La Macchina fotografica - Parrocchia Gesu Divino Lavoratore

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La Macchina fotografica
La macchina fotografica rappresenta il mezzo meccanico della fotografia ed è quello strumento che
permette di caricare le nostre pellicole, e di scattare la foto . Ci sono diversi tipi di macchine fotografiche, e
la maggiore differenza tra loro (o, se non altro, la più evidente) riguarda il formato delle pellicole che
possono utilizzare. Normalmente la maggioranza dei fotografi utilizza macchine che usano pellicole da
35mm che hanno una dimensione di 24x36 mm, ma ci sono apparecchi per formati più piccoli (il 110 e 124)
e più grandi 6x4.5, 6x6, ecc., chiaramente maggiore è il negativo usato e migliori saranno gli ingrandimenti
che potremo ottenere. Oggi comunque, la qualità raggiunta dalle pellicole 35mm è tale che per la maggior
parte degli usi non è necessario usare formati superiori, tranne che per particolari lavori di tipo professionale;
inoltre (e non è cosa da poco) il costo delle macchine che usano pellicole di grande formato e' mediamente il
triplo di quello di una buona 35 mm. .
Meritano una nota le macchine di grande formato chiamate Banchi Ottici, che sono molto simili a
quelle utilizzate dai nostri bisnonni agli inizi del secolo.
Una macchina fotografica generalmente é composta da un obiettivo, un otturatore, un diaframma,un
mirino, un esposimetro, una messa a fuoco.
MACCHINA FOTOGRAFICA SCHEMATIZZATA
Semplificando al massimo, una macchina fotografica
può essere rappresentata come una scatola a tenuta di luce,
con l'obiettivo su un lato e la pellicola su quello opposto.
E' importante rendersi conto della grande analogia funzionale che esiste tra la macchina fotografica e
l'occhio umano.
ANALOGIA TRA OCCHIO E FOTOCAMERA
Un apparecchio fotografico funziona all'incirca come l'occhio;
la luce passa attraverso la lente e l'immagine si forma,
capovolta, sulla parete opposta.
OBIETTIVO: ogni obiettivo, per quanto complicato, agisce in pratica come una lente convergente
(la comune lente di ingrandimento), la sua funzione è quella di far giungere un'immagine nitida sulla
pellicola, per impressionarla nel modo migliore. Gli obiettivi fotografici sono il naturale complemento della
fotocamera e costituiscono il mezzo attraverso cui le immagini giungono ad impressionare la pellicola.
Ciò che distingue un obiettivo da un altro, è principalmente la sua lunghezza focale. Questo
parametro, che si esprime in millimetri, incide in modo determinante sull'aspetto dell'immagine: al crescere
della lunghezza focale aumenta l'ingrandimento (il soggetto, in pratica, risulta "avvicinato"), diminuendo di
conseguenza l'ampiezza del campo inquadrato. Al variare della focale, inoltre, viene a modificarsi il rapporto
dimensionale tra gli elementi di un'inquadratura posti su piani diversi.
Esistono diversi tipi di obiettivi, il 50mm, detto comunemente "normale", riproduce la realtà in
maniera molto simile all'occhio umano, sia come ingrandimento che come apparente prospettiva di veduta. Il
normale, come angolo di campo medio (circa 46°), rappresenta un punto riferimento per le altre categorie di
obiettivi.
Il 28mm, preso come esempio di “grandangolare” abbraccia un campo più ampio rispetto ad un'ottica
normale, equivalente a circa 75°.
Gli obiettivi grandangolari sono utili per fotografare i paesaggi e i soggetti molto grandi posti a breve
distanza dal fotografo, consentendo di includere nella stessa fotografia uno spazio più ampio.
Le ottiche di questo tipo, inoltre, sono caratterizzate da un'estesa profondità di campo. Si definisce così, lo
ricordiamo, quella zona precedente e successiva al punto su cui è regolata la messa fuoco entro la quale tutti
soggetti risultano nitidi. A parità di altre condizioni l'estensione della profondità di campo aumenta con la
chiusura del diaframma e cresce col diminuire della focale.
I cosiddetti supergrandangolari sono obiettivi di lunghezza focale compresa tra 24 e 14mm (angolo di
campo da 84° a 110°). Le ottiche di questo tipo vengono generalmente impiegate quando il campo
inquadrato da un'ottica grandangolare non è sufficiente a riprendere tutti gli elementi desiderati.
Uno degli effetti caratteristici dei grandangolari e dei supergrandangolari, inoltre, è quello di modificare
apparentemente la prospettiva della scena. Per parlar difficile possiamo dire che questi obiettivi evidenziano
la convergenza delle linee di fuga ed alterano in modo notevole il rapporto tra le dimensioni di soggetti posti
su piani diversi: il viso di una persona vicino all'obiettivo, ad esempio, appare enorme e deformato, mentre
lo stesso elemento posto all'orizzonte, risulta piccolissimo. Oltre alle lenti, gli obiettivi sono dotati di una
serie di meccanismi di controllo quali il diaframma e il sistema per la messa a fuoco.
Schema ottico dell'obiettivo
OTTURATORE: l'otturatore, "dosa" il tempo di esposizione della pellicola alla luce. Questo si trova
in genere tra l'obiettivo e la pellicola, e, solamente per le macchine di grande formato, può trovarsi
sull'obiettivo anzichè sul corpo macchina. Quando si scatta una fotografia bisogna fare in modo che alla
pellicola giunga la giusta quantità di luce; tale quantità viene regolata da due elementi: l' otturatore e il
diaframma.
Naturalmente il tutto dipende anche dalla sensibilità della pellicola: ne esistono tipi poco sensibili che
necessitano di molta luce per essere correttamente impressionate, mentre ne basta poca per quelle più
sensibili.
Nelle macchine fotografiche di un certo pregio il diaframma è del tipo a iride, per analogia di
funzionamento con l'iride dell'occhio umano, dove essa serve per allargare o restringere l'apertura centrale,
adeguandosi alle condizioni di luce ambientale.
L'otturatore può essere di due tipi: centrale e a tendina. Nell'otturatore centrale si ha una serie di
lamelle mobili poste tra le lenti dell'obiettivo; esse stanno normalmente chiuse e solo al momento dello
scatto si aprono per il tempo prestabilito. Nell'otturatore a tendina, invece, abbiamo due tendine poste vicino
alla pellicola; quando si scatta la foto, esse formano una fessura che scorre su tutto il fotogramma,
esponendolo alla luce.
TIPI DI OTTURATORE
A SINISTRA: otturatore centrale a lamelle.
A DESTRA: otturatore a tendina.
DIAFRAMMA: è assimilabile ad un foro di dimensione regolabile che consente di far arrivare
alla pellicola una quantità variabile di luce ed ottenere un'immagine più o meno luminosa. Il sistema di
messa a fuoco, invece, manuale o automatico che sia, serve per regolare l'obiettivo in base alla distanza del
soggetto, in modo che sulla pellicola sia proiettata una riproduzione nitida della scena inquadrata. In linea
generale, una fotografia viene considerata tecnicamente ben riuscita quando è dotata di nitidezza, ossia
quando è perfettamente a fuoco. Questo vale, se non per tutto il fotogramma, almeno per il soggetto
principale (in questa sede non si considerano le sfocature intenzionali, adottate per ottenere effetti espressivi
particolari).
DIAFRAMMA A IRIDE
Una serie di lamelle poste all'interno dell'obiettivo regolano l'apertura che lascia passare la luce,
chiudendola in maggiore o minore misura rispetto all'apertura massima.
La corretta esposizione della pellicola dipende quindi dalla regolazione dei due dispositivi appena
visti: l'otturatore e il diaframma.Al momento dello scatto l'otturatore si apre per il tempo predeterminato.
Mentre l'apertura dell'otturatore avviene quasi sempre meccanicamente (tramite una molla che si carica
avanzando il fotogramma), il controllo del tempo può avvenire in due modi: meccanico o elettronico.
Quello elettronico è in genere più preciso, ma a pile scariche l'apparecchio smette di funzionare. Su quasi
tutti gli apparecchi sono previsti tempi che vanno da 1 secondo ad 1/1000 di secondo (alcuni arrivano a
1/8000'') più la posa B, che permette all'otturatore di rimanere aperto finche il pulsante di scatto è tenuto
premuto. La posa B si usa normalmente per le riprese notturne in cui i tempi di esposizione superano
tranquillamente il minuto.
Naturalmente il tutto dipende anche dalla sensibilità della pellicola: ne esistono tipi poco sensibili che
necessitano di molta luce per essere correttamente impressionate, mentre ne basta poca per quelle più
sensibili.
Immaginiamo che la pellicola sia rappresentata da un recipiente, tanto più grande quanto minore è la
sensibilità della pellicola: una emulsione poco sensibile necessita di molta luce e, inversamente, una
emulsione molto sensibile deve ricevere poca luce.
Ebbene, per riempire il recipiente che rappresenta la pellicola possiamo agire su due elementi: l'apertura del
rubinetto e il tempo in cui lo lasciamo aperto.
MIRINO: Il mirino rappresenta una parte estremamente importante della macchina fotografica; esso
permette di... "mirare e centrare il bersaglio", ossia di inquadrare nella fotografia esattamente quello che si
vuole fare entrare nella scena. Senza il mirino faremmo inquadrature alla cieca.
La precisione con cui si controlla l'inquadratura dipende dal tipo di mirino disponibile; le fotocamere più
economiche hanno un semplice mirino galileano, che offre una visione abbastanza approssimata di ciò che
verrà effettivamente fotografato.
mirino galileiano; è un riquadro che simula la copertura dell'obiettivo montato sulla
macchina, non potendo essere mai in linea con l'obiettivo in caso di riprese ravvicinate
potremo correre il rischio di inquadrare male il soggetto (errore di parallasse).
MIRINO GALILEANO:
Errore di parallasse in un
mirino di tipo galileano.
Mirino reflex; è quello in cui l'immagine, che si vede passa attraverso lo stesso obiettivo che sarà
utilizzato per la foto. L'immagine viene deviata da uno specchio, posto a 45° davanti la pellicola, su di un
vetro smerigliato sul quale sarà possibile controllare l'inquadratura e la messa a fuoco. Su alcune macchine
(in genere il medio e grande formato) l'immagine viene vista al contrario e dall'alto in quello che
comunemente si chiama pozzetto, montando un pentaprisma (che ha il compito di raddrizzare l'immagine
come già avviene nelle reflex da 35mm), la visione avviene direttamente nel mirino che normalmente da
anche altre informazioni, come il diaframma impostato, il tempo, ecc. Nel momento dello scatto lo specchio
si alza automaticamente permettendo il passaggio dell'immagine sulla pellicola.
Le macchine fotografiche di tipo reflex offrono il massimo dell'accuratezza compositiva, in quanto
mostrano nel mirino esattamente la stessa scena che verrà impressionata sulla pellicola. Tra questi due
estremi esistono tipologie di mirini che forniscono gradi intermedi di precisione.
MIRINO REFLEX
In una macchina fotografica reflex ciò che si vede nel mirino (disegno in alto) coincide con
quello che viene fotografato (disegno in basso)
ESPOSIMETRO: L'esposimetro misura l'intensità della luce presente nella scena che vogliamo
fotografare, e ci indica il valore corretto del diaframma e del tempo da impostare, questo
naturalmente in base ad un valore assoluto (che non può essere variato a differenza degli altri), che è la
sensibilità della pellicola.
La parte principale di un esposimetro è composta da una cellula fotosensibile collegata ad un circuito
elettronico. Nel momento in cui viene colpita dalla luce (deviata dallo specchio a 45° nelle fotocamere
Reflex), la cellula produce corrente elettrica che in base alla sua intensità restituisce i valori sopra citati. Nel
caso di una scena molto luminosa, come ad esempio un panorama in una giornata di sole, l'esposimetro
riceverà una forte intensità di luce, e sapendo che la pellicola da impressionare ha una sensibilità precisa, ci
suggerirà di usare una coppia tempo-diaframma corretta ad impressionare il fotogramma.
Abbiamo qui introdotto un altro concetto base della fotografia: la coppia tempo-diaframma.
Questa coppia di valori è quella che determina la giusta esposizione della pellicola e rispetta una legge
chiamata "della reciprocità" secondo la quale gli aumenti e le diminuzioni del flusso luminoso (gestiti dal
diaframma) sono compensati da aumenti e diminuzioni proporzionali del tempo (otturatore) in cui tale flusso
faccia si faccia pervenire alla pellicola.
L'apertura dell'obiettivo: è l'apertura del diaframma, il foro che lascia passare la luce dall'obiettivo. Si
misura " a rovescio" con il rapporto tra la distanza del diaframma dal piano focale e il diametro del foro;
p.es. 1, 1.4, 2, 2.8, 4, 5.6, 8, 11.2, 16 ... a rovescio, nel senso che più piccolo è questo numero, maggiore è
l'apertura. In effetti la quantità di luce è proporzionale all'area del foro, non al suo raggio, quindi è
inversamente proporzionale al quadrato di questi valori, che non a caso sono approssimativamente le radici
quadrate della successione 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256 ...
Il tempo di esposizione: è semplicemente la durata dell'esposizione, e dipende dall' otturatore, il dispositivo
meccanico o elettronico che scopre la pellicola o il sensore per il tempo assegnato. Si misura in secondi o
meglio in frazioni di secondo, di solito con la successione 1, 1/2, 1/4, 1/8, 1/16, 1/30, 1/60, 1/125, 1/250,
1/500 ... (dove gli ultimi valori sono arrotondati da 1/32, 1/64, 1/128 ...)
Per chiarire meglio, immaginiamo di fotografare una scena che presenta un tot di luce "x", l'esposimetro fatta
la lettura ci indicherà una coppia di valori necessaria, ad esempio f 8 - 1/125s.
Impostando questi valori sul diaframma e sull'otturatore avremmo una foto esposta correttamente.
La legge della reciprocità che regola questi valori ci permette di cambiarli in modo da far passare sempre la
stessa quantità di luce, stringendo il diaframma e, contemporaneamente, aumentando il tempo di scatto, e
viceversa.
Questo ci consente di sfruttare i diversi effetti che le impostazioni di tempo e diaframma hanno sulla resa
finale della foto (profondità di campo, blocco del movimento, etc.).
Il fotografo quindi ha la possibilità di dare priorità ad uno di questi due fattori, tempo e diaframma in base
alle necessità del caso.
L'esposizione totale della pellicola o sensore è chiaramente proporzionale al tempo e al quadrato
dell'apertura; per convenzione si definisce l'EV (exposition value) come un logaritmo in base 2:
EV = log2(A2/T)
Questo implica che esistono diverse accoppiate tempo-diaframma che danno la stessa esposizione;
p.es. 8 - 1/128 equivale a 5.6 - 1/256; infatti 64*128 = 32*256 = 8192 = 2^13 e quindi in entrambi i casi si
ha EV = log2(8192) = 13. Altri valori si possono calcolare con la tabellina interattiva mostrata sotto.
Va detto che gli EV sono valori teorici; molte pellicole (e sensori) hanno risposte alla luce che non
sono lineari soprattutto quando si esce dal campo dei valori più usati ( difetto di reciprocità), p.es. quando si
usano tempi molto lunghi per esposizioni notturne. Per calcolare EV, tempi e diaframmi un tempo si usavano
tabelline con alcune situazioni tipiche, oggi si usano quasi sempre gli esposimetri e quasi tutte le fotocamere
ne hanno uno incorporato.
NOTA: I tempi sopra indicati sono il risultato esatto dei calcoli matematici. In realtà nelle macchine
fotografiche moderne vengono approssimati per difetto in modo da ottenere dei valori di riferimento più semplici. Per
es 1/128 equivale a 1/125 sulla macchina fotografica, conseguentemente 1/256 sarà 1/250 e, 1/512 sarà 1/500, ecc.
MESSA A FUOCO: In linea generale, una fotografia viene considerata tecnicamente ben riuscita
quando è dotata di nitidezza, ossia quando è perfettamente a fuoco. Questo vale, se non per tutto il
fotogramma, almeno per il soggetto principale (in questa sede non si considerano le sfocature intenzionali,
adottate per ottenere effetti espressivi particolari.
Pertanto le macchine fotografiche possiedono dispositivi che consentono di mettere a fuoco la zona che
interessa; fanno eccezione solo le macchine fotografiche economiche, dove si ha un obiettivo a fuoco fisso
che non consente la focheggiatura.
Mettere a fuoco significa intervenire sulla distanza obiettivo/pellicola, per fare in modo che l'obiettivo
proietti sulla pellicola un'immagine nitida del soggetto da fotografare; le due condizioni estreme sono le
seguenti:
• Quando il soggetto è molto lontano dal punto di ripresa, l'obiettivo va regolato sull' infinito (in
questo caso si ha la distanza minima tra obiettivo e pellicola);
• Quando il soggetto è molto vicino al punto di ripresa, l'obiettivo va regolato sul punto di
messa a fuoco ravvicinata (in questo caso si ha la distanza massima tra obiettivo e pellicola).
MESSA A FUOCO
Quando la messa a fuoco è sull'infinito (a sinistra),
la distanza tra obiettivo e pellicola è minore rispetto al caso di messa a fuoco sulla distanza minima (a
destra).
I dispositivi per la regolazione e il controllo della messa a fuoco sono di vario tipo; eccone qualcuno, dai più
semplici ai più sofisticati:
• valutazione "stimata" della distanza del soggetto. L'obiettivo riporta dei simboli o una scala di
distanze sulla ghiera della messa a fuoco, a cui si deve fare riferimento dopo aver valutato a
occhio la distanza dal soggetto da fotografare;
• telemetro; nel mirino l'immagine è sdoppiata quando è fuori fuoco;
• stigmometro; è presente al centro del mirino delle reflex e spezza in due l'immagine non
perfettamente a fuoco;
• microprismi; sgranano l'immagine sfocata, mentre la ricompongono normalmente quando è
a fuoco. Telemetro, stigmometro e microprismi sono tre dispositivi di messa a fuoco basati su
principi del tutto simili;
• vetro smerigliato; è la superficie su cui si forma l'intera immagine in un sistema reflex. Di per
sé permette già una discreta valutazione della focheggiatura;
• autofocus; dispositivo di messa a fuoco automatica, controllato elettronicamente
dall'apparecchio, senza l'intervento dell'operatore.
Gli ultimi tre o quattro dispositivi citati possono essere presenti contemporaneamente.
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