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GLI ALLERGENI: L’ANIDRIDE SOLFOROSA
L’impiego dell’anidride solforosa e dei suoi sali è una tecnica consolidata da molti anni nella pratica enologica e
ammessa in tutti i paesi produttori di vino.
Nonostante la sua utilità sul piano tecnico, è noto che l’anidride solforosa ha sull’uomo un’azione tossica che ne
limita l’impiego. L’Organizzazione Mondiale della Sanità comprende la solforosa tra i conservanti (E220) e ne indica
la RESPONSABILE CANTINAA (Dose Giornaliera Ammissibile) in 0,7 mg/kg di peso corporeo. La DL50 (Dose
Letale 50%) è pari a 1,5 g/kg di peso corporeo. All’eccesso di assunzione di anidride solforosa sono attribuiti vari
disturbi, come ad esempio l’insorgenza di emicranie. In alcune nazioni, come gli Stati Uniti, è già obbligatorio
riportare la presenza di solfiti nelle etichette alimentari.
Oltre all’effetto tossico, l’anidride solforosa ha anche un’azione allergenica, per cui dal 25 novembre 2005, con
l’entrata in vigore in Europa della Direttiva CE n.89/2003 (“direttiva allergeni”), è diventato obbligatorio segnalare
la presenza di solfiti e anidride solforosa nel vino e in ogni altro alimento, quando la concentrazione superi i 10
mg/L o i 10 mg/kg, espressi come SO2. Bisogna anche ricordare che dosi elevate di anidride solforosa possono
danneggiare il vino sul piano qualitativo, interferendo con l’aroma e provocando l’attenuazione dei profumi.
Attualmente i limiti legali alla presenza di solfiti nei vini sono fissati dalla legislazione nazionale e comunitaria. La
normativa europea pone i limiti massimi di 160 mg/L per i rossi e di 210 mg/L per i bianchi, con deroghe che
permettono allo Stato membro di elevare il valore massimo di 40 mg/L in annate sfavorevoli. Pertanto, in Italia per
i vini rossi occorre osservare il limite europeo (160 mg/L) mentre per i bianchi vale il limite nazionale, più
restrittivo (200 mg/L). Valori più elevati si applicano per i vini dolci.
Si tratta di livelli molto superiori a quelli previsti dai disciplinari italiani sul biologico accreditati IFOAM (100
mg/l).
E’ obbligatoria l’indicazione della presenza di solfiti in etichetta qualora il loro contenuto sul prodotto finito sia
pari o superiore a 10 mg/l.
Come ridurre le quantità in modo efficace
L’impiego della anidride solforosa in enologia biologica incontra delle precise limitazioni, con i conseguenti problemi
creati da queste limitazioni. In Italia tutti i disciplinari privati per la vinificazione di uve biologiche ammettono
l’uso di SO2 , imponendo però dei limiti ben precisi. Alcuni disciplinari, inoltre, introducono due diverse soglie:
quella ammessa e quella consigliata.
In Francia, per restare a un paese grande produttore di vino e diretto concorrente dell’Italia, l’impiego della SO2 è
consentito nel disciplinare “Charte Vin Bio” con livelli decisamente più alti dei disciplinari italiani. Negli Stati Uniti,
infine, la presenza di solfiti aggiunti è la discriminante per la classificazione dei vini ottenuti con uve da agricoltura
biologica. Infatti, le categorie “100% organic wine” e “organic wine” non consentono l’uso di solfiti aggiunti.
(Ricordiamo che piccole quantità di solfiti si formano naturalmente durante la vinificazione e sono quindi di origine
naturale).
Al momento attuale è di difficile applicazione una vinificazione totalmente esente dall’impiego di anidride
solforosa: per questo motivo, il contenimento dell’impiego della SO2 è un obiettivo da perseguire attraverso un uso
razionale e pianificato all’interno del processo di vinificazione.
Per ottenere una riduzione dell’impiego di anidride solforosa e, contemporaneamente, non compromettere la qualità
del vino, è necessario che in tutte le fasi della produzione in campo e della vinificazione si tenga presente questo
obiettivo, contribuendo con vari accorgimenti a ridurre la necessità di fare ricorso alla SO2 e a massimizzare
l’efficacia dei suoi apporti.
In particolare, la vinificazione di uve sane può al momento attuale essere condotta in pressoché totale assenza di
solfiti, avendo come vincolo principale l’inizio pressoché immediato della fermentazione alcolica (Comuzzo, 2003).
La necessità dell’uso della solforosa ha inizio, secondo questa impostazione, con il primo travaso, quando si ha un
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brusco arieggiamento della massa. Dopo questo primo intervento, che dovrà tenere conto dei dati analitici e
dell’acetaldeide formata in fermentazione, le successive integrazioni dovranno essere fatte a discrezione del
tecnico, sempre sulla base dei dati analitici ed in particolare della solforosa libera.
Il contenimento dell’anidride solforosa può avvenire attraverso interventi in varie fasi della vinificazione (e anche
prima!).
Questi interventi si possono così schematizzare:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
interventi sul vigneto
raccolta delle uve
selezione e qualità delle uve
aggiunta della SO2 al mosto come antisettico
scelta e uso dei lieviti
ossigenazione dei mosti
alternative alla SO2 per evitare la fermentazione malolattica
impiego di prodotti utili per ridurre le dosi di SO2
impiego dei gas inerti
igiene di cantina.
Alternative alla anidride solforosa per evitare la fermentazione malolattica
Il lisozima è una valida alternativa alla SO2 per evitare l’avvio indesiderato della fermentazione malolattica nei vini
bianchi, soprattutto quelli a pH elevato, cioè a rischio più alto di insorgenza della malolattica stessa. Con queste
condizioni di pH, infatti, il lisozima è più attivo e, al contrario, la SO2 è meno efficace. Il lisozima, potente enzima
antibatterico, ha un’azione specifica sulla parete cellulare dei batteri lattici (Oenococcus, Pediococcus,
Lactobacillus). L’uso del lisozima nella vinificazione biologica non è ben definito.
Impiego di prodotti utili a ridurre le dosi di anidride solforosa
Per ridurre l’impiego della solforosa in fase di confezionamento, si può ricorrere ad altri antiossidanti ammessi nel
metodo biologico come l’acido ascorbico (o vitamina C), presente anche allo stato naturale nei mosti. L’acido
ascorbico viene usato solitamente non come sostitutivo ma in associazione con i solfiti, permettendo di ridurne
l’impiego. L’acido ascorbico, infatti, ha proprietà antiossidanti diverse dall’anidride solforosa; è utile a proteggere i
vini da una debole ossidazione, come quella dovuta, ad esempio, all’imbottigliamento. Al confezionamento è anche
utilizzabile l’acido citrico, uno dei tre acidi organici principali dell’uva. L’acido citrico, in particolare, agisce come
chelante del ferro (Fe3+), un potente catalizzatore delle reazioni ossidative.
Solo a titolo indicativo si ricorda che alcuni acidi grassi a catena corta (C8 e C10) hanno mostrato un’azione di
inibizione nei confronti dei lieviti. È stato proposto per questo, il loro impiego come stabilizzanti dei vini dolci in
associazione alla SO2. Non si hanno notizie sull’impiego di queste sostanze nel biologico.
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Il dosaggio dell’anidride solforosa
Il dosaggio dell’anidride solforosa è un’operazione molto delicata e deve essere sempre preparato ed effettuato
dal responsabile della cantina o da persona adeguatamente formata. Le dosi sono prescritte dal consulente enologo
che indica già tipologia e relativi quantitativi. Per la pesatura del prodotto deve essere impiegata una bilancia
digitale o analogica sottoposta a regolare verifica di taratura.
L’anidride solforosa impiegata si trova sotto forma di metabisolfito di potassio o ammonio bisolfito o di solforosa
gassosa in molteplici varianti qui esemplificate:
Tipologia
Forma
(L= liquido
P=polvere
G=Gassosa)
Apporto in
mg/litro di
Concentr
10 g/Hl o 10
azione
ml/Hl di
prodotto
Metabisolfito di potassio
S
67
33,3
Metabisolfito di potassio
S
100
56
Metabisolfito di potassio
S
10-20
8,8
Ammonio bisolfito
L
10
45
Metabisolfito di potassio
S
20
17
Ammonio bisolfito
L
49
40
Ammonio bisolfito
L
70
45
Ammonio bisolfito
L
49
40
Metabisolfito di potassio
S
100
56
Anidride solforosa
G
100
100
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