di assunzione al fine evidente di sottrarsi alla disposizione di cui all’art. 2112 c.c. (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso
di trasferimento d’azienda): infatti, la medesima clausola dispone che “per tale personale l’assunzione avverrà con cessione individuale
del contratto di lavoro, con il riconoscimento dell’anzianità aziendale pregressa e senza l’applicazione di quanto prevsito dall’art. 2112
Cod. Civ., in quanto non si configura il trasferimento di ramo d’azienda”. Per una ricostruzione e critica rispetto a questo punto, v. F.
Carinci, La cronaca si fa storia, da Pomigliano a Mirafiori, in Arg. Dir. Lav., 2011.
7
Il Protocollo del 23 luglio 1993 tra il Governo e le Parti sociali stabiliva alcuni criteri di coordinamento tra la politica di bilancio dello
Stato e la politica dei redditi, al fine di mettere sotto controllo il fenomeno dell’inflazione e il processo di risanamento delle finanze
pubbliche. Tale documento rappresenta una vera e propria carta di riferimento per le relazioni industriali e contiene diversi principi in
materia di: 1) Politica dei redditi e dell’occupazione; 2) Assetti contrattuali; 3) Politiche del lavoro; 4) Sostegno al sistema produttivo. Per
quel che riguarda il punto relativo agli assetti contrattuali, che più ci interessa in questa sede, si stabilisce un doppio livello di
contrattazione, nazionale e aziendale o alternativamente territoriale. In particolare, si determinano i rapporti tra i due livelli contrattuali,
in quanto il contratto aziendale deve riguardare ‘materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL’ e
deve riguardare ambiti previsti dal CCNL (cd. clausole di rinvio). Sulla questione della rappresentanza sindacale v. infra, par. 3.
8
Cfr. S. Leonardi, Gli accordi separati: un vulnus letale per le relazioni industriali, in www.cgil.it/tematiche/, il quale rileva che casi
analoghi a quelli in questione “hanno interessato l’artigianato (2008), il settore pubblico (2008, 2009), le imprese private (2009)”, p. 355.
2
Mirafiori non sono altro che l’attuazione (e la conseguenza) dell’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 e del
successivo Accordo interconfederale del 15 aprile 2009 anch’essi separati, in quanto non sottoscritti dalla
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FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici, che fa parte della CGIL) . Pertanto, il caso Fiat non
sembra rappresentare una vera e propria sorpresa, almeno per gli addetti ai lavori. Esso, piuttosto, ha
messo a nudo uno stato di sofferenza delle relazioni industriali, da tempo noto, relativo alle questioni della
rappresentanza e rappresentatività nei luoghi di lavoro (infra, par. 3).
Invece, l’emblematicità del caso Pomigliano prima e Mirafiori poi risiede più che altro nel metodo di
utilizzazione della contrattazione collettiva che è stato quello di mettere i lavoratori ed i sindacati di fronte ad
una scelta drammatica, possiamo dire senza dubbio, di vita: accettare nuove condizioni (forse in peius)
10
oppure perdere il posto di lavoro, insomma prendere o lasciare : tutto ciò in un momento storico in cui
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imperversa una crisi economica a livello mondiale .
Circa il nuovo metodo di contrattazione si è detto efficacemente che “questa vicenda ci soffia,
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direttamente sulla faccia, con durezza, il vento della globalizzazione” e che “è nella globalizzazione che va
13
inquadrato il caso Fiat” . La competizione sfrenata e la crisi economica degli ultimi anni hanno dato vita,
ovunque, ad un sistema di concession bargaining: ovvero, si evita la delocalizzazione della produzione a
fronte di uno scambio (per alcuni peggioramento) degli standards di lavorazione. In poche parole, si
mantiene il posto di lavoro peggiorandone la qualità, mettendo in contrapposizione diritto al lavoro e diritto
del lavoro. Con questa necessaria premessa devono essere lette le vicende del caso FIAT.
2. Il contenuto dell’accordo di Pomigliano d’Arco
Come anticipato poco sopra, il contenuto dell’accordo di Pomigliano del 15 giugno 2010 è stato
interamente recepito nei successivi accordi di Mirafiori del 23 dicembre 2010 e di Pomigliano del 29
dicembre 2010, pertanto, anche per le reazioni ed i commenti da questo suscitati, faremo riferimento al
primo accordo di Pomigliano. Quanto alla questione della rappresentanza, che costituisce il vero punto di
rottura degli ultimi due contratti rispetto al primo di Pomigliano, esso verrà trattato in seguito (cfr. par. 3).
L’accordo aziendale relativo alla fabbrica di Pomigliano d’Arco si snoda sotto quattro importanti profili:
(1) organizzazione del lavoro; (2) retribuzione; (3) assenteismo; (4) clausola di responsabilità.
Quanto all’organizzazione del lavoro essa rappresenta il cuore del contratto e ciò non deve stupire in
quanto, come accennato sopra, la decisione di non delocalizzare la produzione (in questo caso presso lo
stabilimento di Tichy, in Polonia) e di investire un cospicuo capitale presso lo stabilimento italiano poteva
essere presa solo a condizione di elevare la produttività di quest’ultimo, da un lato, aumentando ritmi e orari
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di lavoro, dall’altro, riducendo le assenze per malattia e sciopero .
9
Cfr. F. Carinci, Se quarant’anni vi sembran pochi: Dallo Statuto dei lavoratori all’accordo di Pomigliano, in ADL n. 3/2010, il quale
sostiene che “proprio l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 costituisce lo scenario di fondo dell’accordo di Pomigliano”, p. 587;
M. Miscione, Metodi e contenuti del contratto collettivo (la teoria del contratto collettivo dopo Pomigliano d’Arco), in Il lavoro nella
giurisprudenza, n. 12/2010, p. 1159 e ss., il quale afferma: “Si può dire che l’accordo di Pomigliano non ha portato modifiche di fatto né
strutturali né funzionali al contratto collettivo, tutt’al più ha confermato quel che già c’era”, p. 1167; S. Leonardi, op. cit., secondo il quale
“il vizio genetico di Pomigliano risiede nell’accordo quadro per la riforma del sistema contrattuale, stipulato senza e contro la CGIL il 22
gennaio 2009”, p. 364; R. De Luca Tamajo, Accordo di Pomigliano e criticità delle relazioni industriali, in RIDL n. 1/2010, p. 797 e ss.
10
Cfr. L. Gallino, Il dumping di Marchionne, in La Repubblica del 23 luglio 2010; M. Giannini, Sistema Marchionne, in La Repubblica del
30 dicembre 2010; S. Rodotà, La regola del più forte, in La Repubblica dell’11 gennaio 2011. 11
Cfr. M. Miscione, op. ult. cit., p. 1167, secondo il quale “L’utilizzo strumentale del principio per cui prevale chi firma per primo è stato
fortemente accentuato a Pomigliano con un metodo, che finisce per caratterizzare tutta la contrattazione e la dialettica successiva”. 12
F. Liso, Sicuramente un caso emblematico, in www.nuovi-lavori.it/newsletter/.
13
L. Gallino, La globalizzazione dell’operaio, in La Repubblica del 15 giugno 2010.
14
“L’enorme investimento di capitale, necessario perché oggi una fabbrica di auto possa competere sullo scenario mondiale, rende
infatti indispensabile il completo sfruttamento degli impianti e una certa flessibilità dell’impiego della forza-lavoro, che divengono così
presupposti ineludibili della capacità competitiva”, così R. De Luca Tamajo, op. cit. p. 799.
3
Pertanto, la produzione deve essere realizzata sfruttando gli impianti per 24 ore giornaliere per sei
giorni alla settimana, con 3 turni giornalieri di otto ore, l’ultima mezz’ora dedicata alla refezione (art. 1).
L’azienda potrà, inoltre, far ricorso al lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite (in precedenza 40 ore)
senza preventivo accordo sindacale (art. 2); alla riassegnazione delle mansioni (art. 3); alla mobilità interna
da area ad area per garantire un corretto rapporto produzione/organico (art. 4).
La parte più discussa riguarda l’adozione di un nuovo modello di organizzazione del lavoro basato sui
sistemi denominati WCM (World Class Manifacturing), di origine giapponese, e Ergo-Uas, al fine di
migliorare i livelli di prestazione lavorativa. Si tratta di una metrica del lavoro che permette di sfruttare al
massimo la prestazione lavorativa tenendo conto dei diversi carichi di lavoro per prestazioni diverse (art.
15
5) . Ad un primo approccio tale sistema sembra voler bilanciare prestazione lavorativa e salute del
lavoratore, tuttavia, non pochi hanno sottolineato, criticandolo apertamente, l’inasprimento delle condizioni di
16
lavoro che comporta l’adozione di un tale sistema .
Ebbene, le clausole appena esaminate, relative all’organizzazione e ai tempi di lavoro, seppur criticabili
per il loro contenuto non rappresentano nulla di nuovo, anzi confermano una prassi sperimentata sia in Italia
sia all’estero tanto che, come accennato sopra, questo tipo di accordi viene ormai comunemente
denominato concession bargaining o give-back agreements: deroghe peggiorative delle condizioni di lavoro
in cambio di occupazione. Nel caso che ci occupa, dunque, tali condizioni rientrano nei limiti imposti dalla
17
legge (il D.lgs. n. 66/2003) e del CCNL dei metalmeccanici del 2008 , sottoscritto anche da FIOM, tanto che
quest’ultima non vi aveva inizialmente opposto esplicita resistenza.
Maggiori dubbi hanno, invece, sollevato le disposizioni contrattuali relative alla malattia ed alla
cosiddetta clausola di responsabilità.
Quanto all’assenteismo, infatti, è previsto che l’azienda non corrisponderà l’indennità di malattia a suo
carico (i primi tre giorni) nei casi di assenze significativamente superiori alla media e non riconducibili a
forme epidemiologiche (art. 8). In questo caso, si ritiene che tale previsione contrasti con la Costituzione (art.
18
32) o quantomeno con la legge (art. 2110 c.c.) . La maggior parte dei commentatori ritiene, tuttavia, che la
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20
disposizione non ponga alcun dubbio di costituzionalità né che sia contraria alla legge per quanto essa
possa essere inopportuna e grossolana, tanto è vero che la stessa Fiat si dichiara disponibile ad istituire una
commissione paritetica alla quale spetterà il (non facile) compito di ‘esaminare i casi di particolare criticità a
cui non applicare quanto sopra previsto’ (art. 8).
15
In particolare, l’art. 5 dell’accordo di Mirafiori prevede che: “Le parti riconoscono che il sistema Ergo-Uas è in grado di fornire una
serie di elementi propri della postazione lavorativa (posture, forze, movimentazione carichi e frequenza arti superiori) che sono in grado
di agevolare il giudizio del medico competente sull’idoneità specifica del lavoratore alla postazione in esame. Il sistema pertanto
possiede la duplice valenza di prevenire l’insorgenza di patologie, attraverso la corretta definizione del rischio in fase progettuale e
preliminare e supportare la corretta gestione del personale con idoneità specifiche”.
16
Cfr. L. Gallino, La globalizzazione dell’operaio, cit., secondo il quale “L’ideale nel fondo della WCM è il robot, che non si stanca, non
rallenta mai il ritmo, non si distrae neanche per un attimo. Con la metrica del lavoro si addestrano le persone affinché operino il più
possibile come robot”. Anche secondo F. Carinci, op. cit., il sistema Ergo-Uas, sarebbe in teoria apprezzabile visto che “privilegia la
dimensione ergonomica, correlando fatica e durata della prestazione, sicché una operazione più faticosa viene premiata con
un’esecuzione più lunga”, tuttavia, nella pratica esso è utilizzabile “come qualsiasi altro figlio o nipote più o meno legittimo del
taylorismo, per una progressiva intensificazione dell’uso della forza lavoro” (p. 591). Ancor più aspramente, L. Baiada, L’accordo di
Mirafiori, in Il Ponte n. 2/2011, il quale afferma: “Ma sono soprattutto i corpi a non sfuggire alla presa, perché c’è di mezzo un modello di
produzione ergonomico e minuzioso: una polizia del lavoro. Incombe in particolare recepito nell’accordo, il sistema ergo-Uas,
rappresentazione protocollare di un biopotere alla Foucault” (p. 23).
17
Cfr. M. Brollo, La ricaduta dell’accordo di Pomigliano sul diritto del lavoro individuale: i punti problematici ‘in ombra’, relazione
Seminario di Bertinoro, in ADL 3/2010, p. 1095 ss.; F. Carinci, op. cit., p. 596. Per una analisi approfondita si veda V. Bavaro,
Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’«archetipo» FIAT di Pomigliano d’Arco, in Quaderni di rassegna sindacale n. 3/2010,
p. 340 e ss, il quale ravvisa contrarietà a norme di legge in alcune clausole (ad es. in tema di lavoro straordinario).
18
Cfr. F. Scarpelli, Pomigliano: variazioni sul tema, in Diritti Lavoro Mercati n. 2/2010.
19
Cfr. F. Carinci, op. cit., p. 596; 20
Cfr. V. Bavaro, op. cit., p. 549.
4
Le censure più forti sono state sin da subito riservate alla ‘clausola di responsabilità’ (art. 14), secondo
la quale la violazione degli accordi da parte dei Sindacati o anche dei singoli comporta il venir meno da parte
dell’azienda degli obblighi circa il pagamento dei contributi e dei permessi sindacali: viene dunque inserita
nel contratto una clausola risolutiva espressa, in quanto l’azienda si ritiene liberata dai suddetti obblighi.
A ciò si aggiunga che l’art. 15 dell’accordo prevede che le sue clausole vadano ad integrare i contratti
individuali, di modo che la violazione da parte del lavoratore di una di esse comporta conseguenze
disciplinari (fino al licenziamento).
Ebbene, secondo alcuni queste due clausole violerebbero palesemente il diritto di sciopero previsto
21
dall’art. 40 della Costituzione in quanto, se da un lato, nulla vieta alle organizzazioni sindacali di impegnarsi
a rispettare una clausola di tregua, come normalmente accade, dall’altro lato, non si può in alcun modo
22
accettare che tale diritto individuale venga avocato da un’organizzazione collettiva sindacale .
Secondo la prevalente opinione, infatti, il diritto di sciopero è un diritto individuale ad esercizio
23
collettivo che non può di certo essere oggetto di disposizione attraverso una clausola di tregua.
A fronte di tali opinioni deve essere però registrato il parere di chi, leggendo separatamente le due
clausole in questione, non vede minacciato il diritto di sciopero. Infatti, la clausola di tregua impegna solo i
sindacati firmatari e non i singoli e rientra tra le logiche contrattuali: rifiutarla significa impedire la conclusione
del contratto. Quanto alla clausola di integrazione ex art. 15 dell’accordo sarebbe di difficile applicazione, sia
nei confronti di soggetti non affiliati ai sindacati firmatari (sarebbe necessaria in tal senso una norma di
legge) sia nei confronti di quelli affiliati (essa eluderebbe i principi di certezza e proporzionalità del
24
procedimento disciplinare) .
Orbene, a prescindere dalle varie posizioni assunte dalla dottrina, uno dei problemi posti dalla vicenda
Fiat è quello relativo alla legittimità di una clausola di tregua che possa vincolare i singoli lavoratori e che sia
rappresentativa di una disciplina dell’esercizio del diritto di sciopero e non di una rinuncia allo stesso.
3. Il problema della rappresentanza nei luoghi di lavoro
Un’ulteriore questione che si è posta all’attenzione dei giuristi e che coinvolge anche profili di diritto
costituzionale, riguarda l’effettiva democraticità di un sistema di relazioni industriali così come si è andato
sviluppando nel corso degli anni fino all’epilogo costituito dalla vicenda esaminata in queste pagine.
Ci si deve, insomma, chiedere se sia democratico un sistema in cui è possibile sottoscrivere accordi
separati senza un controllo sia sulla legittimazione del sindacato contraente (questione della
rappresentatività) sia sull’apprezzamento, da parte dei lavoratori, dei risultati raggiunti dalla contrattazione
25
(questione della rappresentanza) .
A tal proposito, occorre partire dal dato testuale dell’art. 39 Cost., quarto comma, che prevede un
sistema sindacale di natura pubblicistica secondo il quale il contratto di categoria ha efficacia obbligatoria
erga omnes se stipulato da una rappresentanza sindacale unitaria composta in proporzione dei rispettivi
iscritti.
E’ ben noto che tale disposizione è rimasta inattuata anche se, invece che di inattuazione del dettato
costituzionale, è più giusto parlare di ri-assestamento normativo, dato che il nuovo sistema non ha affatto
Cfr. le immediate opinioni di U. Romagnoli, Rischio di incostituzionalità. Il giudice potrebbe bloccare l’intesa, in l’Unità del 15 giugno
2010; e P.G. Alleva, Sono norme incostituzionali, non c’è referendum che tenga, in Liberazione del 16 giugno 2010;
22
Cfr. S. Leonardi, op. cit., p. 362.
23
V. G. Giugni, Sciopero (Ordinamento italiano), voce, Enc. Giuridica Treccani, Roma, 1988, vol. XXVIII. 24
Cfr. G.P. Cella. op. cit.; F. Carinci, op. cit., p. 601. Secondo l’opinione di R. De Luca Tamajo, op. cit., p. 810, la clausola di cu ial n. 15
dell’accordo di Pomigliano deve intendersi “rivolta a sanzionare soltanto comportamenti individuali ostruzionistici o di inadempimento
non coperti da sciopero”.
25
Sul punto, v. P.G. Alleva, Rappresentanza, rappresentatività sindacale e riforma del sistema contrattuale, in www.dirittisocialie
cittadinanza.org; v. anche G. Giugni, Diritto sindacale, Bari, 2004, p. 61.
21
5
26
depotenziato quello previsto dalla Costituzione, anzi ha esaltato il principio della libertà sindacale . In tal
modo, è stata lasciata libera la contrattazione tra le parti, così da raggiungere una regolazione degli interessi
anche con strumenti non conciliabili con il modello costituzionale (ad es. il contratto aziendale). Tuttavia, il
sistema civilistico di contrattazione che si è andato di fatto affermando poteva garantire una sua
democraticità in quanto non vi era alcun dissenso all’interno del mondo sindacale: infatti, poiché la
contrattazione avveniva sempre sull’accordo delle maggiori confederazioni sindacali (CGIL-CISL-UIL) che
raccoglievano e raccolgono la maggior parte dei lavoratori iscritti, non vi è dubbio che il problema della
rappresentatività era facilmente superato, anche se mai ci si è posti il problema della rappresentanza,
27
essendo stato raramente verificato il consenso dei lavoratori a posteriori, cioè ad accordo raggiunto .
La questione democratica, dunque, si evidenzia in questi ultimi anni; da quando, cioè, come sopra
accennato, si sta diffondendo il sistema della contrattazione separata. Detta questione dovrebbe essere
risolta alla luce del dettato costituzionale che impone il principio della proporzionalità ovvero della
democraticità dell’azione sindacale. Questo dato non può essere facilmente trascurato e se il meccanismo
dell’art. 39 Cost. è rimasto di fatto inattuato non per questo deve rimanere inattuato il principio che ne
scaturisce.
A tali conclusioni era già giunta la riflessione di un importante studioso, il prof. Massimo D’Antona, il
quale, in uno dei suoi ultimi scritti, aveva affrontato uno dei punti critici del diritto del lavoro e cioè se ed in
che limiti si possa giustificare l’esistenza di una legislazione sindacale che costituisce un modello alternativo
28
rispetto a quello delineato dal quarto comma dell’art. 39 della Costituzione .
A ben vedere, al progetto dell’art. 39 Cost. possono essere ricondotti due modelli di legislazione
sindacale, i quali ne rispettano il nucleo essenziale, in quanto ‘l’organizzazione sindacale è tutelata dalla
Costituzione non per ciò che è (una manifestazione della libertà associativa e del pluralismo) ma per ciò che
tipicamente fa (riequilibrare il potere sociale nella sfera della produzione attraverso la rappresentanza
29
collettiva degli interessi, l’organizzazione del conflitto e la contrattazione collettiva)’ . Un primo modello,
riconducibile al primo comma dell’art. 39, si fonda su un sistema contrattuale che precede la legge, che
interviene ex post a riconoscere e sostenere quanto regolato dalle autonomie sociali. Un secondo modello,
che fa riferimento alla seconda parte dell’art. 39, riconosce centralità alla legge, dalla quale dipende sia
l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi sia lo stesso potere contrattuale dei sindacati.
Ebbene, secondo l’Autore citato, il modello di legislazione sindacale postcostituzionale non fa altro che
valorizzare il primo comma dell’art. 39 Cost., in quanto la libertà di organizzazione sindacale si estrinseca
nella contrattazione collettiva, rispetto alla quale la legge interviene per riconoscere quanto già raggiunto
dall’autonomia contrattuale.
Ciò che, invece, risulta essenziale nella seconda parte dell’art. 39 Cost. è il criterio proporzionalistico,
secondo il quale i sindacati debbono poter contare in base al loro effettivo seguito. Pertanto, nella
30
conclusione di un contratto il consenso deve essere valutato sulla scorta di tale principio , al quale è stata
data attuazione attraverso le disposizioni di legge che disciplinano la contrattazione nel settore del pubblico
impiego. Infatti, il Testo unico del pubblico impiego (D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) dispone che possono
essere ammessi alla contrattazione collettiva tutte quelle organizzazioni che abbiano una rappresentatività
31
32
non inferiore al 5% e che l’ARAN possa sottoscrivere contratti collettivi solo dopo aver verificato che i
sindacati che aderiscono abbiano una rappresentatività del 51%.
26
In tal senso, v. A. D’Aloia, in R. Bifulco-A. Celotto-M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, sub art. 39, Milano, 2006, p.
797. 27
Cfr. P.G. Alleva, op. ult. cit.
28
Cfr. M. D’Antona, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 80,
1998, 4, p. 665.
29
Ibidem, p. 671.
30
Ibidem, p. 691. 31
L’art. 43 del T.U. pubblico impiego desume tale soglia di rappresentatività da due dati, quello associativo e quello elettorale. Il primo
“è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate
6
Dunque, nel settore pubblico il sistema delle relazioni industriali risulta essere più democratico, in
quanto soddisfa il criterio della rappresentatività, nonostante non sia previsto alcun meccanismo di verifica
successiva alla sottoscrizione del contratto. Tale sistema, tuttavia, si basa sulla particolarità dei contratti
33
relativi al pubblico impiego, tanto è vero che vi è chi ha definito irripetibile questo esempio . Infatti, il D.lgs.
n. 165/2001 dispone l’obbligatorietà del contratto nazionale, che deve disciplinare il trattamento economico
dei pubblici dipendenti e la parità di trattamento economico di questi ultimi: di conseguenza, deve esistere un
contratto che per legge si applica a tutti i dipendenti, mentre, nel privato tutto può essere lasciato, e di fatto
viene lasciato, alla contrattazione di parte anche in nome della libertà sindacale ex art. 39 Cost. Seppure la
specificità del settore pubblico abbia agevolato la riforma sulla rappresentatività, ciò non toglie che una
simile disciplina possa essere dettata anche per il settore privato, risolvendo almeno in parte la questione
della rappresentatività e della democrazia sindacale.
La questione democrazia/rappresentanza non si pone soltanto al momento della contrattazione ma
anche al momento della costituzione delle rappresentanze sindacali in azienda, strumento fondamentale per
la tutela dei diritti del lavoratore. Come accennato in premessa, con gli accordi di Mirafiori del 23 dicembre
2010 e di Pomigliano del 29 dicembre 2010 la Fiat esce dal sistema confindustriale e riconosce il diritto di
costituire rappresentanze all’interno dell’azienda ai sensi dell’art. 19 Statuto dei lavoratori solo alle
associazioni firmatarie del contratto (con esclusione, dunque, della Fiom).
E’ bene ricordare che l’art. 19 Stat. Lav. individua quali sono le associazioni che sono titolari, all’interno
dell’impresa, dei diritti sindacali previsti dai successivi artt. 20 e ss., disponendo, così come modificato dal
referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995, che le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) possono
essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di
contratti collettivi nazionali applicati nell’unità produttiva.
Questa formula legislativa è stata però superata con il Protocollo tra Governo e Parti sociali del 1993
che ha dato vita ad un accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, secondo il quale le RSA venivano
sostituite dalle RSU (Rappresentanze sindacali unitarie): i sindacati firmatari del Protocollo, rinunciando a
promuovere proprie RSA potevano invece promuovere proprie RSU partecipando alle relative elezioni da
tenersi ogni tre anni.
Ebbene, l’uscita dalla Fiat, dopo Mirafiori, dal sistema confindustriale comporterebbe l’inapplicabilità
degli accordi relativi all’instaurazione di RSU ed il ritorno al modello legale delle RSA, con la conseguente
privazione per i lavoratori di uno strumento di rappresentanza e di tutela dei diritti sindacali.
Ma, vi è da chiedersi se una simile interpretazione dell’art. 19 Stat. Lav. sia ancora costituzionalmente
legittima, posto che, facilitando l’esclusione di un sindacato oggettivamente rappresentativo, contrasterebbe
con il principio di libertà di organizzazione sindacale ex art. 39 Cost. A tal proposito, è utile richiamare
quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 244/1996, secondo la quale il criterio di
selezione previsto dall’art. 19 coincide “con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro,
direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale. Non è perciò sufficiente la
mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al
processo di formazione del contratto”. Ebbene, applicando tale principio in modo speculare alla Fiom, non
può non riconoscersi la sua effettiva rappresentatività sindacale ed il suo diritto di costituire RSA, viceversa,
34
un’interpretazione letterale dell’art. 19 aprirebbe le porte ad una nuova questione di costituzionalità .
nell'ambito considerato”. Il secondo “è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del
personale, rispetto al totale dei voti espressi nell'ambito considerato”.
32
E’ l’Agenzia per la rappresentanza delle pubbliche amministrazioni che, secondo l’art. 46 del Testo unico del pubblico impiego, ha la
rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni “agli effetti della contrattazione collettiva nazionale”.
33
Cfr. M. Miscione, Le relazioni sindacali dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, cit., p. 342.
34
In tal senso, V. Bavaro, Rappresentanza dei lavoratori e contrattazione collettiva oggi, in www.dirittisocialiecittadinanza.org; M.
Miscione, Le relazioni sindacali dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, cit., p. 347; S. Scarponi, Un’arancia meccanica: l’accordo
separato Fiat – Mirafiori e le rappresentanze nei luoghi di lavoro. Quali prospettive?, in Lavoro e Diritti n. 2/2011, pp. 301 e ss.
7
La fuga dal sistema di relazioni industriali e l’inasprirsi del conflitto sindacale non poteva avere altro
esito se non quello di provocare l’intervento del giudice del lavoro, tanto è vero che la Fiom ha chiesto alla
sezione lavoro del Tribunale di Torino di dichiarare l’illegittimità del contratto relativo allo stabilimento di
Pomigliano del 29 dicembre 2010 e di dichiarare l’antisindacalità ex art. 28 Stat. Lav. della condotta posta in
35
essere dall’azienda. Con dispositivo pubblicato in data 16 luglio 2011 , il Tribunale di Torino ha respinto la
domanda della Fiom relativa alla declaratoria di illegittimità del contratto ma ha dichiarato antisindacale la
condotta posta in essere da Fiat S.p.A., Fiat Group Automobiles S.p.A., Fabbrica Italia Pomigliano S.p.A.
“poiché determina, quale effetto conseguente, l’estromissione di Fiom-Cgil dal sito produttivo di Pomigliano
d’Arco”.
4. Gli ultimi sviluppi in tema di relazioni industriali
4.1. L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011
La vicenda Fiat, che per molti doveva rimanere un caso isolato e non rappresentare un modello, ha
invece dato inizio ad un processo che ha portato alcune modifche nel mondo del lavoro, sia a livello
contrattuale sia a livello legislativo.
Infatti, da un primo punto di vista, le tre maggiori confederazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) in data 28
giugno 2011 hanno sottoscritto un accordo interconfederale con CONFINDUSTRIA al fine di definire le
regole in tema di rappresentatività delle organizzazioni sindacali, esigibilità dei contratti sottoscritti, diffusione
della contrattazione di secondo livello, al fine di “rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le
retribuzioni”. Una novità di rilievo riguarda l’introduzione di una soglia percentuale minima al fine di stabilire
la legittimazione a negoziare; a tal proposito, sull’esempio della normativa in tema di rappresentatività
sindacale nel settore del pubblico impiego, il punto 1 dell’accordo interconfederale prevede che ogni
organizzazione sindacale debba superare un indice minimo del 5% del totale dei lavoratori cui si applica il
CCNL, calcolato in media tra un dato associativo (numero degli iscritti certificato dall’INPS) ed un dato
relativo al consenso ottenuto nelle elezioni delle RSU.
La disciplina della legittimazione a negoziare rappresenta una vera novità nel settore privato, con una
prima conseguenza importante: quella di far sì che non possa esistere una contrattazione separata (al
momento delle trattative, non al momento della conclusione), almeno per quei sindacati che raggiungono la
suddetta soglia minima. Tuttavia, è stato subito rilevato che, se la previsione di un indice minimo di
rappresentatività costituisce sicuramente un punto di svolta, il testo dell’accordo nulla prevede circa la
conclusione dei contratti, e cioè quale sia la soglia di rappresentatività minima complessiva che i sindacati
sottoscrittori debbano raggiungere affinché i contratti siano validi ed efficaci (dunque, in tal senso, potrebbe
36
ancora verificarsi una contrattazione separata) . Né viene prevista una fase, che sarebbe invece
importante, di approvazione da parte dei lavoratori.
Il punto 2 dell’accordo definisce la funzione essenziale del contratto collettivo nazionale: quella di
“garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque
impiegati nel territorio nazionale”.
Ciò premesso, nei successivi punti l’accordo interconfederale passa ad occuparsi dei contratti
aziendali, che costituiscono il vero punto critico messo a nudo dal caso Fiat. Anzitutto, si circoscrive l’ambito
di competenza del contratto aziendale nelle materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o
35
Si è in attesa della pubblicazione della sentenza.
Cfr. P.G. Alleva, Merito e prospettive dell’accordo interconfederale 28/06/2011, in www.dirittisocialiecittadinanza.org; V. Bavaro,
L’istituto della rappresentatività sindacale nella stagione degli accordi separati e della ritrovata unità, Relazione tenuta alla giornata di
studi su Le relazioni sindacali in Fiat: un nuovo modello per il futuro?, Università degli Studi di Cassino, 6 luglio 2011, in
www.dirittisocialiecittadinanza.org.
36
8
dalla legge (punto 3). Ma, il punto 7 introduce una deroga a questa norma generale, prevedendo che i
contratti collettivi aziendali possono definire “specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute
nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi
nazionali di lavoro”. Si introduce, dunque, una clausola d’uscita o accordo in deroga già sperimentato
37
nell’ordinamento tedesco e visto con favore anche in Italia . I punti 4 e 5 mettono in rapporto l’efficacia dei
contratti aziendali con la rappresentatività, innovazione di non poco conto, secondo la quale tali contratti
sono efficaci per tutti i lavoratori occupati nell’azienda e vincolano i sindacati firmatari dell’accordo
interconfederale in questione se sono approvati dalla maggioranza dei membri delle RSU elette secondo le
regole interconfederali vigenti. Tuttavia, laddove non esistano RSU ma RSA elette ai sensi dell’art. 19
Statuto lavoratori, i contratti aziendali saranno del pari efficaci se sottoscritti dalle RSA che associno la
maggioranza dei lavoratori occupati in azienda ed iscritti ai sindacati, con la possibilità di una conferma
referendaria su richiesta di almeno un’organizzazione firmataria l’accordo interconfederale o almeno del 30%
dei lavoratori dell’impresa. Per la validità del referendum è richiesta la partecipazione del 50% dei lavoratori;
l’accordo aziendale si intende respinto con il voto espresso della maggioranza dei partecipanti al voto.
La rappresentatività, allora, serve ad imporre l’efficacia vincolante del contratto aziendale scelto dalla
maggioranza dei lavoratori, tanto più che il punto 6 prevede una clausola di tregua secondo la quale i
contratti aziendali conclusi secondo le modalità di cui ai punti 4 e 5 “hanno effetto vincolante esclusivamente
per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente accordo
interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori”.
38
E’ questa seconda parte dell’accordo ad aver sollevato le maggiori perplessità in ordine alla
democraticità del sistema, in quanto, non essendo previsto il referendum nel caso di sottoscrizione da parte
delle RSU si toglie ai lavoratori il diritto di esprimere il loro gradimento sui contenuti contrattuali e si aggira il
problema della rappresentanza. Questo nuovo sistema, dunque, che in più impone a tutti la clausola di
tregua, rischia di far scivolare le relazioni industriali verso quello che è stato definito un autoritarismo
39
rappresentativo che cerca, seppur legittimamente, di limitare il conflitto all’interno delle imprese.
4.2. L’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138
La crisi finanziaria di carattere mondiale che ha fatto sentire i suoi effetti in questo ultimo periodo
(luglio-agosto 2011) ha costretto il governo a rivedere la manovra economica e ad adottare misure urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo attraverso l’emanazione del decreto legge n. 138 del 13
agosto 2011. Tra tali misure è stata inserita una disposizione che, nel solco tracciato dalla vicenda Fiat, è
destinata a far evolvere ulteriormente il nostro sistema del diritto del lavoro e di relazioni sindacali,
soprattutto se dovesse essere confermato il testo dell’art. 8 del decreto, approvato, in sede di conversione
40
dal Senato il 7 settembre 2011 , ora passato all’esame dell’altro ramo del Parlamento.
Anzitutto, il primo comma offre una copertura normativa ai contratti in deroga, affermando che i contratti
a livello aziendale, se sottoscritti dai sindacati più rappresentativi o dalle loro rappresentanze sindacali in
base ad un criterio maggioritario relativo, con il fine di aumentare la produzione e l’occupazione, assumono
efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati. Il secondo comma stabilisce le materie relative
all’organizzazione del lavoro ed alla produzione che possono essere oggetto di regolazione derogatoria di
37
Cfr. C. Dell’Aringa, La prospettiva è negli accordi in deroga, in www.nuovi-lavori.it/newsletter/; critico S. Leonardi, Gli accordi separati:
un vulnus letale per le relazioni industriali, cit., p. 358 e ss.
38
Se non esplicito dissenso, come è avvenuto da parte della FIOM; si veda l’intervista al segretario generale di Fiom M. Landini
pubblicata su l’Unità del 30 giugno 2011 con il titolo La firma è un passo indietro, un errore, la Fiom non ci sta.
39
Cfr. P.G. Alleva, Merito e prospettive dell’accordo interconfederale 28/06/2011, cit.
40
E’ il disegno di legge S.2887: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, recante misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari”.
9
secondo livello, con particolare riferimento alle modalità di assunzione, alla disciplina dei rapporti di lavoro, al
41
recesso dal rapporto di lavoro, con l’eccezione di soli alcuni casi di licenziamento .
Il comma 2-bis dell’articolo 8 stabilisce che le intese raggiunte ai sensi dei commi 1 e 2 operano in
deroga non solo ai contratti nazionali di categoria ma anche, e soprattutto, in deroga alle disposizioni di
legge che disciplinano le materie richiamate nei suddetti commi. Il cerchio, si potrebbe dire pensando al caso
Fiat, si chiude con il terzo comma, secondo il quale i contratti aziendali sottoscritti prima dell’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011 sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui
essi fanno riferimento a condizione che siano stati approvati con votazione a maggioranza dei lavoratori.
Ora, non vi è dubbio che, se il decreto legge 138 fosse convertito con le modifiche appena viste, il
nostro diritto del lavoro subirebbe delle notevoli trasformazioni anzi, secondo i primi commenti, si potranno
42
avere effetti addirittura devastanti . In effetti, le deroghe riguardo le modalità di assunzione e di
licenziamento non avranno altra conseguenza se non quella di indebolire le garanzie dei lavoratori ed
accentuare il precariato, in dispregio di ogni previsione di legge vigente, soprattutto dell’art. 18 Stat. Lav.,
43
che se oggi violata subirebbe la giusta sanzione del giudice del lavoro . D’altro canto, il sistema di garanzie
del lavoro previsto dalla nostra Costituzione prevede un livello legislativo ed uno contrattuale nazionale che
44
rischia di essere abbandonato o di affievolirsi con l’approvazione della nuova normativa .
Da ultimo, non bisogna dimenticare il comma 3 che salva i contratti Fiat, tanto che si è parlato di norma
45
ad aziendam o addirittura contra Fiom, dato che in essi si prevede che l’adesione di terze parti è
condizionata al consenso di tutte le parti originariamente firmatarie. Questa disposizione non può non
sollevare dubbi di legittimità costituzionale, in quanto, potendo influenzare il contenzioso in corso tra
l’azienda ed il sindacato, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art.
6, primo comma, della CEDU, il quale, secondo l’interpretazione della Corte EDU, impone al legislatore di
non intervenire nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare un singolo processo od un gruppo di
46
cause .
41
Le deroghe relative alle materie dell’organizzazione del lavoro e della produzione possono riferirsi, a mente del secondo comma
dell’art. 8: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e
inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli
appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina
del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e
conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento
discriminatorio, quello della lavoratrice in concomitanza del matrimonio e del periodo di gravidanza fino ad un anno di età del bambino,
il licenziamento causato dalla domanda di congedo parentale e per la malattia del bambino ed il licenziamento in caso di adozione o
affidamento.
42
Cfr. L. Gallino, Come abolire il diritto al lavoro, in La Repubblica del 5 settembre 2011; commenti negativi si sono avuti anche da parte
di studiosi del diritto del lavoro, cfr. U. Romagnoli, Lavoro. Il grande inganno, in Il Manifesto del 24 agosto 2011; P.G. Alleva, La
‘manovra’: sul lavoro è sovversiva e incostituzionale, in Liberazione del 14 agosto 2011.
43
Annota efficacemente L. Gallino, Come abolire il diritto al lavoro, cit., che in base all’art. 8, “il sindacato potrebbe sottoscrivere dei
contratti che prevedono l’impiego di lavoratori autonomi, quali sono formalmente i collaboratori e le partite IVA, come lavoratori
dipendenti. Finora, se qualcuno cercava di realizzare simile aberrazione, finiva dritto in tribunale. L’art. 8 del decreto trasforma
l’aberrazione in legge. Quanto al nuovo comma 2-bis, esso abolisce di fatto non l’art. 18, bensì l’intero Statuto dei lavoratori”.
44
Rileva, inoltre, P.G. Alleva, La ‘manovra’: sul lavoro è sovversiva e incostituzionale, cit., che l’art. 8 stravolge anche l’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011, in quanto chi lo ha sottoscritto “ha voluto che le possibili deroghe fossero quelle stabilite dai
contratti collettivi nazionali mentre oggi il governo ha stabilito in maniera amplissima tutte le materie derogabili. Allo stesso modo
l’accordo del 28 giugno prevedeva che contratti aziendali potessero essere conclusi solo da RSU o RSA mentre qui ricompaiono anche
i sindacati nazionali e provinciali”.
45
Non bisogna dimenticare che, all’indomani dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, il ministro del lavoro aveva affermato
che sarebbe stata valutata una legge ad hoc per sanare il caso Fiat, intervista rilasciata dal ministro Sacconi a R. Mania, in La
Repubblica del 30 giugno 2011.
46
In tal senso, v. C. Cost., 26 novembre 2009, n. 311 la quale, se da un lato, ha affermato che deve “escludersi l’esistenza di un
principio secondo cui la necessaria incidenza delle norme retroattive sui procedimenti in corso si porrebbe automaticamente in
contrasto con la Convenzione europea”, dall’altro, ha riconosciuto sulla base delle sentenze della Corte EDU che il principio di processo
equo sancita dall’art. 6 CEDU vieta “l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia destinata a influenzare l’esito della
controversia, fatta eccezione che per motivi imperativi di interesse generale («impérieux motifs d’intérét général»). La stessa Corte
europea ha ricordato, inoltre, che il requisito della parità delle armi comporta l’obbligo di dare alle parti una ragionevole possibilità di
perseguire le proprie azioni giudiziarie, senza essere poste in condizione di sostanziale svantaggio rispetto agli avversari”. Per un
commento alla sentenza, v. R. Dickmann, La legge d’interpretazione autentica viola il diritto al giusto processo di cui all’art. 6 della
10
La vicenda Fiat, come si accennava in premessa, ha dunque evidenziato la fragilità del nostro sistema di
relazioni industriali e, ancor più, il problema forse sottaciuto della democrazia nei luoghi di lavoro e nella
47
grande impresa . Pomigliano e Mirafiori, come è stato osservato, non fanno altro che esprimere un
48
atteggiamento preciso: quello dell’egoismo aziendale che fa assumere sempre più potere alla decisione
manageriale. Pertanto, non si può di certo lasciare la regolazione dei diritti e dei conflitti ai rapporti di forza
esistenti nel mondo del lavoro e dell’impresa, cedendo alle esigenze di una globalizzazione sempre più
49
ispirata ad un principio competitivo che rischia di far passare tutto come necessario , in questo senso si
50
ricadrebbe in un ‘neomedievalismo istituzionale’ in cui la produzione delle regole spetta ad un soggetto
direttamente coinvolto nella fattispecie da regolare che non prevede conflitto e, dunque, mediazione. Spetta,
non può essere altrimenti, alla Politica ridefinire nuove prospettive per la composizione del conflitto tra
istanze democratiche e interessi dell’impresa e fornire delle alternative che ad oggi sembrano inesistenti.
Ma, è stato efficacemente osservato, “la mancanza di alternative non è caduta dal cielo. E’ stata costruita
dalla politica, dalle leggi, dalle grandi società, dal sistema finanziario, in parte con strumenti scientifici, in
parte per ottusità o avidità. Toccherebbe alla politica e alle leggi provare a ridisegnare un mondo in cui delle
51
alternative esistono, per le persone non meno che per le imprese” .
CEDU? (nota a Corte cost., 26 novembre 2009, n. 311), in www.federalismi.it; A. Ruggeri, Conferme e novità di fine anno in tema di
rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009), in www.forumcostituzionale.it. Da ultimo, v.
Cass. civ., sez. lav., ordinanza n. 2112 del 29 gennaio 2011, la quale ha sollevato innanzi alla Corte costituzionale questione di
legittimità dell’art. 32, commi 5 e 6, della legge n. 183/2010 (il cd. Collegato lavoro) che ha innovato la materia in tema di contratto di
lavoro a tempo determinato. 47
Cfr. L. Gallino, Democrazia e grande impresa, in MicroMega n. 4/2011, p. 133.
48
In tal senso, G. De Rita, In questa fase, prevale l’egoismo aziendale, in www.nuovi-lavori.it/newsletter/.
49
Cfr. C. Galli, Se è la Fiat a dettare la legge, cit., per il quale “Si sta perdendo, insomma, più o meno da parte di tutti l’occasione per
rilanciare la politica come governo democratico della società e si prende la strada di un ‘realismo’ scivoloso: legittimare l’esistente come
necessario, inchinarsi al presunto spirito del tempo, qualunque cosa ciò significhi, mentre si rinuncia allo sforzo critico di stare nel
proprio tempo nel modo migliore”.
50
Cfr. S. Rodotà, Quando il fango cancella la politica, in La Repubblica del 29 dicembre 2010, secondo il quale “il governo dei processi
e la creazione delle regole che li accompagnano sono ormai appannaggio degli specifici soggetti che agiscono in presa diretta nelle
situazioni considerate. Questo legittimerebbe la Fiat, come ogni altro soggetto transnazionale, ad essere insieme imprenditore e
legislatore, giudice non solo delle convenienze ma pure dei diritti”.
51
L. Gallino, La globalizzazione dell’operaio, cit.
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