i nuovi critici - Aracne editrice

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I NUOVI CRITICI

I NUOVI CRITICI
La collana intende ospitare le opere di critici esordienti, non accademici, che si esercitano quotidianamente nella lettura di opere
letterarie e poetiche sia italiane che straniere, nell’analisi cinematografica di film noti e meno noti, nell’interpretazione delle opere
d’arte del presente e del passato, nell’attenta fruizione di opere teatrali sia sperimentali che classiche. Una critica di chi legge, interpreta
e decifra giorno dopo giorno, con gli occhi ben aperti sul mondo.
Edvige Gioia
Il mito di Dracula
Dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio,
al buio della sala cinematografica
Prefazione di
Gennaro Mercogliano
Copyright © MMXIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 
A mio padre
Indice

Prefazione

Introduzione

Capitolo I
Le origini

Capitolo II
Vampirismo, antropologia e religione

Capitolo III
Vampirismo e psicoanalisi

Capitolo IV
Vampirismo e letteratura

Capitolo V
Vampirismo e cinema

Capitolo VI
L’analisi dei film
.. Nosferatu di Murnau,  – .. Nosferatu, il principe
della notte di Werner Herzog,  – .. Miriam si sveglia a
mezzanotte di Tony Scott,  – .. Bram Stoker’s Dracula
di Francis Ford Coppola,  – .. Intervista col Vampiro
di Neil Jordan,  – .. The addiction di Abel Ferrara, .


Indice

Capitolo VII
Conclusioni

Bibliografia
Prefazione
Gli amanti del genere horror-vampirico, ma anche i letterati in senso lato, avranno di che compiacersi di quest’ultima, recente fatica di Edvige Gioia, che ha già al suo
attivo due ottimi saggi, uno su Luis Buñuel e l’altro su
Anna Karenina di Tolstoj che hanno destato, e non poco,
l’attenzione del mondo letterario, sia accademico che militante, ponendola su un piano ben distinto in altezza nel
variegato firmamento degli autori emergenti. Tra l’altro
risulta impressionante il ritmo di lavoro della scrittrice, capace di produrre, senza soluzione di continuità, tre opere
importanti in quasi due anni, caratterizzate da un impegno
culturale che dalla letteratura slarga sul cinema e su materie di pertinenza psicologica e antropologica, ricondotte
costantemente ad un unicum storico-critico di notevole
interesse, in grado di innovare e provocare al contempo.
Con il solito stile forbito, fluido e riconoscibile, Edvige
Gioia affronta questa volta un argomento particolare, che
esula dalla classicità letteraria, quello del Vampirismo, ma
lo fa sempre con grande passione e con competenza, con
l’intento di dimostrare che, nonostante l’opinione comune
tenda a classificare il fenomeno come un fatto esclusivamente di genere e di tipo commerciale, in realtà il mito
del vampiro risulta essere profondamente connesso con
l’antropologia, la religione, la psicanalisi, la letteratura e
il cinema. Certo appare azzardato passare da Tolstoj e dall’analisi di Anna Karénina a Dracula, ma l’autrice compie


Prefazione
questo passaggio con consapevolezza e convinzione, seguendo il suo percorso personale e cercando, attraverso
la scrittura, di esorcizzare antichi fantasmi interiori, oppure, forse per un suo particolare divertissement. Il mito di
Dracula è sì dunque un rinnovato bagno, non certo ristoratore, nelle acque non nitide e non tranquille della fertile
immaginazione d’una donna che sente anche di muoversi
sull’onda di un trauma infantile, ma è anche il frutto maturo di una studiosa agguerrita che sa di dover dire la sua,
come sempre, in un qualsivoglia sterminato campo della
letteratura e su problematiche pluridisciplinari di vibrante
attualità. Il percorso che l’autrice compie va dalle origini
del fenomeno, accuratamente documentate (vengono citati i maestri del genere, come Montague Sammers, Massimo Introvigne, Carla Corradi Musi, Jean Claude Aguerre),
ai rapporti tra vampirismo e antropologia, che evidenziano la presenza di uno sostrato folklorico arcaico nel quale
esisteva la credenza nel ritorno possibile dei morti, in un
universo in cui i morti non morivano ma passavano ad
uno “stato altro”. Con competenza e utilizzando citazioni
importanti come quelle di Barber e di Freud, l’autrice evidenzia lo stato di “liminarità” del vampiro, figura errante
e inquieta, destinata a non trovare pace, se non assumendo
il sangue altrui. E proprio sulla simbologia del sangue viene effettuato un confronto, azzardato ma interessante, tra
vampirismo e Cristianesimo. Viene infatti esaminata la funzione centrale che il sangue e il corpo di Cristo hanno nel
sacramento dell’Eucaristia, così come viene esaminata la
funzione particolare che il sangue ha nella sopravvivenza
del non- morto, del revenant, con la citazione, tra gli altri,
di Domenico Cammarota, importante figura di studioso
del fenomeno. Viene inoltre esaminata l’origine folklorica
di tutti gli altri elementi che compongono il mito del vam-
Prefazione

piro, come il contagio, la croce, l’ostia, il fuoco, l’aglio, il
paletto di frassino, il grande potere di seduzione, molto
simile al fenomeno del cosiddetto ”affascino” di cui parla
Ernesto De Martino in Sud e Magia. Particolarmente interessante è il capitolo “Vampirismo e Psicanalisi”, nel quale,
attraverso riferimenti bibliografici fondamentali, (Freud,
Rank, Jones), l’autrice affronta i concetti psicanalitici del
Doppio e del Perturbante. Il primo nasce, scrive l’autrice, come smentita del potere della morte: l’uomo infatti,
espellendo da sé la morte e proiettandola nella figura del
Doppio, ottiene di essere rassicurato sulla sua sopravvivenza, ma paga questa sicurezza con l’angoscia dell’incontro
con il proprio Doppio, uno spaventoso fantasma che rappresenta i desideri repressi dell’inconscio e che perturba
fortemente il suo Io. Proprio nella figura del vampiro le
forze della pulsione, con il desiderio di immortalità e della
rimozione, con la paura dei morti, trovano l’occasione
di articolarsi e individuano un compromesso nella figura
del revenant, il morto che ritorna, con la sua prospettiva
perversa di vita eterna. Il vampiro si pone così come una
figura caratterizzata dal narcisismo onnipotente e come
un essere che vuole distruggere la propria vittima con l’intento di allontanare da sé la pulsione di morte. Il ritorno
dei morti sotto forma di vampiri va quindi considerato
psicanaliticamente, sostiene l’autrice, come una rappresentazione di tutto ciò che è stato rimosso, attraverso la
figurazione del Perturbante che si concretizza nell’immagine oggettiva del vampiro. Nel capitolo “Vampirismo e
Letteratura”, viene descritta la nascita del vampiro letterario, con il passaggio dal folklore alla letteratura romantica
e gotica, attraverso l’analisi critica, tra le tante, delle opere
di Polidori, Le Fanu, Stoker. Particolare attenzione viene
dedicata al romanzo di Bram Stoker, Dracula, diventato

Prefazione
famosissimo e che ha rappresentato, attraverso la figura
del Conte Dracula, il vampiro per antonomasia. L’excursus letterario è affrontato nella sua dimensione diacronica,
partendo da Polidori, fino ad arrivare a Matheson e alla Rice, rappresentando nel tempo l’evoluzione della figura del
vampiro, da dandy pallido ed elegantissimo, a conte transilvano, ad essere superiore e seducente come nei romanzi
della Rice, fino al vampiro metropolitano. Viene anche
trattato il tema della donna-vampiro, attraverso l’analisi
del romanzo Carmilla di Sheridan Le Fanu, uno dei più
bei romanzi dell’Ottocento che ha per protagonista una
donna-vampiro. Ma la parte più interessante e innovativa
del saggio la troviamo nel capitolo “Vampirismo e Cinema”, che occupa la metà del libro, dove l’autrice evidenzia
il suo amore per questa forma d’arte. Fin dai suoi esordi il
cinema infatti si è ispirato alla figura di Dracula e al mito
del vampirismo e l’autrice si cimenta con successo in una
breve ma accurata storia del cinema di genere vampirico, a
partire dall’Espressionismo tedesco fino ad arrivare ai nostri giorni, analizzando poi, con metodo pluridisciplinare,
sei film: Dracula di Murnau, Nosferatu, il principe della notte,
di Herzog, Miriam si sveglia a mezzanotte di Scott, Bram
Stoker’s Dracula di Coppola, Intervista col vampiro di Jordan,
e infine The Addiction di Ferrara. Si tratta di un’analisi approfondita che spazia da quella più squisitamente filmica,
a quella socio- politica, a quella psicologica, a quella psicoanalitica. I film vengono resi, dalla fine sensibilità e dalla
indubbia capacità descrittiva dell’autrice, immediatamente
leggibili, come se stessimo assistendo alla loro proiezione, tanti sono i particolari forniti e tante le sensazioni ed
emozioni che riescono a suscitare. Nell’analisi dei film,
l’autrice non si limita trasmettere il suo punto di vista, ma
cita un’ampia bibliografia (Arecco, Serpieri, Teti, Albano,
Prefazione

Leonforte, Fantoni Minnella, Giovannini, ecc) sull’argomento. In questo capitolo, il più impegnativo, la scrittrice
dà nuovamente conto della propria intemerata passione
per il cinema come veicolo delle idee e del dibattito critico, all’interno del quale essa stessa sa convenientemente
collocarsi con una sua visione originale, fervida di moderno sentire, quasi sentimentalmente rivendicativa di una
passione e di una posizione intellettuale di segno metarazionale che però non esclude l’intento socio-politico. Tale
impostazione rientra nel metodo di lavoro della scrittrice
ed è precisato nella prefazione oltre che asseverato nella
conclusione, laddove vengono proposti e offerti spunti di
ulteriori analisi che, lasciando aperto il problema, trovano
la maniera di entrare simpaticamente in polemica con Voltaire, il campione del razionalismo occidentale, che aveva
etichettato la figura del vampiro come il prodotto della superstizione e dell’ignoranza. Edvige Gioia realizza così un
lavoro di singolare interesse pluridisciplinare, strutturato
con sapienza e passione nei diversi ambiti esplorati, dimostrando di saper approfondire un argomento che tocca da
molto vicino i temi eterni dell’umanità, come il significato
della vita, la paura della morte, la sessualità, la difficoltà
dell’esistenza, il desiderio di immortalità, visti attraverso
il mito del vampiro, personaggio romantico e inquietante
che continua ad affascinarci e a sedurci perché sfugge ad
interpretazioni meramente razionali e arriva a coinvolgere
profondamente il nostro inconscio.
G M
Introduzione
Il vampirismo appartiene a quel mondo mitico in cui le
paure primordiali dell’uomo si condensano e trovano una
forma, un modo per esprimersi, andandosi ad oggettivare
anche in creature razionalmente improbabili. L’immagine
del vampiro infatti, ha vinto una delle paure più grandi e
ataviche dell’uomo, la paura della morte, perché il termine vampiro si riferisce ad un uomo morto che torna in
vita bevendo il sangue dei viventi e ha superato così limiti
temporali e geografici, diffondendosi tra gli uomini consci
che il male, comunque vogliamo intenderlo, ha sempre
un volto. E, in effetti, il vampiro ha realmente conosciuto
l’immortalità, grazie al suo mito giunto fino a noi tramite la
letteratura e il cinema, e anche perché il vampiro, nelle sue
varie forme che dai miti della classicità giungono al folklore,
è sempre riuscito a riemergere dal suo mondo oscuro grazie alla complicità dell’inconscio e con il potere dell’incubo
che simbolicamente coagula nella sua figura le ansie e le
paure dell’uomo. Il mito del vampiro, così come lo aveva
tramandato Bram Stoker, è diventato eterno, amplificato dal
cinema, dalla televisione e dai fumetti, e si è adattato alle
varie epoche, modificandosi solo in parte per adeguarsi ai
tempi, ma mantenendo costanti le proprie ataviche caratteristiche. Il male spesso viene riferito alla notte, al buio che
offre rifugio alle creature più strane, angosciose ed improbabili che vengono esiliate dal dominio del giorno e della
luce: parlare di vampiri dunque, significa soprattutto parlare


Introduzione
delle nostre paure più nascoste, dei nostri sensi di colpa,
della nostra fragilità di esseri umani che devono affrontare
la dura esperienza del vivere e del morire.
Non c’è alcun dubbio che la figura del vampiro sia oggi
una delle più note e sfruttate commercialmente della cultura
di massa occidentale, il suo fascino contagia tutti i luoghi
della cultura: letteratura, teatro, cinema, pubblicità, fumetti,
videogiochi, con una capacità polisemica particolare, perché
non si riferisce solo all’arte e agli spazi ludici, ma entra nella
vita reale, nella quotidianità degli uomini, permea il loro
inconscio e i loro incubi.
Proprio quest’aspetto del vampirismo ha sollecitato la
mia attenzione, spingendomi ad intraprendere un percorso
di ricerca sul fenomeno, nel quale mi sono sentita coinvolta
in prima persona fin dall’infanzia: mi è capitato infatti di
assistere da bambina alla proiezione del film “Dracula il
vampiro” del ’, interpretato dall’attore Cristopher Lee, accompagnata da uno sprovveduto genitore che condivideva
con me l’amore per il cinema. Ricordo ancora oggi in modo
estremamente vivido che ero contemporaneamente attratta
e terrorizzata dalla storia e dalle immagini che ho guardato
spesso attraverso il filtro delle dita della mano con cui cercavo di proteggermi dalla visione delle parti più cruente e
angosciose del film. Ogni tanto mi rivolgevo a mio padre
che assisteva impassibile alla proiezione e non si accorgeva
del dramma che stavo vivendo, chiedendogli se la scena particolarmente paurosa era terminata. Inutile dire che quella
notte non sono riuscita a dormire e che anche nelle notti
successive ritornavano, senza che io le richiamassi coscientemente, le immagini del film. La cosa più strana è che,
dopo aver ammortizzato ed elaborato l’impatto del film, e
quindi non solo da bambina ma anche da grande, il vampiro
è tornato spesso a popolare i miei sogni, o meglio incubi,
Introduzione

cambiando nel tempo modalità e aspetti della drammatizzazione onirica, ma sostanzialmente coagulando tutte le mie
paure sia di bambina che di adulta. Successivamente all’episodio narrato, ho letto il romanzo di Bram Stoker più volte
e tutti i libri che trovavo sull’argomento, sviluppando così
un fortissimo interesse per il Vampirismo che mi ha portato
a progettare questo saggio, con l’intenzione di conoscere e
approfondire un fenomeno solo apparentemente semplice
e commerciale, ma in realtà profondamente connesso con
l’antropologia, la religione, la letteratura, la psicanalisi e il
cinema. Relativamente alla credenza nel vampiro, esistono varie ipotesi: la prima, l’ipotesi dell’origine universale
o preistorica, è sostenuta da Montague Summers, celebre
vampirologo, nel suo libro “The Vampire: His Kith and
Kin”, scritto nel . Summers sostiene che è proprio la
paura dei morti che fornisce prove chiare a supporto della teoria. Poiché la morte ha avuto inizio con la vita, fin
dalla notte dei tempi gli uomini si sono trovati di fronte
all’ignoto, alla paura della morte, e da ciò sono nate varie
credenze e vari metodi di sepoltura. Se andassimo a studiare popolazioni ancora oggi integre nelle loro credenze
originali, come alcune tribù africane, troveremmo tracce
di rituali o di tradizioni legate al concetto di vampirismo.
D’altronde, come sostiene Massimo Introvigne, la paura
del ritorno dei morti è antichissima e si accompagna spesso
a pratiche, come il colpire al cuore i cadaveri con un paletto appuntito, che diventeranno più tardi parte integrante
del mito del vampiro. L’autore tuttavia dichiara di essere
. A. M. Summers, The Vampire: His Kith and Kin, Forgotten Books,
Amazon.com, 
. M. Introvigne, La stirpe di Dracula, Indagine sul Vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, Oscar Saggi Mondadori, Milano , pag.


Introduzione
interessato ad un particolare tipo di vampiro, quello che
potremmo definire classico moderno e che presenta precise
caratteristiche: deve cioè essere ritornato in vita con il suo
corpo e deve nutrirsi di sangue. Secondo un’altra ipotesi che
è quella dell’origine sciamanica, la presenza del vampiro nasce in un preciso ambiente religioso–culturale, che è quello
dello sciamanesimo, diffuso in un’area geografica molto
ampia, che va dal mondo celtico alla Siberia, dall’America
del nord (presso i nativi), alla Germania pre–cristiana, alla
Scandinavia e all’Europa orientale. Nel mondo sciamanico
infatti, il collegamento tra il mondo dei morti e quello dei
vivi non aveva soluzioni di continuità: l’aldilà era un mondo
parallelo e rovesciato, opposto ma complementare a quello
dei viventi, spesso posto oltre un fiume che poteva essere
oltrepassato solo al termine di un percorso iniziatico. Per
Carla Corradi Musi, docente di filologia ugrofinnica presso
l’Università di Bologna, il vampiro, nell’area sciamanica,
nella sua particolare condizione di “non vivo” ma anche di
“non morto”, rappresenta una figura trasgressiva, in quanto,
non potendosi reincarnare, ostacola il collegamento tra il
mondo umano e quello ultraterreno. Questa figura si pone
in netta contrapposizione con quella dello sciamano, anche
lui ponte tra il mondo dei morti e quello dei vivi, ma che, al
contrario del vampiro, agisce per mantenere l’ordine prestabilito. Un’altra ipotesi ancora è quella dell’origine orientale
del vampiro, che fa risalire questa figura ad aree geografiche come la Malesia, l’India, la Cina dove nel tempo sono
stati segnalati personaggi simili al vampiro. Si tratta quasi
sempre di spiriti di morti particolari, o di morte violenta
oppure persone che in vita erano dementi o deformi; questi
. C. Corradi Musi, Sciamanesimo in Eurasia, Dal mito alla tradizione,
Casa Editrice Aracne, collana AIO, Roma 
Introduzione

possono mutarsi in pipistrelli e possono entrare nel corpo
dei viventi possedendoli e trasformandoli in assassini antropofagi. Anche se poco credibile, questa ipotesi ci testimonia
l’esistenza di forme di vampirismo in varie parti del mondo.
La congettura dell’origine europea antica o medioevale,
fa risalire il vampiro all’ambiente culturale greco–romano
oppure al periodo medioevale in Transilvania (terra oltre
la foresta), che è ricchissima di leggende alimentate dal mistero che circonda il personaggio di Dracula, il celebre Vlad
Tepes, che si distinse nella guerra contro i Turchi. Fu costui un personaggio storico leggendario, un eroe nazionale,
ma anche un uomo molto sanguinario; era infatti chiamato
l’Impalatore per la sua abitudine di impalare i nemici. Lo
stesso nome Dracula può avere vari significati: drakul può
significare drago ma anche diavolo e Dracula quindi potrebbe essere il figlio del drago o del diavolo. Non a caso Vlad, il
grande condottiero, era membro dell’Ordine del Dragone,
un ordine del Sacro Romano Impero che riuniva tutti i più
valorosi guerrieri che lottavano contro gli infedeli.
Figura . Vlad Tepes, detto l’Impalatore

Introduzione
Non c’è dubbio, sostiene Introvigne , sul fatto che il
vampiro così come oggi lo conosciamo sia apparso in
modo culturalmente significativo per la prima volta con
tutte le sue caratteristiche nell’Europa orientale. L’area
comprende la Polonia, la Romania, la Prussia, la Slesia,
la Slovenia, l’Istria, la Croazia, la Serbia, l’Albania e la
Bulgaria.
La teoria dell’origine moderna del vampiro, inquadra la
sua nascita nel periodo dell’Illuminismo, il secolo dei Lumi
che, affermando il potere della ragione e della scienza positiva, toglieva però agli uomini ogni forma di spiritualità e
di immortalità che prima la religione garantiva: potrebbe
essere stato questo il motivo per cui gli uomini avrebbero
plasmato la figura del vampiro, cioè di colui che vince la
morte con il suo corpo che non si deteriora, ma si alimenta con il sangue di altri uomini. Il Settecento, secondo Jean
Claude Aguerre , il principale sostenitore di questa teoria,
vede il ritorno in forza dei corpi, perché l’anima, se esiste,
è considerata come una parte del corpo che un giorno
qualche abile chirurgo riuscirà ad estrarre. Nel secolo dei
lumi, quindi, privato della spiritualità, il vampiro si offre
come un rifugio.
Secondo Fabio Giovannini , la cultura di fine secolo
è la cultura del vampiro, perché rappresenta un periodo
di transizione: il vampiro, infatti, restando al confine tra
morte e vita, rappresenta “metaforicamente” questa transizione storica che non ha portato alle grandi trasformazioni
culturali e sociali tanto attese. Il vampiro è inafferrabile,
. M. Introvigne, op. cit., pag.
. J.C. Aguerre, Résistance de la chair, destitution dell’âme, in Colloque de
Cerisy. Les vampires, Albin Michel, Parigi , pag. 
. F. Giovannini, Il libro dei vampiri, dal mito di Dracula alla presenza
quotidiana, Edizioni Dedalo, Bari 
Introduzione

ma, non essendo un fantasma, è tangibile e, nonostante
ciò, riesce a sfuggire grazie alle sue metamorfosi e ai suoi
poteri misteriosi. Il vampiro infatti rappresenta l’eterna
transizione: dalla vita non passa completamente alla morte, ma alla non–morte, uno stadio indefinibile e oscuro;
il vampiro è ambiguo, proviene dalla morte, esce dalle
bare, e, dell’immagine che l’umanità ha dato alla morte,
mantiene sia quella orrenda dell’angoscia cristiana, sia la
bellezza serena della morte parente del sonno, eternata
nei monumenti funebri dei greci. Il vampiro uccide, ma
non è un assassino; l’assassino infatti porta la vittima ad
una condizione “altra”, la morte, mentre lui rimane vivo.
Al contrario il vampiro è un non–morto che fa diventare
non–morti e vampiri coloro che aggredisce. Le sue vittime
non sono degli automi, degli zombi, ma diventano vampiri a pieno titolo, in completa parità con il loro carnefice. Il
vampiro può essere considerato psicoanaliticamente perché, come insegna un discepolo di Freud, Ernest Jones
che al vampiro ha dedicato un affascinante studio, egli
si muove nei territori dell’incubo e dei desideri sessuali
rimossi. Per questo è pericoloso e trasgressivo. Si installa
dove c’è la frustrazione sessuale, dove c’è il concetto di
colpa e di peccato, dove l’erotismo è ancora tabù. Il vampiro ipnotizza le creature fragili, le seduce e insieme le
terrorizza, ma spesso il terrore anticipa il vero e proprio
atto vampirico, il morso; passato il terrore, sopravviene
il piacere, anzi una vera e propria estasi. Con la pratica
simbolica dell’atto sessuale, il vampiro raggiunge e regala
una forma di immortalità antireligiosa.
Dopo questa carrellata veloce sul fenomeno del vampi. E. Jones, On the Nightmare, Pubblicato da Leonard e Virginia Woolf
presso la Hogarth Press, London 

Il mito di Dracula
rismo, vorrei esplicitare l’intento di questo saggio: approfondire in tutti i suoi aspetti la conoscenza del fenomeno,
partendo dalle sue antiche origini, esaminare poi le sue
connessioni con l’antropologia, la letteratura, la religione e
la psicanalisi e infine affrontare il rapporto tra vampirismo
e cinema, sia in generale, sia attraverso l’analisi di sei film:
Nosferatu di Murnau, Nosferatu, il principe della notte, di Werner Herzog, Miriam si sveglia a mezzanotte, di Tony Scott,
Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, Intervista
col vampiro di Neil Jordan, tratto dall’omonimo romanzo
di Anne Rice e infine The Addiction di Abel Ferrara, per
cercare di rappresentare, per grandi linee, l’evoluzione che
la figura del vampiro ha avuto nel cinema, dalle origini del
cinema muto alla realtà metropolitana del terzo millennio.
Capitolo I
Le origini
Figura .. Classica rappresentazione di un vrykolakas
Il vampirismo è un argomento problematico perché richiama alla mente immagini mitiche diverse, non tutte provenienti dallo stesso contesto culturale e storico. Come sostiene Massimo Centini, gli studiosi delle varie discipline
non sono ancora d’accordo sulla definizione cronologica e
culturale del fenomeno. In sostanza ci si chiede se il mito
. M. Centini, Il Vampirismo, Edizioni Xenia Tascabili, Milano , pag.


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