La ricostruzione del processo evolutivo da cui è emerso l`occhio

Trevor D. Lamb è ricercatore del Dipartimento di neuroscienze alla John Curtin
School of Medical Research e presso l’ARC Center of Excellence in Vision
Research dell’Università Nazionale di Canberra in Australia. I suoi studi riguardano
coni e bastoncelli della retina dei vertebrati.
biologia
L’evoluzione
dell’occhio
La ricostruzione del processo evolutivo da cui è emerso l’occhio
umano vanifica la tesi del «disegno intelligente»
L’
occhio umano è un organo di raffinata
complessità. Si comporta come una macchina fotografica che raccoglie e concentra
la luce per convertirla in un segnale elettrico, che il cervello traduce poi in immagini.
Ma, al contrario della pellicola fotografica,
il nostro occhio è dotato di una retina, una
struttura estremamente specializzata, che percepisce la luce ed elabora i segnali usando decine di tipi differenti di neuroni.
L’occhio è così complicato che le sue origini sono da sempre
uno dei cavalli di battaglia di creazionisti e sostenitori del «disegno intelligente», che lo propongono come l’esempio per eccellenza di quella che chiamano complessità irriducibile: un sistema non
può funzionare in assenza di alcuno dei suoi componenti, e quindi non può essersi evoluto da una forma più primitiva. In effetti,
lo stesso Darwin riconobbe in L’origine delle specie che la formazione dell’occhio per opera della selezione naturale poteva apparire assurda. Eppure era fermamente convinto che fosse andata così,
benché all’epoca mancassero le prove di forme intermedie.
Acquisirne la prova diretta ha continuato a presentare un problema. Chi studia l’evoluzione dello scheletro può documentarne
facilmente la metamorfosi nei reperti fossili, ma le strutture co-
60 Le Scienze
stituite da tessuti molli fossilizzano raramente. E quando accade i
fossili non conservano sufficienti dettagli per stabilire come si sono evolute le strutture.
Tuttavia di recente sono stati raggiunti importanti risultati sulle origini dell’occhio, risultati ottenuti studiando il modo in cui si
forma durante lo sviluppo embrionale e paragonando la struttura
oculare e i geni di diverse specie per ricostruire quando sono emersi i tratti decisivi. I risultati indicano che il nostro tipo di occhio – il
tipo comune fra i vertebrati – ha acquisito la sua forma in meno di
100 milioni di anni, evolvendosi da un semplice sensore luminoso
dei ritmi circadiani e stagionali risalente a circa 600 milioni di anni fa in un organo otticamente e neurologicamente raffinato databile a 500 milioni di anni fa.
A un secolo e mezzo di distanza dalla pubblicazione della rivoluzionaria teoria di Darwin, queste scoperte sono la pietra tombale
del concetto di complessità irriducibile, e sostengono con eleganza
l’idea del grande naturalista inglese. Inoltre spiegano perché l’occhio, lungi dall’essere un congegno meccanico perfetto, presenta alcuni grossi difetti: quei difetti sono le cicatrici dell’evoluzione.
A differenza di quanto pensa qualcuno, la selezione naturale non
produce perfezione. Piuttosto, si destreggia con il materiale a disposizione, con conseguenze talvolta bizzarre.
517 settembre 2011
Dan Saelinger/Campione cortesia Eye-Bank For Sight Restoration, New York (www.eyedonation.org)
di Trevor D. Lamb
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Le Scienze 61
Per capire come ha avuto origine l’occhio bisogna risalire a tempi remoti. Noi esseri umani apparteniamo a una linea ininterrotta di
antenati che va indietro di 4 miliardi di anni, agli albori della vita
sulla Terra. Circa un miliardo di anni fa, semplici animali pluricellulari si separarono in due gruppi. Il primo aveva un piano corporeo a
simmetria radiale – una parte superiore e una inferiore, ma non una
anteriore e una posteriore – e il secondo, che ha dato origine alla maggior parte degli organismi che consideriamo animali, aveva
una simmetria bilaterale, con i lati destro e sinistro speculari e una
testa in cima. Circa 600 milioni di anni fa gli organismi bilaterali
si sono separati a loro volta in due gruppi importanti: uno ha dato
origine alla stragrande maggioranza delle creature senza spina dorsale, gli invertebrati, e l’altro i cui discendenti includono la nostra
linea di vertebrati. Poco dopo la separazione delle due linee, proliferò una incredibile diversità di piani corporei, la cosiddetta esplosione del Cambriano, che lasciò, il suo segno nella documentazione
fossile tra 540 e 490 milioni di anni fa. Questa esplosione evolutiva
gettò le basi per l’emergere del nostro occhio complesso.
Composto o a fotocamera?
La documentazione fossile dimostra che durante l’esplosione del
Cambriano emersero due stili fondamentalmente diversi di occhi.
Il primo fu probabilmente l’occhio composto che osserviamo oggi in tutti gli insetti, i ragni e i crostacei adulti, parte di un gruppo
di invertebrati collettivamente noti come artropodi. In questo tipo
di occhio, file di unità identiche di rappresentazione delle immagini, ciascuna delle quali costituisce una lente o un riflettore, trasmette la luce a un gruppo di elementi sensibili alla luce, i fotorecettori.
Gli occhi composti sono molto efficaci per i piccoli animali perché
offrono una visione ad ampio raggio e una moderata risoluzione
spaziale in un piccolo volume. Sono insuperabili per la percezione
dei movimenti rapidi. Durante il Cambriano questa capacità visiva avrebbe avvantaggiato i trilobiti e altri antichi artropodi un vantaggio sugli animali incapaci di vedere.
Gli occhi composti però non sono pratici per grandi animali,
perché la dimensione dell’occhio necessaria per la visione ad alta
risoluzione sarebbe troppo grande. Aumentando le dimensioni corporee sono quindi aumentate anche le pressioni selettive a favore
dell’evoluzione di un altro tipo di occhio: quello a fotocamera. In
questo secondo tipo di occhio i fotorecettori condividono un’unica
lente che concentra la luce, e sono disposti come una lamina (la retina) che delimita la superficie interna della parete dell’occhio. Calamari e polpi hanno un occhio a fotocamera che assomiglia superficialmente al nostro, ma i loro fotorecettori sono dello stesso tipo
che si trova nell’occhio degli insetti. I vertebrati hanno un tipo diverso di fotorecettore, che nei vertebrati gnatostomi – di cui facciamo parte anche noi – si presenta in due varietà: i coni per la visione
diurna e i bastoncelli per quella notturna. Alcuni anni fa, insieme a
Edward N. Pugh Jr. e Shaun P. Collin, svolgemmo un progetto comune per capire come si fossero evoluti questi diversi tipi di fotorecettore. Ciò che scoprimmo andò oltre i nostri obiettivi, offrendoci
un convincente scenario sull’origine dell’occhio dei vertebrati.
scoperte
Come altri biologi prima di noi, notammo che molti tratti specifici dell’occhio dei vertebrati sono identici in tutti i rappresentanti
viventi di un ramo importante dell’albero dei vertebrati, il ramo degli gnatostomi [l’etimologia greca del termine indica la presenza di
una bocca dotata di mascella, N.d.r.]. Ciò suggerisce che i vertebrati
gnatostomi abbiano ereditato i tratti da un antenato comune e che
il nostro occhio si sia evoluto già circa 420 milioni di anni fa, quando i primi gnatostomi (probabilmente simili agli attuali pesci cartilaginei, come gli squali) dominavano i mari. Ne deducemmo che
il nostro occhio a fotocamera e i suoi fotorecettori dovessero avere radici ancora più antiche, e dunque rivolgemmo l’attenzione a
vertebrati gnatostomi ancora più primitivi, con cui abbiamo un antenato comune a circa 500 milioni di anni fa.
Volevamo esaminare in dettaglio l’anatomia di uno di questi
animali, e quindi decidemmo di concentrarci su uno dei pochi animali moderni del genere: la lampreda, un pesce anguilliforme con
una bocca a imbuto costruita per succhiare, e non per mordere.
Anche questo pesce ha un occhio a macchina fotografica, completo di lente, iride e muscoli oculari. La retina della lampreda ha persino una struttura a tre strati, come la nostra, e i suoi fotorecettori
sono molto simili ai nostri coni, anche se evidentemente non aveva ancora evoluto i più sensibili coni. Inoltre, i geni che controllano molti aspetti della percezione della luce, della sua elaborazione neurale e dello sviluppo dell’occhio sono gli stessi che dirigono
questi processi nei vertebrati gnatostomi.
Echi dell’evoluzione
La struttura e lo sviluppo embrionale dell’occhio della missina e della lampreda – vertebrati primitivi anguilliformi
– indicano come si è evoluto il nostro occhio a fotocamera e come funzionava negli stadi primitivi. La missina ha
un occhio degenerato, che non vede ma che serve probabilmente per rivelare la luce allo scopo di modulare i ritmi
circadiani 1 . Nelle prime fasi dello sviluppo, l’occhio della lampreda assomiglia molto all’occhio, strutturalmente
semplice, della missina, prima di subire la metamorfosi in un complesso occhio a macchina fotografica 2 . Anche
l’occhio umano durante lo sviluppo ricorda l’occhio della missina, poiché attraversa uno stadio in cui la retina ha solo due strati, prima che emerga un terzo strato di cellule 3 . Aspetti dello sviluppo embrionale di un individuo riflettono, come sappiamo, eventi accaduti durante l’evoluzione della sua linea.
●
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Annelidi, molluschi
4 settimane
Emicordati,
echinodermi
Bilateria
Retina
Cefalocordati
Cellule
gangliali
Antiche radici
Queste sorprendenti somiglianze con l’occhio dei vertebrati gnatostomi sono troppe per essere emerse indipendentemente. Un occhio essenzialmente identico al nostro doveva essere presente in un
antenato comune dei vertebrati con e senza mascella 500 milioni
di anni fa. A questo punto era inevitabile chiedersi se si poteva far
risalire l’origine dell’occhio e dei suoi fotorecettori ancora più indietro nel tempo. Purtroppo non esistono rappresentanti viventi di
linee che si sono separate dalla nostra linea nei 50 milioni di anni precedenti, il lasso di tempo che avrebbe costituito il passo successivo più logico delle nostre ricerche. Ma trovammo alcuni indizi
nell’occhio di un animale enigmatico, la missina.
Come le lamprede, di cui sono parenti stretti, le missine sono pesci anguilliformi, senza mascelle. Vivono generalmente sui fondali
oceanici, dove si nutrono di crostacei e carcasse di altre creature
marine. In caso di minaccia, essudano una bava molto viscosa, da
cui il nome comune di «anguille bavose». Benché le missine siano
vertebrati, i loro occhi sono molto diversi da quelli tipici di questi
ultimi. L’occhio della missina è privo di cornea, di iride, della lente e
di tutti i muscoli che solitamente lo controllano. Inoltre, la sua retina è composta solo da due strati di cellule, invece che da tre, e ciascun occhio è sepolto sotto un frammento di pelle traslucida. Osservazioni del comportamento delle missine suggeriscono che siano
quasi cieche, e che localizzano le carogne usando l’olfatto.
La missina ha un antenato comune con la lampreda, un antenato presumibilmente dotato di un occhio a fotocamera, come la
sull’origine di quest’organo.
Le scoperte indicano che il nostro
occhio a fotocamera ha radici
sorprendentemente antiche, e che
prima di acquisire gli elementi
necessari per operare come organo
visivo funzionava come un rivelatore
della luce per modulare i ritmi
circadiani dei nostri più antichi
antenati.
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Cellule retinali
progenitrici
Nervo
ottico
Pelle
traslucida
Tunicati
Lente
in via di
sviluppo
Fotorecettori
Cellule retinali
mature
Occhio di larva di lampreda
1 Occhio di missina adulta
●
Missiniformi
Cellule
gangliali
Petromizontiformi
Lente
5 settimane
Retina a due strati
Cellule
bipolari
Cornea
Vertebrati
Ultimi pesci agnati fossili
Fotorecettori
Iride
2 Occhio di lampreda
●
adulta
Gnatostomi
4
●
600
500
Milioni di anni fa
Jen Christiansen
Tuttavia, confrontando le strutture
degli occhi e lo sviluppo embrionale
dell’occhio in diverse specie di
vertebrati, gli scienziati hanno
raccolto informazioni decisive
Vescicola
ottica
Artropodi
In breve
Gli occhi dei vertebrati sono così
complessi che i creazionisti li portano
a esempio dell’inesistenza della
selezione naturale.
I tessuti molli fossilizzano di rado.
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400 0
Occhio ancestrale: le prove disponibili suggeriscono che un proto-occhio
non visivo con una retina a due strati si sia evoluto in un antenato dei vertebrati
tra i 550 e i 500 milioni di anni fa 4 e che questo precursore dell’occhio a
fotocamera servisse a rivelare la luce che regolava l’orologio interno.
●
lampreda. L’occhio della missina deve perciò essere una degenerazione di quella forma più progredita, ed è significativo che esista ancora in quella primitiva. Per esempio, sappiamo dal caracide
cieco che l’occhio può andare incontro a una massiccia degenerazione ed essere completamente perso in appena 10.000 anni. Eppure l’occhio della missina, in tutta la sua struttura, persiste da
centinaia di milioni di anni. Ciò suggerisce che, sebbene la missina non possa usarlo per vedere, l’organo è comunque importante per la sua sopravvivenza. La scoperta ha poi altre implicazioni.
La missina potrebbe essere infatti finita in questo stato rudimen-
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Retina a tre strati
3 Occhio umano adulto
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tale a causa di un difetto dello sviluppo, per cui la sua struttura attuale potrebbe essere rappresentativa dell’architettura di uno stadio evolutivo primitivo. Il funzionamento dell’occhio della missina
potrebbe quindi fare luce sulle modalità di funzionamento del proto-occhio, prima che si evolvesse in un organo visivo.
Indizi sul ruolo dell’occhio della missina si ricavano analizzandone la retina. Nella retina a tre strati classica dei vertebrati, le cellule dello strato intermedio – le cellule bipolari – elaborano l’informazione in arrivo dai fotorecettori e comunicano i risultati ai
neuroni che inviano i segnali verso il cervello che li interpreterà. In-
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l e p r ov e
Cicatrici
dell’evoluzione
Fotorecettori
L’occhio dei vertebrati, che non è affatto il frutto di un «disegno» intelligente, contiene numerosi difetti che confermano la sua origine evolutiva. Tra i suoi difetti, che degradano la qualità
dell’immagine, ci sono una retina invertita che costringe la luce a passare attraverso i corpi cellulari
e le fibre nervose prima di colpire i fotorecettori 1 ;
vasi sanguigni che si distendono nella superficie interna della retina 2 ; fibre nervose che si raggruppano per attraversare una singola apertura nella retina e formare il nervo ottico, creando una macchia
cieca 3 .
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Retina
1
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2
●
3
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Vaso sanguigno
Nervo ottico
●
Don Foley
vece la retina a due strati della missina è priva delle cellule bipola- dei ritmi circadiani. Viceversa, i recettori rabdomerici percepiscono
ri intermedie: qui i fotorecettori si collegano direttamente ai neuro- la luce con l’espressa finalità di consentire la visione. Sia gli occhi
ni di proiezione. In questo senso, i circuiti della retina della missina composti degli insetti sia gli occhi a fotocamera di molluschi come
assomigliano alla ghiandola pineale, o epifisi, una piccola struttu- il polpo, evolutisi indipendentemente da quelli dei vertebrati, imra cerebrale specializzata nella secrezione di ormoni. La ghiando- piegano fotorecettori rabdomerici. Tuttavia, l’occhio dei vertebrati
la pineale modula i ritmi circadiani, e nei vertebrati non mammiferi usa i fotorecettori ciliati per percepire la luce al fine di vedere.
Nel 2003, Detlev Arendt, dello European Molecular Biology
contiene cellule fotorecettrici che si collegano direttamente ai neuroni di proiezione, senza cellule intermedie. Nei mammiferi queste Laboratory a Heidelberg, ha riferito prove convincenti che il nostro
occhio conserva i discendenti dei fotorecettori rabdomerici, modificellule hanno perso la capacità di percepire la luce.
Basandoci anche su questa analogia con la ghiandola pinea- catisi poi notevolmente per formare i neuroni di proiezione, che inle, nel 2007 ho proposto, insieme ai miei collaboratori, l’ipotesi viano l’informazione dalla retina al cervello. Ciò implica che la noche l’occhio della missina non sia implicato nella visione, ma ge- stra retina contiene i discendenti dei recettori di entrambe le classi:
neri invece i segnali in ingresso alla parte del suo cervello che re- la classe ciliata, in origine fotorecettori, e la classe rabdomerica, che
gola ritmi circadiani essenziali, e anche attività stagionali come si è trasformata in neuroni di proiezione. Riutilizzare una struttura
l’alimentazione e l’accoppiamento. È quindi possibile che l’occhio esistente per un nuovo scopo è proprio il modo di operare dell’evoancestrale dei protovertebrati vissuti tra i 550 e i 500 milioni di luzione, quindi la scoperta che i fotorecettori ciliati e quelli rabdoanni fa fungesse inizialmente da organo non visivo e che solo in merici hanno un ruolo differente nel nostro occhio rispetto a quello
seguito abbia evoluto la capacità di elaborazione neurale e ottica, degli invertebrati arricchisce le prove che sia stato costruito attraverso processi naturali. Tuttavia ci siamo chiesti quale tipo di presoltre alle componenti motorie necessarie per la visione spaziale.
sione ambientale possa avere spinto queste cellule
Gli studi sullo sviluppo embrionale dell’occhio
ad assumere i nuovi ruoli.
dei vertebrati confermerebbero la teoria. Quando
L’occhio
Per capire perché i fotorecettori ciliati hanno
una lampreda è allo stadio larvale, vive nel letto
ancestrale
trionfato come sensori luminosi della retina dei
di un ruscello e, come la missina, è cieca. In queavrebbe avuto vertebrati, mentre la classe rabdomerica si è evoluta
sta fase della vita il suo occhio assomiglia a quelneuroni di proiezione, ho analizzato le proprielo della missina, perché ha una struttura semplice
la funzione di nei
tà dei loro pigmenti sensibili alla luce, le rodopsied è collocato sotto uno strato di pelle. Quando la
regolare i ritmi ne, che prendono il nome dalla opsina, una proteilarva va incontro a metamorfosi, il suo occhio runa in esse contenuta. Nel 2004, Yoshinori Shichida
dimentale cresce e sviluppa una retina a tre stracircadiani
dell’Università di Kyoto ha dimostrato che, in fati; inoltre, si formano una lente, una cornea e i
muscoli di sostegno. A quel punto, l’organo sale in superficie co- se precoci dell’evoluzione dei pigmenti visivi nei vertebrati, è avveme occhio a fotocamera. Molti aspetti dello sviluppo individua- nuto un cambiamento che ha reso più stabile, e dunque più attiva,
le rispecchiano eventi accaduti durante l’evoluzione degli antena- la forma del pigmento attivata dalla luce. Ho ipotizzato che queti. Pertanto, con la dovuta cautela possiamo ricorrere allo sviluppo sto cambiamento abbia bloccato anche la riconversione della rodell’occhio della lampreda per aggiornare la nostra ricostruzione dopsina attivata nella forma inattiva, che nel caso delle rodopsine
rabdomeriche richiede l’assorbimento di un secondo fotone di luce;
dell’evoluzione dell’occhio.
Anche l’occhio dei mammiferi mostra segni eloquenti della sua pertanto, era necessaria una via biochimica che annullasse la preorigine evolutiva durante lo sviluppo embrionale. Benjamin E. Ree­ disposizione della molecola a segnalare di nuovo la luce. Una volta
se e collaboratori dell’Università della California a Santa Barbara che questi due elementi fossero stati presenti, i fotorecettori ciliati
hanno scoperto che i circuiti della retina dei mammiferi esordiscono avrebbero avuto un vantaggio speciale rispetto ai fotorecettori rabin modo simile a quelli della missina, poiché i fotorecettori si colle- domerici in ambienti come gli abissi oscuri oceanici.
Di conseguenza, alcuni cordati primitivi (antenati dei vertebrati)
gano direttamente ai neuroni di proiezione. Poi, dopo diverse settimane, le cellule bipolari maturano e si inseriscono tra i fotorecettori potrebbero essere riusciti a colonizzare nicchie ecologiche inaccese i neuroni di proiezione. Questa sequenza è esattamente lo schema sibili ad animali che si affidavano ai fotorecettori rabdomerici, e
di sviluppo previsto se la retina dei vertebrati si fosse evoluta da un non perché la forma più evoluta di opsina offrisse una visione miorgano circadiano a due strati grazie all’aggiunta della capacità di gliore (le altre componenti dell’occhio a fotocamera dovevano anelaborazione e di elementi per rappresentare le immagini. Sembra cora evolversi), ma perché conferiva un modo più efficace di perperciò assolutamente plausibile che questo stadio semplice e pri- cepire la luce che permette agli orologi circadiani e stagionali di
mitivo dello sviluppo sia il retaggio di una fase dell’evoluzione che tenere il ritmo. Per questi cordati che vivevano in universi più teprecedette l’invenzione dei circuiti della cellula bipolare nella retina nebrosi, i fotorecettori rabdomerici, meno sensibili, in aggiunta a
quelli ciliati sarebbero stati praticamente inutili, e dunque liberi di
e l’invenzione della lente, della cornea e dei muscoli accessori.
assumere un nuovo ruolo come neuroni che trasmettono i segnali
L’arrivo dei recettori
al cervello. A quel punto non avrebbero più avuto bisogno dell’opMentre studiavamo lo sviluppo dei tre strati della retina, ci sia- sina, che la selezione naturale avrebbe eliminato da quelle cellule.
mo posti un’altra domanda sull’evoluzione dell’occhio. Nel regno
animale, i fotorecettori appartengono a due classi distinte: rabdo- È nato un occhio
merica e ciliata. Fino a poco tempo fa, molti erano convinti che gli
Disponendo di una teoria sulla possibile origine della retina dei
invertebrati usassero la classe rabdomerica e i vertebrati la ciliata. vertebrati, volevamo capire come l’occhio si è evoluto circa 500 miMa in realtà la situazione è più complicata. Nella stragrande mag- lioni di anni fa da organo sensibile alla luce, ma non visivo, in orgioranza degli organismi, i fotorecettori ciliati sono responsabili gano capace di formare immagini. Abbiamo nuovamente trovato
della percezione della luce per scopi non visivi, come la regolazione indicazioni nello sviluppo embrionale. Nelle fasi precoci dello svi-
luppo, la struttura neurale che dà origine all’occhio emette due protuberanze su ambo i lati, formando due sacche, o vescicole. Ciascuna vescicola si ripiega poi su se stessa e genera una retina a forma
di C, che riveste la parete interna dell’occhio. L’evoluzione probabilmente ha proceduto in modo molto simile. Ipotizziamo che un proto-occhio di questo tipo – con una retina a forma di C, a due strati,
composta da fotorecettori ciliati sulla parte esterna e da neuroni di
proiezione derivati da fotorecettori rabdomerici all’interno – si sia
evoluto in un antenato dei vertebrati tra 550 e 500 milioni di anni fa, fungendo da orologio interno e forse aiutandolo a rivelare le
ombre e a orientare adeguatamente il suo organismo.
Nello stadio successivo dello sviluppo embrionale, durante il ripiegamento all’interno della retina su se stessa, si forma la lente,
che ha origine come ispessimento della superficie esterna, o ectoderma, dell’embrione, che si rigonfia entro lo spazio vuoto ricurvo a
forma di C creato dalla retina. Alla fine, questa protrusione si separa
dal resto dell’ectoderma e diventa un elemento libero di muoversi.
Sembra verosimile che una sequenza di cambiamenti simile sia avvenuta durante l’evoluzione. Non sappiamo di preciso quando avvenne questa modificazione. Tuttavia, negli anni novanta Dan-Eric
Nillson, dell’Università di Lund, ha dimostrato che le componenti ottiche dell’occhio potrebbero essersi evolute entro un milione di
anni. In questo caso, l’occhio capace di formare immagini potrebbe
essere emerso dal proto-occhio non visivo in un istante geologico.
Con la comparsa della lente per catturare la luce e mettere a fuoco le immagini, la capacità dell’occhio di raccogliere l’informazione è aumentata notevolmente. Questo avrebbe creato pressioni selettive favorevoli all’origine di una maggiore capacità elaborativa
della retina, superiore a quella consentita dal semplice collegamento tra i fotorecettori e i neuroni di proiezione. L’evoluzione ha esaudito questa necessità modificando il processo di maturazione della
cellula, e perciò, durante lo sviluppo, alcune cellule sono diventate
cellule bipolari della retina, che si inseriscono tra lo strato dei fotorecettori e lo strato dei neuroni di proiezione, invece di formare fotorecettori ciliati. Per questa ragione le cellule bipolari della retina
sono molto simili ai coni e ai bastoncelli, pur essendo privi della rodopsina, e ricevono l’input non già dalla luce bensì da sostanze chimiche (neurotrasmettitori) rilasciate dai fotorecettori.
Benché gli occhi a fotocamera consentano un ampio campo visivo, in realtà il cervello acquisisce solo una frazione dell’informa-
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zione disponibile in un determinato istante, a causa del numero limitato di fibre nervose che collegano l’occhio al nostro cervello.
Gli occhi a fotocamera primitivi dovettero affrontare una limitazione ancora più grave, perché presumibilmente avevano un numero persino inferiore di fibre nervose. Deve perciò essersi verificata
una notevole pressione selettiva a favore dell’evoluzione di muscoli per il movimento oculare. Questi muscoli devono essere stati presenti già 500 milioni di anni fa, perché la loro organizzazione nella
lampreda, la cui linea evolutiva risale a quell’epoca, è praticamente
identica a quella dei vertebrati gnatostomi, esseri umani inclusi.
A dispetto degli innumerevoli caratteri ben costruiti e congegnati dell’occhio dei vertebrati, diversi tratti sono però decisamente approssimativi. Per esempio la retina è disposta al contrario, e dunque
la luce deve attraversarne l’intero spessore – attraverso le fibre nervose e i corpi cellulari che diffondono la luce e degradano la qualità dell’immagine – prima di raggiungere i fotorecettori. Inoltre i
vasi sanguigni delimitano la superficie interna della retina, gettando ombre indesiderate sullo strato dei fotorecettori. La retina ha poi
una macchia cieca, dove le fibre nervose che attraversano la sua
superficie si aggregano prima di attraversarla ed emergere posteriormente come nervo ottico. E l’elenco potrebbe proseguire.
Questi difetti non sono caratteristiche inevitabili dell’occhio a
fotocamera, perché i polpi e i calamari hanno evoluto indipendentemente occhi dello stesso tipo che non hanno questi difetti. In real­tà, un ingegnere che costruisse un occhio con i difetti
del nostro rischierebbe il licenziamento. Considerare l’occhio dei
vertebrati in un contesto evolutivo rivela che queste carenze apparentemente assurde sono la conseguenza di un’antica sequenza di
passaggi, ciascuno dei quali ha regalato un vantaggio ai nostri antenati vertebrati prima ancora che riuscissero a vedere. Il «disegno»
del nostro occhio non è intelligente, ma acquista la sua perfetta ragione d’essere alla luce dell’evoluzione.
n
per approfondire
Evolution of the Vertebrate Eye: Opsins, Photoreceptors, Retina and Eye-Cup.
Lamb T. D. e altri, in «Nature Neuroscience», Vol. 8, pp. 960-975, dicembre 2007.
The Evolution of Eyes. Numero speciale di «Evolution: Education and Outreach», Vol.
1, n. 4, ottobre 2008.
The Evolution of Phototransduction and Eyes, numero monografico delle
«Philosophical Transactions of the Royal Society, Series B», Vol. 364, 12 ottobre 2009.
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