CAPITOLO 24
Disturbi neurocognitivi
Myron F. Weiner, M.D.
I disturbi neurocognitivi compren-
disturbo neurocognitivo maggiore dovuto a malattia di Alzheimer). Un altro importante cambiamento rispetto alla nosologia precedente riguarda
l’inclusione nel DSM-5 di criteri clinici più recenti
che indicano la probabilità di uno specifico disturbo cerebrale o sistemico di causare un disturbo
neurocognitivo utilizzando i modificatori probabile
o possibile, i quali, rispettivamente, significano che
il paziente soddisfa tutti i criteri per un particolare
disturbo o che il paziente ne soddisfa solo alcuni.
Ad esempio, ora è possibile porre una diagnosi di
disturbo neurocognitivo maggiore o lieve associato
a malattia di Alzheimer probabile o possibile, degenerazione frontotemporale probabile o possibile
(FrontoTemporal Lobar Degeneration, FTLD), malattia
a corpi di Lewy probabile o possibile e malattia cerebrovascolare probabile o possibile. La Tabella 24.1
elenca i disturbi neurocognitivi inclusi nel DSM-5.
Sulla base di tale categorizzazione, ad esempio,
una possibile malattia di Alzheimer e una possibile malattia vascolare possono coesistere. Dall’altro
lato, una diagnosi di probabile malattia di Alzheimer, malattia vascolare, FTLD o malattia a corpi di
Lewy preclude la diagnosi concomitante di un’altra di queste patologie considerata probabile.
Diversi disturbi neurocognitivi sono spesso
presenti contemporaneamente o consecutivamente nello stesso paziente. Le persone con compromissione neurocognitiva maggiore o lieve spesso
manifestano delirium. Nello stesso soggetto possono essere presenti la malattia a corpi di Lewy, la
malattia neurocognitiva vascolare e la malattia di
dono i disturbi cognitivi elencati nel DSM-IV-TR
(American Psychiatric Association 2000), quali delirium, demenza e altri disturbi cognitivi definiti
nelle precedenti edizioni del DSM disturbi mentali
organici. I disturbi mentali “organici” sono stati
concettualizzati come il prodotto di cambiamenti strutturali o fisiologici nel tessuto cerebrale. Al
contrario, si riteneva che i disturbi funzionali derivassero da aberrazioni nei processi interamente
mentali. È sempre più evidente che la linea che
separa i disturbi organici da quelli funzionali non
è chiara e che molti disturbi “funzionali”, come la
schizofrenia, sono in effetti correlati ad anomalie
dello sviluppo e della struttura cerebrale.
Fino al DSM-5 (American Psychiatric Association 2013), le patologie diagnosticabili dal punto
di vista psichiatrico dovevano causare “disagio
clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in
altre aree importanti” (American Psychiatric Association 2000, p. 8). Tuttavia, patologie quali la malattia di Alzheimer si presentano solitamente con
sintomi lievi che sono minimamente disabilitanti o
dirompenti, ma che progrediscono nel tempo fino
a soddisfare la soglia di disabilità sociale o occupazionale (per es., demenza secondo il DSM-IV-TR). Il
DSM-5 riconosce questa particolarità, ha eliminato
il termine demenza e consente la categorizzazione
dei sintomi cognitivi/psichiatrici dei disturbi cerebrali in stadio di gravità lieve o maggiore (per es.,
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Parte II – Disturbi psichiatrici
Tabella 24.1 Disturbi neurocognitivi nel DSM-5
Delirium
Specificare quale:
Delirium da intossicazione da sostanze
Delirium da astinenza da sostanze
Delirium indotto da farmaci
Delirium dovuto a un’altra condizione medica
Delirium dovuto a eziologie molteplici
Specificare se: acuto, persistente
Specificare se: livello di attività iperattivo, ipoattivo, misto
Disturbi neurocognitivi maggiori e lievi
Specificare se dovuto a: malattia di Alzheimer, degenerazione frontotemporale, malattia a corpi di Lewy,
malattia vascolare, trauma cranico, uso di sostanze/farmaci, infezione da HIV, malattie da prioni,
morbo di Parkinson, malattia di Huntington, altra condizione medica, eziologie molteplici, senza
specificazione
Specificare: senza alterazione comportamentale, con alterazione comportamentale
Specificare la gravità attuale: lieve, moderata, grave
Alzheimer. Inoltre, i disturbi psichiatrici e neurocognitivi possono coesistere. Una depressione grave può coesistere con un disturbo neurocognitivo.
Un disturbo neurocognitivo come la malattia di
Alzheimer può inoltre complicare la schizofrenia,
il disturbo bipolare o la depressione ricorrente. Il
problema diagnostico più comune nella valutazione del disturbo neurocognitivo è la distinzione
tra il normale processo di invecchiamento e la malattia negli adulti più anziani.
Normale processo
di invecchiamento cognitivo
Il vocabolario e le conoscenze generali tendono a
rimanere stabili con l’invecchiamento, ma la velocità di elaborazione delle informazioni e le prestazioni psicomotorie peggiorano. Gli adulti più
anziani tendono a ricordare i punti essenziali di
storie o eventi invece dei dettagli. I cambiamenti
della funzione e struttura cerebrale correlati all’età comprendono la perdita di arborizzazione dendritica e la perdita di neuroni nel nucleo basale di
Meynert, nei nuclei settali e nella sostanza nera.
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La perdita di cellule nei primi due nuclei riduce
l’apporto colinergico al prosencefalo e aumenta
la probabilità di delirium indotto da farmaci anticolinergici quali farmaci gastrointestinali o miorilassanti. La perdita di cellule della sostanza nera
aumenta la sensibilità dei recettori dopaminergici
di tipo D2 e pertanto la sensibilità agli effetti extrapiramidali dei farmaci antipsicotici.
Memoria
La compromissione della memoria a breve termine è il disturbo cognitivo correlato all’età più
diffuso tra gli adulti più anziani e la causa più comune di valutazione cognitiva. Circa il 4% di soggetti di età compresa fra i 65 e i 69 anni residenti
nella comunità e il 36% di quelli di età superiore a 85 anni riferiscono problemi di memoria da
lievi a moderati (Federal Interagency Forum on
Aging Related Statistics 2000). I più anziani riferiscono di dimenticare i nomi frequentemente, di
perdere oggetti quali chiavi e di dimenticare i numeri telefonici. Gli adulti più anziani così come
quelli più giovani ricordano i punti essenziali di
ciò che hanno appreso, ma faticano a ricordarsi i
dettagli. Poiché si affidano alle proprie conoscen-
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ze generali per integrare la memoria, gli adulti
più anziani sono anche più inclini a commettere
errori nel ricordare gli eventi.
Numerose funzioni mnemoniche sembrano
coinvolgere diversi meccanismi e circuiti cerebrali
(rivisto in Budson e Price 2005). La memoria a breve termine è mediata dal potenziamento a lungo
termine indotto da neurotrasmettitori che rafforza le connessioni sinaptiche e può essere alterata
bloccando l’azione dell’acetilcolina. La memoria a
lungo termine prevede la crescita di nuovi terminali assonici e lo sviluppo di nuove sinapsi e può
essere bloccata da inibitori della sintesi proteica.
La corteccia prefrontale sembra essere la sede della
memoria di lavoro, ossia della capacità di manipolare piccole parti di informazioni senza il loro trasferimento nella memoria a lungo termine. L’ippocampo trasferisce le informazioni dalla memoria a
breve termine a quella a lungo termine e nelle porzioni della corteccia, dove le informazioni sono state elaborate inizialmente, avviene la conservazione
a lungo termine delle informazioni (Squire 1992).
Negli anziani sani, la memoria rimane in generale
preservata per i contenuti rilevanti dal punto di vista personale o pienamente appresi, mentre la capacità di elaborare informazioni nuove diminuisce
(Petersen et al. 1992). Rallentando la presentazione
di informazioni nuove o suggerendo alcuni dati è
possibile aiutare gli adulti anziani ad apprendere
e recuperare in modo più efficiente informazioni
recenti, ma questi ausili risultano meno utili quando la malattia di Alzheimer raggiunge la soglia di
patologia neurocognitiva grave.
Funzioni esecutive
Sebbene il disturbo cognitivo più diffuso tra gli
adulti più anziani sia la difficoltà nel ricordare i
nomi e gli eventi recenti, il maggiore declino cognitivo correlato all’età riguarda le funzioni esecutive ed è attribuibile principalmente alla perdita
di sinapsi nella corteccia prefrontale e alla perdita
di apporto dopaminergico alla corteccia prefrontale dal corpo striato. Tale declino si manifesta
nella mancata soppressione delle interferenze,
nel commettere errori perseverativi e nella difficoltà a organizzare la memoria di lavoro, forse
mediata dalla perdita della funzione dopaminergica nel nucleo caudato e nel putamen mediante
la riduzione dei recettori dopaminergici D2 e D3 e
dei trasportatori di dopamina (rivisto in Hedden
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e Gabrieli 2005). Gli adulti più anziani sottoposti
a tecniche di risonanza magnetica funzionale (functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) durante
compiti cognitivi mostrano un’attivazione corticale prefrontale bilaterale, mentre i soggetti più
giovani mostrano solo un’attivazione unilaterale,
suggerendo che i più anziani compensano il deficit reclutando maggiori circuiti neuronali (forse
inappropriati) (Persson et al. 2004).
Disturbi della
compromissione cognitiva
Il paziente, la famiglia o, in casi fortunati, il datore di lavoro possono esprimere delle preoccupazioni relative alle funzioni cognitive. Le persone
con disturbi neurocognitivi che lavorano possono essere licenziate per prestazioni inadeguate.
Solo successivamente viene riconosciuta la loro
disfunzione cognitiva, troppo tardi per beneficiare della copertura assicurativa e dell’indennità di
invalidità. Sfortunatamente, una percentuale sostanziale delle persone con la malattia di Alzheimer non riconosce i propri deficit cognitivi e le
persone affette dalla variante comportamentale
della FTLD non ne vengono mai a conoscenza.
Le difficoltà correlate alla compromissione cognitiva sono spesso confuse dai familiari o dai
medici con quelle attribuite al normale invecchiamento. Disturbi quali confusione, perdita di
memoria o scarsa capacità di giudizio richiedono
un esame obiettivo approfondito a seconda dell’anamnesi, dei reperti fisici/neurologici e della valutazione dello stato mentale.
Valutazione del disturbo
neurocognitivo
Una valutazione completa della presenza e della
diagnosi differenziale di un disturbo neurocognitivo comprende la raccolta dell’anamnesi, la
valutazione dello stato mentale e l’esame fisico e
neurologico, inclusi i test di screening di laboratorio, l’imaging cerebrale e i test neuropsicologici. Spesso la valutazione richiede la competenza
e la cooperazione di uno psichiatra, un neurologo e un neuropsicologo.
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Parte II – Disturbi psichiatrici
Raccolta dell’anamnesi
La valutazione inizia con la raccolta dell’anamnesi, che coinvolge il paziente, un amico stretto
o un familiare, e di tutte le informazioni mediche pertinenti. L’accesso diretto ai dati medici
è importante poiché i pazienti e gli informatori
spesso non ricordano in modo accurato gli eventi
medici o gli esiti dei diversi test di laboratorio.
Oltre a richiedere le informazioni relative alle
capacità cognitive dei pazienti, si cercano le evidenze di contributi emotivi o interpersonali al
disturbo cognitivo, gli eventi concomitanti al disturbo cognitivo e il relativo impatto emotivo e interpersonale. Vengono valutate le risposte emotive
dei pazienti alle proprie difficoltà mentali e si tenta di valutare i punti di forza e di debolezza della
famiglia. Vengono considerati anche i modelli di
personalità dei pazienti. Tutte queste informazioni
contribuiscono a configurare il piano di trattamento, come illustrato nel seguente esempio.
Una vedova di 81 anni che vive da sola in
una cittadina del Texas è portata dal figlio
e dalla figlia alla visita medica. I figli riferiscono che la madre manifesta difficoltà di
memoria progressive. La donna è estremamente indipendente, rifiuta di trasferirsi
in una località vicina alla casa dei figli ed
è arrabbiata per il loro continuo insistere
sulla necessità che si sottoponga a una valutazione medica. Dopo un esame adeguato, le è stata posta la diagnosi di malattia
di Alzheimer (il disturbo neurocognitivo
principale nel DSM-5). La paziente non
è d’accordo: non si considera disabile e,
nonostante l’evidenza neuropsicologica,
alla luce della quale sarebbe meglio che la
donna non guidasse o non gestisse i propri
affari finanziari, insiste per avere la propria
indipendenza. Discutendone con la famiglia, la questione si concentra sulla qualità
della vita. Che cosa si vuole ottenere limitando le attività della madre o tentando di
imporle la diagnosi di malattia di Alzheimer, o il trattamento con un potenziatore
cognitivo? Le sue attività principali consistono nel guidare fino alla chiesa e al supermercato, evitando l’autostrada. Molto
probabilmente non avrebbe assunto farmaci diversi dalle consuete compresse per la
pressione arteriosa. Si teme inoltre che non
avrebbe assunto i farmaci correttamente.
Alla fine, il figlio e la figlia decidono che i
loro sforzi per proteggere la madre l’avreb-
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bero alienata e che è meglio accettare le sue
decisioni per continuare ad avere un buon
rapporto con lei. Al contempo, decidono di
monitorare la madre con visite frequenti e
telefonate.
Per il medico è importante sapere quali farmaci
il paziente sta assumendo e, in caso di un adulto
più anziano, chiedere che il paziente li porti con
sé per mostrarglieli, compresi eventuali farmaci
da banco. Un paziente (con il suo permesso) può
essere ascoltato in presenza di un familiare che
garantisca l’accuratezza delle informazioni e accerti le prestazioni del paziente durante l’esame
per poterle confrontare con quelle quotidiane.
Un paziente viene ascoltato da solo se non è accompagnato o se non desidera la presenza di altre persone durante la visita. Se possibile, è bene
anche ascoltare l’accompagnatore da solo, poiché
in presenza del paziente potrebbe non fornire alcune informazioni che possono umiliare o far arrabbiare il paziente. Solitamente tali informazioni
riguardano i pensieri paranoici, le allucinazioni o
l’incontinenza.
La presenza di un amico o di un familiare può
essere confortante per la maggior parte delle persone con compromissione cognitiva. In questa
situazione, la raccolta dell’anamnesi può avvenire durante una conversazione a tre invece di
un colloquio formale. Durante la conversazione,
emergono diverse informazioni sul rapporto tra i
pazienti e i propri cari, sull’impatto dei pazienti
sulle proprie famiglie e sull’impatto degli altri sui
pazienti. I mariti spesso riferiscono una ridotta
capacità delle proprie mogli di accudire la famiglia. I coniugi a carico provare risentimento per il
doversi prendere cura del coniuge che prima era
dominante. In molti casi, emergono delle tensioni tra i coniugi poiché l’uno non crede che l’altro
non riesca veramente ad apprendere, ricordare o
capire. Può essere utile anche prendere in esame
un coniuge in presenza dell’altro per affrontare
il rifiuto del coniuge di accettare le difficoltà del
partner e per mostrare come affrontare l’incapacità dell’altro a ricordare, pianificare e cooperare.
L’esordio improvviso dei sintomi nel corso di
minuti o ore suggerisce la presenza di delirium e
di possibili fattori infettivi, tossici/metabolici, indotti da farmaci, vascolari, traumatici, psichiatrici
o di diversi fattori convergenti. L’esordio nel corso
di giorni o settimane suggerisce la presenza di pa-
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tologie infettive, tossiche/metaboliche o neoplastiche. Un declino graduale nel corso di mesi o anni
è più tipico delle patologie degenerative. Spesso è
difficile individuare la data della comparsa delle
difficoltà cognitive o comportamentali. La compromissione cognitiva cronica può essere percepita
come declino acuto quando un coniuge si ammala
o muore oppure può essere presente come delirium che si manifesta nel corso di una patologia o
in seguito a una procedura chirurgica.
Spesso si riscontra un miglioramento sintomatico in caso di trauma cerebrale, disturbi vascolari
acuti, disturbi tossici e metabolici acuti. Nella malattia a corpi di Lewy si possono osservare fluttuazioni marcate della disfunzione cognitiva nel
corso di giorni o settimane. Nella maggior parte
dei disturbi neurocognitivi, la compromissione
cognitiva fluttua a seconda della complessità delle
richieste ambientali/emotive, dell’affaticamento,
della salute fisica generale e dell’ora del giorno.
I primi sintomi di un disturbo neurocognitivo
che vengono riferiti sono solitamente la perdita
di iniziativa e la perdita di interesse per la famiglia, l’ambiente circostante e le attività che una
volta erano piacevoli. I soggetti con funzionalità
compromessa del lobo frontotemporale possono
diventare apatici o disinibiti. In una fase precoce possono manifestarsi diffidenza, irritabilità e
depressione. L’euforia e il delirio di grandezza
aumentano la possibilità che insorga una neurosifilide. Le allucinazioni visive ben formate spesso contraddistinguono l’esordio della malattia a
corpi di Lewy. Le allucinazioni visive e tattili e i
deliri sono comuni nel delirium. Le allucinazioni
uditive nelle persone con disturbi neurocognitivi
tendono a essere associate ai familiari che parlano
o che suonano degli strumenti musicali, mentre le
voci accusatorie e minacciose sono manifestazioni tipiche della schizofrenia e della depressione
psicotica. Il sonnambulismo e i disturbi di comportamento del sonno REM possono precedere la
comparsa del morbo di Parkinson o della malattia
a corpi di Lewy. Le crisi parziali complesse possono causare “assenze” intermittenti accompagnate
da stereotipia motoria e sonnolenza postcritica. Le
crisi di tipo tonico-clonico possono portare a una
lesione cerebrale focale. Diabete, ipertensione, ictus e malattie cardiache sono fattori di rischio per
la compromissione cognitiva vascolare e possono
accelerare la manifestazione clinica della malat-
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tia di Alzheimer. Lo scompenso renale o epatico
acuto può portare a delirium. La sieropositività
all’HIV aumenta le possibilità di contrarre una
patologia cerebrale virale o un’infezione cerebrale
opportunistica.
I disturbi ereditari comprendono la malattia di
Huntington e la malattia di Wilson. La malattia di
Alzheimer raramente si manifesta come malattia
ereditaria autosomica dominante; il 10% circa delle persone con FTLD presenta un’ereditarietà autosomica dominante (Rohrer et al. 2009).
Molti farmaci possono compromettere la cognizione, compresi gli agenti anticolinergici
quali i rilassanti della muscolatura intestinale e
vescicale, la difenidramina (un principio attivo
diffuso nei sonniferi da banco), gli ipnotici e i
tranquillanti benzodiazepinici, i barbiturici, gli
anticonvulsivanti, il propranololo e i glicosidi
cardiaci. Gli episodi di confusione nelle persone con porfiria possono essere indotti da diversi
farmaci, inclusi i barbiturici e le benzodiazepine.
L’abuso di alcol accompagnato da grave malnutrizione o episodi di delirium tremens può
portare a disturbi neurocognitivi. Anche l’abuso di altre sostanze come solventi organici può
causare sindromi neurocognitive. Le tossine
ambientali, quali arsenico, mercurio, piombo,
solventi organici e insetticidi organofosfati, possono causare sindromi neurocognitive, ma la
compromissione cognitivo-comportamentale è
offuscata solitamente da sintomi sistemici gravi.
Il peggioramento improvviso della funzione
cognitiva in persone con disturbi neurocognitivi
accertati richiede l’esecuzione di esami aggiuntivi per individuare eventuali casi dimenticati, ictus, cambiamento del dosaggio o del tipo di farmaco, polmonite o infezione delle vie urinarie.
Esame dello stato mentale
I disturbi cognitivi sono spesso trascurati poiché
le persone con disturbi a lenta progressione spesso mantengono una buona condotta sociale fino
all’insorgere della malattia. Ciò vale soprattutto
per i pazienti ben vestiti e ben curati che forniscono
risposte sociali adeguate, caratteristica frequente
nella malattia di Alzheimer. L’esame dello stato
mentale viene effettuato in un contesto che prevede lo sviluppo di un rapporto positivo tra i pazienti
e le proprie famiglie. Pertanto, le interazioni con il
paziente non dovrebbero iniziare con l’esecuzio-
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ne di un esame del quadro cognitivo da parte del
medico. L’esame viene eseguito prendendo in considerazione il grado di tolleranza alla frustrazione
del paziente e il livello delle prestazioni cognitive.
Ad esempio, quando è ovvio che il paziente non
riesce a orientarsi nel tempo, non ha alcun senso
chiedergli la data o il giorno della settimana, a
meno che non si sospetti una simulazione di malattia. È opportuno ridurre il numero di domande
quando il paziente è irritabile o cede facilmente al
nervosismo. Le risposte devono essere considerate
ugualmente valide, siano esse sbagliate o corrette, e
il paziente deve essere elogiato per gli sforzi.
L’attenzione viene testata con la prova del Digit
Span, che prevede la ripetizione di cifre in avanti
e indietro. La maggior parte delle persone con 12
anni di istruzione e con buone funzioni sensorie
riesce a ripetere sette cifre in avanti e cinque cifre
indietro. La memoria di lavoro viene testata chiedendo ai pazienti di ricordare tre parole dopo essere stati distratti per 5 minuti. Questo esame può
essere effettuato con oggetti presentati verbalmente o, in caso di soggetti afasici, con oggetti mostrati
al paziente senza che il medico li nomini. Anche
le risposte agli indizi sono importanti in quanto
contribuiscono a distinguere il deficit di recupero
dal deficit di codifica. Invece, risulta più difficile
testare la memoria remota. Ai pazienti con un basso grado di istruzione si può chiedere di parlare di
eventi che rientrano nella loro sfera di interesse.
Ciò è ancora più efficace se, prima del colloquio
con il paziente, l’accompagnatore viene preso in
disparte per chiedergli alcune informazioni sugli
ultimi eventi della vita del paziente (per es., compleanni o altri eventi familiari).
Gli esami di routine relativi al linguaggio
includono la valutazione dell’articolazione, la
fluenza, la comprensione, la ripetizione, la denominazione, la lettura e la scrittura. I disturbi
del linguaggio comprendono ritardi nel trovare le parole, parafasie e neologismi. La fluenza semantica (capacità di produrre un elenco
di parole per una determinata categoria), un
indicatore molto sensibile di compromissione cognitiva, può essere esaminata chiedendo
al paziente di nominare, ad esempio, tutti gli
animali che gli vengono in mente in 1 minuto.
Il punteggio medio per le persone con diploma di scuola secondaria di secondo grado è di
18±6 (Goodglass e Kaplan 1972).
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Parte II – Disturbi psichiatrici
I test di comprensione iniziano con compiti
graduati, come chiedere ai pazienti di indicare
uno, due o tre oggetti nella stanza. Sono seguiti da domande logiche semplici, come “La madre di mio cugino è una donna o un uomo?” o
“Quando si veste, che cosa indossa per primo: la
camicia (camicetta) o il cappotto?”.
I test di denominazione devono comprendere
parti di oggetti come le componenti di un orologio (corona, cinturino, cassa, quadrante, cristallo
o vetro) o le parti di una camicia (polsino, manica, collo, tasca, asola). La capacità di lettura deve
essere considerata in base al grado di istruzione
del paziente. La capacità di scrittura viene valutata chiedendo al paziente di scrivere una frase
dettata e poi di comporre una frase da solo.
La valutazione delle abitudini quotidiane avviene chiedendo ai pazienti di imitare un’azione effettuata dall’esaminatore, di eseguire semplici atti
motori in risposta alla richiesta dell’esaminatore e
di copiare una serie di figure geometriche semplici (per es., pentagoni intersecati). Il disegno di un
cubo tridimensionale da parte del paziente può essere usato per individuare disprassia costruttiva in
persone istruite lievemente compromesse.
Le informazioni possono essere valutate usando una serie di domande standard, dalle più
semplici alle più difficili, e valutando le risposte
in relazione al grado di istruzione e ai risultati
professionali del paziente.
Per valutare la capacità di pensiero astratto
è necessario prendere in considerazione l’istruzione, il contesto culturale e la lingua madre del
paziente. Il deficit del ragionamento astratto può
essere osservato ad esempio in caso di sostituzione di una parte del corpo nei test di aprassia ideomotoria (per es., utilizzare le proprie dita come se
fossero i denti di un pettine mentre si finge di pettinarsi i capelli) o in caso di difficoltà nell’indicare
la posizione delle lancette nel test dell’orologio. La
capacità di giudizio può essere valutata chiedendo ai pazienti come gestirebbero alcune situazioni
quali “Che cosa farebbe se un’azienda per la fornitura di energia elettrica la chiamasse e le dicesse
che il suo ultimo assegno è risultato insoluto per
mancanza di fondi?”. Tuttavia, la capacità di giudizio viene valutata meglio con l’anamnesi fornita
da una persona diversa dal paziente.
Gli elementi dell’esame dello stato mentale che
rilevano una disfunzione esecutiva comprendono
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aprassia ideomotoria e costruttiva, ragionamento
astratto e giudizio. Viene valutata anche la funzione esecutiva con parti dell’esame neurologico,
compresi la sequenza di Luria di 3 movimenti (Weiner et al. 2011), il test go/no-go e i compiti motori
reciproci (per es., chiedere al paziente di “battere
la mano sul tavolo due volte quando la batto una
volta, e batterla due volte quando la batto una sola
volta”). Il test dell’orologio, o “clock drawing test”,
è un altro esame utile per valutare la funzione esecutiva. La disfunzione esecutiva si manifesta anche
nell’anamnesi del paziente, in caso di errori nel giudizio sociale (per es., avance sessuali inappropriate), e nel corso dell’esame dello stato mentale, in
caso di difficoltà nel maneggiare gli oggetti (comportamento di utilizzazione), risate inopportune,
flirt o incapacità a mantenere una distanza sociale e
fisica appropriata dall’esaminatore.
Esame obiettivo e neurologico
L’esame obiettivo può suggerire una patologia
specifica. Evidenze di malnutrizione grave suggeriscono avitaminosi quali carenza di tiamina.
Le pupille di Argyll-Robertson suggeriscono invece neurosifilide. Il soffio carotideo aumenta la
possibilità di ischemia cerebrale e la fibrillazione
atriale presenta la possibilità di embolizzazione
cerebrale. L’aprassia della marcia e l’incontinenza urinaria precoce sono associate a idrocefalo
normoteso. La disartria combinata e la paralisi
dello sguardo suggeriscono una paralisi sopranucleare progressiva. L’aprassia degli arti unilaterale suggerisce una degenerazione ganglionica
cortico-basale. La bradicinesia e la bradifrenia
possono indicare depressione, morbo di Parkinson precoce o entrambi. La mancanza di coordinazione e la sintomatologia nervosa cranica e
sensoriale possono indicare sclerosi multipla o
paralisi sopranucleare progressiva. I movimenti
coreiformi accompagnano la malattia di Wilson e
la malattia di Huntington; gli spasmi mioclonici
accompagnano la malattia di Creutzfeldt-Jakob e
la malattia di Alzheimer allo stadio medio-avanzato. I segni e i sintomi lateralizzati suggeriscono
una possibile origine vascolare. I segni di liberazione corticale quali il riflesso palmo-mentoniero, il riflesso di prensione e i riflessi di suzione
e del grugno, sono indicatori aspecifici di danno
corticale, così come i compiti motori programmati nella sequenza di Luria di tre movimenti.
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Studi di laboratorio
Un elenco di studi di laboratorio potenzialmente
utili nel diagnosticare i disturbi neurocognitivi
è fornito nella Tabella 24.2. Sebbene un medico
possa essere tentato a usare modelli fissi, le decisioni relative agli esami di laboratorio dovrebbero essere prese in base al quadro clinico del paziente. Il sospetto consumo o abuso di sostanze
stupefacenti richiede l’esecuzione di una serie di
test tossicologici. È particolarmente importante individuare il consumo di alcol, barbiturici o
benzodiazepine per prevenire il delirium da astinenza da sostanze grave. La valutazione della
concentrazione di elettroliti è utile principalmente per accertare eventuali variazioni acute dello
stato cognitivo. Un test sierologico per valutare
la presenza di sifilide viene spesso eseguito di
routine, ma non è indicato a meno che l’anamnesi e la presentazione clinica non suggeriscano
l’esposizione a tale patologia o la presenza di
neurosifilide. Un livello basso di ferrossidasi e
un livello elevato di rame nelle urine facilitano
la diagnosi di malattia di Wilson. I livelli di acido
folico e di vitamina B12 sono spesso valutati di
routine, ma offrono risultati scarsi in assenza di
deficit nutrizionale grave o di sintomi di anemia
perniciosa (Warren e Weiner 2012). La puntura
lombare può fornire informazioni confermando
una diagnosi clinica di sclerosi multipla, neurosifilide o infezione opportunistica del sistema nervoso centrale. Il test dell’HIV è indicato
se l’anamnesi riporta un’eventuale esposizione
sessuale o trasfusioni di sangue. La diagnosi di
malattia di Alzheimer può essere confermata da
un basso livello di concentrazione di β-amiloide
nel liquido cefalorachidiano e da elevati livelli
di proteina tau. La malattia di Creutzfeldt-Jakob
può essere confermata dalla presenza della proteina 14-3-3. Un elettroencefalogramma anomalo
può contribuire a distinguere la depressione dalle patologie dementigene e può confermare il sospetto clinico di stato epilettico. La cisternografia
con radionuclidi contribuisce a confermare la
diagnosi di idrocefalo normoteso.
Gli studi di imaging sulle funzioni cerebrali attualmente utilizzati nella pratica clinica consistono nella tomografia computerizzata a emissione
di fotone singolo (Single-Photon Emission Computed Tomography, SPECT) e nella tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography,
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Parte II – Disturbi psichiatrici
Tabella 24.2 Test di laboratorio che agevolano la diagnosi dei disturbi neurocognitivi
Screening generale
Conta ematica completa
Velocità di eritrosedimentazione
Test di funzionalità epatica
Test dell’azoto ureico nel sangue
Creatinina
Glicemia
Calcio
Test di funzionalità tiroidea
Test sierologici per la sifilide
Acido folico
Vitamina B12
Tomografia computerizzata o risonanza magnetica
Ulteriori test e procedure
Puntura lombare
Livello di Aβ42 nel liquido cefalorachidiano e di proteina tau per la malattia di Alzheimer
Proteina 14-3-3 per la malattia di Creutzfeldt-Jakob
Test dell’HIV
Elettroencefalogramma
Cisternografia radioisotopica per idrocefalo normoteso
Arteria carotidea
Doppler
Angiografia cerebrale
Tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli
Tomografia a emissione di positroni
Imaging dell’amiloide cerebrale
Test genetici
Presenilina 1 e 2 per malattia di Alzheimer a ereditarietà dominante
DNA per ripetizioni trinucleotidi nella malattia di Huntington
Malattia di Wilson
PET). La prima è utilizzata per determinare i modelli del flusso ematico regionale e la seconda per
valutare l’utilizzo del glucosio da parte del cervello. Entrambe sono utilizzate per agevolare la diagnosi di malattia di Alzheimer e FTLD. La SPECT
ha il vantaggio di essere meno costosa, mentre la
PET ha una risoluzione maggiore. Attualmente
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l’imaging PET con florbetapir, che individua i depositi cerebrali di amiloide, è utilizzato a titolo di
ricerca come marcatore della malattia di Alzheimer (Figura 24.1). Un basso uptake dei trasportatori di dopamina nei gangli basali, come mostrato
dalla SPECT o dalla PET, è stato aggiunto come
fattore indicativo della malattia a corpi di Lewy.
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24 Disturbi neurocognitivi
717
Figura 24.1. Imaging di amiloide in vivo.
Si veda la stessa figura nella Tavola 8 a colori in fondo al volume.
L’imaging con florbetapir (vista coronale) non mostra alcun accumulo di amiloide nel cervello di un
soggetto di controllo normale (NC) e un accumulo esteso nel cervello di un paziente con malattia di
Alzheimer (AD).
Fonte. Per gentile concessione di Dr. M.D. Devous, Sr.
I test genetici possono contribuire a confermare la diagnosi di malattia di Alzheimer familiare
dominante (mutazioni dei geni della presenilina
1 e 2), malattia di Huntington (oltre 40 ripetizioni
di citosina-adenina-guanina nel DNA) e malattia
di Wilson e possono essere utilizzati per valutare il rischio in persone asintomatiche. La biopsia
cerebrale è utile principalmente per la diagnosi
di patologie infiammatorie vascolari e non è generalmente indicata.
Test neuropsicologici
Il neuropsicologo clinico svolge spesso un ruolo
importante in diversi compiti: stabilire la presenza di una patologia neurocognitiva, condurre la diagnosi differenziale, quantificare la
compromissione e valutare i punti di forza e di
debolezza cognitivi. Gli esami ripetuti forniscono informazioni sulla progressione della malattia, sugli effetti del trattamento o sul grado di
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ripresa da insulti cerebrali quali ictus o danno
cerebrale traumatico. La Tabella 24.3 mostra i
modelli tipici di compromissione osservati nei
test neuropsicologici di soggetti con disturbi
neurocognitivi.
Delirium
Il delirium è un’alterazione dello stato di coscienza e cognizione, solitamente a esordio acuto
(ore o giorni) e di breve durata (giorni o settimane). La caratteristica distintiva del delirium è
una compromissione dell’attenzione. Molte persone mantengono l’orientamento, nello spazio
e nel tempo, ma mostrano una compromissione dell’attenzione sostenuta nei test quali Digit
Span e ripetizione di cifre al contrario. Il sonnambulismo è comune, così come la riduzione o l’aumento di attività psicomotorie. Sono frequenti
anche errori di identificazione, allucinazioni vi-
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718
Parte II – Disturbi psichiatrici
Tabella 24.3 Caratteristiche dell’apprendimento verbale e della memoria nei disturbi
neurocognitivi
Codifica
compromessa
Ricordo
deficitario
Errori di
intrusione
++
++
++
–
++
+
+
–
+
+/–
Vascolare
++
+
–
+/–
–
Depressione
+/–
+/–
–
–
–
Disturbo
Alzheimer
Frontotemporale
Errori di
Riconoscimento
perseverazione compromesso
Nota. Presenza (+) o assenza (-) di caratteristiche mnestiche qualitative durante compiti standardizzati volti
all’apprendimento di elenchi di parole.
Fonte. Adattata, per gentile concessione, da Cullum CM, Lacritz LH: “Neuropsychological Testing in Dementia”,
in The American Psychiatric Publishing Textbook of Alzheimer’s Disease and Other Dementias. Edited by Weiner MF,
Lipton AM. Washington, DC, American Psychiatric Publishing, 2009, pp 85–104. Copyright 2009, American
Psychiatric Publishing.
sive. A causa di questi sintomi, i pazienti affetti
da delirium sono spesso considerati schizofrenici
dai medici non specializzati in psichiatria, ma le
allucinazioni visive nel delirium sono di diverso
tipo rispetto a quelle riscontrate nella schizofrenia. Tendono a essere legate alla realtà e non sono
minacciose, piuttosto stravaganti. Spesso consistono in animali o persone di cui non si comprende la presenza, che incute paura al paziente e non
è spiegata da un sistema delirante organizzato.
Le allucinazioni tattili in presenza di funzioni
sensorie offuscate sono quasi sempre dovute a
delirium. Quando si manifestano in presenza di
buone funzioni sensorie, le allucinazioni tattili
possono essere parte di sindromi psicotiche quali
parassitosi delirante.
I criteri diagnostici del DSM-5 per il delirium
sono presentati nel Box 24.1; la diagnosi differenziale di delirium, disturbo neurocognitivo e depressione è fornita nella Tabella 24.4. Il delirium è
comune nei pazienti ricoverati in ospedale. In uno
studio prospettico su soggetti non in stato confusionale di età pari e superiore a 65 anni sottoposti
a riparazione di una frattura all’anca o intervento
elettivo di protesi d’anca, il delirium è stato diagnosticato nel 20% (Duppils e Wikblad 2000). L’esordio del delirium è avvenuto nel postoperatorio
nel 96% dei pazienti e si è risolto generalmente
nell’arco di 48 ore. I fattori predisponenti erano
l’età avanzata, la compromissione cognitiva e la
patologia cerebrale pregressa. Vi sono inoltre evi-
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denze secondo cui l’allele ε4 dell’apolipoproteina
E aumenta la predisposizione al delirium (van
Munster et al. 2009).
In molti soggetti, il primo segno di una patologia neurocognitiva può essere il delirium postoperatorio. Episodi di delirium spesso sono
premonitori della malattia a corpi di Lewy. Il
delirium presenta un grado maggiore di disorganizzazione della personalità e di alterazione
della consapevolezza rispetto alle patologie neurocognitive lievi o maggiori. Si assiste a una capacità cognitiva oscillante in molte persone con
compromissione cognitiva ma non della stessa
portata o con la stessa rapidità (minuti o ore) del
delirium. I soggetti con disturbi neurocognitivi
solitamente presentano le migliori prestazioni
cognitive al mattino quando non sono affaticati
e in circostanze in cui non si sentono in difficoltà
o ansiosi. Verso sera molte persone con compromissione cognitiva presentano un’esacerbazione
transitoria dei disturbi comportamentali, un fenomeno spesso definito sundowning. La diagnosi
di disturbo cognitivo lieve o grave non può essere posta in presenza di delirium.
Il miglior trattamento per il delirium è la prevenzione, che significa soddisfare le esigenze
delle popolazioni vulnerabili, ossia i soggetti con
compromissione cognitiva con problemi di udito e di vista. In teoria queste persone vulnerabili
dovrebbero essere individuate prima dell’ospedalizzazione. Per i pazienti in strutture di assisten-
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24 Disturbi neurocognitivi
719
Box 24.1 DSM-5: Delirium – Criteri diagnostici
A. Un’alterazione dell’attenzione (cioè ridotta capacità di dirigere, focalizzare, mantenere e spostare l’attenzione) e della
consapevolezza (ridotta capacità di orientamento nell’ambiente).
B. L’alterazione si sviluppa in un periodo di tempo breve (generalmente da ore ad alcuni giorni), rappresenta un cambiamento
rispetto al livello base dell’attenzione e della consapevolezza, e tende a presentare fluttuazioni della gravità nel corso
della giornata.
C. Una ulteriore modificazione cognitiva (per es., deficit di memoria, disorientamento, linguaggio, capacità visuo-spaziale
o percezione).
D. Le alterazioni dei Criteri A e C non sono meglio spiegate da un altro disturbo neurocognitivo preesistente, stabile o in
evoluzione e non si verificano nel contesto di un livello di attivazione gravemente ridotto, come il coma.
E. Vi sono evidenze, fondate sull’anamnesi, sull’esame fisico o sugli esami di laboratorio, che l’alterazione è la
conseguenza fisiologica diretta di un’altra condizione medica, di intossicazione da sostanze o di astinenza (cioè
dovuta a sostanze di abuso o a farmaci), o di esposizione a una tossina, oppure è dovuta a eziologie molteplici.
Specificare quale:
Delirium da intossicazione da sostanze
Delirium da astinenza da sostanze
Delirium indotto da farmaci
Delirium dovuto a un’altra condizione medica
Delirium dovuto a eziologie molteplici
Specificare se:
Acuto
Persistente
Specificare se:
Livello di attività iperattivo
Livello di attività ipoattivo
Livello di attività misto
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
za a lungo termine, la compromissione cognitiva
rappresenta la norma. Solitamente si richiede un
consulto dopo l’esacerbazione del delirium, quando diventa talmente grave da mettere in pericolo
i pazienti o da interferire con il loro trattamento.
Il delirium si verifica anche in contesti ambulatoriali. Ad esempio, un ragazzo è stato portato dalla
madre dal medico per una valutazione psichiatrica a causa di un esordio acuto di allucinazioni visive. Nell’anamnesi medica del ragazzo la madre
ha riportato l’uso di un decongestionante nasale
per uso topico. Tuttavia, dopo aver controllato l’etichetta del farmaco è emerso che il ragazzo stava in realtà assumendo gocce di atropina che la
madre gli stava dando per il trattamento di una
malattia oculare; le allucinazioni sono scomparse
non appena il farmaco è stato interrotto.
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Eziologia
Il delirium può essere definito come una compromissione acuta della capacità cerebrale di elaborare le informazioni. Negli ultimi anni sono state
fatte molte congetture sul processo fisiopatologico sottostante il delirium e studi recenti hanno
suggerito la presenza di una disconnessione funzionale tra la corteccia prefrontale dorsolaterale e
il giro cingolato posteriore (Choi et al. 2012). Sebbene il delirium abbia molte cause potenziali, le
più comuni sono probabilmente infezioni acute,
trauma cerebrale e farmaci prescritti o da banco.
Esistono pochissimi farmaci che non possono
causare delirium. Pertanto, nella valutazione di
un paziente con delirium, tutti i farmaci sono sospetti. I farmaci più comuni che possono causare
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720
Parte II – Disturbi psichiatrici
Tabella 24.4 Diagnosi differenziale di delirium, disturbo neurocognitivo e depressione
Disturbo
neurocognitivo lieve/
maggiore
Depressione
xxx
Delirium
Apparato sensoriale
Consapevolezza
oscillante
Chiaro
Chiaro
Attenzione
Compromissione
notevole
Compromissione
lieve-moderata
Compromissione lieve
Orientamento
Compromissione
notevole
Compromissione
lieve-moderata
Non compromesso
Memoria
Compromissione
globale
Recente > remota
Non compromessa
Umore (resoconto
del paziente)
Timoroso, apprensivo
Solitamente non
interessato
Depresso
Attività psicomotoria
Aumentata o ridotta
Normale
Aumentata o ridotta
Allucinazioni
Visive o tattili
Visive
Uditive, congrue con
il tono dell’umore
Delusioni
Transitorie, non
sistematizzate
Transitorie, non
sistematizzate
Congrue con il tono
dell’umore, spesso
sistematizzate
Idee suicide
Rare
Rare
Frequenti
Sensi di colpa
Assenti
Rari
Frequenti
Sonno
Interrotto
Confusione giorno/
notte
Risveglio precoce
Appetito
Scarso dovuto
a confusione
Normale
Ridotto o aumentato
delirium sono i farmaci anticolinergici, compresa
la difenidramina da banco, spesso assunta come
sonnifero e non considerata un farmaco potenzialmente tossico. I farmaci antidiarroici da banco,
come la loperamide, sono potenzialmente anticolinergici, come i farmaci comunemente prescritti
per la vescica iperattiva, inclusi la tolterodina e
l’ossibutinina. Negli anziani, gli agonisti dopaminergici o gli inibitori della ricaptazione della
dopamina sono cause comuni di delirium, specialmente nelle persone con compromissione cognitiva affette da malattia di Parkinson.
Trattamento
Il trattamento del delirium è indicato in generale
in contesti ospedalieri se la patologia interferisce
significativamente con il sonno o il trattamento
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medico o causa al paziente una paura e un disagio
estremi. Il delirium lieve che non causa la perdita di
sonno non interferisce con il trattamento medico o
che non causa paure o disagio non necessita di trattamento. La gestione ospedaliera del paziente con
delirium è presentata nella Tabella 24.5.
Prevenzione
Esistono molte misure per la prevenzione del delirium. La più importante è la presenza 24 ore su
24 di una o più persone che il paziente conosce e
con cui ha un buon rapporto. Inoltre, l’accompagnatore del paziente funge da intermediario tra il
paziente, i medici e l’equipe ospedaliera favorendo una comunicazione accurata e correggendo
eventuali impressioni errate che possono insorgere da entrambe le parti.
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24 Disturbi neurocognitivi
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Tabella 24.5 Gestione ospedaliera del paziente con delirium
Presumere il delirium da astinenza se i sintomi compaiono 1-3 giorni dopo il ricovero.
Rivedere il consumo di sostanze con il/i familiare/i.
Prendere in considerazione la sindrome neurolettica maligna nei soggetti che assumono farmaci
antipsicotici cronici.
Prendere in considerazione la sindrome serotoninergica in soggetti che assumono inibitori
della ricaptazione della serotonina.
Se possibile, utilizzare la contenzione fisica, che è da preferire a quella meccanica in quanto è meno
pericolosa.
Nel migliore dei casi, coinvolgere un familiare caro al paziente.
Fornire un contatto fisico frequente (tenere la mano del paziente o appoggiare la mano sulla spalla
del paziente).
Assistere il paziente nell’orientamento nel tempo e nello spazio e nel riconoscimento dei membri
dell’équipe.
Posizionare orologi e calendari grandi vicino al paziente.
Assicurarsi che l’équipe medica si presenti a ogni visita.
Tenere la stanza ben illuminata per ridurre al minimo le percezioni errate.
Posizionare il paziente in una stanza con una finestra per favorire l’orientamento giorno/notte.
Favorire la stimolazione.
Se la televisione aiuta il paziente a mantenere un contatto con la realtà, tenerla accesa; se agita il paziente,
spegnerla.
Evitare le benzodiazepine, se non in caso di deliri da astinenza.
Ritornare nell’ambiente domestico il più velocemente possibile.
Preferibilmente utilizzare neurolettici ad alta potenza per via orale o parenterale come farmaci
calmanti.
Evitare di somministrare farmaci antiparkinsoniani a scopo profilattico.
Non somministrare a pazienti ipertiroidei.
Disturbo neurocognitivo
Esistono due categorie di disturbo neurocognitivo nel DSM-5: maggiore o lieve. Il disturbo neurocognitivo maggiore è equivalente alla diagnosi
precoce di demenza secondo il DSM: una compromissione di capacità cognitive multiple sufficiente a interferire con l’autosufficienza, il lavoro o le
relazioni sociali. La diagnosi di disturbo neurocognitivo lieve indica che la persona è in grado di
essere indipendente nonostante la presenza della
compromissione cognitiva. La diagnosi di disturbo neurocognitivo è complicata dalla presenza di
una notevole variabilità interindividuale tra i sog-
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getti. Molti soggetti con deterioramento cognitivo
possono presentare ancora funzioni a un livello
comparabile a quello di una persona media della
stessa età. Pertanto, i medici devono confrontare
le capacità correnti di una persona con le sue capacità precedenti, solitamente affidandosi ai racconti
del paziente o dei suoi familiari e utilizzando semplici scale di valutazione delle attività della vita
quotidiana.
I criteri del DSM-5 per il disturbo neurocognitivo
maggiore e lieve sono presentati, rispettivamente,
nei Box 24.2 e 24.3. Gradi minori di compromissione
cognitiva, specialmente dovuti a farmaci o a disturbi metabolici, sono frequentemente reversibili, ma
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722
Parte II – Disturbi psichiatrici
Box 24.2 DSM-5: Disturbo neurocognitivo maggiore – Criteri diagnostici
A. Evidenza di un significativo declino cognitivo da un precedente livello di prestazioni in uno o più domini cognitivi
(attenzione complessa, funzione esecutiva, apprendimento e memoria, linguaggio, funzione percettivo-motoria o
cognizione sociale) basato su:
1. Preoccupazione dell’individuo, di un informatore attendibile o del clinico che vi è stato un significativo declino delle
funzioni cognitive; e
2. Una significativa compromissione della performance cognitiva, preferibilmente documentata da test neuropsicologici
standardizzati o, in loro assenza, da un’altra valutazione clinica quantificata.
B. I deficit cognitivi interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane (per es., come minimo, necessitano di
assistenza nelle attività strumentali complesse della vita quotidiana, come pagare le bollette o gestire i farmaci).
C. I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente nel contesto di un delirium.
D. I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., disturbo depressivo maggiore, schizofrenia).
Specificare se dovuto a:
Malattia di Alzheimer
Degenerazione frontotemporale
Malattia a corpi di Lewy
Malattia vascolare
Trauma cranico
Uso di sostanze/farmaci
Infezione da HIV
Malattie da prioni
Morbo di Parkinson
Malattia di Huntington
Altra condizione medica
Eziologie molteplici
Senza specificazione
Specificare se:
Senza alterazione comportamentale
Con alterazione comportamentale
Specificare la gravità attuale:
Lieve
Moderata
Grave
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
Box 24.3 DSM-5: Disturbo neurocognitivo lieve – Criteri diagnostici
A. Evidenza di un modesto declino cognitivo da un precedente livello di prestazioni in uno o più domini cognitivi (attenzione
complessa, funzione esecutiva, apprendimento e memoria, linguaggio, funzione percettivo-motoria o cognizione sociale)
basato su:
1. Preoccupazione dell’individuo, di un informatore attendibile o del clinico che vi è stato un lieve declino delle funzioni
cognitive; e
2. Una modesta compromissione della performance cognitiva, preferibilmente documentata da test neuropsicologici
standardizzati o, in loro assenza, da un’altra valutazione clinica quantificata.
B. I deficit cognitivi non interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane (per es., attività strumentali complesse
della vita quotidiana, come pagare le bollette o gestire i farmaci, sono conservate, ma richiedono uno sforzo maggiore,
strategie compensatorie o adattamento).
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24 Disturbi neurocognitivi
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C. I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente nel contesto di un delirium.
D. I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., disturbo depressivo maggiore,
schizofrenia).
Specificare se dovuto a:
Malattia di Alzheimer
Degenerazione frontotemporale
Malattia a corpi di Lewy
Malattia vascolare
Trauma cranico
Uso di sostanze/farmaci
Infezione da HIV
Malattie da prioni
Morbo di Parkinson
Malattia di Huntington
Altra condizione medica
Eziologie molteplici
Senza specificazione
Specificare:
Senza alterazione comportamentale
Con alterazione comportamentale
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
un disturbo neurocognitivo maggiore conclamato
è raramente reversibile. La cause trattabili del disturbo neurocognitivo comprendono neurosifilide,
micosi, tumore, abuso di alcol, ematoma subdurale,
idrocefalo normoteso, malattia di Alzheimer e disturbo neurocognitivo vascolare. I disturbi neurocognitivi reversibili includono depressione, tossicità
da farmaci, disturbi metabolici, carenza di vitamina
B12, malattie correlate all’HIV e ipotiroidismo.
Deterioramento
cognitivo lieve
Il termine comunemente usato deterioramento cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, MCI; Petersen
et al. 1997) è più o meno equivalente a disturbo
neurocognitivo lieve. I soggetti con MCI, come definito da Petersen et al., presentano deficit di memoria, normali capacità di eseguire attività della
vita quotidiana e normale funzionamento cognitivo generale, mostrano evidenza oggettiva di fun-
Hales_cap. 24_PDF STAMPA_709-742.indd 723
zionamento alterato della memoria per l’età e non
soddisfano i criteri per il disturbo neurocognitivo
maggiore ma sono a elevato rischio. Molte persone
con MCI presentano malattia di Alzheimer precoce. Infatti, uno studio postmortem su persone con
MCI con diagnosi posta secondo i criteri di Petersen ha evidenziato che i reperti patologici di tutti i
soggetti interessavano le strutture del lobo temporale mediale suggestive di malattia di Alzheimer
(Petersen et al. 2006). Quelli a rischio più elevato di
conversione in malattia di Alzheimer (per es., disturbo neurocognitivo maggiore dovuto a malattia
di Alzheimer) mostrano una grave compromissione della memoria e compromissione in uno o più
domini cognitivi (Tabert et al. 2006).
La definizione di MCI è stata ampliata per
introdurre le categorie amnesico e non amnesico, secondo cui la prima è caratterizzata da una
probabile progressione in malattia di Alzheimer
(circa il 50% in 5 anni) e la seconda da una probabile progressione in altri disturbi neurocognitivi (Tabella 24.6). Tuttavia, esistono molti casi di
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724
Parte II – Disturbi psichiatrici
Tabella 24.6 Possibili eziologie del deterioramento cognitivo lieve (MCI)
MCI amnesico
MCI non amnesico
Dominio singolo
Dominio singolo
Malattia di Alzheimer
Depressione
Dominio multiplo
Vascolare
Frontotemporale
Dominio multiplo
A corpi di Lewy
Vascolare
Fonte. Adattata, per gentile concessione, da Geda YE, Negash S, Petersen RC: “Mild Cognitive Impairment”,
in The American Psychiatric Publishing Textbook of Alzheimer’s Disease and Other Dementias. Edited by Weiner MF,
Lipton AM. Washington, DC, American Psychiatric Publishing, 2009, pp 173-180. Copyright 2009, American
Psychiatric Publishing.
MCI non progressivo. Il rischio di progressione
da MCI a malattia di Alzheimer aumenta con
l’accumulo di amiloide nel cervello rilevato dalla
PET e con un volume ippocampale basso rilevato
dalla RM (Koivunen et al. 2011).
Diagnosi differenziale
La discussione riguardo le diverse patologie che
causano i disturbi neurocognitivi esula dallo scopo del presente capitolo, ma è disponibile in Weiner e Lipton (2009). Il presente capitolo prende in
considerazione le quattro cause più comuni dei
disturbi neurocognitivi maggiori negli adulti:
malattia di Alzheimer, FTLD, malattia a corpi di
Lewy e malattia cerebrovascolare (Tabella 24.7).
Malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer è una patologia a prevalenza elevata che si verifica più comunemente della forma sporadica. La sua prevalenza aumenta con l’età;
tra i soggetti affetti dalla patologia, si stima che il 4%
ha un’età inferiore ai 65 anni, il 13% ha 65-74 anni, il
44% ha 75-84 anni e il 38% ha un’età pari o superiore
a 85 anni (Hebert et al. 2013). In casi rari, la patologia può essere caratterizzata da ereditarietà dominante e può insorgere intorno ai 20 anni. L’eziologia
più comunemente presunta è l’eccesso nel cervello
della forma dimerica della β-amiloide 42 (Aβ42), un
peptide che deriva dalla proteina precursore dell’a-
Hales_cap. 24_PDF STAMPA_709-742.indd 724
miloide per azione congiunta delle secretasi β e γ
(Rosenberg 2003). Tale eccesso di Aβ42 può essere
dovuto alla sovraproduzione (come accade nella
sindrome di Down) o a una clearance inadeguata
da parte del cervello, definendo quindi la malattia di
Alzheimer una amiloidopatia. I due fattori di rischio
maggiori per la malattia di Alzheimer sono l’età e
il trasporto dell’allele ε4 dell’apolipoproteina E coinvolta nel trasporto del colesterolo (Genin et al. 2011).
L’istopatologia della malattia comprende placche
neuritiche extracellulari con un nucleo amiloide circondato da neuriti distrofici e grovigli intracellulari
che consistono in proteina tau fosforilata. La patologia compare solitamente prima nei lobi temporali
mediali e successivamente coinvolge i lobi parietali
e frontali. A livello clinico, la malattia solitamente si
manifesta alla fine dei 60 anni e agli inizi dei 70 con
compromissione della memoria a breve termine che
può o meno essere notata dal paziente. Solitamente
la malattia è oggetto di attenzione medica quando
compare una compromissione delle funzioni esecutive. È possibile riuscire a gestire le situazioni se l’unico problema cognitivo è rappresentato dalla compromissione della memoria a breve termine (per
es., MCI amnesico), ma non se si sviluppa una compromissione concomitante dell’attenzione e di altre
capacità esecutive. Il decorso della malattia dura
diversi anni, ma è molto variabile, con una sopravvivenza di quasi 20 anni e con un’aspettativa di vita
che dipende dalla qualità delle cure infermieristiche.
Un esordio improvviso può verificarsi in caso di
perdita di un coniuge o può presentarsi sotto forma
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24 Disturbi neurocognitivi
725
Tabella 24.7 Caratteristiche diagnostiche dei disturbi neurocognitivi più comuni negli adulti
xxxx
Malattia
di Alzheimer
Degenerazione
frontotemporale
Malattia a corpi
di Lewy
Malattia
cerebrovascolare
Esordio clinico
Insidioso
Insidioso
Da insidioso
a improvviso
Improvviso
Sintomo iniziale
Compromissione
della memoria
recente
Scarsa capacità
di giudizio o
compromissione
del linguaggio
Allucinazioni
visive ben
formate
Correlato alla
sede dell’ictus
Progressione
Insidiosa
Insidiosa
Oscillante
Graduale
Disturbo
comportamentale
del sonno REM
No
No
Spesso precede
i sintomi
cognitivi
No
Comprensione
profonda
Variabile
Nessuna
Buona
Buona
Test
neuropsichiatrico
Compromissione
corticale
generale
Disfunzione
esecutiva
Compromissione
visuo-spaziale
marcata
Lateralizzato
Referti di
tomografia
computerizzata/
risonanza
magnetica
Atrofia da
normale a
globale e/o
ippocampale
Atrofia
frontotemporale
Atrofia da
normale a
globale e/o
ippocampale
Ictus corticale/i
o lacune
sottocorticali
Referti della
tomografia a
emissione di
positroni
Metabolismo
della corteccia
cingolata
posteriore
e temporoparietale ridotto
Metabolismo
frontotemporale
ridotto
Metabolismo
occipitale
e temporoparietale ridotto
Metabolismo
nell’area dell’/
degli ictus
ridotto
Liquido
cefalorachidiano
Bassi livelli di
β-amiloide 42,
elevati livelli
di proteina tau
e proteina tau
fosforilata
Normale
Normale, a meno
che non sia
coincidente con
la malattia di
Alzheimer
Dipende da
quando si
è verificato
l’ictus
Segni
extrapiramidali
Tardivi
Nella
degenerazione
corticobasale,
nella paralisi
sopranucleare
progressiva,
nella
degenerazione
multisistemica
Tremore a riposo
unilaterale
precoce e
rigidità del
braccio
Correlati alla
sede dell’/
degli ictus
Segni motori/
sensoriali
Nessuno
Nessuno
Tremore a riposo
unilaterale
Correlati alla
sede dell’/
degli ictus
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726
Parte II – Disturbi psichiatrici
di delirium durante un ricovero. In caso di esordio
dopo gli 80 anni di età con progressione molto lenta è possibile che si tratti della variante tangle-only
della malattia di Alzheimer (Yamada 2003). I criteri
diagnostici del DSM-5 per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Alzheimer
probabile o possibile sono presentati nel Box 24.4.
Oltre alla compromissione della memoria recente, ulteriori reperti comuni dell’esame dello stato mentale sono ridotta attenzione, ridotta fluenza
verbale (se una persona con 12 anni di istruzione
nomina meno di 12 animali in 1 minuto), difficoltà
nel reperire le parole, disprassia ideativa (per es.,
quando si chiede “Mi mostri come gira la chiave
in una serratura”), disprassia costruttiva (per es.,
quando si copia un disegno di pentagoni intersecati), difficoltà nel test dell’orologio e deficit del
ragionamento astratto. I sintomi neuropsichiatri-
ci nelle prime fasi della malattia tendono a essere
apatia e depressione; i sintomi psicotici possono
insorgere nella fase intermedia. I sintomi più comuni sono i deliri di furto, ma questi sono raramente sistematizzati. Le allucinazioni visive sono
spesso riferite nella fase intermedia della malattia
di Alzheimer e possono portare alla coesistenza
con la malattia a corpi di Lewy.
L’esame neurologico è inizialmente nella norma
nei pazienti con malattia di Alzheimer. Successivamente, nel corso della malattia, possono comparire
mioclono e segni extrapiramidali lievi, quest’ultimi
dovuti alla malattia di Alzheimer nella sostanza
nera. Le convulsioni possono insorgere nella fase
tardiva della malattia. Solitamente non sono frequenti e rispondono bene ai farmaci antiepilettici.
I risultati della tomografia computerizzata e della
RM del cervello, così come l’elettroencefalogramma,
Box 24.4 DSM-5: Disturbo neurocognitivo maggiore e lieve dovuto a malattia
di Alzheimer – Criteri diagnostici
A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve.
B. C’è esordio insidioso e graduale progressione del danno in uno o più domini cognitivi (per il disturbo neurocognitivo
maggiore, almeno due domini devono essere compromessi).
C. Sono soddisfatti i criteri per la malattia di Alzheimer, sia probabile sia possibile, come segue:
Per il disturbo neurocognitivo maggiore:
Una probabile malattia di Alzheimer è diagnosticata se è presente uno dei seguenti; altrimenti, deve essere
diagnosticata una possibile malattia di Alzheimer.
1. Evidenza di una mutazione genetica causativa della malattia di Alzheimer dall’anamnesi familiare o da test genetici.
2. Sono presenti tutti e tre i seguenti:
a. Chiara evidenza di declino della memoria e dell’apprendimento e di almeno un altro dominio cognitivo
(basato sull’anamnesi dettagliata o su test neuropsicologici seriali).
b. Declino costantemente progressivo e graduale della cognizione, senza plateau estesi.
c. Nessuna evidenza di eziologia mista (cioè assenza di altre malattie neurodegenerative o cerebrovascolari, o
di un’altra malattia neurologica, mentale o sistemica che possa contribuire al declino cognitivo).
Per il disturbo neurocognitivo lieve:
Una probabile malattia di Alzheimer è diagnosticata se vi è evidenza di una mutazione genetica causativa
della malattia di Alzheimer dai test genetici o dall’anamnesi familiare.
Una possibile malattia di Alzheimer è diagnosticata se non vi è evidenza di una mutazione genetica causativa
della malattia di Alzheimer dai test genetici o dall’anamnesi familiare, e tutti e tre i seguenti sono presenti:
1. Chiara evidenza di declino della memoria e dell’apprendimento.
2. Declino costantemente progressivo e graduale della cognizione, senza plateau estesi.
3. Nessuna evidenza di eziologia mista (cioè assenza di altre malattie neurodegenerative o cerebrovascolari, o di
un’altra malattia neurologica, mentale o sistemica che possa contribuire al declino cognitivo).
D. L’alterazione non è meglio spiegata da malattie cerebrovascolari, da un’altra malattia neurodegenerativa, dagli effetti
di una sostanza o da un altro disturbo mentale, neurologico o sistemico.
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
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24 Disturbi neurocognitivi
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nelle prime fasi della malattia sono solitamente nella
norma, sebbene possano essere presenti un ridotto
volume ippocampale e corni temporali ventricolari
lievemente ingrossati. Le scansioni SPECT mostrano
frequentemente un ridotto flusso sanguigno temporo-parietale; le scansioni PET possono evidenziare
un ridotto apporto di fluorodesossiglucosio nelle
medesime regioni. Un basso livello di Aβ42 nel liquido cefalorachidiano e un’elevata quantità di proteina tau fosforilata confermano la malattia. Recentemente, nell’ambito della ricerca, è divenuto possibile
quantificare il deposito amiloide nel cervello con diversi radioligandi, come mostrato nella Figura 24.1.
cleare progressiva, nei quali i primi sintomi sono
rappresentati da alterazione comportamentale e
disturbi del linguaggio (i criteri diagnostici del
DSM-5 per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve associato a FTLD probabile o possibile sono presentati nel Box 24.5). Alcuni soggetti
presentano mutazioni nei geni per la proteina tau
(e quindi il termine taupatie) e la progranulina.
Tra queste malattie, i pazienti che con maggiore
probabilità giungono all’attenzione psichiatrica
sono quelli con sintomi comportamentali predominanti, che presentano quindi la cosiddetta
variante comportamentale della FTLD.
Degenerazione frontotemporale
Variante comportamentale
La FTLD è la causa principale di demenza negli
adulti di età inferiore a 60 anni. Il termine degenerazione frontotemporale si applica a una serie di
stati patologici, inclusi la malattia di Pick, la degenerazione corticobasale e la paralisi sopranu-
La variante comportamentale prototipica della
FTLD è causata dalla malattia di Pick e si presenta
sotto forma di cambiamento della personalità con
compromissione progressiva della capacità di giudizio, declino della condotta sociale, disinibizione,
Box 24.5 DSM-5: Disturbo neurocognitivo frontotemporale maggiore e lieve – Criteri diagnostici
A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve.
B. Il disturbo ha esordio insidioso e progressione graduale.
C. O 1) o 2):
1. Variante relativa al comportamento:
a.Tre o più dei seguenti sintomi comportamentali:
I. Disinibizione comportamentale.
II. Apatia o inerzia.
III. Perdita di simpatia o empatia.
IV. Comportamento perseverante, stereotipato o compulsivo/ritualistico.
V. Iperoralità e cambiamenti nella dieta.
b.Declino prominente nella cognitività sociale e/o nelle abilità esecutive.
2. Variante relativa a linguaggio:
a.Declino prominente nella capacità di linguaggio, in forma di produzione del linguaggio, word finding, denominazione
degli oggetti, grammatica o comprensione delle parole.
D. Relative difficoltà dell’apprendimento e della memoria e della funzione percettivo-motoria.
E. L’alterazione non è meglio spiegata da malattie cerebrovascolari, da un’altra malattia neurodegenerativa, dagli effetti
di una sostanza o da un altro disturbo mentale, neurologico o sistemico.
Un probabile disturbo neurocognitivo frontotemporale è diagnosticato se è presente uno dei seguenti; altrimenti,
deve essere diagnosticato un possibile disturbo neurocognitivo frontotemporale:
1. Evidenza di una mutazione genetica causativa del disturbo neurocognitivo frontotemporale dall’anamnesi familiare o
da test genetici.
2. Evidenza di coinvolgimento del lobo frontale e/o temporale sproporzionato dal neuroimaging.
Un possibile disturbo neurocognitivo frontotemporale viene diagnosticato se non ci sono evidenze di una
mutazione genetica e il neuroimaging non è stato eseguito.
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
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dipendenza dagli stimoli ambientali e consumo
eccessivo di cibi dolci. La compromissione della capacità di giudizio dei pazienti, l’irritabilità, l’impulsività e la totale mancanza di consapevolezza di sé
portano spesso alla diagnosi di disturbo bipolare.
Variante semantica
La diagnosi della variante semantica richiede come
caratteristiche peculiari la difficoltà con il linguaggio, la presenza di compromissione del linguaggio
che ostacola le attività quotidiane e la presenza di
afasia come deficit più importante all’esordio dei
sintomi e per lo stadio iniziale della malattia. La
variante semantica comprende la demenza semantica e l’afasia progressiva non fluente. La demenza
semantica esordisce solitamente con una disfasia
fluente caratterizzata da una difficoltà nel trovare
le parole e comprenderle talmente elevata da far
sospettare che il paziente stia fingendo. Tre sintomi della demenza semantica non sono correlati alla
frequenza dell’uso delle parole. Inoltre, i pazienti
non riusciranno spesso a descrivere o dimostrare
l’uso di oggetti comuni come le chiavi della porta.
L’afasia non fluente progressiva comprende l’afasia espressiva con difficoltà nel trovare le parole,
agrammatismo e parafasia fonemica (per es., “ombello” anziché “ombrello”). Spesso i sintomi funzionali o comportamentali non si verificano fino
a una fase tardiva della malattia. È stata proposta
una terza variante semantica, non riportata nel
DSM-5, definita variante logopenica/fonologica.
È caratterizzata dalla difficoltà a recuperare una
parola in un discorso spontaneo o nella scrittura e
dalla compromissione della ripetizione di frasi.
La presentazione clinica di queste varianti è correlata ai loci della patologia cerebrale. I pazienti con la
varietà semantica presentano un’atrofia temporale
anteriore predominante, i pazienti con la varietà progressiva non fluente mostrano un’atrofia frontoinsulare posteriore sinistra e quelli con la varietà logopenica un’atrofia parietale o perisilviana posteriore
sinistra. Gli studi con SPECT e PET mostrano aree
corrispondenti di ridotto flusso sanguigno e apporto
di glucosio (Gorno-Tempini et al. 2011).
Malattia a corpi di Lewy
I criteri diagnostici del DSM-5 per il disturbo
neurocognitivo maggiore o lieve associato a malattia a corpi di Lewy probabile o possibile sono
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Parte II – Disturbi psichiatrici
presentati nel Box 24.6. I corpi di Lewy hanno
una forma sferica e sono spesso rappresentati da
inclusioni citoplasmatiche con un nucleo circondato da un alone e composte per la maggior parte da alfa-sinucleina, da cui deriva un’altra denominazione della malattia: sinucleinopatia. Fino al
20% delle persone con malattia di Alzheimer clinicamente diagnosticata presenta inoltre numerosi corpi di Lewy corticali (Weiner et al. 1996).
Questi casi sono stati precedentemente definiti
come variante dei corpi di Lewy della malattia di
Alzheimer. La malattia a corpi di Lewy diffusa a
livello corticale senza malattia di Alzheimer concomitante è rara. Spesso non distinguibile dalla
malattia di Alzheimer, la malattia a corpi di Lewy
presenta caratteristiche-chiave che agevolano la
diagnosi. Tra queste vi è l’esordio improvviso di
allucinazioni visive che solitamente scompaiono
e ricompaiono. Sono presenti fluttuazioni marcate nell’apparato sensoriale, con episodi di confusione che durano giorni o settimane, seguiti da
momenti di lucidità per lo stesso periodo di tempo. Un parkinsonismo lieve insorge precocemente. Il disturbo comportamentale del sonno REM
è un disturbo concomitante frequente e spesso
precede i sintomi cognitivi. L’imaging cerebrale
funzionale mostra un ridotto flusso sanguigno o
una ridotta attività metabolica nei lobi occipitali.
Un’ulteriore conferma della malattia a corpi di
Lewy è la presenza di ridotti livelli di trasportatori di dopamina nei gangli della base, come
evidenziato dalla SPECT o dalla PET.
Sembra che non ci siano differenze sostanziali nella longevità dei soggetti con malattia a
corpi di Lewy con o senza malattia di Alzheimer
concomitante. Da un punto di vista clinico, esistono due importanti differenze tra la malattia
a corpi di Lewy e la malattia di Alzheimer: la
responsività dei sintomi psicotici nella malattia
a corpi di Lewy agli inibitori dell’acetilcolinesterasi e la propensione a effetti collaterali extrapiramidali gravi nei pazienti con malattia a
corpi di Lewy trattati con farmaci antipsicotici.
Se i sintomi psicotici non vengono alleviati dagli inibitori della colinesterasi, la quetiapina è
un farmaco di elezione, iniziando con una dose
di 25 mg per via orale due o tre volte al giorno; il dosaggio è limitato dal principale effetto
collaterale della quetiapina, ossia la sedazione.
In generale, i sintomi extrapiramidali della ma-
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24 Disturbi neurocognitivi
729
Box 24.6 DSM-5: Disturbo neurocognitivo maggiore e lieve a corpi di Lewy – Criteri diagnostici
A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve.
B. Il disturbo ha un esordio insidioso e progressione graduale.
C. Il disturbo soddisfa una combinazione di caratteristiche diagnostiche fondamentali e caratteristiche diagnostiche
suggestive per il disturbo neurocognitivo a corpi di Lewy sia probabile sia possibile.
Nel probabile disturbo neurocognitivo maggiore o lieve a corpi di Lewy, l’individuo ha due caratteristiche
fondamentali, o una caratteristica suggestiva con una o più caratteristiche fondamentali.
Nel possibile disturbo neurocognitivo maggiore o lieve a corpi di Lewy, l’individuo ha una sola caratteristica
fondamentale, o una o più caratteristiche più suggestive.
1. Caratteristiche diagnostiche fondamentali:
a. Cognitività fluttuante con variazioni marcate di attenzione e vigilanza.
b.Allucinazioni visive ricorrenti che sono complesse e dettagliate.
c. Caratteristiche spontanee di parkinsonismo, con esordio seguente allo sviluppo di declino cognitivo.
2. Caratteristiche diagnostiche suggestive:
a. Soddisfa i criteri per il disturbo comportamentale del sonno REM.
b.Grave sensibilità ai neurolettici.
D. Il disturbo non è meglio spiegato da malattie cerebrovascolari, da un’altra malattia neurodegenerativa, dagli effetti di
una sostanza o da un altro disturbo mentale, neurologico o sistemico.
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
lattia a corpi di Lewy (tremore a riposo di uno
o entrambi gli arti superiori) non rispondono al
trattamento con farmaci antiparkinsoniani.
Il disturbo amnesico riportato nel DSM-IV
(American Psychiatric Association 1994) è stato
incluso nel DSM-5 nel disturbo neurocognitivo
maggiore o lieve. Il disturbo amnesico confabulatorio noto come sindrome di Korsakoff rientra
nel DSM-5 nel disturbo neurocognitivo maggiore
o lieve associato ad abuso di sostanze e deriva da
un deficit di tiamina, che è tipicamente associato
a malnutrizione accompagnata da abuso di alcol
a lungo termine. Spesso viene preceduto da delirium, oftalmoplegia e atassia dell’encefalopatia
di Wernicke. L’amnesia persistente può derivare
da molti tipi di lesione cerebrale, tra cui i più noti
sono gli effetti delle lesioni bilaterali dell’ippocampo, che compromettono la memoria recente
e impediscono di immagazzinare le informazioni nuove, ma non compromettono la capacità di
recupero delle informazioni memorizzate prima
della lesione (Zola-Morgan et al. 1986).
Gli episodi amnesici transitori che compaiono
con l’assunzione di benzodiazepine a durata di
azione rapida possono confondere la diagnosi
di altri disturbi. L’importanza di considerare i
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disturbi amnesici nella diagnosi differenziale è
dovuta al fatto che essi sono reversibili quando
sono causati dai farmaci e parzialmente reversibili nell’encefalopatia di Wernicke.
Malattia cerebrovascolare
Il disturbo neurocognitivo associato a malattia
vascolare viene diagnosticato quando il paziente
presenta una compromissione cognitiva con evidenza all’imaging, in anamnesi o all’esame clinico di malattia cerebrovascolare che si ritiene sia
responsabile della compromissione cognitiva. La
compromissione della memoria, se presente, è di
tipo non amnesico, con un’iniziale compromissione dell’apprendimento e del ricordo e, spesso, con compromissione della memoria remota.
Possono essere presenti segni neurologici focali
coerenti con ictus (con o senza anamnesi di ictus)
ed evidenza di malattia cerebrovascolare all’imaging cerebrale con infarti multipli nei grossi vasi
o un singolo infarto confinato in un’area (giro
angolare, talamo, prosencefalo basale o territori
comunicanti anteriori o posteriori), nonché stroke lacunari multipli dei gangli della base e lacune
della sostanza bianca, lesioni estese della sostan-
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730
za bianca periventricolare o una combinazione di
essi. I criteri diagnostici del DSM-5 per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve associato a
malattia vascolare probabile o possibile sono presentati nel Box 24.7.
Altri disturbi neurocognitivi
Le altre categorie riportate nel DSM-5 riguardanti i disturbi neurocognitivi comprendono i
disturbi dovuti a lesioni cerebrali traumatiche,
uso di farmaci o sostanze, infezione da HIV, malattia da prioni, morbo di Parkinson, malattia di
Huntington, altre patologie mediche o eziologie
molteplici, nonché disturbi neurocognitivi non
altrimenti specificati (si veda la Tabella 24.1).
Una diagnosi in aumento nei giovani adulti o
negli adulti di mezza età riguarda il disturbo neurocognitivo associato a lesione cerebrale traumatica
(Traumatic Brain Injury, TBI), con sintomi neurocognitivi o neuropsichiatrici a seconda della posizione e della gravità del trauma. I progressi compiuti
nel trattamento delle lesioni craniche hanno portato a un sostanziale aumento della sopravvivenza
Parte II – Disturbi psichiatrici
a TBI in seguito a lesioni aperte o chiuse, con outcome che vanno dalla completa ripresa al disturbo
neurocognitivo maggiore (Bigler 2009).
Una causa comune di disturbo neurocognitivo
lieve è la disfunzione cognitiva postoperatoria,
che solitamente scompare entro 3 mesi dall’intervento chirurgico; tuttavia, molte persone riportano ancora deficit cognitivi dopo 6 mesi (Dijkstra
et al. 1999). Pare che la lunghezza e il tipo di anestesia (per es., locale versus generale) possa essere
meno importante rispetto a fattori quali l’embolizzazione intraoperatoria (Purandare et al. 2011).
Un altro disturbo neurocognitivo maggiore,
la sindrome dello squallore senile, consiste nella
negligenza dell’igiene personale o dell’ambiente
circostante accompagnata da accumulo di oggetti e isolamento sociale (Snowdon et al. 2007). L’abitazione è sporca, disordinata e colma di oggetti
o materiali inutili. Anche l’esterno dell’abitazione è solitamente fatiscente. A volte, molti animali, definiti “animali domestici”, vivono insieme
alla persona e non sono mantenuti in condizioni adeguate. Sono stati compiuti molti tentativi
per comprendere questo fenomeno in termini
di disturbi psichiatrici quali disturbo ossessivocompulsivo di personalità o disturbo ossessivo-
Box 24.7 DSM-5: Disturbo neurocognitivo vascolare maggiore e lieve – Criteri diagnostici
A. Sono soddisfatti i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore o lieve.
B. Le caratteristiche cliniche sono coerenti con un’eziologia vascolare, come suggerito da uno dei seguenti:
1. L’esordio dei deficit cognitivi è temporalmente legato a uno o più eventi cerebrovascolari.
2. L’evidenza di declino è prominente nell’attenzione complessa (tra cui la velocità di elaborazione) e nella funzione
esecutiva frontale.
C. Ci sono evidenze della presenza di malattia cerebrovascolare dall’anamnesi, dall’esame fisico e/o dal neuroimaging
considerate sufficienti a spiegare i deficit neurocognitivi.
D. I sintomi non sono meglio spiegati da un’altra malattia cerebrale o da un disturbo sistemico.
Viene diagnosticato probabile disturbo neurocognitivo vascolare se è presente uno dei seguenti; altrimenti
dovrebbe essere diagnosticato un possibile disturbo neurocognitivo vascolare:
1. I criteri clinici sono supportati da evidenze di neuroimaging di significative lesioni parenchimali attribuite a malattia
cerebrovascolare (supportata dal neuroimaging).
2. La sindrome neurocognitiva è temporalmente correlata a uno o più eventi cerebrovascolari documentati.
3. Sono presenti evidenze di malattia cerebrovascolare sia cliniche sia genetiche (per es., arteriopatia cerebrale autosomica
dominante con infarti sottocorticali e leucoencefalopatia).
Viene diagnosticato possibile disturbo neurocognitivo vascolare se sono soddisfatti i criteri clinici, ma il
neuroimaging non è disponibile e non è stabilita una relazione temporale della sindrome neurocognitiva con uno
o più eventi cerebrovascolari.
AVVISO. I criteri sopra delineati includono solo i criteri diagnostici e gli specificatori; per un elenco completo dei criteri, comprese
le descrizioni degli specificatori e le procedure di codifica e registrazione, si rimanda al DSM-5.
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24 Disturbi neurocognitivi
compulsivo, ma la maggior parte dei soggetti più
anziani con questa serie di comportamenti non
manifestava anomalie in una fase più precoce
della vita. Pare che questi soggetti presentino deficit significativi di origine variabile nel circuito
cerebrale frontale, ma ciò non è stato ancora sufficientemente approfondito in quanto solitamente tali individui si considerano sani e rifiutano di
sottoporsi a visite mediche.
Disturbi complicanti
o confusionali
Nella valutazione di una persona con un disturbo
cognitivo, la depressione deve essere considerata come causa o come fattore aggravante. Molte
persone depresse manifestano compromissione
cognitiva, sebbene la gravità della compromissione non sia correlata alla gravità dei sintomi
depressivi. Spesso i deficit persistenti delle funzioni cognitive seguono la remissione dei sintomi
depressivi (Nebes et al. 2003), compresi i deficit
della memoria di lavoro, della velocità di elaborazione delle informazioni, della memoria episodica e dell’attenzione. I sintomi possono inoltre
indicare soltanto una parziale risoluzione degli
episodi depressivi e possono richiedere un trattamento antidepressivo più aggressivo. La risposta
di entrambi i sintomi cognitivi e depressivi al trattamento non stabilisce chiaramente la depressione
come unica diagnosi dei pazienti; molti adulti più
anziani potrebbero sviluppare una patologia dementigena (Alexopoulos et al. 1993).
Il livello e la frequenza della comorbilità depressiva nella malattia di Alzheimer sono oggetto di
controversie, in parte dovute alla somiglianza dei
sintomi delle due patologie. Tuttavia, esiste una
prevalenza del 20% circa di depressione maggiore
nei primi 2 anni dopo un ictus (Robinson 2003) e
spesso la depressione è frequente anche nel morbo
di Parkinson e nella malattia di Huntington.
La compromissione cognitiva della depressione presenta le seguenti caratteristiche che la
distinguono dalla compromissione cognitiva dovuta a un disturbo cerebrale metabolico o degenerativo (si veda anche la Tabella 24.4):
1. Esordio dei sintomi depressivi prima della
compromissione cognitiva
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2. Esordio improvviso, piuttosto recente (settimane o mesi) e spesso individuabile della
compromissione cognitiva in termini sia di
tempo sia di eventi della vita importanti dal
punto di vista emotivo (perdita del lavoro o
del coniuge)
3. Incapacità a pensare, concentrarsi e ricordare
4. Segni e sintomi della depressione
5. Test cognitivo oggettivo, da cui emerge che il
deficit del paziente è meno grave di quanto
riferito, con miglioramento delle prestazioni
mediante incoraggiamento, suggerimenti e
rinforzo
6. Risposte come “Non lo so”, anziché omissioni,
confabulare o ripetere (in modo perseverante)
le risposte
7. Elettroencefalogrammi nella norma
8. Assenza di patologie che possano compro-
mettere le funzioni cerebrali.
Solitamente i risultati della TC e della RM non
sono utili per distinguere la depressione da un
disturbo neurocognitivo senza segni neurologici,
ma le tecniche funzionali come la PET e la SPECT
sono utili quando sono presenti segni caratteristici di un disturbo come la malattia di Alzheimer
o di Pick. I test neuropsicologici possono contribuire a distinguere i disturbi neurocognitivi da
quelli dell’umore e a individuare un disturbo
neurocognitivo o dell’umore in comorbilità, oltre
a caratterizzare o quantificare i deficit cognitivi
quali le funzioni mnesiche ed esecutive.
Le condizioni mediche generali possono esacerbare alcuni tratti preesistenti della personalità
o causare un cambiamento della personalità. Esistono diversi quadri, ma sono frequenti instabilità
emotiva, scatti ricorrenti di violenza e rabbia, capacità di giudizio sociale alterata, apatia, sospettosità e ideazione paranoide. Encefalite, tumori
cerebrali, trauma cranico, sclerosi multipla, malattie frontotemporali degenerative e ictus sono
cause comuni dei cambiamenti di personalità, che
possono verificarsi anche come fenomeni interictali nell’epilessia del lobo temporale. I soggetti con
sindrome di Down di età superiore a 35 anni presentano la caratteristica microscopica della malattia di Alzheimer, ma non tutti sviluppano demenza (Oliver et al. 1998). In questa popolazione,
come in tutte le altre, è importante cercare le cause
rimediabili del declino funzionale.
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Discorso e linguaggio
Il discorso e il linguaggio sono influenzati da
molti disturbi neurocognitivi. Il discorso tende a
essere lento nella patologia dei gangli della base,
nel morbo di Parkinson e nella malattia cerebrovascolare; è caratterizzato da disartria nella paralisi sopranucleare progressiva, mentre nella sclerosi multipla e dopo un ictus presenta difficoltà
di articolazione. I disturbi del linguaggio (afasie)
spesso derivano da un danno cerebrale regionale
e sono spesso confusi con i disturbi neurocognitivi più generalizzati. I pazienti con afasia hanno avuto solitamente un insulto cerebrale, il più
delle volte ictus o trauma cerebrale. Solitamente
sono presenti deficit neurologici, quali emiparesi
(specialmente nell’afasia di Broca), iperreflessia
unilaterale e difetti del campo visivo. In generale, l’anomia che progredisce in afasia suggerisce
la presenza di una patologia neurodegenerativa;
l’afasia che nel tempo progredisce in anomia è
dovuta solitamente a una lesione cerebrale acuta.
La categorizzazione delle afasie si basa sulle
funzioni del linguaggio compromesse. L’afasia
globale compromette tutte le funzioni del linguaggio e si manifesta in caso di ictus nell’emisfero
cerebrale sinistro. L’afasia anomica, al contrario,
interessa principalmente la capacità di reperire le
parole, può essere correlata a lesioni della parte
superiore del giro temporale mediale posteriore
sinistro o del giro angolare sinistro ed è comune nella malattia di Alzheimer. L’afasia di Broca
(anteriore, non fluente) compromette la fluenza
verbale, la ripetizione e la capacità di nominare
gli oggetti e le parole ed è causata da lesioni della
parte inferiore posteriore del lobo frontale sinistro
(o dominante). Nell’afasia di Broca, l’eloquio richiede molti sforzi ed è caratterizzato da agrammatismo, con omissione di parole funzione quali
articoli, preposizioni e congiunzioni. Ad esempio,
una persona che vuole andare in un determinato
posto, come un ristorante, potrebbe dire “Voglio...
andare... hai capito... mangiare...”, con un grande
sforzo e un enorme sollievo dopo essere riuscita
a esprimersi. Solitamente questi pazienti comprendono quello che viene detto loro e riescono a
obbedire agli ordini, ma fanno fatica a ripetere, a
leggere ad alta voce e a scrivere. Sebbene abbiano
delle difficoltà nel denominare gli oggetti, trovano
un aiuto nei suggerimenti.
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Parte II – Disturbi psichiatrici
I pazienti con afasia di Wernicke (posteriore,
fluente) hanno un eloquio fluente (linguaggio
scorrevole), parafasico e neologistico, ma scarse
capacità di comprensione, ripetizione e denominazione. La difficoltà di denominazione non è
solitamente agevolata dando dei suggerimenti al
paziente. Anche la lettura e la scrittura sono compromesse. Il paziente tende a comunicare poche
informazioni e l’eloquio consiste in parole e frasi
non definite. L’approssimazione delle parole (parafasie) può basarsi su suoni simili, quali “cavolo”
per “tavolo”, o su significati simili, come “bicchiere” per “bottiglia”. Il danno cerebrale in questa sindrome riguarda la parte superiore posteriore del
primo giro temporale dell’emisfero dominante.
Caratterizzazione
molecolare dei disturbi
neurocognitivi
I disturbi neurocognitivi possono essere classificati sulla base della relativa patologia molecolare,
per cui la malattia di Alzheimer è classificata come
amiloidopatia, la malattia di Pick come paralisi sopranucleare progressiva, la degenerazione corticobasale come anomalie della proteina tau (taupatie),
la demenza come malattia a corpi di Lewy, il morbo
di Parkinson e l’atrofia multisistemica come anomalie della sinucleina (sinucleinopatie). Di recente
molti casi di demenza frontotemporale sono stati
identificati come patologie legate alla progranulina, causate da mutazioni a livello del gene della
progranulina (Ward e Miller 2011). Tutte queste caratterizzazioni molecolari hanno un’utilità limitata,
in quanto molte di queste patologie presentano delle anomalie di diverse proteine e alcune proteine
sono interessate in più di una patologia. Ad esempio, la malattia di Alzheimer è sia un’amiloidopatia
sia una taupatia.
Screening per la
compromissione cognitiva
Il Mini-Mental State Examination (MMSE; Folstein et al. 1975), l’esame più diffuso per la valutazione della compromissione cognitiva, ri-
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24 Disturbi neurocognitivi
chiede 10-15 minuti. Il punteggio massimo, che
indica una performance perfetta, è pari a 30
punti. Il MMSE può essere alterato dal grado
di intelligenza e di istruzione in premorbilità. I
suoi ideatori indicano che un punteggio pari o
inferiore a 23 punti ottenuto da una persona con
un’istruzione di scuola superiore è suggestivo di
un disturbo neurocognitivo maggiore, mentre il
punteggio soglia è pari o inferiore a 18 punti per
una persona con un’istruzione di scuola media
o inferiore. Crum et al. (1993) hanno pubblicato
una tabella in cui vengono suggeriti dei valori
normali in base all’età e all’istruzione. Il MMSE
è protetto da copyright e deve essere ordinato
presso il Psychological Assessment Resources
(www4.parinc.com).
Il test dell’orologio è un semplice esame per
individuare le disfunzioni esecutive, in quanto
coinvolge la pianificazione, il sequenziamento e
il ragionamento astratto (Nolan e Mohs 1994). Al
soggetto viene presentato un foglio bianco e gli viene chiesto di disegnare il quadrante di un orologio
all’interno del quale deve scrivere i numeri nella
posizione corretta. Dopo aver disegnato un cerchio
e aver scritto i numeri, il soggetto deve disegnare
le lancette che segnano le otto e venti minuti. Viene
assegnato 1 punto se il soggetto disegna un cerchio
chiuso, 1 punto se dispone correttamente i numeri, 1 punto se scrive tutti i numeri correttamente, 1
punto se dispone le lancette nella posizione corretta. Un punteggio complessivo inferiore a 4 fa sospettare una compromissione esecutiva.
Il Montreal Cognitive Assessment (Nasreddine et al. 2005) è stato sviluppato per individuare
una compromissione cognitiva lieve (per es., disturbo neurocognitivo lieve). Il tempo di somministrazione è di circa 15 minuti. Valuta le funzioni esecutive oltre ad altri domini cognitivi. Il
punteggio va da 0 a 30 punti (con un cutoff suggerito <27 punti per l’individuazione del disturbo neurocognitivo lieve). Le regole basate sulla
popolazione e sviluppate per questo strumento
suggeriscono che un cutoff più appropriato negli Stati Uniti è di 23 punti (Rossetti et al. 2011).
Il test è disponibile gratuitamente all’indirizzo
www.mocatest.org.
Il metodo di valutazione dei sintomi psichiatrici più comunemente usato nelle persone con
disturbo neurocognitivo maggiore è il Neuropsychiatric Inventory (Cummings et al. 1994),
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un esame breve che viene somministrato a una
persona che conosce bene il paziente. È possibile trovare altre scale per la quantificazione degli
aspetti non cognitivi della demenza in Burns et
al. (2004).
Trattamento farmacologico
dei disturbi neurocognitivi
Il trattamento della malattia di Alzheimer con
selegilina, estrogeni, prednisone, farmaci antinfiammatori non steroidei, statine, rosiglitazone,
agenti chelanti e con le sostanze naturali uperzina e Ginkgo biloba non è stato efficace nel rallentare il deterioramento cognitivo. I trattamenti
della patologia amiloidotica si sono rivelati efficaci in modelli di topo con malattia di Alzheimer,
ma si sono dimostrati troppo tossici o inefficaci
negli esseri umani; questi trattamenti comprendono l’immunizzazione attiva e passiva da Aβ42
(il prodotto tossico di un’elaborazione anomala
della proteina precursore dell’amiloide) e gli inibitori della secretasi γ, l’enzima corresponsabile
della secretasi β per un anomalo assemblaggio
della proteina precursore dell’amiloide.
Queste e altre strategie sono attualmente in
fase di studio, incluso l’uso degli antiossidanti
naturali curcumina e resveratrolo e dell’insulina
intranasale. Diversi trattamenti diretti alla proteina tau sono ora in fase di studio.
Una serie di trattamenti con farmaci palliativi/
sintomatici è utilizzata per potenziare la cognizione nei disturbi neurocognitivi. Comprendono
gli inibitori della colinesterasi, gli antagonisti del
recettore N-metil-d-aspartato (NMDA), la vitamina E, gli inibitori della ricaptazione della serotonina e gli stimolanti. Vi sono poche evidenze
sugli effetti benefici del trattamento farmacologico sulla cognizione in seguito a TBI.
Inibitori della colinesterasi
Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi sono stati
impiegati con discreto successo in pazienti con
malattia di Alzheimer, malattia a corpi di Lewy
e compromissione cognitiva associata a malattia
vascolare. I risultati del trattamento di TBI non
sono chiari. I pazienti con malattia di Alzheimer presentano un input colinergico deficitario
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Parte II – Disturbi psichiatrici
alla neocorteccia; i soggetti con malattia a corpi
di Lewy presentano deficit colinergici persino
maggiori. I soggetti con demenza vascolare presentano spesso una componente della malattia
di Alzheimer. Gli inibitori della colinesterasi
hanno effetti modesti sulla cognizione in questi
disturbi, ma possono ridurre o eliminare le allucinazioni visive nella malattia a corpi di Lewy.
Solitamente i pazienti e i caregiver riportano un
aumento dell’attenzione e della comprensione.
Le classi farmacologiche che migliorano la performance cognitiva in soggetti sani generalmente
migliorano la prestazione cognitiva di base ma
non sono in grado di rallentare il progredire della malattia. Tutti gli inibitori della colinesterasi
sono disponibili in dosi singole giornaliere. Il donepezil e la galantamina sono somministrati per
via orale; la rivastigmina viene utilizzata solitamente con cerotto transdermico. Sia il donepezil
sia la rivastigmina sono disponibili in commercio
in preparati a elevato dosaggio per la malattia
di Alzheimer da moderata a grave. Il dosaggio
viene illustrato nella Tabella 24.8. Gli effetti collaterali di questi farmaci sono correlati alla dose
e comprendono nausea, vomito, diarrea, crampi
muscolari (dovuti agli effetti nicotinici), ipotensione posturale e sincope dovuta a bradicardia.
Una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 50
bpm e una patologia broncopolmonare grave
sono controindicazioni relative, ma la decisione
di sottoporre il paziente al trattamento dovrebbe
essere presa caso per caso. Molti atleti con una
frequenza cardiaca a riposo intorno ai 40 bpm
tollerano bene gli inibitori della colinesterasi.
Antagonisti del recettore
N-metil-d-aspartato
In teoria, la memantina blocca l’azione dei recettori per il glutammato di tipo NMDA, migliorando
la trasmissione sinaptica e/o prevenendo il rilascio di calcio che può fornire neuroprotezione. La
memantina è ben assorbita e ha un’emivita pari
o superiore a 70 ore, ma viene somministrata due
volte al giorno, secondo lo schema di dosaggio utilizzato negli studi che hanno valutato la sua efficacia. La memantina è stata approvata dalla Food
and Drug Administration statunitense (FDA) per
la malattia di Alzheimer da moderata a grave. Il
dosaggio inizia con 5 mg una volta al giorno ed è
titolato fino a 5 mg una volta alla settimana, per
arrivare al dosaggio finale di 10 mg due volte al
giorno. Possono manifestarsi confusione transitoria e sedazione durante la fase di titolazione, ma la
memantina ha mostrato in generale pochi effetti
avversi. Sebbene sia ampiamente usata in pazienti
con malattia di Alzheimer precoce, non esistono
dati di efficacia convincenti.
Terapia di combinazione con inibitori
della colinesterasi e memantina
Gli inibitori della colinesterasi e la memantina
hanno diversi meccanismi di azione; pertanto,
la terapia di combinazione potrebbe, teoricamente, determinare ulteriori benefici (Tariot et
al. 2004). Questa combinazione è divenuta il
trattamento di elezione nella pratica clinica per i
pazienti con malattia di Alzheimer da moderata
Tabella 24.8 Dosaggi degli inibitori della colinesterasi comunemente usati
Nome generico
Dosaggio iniziale
Dosaggio finale
Istruzioni
Donepezil
5 mg
10-23a mg
Ogni mattina
Rivastigmina
4,6 mg
9,5-13,3 mg
Ogni mattina
Galantamina
8 mg
24 mg
Ogni mattina con un
pasto
b
Nota. Gli aumenti del dosaggio vengono eseguiti a intervalli di 4 settimane.
a
Utilizzare soltanto se il paziente tollera donepezil 10 mg/die o equivalente.
b
Utilizzare soltanto se il paziente tollera rivastigmina 9,5 mg/die o equivalente.
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24 Disturbi neurocognitivi
a grave; tuttavia, evidenze recenti suggeriscono
che l’aggiunta di memantina a un inibitore della colinesterasi non migliora significativamente
l’efficacia terapeutica (Howard et al. 2012).
Vitamina E
I dosaggi di vitamina E di 2.000 UI una volta al
giorno sono associati a un rallentamento limitato, ma significativo della progressione funzionale
della malattia di Alzheimer, ma non si verifica alcun miglioramento delle funzioni cognitive. Questo trattamento, un tempo ampiamente utilizzato,
è ora meno frequente a causa di un aumento degli
eventi cardiovascolari associato all’assunzione di
vitamina E a dosaggio elevato. A tale dosaggio, un
effetto collaterale comune è la comparsa di emorragie, che sono meno frequenti a un dosaggio di
800-1.000 UI una volta al giorno.
Trattamento di disturbi
mentali sovrapposti
I soggetti con disturbi neurocognitivi possono
sviluppare delirium, psicosi paranoide o depressione, che possono essere trattati con le stesse
modalità impiegate nelle persone senza demenza. Ad esempio, la terapia elettroconvulsiva può
essere utilizzata per trattare la depressione grave. Come previsto, gli effetti collaterali a livello
cognitivo di tale terapia sono più gravi nelle persone con demenza che nelle persone senza compromissione cognitiva, ma tali effetti non rappresentano una controindicazione assoluta.
Trattamento dei sintomi
comportamentali ed emotivi
dei disturbi neurocognitivi
Una parte importante del trattamento comporta la gestione dei sintomi comportamentali ed
emotivi dei disturbi neurocognitivi, inclusi psicosi, depressione, apatia, aggressività e violenza
e comportamenti sessuali inappropriati. In teoria,
i sintomi comportamentali vengono affrontati
inizialmente modificando il comportamento del
caregiver o riducendo gli stimoli ambientali. Ad
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esempio, è possibile istruire i caregiver a integrare la memoria dei pazienti, anziché continuare a
chiedere loro di ricordare. Si può insegnare loro
come porre più volte la stessa domanda anziché
dire “Te l’ho già detto”. Possono evitare le reazioni violente aiutando i pazienti nelle attività
che li spaventano, come fare la doccia o il bagno,
anziché costringerli a farle. Il livello di rumore o
di stimoli interpersonali nell’ambiente può essere
ridotto. I caregiver possono affrontare l’apatia attraverso alcune attività. I familiari possono imparare come comportarsi dai gruppi di supporto per
la demenza, dalle numerose pubblicazioni e dalle
innumerevoli informazioni disponibili su Internet
fornite, ad esempio, dall’Associazione Malattia di
Alzheimer, dall’Associazione Malattia a corpi di
Lewy, dall’Associazione Degenerazione frontotemporale e dall’Associazione americana Lesioni
cerebrali. Tuttavia, spesso, anziché sovraccaricare
i caregiver di troppe responsabilità, il trattamento
farmacologico è il trattamento di elezione.
Nessun trattamento farmacologico ha ricevuto
l’approvazione della FDA per i sintomi comportamentali ed emotivi (a eccezione della depressione
grave e disturbi maniacali) che possono insorgere
durante il corso di un disturbo neurocognitivo. I
trattamenti farmacologici utilizzati comprendono
farmaci antipsicotici, inibitori della ricaptazione
della serotonina, farmaci antimaniacali, benzodiazepine, inibitori della colinesterasi, anticonvulsivanti, stimolanti (per il trattamento della terapia),
bloccanti dei recettori β-adrenergici in caso di
violenze fisiche gravi, e antagonisti del testosterone in caso di aggressività e disinibizione sessuale negli uomini. I dosaggi dei farmaci presentati
nel presente capitolo sono adeguati per i pazienti
anziani. Poiché in teoria tutti i farmaci impiegati
per il trattamento delle alterazioni comportamentali nei soggetti con disturbi neurocognitivi sono
somministrati off-label, le linee guida generali per
gli adulti più giovani raccomandano di aumentare il dosaggio fino a quando il comportamento
non è sotto controllo o fino alla comparsa di effetti
collaterali indesiderati. Si veda il Capitolo 27 del
presente volume, “Psicofarmacologia”, per consultare i dosaggi raccomandati dei farmaci psicotropi per gli adulti.
L’approccio psicofarmacologico generalmente adottato è quello di Tariot (1999): impiegare
un farmaco di efficacia nota per il complesso di
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sintomi che più assomiglia ai sintomi del paziente. Impiegare bassi dosaggi e aumentarli
gradualmente valutando sia i sintomi target sia
la tossicità. Se un farmaco psicotropo è utile, tentare di interromperne l’assunzione nel momento
appropriato e controllare che non si verifichino
recidive. Potrebbe essere necessario provare diversi farmaci, consecutivamente o contemporaneamente; talvolta, non vi sono farmaci utili.
Farmaci antipsicotici
Secondo l’approccio di Tariot (1999), gli antipsicotici dovrebbero essere il farmaco di elezione per il
trattamento dell’agitazione con caratteristiche psicotiche. Tuttavia, gli effetti terapeutici sono spesso
limitati e discordanti. I potenziali effetti collaterali (acatisia, parkinsonismo, discinesia tardiva,
sedazione, sindrome neurolettica maligna, effetti
anticolinergici periferici e centrali, ipotensione
posturale, difetti di conduzione cardiaca e cadute) devono essere ponderati rispetto ai potenziali
benefici. Non esiste una differenza significativa
dell’efficacia tra i farmaci antipsicotici tipici e atipici, i quali mostrano poche differenze, a eccezione del profilo degli effetti collaterali. È importante
notare che le avvertenze della FDA riguardano
l’aumento degli eventi avversi cerebrovascolari e
l’aumento della mortalità con gli antipsicotici tipici e atipici in pazienti anziani con demenza (U.S.
Food and Drug Administration 2011). In generale,
analizzando gli studi controllati con placebo, si
evidenzia un raddoppiamento degli eventi avversi cerebrovascolari con i farmaci antipsicotici negli
adulti più anziani, ma con una frequenza inferiore
al 5% (Schneider et al. 2005).
Antipsicotici tipici
Il farmaco antipsicotico tipico più utilizzato per i
sintomi psichiatrici dei disturbi neurocognitivi è
l’aloperidolo, solitamente in dosaggi che vanno
da 0,5 mg una volta al giorno a 1 mg due volte al
giorno per via orale. In casi di agitazione grave,
l’aloperidolo può essere somministrato in via parenterale, da solo o in combinazione con 1-2 mg
di lorazepam. La tossicità consiste principalmente in distonie e sintomi extrapiramidali. Dosaggi
più elevati di aloperidolo portano vantaggi terapeutici limitati e gli effetti extrapiramidali diventano molto più frequenti. L’uso concomitante di
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Parte II – Disturbi psichiatrici
difenidramina a scopo profilattico o benztropina
mesilato non è raccomandato a causa della potenziale tossicità anticolingergica.
Antipsicotici atipici
Considerata la tossicità notevole di molti farmaci tipici, ci si auspicava che i farmaci antipsicotici
atipici fossero particolarmente efficaci nei pazienti
con disturbi neurocognitivi. A causa degli effetti
collaterali dei farmaci, tuttavia, è necessario valutare con attenzione i farmaci caso per caso.
Clozapina. Diversi casi che hanno visto l’impiego di clozapina in pazienti con disturbi neurocognitivi (Tariot 1999) suggeriscono un dosaggio
iniziale di circa 12,5 mg una volta al giorno, con
dosaggi di mantenimento di 12,5-50 mg una volta
al giorno. Tuttavia, considerati il profilo degli effetti collaterali di questo farmaco e la necessità di
monitorare i pazienti per un’eventuale agranulocitosi, si sconsiglia fortemente il suo impiego.
È prevista un’eccezione per la psicosi in pazienti
con malattia di Parkinson che non hanno risposto
ad altri farmaci (Parkinson Study Group 1999).
Risperidone. Il risperidone è stato studiato in
modo più ampio rispetto ad altri antipsicotici
per il trattamento dei sintomi psichiatrici dei disturbi neurocognitivi. Negli anziani, è impiegato
in dosaggi di 0,5-2 mg per via orale una volta al
giorno e in dosaggi elevati di 2,5-5 mg per via
intramuscolare; dosaggi più elevati portano vantaggi terapeutici limitati e causano una maggiore
incidenza di effetti extrapiramidali e sedazione.
In generale, l’efficacia del risperidone sembra essere equivalente a quella dell’aloperidolo.
Olanzapina. L’olanzapina è stata impiegata per
via orale e parenterale per il trattamento dell’agitazione in pazienti con disturbi neurocognitivi
in dosaggi di 2,5-10 mg per via orale una volta al
giorno e di 2,5-5 mg per via intramuscolare. È disponibile inoltre in compresse orodispersibili. La
sedazione e l’instabilità posturale sono effetti collaterali frequenti, così come un aumento significativo del peso e della glicemia, ma i sintomi extrapiramidali sono rari. L’olanzapina ha pressoché la
stessa efficacia del risperidone nel trattamento dei
comportamenti disturbati o disturbanti in soggetti
con disturbi neurocognitivi (Fontaine et al. 2003).
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Quetiapina. La quetiapina è ampiamente utilizzata per le proprietà sedative e nel morbo di
Parkinson con psicosi per la mancanza relativa
di effetti extrapiramidali. Il dosaggio va da 25 a
200 mg per la sedazione notturna. A causa della
breve durata di azione della quetiapina, si raccomanda la somministrazione bigiornaliera del
farmaco per l’alterazione comportamentale.
Altri antipsicotici atipici. Le informazioni sullo
ziprasidone sono insufficienti per valutarne l’efficacia nei soggetti con disturbi neurocognitivi.
Uno studio controllato con placebo su aripiprazolo che ha coinvolto i pazienti di case di riposo
ha mostrato effetti modesti sulla psicosi a un dosaggio di 10 mg una volta al giorno (Mintzer et
al. 2007). Paliperidone, lurasidone, iloperidone e
asenapina non sono stati studiati in modo adeguato nei soggetti con disturbi neurocognitivi.
Farmaci della ricaptazione
della serotonina
I farmaci della ricaptazione della serotonina possono ridurre l’irritabilità nelle persone depresse
e non depresse con trauma cranico e altri disturbi neurocognitivi (Siddique et al. 2009). Possono
inoltre migliorare le funzioni fornendo una lieve
stimolazione e aumentando l’attenzione.
Stimolanti
Non sono stati effettuati studi clinici controllati
sugli stimolanti in soggetti con disturbi neurocognitivi. Sebbene il metilfenidato possa essere utile
per ridurre l’apatia e la depressione nella malattia
di Alzheimer (Padala et al. 2010), non sono stati
svolti studi controllati sugli agenti psicotropi nelle sindromi di apatia (Berman et al. 2012). Il potenziale aumento della pressione arteriosa e della
frequenza cardiaca, nonché la possibile comparsa
di irritabilità, agitazione e psicosi causati dagli
stimolanti richiedono un’attenta valutazione del
loro impiego nei pazienti.
Anticonvulsivanti/stabilizzatori
dell’umore
Vi sono evidenze relative all’uso di acido valproico per la riduzione dell’aggressività in giovani adulti e adulti di mezza età con lesione
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cerebrale, ma non in adulti più anziani. Il farmaco viene somministrato generalmente una o
due volte al giorno e il suo dosaggio viene aumentato partendo da una dose iniziale di 250
mg/die. L’impiego della carbamazepina non è
raccomandato a causa del potenziale rischio di
agranulocitosi. Il litio è relativamente controindicato negli adulti più anziani a causa della frequenza di tremore, ma è stato utilizzato con successo in adulti più giovani con lesione cerebrale.
Non esiste alcun livello ematico terapeutico per
questi farmaci nel trattamento dell’aggressività.
Solitamente i pazienti vengono trattati con dosaggi crescenti fino a quando il comportamento
non è sotto controllo o finché i pazienti non diventano sonnolenti o atassici.
Bloccanti β-adrenergici
Il propranololo, un bloccante β-adrenergico, è
stato utilizzato per controllare la violenza nei
pazienti con disturbi neurocognitivi a dosaggi
di 30-500 mg/die (Yudofsky et al. 1981). Tuttavia, l’impiego di bloccanti β-adrenergici è stato
ampiamente sostituito dall’impiego di farmaci
antipsicotici.
Bloccanti α-adrenergici
La prazosina, un bloccante α-adrenergico utilizzato per il trattamento dell’uropatia ostruttiva, ha
un’efficacia relativa nel trattamento dell’agitazione nei pazienti con malattia di Alzheimer (Wang
et al. 2009), ma non è ampiamente utilizzata a causa dell’ipotensione posturale e dell’interazione
con altri farmaci della stessa classe che sono largamente utilizzati, soprattutto negli anziani.
Ipnotici
Sebbene i farmaci ipnotici possano essere somministrati al paziente, essi sono generalmente prescritti affinché i caregiver possano riposarsi adeguatamente. Gli ipnotici convenzionali sono in
genere evitati a causa della loro tendenza a sedare
eccessivamente il paziente e a causare atassia. I
farmaci ipnotici più comunemente impiegati sono
il trazodone, 25-200 mg di notte; la mirtazapina,
15-30 mg di notte; e la quetiapina, 25-200 mg di
notte. Spesso il disturbo comportamentale del
sonno REM che accompagna la malattia a corpi di
Lewy risponde al trattamento anticolinesterasico.
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Antiandrogeni
Gli antiandrogeni sono impiegati per trattare
comportamenti sessuali inappropriati o approcci sessuali indesiderati da parte di persone con
compromissione cognitiva (Guay 2008). Il medrossiprogesterone antiandrogeno è efficace nel
ridurre gli impulsi sessuali e gli atti aggressivi
sessuali sia negli uomini senza compromissione
cognitiva, sia negli uomini con lesione cerebrale. Con il dosaggio giornaliero o settimanale, gli
effetti collaterali sono minimi. Il farmaco può
essere somministrato oralmente a un dosaggio
di 5 mg una volta al giorno o per via intramuscolare a un dosaggio di 150-200 mg ogni due
settimane (Weiner et al. 1991). Altri farmaci utilizzati con successo sono gli inibitori selettivi
della ricaptazione della serotonina, la leuprolide
antagonista dell’ormone di rilascio dell’ormone
luteinizzante e gli estrogeni transdermici a dosi
di 0,05, 0,1 o 0,625 mg. Tuttavia, la terapia con
estrogeni è caratterizzata dal rischio di trombosi
venosa profonda. Non sono state riportate farmacoterapie di successo per donne ipersessuali
con lesione cerebrale.
Prevenzione
La causa maggiormente prevenibile dei disturbi
neurocognitivi nei giovani adulti è la TBI. L’impiego di caschi per la bicicletta e i motocicli,
nonché l’utilizzo di elmetti da parte di personale
esposto a lesioni da esplosione, riduce significativamente la mortalità e la morbilità dovute a
traumi cranici. Inoltre, è opportuno prestare attenzione ai traumi cranici nello sport (Khurana
e Kaye 2012).
Sono disponibili pochi dati convincenti relativi alla prevenzione primaria della malattia di Alzheimer. Un livello di istruzione pari
o superiore a 6 anni ha un determinato effetto
protettivo, così come la prevenzione del trauma
cranico. Vi sono poche evidenze a sostegno del
fatto che gli esercizi cognitivi abbiano un effetto
preventivo, ma pare che l’esercizio fisico moderato e il controllo dei fattori che possono portare a malattia vascolare in comorbilità possano
garantire dei benefici. L’esercizio fisico aumenta
i livelli ematici del fattore neurotrofico derivante dal cervello ed è associato all’aumento del
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Parte II – Disturbi psichiatrici
volume ippocampale e al miglioramento della
memoria spaziale (Erickson et al. 2011; rivisto in
Ratey e Loehr 2011). Sebbene alcune evidenze
suggeriscano che l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei per un periodo di 2-3
anni possa avere un effetto preventivo, ciò deve
essere ponderato rispetto alle possibili complicanze di tali farmaci.
Non esistono informazioni relative alla prevenzione della malattia a corpi di Lewy, ma
l’acido idrossamico suberoilanilide, un agente
chemioterapico che promuove l’espressione
della progranulina, è in fase di studio come
possibile trattamento preventivo della FTLD
caratterizzata da deficit della progranulina (Cenik et al. 2011).
La prevenzione primaria del disturbo neurocognitivo dovuto a malattia vascolare prevede
un approccio generale per la prevenzione della malattia cardiovascolare, tra cui la gestione
dei livelli di colesterolo, la gestione del peso, un
buon controllo del diabete e dell’ipertensione,
l’eliminazione del fumo e l’esercizio fisico moderato. La trombolisi si è dimostrata efficace
nel trattamento acuto dell’ictus. La prevenzione
secondaria è disponibile sotto forma di anticoagulanti, quali farmaci anticoagulanti e farmaci
anticoagulanti/antinfiammatori come l’acido
acetilsalicilico.
Questioni legali ed etiche
Nell’ambito dell’assistenza clinica dei soggetti con compromissione cognitiva abbondano
le questioni legali ed etiche. In quale misura è
opportuno comunicare i potenziali effetti negativi dei farmaci psicotropi? È necessario il
consenso scritto? E tale consenso è valido se
sottoposto al solo paziente? Altre possibili domande sono: il medico agisce per il paziente o
per tutta la famiglia del paziente? La diagnosi
deve essere comunicata ai familiari e ai datori
di lavoro del paziente? Il paziente è abile alla
guida? In caso contrario, come si può affrontare
l’argomento con il paziente? Quando e come si
deve affrontare il discorso relativo all’assistenza
a lungo termine? Quando è ragionevole istituzionalizzare un familiare contro il suo volere?
Il paziente è in grado di gestire i propri affari
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24 Disturbi neurocognitivi
739
finanziari? Di stipulare contratti (inclusi i contratti matrimoniali)? Di prendere decisioni
mediche? Di acconsentire al trattamento? Può
essere ritenuto imputabile per atti penalmente
rilevanti? Chi agirà per conto dei pazienti quando essi non saranno in grado di rispondere delle
proprie azioni?
È utile sollevare il quesito relativo alla procura medica e/o finanziaria e avviare una di-
scussione in merito alle volontà dei soggetti con
patologie progressive. Nello specifico, la procura è stata assegnata a una persona adeguata?
Tale persona comprende i limiti dei vari tipi di
procura? Generalmente parlando, la procura
è da preferire alla tutela permanente in quanto quest’ultima è caratterizzata da un processo
contraddittorio che può allontanare i pazienti
dagli altri familiari.
Punti clinici chiave
• I disturbi neurocognitivi sono individuati grazie all’anamnesi e all’esame dello stato mentale; i
test di laboratorio servono per confermare o escludere le misure da adottare.
• I sintomi neuropsichiatrici (per es., disturbi comportamentali, emotivi, vegetativi, ideativi e percettivi) sono componenti regolari dei disturbi neurocognitivi.
• La stessa patologia sottostante può manifestarsi sotto forma di diversi disturbi neurocognitivi.
• Sono disponibili degli strumenti per le finalità cliniche e di ricerca volti a individuare e quantificare i sintomi cognitivi e neuropsichiatrici dei disturbi neurocognitivi.
• I test neuropsicologici sono utili nell’individuazione precoce e nella quantificazione della compromissione nei disturbi neurocognitivi.
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