INTRODUZIONE
Il controllo della pressione arteriosa in Italia
L’ipertensione arteriosa è uno dei principali fattori di rischio modificabili, la cui presenza è
correlata in modo significativo, indipendente e lineare con un aumentato rischio di
sviluppare complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari.
Un trattamento efficace dell’ipertensione arteriosa riduce in modo sostanziale il rischio di
sviluppare tali complicanze. Tuttavia, il controllo della pressione arteriosa rimane
largamente insoddisfacente nella maggior parte dei paesi occidentali, tra cui anche l’Italia.
Recenti analisi dei dati raccolti a livello europeo sul controllo della pressione arteriosa
hanno dimostrato, infatti, come solamente nel 20-30% dei pazienti con ipertensione
arteriosa
in
trattamento
farmacologico
vengano
raggiunti
gli
obiettivi
pressori
raccomandati. (1 – 4)
Tali risultati confermano come il controllo della pressione arteriosa nella popolazione di
pazienti con ipertensione arteriosa sia ancora largamente insufficiente. Dal momento che
l’ipertensione arteriosa rappresenta un ideale bersaglio per identificare e ridurre il rischio
cardiovascolare, risulta evidente come un significativo miglioramento delle strategie di
identificazione e controllo rappresentano un fondamentale obiettivo di prevenzione nel
nostro paese, con ampi benefici per il Servizio Sanitario Nazionale.
L’insufficiente controllo dei valori pressori contribuisce ad aumentare il rischio di sviluppare
infarto miocardico, ictus cerebrale, scompenso cardiaco ed altre patologie. Queste
condizioni sono, infatti, aumentate rispettivamente del 12%, 18%, 15% per ogni aumento
di 3 mmHg della pressione arteriosa sistolica e contribuiscono pesantemente al carico di
malattia ed alla spesa del Sistema Sanitario Nazionale. Ad esempio, il costo effettivo della
sola fase di degenza per infarto acuto del miocardio si può stimare attorno a 6000 euro
per paziente (720 milioni di euro). Un aumento del 25% dei casi per questa unica
patologia porterebbe il costo della sola fase acuta (senza contare riabilitazione,
convalescenza, farmaci, test diagnostici post-ricovero e giornate lavorative perse), a costi
ed inflazione invariati, ad oltre 1 miliardo di euro annui.
Nel nostro paese, i risultati di un’analisi di studi osservazionali condotti tra il 1995 ed il
2005 hanno confermato questa tendenza, riportando come su oltre 52.000 pazienti circa il
39% mostrava ipertensione arteriosa di grado 1 (140–159 / 90-99 mmHg) e circa il 32%
ipertensione arteriosa di grado 2 (160-179 / 100-109 mmHg). (5)
Un recente aggiornamento di questa analisi, che ha preso in considerazione studi condotti
in Italia dal 2005 al 2011 ed ha incluso circa 160.000 pazienti con ipertensione arteriosa
seguiti prevalentemente nell’ambito della Medicina Generale in tutto il territorio nazionale,
ha dimostrato come solo il 57% dei pazienti con ipertensione arteriosa fosse
adeguatamente trattato e di questi solo il 37% raggiungesse un controllo efficace dei valori
pressori in terapia (6), mentre nella media in quasi tutti gli studi riportati in questa analisi la
pressione arteriosa sistolica fosse maggiore di 140 mmHg.
Obiettivi terapeutici
In tutti i pazienti affetti da ipertensione arteriosa è opportuno ridurre la pressione arteriosa
fino al raggiungimento di valori di sistolica e diastolica < 140/90 mmHg. (7)
Tali obiettivi pressori sono raccomandati per tutti i pazienti adulti affetti da ipertensione
arteriosa, indipendentemente dal sesso, dall’età, dall’etnia e dalle più comuni condizioni
cliniche concomitanti. (7)
Nei cosiddetti “grandi anziani” (soggetti di età ≥ 80 anni), nel caso sia difficoltoso
raggiungere questi valori pressori, o qualora questi siano mal tollerati per la comparsa di
effetti indesiderati o reazioni avverse, gli obiettivi pressori raccomandati possono essere <
150/90 mmHg, e vanno raggiunti con cautela. (8-10)
In pazienti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato, come ad esempio i pazienti
con diabete mellito o nefropatia, può essere necessario ridurre ulteriormente la pressione
arteriosa fino al raggiungimento dei valori di sistolica e diastolica pari a 130/80 mmHg, se
tollerati e se non coesistono controindicazioni obiettive o gravi patologie cardiovascolari
concomitanti (coronaropatia, cerebrovasculopatia, scompenso cardiaco). Non vi sono,
infatti, sufficienti evidenze di un beneficio derivante dal raggiungimento dei valori pressori
< 130/80 mmHg sulla base dei risultati degli studi randomizzati al momento disponibili.
Dati derivanti da studi clinici osservazionali condotti in Italia indicano come la percentuale
di pazienti affetti da ipertensione arteriosa in trattamento che raggiunga
tali obiettivi
pressori (140/90 mmHg) non superi il 30-40%. (6)
Di contro, studi clinici di intervento, basati sull’impiego di strategie di combinazione
razionali ed integrate, hanno dimostrato come sia possibile raggiungere, sia nel contesto
della Medicina Generale che in ambito specialistico, il controllo dei valori pressori in una
percentuale pari al 70-80% dei pazienti con ipertensione arteriosa di diverso grado e con
diverso profilo di rischio cardiovascolare. (12-14)
Al fine di colmare tale gap tra il controllo pressorio attuale e quello auspicato per
conseguire
una
più
efficace
prevenzione
cardiovascolare,
la
Società
Italiana
dell’Ipertensione Arteriosa punta a raggiungere una percentuale di pazienti controllati
prossima al 70% entro il 2015. (15)
Il raggiungimento di tale obiettivo può essere realisticamente ottenuto mediante un uso
razionale dei presidi oggi disponibili, ed anche attraverso un’implementazione dell’uso
della terapia di combinazione, soprattutto se tale approccio può essere semplificato in
un’unica pillola, possibilità terapeutica oggi disponibile anche in Italia.
Il
raggiungimento di tale obiettivo potrebbe rappresentare un elemento di grande
rilevanza per ridurre il carico di malattia correlato all’ipertensione arteriosa non controllata
e la relativa spesa sanitaria, ed è, quindi, un programma di centrale importanza per
migliorare qualunque strategia di prevenzione cardiovascolare. Ciò è confermato da
analoghe iniziative promosse ai più elevati livelli politici negli Stati Uniti, in cui vi sono oggi
circa 45 milioni di pazienti con ipertensione arteriosa (16), e nel Regno Unito, dove il
National Health Service ne ha fatto un obiettivo di salute pubblica. (17)
I costi di gestione dell’ipertensione arteriosa nella fase che precede lo sviluppo del danno
d’organo e degli eventi cardiovascolari maggiori sono largamente inferiori rispetto ai costi
socio-sanitari collegati alle conseguenze dell’ipertensione arteriosa, soprattutto se mal
controllata.
CAPITOLO I
Il rischio cardiovascolare
1 - I fattori di rischio cardiovascolare
Con il termine fattore di rischio si intende una caratteristica individuale che aumenta la
probabilità di sviluppare una malattia.
I fattori di rischio cardiovascolare si possono suddividere in modificabili e non modificabili. I
primi comprendono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, il fumo
di sigaretta, l’obesità addominale e l’inattività fisica; I fattori di rischio non modificabili sono
l’età, il sesso maschile e la familiarità per eventi cardiovascolari. A questi fattori di rischio
tradizionali si sono affiancati, nel corso degli ultimi anni, altri marcatori di rischio:
colesterolo HDL, trigliceridi, omocisteinemia, proteina C-reattiva, lipoproteina (a). Un
importante studio epidemiologico caso-controllo, lo studio INTERHEART (18), condotto in
52 paesi del mondo su più di 29.000 soggetti, ha dimostrato che i fattori di rischio
“tradizionali”, comprendenti sia gli stili di vita sia variabili clinico-laboratoristiche, spiegano
oltre il 90% degli eventi cardiovascolari e rappresentano il cardine su cui incentrare la
prevenzione cardiovascolare.
Un altro messaggio chiave dello studio è che le malattie cardiovascolari rappresentano
ormai una problematica di dimensioni globali con un’incidenza di proporzioni epidemiche,
trasversale ai vari contesti geografici-sociali-culturali, e derivante sempre dagli stessi
fattori di rischio.
2 - Approccio globale al rischio cardiovascolare
Se da un lato nell’ambito della prevenzione secondaria appare ben comprensibile la
necessità di un trattamento farmacologico, nell’ambito della prevenzione primaria è più
difficoltoso stabilire quali pazienti debbano ricevere una terapia farmacologica.
Tale decisione può essere presa solo dopo un’accurata quantificazione del rischio
cardiovascolare del singolo individuo che deve tenere conto non di un singolo fattore ma
della globalità dei fattori, essendo per definizione l’aterotrombosi una malattia
multifattoriale. Quindi, oggetto delle cure non deve essere il singolo fattore di rischio, bensì
il paziente portatore dei diversi fattori di rischio che determinano il rischio cardiovascolare
globale. Da ciò deriva che che la decisione di trattare o meno un paziente con farmaci (ad
es., una statina) dipenderà quindi non tanto dall’elevazione di un singolo fattore di rischio
(per es., l’ipercolesterolemia) ma dalla collocazione del paziente in una categoria di rischio
globale tale per cui la correzione di quel determinato fattore di rischio modificabile
(l’ipercolesterolemia) si traduce in un beneficio prognostico. Oggetto della terapia con
statine non è qundi ( a parte rare eccezioni di elevazioni molto marcate di un singolo
fattore di rischio) l’ipercolesterolemia in sé, ma il paziente con ipercolesterolemia, il cui
rischio globale non è determinato dalla sola colesterolemia ma dal complesso dei fattori di
rischio (pressione arteriosa, diabete mellito, fumo di sigaretta, ecc.).
3 - Valutazione del rischio cardiovascolare globale
A parte in pazienti affetti già da malattie cardiovascolari o da particolari condizioni (diabete
mellito tipo II o tipo I con danno d’organo, insufficienza renale cronica con velocità di
filtrazione glomerulare <60 ml/min/1,73 m^2 oppure un singolo fattore di rischio
marcatamente elevato) che secondo le correnti linee guida della Società Europea di
Cardiologia (ESC) (7) rientrano già per definizione nella categoria di rischio alto o molto
alto, è necessario poter valutare in tutti gli altri casi, in modo semplice e veloce, il rischio
cardiovascolare globale. A tal proposito, fin dalla presentazione dei dati dello studio
Framingham agli inizi degli anni ’60, era emersa la necessità di disegnare algoritmi che
permettessero una stima globale del rischio di eventi. Lo scopo è di stabilire, a partire da
alcuni parametri facilmente misurabili e quindi applicabili ad un programma di screening
della popolazione, quali pazienti presentino un rischio tale da meritare la terapia con
farmaci di dimostrata efficacia in termini di rischio/beneficio e compatibilità economica. Le
carte del rischio cardiovascolare rispondono dunque a questa esigenza.
4 - Le carte del rischio cardiovascolare: il sistema SCORE ed il progetto CUORE
Per quanto riguarda la popolazione europea, l’European Society of Cardiology ha
proposto come modello di quantificazione del rischio il sistema denominato SCORE
(Systematic COronary Risk Evaluation)(A). Le carte del rischio che ne derivano (fig.1)
permettono di calcolare il rischio di mortalità cardiovascolare a 10 anni. I dati sono stati
ottenuti da 12 studi di coorte europei che hanno permesso di valutare 205 178 soggetti in
un periodo di tempo dal 1970 al 1988 per un totale di 2,7 milioni di anni di follo-up e quasi
8000 decessi per motivi cardiovascolari.
Due aspetti da sottolineare di questo sistema sono l’inclusione degli eventi imputabili a
localizzazioni extracardiache dell’aterosclerosi (a differenza dello score Framingham che
si focalizzava esclusivamente su eventi coronarici) ed il fatto che consideri esclusivamente
gli eventi cardiovascolari fatali. Infatti, l’incidenza di eventi non fatali è di più difficile
accertamento poiché dipende molto dalle definizioni e dai metodi di accertamento
utilizzati: basti pensare al radicale cambiamento negli anni dei criteri diagnostici per
quanto riguarda la diagnosi di infarto miocardico.
Per determinare il rischio di un singolo paziente è necessario scegliere la carta
corrispondente alla nazionalità (esistono carte per i paesi a basso o ad alto rischio: l’Italia
appartiene alla prima categoria) e integrare le seguenti caratteristiche: genere, età, fumo,
pressione arteriosa sistolica e colesterolemia totale.
Fig.1 – Le carte del rischio SCORE per paesi ad alto e a basso rischio
Queste carte individuano le seguenti quattro classi di rischio cardiovascolare: molto alto (>
10%), alto ( > 5% e < 10%), moderato (> 1% e < 5%), basso ( <1%). Il rischio può essere
maggiore di quello indicato nelle carte SCORE per i pazienti sedentari od obesi
(soprattutto obesità viscerale), in caso di forte familiarità per eventi cardiovascolari precoci
e nei pazienti con colesterolo HDL ridotto, elevati trigliceridi ed alterata tolleranza
glucidica.
E’ sulla base di queste carte del rischio che l’AIFA ha sviluppato la nota 13 per la
prescrizione, in Italia, di agenti ipolipemizzanti in prevenzione primaria (B).
L’istituto Superiore di Sanità ha sviluppato, nell’ambito del Progetto Cuore (C), le carte del
rischio cardiovascolare italiane (fig.2), che si differenziano da quelle europee perché
includono nella stima del rischio a 10 anni sia gli eventi cardiovascolari fatali che quelli non
fatali, individuando tre classi di rischio con percentuali differenti al sistema SCORE: rischio
alto (>20%), intermedio (20%-10%) e basso (<10%).
È stato dimostrato che a un rischio di eventi CV fatali >5% delle carte SCORE corrisponde
un rischio >20% del Progetto CUORE. Uno studio specifico di confronto fra le carte
italiane (Progetto CUORE) e quelle europee (Progetto SCORE) ha inoltre consentito di
confrontare le carte nei vari livelli di rischio (fig.3).
Nell’ambito del progetto CUORE è stato inoltre sviluppato un algoritmo per il calcolo di un
punteggio individuale (D) che offre una valutazione più precisa del rischio cardiovascolare,
perché considera valori continui per alcuni fattori di rischio, cioè l’età, la colesterolemia
totale, l’HDL e la pressione arteriosa sistolica; include, inoltre, nella stima, la terapia antiipertensiva, considerando che il valore di pressione sistolica registrato non è naturale ma
dovuto anche al trattamento specifico; la terapia anti-ipertensiva è anche un indicatore di
ipertensione arteriosa di vecchia data.
Fig. 2 – Le carte del rischio italiane (Progetto Cuore)
Fig. 3 – Confronto dei livelli di rischio CV tra carte SCORE e CUORE
Un altro sistema per stratificare il rischio cardiovascolare nei pazienti ipertesi identifica 4
categorie di rischio (basso, moderato, elevato e molto elevato) di mortalità a 10 anni per
cause cardiovascolari in base ai valori di pressione sistolica e diastolica, della prevalenza
di uno o più fattori di rischio cardiovascolari (sesso maschile, età maggiore dei 55 anni per
gli uomini e 65 per le donne, fumo di sigaretta, dislipidemia, resistenza all’insulina, obesità,
familiarità per malattie cardiovascolari), di danno d’organo asintomatico, diabete,
insufficienza renale cronica e malattia cardiovascolare già nota. (7)
Fig. 4 – Stratificazione del rischio CV nel paziente iperteso
CAPITOLO II
Misurazione della pressione arteriosa
Esistono differenti metodiche di misurazione della pressione arteriosa: se il primo
approccio è sempre quello ambulatoriale, con una valutazione effettuata dal medico, per la
conferma e/o una valutazione più approfondita del profilo pressorio si utilizzano metodiche
extra-ambulatoriali quali la misurazione della pressione arteriosa domiciliare (HBPM) o il
monitoraggio dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore (ABPM).
1 - Pressione arteriosa clinica
Una corretta misurazione ambulatoriale dovrebbe essere eseguita seguendo i seguenti
criteri:
1. Lasciare il paziente seduto per alcuni minuti in una stanza tranquilla prima di
iniziare la procedura di rilevazione pressoria;
2. eseguire almeno due misurazioni intervallate da 1-2 min e una misurazione
aggiuntiva se le prime due sono molto diverse tra loro;
3. ripetere più volte la misurazione per migliorare l’accuratezza nei pazienti con aritmia
(es. fibrillazione atriale);
4. usare un bracciale di dimensioni standard (12-13 cm di altezza e 35 cm di
lunghezza), ma disporre di bracciali più grandi o più piccoli nel caso rispettivamente
di soggetti obesi o magri. Usare bracciali pediatrici nei bambini;
5. posizionare il bracciale a livello del cuore qualunque sia la posizione del paziente;
6. usare le fasi I e V (scomparsa dei toni di Korotkoff) per identificare rispettivamente
la pressione sistolica e diastolica;
7. misurare la pressione arteriosa ad entrambi gli arti superiori in occasione della
prima visita per evidenziare eventuali disparità pressorie legate alla presenza di
vascolopatia periferica. In tale evenienza considerare il valore pressorio più alto
come quello di riferimento;
8. nei pazienti anziani, nei diabetici e in altre condizioni in cui può essere sospettata
un’ipotensione ortostatica, misurare la pressione arteriosa dopo 1 e 5 min
dall’assunzione della posizione eretta;
9. misurare la frequenza cardiaca mediante metodo palpatorio (per almeno 30 s) dopo
la seconda misurazione pressoria con il paziente in posizione seduta. (7)
2 - Misurazione domiciliare della pressione arteriosa
La misurazione della pressione arteriosa a domicilio può dare informazioni sui valori
pressori in giorni diversi e rilevati in una condizione il più vicino possibile alla vita
quotidiana. Quando considerate come valore medio di più rilevazioni eseguite in giorni
diversi, queste rilevazioni hanno come vantaggi l’assenza dell’effetto “camice bianco” e
una maggiore riproducibilità e predittività della presenza e della progressione del danno
d’organo e del rischio di eventi cardiovascolari rispetto alla pressione clinica. (19-24)
Pertanto la misurazione domiciliare della pressione, se effettuata nell’arco di un adeguato
periodo di tempo, dovrebbe essere raccomandata prima e durante il trattamento, come
approccio poco costoso in grado di migliorare la compliance del paziente al trattamento.
(25)
Qualora si decida di utilizzare la misurazione domiciliare della pressione, si deve: (26)
1. Consigliare solo l’impiego di strumenti validati. Nessuno degli strumenti di
rilevazione pressoria da polso attualmente disponibili è stato validato in modo
soddisfacente (27). Nel caso in cui si utilizzi questo approccio si deve ricordare al
paziente di tenere il braccio all’altezza del cuore durante la misurazione;
2.
raccomandare l’impiego di strumenti di misurazione semiautomatici piuttosto che
di sfigmomanometri a mercurio, per evitare di dover istruire il paziente e per non
incorrere in errori di percezione dei toni durante la misurazione;
3. istruire i pazienti ad eseguire misurazioni pressorie in posizione seduta dopo alcuni
minuti di riposo ed informarli che i valori possono essere diversi tra le varie
misurazioni in relazione alle oscillazioni spontanee della pressione;
4. evitare di ottenere un eccessivo numero di misurazioni e assicurarsi che alcune di
esse siano eseguite prima di assumere un farmaco antipertensivo per ottenere
informazioni sulla sua efficacia nel tempo;
5. come ricordato per il monitoraggio clinico della pressione, considerare che i valori di
pressione rilevati a domicilio sono inferiori rispetto a quelli misurati in ambulatorio.
Considerare il valore di 135/85 mmHg come quello che, per la pressione domiciliare
corrisponde al valore di 140/90 mmHg rilevato con la metodica tradizionale;
6. fornire al paziente precise istruzioni sulla necessità di riportare al medico una
documentazione dei valori pressori misurati e di evitare di auto modificare gli
schemi terapeutici. (7)
3 - Il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore (ABPM):
considerazioni generali
Il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa (ABPM) delle 24 ore (o monitoraggio
ambulatoriale della pressione arteriosa delle 24 ore) è una tecnica incruenta che fornisce
informazioni utili ed aggiuntive per la valutazione del paziente iperteso rispetto
all’approccio clinico tradizionale della misurazione isolata. L’ABPM consente la
misurazione della pressione arteriosa (P.A.) e della frequenza cardiaca (F.C.) durante le
ore diurne e le ore notturne, durante lo svolgimento delle attività lavorative e durante il
sonno e non determina reazione d’allarme significativa a differenza della rilevazione
pressoria tradizionale.
Gli apparecchi in commercio utilizzano metodi di misurazione pressoria oscillometrica,
microfonica o entrambi. I dati ottenuti sono elaborati da programmi statistici, in modo da
ottenere valori medi della P.A. e della F.C. delle 24 ore, valori medi per ogni ora, valori
medi diurni e notturni. Si possono programmare gli intervalli di tempo tra una misurazione
e quella successiva, che di solito sono ogni quindici minuti durante il giorno e ogni trenta
minuti durante la notte.
E’ fondamentale che il paziente svolga le sue normali attività durante il monitoraggio e che
registri su un diario alcuni parametri quali ora del risveglio, ora del riposo, ora
dell’assunzione della terapia, comparsa di eventuali disturbi da segnalare.
Per l’attendibilità dell’esame, occorre che almeno il 70% delle misurazioni sia valido, con
almeno due misurazioni valide per ora durante il giorno ed una misurazione per ora
durante la notte. L’uso della metodica consente di rendere il dato pressorio riproducibile e
confrontabile nel tempo e di disporre di una quantità notevole di valori pressori (da 50 a
100 a secondo del metodo usato).
4 – Criteri per la diagnosi di ipertensione arteriosa e quadri clinici di particolare
interesse
Convenzionalmente un soggetto adulto non diabetico e non nefropatico con valori pressori
riscontrati alla misurazione ambulatoriale superiori a 140 e/o 90 mmHg viene considerato
iperteso. A seconda dei livelli di pressione sistolica e/o diastolica il paziente può esssere
classificato in differenti categorie.
Fig. 5 – Definizione e classificazione dei livelli di pressione arteriosa secondo le ultime
linee guida
Le ultime linee guida convenzionalmente considerano patologici valori maggiori a 135/85
mmHg alla misurazione domiciliare della pressione arteriosa mentre, per quanto riguarda
il monitoraggio dinamico delle 24 ore, sono considerati nei limiti valori inferiori a 130/80
mmHg (media dei valori sisto-diastolici delle 24 ore) (fig. 5); alcuni studi invece
considerano 122/80 mmHg come valore limite per il monitoraggio dinamico della pressione
arteriosa delle 24 ore. (28)
È importante sottolineare che la diagnosi di ipertensione è esclusivamente clinica
ambulatoriale, e le altre metodiche non possono sostituirsi ad essa.
Fig. 6 – Valori limite di pressione arteriosa per le differenti modalità di misurazione
secondo le linee guida ESH/ESC 2013.
La misurazione della pressione clinica in ambulatorio in associazione alle altre metodiche
extra-ambulatoriali permette di riconoscere particolari quadri clinici quali l’ipertensione
clinica isolata (white coat hypertension), l’ipertensione mascherata e l’ipertensione
mascherata non controllata (fig. 6).
Per ipertensione clinica isolata, meglio conosciuta come effetto camice bianco, si intende il
riscontro, in pazienti non in terapia antipertensiva, di valori pressori elevati alla
misurazione clinica ambulatoriale (>140/90) con valori pressori nei limiti alla misurazione
domiciliare o con ABPM.
Al contrario si può parlare di ipertensione mascherata quando un paziente, non in terapia
antipertensiva, mostri valori pressori nei limiti alla misurazione clinica ambulatoriale, ma
patologici all’automisurazione domiciliare o al monitoraggio dinamico delle 24 ore.
L’ipertensione mascherata non controllata è la condizione di un paziente iperteso, già in
terapia antipertensiva, che mostri valori pressori nei limiti alla misurazione clinica
ambulatoriale ma patologici con le metodiche di misurazione extra-ambulatoriali. (29)
È utile ricordare, infine, che si definisce ipertensione resistente al trattamento quella
condizione clinica in cui gli interventi sullo stile di vita e quello farmacologico, quest’ultimo
basato sull’impiego di tre farmaci antipertensivi di classi differenti, tra i quali un diuretico, a
dosaggi adeguati, non sono in grado di ridurre sufficientemente i valori di pressione
arteriosa sistolica e diastolica. (30)
Fig.6 – Linee guida 2013 ESH: criteri per la definizione di quadri particolari di ipertensione
5 – Misurazione della pressione arteriosa in Medicina Generale
Nell’ambito della Medicina Generale diagnosi e terapia dell’ipertensione arteriosa si
basano principalmente sulla misurazione clinica ambulatoriale; la misurazione domiciliare
è utilizzata nel sospetto di ipertensione clinica isolata (“effetto camice bianco”) o per
valutare l’efficacia della terapia prescritta. Meno utilizzato è invece il monitoraggio
dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore, che permetterebbe di studiare il profilo
pressorio del singolo paziente nei momenti della vita quotidiana, senza l’influenza
dell’ambiente medico.
Un recente studio suggerisce che, nell’ambito della Medicina Generale, tale esame e più
in generale la misurazione extra-ambulatoriale dovrebbero essere più utilizzati, soprattutto
in quei pazienti ipertesi in trattamento che presentino
alla misurazione clinica
ambulatoriale valori pressori nei limiti, poiché questi pazienti potrebbero presentare
un’ipertensione mascherata. (31)
Inoltre uno studio successivo evidenzia che, sempre nell’ambito della Medicina Generale,
è bassa la percentuale di pazienti ipertesi già in trattamento con valori pressori
ambulatoriali, al risveglio e delle 24 ore adeguatamente controllati, compresi i pazienti con
elevato rischio cardiovascolare per comorbidità quali diabete ed ipertrofia ventricolare
sinistra. (32)
CAPITOLO III
Il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore (ABPM)
1 – Indicazioni e valore prognostico dell’esame
Le ultime linee guida per la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione arteriosa individuano
specifiche condizioni cliniche che richiedono una valutazione extra-ambulatoriale della
pressione arteriosa quali: il sospetto di ipertensione clinica isolata (o “effetto camice
bianco”) in un paziente non iperteso o la diagnosi della stessa nel paziente iperteso, il
sospetto di ipertensione mascherata, una evidente variabilità pressoria nella stessa visita
o in visite differenti, il sospetto di episodi ipotensivi di qualsiasi eziologia, di
un’ipertensione resistente e di pre-eclampsia durante la gravidanza.
Le indicazioni cliniche specifiche per il monitoraggio dinamico delle 24 ore sono invece:
un’evidente discordanza tra valori pressori ambulatoriali e domiciliari, la valutazione del
calo pressorio notturno (dipping), il sospetto di ipertensione notturna (es. sindrome delle
apnee notturne) e la quantificazione della variabilità pressoria. (7)
Oltre a queste indicazioni, viene anche riconosciuta la maggiore abilità del monitoraggio
della PA nelle 24 h rispetto alla semplice rilevazione clinica sfigmomanometrica nel
migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso; numerosi
studi longitudinali, infatti, hanno dimostrato una stretta associazione tra PA rilevata con
ABPM e rischio cardiovascolare sia nella popolazione generale che nel paziente iperteso
non trattato o in trattamento farmacologico antipertensivo. (33)
La capacità della pressione arteriosa delle 24 ore nel predire futuri eventi cardiovascolari
nel paziente iperteso in terapia sembra poi essere superiore alla PA clinica e allo stesso
tempo indipendente da quest’ultima. (34)
Inoltre, ipertrofia ventricolare sinistra, ispessimento medio-intimale carotideo ed altri
markers di danno d’ogano correlano più strettamente con il monitoraggio dinamico delle
24 ore della pressione arteriosa rispetto alla pressione clinica (35,36), ed è stato
ampiamente dimostrato che la pressione media delle 24 ore ha una più forte associazione
con eventi fatali e non fatali rispetto alla pressione clinica. (37-40)
È stato dimostrato che la regressione della ipertrofia ventricolare sinistra dopo trattamento
farmacologico è più strettamente connessa alla riduzione della pressione media delle 24
ore che alla riduzione della pressione clinica e, poiché il danno d’organo, e quindi
l’ipertrofia ventricolare sinistra, si associa ad un aumento di rischio cardiovascolare, si può
concludere che la pressione media delle 24 ore ruolo prognostico maggiore della
pressione clinica. (41)
2 - Parametri per l’interpretazione dell’esame
L’esame permette di valutare:
1. i valori medi della pressione arteriosa sistolica, diastolica, media e della frequenza
cardiaca, in ogni misurazione, separando il sonno dalla veglia; per ciascuno di
questi valori è calcolata la deviazione standard, un indice statistico della
dispersione dei dati;
2. i valori medi orari della pressione arteriosa media, sistolica, diastolica, e della
frequenza cardiaca;
3. l’istogramma della pressione arteriosa sistolica e diastolica nelle 24 ore;
4. i profili dell’andamento della pressione arteriosa sistolica e diastolica nelle 24 ore.
Nella pratica clinica i valori più usati sono la pressione sistolica e diastolica media delle 24
ore, la sistolica media delle ore diurne e di quelle notturne, e la deviazione standard.
3 - Calo notturno della pressione arteriosa: il dipping
Nel soggetto normoteso esiste un ritmo circadiano sonno-veglia della pressione arteriosa,
con un calo notturno durante il sonno che raggiunge il massimo intorno alle quattro di
mattina, quando inizia una graduale risalita, più marcata al momento del risveglio.
Nei soggetti ipertesi questo calo notturno può essere alterato e si può perdere il ritmo
circadiano della pressione arteriosa: è utile valutare questo tipo di ipertesi, escludendo
l’insonnia indotta dalla metodica come causa del mancato calo pressorio, in quanto la
perdita del ritmo circadiano è caratteristica di alcune forme di ipertensione secondaria.
Quando la riduzione dei valori pressori sistolici medi durante il sonno è compresa tra il
10% e il 20% il paziente si definisce “dipper”; i pazienti con calo inferiore al 10% si
definiscono “mild dippers”.
Altre categorie di pazienti sono gli “extreme-dippers”, in cui il calo pressorio notturno è
superiore al 20%, e i “non-dippers” o “reverse-dippers”, che presentano valori pressori
sistolici medi notturni maggiori rispetto a quelli diurni.
Nei soggetti che non presentano il normale calo notturno dei valori pressori, l’incidenza di
danni d’organo (alterazioni cerebro-vascolari, scompenso cardiaco, ipertrofia ventricolare
sinistra, danno renale, arteriopatia obliterante periferica) è più elevata rispetto ai “dippers”.
Alcuni studi hanno anche dimostrato che un eccessivo calo dei valori pressori durante la
notte (“extreme dippers”) può essere considerato come un ulteriore fattore di rischio,
particolarmente nei soggetti anziani (42), ma i dati sono tuttora inconsistenti.
I dati della letteratura evidenziano che la pressione arteriosa delle 24 ore, nei pazienti
ipertesi, abbia un maggior valore prognostico nei confronti della mortalità rispetto a quella
clinica, e che il tipo di dipping sia ulteriormente predittivo, con una prognosi più
sfavorevole per i pazienti “reverse dippers”. (43)
La pressione arteriosa delle ore notturne, inoltre, è il marker prognosticamente più
rilevante di morbilità e mortalità, e il suo progressivo calo, che dovrebbe essere un target
terapeutico da perseguire, si associa ad una maggiore sopravvivenza libera da eventi
(44);
inoltre il rapporto tra pressione sistolica media notturna e diurna è predittivo per mortalità,
indipendentemente dalla pressione delle 24 ore. (45)
4 - Rialzo pressorio mattutino: il morning surge
Molti eventi cardiovascolari quali ictus cerebrale, infarto miocardico, morte improvvisa, si
verificano nelle prime ore del mattino; un patologico rialzo pressorio mattutino è infatti
associato in modo indipendente ad aumentato rischio di ictus sintomatico o asintomatico
nei pazienti anziani ipertesi (46); inoltre l’entità del rialzo pressorio al risveglio, nei pazienti
anziani ipertesi in terapia, è correlata ad ipertrofia ventricolare sinistra ed ad ispessimento
medio-intimale carotideo, indipendentemente dagli altri parametri del monitoraggio
pressorio delle 24 ore (pressione media delle 24 ore, variabilità pressoria e pattern di
dipping). (47)
Per
prevenire
l’insorgenza
di
danno
d’organo
e
di
eventi
cardiovascolari
e
cerebrovascolari, è utile diagnosticare l’entità del rialzo mattutino allo scopo di introdurre o
modificare la terapia prescrivendo non solo farmaci antipertensivi a lunga durata d’azione
che controllino tale fenomeno, ma anche altri farmaci che riducano il rischio
cardiovascolare di questi pazienti (es. statine) (48-50); l’uso dell’ABPM consente questo
tipo di valutazione.
5 - La variabilità pressoria
Sia nel soggetto normale che nell’iperteso si possono osservare delle oscillazioni dei valori
pressori, alcune di piccola entità e di breve durata, altre più marcate (60-70 mmHg) e
durature: tali variazioni sono più evidenti durante il giorno in quanto nel riposo c’è
un’attività simpatica ridotta con valori ridotti di catecolamine. Il maggior contributo alla
variabilità pressoria è dato da fattori comportamentali quali esercizio fisico, fumo,
situazioni capaci di suscitare ansia, emozione, paura, stress, come lo stesso rilevamento
dei valori pressori, ma ci sono anche aumenti pressori non correlati ad alcun evento
scatenante, completamente spontanei.
Nell’iperteso la variabilità pressoria è superiore a quella che si riscontra nel soggetto
normale e tale variabilità è tanto maggiore quanto più alta è la media della pressione
sistolica e diastolica registrata nelle 24 ore.
E’ importante sottolineare che i valori di P.A. nelle 24 ore e il grado di variabilità pressoria
sono significativamente e indipendentemente correlati al danno d’organo sia presente al
momento, sia insorto successivamente, e che il danno d’organo risulta maggiore in
pazienti che, a parità di valori pressori medi, mostrano una maggiore variabilità della P.A.
Esiste infatti una correlazione lineare diretta tra la variabilità pressoria nelle 24 ore e la
severità e la velocità di progressione del danno d’organo (51); inoltre un’aumentata
variabilità pressoria notturna è un fattore di rischio indipendente per eventi cardiaci nei
soggetti ipertesi non ancora in terapia. (52)
6 - Vantaggi e limiti dell’esame
I vantaggi del monitoraggio dinamico delle 24 ore della pressione arteriosa rispetto alla
misurazione ambulatoriale e a quella domiciliare sono molteplici: fornisce un elevato
numero di misurazioni (50-100/die), disegna un profilo pressorio al di fuori dell’ambiente
medico, riproducibile e confrontabile nel tempo nel follow-up del paziente iperteso; mostra
il comportamento della PA nelle 24 ore e durante le normali attività quotidiane, consente di
verificare l’efficacia della terapia anti-ipertensiva nell’arco delle 24 ore e permette una
prescrizione più razionale dei farmaci, consente di identificare i pazienti nei quali la PA
non diminuisce fisiologicamente durante le ore notturne (non-dippers).
Infine permette di identificare alcuni quadri clinici specifici, rilevanti ai fini del trattamento
farmacologico,
quali
l’ipertensione
sistolica
isolata,
l’ipertensione
mascherata
e
mascherata non controllata e quadri ipotensione di diversa eziologia. L’esame presenta
però dei limiti di tipo organizzativo-gestionale, quali una disponibilità limitata, scarsa
compliance in alcuni pazienti per “discomfort”, soprattutto notturno, ed un costo superiore
alle altre metodiche di misurazione della pressione arteriosa; inoltre presenta limiti tecnici
quali la non perfetta riproducibilità dei dati e la possibilità di misurazioni errate durante
l’esame. (29)
Per quanto riguarda il costo dell’esame, la sua convenienza è stata considerata per diversi
aspetti: in primo luogo il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore
permetterebbe di risparmiare risorse nella prescrizione farmacologica; è infatti superiore
alle altre metodiche nel dimostrare l’efficacia di una terapia antipertensiva nei trials
farmacologici (53,54). È stato dimostrato che la modificazione della terapia antipertensiva
basata su questo esame piuttosto che sulla misurazione clinica ha permesso di ridurre la
prescrizione di farmaci antipertensivi senza la comparsa di danno agli organi bersaglio
(55) e quindi la qualità della cura. Inoltre, come è già stato ricordato, nei pazienti in
trattamento antipertensivo, il monitoraggio dinamico delle 24 ore ha un ruolo prognostico
superiore alla misurazione clinica della pressione arteriosa nell’outcome cardiovascolare.
(38)
In secondo luogo, permettendo di diagnosticare una condizione quale l’ipertensione clinica
isolata, il monitoraggio dinamico delle 24 ore permette di migliorare la prescrizione di
farmaci evitando trattamenti anche di lunga durata in pazienti che non ne necessitano
(56). Inoltre l’individuazione di pazienti con ipertensione mascherata, una condizione
clinica con la stessa prognosi dell’ipertensione arteriosa non trattata, permette di iniziare
precocemente una terapia, riducendo nel complessi i costi delle successive cure e/o
ospedalizzazioni legate alle complicanze al mancato trattamento.
Tutt’ora viene data molta importanza al maggiore costo del monitoraggio dinamico della
pressione arteriosa delle 24 ore rispetto alle altre metodiche, nonostante ne sia stata
dimostrata la convenienza sia nelle cure primarie che in ambito specialistico. (56)
Sono stati pubblicati numerosi studi riguardo al rapporto costo-benefici di questo esame.
Ad esempio Krakoff ha dimostrato un potenziale risparmio del 3-14% in costi per la cura
dell’ipertensione e del 10-23% di giorni in meno per il trattamento con l’introduizone del
monitoraggio delle 24 ore nel processo diagnostico. (56)
In conclusione, l’esame risulta comunque conveniente sia nel breve ma soprattutto nel
lungo periodo, poichè un corretto riconoscimento dell’ipertensione in tutte le sue forme
(ipertensione clinica isolata, ipertensione mascherata, ipertensione mascherata non
controllata) ed un migliore trattamento della patologia in tutti i suoi aspetti (profilo pressorio
notturno, rialzo pressorio mattutino, variabilità pressoria) che porti ad un ottimale controllo
dei valori pressori delle 24 ore, si traduce in un futuro risparmio di risorse del Sistema
Sanitario Nazionale in termini di trattamento, ospedalizzazione e riabilitazione dei pazienti
colpiti dalle complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari dell’ipertensione arteriosa.
Scopo dello studio
Lo scopo di questo studio osservazionale è stato valutare, mediante monitoraggio
dinamico della pressione arteriosa delle 24 ore, tra gli assistiti dei medici di Medicina
Generale di Parma e provincia, quanti, già in terapia e con valori pressori apparentemente
nel range con la misurazione eseguita dal medico stesso, il reale controllo pressorio e
confrontare questo dato con quelli europei ed italiani. Abbiamo con questo anche voluto
valutare l’importanza del monitoraggio dinamico delle 24 ore nel trattamento del paziente
iperteso.
Popolazione
Sono stati arruolati 50 pazienti, di cui 26 uomini (52%) e 24 donne (48%) con un’età media
di 60 anni; tutti i pazienti erano affetti da ipertensione arteriosa già in trattamento con
almeno un farmaco antipertensivo ed avevano anamnesi negativa per cardiopatia
ischemica, ictus e/o TIA. Il valore della pressione arteriosa al momento dell’arruolamento
non doveva essere superiore a 140/90mmHg e/o inferiore a 120/80mmHg cioè i pazienti
dovevano avere una pressione arteriosa clinica normale.
Metodi
Tali pazienti accedevano presso l’ambulatorio di alcuni medici di Medicina Generale di
Parma e provincia per visita di routine e, in base al quadro clinico generale, veniva loro
suggerito un approfondimento diagnostico con monitoraggio delle 24 ore della pressione
arteriosa.
Una parte di questa popolazione è stata sottoposta a monitoraggio pressorio presso il
proprio medico di Medicina Generale che, dopo specifico addestramento, ha
personalmente applicato il dispositivo al paziente nel suo ambulatorio. Terminato il
monitoraggio, il risultato dell’esame è stato inviato via internet mediante software dedicato
ad un cardiologo che l’ha restituito refertato . Altri pazienti, invece, sono stati sottoposti a
monitoraggio pressorio mediante invio in una struttura del Sistema Sanitario Nazionale o
privata.
Sono stati utilizzati come valori di normalità, per la pressione arteriosa sistolica media
delle 24 ore, del giorno e della notte, rispettivamente 122, 126 e 110 mmHg, mentre per la
pressione diastolica media rispettivamente 80, 83 e 70 mmHg, utilizzando i criteri dello
studio HARVEST (28).
Per ogni paziente sono stati valutati i valori singoli e medi di pressione sistolica, diastolica
e media (mean arterial pressure) delle 24 ore, delle ore diurne e di quelle notturne, e per
ciascuno di questi i valori di deviazione standard. Inoltre ogni paziente, in base al rapporto
tra i valori di pressione sistolica media notturna e diurna è stato classificato come non
dipper/reverse dipper (rapporto ≥ 1), mild dipper (rapporto > 0.9 e ≤ 1), dipper (rapporto >
0.8 e ≤ 0.9, considerato ottimale) o extreme dipper (rapporto ≤ 0.8).
Infine è stato calcolato per ciascun paziente il rialzo pressorio mattutino (morning surge)
sottraendo alla media dei valori sistolici misurati nelle prime 2 ore dopo il risveglio (periodo
di veglia dalle ore 7 alle ore 23) la media dei valori sistolici misurati nell’ora di sonno
comprendente il valore più basso. Tale differenza viene considerata patologica se
maggiore di 40 mmHg.
Risultati
Dall’analisi dei dati, i pazienti con valori pressori medi delle 24 ore nei limiti della normalità
secondo i suddetti criteri sono stati 11, pari al 22%, mentre per il restante 78% (39
pazienti) sono stati documentati valori medi delle 24 ore superiori ai 122/80 mmHg.
Di questi 39 pazienti, 16 (pari al 32% del totale) hanno mostrato un’ipertensione sistodiastolica, mentre 23 (46% del totale) un’ipertensione sistolica isolata.
Per quanto riguarda il profilo notturno della pressione arteriosa, i pazienti “dippers” (con
calo fisiologico) sono stati 22 (44% del totale); i restanti 28 pazienti (56%) si sono suddivisi
tra 14 “mild dippers” (28% del totale), 11 “reverse dippers” (22% del totale) e 3 “extreme
dippers” (6% del totale).
Inoltre, degli 11 pazienti con valori pressori medi delle 24 ore normali, 4 (36% di questi)
hanno mostrato un alterato profilo pressorio notturno, divisi in 2 “reverse dippers”, 1 “mild
dipper” e 1 “extreme dipper”.
Infine, i pazienti con rialzo pressorio mattutino (morning surge) fisiologico sono stati 46,
pari al 92% del totale, mentre valori patologici sono stati riscontrati in 4 pazienti (8% del
totale).
Fig.7 - Suddivisione della popolazione in base ai valori pressori
Fig. 8 – Suddivisione della popolazione in base al profilo pressorio notturno
Discussione
Come esposto in precedenza, il valore pressorio riconosciuto dalle ultime linee guida
come cut-off tra valori ottimali e patologici nel monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore è
inferiore ai valori diagnostici per ipertensione arteriosa utilizzati per la misurazione clinica
ambulatoriale (140/90 mmHg) e per la misurazione domiciliare (135/85 mm/Hg) (7). Ciò è
spiegato dal fatto che i valori pressori del paziente durante tale esame non risentono
dell’ambiente medico, che in alcuni individui, alla misurazione ambulatoriale, può essere
causa di ipertensione clinica isolata. Anche la misurazione domiciliare, nonostante venga
meno la presenza del sanitario, può essere influenzata dalla consapevolezza di eseguire
un atto medico, e i valori pressori possono risultare falsamente aumentati. Durante il
monitoraggio dinamico delle 24 ore, invece, questa consapevolezza viene meno dopo le
prime ore, scomparendo completamente ( con l’eccezione degli individui più sensibili), e
permettendo di misurare i valori pressori del paziente durante i normali atti della vita
quotidiana; tali valori, in una buona percentuale di pazienti, risultano mediamente inferiori
rispetto a quelli misurati in ambiente medico.
Inoltre, facendo parte della media delle misurazioni delle 24 ore anche le misurazioni
notturne, che nel soggetto sano sono inferiori a quelle diurne, si spiega come il valore
medio delle pressioni sistolica e diastolica delle 24 ore, che è quello utilizzato per
classificare i livelli pressori al monitoraggio delle 24 ore, debba essere inferiore ai valori
utilizzati per la diagnosi di ipertensione con le altre metodiche di misurazione.
I nostri risultati sono stati ottenuti utilizzando un criterio di normalità più restrittivo (122/80
mmHg) rispetto alle attuali linee guida europee ESC/ESH per la gestione dell’ipertensione
arteriosa (130/80 mmHg) e su una popolazione ristretta di pazienti. Tali risultati mostrano
che in una popolazione del distretto di Parma la percentuale di pazienti ipertesi in terapia
con valori pressori ottimali è del 22%. Questo dato è in linea con quello ottenuto a livello
europeo, dove il controllo pressorio è ottimale in circa il 20 – 30% dei pazienti (1-4), ma
inferiore ai dati italiani, che classificano il nostro paese come relativamente virtuoso, in
quanto la percentuale dei pazienti ipertesi con controllo ottimale raggiunge il 30-40% (6).
D’altra parte, anche considerando come criterio di normalità il valore di 130/80 mmHg, la
percentuale di pazienti della nostra popolazione con valori pressori ottimali sarebbe il
48%, una percentuale di poco superiore alla media italiana ma ancora lontana dalla
percentuale desiderabile del 70% (15).
Un dato molto importante è quello che i pazienti arruolati avevano in realtà valori pressori,
misurati dal medico in ambulatorio, normali.
Per quanto riguarda il profilo pressorio notturno, è importante notare che:
1. ben 28 pazienti (56% del totale) hanno mostrato un alterazione del fisiologico calo
pressorio notturno (dipping);
2. del gruppo di 11 pazienti (22% del totale) con valori pressori delle 24 ore ottimali, 4
(il 36% di questi) hanno mostrato un dipping alterato, rivelandosi comunque come
target per una eventuale modificazione della terapia.
3. ben 11 pazienti (il 22% del totale) hanno presentato un profilo “reverse dipper”, il
quadro prognosticamente il più sfavorevole.
Infine, sono stati individuati 4 pazienti (8% del totale) con rialzo pressorio mattutino
francamente patologico ( morning surge > 40 mmHg calcolato secondo il metodo
precedentemente descritto). Analizzando meglio i dati, abbiamo notato che 6 pazienti
(12% del totale) hanno mostrato un rialzo pressorio mattutino compreso tra i 30 e i 40
mmHg, vicino quindi ai valori patologici.
In ultimo, è interessante notare come nessuno dei quattro pazienti con morning surge
patologico fossero “reverse dippers” poiché, per definizione, tali condizioni difficilmente
possono coesistere. Infatti, di questi 4 pazienti con rialzo pressorio mattutino patologico,
due hanno mostrato un profilo “dipper” e due un profilo “extreme dipper”, con valori
pressori medi notturni inferiori e molto inferiori a quelli diurni.
Conclusioni
In conclusione, alla luce di prevenire complicanze cardio e cerebrovascolari legate ad un
mancato controllo ottimale della pressione arteriosa, sarebbe utile sia nel contesto della
Medicina Generale che in ambito specialistico, dedicare più attenzione a tale problema.
In particolare, nella Medicina Generale, l’obiettivo di un ottimale controllo pressorio può
essere raggiunto anche con un uso più diffuso della misurazione della pressione arteriosa
extra-ambulatoriale, ed in particolare con una maggiore diffusione del monitoraggio della
pressione arteriosa delle 24 ore. Infatti in questo studio la maggior parte dei pazienti pur
avendo un discreto controllo dei valori dal medico risultava, con il monitoraggio, non in
range terapeutico e quindi a rischio. Questo esame, nonostante alcuni limiti, ha dimostrato
in letteratura un buon rapporto costo-benefici, soprattutto nel lungo termine; inoltre,
nell’immediato, è uno strumento fondamentale per impostare una terapia personalizzata al
fine di ridurre il rischio cardiovascolare del singolo individuo. Sarebbe pertanto utile
eseguire per tutti coloro già in terapia antiipertensiva o i presunti normotesi che rilevano
valori discordanti nelle singole misurazioni, almeno una volta all’anno eseguire un
monitoraggio pressorio delle 24 ore.