La musica nell’intelligenza umana del terzo millennio.
Spunti per una riflessione multidisciplinare
e sulla didattica
Alessandro Bertirotti
Antropologo della mente
Università degli Studi di Genova
Sommario
Questo breve studio, che si propone anche di fornire qualche spunto didattico rivolto al periodo
pre-adolescenziale ed adolescenziale degli studenti, parte dalla concezione teorica di Howard
Gardner delle intelligenze multiple, secondo la quale in ogni individuo sono presenti diverse
intelligenze, anche se alcune di esse saranno predominanti rispetto alle altre.
Su tale presupposto si cercherà di verificare come l’intelligenza musicale, così definita dallo
stesso Gardner, fondatore del cognitivismo e delle neuroscienze attuali, sia una dimensione
fondante delle diverse intelligenze, e come l’attenzione pedagogica che si può rivolgere al suo
insegnamento, possa essere alla base dello sviluppo cognitivo generale dell’individuo.
Introduzione
Affrontare un tema così vasto non è compito agevole, né è possibile farlo in questa sede se non a
grandi linee, ed individuando un filo conduttore preciso, attorno al quale verificare la validità del titolo.
Il punto di partenza di questa breve analisi, che si propone anche di fornire qualche spunto didattico
rivolto al periodo pre-adolescenziale ed adolescenziale degli studenti, è la concezione teorica di Howard
Gardner delle intelligenze multiple, secondo la quale in ogni individuo sono presenti diverse
intelligenze, anche se alcune di esse saranno predominanti rispetto alle altre (Gardner H., 1985).
Sulla base di tale presupposto teorico, tenteremo di verificare come l’intelligenza musicale, così
definita dallo stesso Gardner, fondatore del cognitivismo e delle neuroscienze attuali, sia una
dimensione fondante delle diverse intelligenze, e, in un certo senso, l’attenzione pedagogica che si può
rivolgere al suo insegnamento, si riveli essere alla base dello sviluppo cognitivo generale dell’individuo.
Ecco perché, cercheremo di evidenziare quei collegamenti espliciti ed impliciti che la musica
ascoltata ed eseguita possiede con il resto delle capacità cognitive umane, per rilevare i modi in cui sia
possibile utilizzare questa concezione nel corso della vita creativa di ogni studente.
Per questo motivo, all’interno del testo troverete alcune tabelle nelle quali sono espresse unità
didattiche possibili, le quali possono, ovviamente, essere integrate da conoscenze disciplinari proprie e
singolari dei diversi docenti implicati nel processo pedagogico.
Con la musica in testa
Per la maggior parte di noi, la musica riesce a dare senso a molte esperienze di vita, sia sotto forma di
emozioni che sotto forma di immaginazione. Per esempio, nel caso di musicisti particolarmente dotati,
siano essi specialisti o dilettanti, la dimensione immaginativa della musica non si riferisce soltanto alla
capacità di evocare vere e proprie immagini iconografiche in seguito all’ascolto di qualche brano,
oppure alla sua stessa esecuzione, ma si collega alla capacità di immaginare un’esecuzione virtuale vera
e propria. Per esempio, nel caso di un pianista, la visione di una partitura lo può indurre ad eseguire la
partitura stessa su un tavolo da cucina, sentendo la musica nella propria testa; oppure ancora, sempre un
pianista, può leggere la musica di un brano per pianoforte ed orchestra ed immaginare il movimento
delle sue dita nella tastiera, che eseguono quello che sta leggendo.
In sostanza, come confermano gli studi degli anni Novanta di Robert Zatorre, immaginare la musica
può indurre all’attivazione della corteccia uditiva con caratteristiche neurofisiologiche quasi identiche a
quelle che si verificano quando si ascolta realmente la musica. Ecco che diventa cognitivamente
importante, specialmente in sede educativa, cercare di stimolare tanto la dimensione immaginativa del
movimento quanto quella concreta della sua realizzazione, perché tale integrazione migliora
decisamente l’esecuzione.
1a Unità cognitivo-didattica derivante dalle considerazioni teoriche appena
esposte – Immaginazione e movimento
Combinare immaginazione ed attività fisica, con una sinergia interdisciplinare
fra insegnante di Educazione Musicale ed Educazione Motoria, per esempio,
e secondo tale ordine di successione:
1. Correre in palestra con la consegna di non pensare a nulla, cercando di
visualizzare mentalmente un foglio tutto bianco;
2. Ascoltare, seduti per terra, ognuno per conto proprio, per circa 3
minuti, la canzone preferita, immaginando di correre in palestra,
stando (ovviamente) fermi per terra;
3. Correre in palestra con le cuffie all’orecchio, ascoltando la musica
preferita;
4. Verifica, da parte degli insegnanti e degli studenti, se notano una
differenza di esecuzione motoria, legata non solo alla velocità, ma
anche alla percezione della fatica.
In effetti, noi sappiamo dalle ricerche effettuate che:
“La produzione volontaria, deliberata e consapevole di immagini mentali
coinvolge non solo la corteccia uditiva e motrice, ma anche le regioni della
corteccia frontale implicate nell’attività decisionale e di pianificazione” (Sacks
O., 2007, Musicophilia. Tales of Music and the Brain, trad. it. 2008, Musicofilia,
Adelphi Editore, Milano, pg. 53).
Sulla base di ciò, potrebbe rivelarsi interessante ed utile, in chiave pedagogica, alimentare la
relazione fra immaginazione, con la formazione di vere e proprie rappresentazioni mentali sonore, e
ascolto della musica preferita. Vi sono state alcune trasmissioni televisive in passato, in Italia, che
hanno, in effetti, proposto sotto forma di quiz l’esecuzione di questo tipo di compito. Mi riferisco, per
esempio, alla relazione che esiste fra ascolto-silenzio-ascolto e di seguito propongo tale unità didattica
ulteriore.
2a Unità cognitivo-didattica derivante dalle considerazioni teoriche appena
esposte – Ascolto e silenzio
Combinare l’ascolto di alcune battute della canzone preferita e il silenzio di
altre, per la ripresa con la voce, ossia il canto, della canzone:
1. Ascoltare attentamente una canzone preferita dal singolo studente,
affinché egli stesso possa impararla a memoria;
2. Azionare l’esecuzione registrata della canzone imparata, chiedendo
allo studente di cantarvi sopra;
3. Abbassare immediatamente e senza preavviso il volume della
riproduzione sonora della canzone, chiedendo allo studente di
2
continuare a cantare a voce alta la canzone ora silenziata;
4. Rialzare immediatamente il volume e verificare se lo studente ha
mantenuto il tempo, ha rallentato, oppure ha accelerato.
oppure
3
2a Unità cognitivo-didattica derivante dalle considerazioni teoriche appena
esposte – Ascolto, esecuzione a mente
Combinare l’ascolto di alcune battute della canzone preferite e il silenzio di
altre, per la ripresa con la voce, ossia il canto, della canzone:
1. Ascoltare attentamente una canzone preferita dal singolo studente,
affinché egli stesso possa impararla a memoria;
2. Azionare l’esecuzione registrata della canzone imparata, chiedendo
allo studente di cantarvi sopra;
3. Abbassare immediatamente e senza preavviso il volume della
riproduzione sonora della canzone, chiedendo allo studente di
continuare a cantare a mente, dunque in silenzio, la canzone ora
silenziata;
4. Rialzare immediatamente il volume e verificare se lo studente ha
mantenuto il tempo, ha rallentato, oppure ha accelerato.
Questo tipo di esercizio produce la stimolazione di quelle parti del cervello che le indagini effettuate
con la Risonanza Magnetica Funzionale (FmRI) hanno dimostrato attivarsi durante l’ascolto e
l’immaginazione, e le unità educative proposte (la 2a e la 2a.bis) possono anche essere utilizzate
sostituendo alla canzone preferita una poesia preferita, oppure imparata a memoria e recitata. Il tutto
risulterà certamente utile quando si voglia favorire la composizione musicale (di qualsiasi brano
creativo degli studenti), utilizzando il canto ed un software in grado di scrivere la musica di ciò che si
sta cantando.
In effetti, la particolarità che emerge da questi studi e che rende del tutto originale rispetto agli altri
sensi umani il nostro rapporto con la musica, è la presenza di una immaginazione musicale spontanea
che spesso accompagna alcuni atti o situazioni della nostra vita.
“Sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa, sentire una specie di orchestra…”: erano le
parole di una famosissima melodia con la quale durante la mia infanzia mi accingevo in salotto, assieme
a tutta la famiglia, a vedere “Canzonissima”. Era il 1967 e la canzone si intitolava “Zum, zum, zum”,
come si può riascoltare al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=ysc791A-u5A, e senza
volerlo si affermava appunto una capacità cognitiva indipendente dalla nostra volontà, proprio come ora
ci dicono esista in realtà nella mente, con specifiche funzioni ed obiettivi, le ricerche.
Nel testo Music and The Mind, lo psichiatra Anthony Storr afferma che la musica che
improvvisamente ci suona in testa svolge la funzione di alleviare la noia, rendendo molto più ritmici i
nostri movimenti, e ridurre la fatica (Storr A., 1992). Inoltre, sempre secondo il nostro, la musica in
testa svolge il compito di attirare la nostra attenzione su pensieri che sarebbero altrimenti dimenticati,
oppure rimossi, svolgendo una funzione adattiva assai simile ai sogni. L’assenza di significato,
ancorché la musica sia, rispetto alle altre arti, l’arte più vicina ai dinamismi delle emozioni, la rende un
tipo di comunicazione certamente lontano da vere e proprie rappresentazioni mentali1. Eppure,
nonostante ciò, la musica si impone nella nostra specie come un serbatoio, in parte ancora oscuro, di
possibilità cognitive che la rendono una sorta di collante fra le altre discipline, e sembra che il
funzionamento mentale umano abbia la caratteristica, fra le altre, di sapere gestire perfettamente il
rapporto con il mondo dei suoni, interno ed esterno.
In quest’ottica diventa importante la seguente considerazione.
1
Fa eccezione la danza, che conserva, secondo me, la perfezione sinergica di due aspetti antropologici
fondamentali, ossia il movimento ed il suono.
4
In ogni ambiente sociale evoluto, si comprende benissimo quanto sia importante per l’evoluzione
della mente individuale di una persona essere a contatto con una serie importanti di stimolazioni. Con il
termine “importante” ci vogliamo riferire a stimolazioni che permettono di acquisire nuove abilità,
senza per questo abbandonare le precedenti. Per esempio, ritengo importante che gli individui sappiano,
oggi specialmente, gestire al meglio quel tipo di comunicazione che scaturisce da Internet, come quella
presente nei social forum o nella chat. Si parla infatti di instant language, ossia linguaggio istantaneo
che è fatto di essenzialità, velocità, abbreviazioni, iconografie digitali che indicano le emozioni (i
cosiddetti emoticons), e così via… Questo linguaggio possiede caratteristiche che sono certamente
all’opposto rispetto alla tendenza che, per esempio, aveva Flaubert che rimaneggiava i suoi manoscritti
un così gran numero di volte tanto da non sapere lui stesso riconoscerne l’originale. L’istant language
descrive la costruzione dinamica di una identità letteraria online, che rimane comunque un “punto di
partenza relazionale”, sulla cui base si potrà stabilire un contatto reale oppure un rapporto epistolare di
altro tipo.
In sostanza, mi sembra di intravedere in alcuni tratti del nuovo modo di comunicare per iscritto, la
tendenza a concepire la parola come fosse l’esecuzione di un suono, che esiste solo nel momento in cui
viene letta dopo aver abbassato il tasto “invio” del proprio computer. Ci stiamo avvicinando ad una
concezione della parola come se questa fosse la danzatrice che esegue il significato dei nostri pensieri, e
subito si allontana da esso, per produrne di nuovi.
Questa evanescenza semantica mi sembra particolarmente vicina alla funzione che la musica svolge
nell’ambito delle diverse culture umane, all’interno delle quali, quelle di tipo astorico, ossia non legate
alla tradizione scritta, meglio realizzano un’empatia comunicativa. È come se si volesse ritornare alla
discussione orale, che lascia il tempo che trova, ossia che inizia e termina nello stesso istante in cui
avviene, e ci consente di essere più liberi di cambiare idea, di essere incoerenti e seguire le proprie
interiori emozioni e stati d’animo.
Proprio in questa analogia, mi sembra di intravedere una forte sinergia tra l’istant language e musica
e, in quest’ottica, appare davvero importante fornire ai nostri figli qualche strumento in più per poter
comporre la musica più adatta da accompagnare ai contenuti semantici del linguaggio.
Si veda, a questo proposito, specialmente su Youtube quante sono le poesie che molti utenti
inseriscono, sia frutto della loro creatività che di artisti famosi, accompagnate sia da musica che da
immagini. La multi sensorialità che gli attuali strumenti telematici permettono, evidenza certamente
quanto il nostro modo di comunicare cerchi sempre di più di essere totale, sinestesico, coinvolgendo
appunto più sensi contemporaneamente e lasciando al fruitore la decisione, più o meno inconscia, di
eleggere a “senso guida” uno dei possibili che intervengono nella lettura-visione-ascolto.
È importante però ricordare che
“in ogni famiglia ha luogo una certa esposizione al linguaggio, ed entro i quattro
o cinque anni di età praticamente tutti i bambini sviluppano una competenza
linguistica (in senso chomskiano). Nel caso della musica non è detto che sia
così; alcuni ambienti famigliari, infatti, possono essere quasi del tutto privi di
musica e, come tutti gli altri potenziali, anche quello musicale, per svilupparsi
appieno, deve essere stimolato. In assenza di incoraggiamento o stimolazione, è
possibile che i talenti musicali non si sviluppino. Tuttavia, mentre – nei primi
anni di vita – esiste un periodo critico abbastanza ben definito per l’acquisizione
del linguaggio, per la musica questo è meno vero. La mancata acquisizione del
linguaggio a sei-sette anni è un evento catastrofico (…); d’altra parte, alla stessa
età, la mancata acquisizone della musica non fa per forza prevedere un futuro
che ne sia del tutto privo” (Sacks O., op. cit.:120).
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Musicale (o non musicale) e il “tempo”
L’essere umano è davvero originale, persino nel considerare se stesso originale!
Con questa battuta, voglio evidenziare che ogni persona crede di essere e rapportarsi con il mondo, i
suoi abitanti e quanto lo circonda, con una quota quasi assoluta di irripetibilità, unicità essenziali e tale
da indurla a credere di essere decisamente originale rispetto a tutti gli altri, persone e cose che incontra.
Questa convinzione possiede certamente vantaggi, ma il prezzo che chiede, dunque i costi, sono,
secondo l’opinione di chi scrive, troppo alti rispetto ai benefici che si ricaverebbero se si lavorasse in un
ambiente non ostile. E per fare ciò è necessario evidenziare gli elementi in comune rispetto a quelli
differenziabili, come risulta essere nel caso delle emozioni e del loro significato, all’interno della storia
personale di ogni individuo.
Cosi come la percezione visiva è caratterizzata da una elaborazione cognitiva generale e sintetica,
grazie alla quale riusciamo a vedere il colore, il movimento e la forma, anche la percezione sonora segue
gli stessi processi cognitivi, sebbene attivando circuiti neuronali diversi. Al di là della classica
differenziazione fra suono e rumore, ossia fra onde di pressione sinusoidali perfette ed onde non
perfette, nel caso della musica vi sono due elementi che la caratterizzano universalmente, e che hanno
ovviamente a che vedere con le emozioni: la frequenza precisa, oppure definita discrezionalità
matematica, dei suoni musicali ed il ritmo. Senza questi due elementi, in nessuna parte del mondo
possiamo parlare di musica, perché sono i due pilastri teorico-pratici che ne fondano l’esistenza stessa.
Ogni bambino che abbia la fortuna di essere esposto durante la propria infanzia alla musica sviluppa
una serie di capacità che in qualche modo e misura potranno essergli utili in futuro, indipendentemente
dall’alta probabilità che esprima nella sua vita il desiderio di imparare a suonare uno strumento,
compresa ovviamente la propria voce.
Erin Hanon e Sandra Trehub hanno in effetti dimostrato
“come i bambini di sei mesi siano in grado di rilevare facilmente ogni genere di
variazione ritmica; a dodici mesi, però, questa gamma si è ristretta, sebbene la
loro capacità di riconoscimento sia diventata più acuta. A un anno di età i
bambini rilevano più facilmente le tipologie di ritmo a cui sono stati esposti in
precedenza; in altre parole, imparano e interiorizzano un insieme di ritmi
appartenenti alla propria cultura” (Sacks O., op.cit:124).
E questi risultati evidenziano in effetti il ruolo culturale, svolto dalla musica, dalla sua partecipazione
sociale agli eventi, per esempio, di un gruppo. Essere in grado di marciare quando si ascolta l’inno della
propria squadra di calcio, non solo crea e sviluppa sentimenti di solidarietà, ma agevola la formazione
di quell’atteggiamento di appartenenza di cui, per esempio, durante l’adolescenza, si ha bisogno.
Per questo motivi, ritengo sia davvero importante che gli insegnanti di Educazione Motoria, quelli di
Educazione Musicale e di Lingua Italiana (compreso Storia e Geografia) abbiano la possibilità di
lavorare assieme, almeno per quello che concerne l’acquisizione di qualche importante competenza
cognitiva di cui queste discipline sono responsabili.
Si prenda come esempio, l’acquisizione di una capacità cognitiva che diventa lentamente competenza
solo nell’arco di un numero discreto di anni: la percezione e gestione del tempo.
Non è cosa facile fare comprendere, senza l’intervento della fisicità, dunque dell’Educazione
Motoria, ad un bambino di otto anni che le cose, anche se rimangono apparentemente identiche a loro
stesse, cambiano con il passare del tempo. Ognuno di noi parla di se stesso, all’età che possiede, con la
stessa convinzione mentale con la quale parlava di se stesso venticinque anni fa, affermando appunto
quello che vuole circa i propri desideri di allora come quelli di oggi. Eppure, ad una attenta autoanalisi
non è difficile ammettere che le cose, come me stesso, sono davvero cambiate rispetto a venticinque
anni fa, e, nonostante questi cambiamenti, io penso di essere identico, nella sostanza individuale, a
quello che ero allora.
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Siamo in presenza di un atteggiamento che possiamo definire di costanza cognitiva, ossia di una idea
che la mente si crea circa il suo mantenersi in relazione con il passato, specialmente quando sia riferito
all’idea della propria identità. È una sorta di pre-requisito cognitivo sul quale si basa anche l’idea di
coerenza, in questo caso applicato a se stessi, alla propria vita e alle proprie intenzioni di vita.
Bene, tutto questo non è di facile comprensione, anche per noi adulti… e figuriamoci per il nostro
bambino di otto anni!
Come posso intervenire a questa età, utilizzando la musica, per favorire la comprensione che nel
mondo le cose cambiano anche se permaniamo nell’idea della nostra identità?
Nel seguente modo:
3a Unità cognitivo-didattica derivante dalle considerazioni teoriche appena
esposte – Ascolto, movimento e numerazione = formazione della Storia
Combinare l’ascolto di una canzone, con lo stare fermi e dopo con il muoversi
a tempo, contando il numero dei passi che si compiono ad ogni accento forte
e debole presente nella melodia.
1. Ascoltare, da fermi ed in piedi, attentamente una canzone preferita dal
singolo studente, affinché egli stesso possa impararla, utilizzando la
memoria a breve termine;
2. Riascoltare l’esecuzione registrata della canzone imparata, chiedendo
allo studente di cantarvi sopra, sempre in piedi e fermo;
3. Ascoltare ancora l’esecuzione, sempre fermi e in piedi, chiedendo allo
studente di contare il numero degli accenti forti e deboli che riesce a
riconoscere.
4. Posizionare i compagni di classe lungo un segmento immaginario, a
fianco del quale marcerà il singolo studente, con la consegna
seguente:
a. Ascoltare e marciare, cantando/contando il numero degli
accenti, ricordando di associare, quando vuole, il numero
pronunciato al compagno vicino al quale è passato.
5. Chiedere allo studente, al termine della prova, di ricordare a quale
persona era associato un qualsiasi numero da lui pronunciato (perché
questo è ciò che avviene quando associo una data storica ad un
evento).
Tale esercizio si fonda sulla definizione intramontabile che Aristotele ha dato del Tempo, nel suo
Fisica. “Il tempo è la misura del cambiamento secondo il prima ed il poi”. E secondo chi scrive, uno dei
modi migliori per capire questa definizione quando si è bambini, è quello di muoversi all’interno di un
percorso, contando i passi che si compiono, e attribuendo a qualcuno di essi il carattere del prima e del
dopo. Ecco perché l’associazione ad un compagno può risultare utile, perché da questa gli insegnanti
possono poi arrivare a spiegare che ogni compagno ha a sua volta una propria storia, abita in un certo
quartiere della città, possiede nonni e genitori, ama gustare i dolci oppure la marmellata, e così via… In
un certo senso, ogni compagno è come se fosse un ipertesto telematico, sul quale, con il click della
volontà, posso indagare per conoscere la sua vita.
Inoltre, con questo tipo di esercizio riesco anche a stimolare una rappresentazione geografico-mentale
dei ricordi, attivando in concreto una possibile mappa delle tappe che con il movimento ho seguito,
percorrendo appunto questo immaginario segmento. Non si dimentichi che la musica possiede il potere
di veicolare le sequenze dei movimenti del corpo, contenendo in esse le diverse forme di organizzazione
sensoriale che sono governate dal nostro cervello.
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Sono molti gli studi che dimostrano quanto la musica, sia nella sua dimensione ritmica che in quella
melodica, abbia il potere di attivare (e persino riattivare, dopo una lesione cerebrale oppure un ictus) la
parte del cervello dedicata all’esecuzione di compiti motori (Sacks O., op. cit.).
“Ogni cultura ha le sue canzoni e le sue filastrocche per aiutare i bambini ad
apprendere l’alfabeto, i numeri e altri elenchi. Perfino da adulti la nostra
capacità di memorizzare o tenere a mente serie di elementi è limitata, a meno
che non ricorriamo ad espedienti o modelli mnemonici, i più potenti dei quali
sono la rima, il metro e il canto” (Sacks O., op.cit:275).
Possiamo così concludere questo nostro breve intervento, evidenziando che la contiguità effettiva,
antropologicamente determinata, che esiste fra il linguaggio verbale e la comunicazione musicale
risiede nel concetto di flusso articolato di suoni, dove nel primo caso siamo in presenza di una
referenzialità oggettiva e culturale (i significati dei suoni sono le parole che indicano elementi condivisi
cui si riferiscono) e, nel secondo caso di una referenzialità singolare, del vissuto personale. In entrambi
in casi però, si tratta sempre di flussi articolati di suoni che ricevono un significato in base al contesto
nel quale sono inseriti.
Proprio per questi motivi, ogni tentativo didattico che evidenzi questo tipo di continuità senza
soluzione tra la musica, i suoi elementi strutturarli e i diversi altri codici umani, compreso quello
iconografico, è oltremodo vincente, sia in ottica prettamente pedagogica che cognitiva, attivando un
maggiore numero di popolazioni di neuroni all’interno della nostra struttura cerebrale.
Bibliogafia
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