Cosa sono i solfiti Anidride solforosa no grazie La chimica che è stata uno strumento rivoluzionario degli anni del boom economico è oggi oggetto di riflessione in alcuni dei settori dove è largamente impiegata (agricoltura, trasformazione alimentare, medicina, ecologia). Le organizzazioni internazionali preposte al controllo dei cibi e dei loro effetti sulla salute dei consumatori sono da anni impegnate a denunciare i principi attivi che causano malattie dirette e indirette. I prodotti chimici hanno sicuramente facilitato il lavoro in campagna (produzione) e nella trasformazione (industria alimentare) semplificando le tecniche, riducendo i costi (in primis manodopera) e garantendo assoluta stabilità e durata dei prodotti alimentari. Nel contempo si è però constatato che le stesse sostanze chimiche procurano effetti collaterali dannosi e in casi limite, disturbi seri alla salute (di operatori e consumatori) e all’ambiente in cui viviamo.(inquinamento) L’anidride solforosa (SO2) in cantina Molti sono gli additivi usati nella trasformazione dell’ uva in vino, ma la regina tra questi è indiscutibilmente l’anidride solforosa. L’impiego dei fumi di anidride solforosa, prodotta dalla combustione di zolfo elementare o da minerali che lo contengono, per risanare fusti, tini e persino locali adibiti ad abitazione è una pratica molto antica. L’utilizzo dell’anidride solforosa in vinificazione è molto più recente. Dandolo nel secondo volume del suo trattato di enologia (ed. Silvestri Milano 1812) scriveva che “ l’acido solforoso è così potente da impedire la fermentazione vinosa del mosto e non lasciare passare il vino da se solo in alcun caso alla fermentazione acetosa, ancorché esposto a contatto con l’aria” ma è solo in seguito alla pubblicazione degli studi di MullerTurgau 1889 e dei lavori di Ventre, dei primi del 900 che l’impiego di questo additivo nel processo di vinificazione si affermò in modo definitivo. L’impiego massiccio inizia dopo la seconda guerra mondiale con lo sviluppo industriale. Il suo impiego in cantina viene ancora oggi ritenuto indispensabile perché consente, senza dover ricorre all’uso di mezzi tecnici sofisticati e onerosi, di mantenere sotto controllo lo stato microbico e ossidativo del mosto-vino evitando che si instaurino quegli indesiderati processi microbici e ossidativi che sono in grado di alterare radicalmente le caratteristiche organolettiche del prodotto finito. In realtà la SO2 svolge un ruolo molto più complesso e articolato: inibizione dell’attività di alcuni enzimi (es. polofenolossidasi) incremento del potere solvente esibito dal mosto-vino nei confronti della materia colorante (antociani) protezione del colore del mosto vino; realizzazione di un’azione selettivante e addirittura stimolante, quando impiegata in dosi ridotte nei confronti della flora blastomicetica ed esaltatore dei profumi (azione antiossidante sugli alcoli). L’SO2 nel controllo delle popolazioni microbiche in vinificazione L’attività antisettica svolta dall’ SO2 varia in funzione sia della composizione del mezzo di reazione (mosto o altro) sia del microrganismo considerato. La quantità di etanolo (alcol) presente nella soluzione appare positivamente correlata all’azione antisettica svolta dalla SO2 che può essere impiegata in dosi più contenute. Un incremento di temperatura induce invece due effetti tra loro contrastanti, mentre da un lato induce un effetto sinergizzante per cui concorre a limitare l’attività microbica, dall’altro riduce la solubilità della SO2, nel mezzo di reazione, favorendone la liberazione nell’atmosfera. Per quanto riguarda la variabilità di effetto dovuta alle caratteristiche peculiari del microrganismo considerato, occorre specificare come ogni specie o ceppo microbico esibisca una sua specifica resistenza all’azione della SO2. I batteri che appaiono contraddistinti da un elevato rapporto superficie/volume risultano effettivamente meno resistenti alla SO2 dei lieviti che evidenziano un valore di questo rapporto più contenuto, e tra i lieviti gli apiculati appaiono meno resistenti degli elittici. Anidride Solforosa (SO2) come agente chiarificante L’SO2 è in grado di esplicare un’azione chiarificante diretta nella produzione di mosti muti (bloccati) con un apporto elevato della stessa. Più ridotti tenori di SO2 impiegati di norma in vinificazione (azione indiretta) per cui agendo sulla velocità di sviluppo della popolazione dei lieviti, essa tende a ritardare l’avvio ella fermentazione e quindi della conseguente fermentazione tumultuosa con produzione di anidride carbonica, che mal si accorda con la defecazione del mosto (chiarifica) particolarmente nella vinificazione in bianco. Inoltre l’SO2, addizionata al pigiato, per la carica acida delle soluzioni generate dalla sua presenza, tende a favorire l’idrolisi di alcuni costituenti della membrana cellulare delle bucce, riducendo la resistenza al trasferimento di materia e incrementando così la velocità di diffusione dei diversi componenti in queste racchiusi e in particolare degli antociani e tannini Anidride Solforosa (S02) come additivo antiossidante Grazie alla sua azione antiossidante addebitata all’elevata tendenza a produrre ioni solfato, (SO3-SO4 ) l’anidride solforosa contribuisce a preservare l’intensità colorante del mosto-vino e a ridurre il potenziale ossido riduttivo del mezzo che la contiene. La presenza di SO2 disciolta in vino, dove la macerazione delle vinacce è stata evitata (vinificazione in bianco) e che è quindi caratterizzato da un quantitativo più limitato in componenti ossidabili ( polifenoli ) rispetto ai prodotti ottenibili per macerazione (vinificazione in rosso) tende ad incrementare sensibilmente la velocità di assorbimento dell’ossigeno (O2). Il vino rosso, più ricco in componenti ossidabili, tende ad assorbire più velocemente l’O2 di un prodotto vinificato in bianco. Ma un’ulteriore addizione di un potente antiossidante come la SO2 non ne muta sensibilmente l’affinità all’assorbimento di O2. Il fatto che la velocità di assorbimento dell’Ossigeno non sembri variare o addirittura tenda leggermente a diminuire a seguito della addizione ulteriore di SO2 sembrerebbe evidenziare come il potere antiossidante dovuto alle sostanze disciolte nel mosto-vino e in particolare ai componenti polifenolici risulti probabilmente più elevato di quello espresso dalla stessa solforosa. Sicurezza e impiego enologico dell’anidride solforosa L’anidride solforosa e i suoi derivati (solfiti) rappresentano un gruppo di additivi da lungo tempo utilizzati nell’industria alimentare con duplice azione, antiossidante e antisettica. Gli additivi sono composti addizionati a numerosi prodotti alimentari, così come a farmaci e cosmetici, volontariamente, cioè per decisione del produttore, nella maggior parte dei casi la loro presenza deve essere riportata in etichetta. Alcuni di questi composti possono evidenziare manifestazioni cliniche di una preesistente malattia atopica, ovvero, occasionalmente, essere, loro stessi causa di sensibilizzazione allergica. Infatti gli alimenti tal quali o gli additivi contenuti possono provocare, per ingestione, in soggetti sensibili condizioni morbose anche gravi, per ragioni e attraverso meccanismi diversi. Le forme di ipersensibilità vengono distinte in allergiche, quando prevedono la reazione del sistema immunitario nei confronti della sostanza ingerita (allergene) o non allergiche dette anche intolleranze se dovute a carenze enzimatiche (es intolleranza al lattosio) o a disturbi nell’assorbimento intestinale (intolleranza al glutine). Le manifestazioni allergiche sono molto più rare delle intolleranze (0,5% della popolazione per le prime contro percentuali oscillanti tra il 20% e il 40% per le forme non allergiche) e possono indurre manifestazioni somatiche più o meno violente (gonfiore addominale, ingrossamento della glottide, mal di testa, infiammazione dei bronchi, polmoni e occhi, prurito, eczema atopico, alcune forme di orticaria e di infiammazioni gastrointestinali) Tra i principali additivi che in letteratura vengono indicati come responsabili di crisi allergiche sono: solfiti, silicati, benzoati, gomme vegetali, glutammato monopodico, acido formico, alcuni aromi come vanillina e coloranti come la tartrazina e il rosso carminio Nelle commissioni mediche a difesa della salute del consumatore i solfiti sono conosciuti come agenti allergici da una decina di anni ma solo quando queste intolleranze colpiscono un certo numero di soggetti (5 x mille) allora si prendono provvedimenti, quali denunciare alle istituzioni preposte di prendere provvedimenti come l’imposizione di scrivere in etichetta CONTIENE SOLFITI Tra le sostanze che possono causare patologie in soggetti sensibili vi è il gruppo dei cosiddetti solfitanti che comprende vari additivi a base di solfito inorganico (E 220- 223-224-228) tra cui il solfito di sodio, il bisolfito di potassio e il metabisolfito, contenente biossido di zolfo. I solfiti vengono addizionati in virtù delle loro proprietà antiossodanti e antimicrobiche, a numerosi alimenti: baccalà, crostacei e cefalopodi freschi, (per ritardarne l’invecchiamento) o surgelati, biscotti secchi, snack a base di cereali e patate, patate sbucciate, patate disidratate, farine e fiocchi di patate gnocchi, ortaggi sott’aceto e sott’olio, funghi lavorati o secchi, frutta secca, canditi, marmellate e confetture, mostarda, condimenti a base di limone, gelatine e zucchero, nella birra e nel vino Inoltre all’interno dell’apparato digerente si assiste ad una formazione continua di solfiti nel corso della metabolizzazione degli amminoacidi contenenti zolfo. Il principale effetto negativo dell’anidride solforosa in individui non affetti da ipersensibilità è connessa all’azione degradativa a carico della vitamina B1, la cui carenza nell’uomo può provocare significative alterazioni a carico del metabolismo degli zuccheri (diabete). Dal punto di vista tossicologico i solfiti non sembrerebbero additivi particolarmente dannosi in dosi di 1,5 gr di SO2 x kg di peso corporeo, ma le possibili fonti di assunzione con l’alimentazione risultano molteplici, come sopra illustrato. Il dato complessivo sottolinea come la somma delle quantità assunte da un consumatore medio del peso di 70 kg nell’arco di una giornata rischi di risultare significativamente superiore alla dose giornaliera massima accettabile (49 mg/die) Nei soggetti sensibili ai solfiti possono scatenare, asma, difficoltà respiratoria, fiato corto, respiro affannoso e tosse. Tali soggetti devono limitarne il più possibile l’ingestione perché le conseguenze le conseguenze di una ingestione eccessiva possono essere particolarmente gravi e in alcuni casi fatali. Da qui le varie organizzazioni di controllo in testa la Food and Drugs Amministation (USA) hanno stabilito che gli alimenti (tra cui il vino) aventi un contenuto di solfiti superiore alla soglia di 10 mg/kg o litro devono riportarne il superamento in etichetta. La conversione dei solfiti in solfati avviene durante il passaggio attraverso l’apparato digerente. Nello stomaco, dove il PH è molto basso in fase di digestione, l’ossidazione è molto lenta, mentre risulta assai più rapida nell’intestino e nel sangue (PH subalcalino). L’irritazione gastrica dipende dal fatto che i solfiti, a reazione decisamente acida, liberano anidride solforosa, che provoca una sensazione dolorosa accompagnata a vomito se la dose di anidride solforosa ingerita supera i 3,5 mg/kg di peso (avvelenamento acuto). La trasformazione dei solfiti in solfati avviene grazie all’intermediazione di una emoproteina (solfitoossidasi) che contiene molibdneno, abbondante soprattutto nel fegato e nei reni. La sensazione del famoso cerchio alla testa che si può verificare dopo ingestione di una dose significativa di anidride solforosa sembrerebbe proprio legata all’azione di questa emoproteina che impiegando sia pure in quantità limitate l’ossigeno nella formazione di solfati, delimiterebbe l’afflusso al cervello, che reagisce con la nota sintomatologia dolorosa. Accorgimenti utili per ridurre l’uso dell’anidride solforosa nel vino Nell’ottica di ridurre al minimo indispensabile la presenza di SO2 in vinificazione l’odierna enologia suggerisce di utilizzare uve sane e integre, raccolte preferibilmente a mano per essere riposte in cassette, opportunamente refrigerate all’interno di efficienti celle adibite alla frigo conservazione del prodotto fresco. L’utilizzo di celle di frigo conservazione in atmosfera controllata permetterebbe di evitare l’instaurarsi di fermentazioni indesiderate senza dover ricorrere all’impiego della SO2 mentre nel contempo consentirebbe di ridurre la velocità con cui decorrono sia lo sviluppo delle popolazioni microbiche sia i processi degenerativi responsabili della sovra maturazione e quindi della senescenza dell’uva utilizzata. È comunque consigliabile, prima di inviarle alla vinificazione, sottoporre le uve ad un’accurata cernita per eliminare dai grappoli le parti ammuffite o comunque lesionate. Infatti l’utilizzo di una materia prima in uno stato sanitario ottimale consente di minimizzare i rischi connessi alla presenza di micotossine e richiede l’impiego di quantitativi di SO2 nettamente inferiori per controllare lo sviluppo dei lieviti selvaggi che, eventualmente si siano riprodotti durante le fasi di raccolta e trasporto. Nell’eventualità si debbano lavorare uve danneggiate da agenti fisici o microbici, conviene procedere a una rapida diraspa/pigiatura al fine di limitare la riproduzione dei lieviti selvaggi e per limitare la quantità si SO2 che comunque andrà addizionata e inoculare il mosto ottenuto con almeno il 5% in volume di un altro mosto già in attiva fermentazione per far si che la fermentazione inizi nel più breve tempo possibile. Comunque l’uso di altri additivi (acido ascorbico e lisozima) ad azione sinergica e/o di pratiche enologiche adeguate (uso del freddo, gas inerti) permettono oggi di ridurre significativamente le concentrazioni di SO2. l’impiego del Lisozima (enzima ammesso nell’impiego enologico) sia in fase di vinificazione che di conservazione di un vino bianco potrebbe consentire infatti di ridurre le dosi di anidride solforosa necessarie per limitare la proliferazione dei batteri lattici. Adottando questi accorgimenti, un tenore di SO2 non superiore a 100 mg/L dovrebbe essere più che sufficiente a garantire, una sufficiente stabilità al prodotto. Per quanto riguarda infine i vini per la preparazione di spumanti, sono state in passato impiegate dosi eccessive di SO2 che non sempre appaiono giustificate. Il rapporto esistente in un vino finito tra anidride solforosa libera e combinata permette di formulare alcune ipotesi inerenti lo stadio della lavorazione in cui questo additivo è stato impiegato. Infatti, un vino dotato di un elevato tenore di SO2 combinata probabilmente deriva da un mosto con dosi elevate di SO2, mentre al contrario, una sua ridotta presenza potrebbe indicare come questo additivo sia stato aggiunto preminentemente al vino finito. La dose di anidride solforosa libera richiesta nella stabilizzazione del prodotto finito corrisponderebbe in questo caso, a un basso livello di anidride solforosa totale. Nei vini spumanti, e in particolare nei prodotti contraddistinti da un elevato residuo in zuccheri (spumanti dolci e semi dolci) la maggior parte dell’anidride solforosa viene ritrovata in forma combinata. Nel caso dei vini rossi, i tenori di SO2 possono essere notevolmente più ridotti rispetto a quelli necessari a stabilizzare i bianchi. La maggior parte di questi prodotti subisce infatti, la fermentazione malo lattica e pertanto questi vini risultano sufficientemente stabili, specie se conservati in ambiente privo si ossigeno quale è quello assicurato dalla bottiglia commerciale. Soprattutto i prodotti più prestigiosi (vini dolci liquorosi) della Francia, della Germania e di altri paesi vengono ammessi tenori di SO2 veramente significativi (fino a 400 mg/L) I vini italiani vengono esclusi da queste deroghe (salvo alcuni passiti per i quali è ammesso un tenore massimo pari a 300 mg/L) Vino e salute Vinificazione in assenza di anidride solforosa Un vino di qualità si programma a partire dal vigneto. È necessario tornare ad una viticoltura senza chimica e a un’enologia meno “tecnologica” per avere vini più tipici, unici, inimitabili, finalmente vera espressione di quello che i Francesi definiscono “terroir” in netto dissenso con la standardizzazione e omologazione della maggior parte dei vini in commercio. La coltivazione deve essere rispettosa della zona (terroir) e del vitigno, evitando forzature come irrigazione, concimazioni chimiche e antiparassitari sistemici che tendono a stimolare produzioni quantitative della pianta a scapito di quelle qualitative e a modificare quel rapporto terreno/pianta/ clima che è la condizione indispensabile per lo sviluppo di una pianta forte che produce uve sane, equilibrate e ricche, uniche, inimitabili e soprattutto identificabili. (annata) La vigna a conduzione biologica seguita con impegno, (quindi con un alto grado di consapevolezza) può garantire la produzione di uve di ottima qualità e salubrità. La raccolta delle uve deve cambiare radicalmente. Deve essere manuale, accurata, delicata (le parti che presentano delle imperfezioni vanno tolte) e i grappoli riposti in piccoli contenitori, (plateau) e devono raggiungere la cantina nella loro integrità. Per ottenere un vino integrale e medicinale di qualità, bisognerà applicare quei procedimenti che rispettino, il più possibile, la costituzione naturale del mosto, che altro non è che il succo contenuto negli acini dell’uva. Il lavaggio delle uve è una pratica innovativa messa a punto dall’azienda Torboli Cantine Naturali di Tenno (TN) in collaborazione con il Dott. Enologo Lovat di Verona che consente di eliminare le impurità aggregatisi nel raspo e nelle bucce ( cariche microbiche, sali minerali indesiderati, particelle radioattive, componenti tossici, residui di antiparassitari, inquinamento atmosferico e residui terrosi). La vite nel suo ciclo vegetativo e produttivo viene investita oltre dai trattamenti antiparassitari, (anche di origine naturale rame e zolfo) da contaminazioni tossiche portate dal vento e dalle precipitazioni atmosferiche. Le contaminazioni esterne comportano un preoccupante e grave inquinamento, attualmente sottovalutato, (perché impercettibile) che merita invece una particolare attenzione. Non bisogna dimenticare che il vino dopo l’avvenuto processo fermentativo, ha una spiccata proprietà solvente, essendo una matrice idroalcolica acida, di conseguenza, può reagire con gli elementi cui viene in contatto. Affermato che il succo all’interno dell’acino è esente da impurità ed è sterile e per evitare che questo venga inquinato dalle sopraccitate contaminazioni tossiche, nelle operazioni di ammostatura e di estrazione, viene promossa una innovata tecnica per il lavaggio della uve. Successivamente asciugate e sterilizzate con lampade ultraviolette, se l’uva è a bacca bianca viene immessa in una speciale pressa tecnica, per l’estrazione del suo contenuto liquido. Il mosto viene decantato, refrigerato e avviato alla fermentazione controllata senza addizionare anidride solforosa o altri additivi chimici. La stessa sequenza operativa viene ripetuta per le uve rosse, le quali, invece vengono immesse in una diraspatrice-pigiatrice e trasferite in vinificatore. Il ciclo fermentativo, con la temperatura controllata verrà costantemente seguito da un tecnico. Si ritiene doveroso affermare, che con questa tecnologia di vinificazione, che ammette solo trattamenti fisici, è possibile ottenere vini stabili per limpidezza per il potenziale di ossido riduzione, escludendo precipitazioni metalliche, proteiche, tartariche, ossaliche, ecc. I vini ottenuti con questa tecnologia, vengono stoccati e protetti in contenitori abilitati a ricevere un gas inerte cioè l’azoto tecnico, quale valido e moderno elemento di impiego a protezione degli alimenti e nella prevenzione dagli effetti degenerativi dell’ossigeno. Purtroppo i fenomeni ossidativi modificano nei vini il colore la limpidezza il profumo e il gusto. La stabilizzazione dei vini dalle ossidazioni è un problema che più di ogni altro affligge il tecnico, perché è enologicamente inammissibile collocare al consumo, vini ossidati o tendenti a questa alterazione. Con l’impiego dell’azoto, si evita di turbare la limpidezza, il colore, ed e il sapore del vino, perché l’azoto ha facoltà di liberare il mosto e il vino dall’ossigeno assorbito in varia misura (aria, ambiente) durante le operazioni di cantina. È stato osservato che la qualità dei vini conservati sotto pressione di azoto è superiore a quella dei vini stoccati abitualmente: si constata un miglioramento dell’aroma in intensità e in finezza. Altra prevenzione importante è lo stato sanitizzante dell’ambiente cantina. L’ambiente operativo dev’essere protetto da contaminazioni di natura microbica, che lambiscono le superfici dei contenitori, degli attrezzi, delle apparecchiature, dei pavimenti, delle pareti ecc. Un vino cosi ottenuto acquista un valevole significato come integratore alimentare e un meritevole inserimento nella dietetica clinica (esaltando le proprietà medicamentose dell’uva) un vino più ricco nei suoi componenti antiossidanti (polifenoli e soprattutto resveratrolo anticancerogeno) un vino che oltre a dare piacere nella beva da forza e coraggio per affrontare gli eventi della vita (come gli antichi lo decantavano) e con un rapporto qualità prezzo accessibile. Questa innovata tecnologia di vinificazione favorisce l’ottenimento di un vino derivato da succo d’uva integrale, che alla degustazione in cristallo esprime i sui profumi e stempera i suoi eteri come una musica d’aromi e di sapori diventando il meraviglioso clavicembalo delle purissime sinfonie della vita. Il gusto deve derivare dall’uva (vitigno, terroir) o dalla chimica? A voi la libertà di scegliere. Gian Antonio Posocco Enotecnico Bibliografia: VQ giugno 2005 (enologia) La solforosa nei vini Bio Agricoltura marzo/aprile 2006 TECHNOLOVAT sas Vinificazione in assenza di anidride solforosa Bollettino BIODINAMICA settembre/ottobre 2004